La società multiculturale, i minori stranieri e il ruolo della scuola

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La società multiculturale, i minori stranieri e il ruolo della scuola
2/ La scuola per i bambini stranieri
La società multiculturale,
i minori stranieri
e il ruolo della scuola
di Carlo Rubinacci∗
1. Identità culturale e società multiculturale
Ormai le interazioni tra società e culture diverse si fanno sempre più fitte ed
intricate. E per la prima volta, su così ampia scala, si va delineando una condizione
multiculturale della convivenza umana, nella quale le coordinate fondamentali entro
cui l'uomo concepisce la propria esistenza, quelle di spazio e di tempo, vengono ad
essere condivise e convissute attraverso modi di interpretazione e di intervento
risalenti a diversi orizzonti sociali e culturali. Il mondo intero si viene a proporre come
società multiculturale globale, caratterizzata dall'intensità degli scambi a tutti i livelli e
dall'interdipendenza delle economie, per effetto del progresso scientifico-tecnologico,
della rapidità dei trasporti e dell'immediatezza dei mezzi di comunicazione a distanza.
Questo processo va avanti dovunque fra due tensioni opposte: da un lato una
tendenza a rendere universali valori, linguaggi, beni, significati; dall'altro una tendenza
a riservare, specificare, separare. È comunque innegabile che mai come in questo
periodo storico un così vasto numero di individui si sia dimostrato così assetato di
rapporti, di conoscenze, di relazioni: tutto ciò che è prodotto, pensato, rappresentato è
diffuso, esportato, venduto e tutte le culture, anche se a livelli diversi e con modalità
diverse, sono coinvolte in un incessante scambio.
A fronte di tutto questo, peraltro, episodi di intolleranza e di violenza recentemente
avvenuti in alcuni paesi europei ed anche in Italia dimostrano la permanenza, anche
nella nostra società, di istinti, atteggiamenti e ideologie razziste fondate sulla
disinformazione, sul pregiudizio e sul rifiuto della diversità, che alimentano
inevitabilmente chiusure egoistiche e particolaristiche. Accanto a forme convinte di
apertura, convivono tendenze alla chiusura, all'insegna di visioni autarchiche e di una
malintesa difesa della propria identità culturale.
Le nuove generazioni maturano e studiano in questo clima. La sfida di oggi - per
loro e per noi - è una capacità diversa di affrontare le relazioni con le differenze, tesa
ad investire tutti i campi del nostro sistema di vita: dalla redistribuzione delle risorse
all'organizzazione del lavoro, dalla partecipazione alle attività culturali e sociali alle
politiche di formazione e istruzione, dalla garanzia e tutela della convivenza civile alla
progettazione di un futuro di solidarietà e di cooperazione.
Occorre iniziare un processo di ricerca di nuovi modi di pensare e di vivere per la
costruzione lenta e faticosa di un percorso che non esclude nessuno e richiede la
capacità di rileggere i significati di concetti quali identità culturale, identità etnica,
assimilazione, integrazione, identità-alterità. Si tratta di superare una visione del
mondo univoca, autarchica e autoreferenziale, in direzione dello sviluppo di una
condizione multiculturale dell'esistenza umana.
∗
Direttore didattico, Roma.
Bisogna perciò avere e proporre nuovi schemi di riferimento per interpretare ed
affrontare le diverse realtà intorno a noi, con le quali dobbiamo interagire. La nostra
identità culturale non è qualcosa che si salvaguarda, si esprime e comunica all'interno
di confini etnici e territoriali chiusi, ma qualcosa che si protegge, si alimenta in un
costante confronto e che richiede spesso una verifica, addirittura una negoziazione con
le identità diverse che convivono.
Le sollecitazioni provenienti dal bisogno di equilibrio tra l'identità nazionale e la
dimensione multiculturale, in vista di un comune arricchimento basato sul rispetto,
sullo scambio, sul dialogo e sulla reciprocità, ripropongono anche l'urgenza del ruolo
promozionale, orientativo e formativo della scuola, che può essere determinante per
disegnare scenari futuri in cui culture diverse si aprano al rapporto senza porsi in
un'ottica di riduzione delle differenze, in cui si accettino l'ibridazione culturale, sociale
e genetica, dando vita ad una società che ricerchi spazi sempre nuovi di
comunicazione, pronti a superare i limiti e i condizionamenti di interpretazioni
unilaterali della realtà.
2. I figli degli immigrati
In questo quadro di grande complessità si inserisce l'immigrazione degli abitanti dei
paesi europei ed extraeuropei in Italia, che rappresenta un fenomeno ormai
irreversibile, destinato ad acquistare una maggiore rilevanza nei prossimi anni e che
non è più pensabile né sostenibile soltanto in termini di emergenza.
È noto come la vita degli immigrati in società culturalmente diverse sia fonte di
grande tensione, sia a livello collettivo sia a livello individuale, per l'ospite e l'ospitato.
Per il nucleo immigrato scaturisce, al suo arrivo, la rottura di un modello culturale
monolitico e il venire meno di un univoco riferimento ad una organizzazione
sociopolitica del territorio.
Se fissiamo l'attenzione sui problemi che devono affrontare i figli degli immigrati,
una delle difficoltà più evidenti è quella che scaturisce dallo sradicamento culturale e
sociale dei genitori: spesso questi tentano di sostituire il loro doloroso vissuto di
estraneità, che provano rispetto alla nuova cultura, attraverso una rigida fedeltà ad un
modello della cultura di origine che con il passare del tempo diventa sempre più
stereotipato e formale. Così, sentendosi smarriti da un punto di vista culturale e
minacciati da un punto di vista economico e sociale, non riescono a realizzare una
sintesi coerente tra i modelli educativi che ritengono sia giusto testimoniare e le
aspirazioni di integrazione che nutrono per i loro figli.
Per questi ultimi, di conseguenza, la formazione di un'identità culturale rinnovata ed
equilibrata è ostacolata dal timore di essere considerati dei traditori della cultura
originaria e di essere privati del sostegno dei compatrioti, che rimangono sempre un
importante punto di riferimento.
Quando le relazioni con la cultura della società ospitante si sviluppano in un
contesto di conflittualità e di ambiguità, il minore straniero vive una situazione di forte
contraddittorietà interiore, con conseguenti atteggiamenti di rifiuto, ribellione, disagio,
devianza. È necessario allora coinvolgerlo il più presto possibile in un percorso
formativo che lo aiuti a inserirsi nella società senza mitizzare o disprezzare la sua
cultura d'origine, da considerare degna di rispetto: è infatti sulla base di un'equilibrata
conoscenza di sé e degli altri che l'evoluzione dell'identità, sia quella individuale sia
quella culturale, diviene realmente libera e consapevole.
3. I minori stranieri adottati
Per alcuni aspetti la condizione del minore straniero adottato è differente da quella
di un minore straniero immigrato da solo o con la sua famiglia. Ci sono peraltro dei
punti di analogia: in misura accresciuta quanto più il bambino arriva in Italia non
piccolissimo, l'adozione di un minore straniero comporta un'ampia e incondizionata
disponibilità dei genitori adottivi ad accettare e valorizzare la diversità del minore
proveniente da un altro Paese, quindi la sua appartenenza ad una cultura, ad un modo
di pensare e di vivere che possono essere anche molto lontani. I nuovi genitori devono
avere la capacità di affrontare con equilibrio e saggezza tutte le problematiche della
crescita del minore, soprattutto nella fase di costruzione della propria identità, che
dovrà fare i conti con l'identità culturale di provenienza e con l'identità culturale di
adozione.
Attraverso il confronto tra i valori portati dal minore straniero e i valori veicolati
dai genitori adottivi si può arrivare a stabilire un doppio sistema di alleanza, al centro
del quale il minore adottato può trovarsi diviso tra fedeltà contraddittorie, capaci di
acuirsi nella fase tipica delle crisi adolescenziali. Anche i genitori adottivi più sensibili
e capaci di stabilire una valida relazione con il mondo affettivo ed emotivo del minore
possono vivere difficili momenti di disorientamento e di impotenza di fronte a tali
crisi. Possono subentrare allora in essi le tendenze all'iperprotezionismo sul minore,
alla cancellazione dell'identità del suo passato e al primato dei modelli educativi e
comportamentali di appartenenza su quelli di provenienza del minore.
In tale situazione diventa, invece, indispensabile sostenere il minore nella conquista
dell'autostima, nell'accettazione della diversità di cui è portatore come ricchezza di cui
rendere partecipi gli altri, nel desiderio di autorganizzazione e di una vita serena.
4. L'inserimento scolastico del minore straniero
4.1. Le aspettative dei genitori
Vi è nelle famiglie immigrate, da una parte, un grande investimento nella riuscita
scolastica dei minori e, dall'altra, la volontà di mantenere intatti i sistemi di valore
familiare e i riferimenti religiosi, linguistici, comunitari di appartenenza.
Se l'immigrato adulto poteva continuare per anni a vivere in una condizione di
invisibilità sociale, limitando al massimo le relazioni, spesso senza conoscere i servizi
sociali, sanitari, educativi, la presenza dei minori rompe l'isolamento e costringe il
genitore straniero ad assumere ruoli sociali e non più soltanto quello, limitato e
marginale, di lavoratore straniero. Egli deve informarsi, muoversi nella società in
modo diverso, usare servizi e strutture per garantire al figlio condizioni di vita
migliori. Il progetto migratorio si ridefinisce, allora, sulla base di nuove aspirazioni, di
aspettative per la riuscita dei figli, di un inserimento sociale meno provvisorio e
marginale attraverso l'inserimento scolastico.
In tale contesto molti genitori stranieri vivono con ansia, paura, diffidenza il
momento in cui compiono la scelta di affidare i loro figli ad un'altra istituzione come la
scuola. Altra e distante per lingua, religione, alimentazione, orari. Altra e poco
controllabile nei valori e nei modelli educativi proposti e perseguiti.
I genitori stranieri tendono, quindi, a mantenere una rigida divisione tra i due spazi,
quello familiare e quello scolastico. Se nel paese di origine non vi erano significative
fratture fra il modello educativo familiare e quello esterno dell'organizzazione sociale
e comunitaria, la situazione di migrazione evidenzia, in maniera più o meno forte, le
differenze e le distanze tra i due spazi di socializzazione. E così, al momento
dell'inserimento nella scuola, spesso i genitori stranieri dispongono di informazioni e
di strumenti deboli e inadeguati per far fronte al ruolo parentale nella società di
accoglimento.
Non sono da meno le preoccupazioni dei genitori che hanno adottato un minore
straniero al momento dell'inserimento a scuola.
Se i genitori stranieri, anche per la scarsa conoscenza della lingua e le difficoltà di
comunicazione, tendono a restare ai margini della partecipazione alla vita della scuola,
i genitori adottivi hanno bisogno di vedere nella scuola un valido interlocutore ed un
alleato nel sostenere il difficile compito dell'educazione del figlio straniero. In varie
occasioni si rendono disponibili a concordare con gli insegnanti gli stili
comportamentali capaci di garantire un contesto rassicurante per il figlio, a conoscere
le aspettative, le motivazioni, le logiche della scuola, ad evitare equivoci e malintesi e
ad alimentare una reciproca conoscenza approfondita.
4.2. Le responsabilità e le risorse della scuola
La scuola assume un ruolo fondamentale nella predisposizione di un adeguato
assetto organizzativo sia dell'accoglienza del minore straniero sia dell'offerta formativa
in chiave interculturale.
È necessario che la scuola raccolga informazioni relative ai dati anagrafici, alla
scolarità precedente, alle abitudini alimentari e religiose, alle esperienze familiari ed
extrascolastiche, alle aspettative dei genitori. Oltre alle notizie sull'alunno, raccolte
indirettamente, bisogna procedere ad osservazioni che consentano di accertare il più
repentinamente possibile le abilità linguistico-comunicative, le modalità relazionali, gli
atteggiamenti e le motivazioni. Inoltre, è cruciale che si adotti una metodologia non
solo centrata sul minore nel caso in cui l'alunno straniero segnali disagi, solitudini,
autoesclusioni.
L'inserimento scolastico va concepito come costruzione di un habitat educazionale
capace di cogliere nel minore straniero la consapevolezza della perdita di orizzonti e
figure significative, tra plurime difficoltà affettive e identificative, rendendo possibile:
- la facilitazione cognitiva (si apprende meglio se il clima di lavoro è ricco di messaggi
di accettazione);
- la riduzione del tasso di vulnerabilità emotiva e cognitiva cui il minore è esposto;
- la conferma culturale - e quindi la legittimazione - di una storia diversa da quella
della maggioranza degli altri alunni.
Non va trascurato il fatto che la scuola si distingua da altre agenzie di informazione
culturale, primi fra tutti i mass media, che più o meno intenzionalmente e più o meno
efficacemente educano le nuove generazioni, per la dimensione relazionale che la
caratterizza e attraverso la quale il rapporto con la conoscenza diviene soprattutto
rapporto con le persone che di quella conoscenza sono mediatrici.
Proprio in forza di questa sua specificità l'azione della scuola si traduce in
innumerevoli, preziose occasioni di incidere significativamente sul processo di crescita
umana e sociale dei minori stranieri, alimentando il senso della fiducia, l'autostima e la
motivazione verso il successo scolastico e contribuendo ad allontanare il rischio della
devianza, con particolare attenzione nell’attuare percorsi educativi e di apprendimento
individualizzati.
5. L'educazione del minore straniero
5.1. L’educazione interculturale
L'educazione interculturale implica un progetto della scuola che intende intervenire
sulle profonde trasformazioni sociali, causate dalla compresenza di culture diverse,
promuovendo la formazione di conoscenze e atteggiamenti orientati verso la
possibilità di un rapporto dinamico tra culture.
Anche se l'intervento educativo della scuola non può da solo governare il
cambiamento, esso costituisce tuttavia un contributo indispensabile nella prospettiva di
superare l'etnocentrismo e di prevenire le sue degenerazioni ideologiche, in quanto fa
riferimento ai seguenti aspetti da considerarsi inscindibili:
- la scolarizzazione degli alunni provenienti da altre culture;
- l'educazione interculturale degli alunni anche in assenza di alunni stranieri nelle
classi; - la prevenzione del razzismo e dell'antisemitismo;
- la tutela delle minoranze e del loro patrimonio culturale e linguistico.
È noto che ciascuno di noi, nella misura in cui si identifica con il proprio gruppo di
appartenenza, consapevolmente o meno fa ad esso riferimento privilegiato od
esclusivo. Il bambino in particolare parte da un atteggiamento secondo cui la propria
cultura è ovvia e naturale, l'unica possibile, fondamento indiscusso delle proprie
gerarchie di valori, fonte di ogni criterio di giudizio possibile. Anche se i cambiamenti
sociali lo mettono a contatto con mentalità diverse, la cultura di appartenenza non può
non essere parte integrante della sua personalità, quadro di riferimento di conoscenze,
comportamenti, valori.
Nel momento in cui il bambino esce dalla fase dell'egocentrismo psicologico dei
primi anni di vita, decentrandosi nel rapporto con gli altri e ritornando su se stesso nel
processo di strutturazione della propria personalità, può superare l'etnocentrismo
attraverso un graduale decentramento del proprio punto di vista, acquistando la
consapevolezza che esistono altre possibili risposte al vivere sociale, per poi tornare
alla propria cultura con una percezione più ricca di chi siamo e di chi potremmo
essere. L'educazione interculturale ha lo scopo di favorire una dialettica costruttiva tra
identità e alterità, allontanando la concezione della diversità intesa come inferiorità,
pericolo sociale, sintesi del negativo.
Il percorso non è soltanto cognitivo e intellettuale, ma investe la stessa costruzione
del sé. La questione assume, pertanto, specie per l'infanzia e l'adolescenza, una
rilevanza generale che investe lo sviluppo complessivo della personalità.
L'educazione interculturale non è estranea neppure ai processi fondamentali
dell'apprendimento, nella misura in cui la conoscenza si struttura anche a partire dai
contrasti, attraverso la rilevazione delle differenze e le procedure con cui queste sono
messe a confronto.
L'importanza della dialettica identità/alterità è diventata visibile in tempi recenti,
quando l'intenso mutamento e i livelli crescenti di contraddizione e di conflittualità
hanno reso più complessi i processi formativi, richiedendo a ciascuno una salda
autopercezione e, nello stesso tempo, una plasticità adeguata ai ritmi del cambiamento.
In questo quadro l'azione della scuola contempla:
- la promozione di atteggiamenti ispirati alla comprensione reciproca, alla tolleranza,
al giudizio critico, al rispetto delle proprie tradizioni , alla solidarietà;
- il rifiuto di ogni manifestazione xenofoba e razzistica;
- la creazione di momenti di aiuto linguistico per i più svantaggiati e di padronanza
delle abilità comunicative in lingua italiana;
- il sostegno alle famiglie immigrate affinché comprendano come opera e funziona il
sistema scolastico, che cosa chiede loro e i perché dell'attenzione per i comportamenti
di tipo relazionale adottati dai docenti con i loro figli, la cui vulnerabilità non è
soltanto conoscitiva ma anche emozionale;
- l'inserimento nei programmi di studio di argomenti inerenti le culture straniere
presenti nei territori cui appartengono le scuole;
- la ricerca di connessioni interdisciplinari volte a valorizzare la cultura e le tradizioni
degli altri;
- l'apertura ai rappresentanti delle comunità straniere, perché possano svolgere
funzioni collaborative e di supporto, anche in qualità di testimoni chiamati a raccontare
dei modi di vita, dei costumi, delle concezioni della loro cultura e di ciò che significa,
come minoranza etnica, vivere nel nostro paese;
- il confronto con tutte le occasioni multiculturali extrascolastiche cui i diversi istituti
possano partecipare con le loro scolaresche (musica, teatro, mostre, manifestazioni e
feste).
In definitiva, l'educazione interculturale in ambito scolastico assume le finalità di
promuovere, sostenere e potenziare la formazione alla comprensione, alla
cooperazione, al superamento dei pregiudizi e degli stereotipi, all'acquisizione di
elementi concettuali sulla natura antropologica delle culture umane, alla disponibilità
nei confronti degli altri popoli e delle loro culture, alla corretta costruzione e
padronanza del principio di identità.
5.2 I programmi per un’educazione interculturale
Non mancano riferimenti all'educazione interculturale nei documenti programmatici
della scuola nel nostro Paese. Già nei programmi della scuola media del 1979
ritroviamo il richiamo ad una scuola “non ancorata ad un'unica interpretazione della
realtà, ma effettivamente aperta a tutti i fermenti e agli apporti del mondo esterno” e
per quanto riguarda la dimensione della socializzazione si precisa come essa comporti
il mettere gli alunni “a contatto con i problemi e le culture di società diverse da quella
italiana favorendo così anche la formazione del cittadino dell'Europa e del mondo,
educando ad un atteggiamento mentale di comprensione che superi ogni visione
unilaterale dei problemi e ci avvicini all'intuizione di valori comuni agli uomini pur
nella diversità delle civiltà, delle culture e delle strutture politiche”.
Nei programmi della scuola elementare del 1985, anche se l'espressione
‘educazione interculturale’ ancora non compare, le dimensioni della "comprensione e
della cooperazione con gli altri popoli" e l'opera di prevenzione e contrasto della
formazione di "stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture" sono
ampiamente valorizzate.
Ma è negli Orientamenti per la scuola materna del 1991 che la questione è posta
nella sua specificità quando si avverte che “l’accentuarsi delle situazioni di natura
multiculturale e plurietnica... può tradursi in occasione di arricchimento e di
maturazione in vista di una convivenza basata sulla cooperazione, lo scambio e
l'accettazione produttiva delle diversità come valori ed opportunità di crescita
democratica” e, tra le finalità di questa scuola, si qualifica la maturazione dell'identità
“non in forma esclusiva ed etnocentrica, ma in vista della comprensione di comunità e
culture diverse dalla propria”. In questo testo si dichiara espressamente come un risalto
del tutto particolare spetti "all'educazione alla multi-culturalità che esige la maggiore
attenzione possibile per la conoscenza, il riconoscimento e la valorizzazione delle
diversità che si possono riscontrare nella scuola stessa e nella vita sociale in senso
ampio”.
Negli anni Novanta il Ministero della pubblica istruzione è tornato più volte sulla
questione interculturale affrontandola nei suoi termini generali e in quelli più specifici
della presenza delle scuole italiane di alunni stranieri.
Dichiarazioni provenienti da insegnanti dei vari ordini di scuola e di discipline
diverse consentono di rilevare come sia diffusa nel corpo docente l'interpretazione di
un'educazione interculturale che dovrebbe riuscire ad attraversare l'intero processo
formativo e configurarsi come uno stile che accompagna e qualifica il modo
d'insegnare. Sembrano quindi superate dalla scuola interpretazioni limitative che
confinano in alcuni spazi e tempi determinati l'educazione interculturale e affermata
l'importanza di un contatto con le diverse culture e di esperienze direttamente vissute.
Oggi, infatti, la stragrande maggioranza degli insegnanti ha maturato la convinzione
che il proprio lavoro non si può esaurire su un piano tecnico-informativo, ma si
estende ai complessi problemi che la crescita psicologica e culturale di un minore
comporta. La scuola è sicuramente impegnata nella dimensione cognitiva, che ne
costituisce la ragione istituzionale, ma è chiamata anche a considerare l'incontro con il
sapere nei suoi apporti profondamente formativi.
Così dalla scuola materna alla scuola secondaria superiore si vengono configurando
tematiche e metodologie - dai giochi alle drammatizzazioni, dalle ricerche d'ambiente
alle analisi storiche antropologiche e sociali - che introducono e progressivamente
approfondiscono significati portanti del discorso ben oltre il generico appello al
rispetto per l'altro e il diverso.
5.3. L’educazione alla salute
L’azione della scuola per l’educazione alla salute riguarda tutti, ma ha una sua
specificità per i minori stranieri.
La salute non va intesa esclusivamente come benessere fisico, ma come armonia
delle componenti fisico-psichiche-relazionali. Essa è quindi un valore da costruire, che
chiama in causa competenza diverse e, da questione puramente sanitaria, si trasforma
gradualmente in problema marcatamente educativo. Lo star bene fisico si presenta
strettamente legato ad un star bene psicologico, ad un benessere che deriva dal modo
di affrontare la realtà e di considerare la vita.
La salute si presenta così come una graduale conquista e come un valore che si
costruisce e si assimila vivendo esperienze significative, capaci di dare alla persona la
possibilità di mettere radici nella realtà e di sentire il piacere, la bellezza e la gioia di
appartenere agli esseri viventi e alla famiglia degli esseri umani. La salute si solidifica
offrendo alla persona occasioni concrete per sperimentare l’indipendenza, l’autonomia,
la libertà vera, in modo da rendere incompatibile e inaccettabile ogni forma di
comportamento dipendente e di autodistruzione fisica o psicologica. L’eliminazione
del disagio sembra importante ma non ancora sufficiente: infatti è possibile fare
maturare l’idea della salute come valore pieno che garantisce la qualità del vivere.
Tutto questo ha particolare rilievo per i minori stranieri. La sensibilizzazione dei
loro genitori agli impegni connessi alla prevenzione e all’educazione alla salute,
nell’ambito del Progetto genitori, può costituire un obiettivo importante e primario,
soprattutto se si pensa ai problemi sociali e culturali delle famiglie immigrate.
Sappiamo, in particolare, che le problematiche dello sviluppo preadolescenziale e
adolescenziale si acuiscono nell’ambito della complessità che caratterizza
l’inserimento sociale delle famiglie immigrate, che si sentono investite di un compito
gravoso di guida e di orientamento delle scelte del minore, reso più difficile dalla
compresenza di sistemi valoriali e culturali non sempre facilmente riconducibili ad una
rete di continuità educativa tra gli adulti che si occupano di lui, con conseguente rischi
di disagio psichico e di condotte devianti.
Il Progetto genitori, attraverso incontri con esperti e gruppi di lavoro, rappresenta
una occasione irrinunciabile per favorire il dialogo e la comunicazione tra scuola e
famiglia immigrata e tra famiglia immigrata e altre famiglie. È importante che i
genitori stranieri immigrati non vengano lasciati soli ad affrontare ambivalenze e
timori e che si possa costituire nella scuola uno spazio di confronto, una sorta di
alleanza tra adulti (genitori immigrati con altri genitori, genitori con docenti). In
questo modo l’elaborazione collettiva delle ansie specifiche del ruolo genitoriale
attivate dall’evoluzione della personalità dei figli non suscita più insormontabili difese
protettive.
L’ambiente scolastico recepisce così le più complesse dinamiche dell’intero sistema
sociale e, nella consapevolezza delle aspettative a livello personale, relazionale e
istituzionale, cura la rifinalizzazione dell’offerta culturale mediante l’attuazione di un
itinerario formativo orientato alla prevenzione del disagio e della devianza.
Educare per prevenire, tuttavia, costituisce un obiettivo che non può essere legato
alle sole risorse della scuola. Esso si rende praticabile attraverso una stretta alleanza
tra scuola, famiglia, istituzioni culturali e sociosanitarie del territorio, nell’intento di
incidere in maniera significativa sulle capacità di elaborazione attiva e critica del
minore straniero, impegnato a realizzare un modo personale di essere, pensare,
progettare, agire, interagire.