La rottura - Rifondazione Comunista Bologna

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La rottura - Rifondazione Comunista Bologna
LA ROTTURA
Chi promuove questo ordine del giorno è stato spesso definito come parte della
“generazione Erasmus”, la generazione “libera” di girare e vivere un nuovo spazio
ineluttabile, la nuova dimensione che avrebbe caratterizzato il nostro futuro: l’Europa.
Questo messaggio martellante ha caratterizzato la nostra formazione personale e
scolastica, dentro gli istituti e nelle aule universitarie il messaggio è sempre stato
inequivocabile: è “l’Europa casa vostra", ma con un pericoloso sottinteso, “ce lo chiede la
stessa”.
Chi è nato alla fine degli anni 80, chi nei 90 dello scorso secolo ha vissuto in pieno
l’ascesa delle tesi europeocentriche e la loro inesorabile insostenibilità. Ancor prima
della crisi economica, abbiamo vissuto insieme alle nostre famiglie il “cambio di passo”
imposto dalla moneta: in poco tempo si è di fatto dimezzata la nostra capacità di accesso
al benessere, all’acquisto, ad uno stile di vita che negli anni 80 e 90 aveva visto ben
sperare i nostri genitori, convinti che comunque si sarebbe andati a stare sempre meglio.
Oggi insieme a loro constatiamo che non è così, constatiamo che il combinato tra crisi
economica e politiche devastanti a marchio EU determinano un peggioramento costante
delle nostre esistenze, un’impoverimento generale delle classi popolari e del ceto medio
che aveva saputo trovare un suo spazio nel dopoguerra. Constatiamo un Europa
violenta, nelle politiche e nei modi, un’Europa votata alla guerra, asservita agli
interessi imperialistici ed economici degli Stati Uniti, asservita a NATO e TTIP.
In questo scenario, non solo crescono le destre fasciste e le opposizioni compatibiliste col
sistema capitalista e liberista, viene distrutta ogni identità e specificità storica. È fatto
scempio della lingua italiana, della nostra storia. L’americanizzazione dei rapporti di
lavoro marcia di pari passo all’inglesizzazione dei termini, alla confusione di una
politica fatta di “jobs act”, “turnover”, “welfare”, “new deals”. In ambito universitario questo
processo è ancor più evidente e vergognoso, nei termini, negli insegnamenti e nella
“traduzione”. Parliamo come dei colonizzati, parliamo un “latinorum” incomprensibile alla
maggior parte della popolazione, ingannata e facilmente strumentalizzabile. Viviamo la
snazionalizzazione forzata della nostra cultura che, non solo ci ricorda le nostre radici, ma
che è da sempre una fonte di reddito e benessere. Abbiamo già visto che cosa comporta
questo processo, abbiamo visto le snazionalizzazioni delle popolazioni in rivolta, che
siano del Kurdistan o della Corsica, della Palestina o di Euskadi abbiamo visto
come il progetto di snaturalizzazione linguistica e simbolica sia parallelo a quello
della distruzione dell’autodeterminazione e della sovranità. Abbiamo visto altresì
come la questione nazionale e patriottica abbia contribuito alle liberazioni dei popoli, alle
rivoluzioni in America Latina sotto le bandiere di Patria Socialismo o Muerte, alla
costruzione della loro via al socialismo del XXI secolo.
Quella che possiamo definire la vera “bandiera” del nostro paese è altresì sotto
attacco, l’attacco pubblico alla nostra Costituzione è pubblico, dichiarato ed
internazionale (ricordate le uscite di JP Morgan contro le costituzioni dei paesi del
sud Europa nel 2013?). È impensabile attuare il programma della nostra
Costituzione repubblicana dentro questa cornice degli “Stati Uniti d’Europa”, è
impensabile invertire la tendenza all’impoverimento generalizzato fino a quando sarà in
piedi l’architrave monetarista e la troika rappresentata dalla finanza rapace, dalla
Germania e dalla sudditanza al nemico nord americano.
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L’Europa nata da Maastricht, l’Europa del libero scambismo, dell’Euro e della NATO
non è sostenibile e non lo è mai stata, è irriformabile, non siamo i soli a dirlo.
Il 18 marzo 2014 i partiti comunisti d’europa aderenti alla Sinistra Europea, tra cui il nostro,
sottoscrivevano un documento con la seguente frase: “così come la crisi del capitalismo
mette in evidenza i limiti storici del sistema, la crisi dell'Unione europea dimostra che l'UE
non è riformabile, data la propria essenza neoliberista e militarista.”
Il documento uscito dal congresso nazionale di Rifondazione Comunista sosteneva
testualmente: “Il PRC fa della lotta per la rottura con questa Unione Europea, per la messa
in discussione della sua architettura istituzionale neoliberista e dei suoi Trattati, Maastricht,
Mes, fiscal compact, Lisbona il centro della sua proposta e iniziativa politica.”
Chiediamo che si dia seguito e che si porti fino in fondo quanto sostenuto, crediamo sia
l’ora di rompere il tabù della “rottura”.
L’unica speranza per non separare e dividere le classi popolari dell’Europa e,
aggiungiamo, del Mediterraneo è quella di rompere definitivamente la gabbia
legislativa ed economica che ci tiene legati all’Unione Europea. Per un nuovo
internazionalismo che sappia guardare agli interessi concreti dei popoli, che ponga tutti
sullo stesso piano, abolendo l’ingiustizia di far “parti uguali fra disuguali”, dobbiamo
elaborare un programma di fase che ci porti all’uscita da quest’Europa e dall’Euro,
dobbiamo immaginare un’Europa, o meglio, un Mediterraneo confederale e di pace, dove
non venga più demolita la sovranità nazionale e popolare.
Siamo francamente stufi dell’idea debole che emerge nei dibattiti a sinistra, è lontana anni
luce dalla realtà, anni luce dall’alfabeto delle classi popolari, dai sentimenti diffusi di
insofferenza verso la gabbia che chiunque può ascoltare (e condividere) con la gente
comune. Siamo marxisti ed in quanto tali siamo stufi che una linea politica non
venga messa alla prova dei fatti e, in caso di sconfitta o di non riuscita, non venga
messa a giusta revisione. Crediamo che, sia nell’interesse del nostro Partito che in
quella della sinistra italiana, sia importante elaborare quanto prima un programma di fase,
un programma che affianchi alla “rottura” tutte le politiche necessarie per poter voltare
pagina: un programma che parli di piena occupazione, di direzione pubblica dell’economia,
di nazionalizzazioni delle industrie strategiche, di creazione di nuovi spazi di relazione
politica con gli stati emergenti ed i Brics, un programma indipendentista che, allo stesso
tempo, si faccia portatore di un nuovo internazionalismo, l’unico possibile determinato
dalle legittime aspirazioni di liberazione nazionale dei popoli.
Vogliamo un mediterraneo di Pace, un’Italia senza basi militari americane, senza i loro
interventi, senza i loro MUOS, senza la loro folle guerra alla Libia e alla Russia.
È evidente che questo programma sarebbe in primis “politico” in quanto distante da sua
vicina realizzazione, i rapporti di forza non consentono in Italia e nella maggior parte degli
stati europei e del mediterraneo di ribaltare il tavolo, ma questo programma, questa
ricerca di programma, ci imporrebbe finalmente di far politica con distinzione, di
avere una riconoscibilità non solo “simbolica” o nominalistica, di porci senza più
remore il tema del potere, della presa del potere, del superamento del capitalismo e
della costruzione della società socialista. Dovremmo caratterizzare questa fase con la
costruzione di un più largo movimento di liberazione nazionale dalla Troika, dal PD che la
incarna, dalle opposizioni facili e compatibiliste, dalle opposizioni fasciste e reazionarie le
quali, ben conoscendo il sentimento che negli strati popolari avanza contro le politiche
imposte, cavalcano il malcontento ma che, come la storia ci ha insegnato, propongono
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soluzioni “gattopardesche” che rimarrebbero all’interno dello stato di cose presente,
all’interno del neoliberismo.
Impegnarci finalmente in un progetto politico (di studio, di analisi, di proposta
politica che finalmente supera l’eterno dibattito sulle “forme”, sulle “scatole” e sui
“soggetti” della politica) ci farebbe finalmente superare la sindrome di inferiorità nei
confronti degli altri progetti europei, la smetteremmo finalmente col “fare come in”,
la smetteremmo con un codismo “autistico” che poco emoziona le giovani generazioni, che
poco le rende protagoniste e partecipi come nelle esperienze degli Indignados o della
coalizione sociale e politica di Syriza.
Tanto nel modo di fare politica e proposta politica, quanto nella terminologia (e quindi nei
concetti) dobbiamo fare dei necessari passi avanti: la “disobbedienza” così com’è, così
come viene proposta e ribadita in tutte le salse, non solo non è convincente, ma si riduce
ad un’atto all’interno di un quadro, all’interno di un gioco con delle regole intoccabili figlie di
un tabù ideologico. Oggi per noi il punto dev’essere il cambio di gioco, la rottura
completa con quelle regole, con quei presupposti, con quel progetto ideologico
“europeista” che ha truffato le nostre generazioni.
Per avere quindi un progetto autenticamente internazionalista, per evitare di lasciare
campo libero alle destre fasciste e alle tentazioni nazional-autoritarie, dobbiamo avere in
primis un progetto indipendentista, un progetto di indipendenza dalla principale struttura
oppressiva che viviamo in queste epoche buie: la rottura con gli organi autoritari e ademocratici (UE, USA) e la rottura con gli strumenti di dominio economico (Euro e
TTIP).
Quel che proponiamo è un percorso di indipendenza ed autonomia dal punto di
vista del nemico, quel che vogliamo rompere è il tabù dell’intoccabilità e
dell’indistruttibilità dello stato di cose presente, è giunto il tempo di una proposta
politica smaliziata e letteralmente “disinibita”, la rottura.
Simone Gimona
Michele Frascarelli
Federico Bonciani
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Ordine del giorno presentato alla conferenza d’organizzazione 2015 del
Circolo Scuola e Università “Mario Rovinetti” del PRC Bologna, approvato
con 20 voti favorevoli, 4 astenuti ed 1 contrario. Tutti/e iscritti/e alle/ai
Giovani Comuniste/i
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