E SE TUTTO FOSSE ETERNO (ANCHE LA TUA REAZIONE

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E SE TUTTO FOSSE ETERNO (ANCHE LA TUA REAZIONE
E SE TUTTO FOSSE ETERNO (ANCHE LA TUA REAZIONE INCREDULA DI QUESTO
MOMENTO)?
Introduzione a Emanuele Severino
Approccio di primo livello
Non esiste alcun ‘principio’ delle cose, alcun principio da cui, in ultima analisi, sono derivate le
cose dell'universo; e non esiste perché le cose sono eterne e, quindi, non hanno bisogno di
essere spiegate come ‘derivate’.”
Le cose sono eterne? Ma questa è una tesi demenziale: lo sanno anche i bambini che le cose
nascono e muoiono!
Perché mai le cose non potrebbero essere eterne, anche se appaiono nascere e morire?
Perché, cioè, si dovrebbe escludere a priori che le cose esistono anche prima di nascere e
anche quando non appaiono più?
Tutto è possibile, come è possibile che nello spazio vi siano delle isole incantate!”
“Ti propongo un punto di appoggio: se le cose nascessero, deriverebbero dal ‘nulla’, ma
sappiamo benissimo che dal nulla non può derivare nulla!
Ma una cosa deriva da un’altra cosa, non dal nulla!
Ma… che significherebbe il verbo ‘nascere’, se non si affermasse che ciò che nasce, prima ‘non
era’ e, quindi, era ‘nulla’?”
Un bambino, prima di nascere, è un embrione, un feto. Altro che ‘nulla’!
Il ‘bambino che strilla’ - quando è fuori dall'utero materno - prima ‘non era’. Era, sicuramente,
un feto, ma non era il ‘bambino che strilla’. Il ‘bambino che strilla’, quindi, non era ‘nulla’?
Perché tirare fuori il concetto di nulla, quando basterebbe dire che il bambino che strilla è
qualcosa di diverso rispetto al bambino che è nell’utero materno?
“Qualcosa di diverso che, appunto, prima non era.”
Ma se c’è qualcosa di nuovo, vi è pure qualcosa che rimane: no?
Indubbiamente. Per dire, ad esempio che Fabrizio diventa alto, occorre che vi sia qualcosa che
permane: come si potrebbe dire che Fabrizio da piccolo diventa alto, se non ci fosse qualcosa Fabrizio - che permanesse nella trasformazione?
Ma dove salta fuori il discorso del ‘nulla’?
E’ vero che Federico esisteva già, ma è anche vero che il ‘Federico che strilla’ prima non
esisteva e quindi era ‘nulla’: no?
Ma Federico era nella pancia della mamma!
Ma vi è qualcosa di Federico che prima non era: il suo essere fuori dalla pancia dalla mamma
ed il suo strillare. No? Ora il qualcosa di nuovo ‘è’ o ‘non è’? Ovviamente ‘è qualcosa’. E allora
ecco la provocazione di prima: se qualcosa di nuovo prima ‘non era’, vuol dire che il ‘nulla’ di
‘questo qualcosa di nuovo’ diventa ‘qualcosa’ (‘essere’, direbbero i filosofi). No?
Macché essere! L'essere è un termine astratto (chi mai ha incontrato per strada l'essere?),
qualcosa, cioè di non reale, una semplice ‘parola’.
L'essere significa semplicemente ‘qualcosa’. Ora la foglia staccata dal ramo non è ‘qualcosa’ di
nuovo rispetto alla ‘foglia attaccata al ramo’? Se dico che questo libro ‘è’, non voglio dire che
questo libro è ‘qualcosa’? Ora questo ‘qualcosa’ non è una cosa concreta? Ecco allora la
provocazione: dire che una cosa (un essere) nasce significa che un ‘nulla’ diventa ‘essere’,
significa che un ‘non essere’ ad un certo punto è ‘essere’. Ma questo non è impossibile? Come
potrebbe il ‘non essere’ diventare ‘essere’? Come potrebbe un ‘essere’ derivare dal ‘nulla’? Ora
se è impossibile, vuol dire che le cose non nascono, non ‘derivano’, ma sono eterne! Eterne
come la reazione di stupore che tu esprimi in questo momento: non si tratta di ‘qualcosa’ (cioè
di ‘essere’)? Tutto è eterno: il bambino che strilla, il tuo sorriso, la tua smorfia, la foglia
staccata dal ramo: non sono qualcosa (essere)? E' questa la provocazione di un filosofo
contemporaneo, il prof. Emanuele Severino.
Ma qui siamo di fronte ad una pura follia.
“Io ti invito ad entrare in questa follia al di là delle tue convinzioni. Supponiamo, cioè, che tutto
sia eterno (anche il battere delle tue palpebre in questo istante): questo significa che il nascere
ed il morire ed, in generale, il mutare sono semplicemente illusori?
Non è possibile: non sarebbe considerato pazzo chi negasse che noi nasciamo e moriamo e
che, appunto, il nascere ed il morire sono solo illusori?
Perché pazzia? Sono tutti pazzi gli scienziati che hanno osato contraddire l'esperienza? Pensa,
ad esempio, al principio di inerzia: quando mai qualcosa della nostra esperienza si muove con
un moto rettilineo ed uniforme e si muove senza fermarsi?
Ma qui siamo di fronte ad una tesi sconvolgente! Come si può negare quello che
universalmente è innegabile, il fatto ciò che le cose nascono e muoiono?
Il prof. Severino, a dire il vero, non arriva a negare che le cose nascono e muoiono, ma ‘legge’
questo nascere e morire (che anche per lui, naturalmente, sono dei ‘fatti dell'esperienza’
innegabili) in modo diverso dai ‘comuni mortali’: per lui il ‘nascere’ viene visto non come
passaggio dal non essere all’essere, ma come passaggio dal non apparire all’apparire.
Ma come si fa a sostenere che il nascere di un bambino è solo un emergere dal non apparire?
Come si può, cioè, sostenere che il bambino esiste da sempre, anche prima del concepimento?
Vediamo di approfondire il suo discorso. Un pezzo di legna che brucia non diventa cenere, cioè
un essere (pezzo di legna) non diventa non essere (non essere pezzo di legna)?
Certo: se usiamo i concetti astratti di essere e nulla, mi sembra innegabile.
Secondo Severino, invece, non è affatto innegabile che il pezzo di legna, bruciando, diventi
cenere: ciò che appare, secondo lui, è che prima appare il pezzo di legna e poi la cenere.
Leggi, se ti interessa saperne di più, il capitolo “La lampada accesa, la lampada spenta” del
libro "Sortite”, Rizzoli, 1994 di Severino. Ma... da dove viene allora la cenere?
Proverrà pure da qualcosa, perché altrimenti verrebbe dal nulla.
Se ogni cosa, per Severino, è eterna, come fa a derivare da qualcosa? La cenere, allora, non
solo non appare derivare da altro (esperienza), ma non può derivare da altro perché è eterna
(secondo Severino è la logica - cioè in ultima analisi ciò che in gergo filosofico viene chiamato
‘principio di non contraddizione’ - che lo dice).
Ma se la cenere – che è da sempre – appare, vuol dire che prima non appariva e, quindi,
siamo di fronte ad un mutamento. Se l’apparire viene considerato ‘essere’ (cosa sarebbe se
non fosse ‘essere’?), allora questo essere muta, cioè prima non c’era (quando la cenere ‘non
appariva’) e poi c’è.
E’ questa una classica obiezione che è stata formulata nei confronti della tesi di Severino. La
conciliazione tra la ‘logica’ e il divenire dell’esperienza sembra tutt’altro che facile.
Quand’anche le cose fossero eterne ed immutabili e il loro nascere fosse semplicemente un
‘apparire’, si avrebbe sempre qualcosa (l’apparire) che prima non appariva e poi appare. E c'è
di più: se prima una cosa ‘non appare’ e poi ‘appare’, non significa forse che un ‘non essere’
diventa ‘essere’?
Infatti. Severino, quindi, arriva a negare lui stesso quello che afferma!
Severino – sappilo - risponde a questa e ad altre obiezioni, soprattutto in pubblicazioni molto
tecniche. Ti anticipo solo uno spunto: per Severino non solo non appare che le cose nascono
dal nulla e diventano nulla, ma non appare neanche il nascere (dal nulla) dell'apparire e il suo
morire: ‘appare’ l’apparire di una cosa come appare lo scomparire di una cosa, ma non appare
per nulla il nascere dal nulla di detto apparire e il suo diventare nulla.
Si tratta di un’argomentazione sottile (e ne troverai di più sottili ancora). Prima che tu affronti
direttamente le sue opere divulgative, ti anticipo che il prof. Severino è stato duramente
condannato dalla Chiesa cattolica ed espulso dall’Università Cattolica di Milano dove insegnava
filosofia morale. Puoi immaginare che cosa c’è alla base di tale condanna?
Certo: se tutto fosse eterno, non vi sarebbe più distinzione tra Dio e mondo, non potrebbe
esserci alcuna ‘creazione’. E non potrebbe esserci alcuna libertà: se tutto fosse immutabile,
come potrebbe esserci spazio per la libertà?
E che senso potrebbe avere la salvezza?
Si tratterebbe, quindi, di una tesi che fa saltare in aria lo stesso Cristianesimo. Altro che le
eresie di Lutero e di Calvino!
Dici bene. E non solo: se fosse vera, la tesi di Severino farebbe saltare in aria l’intero pensiero
occidentale.
Approccio di secondo livello
Il discorso di Emanuele Severino distrugge tutta la metafisica occidentale, tutta la filosofia
occidentale definita "nichilistica" e, naturalmente, l'intero Cristianesimo. Posto che tutto è
eterno, ovviamente, cade ogni distinzione tra "creatura" e "creatore", tra il "contingente" e il
"necessario". La "creazione dal nulla" è considerata da Severino una contraddizione (come se
si dicesse "circolo quadrato") per cui vengono messi in crisi i "dogmi" della Chiesa e la sua
infallibilità in materia di fede. Posto che tutto è eterno, poi, cade il senso della Redenzione. In
"Risposta alla Chiesa" (in "Giornale critico della Filosofia italiana", fasc. III, 1971) puoi trovare
non solo la "risposta" di Severino alla Chiesa, ma anche - in appendice - i capi di accusa
formulati dalla gerarchia ecclesiastica.
Severino, quando esce col saggio esplosivo "Ritornare a Parmenide”, ha già all'attivo una serie
di pubblicazioni di carattere storiografico ed un’opera - corposa - di carattere teoretico: “La
struttura originaria”, La Scuola, Brescia, 1958 - ripresa e sviluppata per i tipi di Adelphi nel
1981. Quasi tutte di carattere teoretico sono le pubblicazioni successive, tra cui Studi di
filosofia della prassi, Vita e pensiero, Milano, 1962 - aggiornati per i tipi di Adelphi nel 1984;
Essenza del nichilismo, 1972 e, nuova edizione (Adelphi) del 1982; Gli abitatori del tempo,
Armando, 1978; Legge e caso, Adelphi, 1979; Techne, Rusconi, 1979; Destino della necessità,
Adelphi, 1980; Il parricidio mancato, Adelphi, 1985; Oltre il linguaggio, Adelphi, 1992;
Tautotes, Adelphi, 1995.
Severino, poi, ha pubblicato una serie di saggi divulgativi: vedi, ad esempio "A Cesare e a Dio"
e "La strada", "Sortite", “La buona fede”, Rizzoli. Si tratta di pubblicazioni che riprendono i suoi
articoli apparsi sul "Corriere della Sera" e sull’"Europeo". Ha pubblicato, inoltre, una storia
divulgativa della filosofia (Filosofia antica, moderna, contemporanea, futura), Rizzoli, ed un
manuale scolastico (Filosofia, 3 voll.), Sansoni.
Ci troviamo di fronte ad un lavoro sterminato e, per lo più, scritto con un linguaggio da addetti
ai lavori. Se non hai ancora letto niente di lui, ti suggerisco di iniziare con le pubblicazioni di
carattere divulgativo, partendo dalla stessa storia della filosofia della Rizzoli per arrivare a
"Cesare e a Dio” e a "La strada”, “La buona fede”, sempre della Rizzoli. Solo dopo potrai
accedere alle pubblicazioni più elevate, in particolare alla "Struttura originaria”, "Destino della
necessità”, "Tautotes”.
Entriamo subito nel merito dell'obiezione di Bontadini, obiezione che stimola Severino non solo
ad elaborare una solida difesa, ma anche a sviluppare il suo pensiero. Severino risponde che
Bontadini non effettua una fondamentale distinzione: quella tra l’"apparire empirico” (l'apparire
di questa penna) e l’"apparire trascendentale”, l'orizzonte, cioè, totale dell'apparire. Ogni ente
- e quindi anche ogni apparire empirico - entra ed esce da questo orizzonte trascendentale. Il
divenire - nel senso di "apparire" e scomparire" - è solo all'interno dell'apparire trascendentale,
mentre l'apparire trascendentale non diviene. Cosa ne dici?
Mi pare che Severino continui a negare l'esperienza: è noto che noi il mattino ci svegliamo e,
quindi, si sveglia quello che Severino chiama l'"apparire trascendentale".
L'obiezione è sensata. E' la classica obiezione: lo svegliarsi e l'addormentarsi non costituiscono
il sorgere e lo spegnersi della "coscienza" - o come la chiama Severino "apparire
trascendentale"? Severino, però, ti risponderebbe che non è possibile che "appaia il sorgere
dell'apparire" (sarebbe una contraddizione): ciò di cui appare il sorgere è l’"apparire empirico”
- l'apparire, ad esempio, del suono della sveglia -, non l'apparire trascendentale che, quindi, è
immutabile.
Così scrive Severino: "L'apparire empirico (cioè l'apparire 'di un contenuto particolare') non è
formalmente identico all'apparire trascendentale. Se anche dell'apparire empirico, quindi,
appare il divenire, ciò significa (come per ogni contenuto empirico) che l'apparire empirico eterno come ogni ente - entra ed esce dall'apparire trascendentale (e ciò che appare è appunto
questo suo entrare ed uscire dall'apparire trascendentale)" ("Risposta ai critici", in "La terra e
l'essenza dell'uomo", Milano, 1969). Cosa ne dici?
Non mi convince affatto. Anche con la distinzione sottile di Severino si avrebbe pur sempre un
"apparire" che "sparisce", un ente, cioè, che diventa non-ente, nulla: come potrebbe
continuare ad esistere un "apparire" che "non appare più"? Se si può disgiungere il "contenuto
empirico" dell'apparire dall'apparire (per cui si può pensare che il contenuto continui ad
esistere anche se non appare più), non si può disgiungere l'apparire da se stesso!
E' questa la logica dell'obiezione di Bontadini. Per Severino si tratta di una logica che confonde
i due tipi di apparire: non si può dire che l'apparire empirico non appare più, cioè è diventato
nulla, ma che è uscito dall'orizzonte dell'apparire trascendentale.
Severino non si limita a questa "difesa". Nei diversi suoi saggi la rende sempre più solida.
Seguiamo, ad esempio, un tratto del discorso che troviamo in "Tautotes”. La lampada è
spenta, cioè appare che la lampada è spenta, o meglio ancora appare (cerchio dell'apparire
trascendentale) l'apparire empirico della lampada spenta. Ad un certo punto la lampada si
accende, cioè sopraggiunge nel cerchio dell'apparire trascendentale la lampada accesa. Cosa
ne dici?
Severino non mi convince ancora: se prima il cerchio dell'apparire trascendentale non include
l'apparire della lampada accesa e poi lo include vuol dire che abbiamo un apparire (il cerchio
che include l'apparire della lampada accesa) che prima “non era”, cioè siamo di fronte ad un
non apparire che diventa apparire, il che - secondo la logica di Severino - è assurdo.
E' questa l'obiezione che lo stesso Severino affronta in "Tautotes”. Secondo Severino il cerchio
dell'apparire che non include la lampada accesa è, in quanto ente, eterno e, quindi, non è esso
che diventa inclusivo della lampada accesa. "Nel cerchio dell'apparire incomincia [...] ad
apparire quell'identità eterna che è il cerchio dell'apparire che include questa lampada accesa dove il cerchio dell'apparire che incomincia ad apparire si distingue dal cerchio che lo accoglie,
ossia è una parte di esso, che è la totalità dell'apparire - la totalità in cui è incluso sia, come
'passato', il cerchio che non include, sia, come 'presente', il cerchio che include la lampada
accesa" (pagg. 187-188).
Il linguaggio - come vedi - è per "addetti ai lavori". Dopo quanto abbiamo detto, forse anche tu
stai diventando un "addetto ai lavori". Cosa dici di questa ulteriore difesa?
Continua a non convincermi. Siamo di fronte, infatti, ad un vero e proprio regressus ad
indefinitum: quando appare la lampada accesa "appare" il cerchio dell'apparire che include tale
lampada accesa, in altre parole abbiamo un apparire dell'apparire dell'apparire che è infinito.
Anche questa è un'altra classica obiezione. Severino risponde che non si ha nessun regressus
ad indefinitum in quanto "quando questa lampada accesa incomincia ad apparire, incomincia
ad apparire 'questo suo stesso' incominciante apparire. L'incominciante apparire di questa
lampada accesa ha come contenuto 'se medesimo'" (Tautotes, pag. 189).
“Dunque - conclude Severino -, il cerchio dell'apparire che non include questa lampada accesa,
ed è isolato da essa, ed è eternamente isolato, non diventa ciò che include questa lampada
accesa. Quando questa lampada accesa incomincia ad apparire, il cerchio dell'apparire che non
la include non appare più solo, ma insieme ad esso incomincia ad apparire il cerchio che la
include, ossia la totalità dell'apparire è l'apparire dell'incominciare ad apparire. La totalità
dell'apparire è l'apparire del divenire, in quanto comparire dell'eterno. E l'apparire del
comparire dell'eterno [..] è l'indiveniente apparire del divenire, ossia del processo in cui
dapprima appare quell'eterno che è il cerchio non includente e poi appare il cerchio che include
questa lampada accesa" (ib. pag. 191).
Forse il tuo cervello sta fumando. Se fosse così, ti raccomando di non gettare la spugna.
Riprendi il percorso e spingi al massimo la tua concentrazione. Non si tratta di un problema da
poco: se è vero il discorso di Severino, non solo cade tutto il pensiero occidentale, ma cambia
radicalmente senso la tua stessa esistenza. Cosa ne dici?
Se fosse vero il pensiero di Severino, cambierebbe in peggio la mia esistenza: se tutto ciò che
entra nell'orizzonte dell'apparire trascendentale è eterno, tutto è necessario. Dove andrebbe a
finire, allora, la mia libertà? Che atteggiamento dovrei avere, dunque, di fronte alla vita se non
di fatalistica rassegnazione?
Tutto è necessario. E' la tesi a cui è arrivato coerentemente Severino in "Destino della
necessità”: tutto ciò che appare non solo è eterno, ma deve necessariamente apparire, tutto
ciò che accade (nel senso di "apparire") deve necessariamente accadere. L'unica scelta
possibile, allora, è quella della fatalistica rassegnazione? Severino ti risponderebbe: "Giacche'
se ogni cosa accade con necessità, allora non può esistere una zona franca dove agli uomini sia
consentito di incrociare le braccia a loro piacimento e di smettere di agire e di prendere
decisioni. Se tutto questo - cioè la rassegnazione - accadesse, accadrebbe per necessità” (in
"La strada”, Rizzoli, pag. 139).
Severino - coerentemente col suo parmenidismo (un parmenidismo che - come sai - supera lo
stesso Parmenide in quanto ogni ente è "essere" e, in quanto tale, è eterno) - arriva a negare
qualsiasi libertà, qualsiasi "contingenza": tutto ciò che appare, appare necessariamente. La
stessa concezione tradizionale dell'uomo viene sconvolta: l'uomo non è un "io che pensa", un
"io che ha una volontà e che decide" (quello che noi chiamiamo "io" non è altro che un
contenuto dell’"apparire trascendentale", così quello che chiamiamo "volontà"), ma è tout court
l’"apparire trascendentale”. Cosa ne dici?
Mi pare che Severino sia rimasto intrappolato nell'idealismo contro tutta la quasi totalità della
cultura contemporanea che - rivalutando l'individuo concreto, in carne ed ossa, individuo che
progetta il suo destino - ne ha preso le distanze.
Indubbiamente l'idealismo (come per Bontadini, suo maestro) è il suo punto di partenza:
l'idealismo ha avuto il merito di aver fatto cadere il diaframma - idea, immagine,
rappresentazione, fenomeno - tra pensare ed essere e di aver affermato che l'apparire
trascendentale - nella terminologia severiniana - è intrascendibile. Severino, tuttavia, va oltre
l'idealismo nella misura in cui afferma che le cose che appaiono esistono anche prima di
apparire ed continuano ad esistere anche dopo l'apparire. Siamo agli antipodi di gran parte del
pensiero contemporaneo? E' vero.
Chiudiamo qui l'analisi del pensiero severiniano. Si tratta, ovviamente, di un approccio
propedeutico. Più lo leggerai, più scoprirai un grande rigore - al di là della tua posizione che
può essere critica - e più scoprirai la radicalità della "distruzione" severiniana del pensiero e
della civiltà occidentale: per lui la stessa tecnologia con la quale si pretende creare qualcosa di
nuovo è figlia legittima della concezione "nichilistica” dell'essere. Buona lettura!