falterona, il “lago degli idoli”.

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falterona, il “lago degli idoli”.
FALTERONA, IL “LAGO DEGLI IDOLI”.
“nullus enim fons non sacer”
(Servio, ad Aen, 7, 84)
Un giorno (maggio 1838) tra i boschi del
Monte Falterona una pastorella vide affiorare
sulle sponde del lago delle Ciliegeta (a circa
1.400 metri di quota) il primo pezzo di una
grande scoperta archeologica.
In seguito a tale scoperta a Stia fu organizzata
una Società di “amatori” locali con lo scopo
di organizzare ulteriori ricerche.
Gli scavi portarono al prosciugamento
dello specchio d’acqua e al ritrovamento di
una delle più ricche stipi votive del mondo
etrusco, che fece assumere al sito la
denominazione di “Lago degli Idoli”
(FORTUNA GIOVANNONI, 11 segg.; DUCCI 2003,
11 segg.).
La pastorella forse non aveva riconosciuto
nella statuetta bronzea, che con le mani aveva
estratto dal terreno, Hercle (l’Eracle - Ercole
della mitologia classica) ma aveva capito che
si trattava di un oggetto prezioso.
“In un solo giorno sulle rive furono
ritrovati ben 335 bronzetti e nei giorni
successivi altro materiale si aggiunse, tanto da
formare in breve tempo l’eccezionale
ritrovamento di oltre 600 pezzi, tra statuette
umane complete, piccole teste, parti
anatomiche (busti, occhi, braccia, mammelle,
gambe, piedi), figure di animali, diverse
fibule, circa 1.000 pezzi di aes rude (pezzi di
bronzo irregolare usati come rudimentale
moneta), qualche pezzo di aes signatum
(pezzi di bronzo fuso di forma generalmente
ovoidale con rozzi segni indicanti il valore) e
di aes grave (la prima vera moneta di forma
rotonda con figure che ne identificano valore
e provenienza) ”, una moneta, probabilmente
romana, con effigiati Giano e un tempio,
“oltre 2.000 punte di frecce, numerosi
frammenti d’armi in ferro e di ceramica”
(DUCCI 2003, 11).
Detti reperti non costituiscono il fiore
all’occhiello di qualche museo toscano.
Purtroppo, dopo essere stati inutilmente
offerti all’Autorità Granducali, i “soci
ricercatori” ottennero il permesso alla vendita
a terzi. La ricca collezione fu venduta in
blocco ed a poco prezzo. Ne fu curata
un’esposizione nel dicembre del 1842 presso
l’Istituto Archeologico Germanico di Roma
ed è questa l’ultima notizia che si ha della
stipe completa.
Al British Museum i sette bronzetti
provenienti dal Lago degli Idoli occupano un
posto d’onore; altri sono conservati al Louvre;
uno a Baltimora ed una lamina bronzea è alla
Biblioteca Nazionale di Parigi (FORTUNA
GIOVANNONI, 16-18; DUCCI 2003, 13-15). Il resto
disperso non si sa dove, a parte, forse, quelli
che dovrebbero trovarsi nei magazzini
dell’Hermitage di San Pietroburgo. Il
riconoscimento della provenienza d’alcuni
reperti è stato possibile grazie alle descrizioni
e disegni che aveva pubblicato il Micali
(1844).
Il risveglio d’interesse per il Lago
degli Idoli ha coinciso con l’affermarsi della
cosiddetta “archeologia del culto” che in
questi ultimi anni sta catalizzando l’attenzione
degli studiosi, dai pre-protostorici ai classici.
“La consuetudine, probabilmente a
sfondo rituale o votivo, di gettare nelle acque
oggetti metallici di prestigio o di depositarle
in prossimità di esse è un fenomeno che,
almeno per quanto riguarda l’Europa, sembra
coinvolgere tutte le società preistoriche e
protostoriche. Recenti studi, infatti, rivelano
che questo particolare rito, legato all’acqua
(fiumi, torrenti, laghi, paludi, torbiere) ha
avuto una durata piuttosto lunga, che dall’età
del Rame (3.400 a.C.) arriva fino alla seconda
età del Ferro (seconda metà del I millennio
a.C.) con punta massima nel Bronzo recente
(XIII – prima metà del XII secolo
a.C.).Sempre indagini recenti evidenziano,
poi, che le armi (spade, pugnali, punte di
lancia, asce) sono pressoché esclusive durante
l’età del Bronzo, mentre verso la fine di
questo periodo e nell’età del Ferro si
affiancano o fanno la loro comparsa altri
oggetti, come spilloni, coltelli, rasoi, elmi,
roncole, anelli, bronzetti e vasellame”.
“La memoria di questo antichissimo
rito non scompare, comunque, con la fine
delle società classiche. Ad evocarne i legami
con
queste
pratiche
preistoriche
e
protostoriche sono sufficienti due esempi: il
mito bretone di Excalibur, la spada magica di
re Artù (ormai in punto di morte), che deve
essere scagliata nelle acque e restituita alla
Signora del Lago; oppure, venendo ai nostri
tempi, le monetine gettate nella fontana di
Trevi a Roma, ‘…caso tardo e giocoso’ (per
usare le parole del filologo Walter Burkert)
‘di sacrificio per immersione…’” (Cigni del
sole, 47-48).
Al seguito del ritrovamento d’altri tre
bronzetti molto deteriorati, nel 1972 fu deciso
dall’allora Soprintendenza alle Antichità
d’Etruria un limitato saggio di scavo sotto la
direzione di Francesco Nicosia (Profilo di una
valle, 52). Ma - come apprendiamo dal sito web
del Comune di Stia – “i numi disturbati
manifestarono la loro insofferenza con una
pioggia insistente, nonostante fosse pieno
agosto”.
Il recente progetto “Lago degli Idoli”
prevedeva lo scavo sistematico con il
recupero del materiale tralasciato dagli scavi
ottocenteschi, lo studio del sito, con analisi
polliniche, stratigrafiche e geomorfologiche:
lavori conclusi nel settembre 2006. I risultati,
presentati in un Convegno tenutosi a Poppi al
termine dello stesso mese, hanno dimostrato
che il Lago degli Idoli risulta essere la stipe
votiva che ha restituito il maggior numero di
confrontata con quelle alpine (1.654 metri),
dall’essere la montagna dominante di una
vasta zona della Toscana e regioni limitrofe.
Visibile dalla piana fiorentina come da
Arezzo e dal quale lo sguardo può spaziare su
una gran parte degli Appennini e valli
adiacenti. Nei suoi pressi doveva passare una
strada appenninica di collegamento tra Etruria
interna ed Etruria padana dato che i bronzetti
ritrovati sono stati attribuiti a fabbriche di
area etrusco padana, oltre che orvietane,
umbre e greche (FORTUNA GIOVANNONI, 3136, DUCCI 2003, 14-15). Ancora sul finire del
VII sec. a.c. il Casentino rappresentava la
propaggine più settentrionale del territorio
degli Etruschi, a diretto contatto con due delle
popolazioni che abitavano da tempo l’Italia
centrale: i Liguri a Nord e gli Umbri ad Est
(DUCCI 2003, 4, DEL PONTE 1999, Profilo di una
valle).
reperti. E’ previsto il ripristino dello specchio
d’acqua del lago, “per poter offrire di nuovo
al visitatore quell’immagine magica del posto,
che gli antichi Etruschi raggiungevano con
devozione e fatica” (DUCCI 2003, 18, DUCCI
2004, 6-8). I risultati della campagna di scavo
del 2003 condotti da Luca Fedeli sono stati
presentati nella mostra “Santuari Etruschi in
Casentino” del 2004.
Il laghetto, ancora in alcune carte
settecentesche sembra indicato quale origine
dell’Arno, anche se oggi è indicata come
“capo d’Arno” la sorgente che dista circa 500
metri dal luogo; “da alcuni studiosi è stato
ipotizzato che in antico fosse ritenuto anche
l’origine del Tevere, essendo i due fiumi
ancora uniti tramite la fitta rete dei canali che
formavano la Valdichiana” (DUCCI 2003, 16;
FORTUNA GIOVANNONI, 45-48: “Falterona, Arno e
Tevere”).
La sacralità del Falterona non deriva
unicamente dalle sorgenti ma, nonostante la
non eccessiva altezza della cima se
“Quanto al nome del monte in
particolare, il Devoto (in ‘Studi Etruschi’, XIII,
1939, p. 311 e segg.) lo ritiene derivato da un
plurale etrusco, FALTER o FALTAR, (…)
aggiunge che FALTER deriverebbe a sua
volta da una radice PAL-FAL, che ebbe
ampliamenti in –T (FALT-, appunto), in –AT
(PALAT-, da cui ‘palatium’, nome antico del
Palatino) o in –AD (FALAD-, da cui
‘Falado’, adattamento di una voce etrusca che
significava ‘cielo’ secondo Festo: v. M.
Pallottino, ‘Testimonia linguae etruscae’,
1968, n. 831). Sempre secondo il Devoto, la
radice PAL-/FAL- doveva indicare ‘una
forma rotonda o un oggetto di forma
imprecisata che ha funzione di coprire’, da
cui il significato più specifico di ‘volta’,
‘cupola’. La Falterona sarebbe cioè ‘un
insieme di cupole’”.
“E’ da notare però che la forma attuale ha una
terminazione (-NA) propria dell’etrusco (non
attestata in quelle che sarebbero le fasi
linguistiche
precedenti
secondo
la
ricostruzione del Devoto): non è da escludere
cioè che l’etimo odierno sia un adattamento
minimo di una forma etrusca con quella
terminazione. E’ forse troppo semplicistico
pensare ad un nome composto sempre dalla
radice FAL-, ‘cupola’, ‘volta (celeste)’ e da
TRUNA (etimo etrusco che secondo Esichio
corrispondeva al greco ARKE’ = ‘potere’,
‘principio’) per cui Falterona significherebbe
‘principio del cielo’?” (Fortuna in FORTUNA
GIOVANNONI, 37 n. 2).
Così anche nel nome il Falterona
ricorda i suoi legami col sacro.
“La sacralità è
propria dei luoghi
oscuri e tenebrosi,
nella penombra il
pensiero si raccoglie
e gli animi si
dispiegano secondo
le declinazioni del
cuore.
Le evocazioni
hanno bisogno di
luoghi eletti e il
bosco, il regno delle
oscurità e dei silenzi,
è un luogo eletto per
eccellenza.
E se il deserto,
eremitaggio
dei
santi, è il posto della verità perché non vi
sono ombre, in uguale misura il bosco è il
luogo dell’enigma vitale, dove le ombre di
una brulicante molteplicità trasformano il
paesaggio in una incessante metamorfosi e
dove l’animo sottratto ai vincoli del tempo e
dello spazio si dispiega secondo ritmi naturali
in una sorta di empatia con la natura, violando
i codici della comunicazione abituale.”
“Il bosco è fin dall’antichità luogo
sacro e iniziatici. Nella tradizione celtica i
druidi celebravano i loro riti nella foresta
dove alcuni alberi, ritenuti sacri, definivano
spazi riservati alle cerimonie. Anche tra i
Germani i più antichi santuari erano
probabilmente
boschi
naturali.
Nel
simbolismo della foresta confluiscono due
elementi: da una parte l’apertura verso il
cielo, sede del divino, dall’altra la radura,
definizione di uno spazio protetto e segreto,
ove avevano luogo i riti. La sacralità si estese
poi anche al culto degli alberi (…).”
“Il bosco è anche il luogo ove era
custodita la conoscenza primordiale e il luogo
delle prove iniziatiche” (MARESCA, 7).
Il bosco sacro è un lucus, ma con lucus
etimologicamente s’intendeva la “radura”.
Come ricorda anche il Dumézil la frontiera tra
i due significati non è assoluta e
probabilmente il passaggio dei significati è
avvenuto in una stadio antico della lingua
(DUMEZIL 1989, 46). Forse è bene ricordare che
i concetti di sacrum, sanctum e religiosum
non sono interscambiabili. “una stessa res può
essere ‘sacra’ in quanto consacrata agli dèi,
‘santa’ in quanto soggetta a sanzione di legge,
‘religiosa’ in quanto a violarla si offendono
gli dèi” (DEL PONTE 2003).
I boschi sacri, anche se riconosciuti
proprietà di un dio determinato (o non), erano
sotto certe condizioni accessibili all’azione
profana (sfruttamento economico). Prima di
tagliare una parte del bosco, secondo le
antiche preghiere tramandateci da Catone, il
contadino immolava un porco1 rivolgendosi al
1
Vale la pena ricordare che “requisito necessario per la
validità dell’offerta e dell’azione rituale il fatto che la
vittima manifestasse in qualche modo il proprio
consenso. Per questa ragione l’animale non poteva
essere condotto a forza presso l’ara, poiché ciò avrebbe
rappresentato un pessimo auspicio per il buon esito del
sacrificio” (SINI 2001, 200).
dio o dea del luogo “chiunque fosse”2. E per
le divinità dei boschi si arriva a parlare di
“fauni” e di “silvani” (etrusco Selvans) al
plurale, forme latino-italiche dell’antico
Signore degli animali (DEL PONTE 1998, 162163).
“Nullus lucus sine fonte, nullus fons
non sacer” ci ricorda Servio (ad Aen, 7, 84)
un’associazione naturale e la sacralità
dell’uno passa automaticamente all’altro. Ma
quale sarà la divinità del Lago degli Idoli? Il
calendario romano festeggia il 13 ottobre i
Fontinalia, consacrati alle sorgenti naturali in
cui venivano gettate corone e s’incoronano i
pozzi, dedicati a Fons (Fonte) figlio di Giano
e Giuturna (Juturna, Diuturna) (DEL PONTE
1998, 66, DUMEZIL 1977, 339-340, DUMEZIL 1989,
25-44, MIGLIORI 1981, 14, SABBATUCCI, 29-30 e
328-329 [Il quale evidenzia, anche, il legame fra
Fontinalia, festività dell’acqua sorgiva, e Meditrinalia,
11 ottobre, una delle feste del vino, nei loro aspetti
“medicamentosi”]). Nell’ambito di Giano (mi
Gianni” corruzione volgare del latino “Mons
Iani” (pare, infatti, cha ancora nell’ottocento
la località si chiamasse Monte di Giano,
anche se la storpiatura popolare cominciava
ad indicarlo col nome attuale) rendendo
ipotizzabile “addirittura che il patronato del
dio
coinvolgesse
l’intero
Monte
e
considerando il nome della borgata
casentinese alla stregua di oronimo latino del
Falterona” (Profilo di una valle, 105, FORTUNA
GIOVANNONI, 39-40 e bibliografia relativa).
“Macrobio (1, 11) evocò, tra le
intuizioni degli antichi indagatori del mondo
arcaico, quella che luminosamente in –anscorgeva il ‘cielo’” ricorda Semerano
riferendosi a detta componente all’interno dei
nomi di Culsans e di Ianus (123). Un’ulteriore
relazione tra Giano e Falterona?
piace ricordare che il dio bifronte si trova solo
nel pantheon latino, Ianus, ed in quello
etrusco, Culsans), il “buon creatore” del
Carmen Saliare, rientrano le sorgenti, non
solo in quanto padre di Fons e del dio-fiume
Tiberino, per aver salvato Roma dagli
assalitori sabini facendo zampillare davanti a
loro una sorgente d’acqua calda che li
spaventò e li mise in fuga, ma anche perché
patrono degli inizi (DEL PONTE 1992 e 1998,
DUMEZIL 1977, D’ANNA).
Non tenendo conto di queste
caratteristiche, la moneta di Giano trovata nel
laghetto potrebbe sembrare il risultato di
qualche fatto casuale ma anche la diffusione
d’idronimi derivati dal nome del dio3
contribuisce a dimostrare il contrario.
Soprattutto il vicino toponimo “Monte di
2
Catone, De agr. 139: Locum conlucare romano more
sic oportet: porco piacolo facito, sic verba concepito:
“Si deus, si dea es quorum illud sacrum est, ut tibi ius
est porco piacolo illiusce sacri coercendi ergo
harumque rerum ergo, sive ego sive quis iussu meo
fecerit, uti id recte factum siet, eius rei ergo te hoc
porco piacolo immolando bonas preces precor uti sies
volens propitius mihi, domo familiaeque meae
liberisque meis, harumce rerum ego macte hoc porcum
piacolo immolando esto” (in SINI 1991, 114, n. 97).
3
Fatucchi A., Janus sulle tracce del culto del Sole nel
territorio aretino, Arezzo s.a., cit in FORTUNA
GIOVANNONI 1989, 40 n. 5.
Escludendo la moneta col dio bifronte, l’unica
divinità presente risulta Ercole (il noto
bronzetto ora al British Museum ed in un altro
andato disperso ma riprodotto tra i disegni del
Micali, di probabile produzione umbra)
facendo supporre che fosse il nume tutelare
del santuario.
Il culto di Ercole era diffusissimo
nell’Italia antica, da lui percorsa di ritorno con
i buoi di Gerione ovvero alla ricerca del
giardino delle Esperidi, tra i vari popoli della
Saturnia
Tellus
(DEL
1994).
PONTE
2003,
“Eletto
nume
protettore delle acque sorgive, e venerato
come protettore dei viandanti, dei pastori e
dei mercanti: la presenza di immagini di
animali, bovini, ovini e volatili, riprodotti in
miniaturizzazione in sostituzione del reale,
farebbe pensare alla protezione richiesta al
nume da parte dei pastori che probabilmente
con le loro greggi migravano lungo il valico
appenninico posto nelle vicinanze. I resti delle
numerose armi, assieme alla rappresentazione
di guerrieri e giovani armati, richiamano
invece la richiesta di protezione da parte dei
militari, che in gran numero devono essere
passati nei pressi del lago. La presenza infine
di parti anatomiche del corpo umano sembra
indirizzare alla richiesta di una grazia o
all’offerta votiva al dio di una parte del corpo
dove poteva essere avvenuta una guarigione” (
DUCCI 2003, 16).
Ma Ercole era anche l’antenato
“comune” degli Etruschi e dei Romani.
“Figlio di Ercole e Omphale sarebbe stato
Tirreno (Dion.Hal.I.28; Paus.II.21.3; Hygin., Fab.
MASTROCINQUE
274), oppure il re Tuscus (Fest., p.487 L.;
Paul.Fest., p. 486 L), capostipiti dei Tirreni”
(MASTROCINQUE 1993, 23). Mentre secondo
alcune tradizioni Ercole con la figlia di Fauno
generò Latino (MASTROCINQUE 1993, 23-41 e
bibliografia relativa). Secondo quanto scriveva
l’erudito Giovanni Nanni Annio, nel fiorire
dell’umanesimo, Ercole sarebbe la divinità
tutelare dell’Arno (FORTUNA GIOVANNONI
1989, 27-28, n. 17).
Speriamo di poter nei prossimi anni rivedere
nel Casentino, nel corso di una Mostra in
programmazione, gli “Idoli” del Falterona
dispersi per il mondo, almeno quelli
identificati, insieme alle ultime scoperte.
Mario Enzo Migliori
Rielaborazione da: MIGLIORI 2005
Immagini da www.casentinoarcheologia.org
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