Ammissibilità delle varianti

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Ammissibilità delle varianti
Seminario FESR 2
Ammissibilità delle varianti in corso d’opera
In base al principio fondamentale di garanzia della concorrenza, le stazioni appaltanti
devono assicurare la piena ed effettiva concorsualità delle procedure di gara e la libera
partecipazione degli operatori economici, anche, ed in via prioritaria, al fine di tutelare il profilo
della economicità degli affidamenti, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
163 recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
Pertanto, l’interesse ad estendere la fruizione di prestazioni relative a contratti pubblici in
corso di esecuzione, seppur a condizioni particolarmente vantaggiose, va contemperato con
l’interesse collettivo alla massima apertura delle commesse pubbliche.
In tale ottica, la direttiva 2004/18, all’articolo 24 (Varianti), prevede la possibilità per le
amministrazioni aggiudicatrici di autorizzare gli offerenti a presentare varianti, a condizione che
introducano un’indicazione in tal senso nel bando di gara oltre che i requisiti minimi che le varianti
devono rispettare e le modalità per la loro presentazione nel Capitolato d’oneri.
La direttiva prende altresì in considerazione l’ipotesi di estensione della fruizione
quantitativa delle prestazioni di un contratto non prevista nella relativa fase progettuale,
qualificandola come nuovo affidamento senza previa pubblicazione di un bando di gara di lavori o
servizi “complementari” e, in quanto tale, percorribile solo in poche predeterminate circostanze,
caratterizzate da presupposti stringenti e limiti tassativi (Cfr. art. 31, n. 4 della direttiva 2004/18).
Per “lavori complementari” devono intendersi i lavori aventi natura extra-contrattuale, ovvero quei
lavori che, di fatto, costituiscono opere ulteriori rispetto a quelle originariamente previste in
contratto, ma che sono divenuti indispensabili per la completezza tecnica e funzionale dell’opera nel
suo complesso (es.: costruzione di un ulteriore tratto di galleria).
Nell’ambito dell’ordinamento italiano, il d.lgs. 163/2006, da un lato ha recepito le succitate
fattispecie di derivazione comunitaria (cfr. artt. 76 e 57, comma 5, rispettivamente, per le “varianti
progettuali in sede di offerta” e per i “lavori complementari”), dall’altro ha disciplinato le ipotesi di
estensione della fruizione quantitativa delle prestazioni di un contratto non prevista nella relativa
fase progettuale come appendice del contratto originario.
A differenza dei lavori complementari, si tratta di tutte quelle ipotesi in cui nel corso di
esecuzione del contratto emerga la necessità di realizzare maggiori opere, necessarie a realizzare
l’oggetto contrattuale come originariamente previsto (es. maggiori consolidamenti per realizzare un
tratto di galleria previsto nel contratto originario).
Premesso il divieto di mutamento sostanziale della natura dell’appalto quale presupposto di
ammissibilità delle varianti in corso d’opera, la disciplina dell’estensione in forma di variante è
regolata dal combinato disposto degli artt. 114 e 132 del d.lgs. n. 163/06 e degli artt. 311 (appalti di
servizi e forniture) e 161-162 (appalti di lavori) del decreto del Presidente della Repubblica del 5
ottobre 2010 n. 207 recante “Regolamento di esecuzione e attuazione del decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, recante “ Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE ”.
L’articolo 114, comma 1(Varianti in corso di esecuzione del contratto) stabilisce che
“Fermo quanto disposto dall’articolo 76, le varianti in corso di esecuzione del contratto sono
ammesse nei casi stabiliti dal presente codice.” 2. Il regolamento determina gli eventuali casi in
cui, nei contratti relativi a servizi e forniture, ovvero nei contratti misti che comprendono anche
servizi o forniture, sono consentite varianti in corso di esecuzione, nel rispetto dell’articolo 132, in
quanto compatibile.”
In base alla normativa nazionale, qualora ricorra una causa sopravvenuta ed oggettivamente
imprevedibile rientrante tra quelle tassativamente previste dalla legge (Cfr. art. 132, comma 1 del
d.lgs. n. 163/061 e art. 311, comma 1 del dpr n. 207/10) la stazione appaltante è legittimata ad
ordinare una variazione dei lavori - anche se non prevista nel bando e/o nel capitolato di gara - fino
alla concorrenza di un quinto dell’importo dell’appalto e l’esecutore è tenuto ad eseguire i variati
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L’articolo 132, comma 1(Varianti in corso d’opera) a sua volta dispone che “Le varianti in corso d'opera
possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti
motivi:
a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l'intervenuta possibilità
di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare,
senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell'opera o di sue parti e sempre che non alterino
l'impostazione progettuale;
c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in
corso d'opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibli nella fase progettuale;
d) nei casi previsti dall'articolo 1664, comma 2, del codice civile;
e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la
realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente
comunicazione all'Osservatorio e al progettista”.
Infine, l’art. 311 (Varianti introdotte dalla stazione appaltante), dopo aver previsto al comma 2 i casi in cui la
stazione appaltante può richiedere variazioni ai contratti stipulati, stabilisce che: “4. Nei casi previsti al comma 2, la
stazione appaltante può chiedere all'esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a
concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l'esecutore è tenuto ad eseguire, previa
sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad
alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Nel caso in cui la variazioni superi tale
limite, la stazione appaltante procede alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale dopo aver acquisito il
consenso dell'esecutore.
5. L'esecutore è obbligato ad assoggettarsi alle variazioni di cui ai commi 2 e 3, alle stesse condizioni previste dal
contratto.”
Gli artt. 161 e 162 del Regolamento aventi ad oggetto le varianti negli appalti di lavori contengono norme
similari.
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lavori alle medesime condizioni del contratto originario (Cfr. art. 311, co. 4 e 5 e artt. 161 e 162 del
dpr n. 207/10).
Considerato che l’ipotesi di modificare significativamente le condizioni del contratto dopo
l’aggiudicazione ha un forte potenziale elusivo di tutta la disciplina regolante il procedimento ad
evidenza pubblica di selezione dei contraenti, nel silenzio delle direttive in materia di appalti che
nulla dicono in merito, la legislazione italiana disciplina l’istituto della variante in corso d’opera
sottoponendolo ad una serie di restrizioni al fine di evitare collusioni tra la stazione appaltante e
l’appaltatore e a discapito degli interessi pubblici.
E’ interessante segnalare che la Corte dei Conti, (Sez. Contr., 15 gennaio 1991, n. 6) e il
Consiglio di Stato (sez. II, 25 maggio 1988 n. 518) relativamente alla fattispecie di derivazione
comunitaria dei lavori complementari, attualmente disciplinata dal sopra citato art. 31, n. 4) della
direttiva 2004/18, hanno ritenuto di coordinare tale ipotesi con le norme di diritto interno che
regolano varianti o aggiunte al contratto originario, facendo rientrare queste ultime nella più ampia
nozione di “lavori complementari” di cui all’art. 31, n.4) sopra citato, attestando così l’esistenza di
un vuoto normativo a livello comunitario relativamente alla disciplina della modifica dei contratti
durante il loro periodo di validità.
La Corte di Giustizia ha affrontato esaustivamente la questione con la sentenza 19 giugno
2008, n. C-454/06 (pressetext Nachrichtenagentur GmbH contro Republik Österreich (Bund) e
altri). Dato atto che alcune modifiche contrattuali, soprattutto in contratti di lunga durata, devono
considerarsi inevitabili e consentite, la Corte afferma che, benché le direttive appalti non affrontino
direttamente il problema, deriva dai principi generali in materia di appalti pubblici un generale
divieto di apportare modifiche oggettive e soggettive al contratto già concluso e in corso di
esecuzione.
Sulla base del divieto di mutamento sostanziale della natura dell’appalto – già rinvenibile
nella nostra normativa nazionale - la Corte specifica quattro ipotesi di modifica contrattuale
considerate come “sostanziali”, in quanto “atte a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i
termini essenziali” , tali da comportare l’obbligo per la stazione appaltante di bandire una nuova
gara, oggi trasfuse nella proposta di direttiva sugli appalti pubblici2.
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1) Modifiche che se fossero state previste nella procedura di aggiudicazione originaria, avrebbero consentito
l’ammissione di offerenti diversi rispetto a quelli originariamente ammessi;
2) Modifiche che se fossero state previste nella procedura di aggiudicazione originaria, avrebbero consentito di
accettare un’offerta diversa rispetto a quella originariamente accettata;
3) Modifiche che estendono l’appalto, in modo considerevole, a servizi inizialmente non previsti. La Corte
specifica che “Tale ultima interpretazione è corroborata dall’art. 11, n. 3, lett. e) ed f), della direttiva 92/50, il
quale stabilisce, per gli appalti pubblici di servizi aventi ad oggetto, esclusivamente o principalmente, servizi
elencati all’allegato I A di tale direttiva, talune restrizioni rispetto alla misura in cui le amministrazioni
aggiudicatrici possono ricorrere alla procedura negoziata per attribuire servizi complementari a quelli oggetto di
un appalto inizialmente aggiudicato.
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A differenza delle altre, l’ipotesi relativa alle “Modifiche che alterano l’equilibrio
economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario dell’appalto in modo non previsto dai termini
dell’appalto originario” -che comprende tutti i casi di modifica delle condizioni economiche
dell’appalto – è controversa, in quantoil requisito dell’”equilibrio economico contrattuale” è
difficile da definire, stante l’assenza di indicazioni quantitative nella sentenza.
Secondo una parte della dottrina 3, da una analisi comparatistica tra diritto europeo e diritti
nazionali degli Stati membri sul divieto di modifiche sostanziali del contratto in fase di esecuzione
introdotto a livello comunitario dalla citata sentenza non solo si giunge alla conclusione che non vi
è alcun contrasto tra le rispettive discipline, ma che è addirittura possibile trarre dai diritti nazionali
una regola uniforme circa la soglia oltre la quale la modifica contrattuale è suscettibile di alterare
l’equilibrio economico del contratto e, dunque, deve considerarsi essenziale, così da comportare
l’obbligo di una nuova gara.
Facendo ricorso all’art.11, r.d. 2440/1923 - non abrogato dal d.lgs. 163/06 e anzi riprodotto
integralmente dall’art. 311, commi 4 e 5 del dpr n. 207/10 sopra citato - la sentenza citata può
dunque essere interpretata nel senso che la soglia oltre la quale la modifica apportata al contratto
altera l’equilibrio economico del contratto coincida con il quinto del prezzo del contratto.
Dalle considerazioni appena svolte, è di tutta evidenza che, pur nel silenzio del legislatore
europeo, la disciplina nazionale delle modifiche contrattuali in corso di esecuzione del contratto non
solo risulta del tutto compatibile con i principi generali in materia di appalti pubblici - tanto che non
risulta alcuna procedura di infrazione comunitaria volta a sanzionare l’Italia per la violazione del
diritto comunitario in materia -, ma potrebbe rendersi altresì utile strumento di attuazione degli
ulteriori precetti in materia affermati dalla Corte di Giustizia.
La proposta di direttiva comunitaria sugli appalti pubblici, all’articolo 72, riprende le
principali soluzioni sviluppate dalla citata giurisprudenza e fornisce alle pubbliche amministrazioni
una soluzione pratica per affrontare circostanze esterne non prevedibili al momento
dell’aggiudicazione mediante l’adattamento di un contratto d’appalto pubblico durante il suo
periodo di validità senza ricorrere ad una nuova procedura di appalto.
L’articolo 72 prevede tre tipologie di “Modifiche ai contratti durante il periodo della loro
4) Modifiche che alterano l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario dell’appalto in modo
non previsto dai termini dell’appalto originario.
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M. Eugenio Comba, “L'esecuzione delle opere pubbliche con cenni di diritto comparato”, G Giappichelli Editore,
2011.
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validità”: modifiche sostanziali non ammesse, modifiche sostanziali ammesse, modifiche non
sostanziali (e quindi ammesse).
Le modifiche sostanziali non ammesse ricalcano le ipotesi già elaborate dalla citata giurisprudenza,
al fine di dare compiuta attuazione al divieto di mutamento sostanziale della natura dell’appalto.
Le modifiche sostanziali ammesse, sono le modifiche che, pur essendo sostanziali, non richiedono
una nuova procedura di appalto, purchè siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
(a) necessità di modifica determinata da circostanze che un'amministrazione aggiudicatrice
diligente non ha potuto prevedere;
(b) modifica che non altera la natura generale del contratto;
(c) eventuale aumento di prezzo non superiore al 50% del valore del contratto iniziale.
Si osserva che la lettera (a) e la lettera (b) rispecchiano le previsioni dell’art. 132 del Codice dei
Contratti Pubblici, ove sono prese in considerazione le fattispecie tassative in presenza delle quali
possono essere ammesse varianti in corso d’opera, sebbene abbiano carattere sostanziale, in quanto
tutte caratterizzate dal requisito dell’imprevedibilità.
La proposta di direttiva, rispetto all’articolo 132 del Codice, ha una previsione innovativa, sotto il
profilo della pubblicità, richiedendo che l'amministrazione aggiudicatrice pubblichi nella Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea un avviso di tali modifiche.
In riferimento, infine, alle modifiche non sostanziali, e quindi ammesse, individuate dalla proposta
di direttiva (ovvero: (a) modifiche di valore inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria nonché al
5% del prezzo del contratto iniziale; (b) modifiche previste nella documentazione di gara in clausole
o opzioni di revisione chiare, precise e inequivocabili), si osserva inoltre che il limite del 5% per
ammettere le varianti è contemplato anche dalla normativa nazionale, agli articoli 132, comma 3,
del d.lgs. 163/06, art. 161 e art. 311, commi 3 e 5 del dpr n. 207/10, quale condizione per poter
imporre all’appaltatore le varianti richieste dalla stazione appaltante.
Qualora le varianti in corso d’opera eccedano tale limite, similmente alla proposta di direttiva
comunitaria, la modifica si considera sostanziale e si dovrà indire una nuova procedura di appalto,
sempreché non ricorrano le ipotesi tassative previste all’articolo 311, comma 1, relativamente alle
quali, come abbiamo visto, opera il diverso limite del quinto d’obbligo.
A differenza della proposta di direttiva comunitaria, invece, la norma in questione è addirittura più
restrittiva condizionando le varianti alla ricorrenza di “circostanze sopravvenute e imprevedibili al
momento della stipula del contratto”.4
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Infatti, il citato art. 311 prevede che “3. Sono inoltre ammesse, nell'esclusivo interesse della stazione appaltante, le
varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento o alla migliore funzionalità delle prestazioni
oggetto del contratto, a condizione che tali varianti non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive
esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L'importo in
aumento o in diminuzione relativo a tali varianti non può superare il cinque per cento dell'importo originario del
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Da una comparazione tra la disciplina nazionale e la disciplina contenuta nella proposta di
direttiva comunitaria sugli appalti pubblici in materia di modifiche in corso di esecuzione del
contratto, si osserva che, da un lato, sotto alcuni aspetti, la prima sembra aver anticipato il
legislatore comunitario colmando un vuoto, dall’altro, la disciplina comunitaria regola la fattispecie
in maniera molto più esaustiva della normativa nazionale.
In conclusione, si rammenta che, anche oggi, è necessario distinguere tra la fisiologia del sistema (e
quello italiano è rispettoso dei principi comunitari) e la sua patologia per la quale, in presenza di
criteri che debbono necessariamente essere generali ed astratti (p.e. l’imprevedibilità), i medesimi
non possono essere troppo largamente intesi da stazioni appaltanti. Tale concetto, peraltro, è stato
più volte ribadito dagli organi di controllo italiani: valga per tutti, in proposito, l’Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici che, con Deliberazione n. 106 del 13/12/2006 ha sostenuto che
“Qualora la necessità di ricorrere a varianti sia determinata dalla mancata osservanza delle
prescrizioni assegnate alla progettazione e dall’insufficienza delle indagini preliminari, trattandosi
di circostanze note o prevedibili, non appare legittimo l’inquadramento delle relative varianti nelle
tipologie delle “cause impreviste e imprevedibili”, dell’“imprevisto geologico” e dell’“intervento
migliorativo”, di cui, rispettivamente, all’art. 25, comma 1, lett. b), b.bis) e c), e comma 3 della
legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m.”.
Dall’altro lato, va altresì segnalato che gli organi di controllo preposti dalle Istituzioni comunitarie
dovrebbero attenersi ai medesimi criteri di giudizio, astenendosi, per quanto possibile, dal fornire
interpretazioni che siano solo e soltanto restrittive, di una normazione nazionale che non è mai stata
incisa da pronunce di incompatibilità con il diritto comunitario.
contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione della prestazione. Le varianti di cui al
presente comma sono approvate dal responsabile del procedimento ovvero dal soggetto competente secondo
l'ordinamento della singola stazione appaltante.
5. L'esecutore è obbligato ad assoggettarsi alle variazioni di cui ai commi 2 e 3, alle stesse condizioni previste dal
contratto.
6. In ogni caso l'esecutore ha l'obbligo di eseguire tutte quelle variazioni di carattere non sostanziale che siano ritenute
opportune dalla stazione appaltante e che il direttore dell'esecuzione del contratto abbia ordinato, a condizione che
non mutino sostanzialmente la natura delle attività oggetto del contratto e non comportino a carico dell'esecutore
maggiori oneri.”
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