La riconciliazione cristiana col creato e la natura

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La riconciliazione cristiana col creato e la natura
AdR newsletter
N. 11 – 6 febbraio 2012
La riconciliazione cristiana col creato e la natura
Raffaele Battista
“Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la
creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che
ve l' ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù
della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a
ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le
primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l' adozione, la redenzione del nostro
corpo.” Romani 8:19-23
I passi biblici che esplicitamente si riferiscono alla riconciliazione dell’umanità cristiana col
creato non sono molti e quello citato mi pare rappresenti la problematica in modo vivido,
completo, in un carico di tensione e di speranza.
Alcuni pensieri che questo passo mi ha ispirato.
1. E’ una tragedia in atto
Il rapporto dell’uomo con la natura è una tragedia. Il peccato ha cambiato, nella sua intima
struttura, il rapporto dell’uomo con la natura e viceversa. L’uomo fu posto da Dio a tutela del
creato il quale lo avrebbe ricambiato con continui doni di gratitudine. I frutti, i semi, lo
avrebbero nutrito senza sacrificio alcuno, nemmeno della pianta, la quale trovava la sua
funzione proprio nel donare il suo frutto a chi lo riceve, in un armoniosa catena alimentare
dove nessuno doveva morire per qualcuno.
2. Dopo, niente fu lo stesso
Il peccato ha trasformato ogni creatura in una entità precaria in perenne lotta per la
sopravvivenza. Questa lotta, nella catena alimentare, è stata – si può dire – intimamente
consacrata a legge universale, alla quale è pressoché impossibile sottrarsi. Credo che
nemmeno i Fruttariani riescano completamente a vivere senza uccidere. Dal canto suo, la
natura stessa è divenuta matrigna. Shopenhauer e Leopardi hanno interpretato, nell’ampiezza
della loro opera filosofica e poetica, il dramma di una esistenza umana tesa tra bisogno di
felicità e la costante frustrazione di tale bisogno, nello scenario di una natura che è nel dolore
costante, anche quando non soffre apertamente. Nella Bibbia, Giobbe, l’Ecclesiaste, prima di
loro, hanno guardato al mondo con lo stesso sguardo disincantato e realistico. Sguardo che si
trasforma in visione di speranza, non perché artificiali lenti colorate si sono frapposte, ma per
la comprensione del fatto che, la Grazia, ha previsto spazi immensi di valore e di salvezza,
per gli animali, le piante, i disabili mentali, quegli esseri umani che il programma nazista
Aktion T4 aveva cancellato come bocche inutili.
Che fare?
La responsabilità individuale è il pernio del messaggio cristiano. L’Evangelo annuncia che il
Regno di Dio è già in mezzo a noi, ma nello stesso tempo spazza via ogni illusione riguardo al
fatto che il mondo possa essere guarito in profondità, dall’uomo. Il Principe di questo
mondo, regna ancora su molte, su troppe cose. Il male ha modificato la natura dell’uomo e
del creato in generale. La cura che risolverà ogni conflitto è dall’Alto e verrà dal Cielo, come
un Opera ricreatrice.
La responsabilità umana, tuttavia esiste. Le scelte umane fatte nella direzione della tutela, e
non nel regolare saccheggio dell’ambiente, potrebbero, se sostenute dai cittadini da governi
davvero liberi, fare molto di più che non mettere un cerotto sulla piaga del lebbroso.
Il testo di Romani presenta una natura che attende la manifestazione dei figli di Dio. Esseri
umani che interagiscano con una natura che è stata messa sotto il giogo della sofferenza non
per propria volontà, ma perché soggiogata al male dall’atto del libero arbitrio del suo umano
pastore, Adamo. Figli di Dio che, nati di nuovo, sappiano amare la natura anche quando essa
non può più ricambiarli allo stesso modo. Una natura che devasta con terremoti e Tsunami,
una natura che dilania con denti di squalo, non per sua volontà. Essa non ha più una sua
volontà. La natura geme ed è in travaglio; divenuta vittima e carnefice, ha bisogno di Grazia e
Onnipotenza per tornare quello che era. Ha bisogno di cure incessanti per continuare a
donare; e per contenere l’urlo violento, quella vendetta cieca, perpetrata da millenni contro
il suo pastore. Quel pastore che guarda smarrito alla catena di eventi tragici innescati dalla
sua ribellione primordiale.
Questo insanabile conflitto, potrà essere risolto solo dall’ Onnipotente Dio della Grazia.
L’estensione di quest’ultima recupererà tutte le vite innocenti , tutte le vite salvate, in un
abbraccio che noi esseri umani di fede cominciamo ad immaginare per profondità ed
estensione. Un abbraccio che non riguarda solo gli esseri umani, ma tutte le creature, le
piante, le montagne i sassi, i fiumi i mari.
Ogni cosa attende di dichiarare reciprocamente che Dio è Amore.
Ma, questo esito finale all’insegna della potenza e della riconciliazione, sarà l’esperienza e
l’eredità solo di coloro che avranno saputo amare, lottare, sostenere il Regno di Dio anche
quando esso era un piccolo seme, una piccola luce posta sopra un monte, un lievito nella
pasta. Quando tutti gli sforzi per il bene sembravano inutili e, invece, non lo erano.
Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno
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