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durata: 95 minuti
nazionalità: Belgio, Francia
anno: 2004
regia: JEAN-PIERRE DARDENNE e LUC DARDENNE
soggetto e sceneggiatura: JEAN-PIERRE DARDENNE e LUC DARDENNE
produzione: ARCHIPEL 35, LES FILMS DU FLEUVE, R.T.B.F., ARTE FRANCE CINEMA
fotografia: ALAIN MARCOEN
montaggio: MARIE-HELENE DOZO
scenografia: IGOR GABRIEL
costumi MONIC PARELLE
interpreti: JEREMIE RENIER (BRUNO), DEBORAH FRANCOIS (SONIA), JEREMIE
SEGARD (STEVE), FABRIZIO
RONGIONE (GIOVANE MALVIVENTE), OLIVIER
GOURMET (POLIZIOTTO IN BORGHESE), STEPHANE BISSOT (RICETTATRICE),
MIREILLE BAILLY (MADRE DI BRUNO), ANNE GERARD (NEGOZIANTE), BERNARD
MARBAIX
(COMMERCIANTE), FREDERIC
BODSON (MALVIVENTE), LEON
MICHAUX (POLIZIOTTO), SAMUEL DE RYCK (THOMAS), HACHEMI HADDAD
(PORTIERE DELL'OSTELLO), OLINDO BOLZAN (COMMERCIANTE), JEAN-MICHEL
BALTHAZAR (BARMAN), ANNETTE CLOSSET (INFERMIERA), PHILIPPE JEUSETTE
(RICETTATORE) ALAO KASONGO (DONNA ALL'ACCETTAZIONE DELL'OSPEDALE),
SOPHIA LEBOUTTE (ISPETTRICE), MARIE-ROSE ROLAND (INFERMIERA)
la parola ai protagonisti
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Luc: E' l' amore che scopre Bruno (il protagonista, ndr). Lui all' inizio non prova sentimenti,
vive in emergenza, dei suoi piccoli traffici, per sbarcare il lunario. Il bambino e la compagna
gli fanno scoprire l' amore. Riguardo alla genesi de "l' enfant" raccontate di aver visto,
durante le riprese del film precedente, una ragazza spingere una carrozzina. Sembra un po'
riduttivo, le vostre opere non sembrano casuali, c'e' un' attenzione alla marginalità e una
critica verso la società. Speriamo che ci sia anche un po' di posto per la casualità. Girando
l' altro film abbiamo colto l' immagine di quella giovane. Ci e' tornata in mente per l' enfant.
All' inizio, pensavamo ad una mamma in cerca di un padre per il suo bambino, poi l' uomo
lo abbiamo messo, ma non e' un padre. Il resto e' un mistero.
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Il film è quasi privo di colonna sonora e la musica, in sostanza, fa la sua comparsa solo in una
scena. Come spiegate questa scelta stilistica?
Jean-Pierre: Non è stata una scelta a priori, di certo non l’
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modo è una teoria espressiva da cui vi sentite influenzati?
Luc: Non si e' mai liberi, anche se lo si pensa. Anzi, proprio allora non lo si e'. E' chiaro,
abbiamo visto i film a cui fa riferimento: Pasolini, Rossellini. Inizialmente non lo abbiamo
capito quando eravamo impegnati sul set, poi questo background e' tornato e ci ha aiutato
nel lavoro. Questo metodo di girare spiega nel modo piu' semplice quello che avviene.
Come spettatori potete avere così la sensazione di avere amici nei nostri film.
Da dove nasce il vostro interesse per temi così difficili? I vostri personaggi hanno sempre una vita
durissima, sono veri emarginati.
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sopraffatto dalle lacrime: il suo è un pianto liberatorio.
Un tratto che caratterizza fino ad oggi il vostro cinema: l'attenzione per la persona.
Prestiamo cura a svelare attraverso dei gesti, poche battute e soprattutto attraverso un
corpo i nostri personaggi. In "L'enfant" l'incoscienza e la sofferenza di Bruno sono
rappresentate attraverso il fardello che diventa per il mancato padre la carrozzina. Non
vogliamo che il nostro sguardo sui personaggi diventi un giudizio perchè non sta a noi
giudicare. E ancor meno vorremmo che lo si releghi ad un'etichetta (un film politico? Solo
perchè parliamo dei poveri?).
Qual è la vostre visione sulla società attuale, in particolare sui mali endemici della società
occidentale?
Jean-Pierre: Potremmo parlare ininterrottamente sugli effetti catastrofici della nostra società
ma, tutto sommato, non mancano segnali di speranza. Vale sempre la pena di vivere,
anche se oggi le società occidentali sono meno rispettose delle uguaglianze rispetto a
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sono queste, oggi, le uniche cose per cui vale la pena combattere.
Quale metodo seguite con gli interpreti dei vostri film?
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produrre risultati ai fini del film. Quello che ci interessava era sentire insieme a loro lo spirito
del luogo, cercando di scoprire il carattere distintivo di quella che possiamo definire la
musica del film.
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Cosa vi aspettate dal pubblico italiano?
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Molti già parlano di una trilogia conclusa: "La promesse", "Rosetta" e "Il figlio" sono tre film che
parlano al singolare, basati proprio sull'accettazione dell'altro nella vita dei protagonisti. "L'enfant"
si apre ad una coralità di personaggi, ad una possibile famiglia. L'inizio di un nuovo ciclo o il
compimento del precedente?
Non sappiamo ancora visto che non abbiamo pensato al prossimo progetto. Sicuramente
"L'enfant "ha segnato per noi un cambiamento e una sfida: quella di raccontare una storia
al plurale. Eppure ancora una volta abbiamo descritto il risveglio della coscienza di un
uomo (Bruno), la sua uscita dall'egoismo per la sua piccola famiglia. Ci interessa
raccontare cosa è un uomo ed è per questo che lo spettatore avverte una forte tensione
etica sottesa alle nostre immagini; che si trasforma in tensione morale nel momento finale,
quando avviene il risveglio della coscienza.
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Jean-Pierre: Se e quando riusciremo a fare un altro film ci piacerebbe ambientarlo in una
periferia di una città europea, raccontando la storia di una madre che vive con figli molto
violenti. Per ora non abbiamo avuto tempo neanche per iniziare a parlarne: è dal 15 giugno
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Che cosa vi ha spinto, dopo la vostra esperienza teatrale al fianco di Gatti, ad iniziare una carriera
di filmaker?
Era la passione per le storie, per l'impegno, per l'uomo. Negli anni Settanta il Belgio ha
vissuto un momento rivoluzionario che è presto svanito: noi l'abbiamo prima ripreso,
abbiamo filmato in maniera amatoriale dei ritratti di persone che lottavano. Ma quello che
più ci interessava era far emergere chi fossero quelle persone.
Fin dagli inizi della vostra carriera avete sempre lavorato insieme, fianco a fianco. Qual è il segreto
di questa intesa?
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in genere è sempre Luc a scrivere la prima stesura. Non è un modo di dire, ma quando
lavoriamo diventiamo una sola persona. E per il futuro non abbiamo alcuna intenzione di
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recensioni
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 16 dicembre 2005
I fratelli Dardenne, belgi, baricentro del cinema all' europea senza effetti ma con affetti speciali,
hanno vinto con questo film a Cannes, 6 anni dopo Rosetta. I soliti. Meno male. Ancora con una
rigorosa, sofferta storia sulla pelle di due giovani, il ladruncolo Bruno e la sua Sofia, con un
neonato in carrozzina. Un cinema, vedi Bresson, che si riprende il peso morale, pedina la realtà,
vedi Zavattini. Ma questo neo realismo, intriso di sentimenti e contrasti, accarezza due ragazzi già
provati dalla vita: se lei si sente madre, lui tenta di vendersi la creatura, provocando guai. Sembra
un film improvvisato, ma nulla avviene per caso, è tele-comandato dal senso di giustizia di autori
che emanano profonde infelicità, chiamandoci complici e testi con la psicosomatica presenza di
Deborah Francois e Jeremie Renier. La storia entra dentro e si pensa a quanto il cinema può oggi
essere ancora utile. VOTO: 8,5
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Giovanna Grassi - Il Corriere della Sera, 30 novembre 2005
I fratelli Dardenne (Jean-Pierre e Luc), che hanno conquistato a Cannes la Palma d'oro con
L'enfant, saranno con lo stesso film (sui nostri schermi dal 7 dicembre) e per la prima volta in lizza
per le nomination della cinquina dei migliori film stranieri dei prossimi Oscar. «Ci auguriamo il
meglio - dicono - anche per la cinematografia del nostro Paese, il Belgio, sebbene tutti ci abbiano
informati che sarà un anno estremamente competitivo e di forti film d' impegno civile e politico. Ce
ne rallegriamo, tuttavia: anche il nostro, L' enfant-Una storia d' amore, tocca argomenti di
drammatica, coinvolgente attualità. Quando sono esplose le periferie di Parigi, in tanti ci hanno
scritto, chiamato a parlare nelle Università della pellicola, che in Francia, in Belgio e in altri Paesi è
uscita dopo la presentazione al Festival di Cannes, in settembre. Il disagio dei giovani della
banlieue è uguale a quello del nostro protagonista, Bruno (Jérèmie Renier), e della sua ragazza,
Sonia (Deborah François). E' il malessere di persone giovani che vivono nell' esclusione. Nei loro
confronti l' Occidente ha molte responsabilità». Jean Pierre è nato nel 1951, Luc nel 1954. Non a
caso provengono dal documentario e già nel 1999 avevano vinto la Palma d' oro con Rosetta. Per i
Dardenne, il cinema ha un significato solo se risveglia la coscienza della platea rispetto al reale.
Come accade a chi vede la storia dei due ragazzi innamorati, sbandati di una qualsiasi periferia.
Bruno vive di malaffari. Sonia aspetta da lui un figlio, lo partorisce con l' illusione di un nido
protettivo anche se misero, ma Luc vende il neonato e... Spiegano i registi-autori: «Sono ragazzi
che vivono in quartieri dove le scuole non sono più tali, dove le case non sono case perché in una
stanza spesso vivono otto persone... La legge della sopravvivenza deve fare i conti con una
società dove anche il livello più misero del "capitalismo" è asservito solo all' idea del consumo,
delle disponibilità finanziarie. Bruno vuole essere vincente in questo stato di cose anche con il
crimine di piccolo cabotaggio, con sfide che in realtà celano un estremo bisogno di aiuto e stabilità.
Per Sonia avere un figlio significa sperare di vedersi assegnare un piccolo appartamento, poter
costruire una propria stabilità al di là di qualsiasi disuguaglianza socio-economica. Il finale non
offre risposte, ma interrogativi a una società che non può più fingere di non vedere».
Tullio Kezich - Il Corriere della Sera, 9 dicembre 2005
Nel rivedere L'enfant dei belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne sei mesi dopo la Palma d' oro di
Cannes, vien voglia di definirlo un film «epocale». Controllo l' aggettivo sul Palazzi-Folena («che
segna un' epoca») e confermo. Ma quand' è che un' immagine cinematografica diventa il simbolo
di un momento storico? Esempi cercando, riaffiora nella memoria l'operaio Maggiorani in giro per
Roma alla ricerca della bicicletta rubata. Zavattini e De Sica seppero farne l' emblema della
disperazione del dopoguerra congiunta alla volontà di sopravvivere. Ed ecco avanzare, a futura
memoria, una raffigurazione dell' indecifrabile e confusa realtà odierna: il balordo Bruno (Jérémie
Renier) che attraversa il paesaggio industriale di Liège e Seraing spingendo la carrozzella del figlio
appena nato. Che sulle prime c' è e poi non c' è più perché lo snaturato padre se l' è venduto. Con
successivo svenimento della giovane Sonia (Deborah François), che sembrava una madre per
caso e non lo era; e con conseguenze incontrollabili e quasi fatali. Strano che proprio «Za» e il suo
regista non figurino nel numero degli ispiratori di L'enfant registrati da Luc Dardenne (il fratello
scrivente, mentre Jean-Pierre si limita a riflettere, suggerire e correggere). Nel diario «Au dos de
nos images 1991-2005» (edito da Seuil), dal febbraio di due anni fa che segna più o meno la
partenza del progetto, Luc confessa i debiti verso Accattone di Pasolini e La ragazza con la valigia
di Zurlini, Zio Vanja, Luce d'agosto di Faulkner, Howard Hawks, Fritz Lang, la stella polare Murnau
e perfino «Racconto d' inverno» di Shakespeare. Il tutto per favorire la crescita di un'idea nata da
una notiziola di giornale e passata attraverso sei stesure della sceneggiatura (una dozzina e più le
versioni del montaggio); e accompagnata, in successione, da ben cinque titoli: «La forza dell'
amore» (scartato perché scopriva troppo le carte), «Il riscatto» (idem perché annuncia la
redenzione del protagonista), «Il ragazzo con la carrozzina» (perfetto, ma brutto) e «Vivere». Nella
versione italiana il definitivo L' enfant è stato rinforzato dal sottotitolo «Una storia d' amore» che
sembra richiamarsi alla primitiva ispirazione degli autori. All' inizio del film piange un neonato, alla
fine piangono abbracciandosi due adulti; e sul valore catartico dei singhiozzi gli autori sono stati
indotti a riflettere dal libro «Traité des larmes» di Catherine Chalier. Attraverso i gesti e le parole
della loro misera quotidianità, Bruno e Sonia appaiono come due immaturi giocattoloni. Lui le tenta
tutte, dall' accattonaggio al furto e peggio, pur di non andare a lavorare; lei lo asseconda passiva
fino al momento della crisi. Nel corso di uno scippo mal riuscito, inseguito dalla polizia, Bruno per
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salvarsi si butta nelle acque della Meuse tirandosi dietro Steve, il complice ragazzino che ne sortirà
a rischio di congelamento. Proprio l'imprevisto senso di responsabilità verso il minorenne da lui
messo nei guai farà balenare nel protagonista il sentimento ignoto della paternità. Il primo miracolo
dei Dardenne è che pur attraverso una rifinitura elaboratissima attingono a un risultato vicino all'
eloquenza nuda e cruda del referto cronachistico. Il secondo e più importante miracolo di L'enfant
è di trasferirci non «dalla parte dell' ultimo» (come si usa dire con formula abusata), ma addirittura
nei regni beati e pericolosi dell' incoscienza. Per cui arriviamo a nutrire comprensione e perfino
simpatia per una coppia dai comportamenti insensati, a soffrire e a sperare con loro. Non in chiave
giustificazionista di azioni riprovevoli, ma come ultima speme nelle sepolte risorse della natura
umana. Per riaffermare che l' ignoranza, la protervia e la pericolosità di chi rappresenta una
minaccia per la società non si curano con le cariche della polizia.
Maria Pia Fusco - La Repubblica, 30 novembre 2005
Un ragazzo e una ragazza, Bruno e Sonia, lui è coinvolto nella piccola criminalità, lei ha appena
avuto un bambino. Vivono alla giornata, ai margini di una piccola città belga. Sono i protagonisti di
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fratelli Dardenne «forse è quella di dare voce agli ultimi della società, di raccontare persone che
riescono ad uscire dalla solitudine, ad aprirsi al resto del mondo, ad accettare la forza dei
sentimenti», dicono Jean-Pierre e Luc Dardenne, rispettivamente classe 1951 e 1954. Bruno,
dicono, «e una persona che, pur accettando come un fatto naturale il legame con Sonia, è un
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assorto, distante. Parlando di lei, abbiamo cominciato a fantasticare sul padre del bambino. sui
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grande illusione pensò di lanciare un messaggio pacifista. Certo, un film non cambia il mondo, ma
può aiutare tanta gente a vedere la realtà sotto una luce diversa. Per noi è stato commovente un
signore tedesco che, dopo il film, ci ha detto di aver vissuto la nascita dì un sentimento». JeanPierre e Luc Dardenne hanno cominciato insieme, scrivono e girano di comune accordo: «Sul set,
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confessionale. Accettiamo sempre le rispettive osservazioni, non abbiamo mai litigato», dico no.
Ma Jean-Pierre aggiunge: «Non è sempre stato così, da piccoli Luc era molto vivace e violento,
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Rita Celi - La Repubblica.it, 29 novembre 2005
È ancora una volta una storia estrema e ai margini quella raccontata dai fratelli Dardenne. Nel loro
ultimo film L'enfant - Una storia d'amore (nelle sale dal 7 dicembre, distribuito da Bim), i registi
belgi premiati a Cannes con la Palma d'oro (la seconda, dopo quella conquistata sei anni fa con
Rosetta) affondano il loro sguardo su Bruno, un giovane ventenne che vive di espedienti e piccoli
furti e gestisce "l'attività" in una baracca lungo il fiume. La sua compagna, Sonia, 18 anni, ha
appena partorito il loro bambino. Bruno è diventato padre, ma non sa che farsene di quel fagottino.
Pensa di venderlo, ma la dura reazione di Sonia lo porta a scoprire sentimenti nuovi. "La storia
d'amore coincide con la scoperta della paternità" spiegano i due registi, a Roma per presentare il
[email protected]
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film, interpretato da Jérémie Renier e Deborah François. "All'inizio pensavamo di raccontare di una
ragazza madre in cerca di un padre per il suo bambino, poi la storia è cambiata e abbiamo
incentrato il film su Bruno, capovolgendo la situazione: la presenza maschile c'è, ma non è un
padre". "Per noi un film non è un aula di tribunale" spiega Jeanne-Pierre, il più anziano dei due
fratelli. "Amiamo tutti i nostri personaggi, anche quelli cattivi. Quello che ci interessa è raccontare
storie che appartengono al mondo contemporaneo, e quelle che preferiamo sono storie di
iniziazione. In questo caso Bruno è un ragazzo che vive emarginato in un mondo che esiste nel
tempo presente, e lo seguiamo mentre scopre i sentimenti e l'umanità attraverso l'amore di Sonia".
Il cinema di Luc e Jean-Pierre Dardenne è sempre crudo e diretto. E L'enfant contribuisce ad
aggiungere un tassello al complicato puzzle che i due autori compongono con i loro film. Dalle
vittime della manodopera clandestina raccontate in La promesse (1996), al gesto estremo di
Rosetta (1999) che non può permettersi di perdere il lavoro per mantenere la madre alcolizzata, o
il falegname che insegna in un riformatorio e che scopre tra i suoi allievi il ragazzo che anni prima
aveva ucciso il suo bimbo di cinque anni in Il figlio (2002). I loro sono sempre racconti individuali,
incentrati su pochi protagonisti, ma hanno seguito con attenzione i disagi collettivi nelle banlieue
parigine. "Se dovessimo ispirarci a quel tema per un film, partiremmo da una madre che vive in
periferia con dei figli molto violenti" spiega Jean-Pierre. "Possiamo avere una visione catastrofica
dicendo che la società sta andando in rovina, ma non avrebbe senso" aggiunge. "Ogni volta che
qualcuno si ribella o manifesta anche solo l'intenzione di rivolta verso un'ingiustizia, allora è
un'occasione per riflettere e un segnale di speranza perché il mondo, la vita e la società valgono
sempre la pena di essere vissute". "C'è un movimento di donne magrhebine che vivono nelle
banlieue" aggiunge Luc, "in gran parte musulmane, chiamato Ni putes ni soumises - né puttane né
schiave (movimento fondato dalla franco-algerina Fadela Amara, ndr) che lottano per tre motivi:
l'emancipazione della donna, l'emancipazione dalla religione che soprattutto in questi tempi è
opprimente, e contro le disuguaglianze economiche e sociali. Sono questi i tre punti per cui vale la
pena battersi, ed è questa una grande speranza".
Roberto Nepoti - La Repubblica, 9 dicembre 2005
In un territorio urbano desolatamente anonimo, Bruno e Sonia — vent
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madre di un neonato chiamato Jimmy — navigano a vista nella precarietà di chi è nato dalla parte
sbagliata della scala sociale. Lui traffica in telefonini e lettori di CD rubati, vende e acquista da
mattina a sera, deciso a fare dei soldi a qualsiasi costo in un mondo dove i soldi sono tutto quel
che conta. Quando finisce in rosso, trova naturale vendere Jimmy: tanto, tutti i bambini si
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davanti alla disperazione di Sonia, decide di pagarne il riscatto esponendosi al rischio. Lungi dal
raccontarci la storia di un mostro, i Dardenne mettono in scena un percorso morale, una
redenzione (ecco perché, dove sarebbe legittimo aspettarsi di trovare ogni porta sbarrata,
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monetizzazione universale per cui, smarrito ormai ogni rapporto simbolico con il mondo, tutto è
vendibile, tutto ha un prezzo; e la parola pronunci
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[email protected]
6
Lietta Tornabuoni - La Stampa, 9 dicembre 2005
Gli ammiratissimi fratelli registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, 54 e 51 anni, nati e cresciuti nei
quartieri operai della Vallonia, uno laureato in filosofia e uno attore, padroni della società di
produzione Dérives, documentaristi, già autori di Rosetta e de Il figlio, geniali, raccontano ne
L'enfant di una coppia di marginali adolescenti con la testa da bambini. Vivono del sussidio di
disoccupazione di lei e di furti compiuti da lui. La nascita di un figlio rende lei improvvisamente
adulta; non lui, che intende far soldi vendendo il bambino e lo recupera soltanto quando lei,
ricevuta la notizia della vendita, cade a terra svenuta dal dolore. Riavuto il bambino, lei lascia
l'amante e non vuole più vederlo. Lui affonda nella disperazione e nell'irresponsabilità, finisce in
prigione. E' durante una visita al carcere che i due si rivedono, si stringono le mani, piangono per
l'infelicità della vita. L'enfant è bello e ben fatto. Ha il merito di occuparsi dei poveri con delicatezza
e discrezione, di raccontare con molto intuito i suoi protagonisti adolescenti, di precisare come al
loro fianco ci siano soltanto delinquenti sfruttatori, quanto siano soli dal punto di vista famigliare e
sociale. Ha il merito di guardare i poveri con la naturalezza che meritano, essendo una delle fasce
sociali rilevanti se non maggioritarie delle nostre società: senza sdegno nè disgusto nè pietismo,
gli autori vedono i loro protagonisti con quello che si potrebbe forse definire uno sguardo cristiano
e che è in ogni caso privo di sentimento borghese. Si sa che i Dardenne lavorano quasi sempre
con la macchina da presa a meno, stando addosso ai personbaggi così da dare ad ogni dettaglio
fisico un significato eloquente (ne Il figlio, il falegname protagonista, un uomo cui era stato ucciso il
figlio bambino, veniva quasi sempre visto di spalle, di nuca): ne L'enfant, la prossimità
dell'immagine ai ragazzi protagonisti diventa (come in Rosetta) uno sguardo innamorato della
giovinezza. Senza alcuna analogia con Pier Paolo Pasolini, la cui contemplazione dei ragazzi
poveri era estetica e sensuale, i Dardenne sembrano saper vedere un'anima ipotetica nella
giovanissima coppia che hanno scelto di raccontare.
Maurizio Cabona - Il Giornale, 9 dicembre 2005
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(o cesbroniani), non pasoliniani, i loro personaggi sono recuperabili: delinquono più o meno
gravemente, quasi con innocenza, per smarrimento ancor più che per disperazione. Vi
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come visti i film precedenti dei Dardenne, una volta usciti dal cinema non dovete dunque farvi la
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tecnica sempre della macchina da presa in spalla che rende concitato tutto, anche un caffè al bar.
Il bambino del titolo ha pochi mesi. È nato da una coppia di giovanissimi sbandati: lei (Déborah
François) almeno ha un appartamentino e un sussidio; lui (Jérémie Renier) no, dunque ruba. Agli
occhi di cotanto padre, perfino il bambino diventa una possibile fonte di guadagno. Viene dunque
venduto per cinquemila euro, ma la madre esita, poi rifiuta e l
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spingerà al pentimento e - forse - alla redenzione. Ma perché un padre ventenne vende il figlio in
fasce senza che la madre, ragazza passabile, venda preferibilmente se stessa? Però i Dardenne
non danno mai molte indicazioni per cogliere la psicologia dei loro poveri. Sono solo esempi della
povertà: lo scontro con le istituzioni - fatte contro di loro o almeno senza tener conto di loro - serve
solo per raccontare qualcosa che coinvolga il pubblico. Ma come in Padre padrone di altri fratelli
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Pedro Armocida - Il Giornale, 30 novembre 2005
Con ostinazione. i registi e sceneggiatori belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne continuano la loro
parabola cinematografica proponendo e filmando storie apparentemente minime ma dense di
significati. Un cinema certamente non popolare, anche se incentrato proprio sul popolo, che grazie
a una rigorosa scelta stilistica frutta quasi sempre ai due fratelli i massimi riconoscimenti nei grandi
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coglioni». Sonia (Deborrah Francois) ha appena partorito Jimmy, il loro bambino. Ma Bruno in uno
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padre del bambino. Poi abbiamo inserito un uomo che al
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sentimento a metà tra la repulsione e la pietà per i loro personaggi. Forse perché, spiega Luc
Dardenne. «per noi un film nonèun’
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completamente negativo, si apre un cammino di redenzione e di speranza.
Roberta Bottari - Il Messaggero, 6 dicembre 2005
«Il nostro sistema per realizzare buoni film? Facciamo credere a tutti, dagli attori ai tecnici, di
essere il vero motivo del successo». I fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne, a Roma per presentare
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davanti a una platea attentissima, che beve le loro parole. Due vittorie a Cannes e molti altri premi,
ma Luc e Jean-Pierre Dardenne sono gli stessi di quando, ragazzi, giravano documentari nel loro
Belgio. Raccontavano di un piccolo paese, dove gli abitanti non riuscivano a comunicare fra loro.
Lo sguardo dei due registi si soffermava sulle piccole cose, sulla poetica ripetitività dei gesti
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piccoli furti commessi da lui. Ma Sonia ha appena partorito Jimmy, il loro bambino. Come farà
Bruno a diventare un buon padre, lui che è così superficiale, vive alla giornata e si preoccupa solo
dei soldi dei suoi traffici? Non è pronto per le responsabilità. Così, quasi con ingenuità, vende il
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prezioso slancio vitale. Le recenti sommosse parigine dovrebbero insegnarci qualcosa. Girare un
film su quelle rivolte? Ne abbiamo parlato ma, se lo facessimo, lo faremmo a modo nostro:
partendo da una donna delle banlieues, vittima della violenza dei propri figli». La lezione di puntare
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momento inconscia, ma in seguito ci siamo resi conto di quanto Pasolini e Rossellini ci avessero
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trascinava bruscamente una carrozzina, come se stesse cercando un padre per il suo bambino. Il
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abbiamo mai pensato di entrare in politica? Per la verità, il Partito Socialista francese ci ha perfino
chiesto di candidarci. Abbiamo rifiutato: spiacenti, ma da anni diciamo di essere contro la politicaspettacolo. Beh, era vero».
[email protected]
8
Gian Luigi Rondi - Il Tempo, 6 dicembre 2005
Scomparso André Delvaux, i fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne sono certamente gli autori più
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una coppia di sbandati, lei, Sonia, diciottenne, lui Bruno, ventenne. È accolto abbastanza bene da
lei, con tale indifferenza da lui da indursi tranquillamente a venderlo, così come vende ogni volta i
frutti dei piccoli furtarelli che compie in strada per sbarcare il lunario. La reazione di Sonia, però,
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anche se la banda di acquirenti ora glielo cede chiedendogli molti più soldi di quelli che gli aveva
dato, senza però con questo ottenere che Sonia muti atteggiamenti e vedendosi adesso costretto,
per far fronte alle onerose richieste di denaro della banda, a riprendere la strada già battuta prima
dei furti e degli scippi. Ma questa volta finirà in prigione dove, rivista Sonia venuta a confortarlo,
forse saprà ricominciare con lei; sperabilmente in ambiti più onesti. Una conclusione affidata solo a
un gran pianto di Bruno abbracciato a Sonia, anche lei in lacrime. Ma con distacco. Senza
giudicare né spiegare. Come in tutto il resto. Raccontato in una grigia cittadina belga, tra facce
anonime, con le azioni, i gesti, le reazioni dei due principali personaggi rappresentati quasi con
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centro, ma soprattutto Bruno (perché Sonia con la maternità cambierà) con accenti quasi
impersonali, come se, ad ogni svolta, in nessuna di quelle azioni potesse percepirsi una coscienza.
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A distanza di sette mesi arrivano in Italia due film di Cannes 2005: Shanghai dreams, del cinese
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mai famosi fratelli Dardenne. Tra i due film, il
migliore è il primo, che narra una dolorosa storia di famiglia sullo sfondo della «dislocazione» di
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come Tre volte del taiwanese Hou Hsiaohsien e History of Violence del canadese David
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parlarne in quanto film, non in quanto cavallo vincente. Jean-Pierre e Luc Dardenrie, classe 1951
e 1954, sono i più importanti cineasti belgi francofoni. I loro quattro lungometraggi (La promessa,
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compatto, un unico grande affresco sugli emarginati delle banlieu del Belgio. Sembra sempre,
vedendo uno dei film citati, di veder passare sullo sfondo i personaggi degli alti tre. E del resto Luc
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film, in una periferia di Liegi, vedevamo passare ogni giorno una ragazza che spingeva
energicamente, e senza un sorriso, una carrozzina. Abbiamo cominciato ad immaginare che vita
facessero quella giovane madre e il suo bambino, chi fosse il padre, quali speranze coltivassero..».
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con molti problemi. E hanno appena avuto un figlio. Sonia ne è felicissima Bruno pensa
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furfantello di periferia, ma non è un vero delinquente: non ha, semplicemente, i mezzi economici e
culturali per affrontare le proprie responsabilità. Vende il neonato a un racket delle adozioni:
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assurdo, di rimediare, di ricomprarsi il piccolo. Senza pensare che i gestori del racket sono, quelli
sì, criminali veri. Questa storia di ordinario degrado è narrata con lo stile che i Dardenne hanno
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consolidato negli anni: inquadrature traballanti; assoluta assenza di musica; piani strettissimi,
come se la macchina da presa stesse letteralmente addosso ai personaggi. Al quarto film, è lecito
definire i Dardenne dei manieristi: nel senso che hanno trovato uno stile talmente forte e
identificabile da essersi, in qualche modo, rinchiusi in esso, rendendolo maniera. Sembra, in altre
parole, di vedere sempre lo stesso film: nobilissimo, e nobilissimamente tetro. Anche altri registi,
da Ford a Bunuel facevano sempre lo stesso film: però ci facevano godere, mentre i Dardenne
sembrano godere nel farci soffrire.
Silvana Silvestri - Il Manifesto, 9 dicembre 2005
A indicare la delicatezza con cui i fratelli Dardenne procedono, non è solo un dettaglio vedere nei
titoli di coda l'elenco dei quindici, venti neonati (nome e cognome) che hanno interpretato il piccolo
Jimmy scarrozzato nel gelo di un inverno belga per i parchi e le sopraelevate. Storia cruda e non
può essere altrimenti, essendo ambientata nella periferia di Liegi delle fabbriche chiuse e del
disastro sociale, dove due adolescenti, Bruno e Sonia, diventano genitori troppo presto, bambini
anche loro. Lo si vede dai capelli biondi agitati dal vento e da una danza tutta interiore, lei
(Déborah Francois) diciottenne appena uscita dall'ospedale dove ha partorito, lui (Jérémie Renier),
ladruncolo, giovane imprenditore nel giro dei piccoli furti con un'azienda di ragazzini al suo
servizio. Occhi rapaci, rapidi calcoli, azzeramento dei tempi morti, organizzazione del lavoro, ecco
che afferra l'opportunità di vendere il nuovo prodotto capitatogli tra le mani, suo figlio che non ha
neanche avuto il tempo di andare a trovare all'ospedale. C'è un fiorente commercio delle adozioni
con cui già prevede proficui scambi («che cosa fa? poi ne facciamo un altro»), così con la stessa
velocità con cui si procura carrozzina e auto, contatta il racket e conclude l'affare. La sua
giovinezza a questo punto precipita vertiginosamente verso un'età adulta che gli è difficile gestire,
fino a quando impara a prendersi le sue responsabilità. Ma non è un film dove la morale prende il
sopravvento, piuttosto dove lo stile impera, sempre più efficace nel catturare gli attori e gli
spettatori in una rete senza scampo: gli attori perché sono la negazione del cinema verité, pura
messa in scena sublimata e gli spettatori che non sono certo estranei alla vicenda, vivendo
anch'essi nel profondo cuore dell'Europa in smobilitazione economica. Se parli di stile del resto i
fratelli Dardenne citano Eduardo De Filippo: «se cerchi lo stile trovi la morte, se cerchi la vita trovi
lo stile» e loro si sono addestrati fin dai tempi della giovinezza al documentario non generico, ma
della banlieue di Liegi, dove conoscono ogni storia e ogni sfumatura e tutte le caratteristiche di
un'umanità che talvolta ha perso i connotati. Jean Pierre e Luc Dardenne hanno sempre lavorato
in questa direzione, ritrovare le tracce dell'umanità perduta, quando utilizzarono lo stesso attore
Jérémie Renier, che nel `97 interpretò La Promesse, dove era un ragazzino che aiutava il padre
nel gestire alloggi per clandestini con una possibilità di riscatto, quando regalavano a Rosetta
(Emilie Duquenne) nel `99 un'ostinazione febbrile nel tenersi il lavoro a costo di poter uccidere, e in
Le fils quando costruivano un magnifico lavoro sulla mutazione dei sentimenti. Anche L'enfant (e
l'enfant potrebbe benissimo essere il padre del neonato, anche lui con una madre non troppo
cresciuta, per lo più rifiutato e cresciuto per strada) è una storia di trasformazione, giunta
attraverso la reiterazione di piccoli indizi che portano al disastro e alla presa di coscienza. Come
angeli caduti si ritrovano infine, Bruno e Sonia, irrimediabilmente cresciuti, ma presenti a loro
stessi e con un cuore pulsante. Ci sono tutti gli elementi del dramma, dei colpi di scena del
destino, della passionalità di una storia d'amore (come dice il sottotitolo italiano).Al film la Palma
d'oro a Cannes 2005, presidente della giuria Kusturica.
Mariarosa Mancuso - Il Foglio, 10 dicembre 2005
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di miseria Il figlio, che sempre a Cannes, nel 2002, fece trionfare come migliore attore lo
sconosciuto Olivier Gourmet: uno con la faccia rotonda e il doppiomento, nelle rare inquadrature
abbastanza larghe, per quasi tutto il film viene ripreso di nuca, silenzioso e depresso (gli hanno
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perfino alla parte sana dei suoi ammiratori è sembrata inutile, se non dannosa. Va bene fare i film
con lo stampino, va bene massacrare gli spettatori in nome del rigore, va bene ridurre al minimo i
personaggi, per eliminare ogni occasione anche involontaria di divertimento, va bene scambiare la
noia per lo stile. Non va bene incoraggiare i due ex documentaristi a perseverare nel pauperismo
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bimbetto con aria assente). Di tante sciagure, tanti pianti, tante crudeltà degne di Erode, resta in
mente solo un inseguimento in motorino sulla riva dal fiume, girato tanto bene da levare il fiato.
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Mauro Gervasini - Film Tv, n. 50, 13 dicembre 2005
Periferia di Bruxelles. Bruno e Sonia, fidanzati ragazzini, sopravvivono inconsapevoli. Si capisce
che si amano parecchio, e per campare si arrangiano come possono. Quando lei mette al mondo
un figlio, lui lo vende alla criminalità organizzata. Più che della capitale del Belgio, la banlieue dei
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ideologiche. Casomai la macchina da presa dei Dardenne costringe a venire allo scoperto: dei vari
Bruno e Sonia, così come di Rosetta, nessuno parla mai, al cinema e nella vita, e sarà pure
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poco conciliante, freddo, stilisticamente giocato su una neutralità di sguardo che è difficile
rinnovare, perché fa parte di un principio, di una morale. Ecco, sì, di una morale. Che è una e non
si adegua ai desiderata contingenti dello spettatore. Forse è questo a dar fastidio.
Claudia Mangano - Il Mucchio Selvaggio, gennaio 2006
Un cinema sempre asciutto e anti-retorico, quello dei fratelli Dardenne - nuovamente premiati a
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profondamente doloroso e toccante. Con una storia dalla tragica semplicità, i due registi belgi
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più spesso il silenzio. Il finale è consolatorio ma non semplicistico. Nella presa di coscienza della
propria colpevolezza, Bruno trova la strada per la propria redenzione e segna la prima tappa di
una crescita umana che farà di lui non più un bambino ma un uomo.
Francesca Druidi –www.castlerock.it
Vincitore della Palma d'oro a Cannes 2005, L'enfant dovrebbe essere stata - almeno sulla carta la scelta migliore per mettere d'accordo giuria, pubblico e critica. Per chi, però, conosce bene il
cinema asciutto, duro e neo-realista dei fratelli belgi Luc Dardenne e Jean-Pierre Dardenne,
espresso in opere come Il figlio e Rosetta, il film che li ha consacrati alla Croisette nel 1999, sa
quanto poco compromissori e anti-retorici siano il loro stile e le loro storie, certamente lontani dal
concetto di semplice intrattenimento e vicini, invece, a un modello di cinema d'impegno sociale
attento ai perdenti, all'umanità ai margini che galleggia nei sobborghi periferici di un Belgio sbiadito
ed evanescente nel suo grigiore anonimo e indifferente, reso ancora più livido da scelte
fotografiche e di messa in scena precise, dettate dalla chiara volontà di pedinare i personaggi nella
loro quotidianità. Il sottobosco della micro-criminalità giovanile è il microcosmo scelto dai fratelli
Dardenne, e nel quale lo spettatore è fatto calare per conoscere Bruno (Jérémie Renier, già
protagonista a 9 anni dell'esordio dei Dardenne, La promessa), il protagonista ventenne della
pellicola, che da pochi giorni è diventato padre di Jimmy, partorito dalla sua - ancor più giovane compagna Sonia (Déborah Francois), che l'adora. Ma è chiaro fin da subito di come sia Bruno il
vero bambino della situazione, anche perché la sua relazione con la giovane sembra essere più
simile a quella tra due ragazzini che non a quella tra due neo-genitori, improntata com'è allo
scherzo, alla rincorsa giocosa, all'effusione impulsiva. Le azioni, i gesti, i pensieri di Bruno sono,
poi, dominati dalla mancanza di istinto paterno e della scarsa consapevolezza non solo del suo
nuovo ruolo, ma anche della differenza tra giusto e sbagliato. Del tutto incurante dell'arrivo del
bambino, il ragazzo continua a vivere in una precaria illegalità, tra monolocali prestati e dormitori
pubblici, campando con furtarelli organizzati con l'aiuto di un complice, un altro bambino stritolato
dai meccanismi perversi del mondo esterno, regolato dal denaro e dal consumismo. Bruno
riconosce suo figlio, ma alla prima occasione decide di venderlo a un giro di adozioni in cambio di
una cifra considerevole, stupendosi poi della sconvolta reazione di Sonia, che lo denuncia
immediatamente alla polizia. Grazie all'alibi offertogli dalla madre, Bruno riesce a non finire in
prigione, ma la sua discesa all'inferno non conosce comunque sosta: scacciato dalla ragazza,
Bruno è ricattato anche dai membri del racket delle adozioni ai quali ha fatto fallire l'affare, e per
procacciarsi il contante è costretto a vendere tutto ciò che possiede, rimanendo senza i soldi per
mangiare. Programmato l'ennesimo colpo con il suo socio-ragazzino, Bruno scampa ancora alla
cattura, ma non sopportando di vedere il suo amico arrestato, prende la prima decisione matura
della sua vita e si costituisce. E' proprio di fronte a questa prima presa di coscienza di Bruno che i
cineasti belgi lasciano intravedere un barlume di speranza per il futuro dei due giovani. Una nota
rincuorante che ha sempre contraddistinto il lavoro dei Dardenne, giungendo a controbilanciare la
disperazione del ritratto umano composto dai registi, a partire dall'impiego della macchina a mano
e dalla quasi assenza di una colonna sonora musicale. L'enfant rappresenta, dunque, la summa
stilistica e tematica del cinema dei Dardenne ed è in questa evidente riproposizione che s'innesta
probabilmente il difetto maggiore di un'opera comunque intensa e anti-retorica, ma che non evolve
rispetto alle precedenti dei due autori, rischiando di figurarsi sempre uguale a sé stessa.
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