Il Diavolo e l`Acqua Santa “Un amico è uno che sa tutto di te e

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Il Diavolo e l`Acqua Santa “Un amico è uno che sa tutto di te e
Il Diavolo e l’Acqua Santa
“Un amico è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci”
Elbert Hubbard
Arles, 1888.
Una casa completamente gialla e con la porta verde sorgeva come un girasole in mezzo alla campagna; gialla
come il grano, o le stelle. Dentro alla casa c’erano due uomini: uno si chiamava Vincent, l’altro Paul; per
vivere dipingevano. Beh, in realtà solo Paul viveva della sua pittura, Vincent più che altro sopravviveva, e di
certo non grazie alle sue tele: era piuttosto odiato, denigrato, preso a sassate dai bambini e deriso; ogni tanto
piangeva, ma solo quando non lo vedeva nessuno. Paul, dal canto suo, era bello, piacente, amato dalle donne,
rispettato, ricco e famoso; aveva due baffi tentatori e un sorriso seducente, era un viaggiatore e un filosofo.
Sarebbe morto molto lontano da casa e in solitudine, ma questa è un’altra storia, una storia che trova spazio a
chilometri e contrade di distanza da Arles, perciò non serve, almeno per ora: quello che serve sapere è che i
due, in un modo romantico e malinconico, erano amici.
-E così intendi creare in questa casa un ritrovo per pittori?
-Esattamente.
-Mi sembra un’idea carina, ma troppi artisti rischiano di fare confusione.
-Ognuno aiuterà l’altro, e ogni lavoro risulterà migliore.
-Se lo dici tu, Vincent.
Passavano le giornate in campagna, a dipingere, in mezzo alla natura, uno seduto vicino all’altro; solo il
silenzio, e loro.
La cosa buffa, bisogna capirlo, era la loro diversità evidente: una comica: Paul guardava un uccello e vedeva
la vacuità delle parole, la stoltezza, l’effimero tempo, il significato della vita; Vincent guardava un uccello e
vedeva un uccello che volava, e capiva che lui non poteva farlo, e chissà dove sarebbe andato invece lui,
l’uccello, chissà su quali mari avrebbe volato, su quali rami avrebbe fatto il nido: capì che la natura era, sì,
quella che osservava, ma che la natura andava anche oltre, che la natura era lui. Per Paul l‘Universo era il
simbolo di qualcosa di più grande, ogni cosa ne significava un’altra e tutto era criptico, ma chiaro al pittore
che dipingeva, mentre gli altri interpretavano; Vincent era gli altri ed era il pittore: lui guardava l’Universo e
lo ritraeva come lo sentiva dentro, metteva nel colore e nelle forme i colori e le forme della sua anima che si
vestiva con gli alberi, si identificava nel vento, diventava luce.
Paul e Vincent erano molto diversi ed erano amici: talmente diversi e talmente amici che litigarono; e
ognuno andò per la sua strada.
La colpa, forse, fu di Vincent: non aveva un carattere facile: forse era epilettico, oppure bipolare, in ogni
modo non stava proprio bene; forse Paul era troppo solitario per convivere con qualcuno, troppo solitario o
troppo farfallone: andava sempre al bordello, gli piacevano le donne e questo non piaceva a Vincent. Di
chiunque fosse la colpa, comunque, i due litigarono, e questo è un fatto.
Stavano parlando, semplicemente.
-Ritieni, Paul, che questi girasoli non siano girasoli?
-No, no, lo sono. Ma non vogliono dire “girasoli”.
-Va bene, allora in accordo con le tue idee sono l’uomo, che si gira dove c’è il sole, dove c’è qualcosa da
seguire. Lo fanno tutti, tutti allo stesso modo. Sono girasoli, ma sono la società.
-No, sono di più… Potrebbero essere l’indifferenza di chi si volta, o significare… rinascita. E resurrezione: i
girasoli sono Cristo… e sono gialli. Sono un Cristo giallo e sono la religione.
-Ma io avevo dipinto dei girasoli… e tu ci vedi Dio?
-La religione.
-Sì, quello, va beh.
-Certo, Vincent, perché la pittura è questo: simboli, interpretazione libera di chi guarda.
-Ma io voglio solo dipingere per sfogare il mio tormento, dipingere quello che sento, trasformare un campo
di grano nella mia angoscia, diventare quel campo di grano e farlo vedere.
-Ma alla gente non interessa come stai tu! La gente non vuole vedere te nei suoi quadri, ma sé stessa: un
quadro deve essere tutte le persone perché loro possano interpretarlo secondo i propri sentimenti. Questo fa il
pittore: simbolizza la natura come la percepisce e lascia che il suo modo di sentirla sia spiegato da altri in
altri modi, e così un girasole diventa tutte le cose. Il pittore simbolizza per semplificare laddove la gente
comune non può arrivare, dove solo lui può arrivare. Egli interpreta per sé e per tutti.
-Tu sei pazzo!
-No, è così, Vincent.
-No, tu sei pazzo! E io non condividerò più con te questo sogno! Non capisci l’essenza del pittore! Non
capisci!
-Tu non capisci!
-Ti odio!
-Ahhh!
Un uomo.
In una stanza.
Da solo.
L’amico se ne andò in Polinesia: un giorno litigò con un politico, un uomo potente, e fu rinchiuso in una
galera dove finì i suoi giorni consumato dalla sifilide. Dicono che fino ad un po’ di tempo fa, andando
davanti a casa sua, si potesse notare un pezzo di legno intagliato con su scritto: “siate innamorate, sarete
felici”; lui non lo fu e morì solo. Chissà se è ancora là: sarebbe bello se lo fosse.
Comunque.
Un uomo.
In una stanza.
Da solo.
Prese un rasoio: la lama brillava alla luna: la lama del rasoio come una falce di luna.
L’uomo lo avvicinò all’orecchio.
Sentì la lama fredda, fredda come la notte.
Un taglio.
Netto.
Il sangue che zampillava come una fiammella.
Un cipresso mosso dal vento.
Il dolore che si srotolò come gomitoli e stelle nel cielo.
Un caleidoscopio di luci e ombre.
Un uomo.
Da solo.
In una stanza.
Con un orecchio in mano.
Nell’altra un rasoio.
Si chiamava Vincent.
Un giorno litigò col suo amico e qualche anno più tardi si sparò.
Si sparò al cuore.
Ci mise due giorni per morire.
Il suo amico un po’ di più.
Si sarebbero rincontrati dove le anime si rincontrano.
Probabilmente un posto pieno di girasoli e con un mare bellissimo, come quello delle isole lontane.
Avrebbero parlato e discusso.
E Paul avrebbe chiesto:
-Vincent, ma il tuo orecchio?
-Come scusa? Non ho sentito.