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Un argomento al mese su cui riflettere: Maggio 2010
Nel regno degli animali del Vangelo:
l’asino.
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVI, n°4.
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Gli uomini hanno una storia di stretta e lunga
frequentazione con i mammiferi. Non poche
sono le similitudini tra noi e loro: il loro calore, la
loro pelosità, la loro «intelligenza», la loro ostilità,
le espressioni facciali, i movimenti e il loro
ethos.
Nel corso della storia molti mammiferi sono stati
dall'uomo addomesticati per vari scopi, quali la
guardia alle greggi, la caccia, la soma, oltre ad
essere per l'uomo una cospicua fonte proteica.
Tra i mammiferi l'asino fu uno dei primi animali
addomesticati dall'uomo, ancor prima del
cammello e del cavallo stesso. Nella classe dei
mammiferi, l'asino si colloca tra gli equidi, che
fanno parte dell'ordine dei perìssodattili, cioè
ungulati con dita dispari. Come tutti gli equidi, anche gli asini hanno solo un dito per ciascuna zampa,
incappucciato da un duro zoccolo di materiale corneo. Gli zoccoli dell'asino, al contrario di quelli del cavallo,
sono sottili; cosa che conferisce all'asino sicurezza nell'andatura, piuttosto che velocità. La sua testa è
grande, con mascelle lunghe e possenti batterie di molari per masticare erbe ed altre piante, anche le più
coriacee. La sua criniera è corta e rada e permanentemente eretta. L'asino prevalentemente vive in habitat
aperti, come le praterie e le boscaglie aride. Gonagra (asino selvatico) può sopravvivere senz'acqua per
diversi giorni, anche nei deserti rocciosi con temperatura al suolo che a volte supera i 50° C. L'asino
domestico, che da oltre 4000 anni accompagna l'uomo nelle sue svariate e faticose attività, deriva
probabilmente da due specie pressoché estinte, ossia dal l'asino selvatico della Somalia e, in particolare,
dall'asino selvatico della Nubia. Esso nella Bibbia vie ne presentato come animale da sella e da soma.
Abramo e i patriarchi lo possiedono e ne fanno ampiamente uso, così come tutta la loro contemporaneità.
Sfortunatamente la sua natura forte e robusta, le sue abitudini frugali e il suo carattere a volte ostinato hanno
sempre indotto l'uomo a trattarlo con minor cura e maggior durezza rispetto agli altri animali domestici, ma il
comportamento dell'asino domestico dipende dal padrone: tenuto bene, si dimostra svelto, docile ed operoso;
in caso contrario, è pigro e testardo. Nonostante il suo carattere scontroso esso si è dimostrato un animale
estremamente resistente, oltre che ottimo arrampicatore, tanto da guadagnarsi la stima anche degli abitanti
della montagna.
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moonnddoo aannttiiccoo
Presso gli antichi egiziani l'asino era ritenuto un animale demoniaco, associato al malvagio Seth; ma
in epoche successive venne esaltata la sua saggezza, tema caro alla letteratura popolare. In questa
troviamo una serie di novelle in cui si narra che un principe, di nome Inaro, un giorno intraprese un
viaggio: «Inaro e un asino parlante, viaggiando insieme, incontrano un toporagno legato. L'asino, di fronte
all'indecisione sul da farsi del padrone, consiglia ad Inaro di slegarlo e di dargli della paglia. In seguito
incontrano un leone legato, e l'asino nuovamente dice a Inaro di dare della paglia al leone. L'asino,
vedendo che Inaro è impaurito, decide di dare egli stesso da mangiare al Ieone. Lo stesso avviene con
un lupo e quindi con un orso. Proseguendo poi nella loro via, lo strano gruppo incontra un uomo legato,
che chiede paglia. L'asino questa volta consiglia Inaro di non dargliela; ma Inaro non gli dà retta e l'uomo
liberato si unisce al gruppo. Via facendo trovano un vaso d'oro e uno d'argento, e l'uomo, a cui era stata
data della paglia, per cupidigia vuole prenderli per sé e fuggirsene con il bottino; ma l'asino raglia e così
avverte Inaro il quale, una volta scoperta le intenzioni dell'uomo, esclama: questi animali sono intelligenti!
Costui invece e un uomo senza intelligenza».
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L'apologo di Inaro, sopra citato, rimanda all'avventura di Balaam (cf Nm 22-24), il quale possedeva
anch'egli un'asina parlante che lo salvò dalla sciagura.
L'asino, per gli antichi indiani, era simbolo di impudicizia in quanto lascivo, a loro giudizio. Questa
convinzione si riscontra anche nella letteratura profetica: vediamo infatti in Ez 23,20 come l'asino sia
immagine di lussuria.
In Siria invece era venerato come animale sacro: su di lui cavalca infatti la dea Atirat. Similmente,
presso i greci, l'asino fa parte integrante del corteo bacchico e su di esso cavalca lo stesso Dioniso. Nella
pagine bibliche l'asino assomma in sé la doppia prerogativa: da una parte è immagine della lussuria, ma
è anche cavalcatura di persone rispettabili e segno di distinzione (cf Gdc 5,10; 12,14). L'asino come
cavalcatura è un'immagine importante per il profeta Zacca-ria. Egli annuncia che il Salvatore promesso, il
Messia, cavalcherà un asino quando verrà a liberare Gerusalemme (cf Zac 9,9). Perché proprio l'asino e
non il nobile cavallo? Non ci è dato sapere; però va notato che la radice della parola chamor, cioè
«asino», ha in ebraico anche il significato di «materia grossolana»: l'idea del Messia che cavalca un asino
potrebbe indicare che egli sarà vincitore sulle umane passioni. Sul conto dell'asino si conoscono molti
detti proverbiali e alcune caricature. Un graffito rinvenuto su una parete degli scavi imperiali sul Palatino
raffigura un asino che fa girare una macina; il graffito recita: «Labora, aselle, quomodo ego laboravi, et
proderit tibi», ossia «Lavora, asinello, come io già lavoravo; e ti porterà bene». Forse è il detto di uno
schiavo di nome Asellus, scansafatiche.
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Baallaaaam
m:: N
Nm
m 2222--2244
«Dopo che Rabbi Gamaliel ebbe dato ordine al suo domestico Tabi di portargli qualcosa di buono dal
mercato, costui portò a casa una lingua. Adesso vai a comprare qualcosa di cattivo - disse allora Rabbi
Gamaliel. Il domestico portò di nuovo una lingua. Ma come? - disse il Rabbino. Quando ti chiedo una
cattiva vivanda, è ancora una lingua che mi porti? E che - replicò il domestico, dalla lingua viene il bene e
dalla lingua viene il male».
La storia di Balaam si colloca alla fine della peregrinazione esodiaca del popolo eletto della quale
l'ultima tappa è il territorio di Moab, dove gli Israeliti attendono il momento propizio per attraversare il
Giordano e lanciarsi alla conquista della terra promessa.
Balaq, re di Moab, vedendo la prolificità dei nuovi arrivati, si rende conto che la presenza di Israele
costituisce una minaccia. Allarmato: «Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue
divora l'erba dei campi». Egli vorrebbe eliminare gli ebrei e, non del tutto rassicurato dall'appoggio di un
alleato umano (gli anziani di Madian), cerca di assicurarsi un aiuto mediante la magia: invita un mago,
Balaam, che godeva di un'ottima reputazione, tanto che la sua fama si era diffusa in tutta la terra di
Canaan. Balaq mostra una fiducia illimitata nel potere magico attribuito alle parole di Balaam: «Vieni, e
maledici questo popolo, perché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò
scacciarlo dal paese; so infatti che chi tu benedici e benedetto e chi tu maledici e maledetto» (Nm 22,6).
Benché i messaggeri del re siano partiti provvisti del «salario dell'indovino», Balaam, dopo aver
consultato Dio, rifiuta l'invito e decide di non partire. Segue quindi una seconda ambasciata da parte del
re; questa volta con personaggi più influenti dei precedenti. A Balaam gli ambasciatori promettono una
ricompensa ancor più grande: la proposta è allettante; l'indovino si mette in cammino verso Moab. Lo
stolto pensa di aggirare la volontà di Dio che peraltro gli ha ingiunto di andare sì, verso Israele, ma
quanto a maledire o benedire, Dio stesso, sul momento, glielo rivelerà (cf Nm 22,35). La situazione è
ambigua, per cui Balaam ritiene di poter fare una gherminella: intanto incassare la «ricompensa
dell'indovino» (cf Nm 22,7), poi, quanto a Dio, si vedrà. Durante il viaggio Dio manda un angelo con una
spada sguainata per dissuadere Balaam dall'idea di maledire Israele. In Nm 22,22 leggiamo che «l'angelo
del Signore si pose sulla strada per ostacolarlo». Il verbo utilizzato è stn, ossia «impedire, ostacolare» e
da qui il sostantivo «avversario» ossia Satana. Lungo il viaggio Dio stesso diviene «l'avversario» di
Balaam, perché, come si legge al versetto 32, «il cammino è perverso dinanzi a Dio». A questo punto il
narratore fa uso di elementi fiabeschi: un'asina che vede gli esseri celesti e addirittura parla, e che si fa
maestra dell'indovino più famoso dell'epoca. L'ironia è sferzante: lungo il viaggio verso Moab, l'asina vede
l'angelo del Signore sulla strada e due volte riesce ad evitare un confronto, nonostante Balaam lo
percuotesse. La terza volta lo scontro è inevitabile: inutili le bastonate da parte del padrone, l'asina, per
tutta risposta, si accovaccia sotto di lui.
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Balaam, non vedendo alcun ostacolo e non comprendendo l'ostilità della sua cavalcatura, si accende
d'ira e vorrebbe uccidere l'asina che invece diventa un veicolo divino. Dio infatti apre la bocca dell'asina
la quale impartisce una breve ma efficace lezione al suo padrone: «Non sono io la tua asina sulla quale
hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata ad agire così?» (22,30). La risposta del padrone
è un secco «no», però a questo punto Balaam comincia ad interrogarsi sul perché del comportamento
della sua asina. Dio allora gli apre gli occhi e anche Balaam vede l'angelo del Signore sulla sua strada (cf
Nm 22,32); finalmente comprende che non l'asina, bensì Dio stesso è contro di lui. Si offre allora di
tornare alla sua patria. Ma Dio rinnova la commissione a condizione che dica solo quello che lui stesso gli
metterà sulla bocca. Balaam prosegue dunque il viaggio e arriva da Balaq che lo aspetta impaziente. Ma
le attese del re non saranno soddisfatte: i tre episodi di Balaam con la sua asina si rispecchiano nei primi
tre oracoli di 22,41-24,13, nei quali l'esperienza dell'asina diviene l'esperienza di Balaam stesso.
Come l'asina è stata intrappolata tra la presenza minacciosa dell'angelo del Signore e la crescente ira
del suo padrone, così Balaam ora è costretto tra la volontà di Dio, favorevole a Israele e la volontà
awersa di Balaq. Assistiamo ad un conflitto di volontà, ma l'azione di Dio prevale. L'apice dell'arte
divinatoria sarà soppiantato dalla profezia. Balaam da mago viene trasformato in un vero profeta: mosso
dallo Spirito vede Israele trionfante e benedetto dal Signore. Le sentenze pronunciate da Balaam, suo
malgrado, raggiungono i destinatari nel senso opposto e hanno il prodigioso effetto di benedizione.
Contemplando il popolo eletto, accampato nella pianura, Balaam vede la gloria dell'Israele futuro,
profetizza e si apre ad un orizzonte meraviglioso: «Io vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da
vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro da Israele; spezza le tempie di Moab e il cranio dei
figli di Set; Edam diverrà sua conquista; uno di Giacobbe dominerà i suoi nemici» (24,17-18). L'oracolo di
Balaam sembra fare riferimento a Davide: difatti, Moab ed Edom entreranno a far parte del suo regno. Da
Davide e dalla sua discendenza uscirà il Messia, l'autentico «Dominatore». Questa è l'interpretazione
della tradizione giudaica e di quella cristiana. Il racconto si conclude con un brevissimo bilancio: Balaq
esce di scena sconsolato e sconcertato, perché tutti i suoi tentativi per eliminare gli israeliti sono vanificati
da Dio.
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Due sono gli animali parlanti della Bibbia: il serpente di Gen 3 e l'asina di Balaam. Il serpente,
approfittando della sua facoltà e della sua conoscenza, «perverte» la Parola di Dio, ponendo la domanda
«È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?» (Gen 3,1). L'asina di
Balaam invece vede e «conosce» ciò che Balaam, indovino per mestiere, dovrebbe vedere e conoscere
da sé. Invece egli, riottoso com'è alla volontà di Dio, riceve una lezione dall'asina - un animale che
secondo la convinzione popolare incarna la più scempia creatura - e lo apre alla comprensione della
volontà di Dio.
I nomi stessi dei due protagonisti dicono la loro peculiarità. Secondo gli studiosi il nome Balaam
potrebbe derivare dal verbo bala' ossia «inghiottire, rovinare». Balaam in ebraico è Bil'am e il valore
numerico di questo nome è 142 come il termine bli'al che significa «indegno, senza valore». Balaam,
all'inizio della storia è tutt'altro che un profeta o un «uomo dall'occhio penetrante», perciò, lungo la storia,
fino all'ultimo oracolo, egli risulta per davvero un bli'al quindi un uomo «senza valore, indegno».
II nome Balaq, invece proviene dal verbo «distruggere, devastare» o, nel secondo significato
dall'aggettivo «inutile, sprecato». Infatti, alla fine dei numerosi tentativi di eliminare gli israeliti, Balaq si
ritira sconsolato e «sprecato» nel suo proposito di «devastare», realizzando appieno il nome che porta.
Inoltre, il nome Balaq, è composto dalle lettere b, I, q e le medesime, scritte in ordine diverso, formano il
verbo qbl «ricevere, ottenere», perciò hanno lo stesso valore numerico (132). La corrispondenza
numerica forse non è casuale: Balaq, re di Moab «ricevette» questo insegnamento: niente e nessuno
potrà opporsi al disegno di Dio.
L'oracolo di Balaam penetra fino in fondo nella storia del popolo eletto e, attraverso la benedizione
nazionale, giunge alla benedizione sovra-nazionale dei tempi messianici.
Al di sopra di Giacobbe e Davide (cf Le 1,32), si leva all'orizzonte della storia colui che come «Stella»
guiderà il mondo nei suoi destini.
Un giorno proprio una stella luminosa si fermerà sopra una casa dove si cela la vera «Stella», il
Messia neonato. Quando davanti a lui i magi si prostreranno (cf Mt 2,2-11), evocheranno proprio quella
«Stella» che un indovino d'oriente vaticinò sotto l'influsso dello Spirito. Infine, nell'Apocalisse, il Risorto
proclama: «Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22,16).
a cura di Sandro Imparato
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