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Club Alpino Italiano Sezione di Salerno Gli Antichi Sentieri della Tuscia 30 aprile – 3 maggio 2009 Direttori: Myriam Caputo (339.25 71 600) Maria Teresa Labella (347.15 45 073) La Tuscia, “luogo sacro d’Etruria”, comprende l’intera provincia di Viterbo e parte di quella romana. Essa racchiude un terreno totalmente vulcanico, nato (quando la zona era ancora occupata dal mare) dall’attività esplosiva di importanti apparati vulcanici, che nell’alto Lazio hanno eruttato per circa 2 milioni di anni fino a quasi 50.000 anni fa: Volsino, dominato dalla vasta depressione lacustre di Bolsena; Vicano, con la centro il lago di Vico; Cimino, a sud-est di Viterbo che ha dato origine al lago di Bracciano. Ancora oggi si scava, sotto gli strati di pietra pomice grigia, la roccia vulcanica per estrarre i blocchi di tufo da costruzione che caratterizzano le architetture del luogo. Programma Giovedì 30 aprile Appuntamento a Piazza della Concordia (Salerno) alle h 15.30. Partenza da Salerno alle h 16.00 con bus privato. Arrivo in prima serata a San Martino in Cimino (5 km da Viterbo) con sistemazione presso i Villini del Balletti Park Hotel (4 stelle). Pernottamento e cena. In serata, visita libera del borgo di San Martino in Cimino. Venerdì 1° maggio Escursione sul Monte Cimino (1053 m) – Il più alto ‘vulcano’ del Lazio Dislivello: 600 m – Durata: 5 ore – Difficoltà: E Il Monte Cimino, con i suoi 1053 metri di quota, è il vulcano (ormai estinto da millenni) più alto del Lazio. I boschi di Soriano nel Cimino sono punteggiati da memorie geologiche che hanno centinaia di millenni di vita: massi catapultati a grandi distanze dall’antico vulcano Cimino e conficcati in materiali duri, rocce che il tempo ha eroso in forme inconsuete; imponenti massi lavici si sono venuti a sovrapporre gli uni agli altri, formando degli enormi cumuli, alti talvolta varie decine di metri, dalla forma verticale, rettilinea, perfetta. Nelle zone più basse del “Vulcano Cimino” predominano i boschi di quercia e, man mano che si sale, il monte è ammantato da una maestosa faggeta. Inoltre, disseminati sui fianchi del monte, si riconoscono ancora numerose aree sacre del periodo etrusco-romano e molte iscrizioni di epigrafi latine, poste sui macigni di origine lavica. Sul Monte Cimino era posto un importante santuario per il culto della divinità delle acque che, per l’integrità dell’insieme ambientale e per le caratteristiche della dea, doveva essere tra i più significativi. Il Santuario cimino (I-II secolo) era dedicato alla Bona Dea Valetudo: Valetudo era il nome specifico del ristretto santuario delle Acque, mentre la Bona Dea del Cimino era il nome tutelare dell’intero complesso montano, dove per Bona (la “Buona”) s’intendeva la terra fecondata dall’acqua e la ricchezza che ne derivava. L’iconografia tipica della divinità delle acque raffigurava una fanciulla che, sdraiata all’ombra di alberi secolari, faceva sgorgare l’acqua da un’urna fino ad un bacino costruito al centro di un’area sacra punteggiata di altari. Il Monte Cimino ricorre più volte nel mito classico: vi si rifugiarono le ninfee Melissa e Amaltea dopo aver sfidato l’ira di Saturno, per aver allevato, con il miele e il latte, il piccolo Giove nell’isola di Creta. Qui è nato il culto di Giove Cimino, principale divinità romana dell’area sacra del Cimino, del cui santuario, eretto in suo onore, restano soltanto pochi ruderi. Dopo la prima colazione, partenza al mattino a mezzo bus da San Martino in Cimino con destinazione Soriano nel Cimino: rinomata stazione climatica e di villeggiatura della Tuscia, dalla tipica forma eccentrica, si erge attorno all’imponente castello Orsini. L’itinerario si sviluppa nella parte più elevata del territorio di Soriano in Cimino, in località Soriano Alto (quota circa 570 m) e lungo la strada forestale della Trinità. Percorsi circa 400 metri si perviene, tra boschi recintati da ambo le parti, ad un cancello girevole per passaggio pedonale posto sulla destra e che immette su un sentiero per lo più pianeggiante, il quale ricalca il tracciato di un’importante mulattiera che nei secoli univa Soriano con Bagnaia e Viterbo. S’imbocca il sentiero suddetto e, dopo circa 10 minuti di cammino, si raggiungono, a ridosso di un’alta parete di roccia e seminascoste tra vecchi castagni, le poderose rovine della chiesa cinquecentesca (ad unica navata) della SS. Trinità (quota 617 metri), affiancate dai resti di un convento agostiniano. Ci troviamo in località Fondo di Paterno. E’ una delle zone più spettacolari del Monte Cimino, un luogo pieno di fascino, mistero e leggenda. Sembra che un primo eremo sia stato ivi fondato dagli Agostiniani intorno al 1159. Apprezzato e frequentato dal pontefice Niccolò III Orsini, che vi soggiornò durante la costruzione del castello sorianese, fu da lui ampliato verso la fine del XIII secolo. Nel XVI secolo fu lungamente ospite dell’eremo il cardinale Egidio Antonimi da Viterbo, il quale volle restaurarlo ed ulteriormente ampliarlo, conferendo alla attigua chiesa le forme e le dimensioni che tutt’ora è possibile desumere da quanto resta. Del fabbricato conventuale, retrostante alla chiesa stessa, rimangono purtroppo solo brevi tratti di muro e cumuli di macerie. Dopo una breve sosta, si prosegue per il sentiero che passa tra la chiesa e la parete rocciosa, dalla quale sgorga una sorgente di fresca acqua potabile. Continuando a costeggiare l’enorme ammasso roccioso, poco oltre la sorgente (circa 50 metri), si nota alla base della rupe, tra materiali rocciosi franati, una larga e stretta fenditura orizzontale. E’ l’ingresso di una buia e profonda grotta (è molto pericoloso tentare di entrarvi), chiamata localmente “Rottezia” (grottaccia). Questa, probabilmente, può essere servita come cimitero per il vicino convento, ma la sua fama è legata all’antica leggenda della chioccia e dei dodici pulcini d’oro. Tutti coloro che avessero tentato di scoprire ed asportare il tesoro, una volta entrati nel buio anfratto, avrebbero visto spegnersi misteriosamente le loro torce e sarebbero morti per lo spavento. Questa favola, alimentata dalla fantasia popolare, è molto comune nel Lazio e viene tramandata in riferimento a numerose cavità della regione. Proseguendo per un centinaio di metri oltre la grotta, sempre seguendo l’imponente costone roccioso e salendo brevemente, si raggiunge la parte terminale ove si individuano facilmente un gruppo isolato di grossi macigni naturali, alla cui base si notano degli appigli di ferro e delle ‘pedarole’ (buchette sovrapposte, a guisa di piccoli scalini). Sulla parte più alta dell’ammasso roccioso compare una piccola cavità naturale, raggiungibile con la massima cautela quando la roccia risulta scivolosa. Secondo la tradizione tale cavità sarebbe servita da rifugio all’eremita Lupo Franchini da Corviano, vissuto nel XIII o nel XIV secolo, noto col nome di “Beato Lupo” (donde la denominazione di “sasso del Beato Lupo”, data al gruppo di macigni in questione). Lupo Franchini abbandonò il mondo per dedicarsi alla vita eremitica e si ritirò nei boschi presso un anfratto che gli serviva da riparo e da preghiera. La roccia del Monte Cimino evidenzia la durezza della scelta, l’impegno e la fede necessari per ricercare se stessi e Dio. La magia di questi spazi accompagna chiunque venga qui da solo e quanti ci sono già stati e che verranno. Immersi dentro questo silenzio, con tutto ciò che ci circonda, dove il rumore dei passi è assente, Dio è vicino e ascolta. Ripreso il largo sentiero, si prosegue in marcata discesa. Superati alcuni bivi, dove il viottolo precipita nettamente a valle, si giunge alla colossale rupe naturale denominata “sedia del Papa”. La rupe è così denominata per la caratteristica forma di un trono, molto evidente se osservata dalla valle sottostante; rudimentali gradini di legno, incastrati nella roccia, permettono di salire fino alla sommità. Dall’alto si osserva la spianata che costituisce la parte più elevata del Monte Ciliano (quota 569 metri) e, lontano, la valle del Tevere. A questo punto, si percorre a ritroso tutto il sentiero, tornando al passaggio girevole, da cui si riprende la strada forestale, continuando in salita. Dopo poco più di un chilometro, si sbuca su una strada asfaltata, la SP ‘della Faggeta’, che da Soriano nel Cimino conduce ad un ampio piazzale poco al di sotto della vetta del Cimino. Si percorre per circa 50 metri in salita la strada asfaltata, dopodichè si imbocca una carrareccia; da qui il percorso, in leggera pendenza, attraversa fitti boschi di castagno, cerro, acero e giovani piante di faggio. Dopo un altro chilometro si arriva ad una sorgente e, superato un tratto in piano, si scende fino all’area picnic della Sorgente del Sambuco posta sulla provinciale ‘della Faggeta’, dove si può effettuare una breve sosta. Si riprende la strada asfaltata salendo per un centinaio di metri fino ad una piazzola dove ha inizio il sentiero di Acquagrande (quota 880 metri). Da qui, in circa 15 minuti, si raggiunge la Sorgente Acqua Grande e, sempre sul sentiero principale, ad un bivio dove a sinistra parte un tracciato che si percorrerà al ritorno. Ad ogni modo, si proseguirà oltre, fino ad un evidente displuvio della montagna con la vetta nascosta di fronte. Ci si trova ai piedi della grande Faggeta. La foresta è tra le più belle d’Italia ed è formata da faggi con un’età media di 200 anni. Il più “vecchio” del bosco è un grande faggio di 500 anni. A questo punto la direzione di salita è libera, a tratti senza un vero e proprio sentiero. La traversata del bosco è molto emozionante e, dopo circa 50 minuti di cammino tra massi erratici, colate di lava consolidata e dirupi tipicamente vulcanici, si raggiunge la vetta del Monte Cimino. Nel punto più alto della Faggeta (1053 metri) presso cumuli di pietre che si vuole appartenessero ad un antico castello, si eleva per circa 20 metri una torre di avvistamento alla cui base è posta una Madonnina di marmo bianco. Tutt’intorno sono visibili grossi massi lavici erratici che a volte, sovrapposti, raggiungono considerevoli altezze. Per il ritorno si imbocca l’evidente stradello che scende in direzione est lungo la recinzione; al di là, l’ampio avvallamento che compare, è quanto resta dell’antico cratere vulcanico del Cimino. In circa 20 minuti si sbuca sullo spiazzo asfaltato, punto terminale della SP “della Faggeta”. Da qui si può raggiungere la celebre rupe Tremante, localmente detta “sasso Menicante, Barcollante o Naticarello”. Detto sasso è un enorme macigno di peperino assai duro, di forma ovoidale assai smussato, lungo circa 8,50 metri, alto circa 3 metri, con un volume di circa 100 mc ed un peso valutabile intorno alle 250 tonnellate, rimasto curiosamente in bilico sopra una sporgenza rocciosa del suolo. Scagliato dal cratere e piombato su un altro masso semisepolto e rimasto curiosamente in equilibrio (poiché sul punto di appoggio passa il baricentro), può essere fatto oscillare sensibilmente con un grosso bastone usato a guisa di leva. Si ritorna alla Sorgente Acqua Grande attraverso la scalinata di legno posta dietro la rupe Tremante, si attraversa l’area picnic e si prende il sentiero in discesa fino ad incontrare il tracciato principale percorso all’andata fino ad arrivare al bivio della Sorgente del Sambuco. Qui ci attende il nostro bus che ci condurrà a Viterbo per una visita libera della città. Infine, in serata, rientro al “Balletti Park Hotel”. Cena. Sabato 2 maggio Escursione al Parco Regionale Suburbano Marturanum - La necropoli rupestre etrusca di San Giuliano e il “canyon” del Biedano Dislivello: 300 m – Durata: 6 ore – Difficoltà: E Il Parco Regionale Suburbano Marturanum, situato nel Comune di Barbarano Romano, è stato istituito nel 1984 e copre un’estensione di 1240 ettari. Esso è caratterizzato da un paesaggio fluviale segnato da gole incise nella roccia eruttiva, ricordo dell’intensa attività dei vulcani Cimino e Sabatino. Il Parco è cosparso di suggestivi monumenti sepolcrali rupestri di epoca etrusca, incentrati sulla monumentale area archeologica di San Giuliano. Questo magico luogo dà l’idea del tipico sito etrusco, dall’atmosfera dolce e malinconica. Tutt’intorno è una selva intricata di liane, erbe e una folta vegetazione boschiva; un giardino fiorito dove fanno bella mostra di sé eleganti felci, viole, orchidee spontanee e fragili anemoni. Dopo la prima colazione, partenza al mattino a mezzo bus da San Martino in Cimino con destinazione Barbarano Romano: sorge su una collina di tufo che scende a perpendicolo sulle sponde del torrente Biedano. Secondo la leggenda, Barbarano Romano fu fondata dal re longobardo Desiderio nei pressi dei resti dell’antica città etrusca di Marturanum. Caratteristico è il torrione cilindrico di porta Romana (XV secolo) un tempo dotato di ponte levatoio, attraverso il quale si entra nell’abitato che ha mantenuto il suo aspetto medioevale. Il percorso ha inizio dalla piazza Cavour, a ridosso delle mura medioevali e della monumentale porta Romana. Dal piazzale si imbocca il viottolo lastricato che scende al fontanile del Pisciarello. Si attraversa su un ponte il fosso del Pisciarello e si sale per una bella ‘tagliata’ (cava o calatore del Pisciarello) fino ad incrociare una strada sterrata sull’altura di Campecora. Il termine “calatore” è usato per indicare strade scavate nel tufo (tagliate etrusche) che, con pendenza accentuata, collegano i valloni con i pianori sovrastanti. Si prosegue per la sterrata fino a quando la stradina si restringe e, in marcata discesa, si arriva ad una forra (facile guado) per risalire ad un’altra sterrata sul pianoro di Sarignano. Percorsi un centinaio di metri, si giunge ad un quadrivio; da qui, in direzione est, si percorre una sterrata fino a sbucare sulla strada comunale asfaltata che proviene da Barbarano Romano. Percorsi cento metri in direzione nord, si giunge ad uno dei due ingressi per l’accesso alla necropoli rupestre di San Giuliano, una delle più importanti di tutta l’Etruria, ove sono presenti alcune tombe etrusche del VVII sec. a. C. di notevole interesse. La prima tomba che si incontra è il tumulo Cima con più camere sepolcrali e adiacente un’area sacra caratterizzata dalla presenza di alcune basi di alti cippi dove i sacerdoti etruschi svolgevano i sacri riti in onore dei defunti; qui fu rinvenuto un obelisco funerario in tufo e alto 3.20 metri, oggi conservato nel museo archeologico di Barbarano Romano. Seguono la piazzetta funeraria e la tomba Costa. Gli Etruschi riproducevano nelle tombe e talvolta nelle urne cinerarie e nei sarcofagi, i modelli delle abitazioni così da perpetuare la vita terrena nell’oltretomba. Nelle tombe, come in una casa, gli uomini erano adagiati a sinistra e le donne a destra. Il soffitto, con un complesso sistema di travature detto a ‘cassettoni’, imitava quello in legno delle abitazioni. La presenza di eventuali pilastri e colonne non aveva lacuna funzione statica, ma unicamente decorativa, a somiglianza di quella all’interno delle case. Proseguendo, ad un bivio in direzione ovest, s’incontra la tomba Gemini e infine si raggiunge la tomba Rosi, a dado e tra le più antiche. Si ritorna al bivio precedente e si continua in discesa fino al fosso della Chiusa Cima. Si guada facilmente e ci si trova sotto la Collina di San Giuliano, un tempo difesa da imponenti mura di epoca medioevali. Per raggiungere la collina si prende un largo viottolo che in breve conduce alla sommità del piano. Il pianoro di San Giuliano (350 metri), posto su uno sperone tufaceo rosso, è il probabile sito dell’antico abitato etrusco di Marturanum. Quasi al centro della rupe è situata la piccola e suggestiva chiesa medioevale di San Giuliano (XV sec.) che ha dato nome al sito. Poco distante dalla chiesa (a ovest) si può accedere ad un bagno romano, che sfruttava una cisterna etrusca. Ad est vi sono gli scarsi resti della rocca medioevale. Tornati indietro, al bivio sottostante i resti delle mura medioevali, si continua per una piccola tagliata (strada scavata nel tufo) di epoca etrusca e in lontananza appare la monumentale tomba delle Regina. Si raggiunge guadando facilmente il fosso di San Giuliano oppure, piegando leggermente in direzione nord-ovest verso la rupe di San Giuliano, si attraversa il fosso su un bel ponte in legno. La tomba della Regina, alta dieci metri, con due camere sepolcrali, è sprovvista di gradinata che ne consentiva l’accesso alla parte superiore. Nessun’altra necropoli etrusca ha la stessa ricca varietà di monumenti sepolcrali racchiusi in un Parco tra i più affascinanti d’Italia: una terra dove si avverte intensamente la presenza magica del misterioso popolo etrusco. Terminata la visita alla toma della regina, si prosegue in direzione est seguendo le indicazioni per le tombe a Portico e le Palazzine. Il sentiero, scavato a volte nel tufo, attraversa diverse tipologie di architettura funeraria, talvolta esclusive del luogo. Così, in un ambiente incantevole, si costeggiano le tombe dette a ‘portico’, sepolcri scavati in un rosso blocco tufaceo. Per raggiungere le ‘Palazzine’ occorre deviare fino a scendere lungo il fosso di San Giuliano. Continuando sul sentiero, si oltrepassa una tagliata e si sale al poggio Caiolo ove è posto il maggior ingresso del Parco. Superato il tumulo della Cuccumella e seguendo un vialetto si raggiungono, nella parte bassa del costone, altre tombe affacciate sulla rupe dalla parte che guarda la collina di San Giuliano e il vallone sottostante. Dopo la tomba dei Carri si raggiunge il lungo dromos della notevole tomba dei Letti, così chiamata per la presenza di due letti per bambini accanto a quello dei genitori e, infine, il tumulo del Caiolo, con tre ingressi sulla parete di fondo. Quindi, si ritorna indietro secondo un percorso ad anello fino a raggiungere la tomba del Cervo: durante il percorso, sempre scavato nel tufo, da una balaustra con ringhiera sarà possibile osservare la parete alta della ripida scalinata della suddetta tomba, dove si noterà un bassorilievo raffigurante un cervo assalito dal lupo (o da un cane); quest’immagine è stata scelta come simbolo del Parco Il bassorilievo (IV sec. a. C.) descrive una scena di lotta o di caccia del tempo; un’altra suggestiva ipotesi potrebbe essere una rappresentazione simbolica, dove il cervo indicherebbe l’Etruria e il lupo (o la lupa) Roma, nel periodo forse di decadenza dell’era estrusca. Da questa aristocratica tomba proviene un pregevole sarcofago con figura femminile distesa, oggi conservato nel museo archeologico di Barbarano Romano. Proseguendo per il percorso naturalistico che costeggia il fosso di San Giuliano e superati due guadi, ci si troverà di fronte ad un torrentello, tributario del San Giuliano stesso. Dopo una leggera deviazione, si raggiunge un incantevole e limpido laghetto naturale. A questo punto, si ritorna indietro fino all’ingresso posto sulla strada comunale asfaltata, nei pressi della toma Cima. Si riprende la strada sterrata che percorre per intero il pianoro di Sarignano, oltrepassando il quadrivio. Percorsi circa due chilometri della strada sterrata (in direzione prevalentemente ovest), si scende nel vallone sottostante per il calatore di Sarignano, raggiungendo in tal maniera la valle del Biedano. Si prosegue fino ad un guado sul fosso del Neme, prossimo alla confluenza nel Biedano. Al di là del guado si è al bivio per un altro calatore, denominato delle ‘Quercete’ o ‘Cerquete’. Questa splendida tagliata etrusca merita una deviazione per l’ottimo stato di conservazione e per la magnifica visuale che offre verso il vallone. Sono inoltre distinguibili sulle pareti di tufo le strisciate delle ruote degli antichi carri e, incisi nella roccia, simboli pagani e religiosi. Il percorso prosegue ad un guado del Biedano, costeggiando prima i ruderi della prima Mola o ‘Lega’, poi superato un altro guado, si costeggia il muro di tufo della seconda ‘Mola’ o ‘Lega’. Superato un altro guado, tra felci, ciclamini, bucaneve, salici, ontani, si scende alla cosiddetta terza ‘Mola’ o ‘Lega’. Qui la muraglia è alta otto metri e da essa scaturiscono due belle cascatelle, in ambiente piacevole. Un tempo, queste muraglie funzionavano da chiusa per sbarrare l’acqua per il mulino posto più a valle e prendevano il nome di ‘Leghe’. Si entra nel tratto più ampio della gola ove le rosse pareti di roccia si stagliano a perpendicolo sulla lussureggiante vegetazione. Se si osserva bene la parete rocciosa, sono individuabili grossi buchi dove cadono delle lingue biancastre: è il guano del mitico capovaccaio, che a volte nidifica in questi luoghi. E’ il più piccolo degli avvoltoi europei, si nutre di carogne, ha piume grigie con capo e collo giallastri. Era un uccello sacro agli Egiziani che lo raffiguravano spesso nei loro monumenti; per questo viene chiamato anche Avvoltoio degli Egizi. Dopo poco si superano i confini del Parco e si entra nel territorio comunale di Blera. A questo punto, si ripercorre a ritroso l’evidente sentiero oltrepassando il bivio per il calatore di Sarignano, per procedere in direzione di Barbarano Romano. Un piccolo guado oltrepassa il fosso del Piasciarello e dopo poco si è ai piedi del borgo di Barbarano Romano. Si segue l’indicazione per la ‘Voliera’ e in breve si raggiunge l’area faunistica del capovaccaio dove, in alcune voliere, sono appunto ospitati i rapaci bisognosi di cure che sono stati recuperati nell’area del Parco. Quindi si ritorna indietro e al trivio si sale per una scalinata e varcata una porta medioevale in ottimo stato, si entra nel bel mezzo del borgo medioevale in largo di Porta Canale. Si prosegue per via Roma, piazza Marconi, via Belvedere fino ad una terrazza panoramica sul canyon del Biedano dove le pareti di tufo e il fondovalle sono ammantati da una foresta perennemente verde. Si prosegue dopo per piazza Marturanum, corso Vittorio Emanuele fino alla Porta Romana. Qui ci attende il nostro bus che ci riporterà in serata a San Martino in Cimino. Rientro al “Balletti Park Hotel”. Cena. Domenica 3 maggio Le Antiche epigrafi latine e la ‘Piramide Etrusca’ – la Torre di Chia Dislivello: 200 m – Durata: 4 ore – Difficoltà: E Il percorso che si effettuerà si sviluppa in parte nel territorio di Soriano in Cimino e, in parte, in quello di Bomarzo, uno dei centri più suggestivi della Tuscia. Si percorrerà una valle boscosa profondamente solcata dalla valle del fosso Castello (o fosso del Rio), tributario del Tevere, assai pittoresca e caratterizzata per ampi tratti da pareti rocciose alte anche varie decine di metri. Il territorio di Bomarzo fu abitato fin dall’epoca preistorica, come mostrano numerose abitazioni ipogee, visibili in varie località. Di particolare interesse sono le epigrafi latine e pre-romane, poste sull’antica via di collegamento tra Bomarzo e Mugnano. Dopo la prima colazione, partenza al mattino a mezzo bus da San Martino in Cimino con destinazione Bomarzo (263 metri s.l.m.): è situato su un alto e sinuoso bastione roccioso di piperino, dall’aspetto pittoresco, che precipita verso la valle del Tevere. In epoca etrusco-romana, la zona dovette ospitare vari villaggi, come testimoniano le numerose necropoli sparse, dalle quali proviene abbondante materiale archeologico. Dal 1290 circa fino al 1645, Bomarzo appartenne alla potente famiglia degli Orsini (nel secolo XVI fece costruire il celebre Parco dei ‘Mostri’), che possedette nella regione dei Cimini anche vari castelli. Bomarzo conserva oggi un interessante borgo medioevale, denominato “Il Dentro”, arroccato su uno sperone di roccia vulcanica e dominato dall’imponente Palazzo Orsini. Il percorso ha inizio dal campo sportivo di Bomarzo e, nei pressi del cartello con indicazione per Santa Cecilia, ci si incammina seguendo una carrareccia in progressiva discesa che, in breve, raggiunge una piccola radura e sul suolo roccioso si nota la presenza di una tomba antropomorfa. Si raggiunge quindi l’orlo di un profondo dirupo che delimita la valle del fosso Castello. Da qui è possibile osservare un vasto e bellissimo panorama sulla valle del Tevere e sul paesello di Chia, con le sue vecchie case in parte in rovina ed abbarbicate sulla rupe prospiciente l’opposto versante. In direzione nord-ovest, si imbocca un sentiero che, in breve, diviene un largo viottolo che costeggia l’orlo del dirupo che incombe sulla valle del fosso Castello; successivamente, da un prato si offre un superbo panorama sulla valle e sul castello di Chia. Più avanti, si imbocca una carrareccia (strada comunale delle Rocchette) che ricalca tratti di un’antica strada romana e, poco dopo a sinistra, si incrocia un’altra strada sempre incassata nella roccia tufacea che s’inoltra ripida. Si arriva, così, in prossimità del Poggio delle Rocchette e, da questo punto panoramico, è possibile individuare la posizione della Piramide Etrusca. Per raggiungere la Piramide, si costeggiano alte pareti di tufo, facendosi largo tra qualche rovo e giungendo nei pressi di un grosso masso: qui si individuano a notevole altezza due iscrizioni latine. Oltrepassato il grosso masso, si prosegue in discesa seguendo un’esile traccia tra i rovi e la fitta boscaglia in località Tacchiolo e, dopo dieci minuti di cammino, si perviene alla base del monumento, conosciuto come ‘sasso del Predicatore o Piramide’. Tale manufatto, avente la funzione di ara sacrificale, veniva eretto appunto per le divinazioni, in posizione dominante il paesaggio, e presenta caratteristiche riferibili al VI-VII sec. a. C., ma potrebbe essere molto più arcaico. Presenta una prima lunga scalinata rupestre, con ventisei gradini alti e di larga pedata che si raccorda, più in alto, con un’altra scalinata di nove gradini che conduce ad un probabile altare rupestre, ricavato alla sommità della rupe. Dalla Piramide è possibile poi raggiungere in breve un’abitazione rupestre, di probabile epoca medioevale. Sempre dalla piramide, poi, si torna indietro per lo stesso itinerario fino alla strada comunale delle Rocchette. A questo punto, abbandonando anche momentaneamente la strada e facendosi largo tra qualche rovo, si può individuare qualche altra scritta latina. Tornati in prossimità della radura, in direzione sud, si imbocca un’antica strada stretta, di fattura etrusca, la cui parte iniziale è tagliata nella roccia e che discende agevolmente alla base del dirupo stesso, proseguendo poi nella valle boscosa. In alto, nella parte iniziale della via, si nota un riquadro incassato che in epoca medioevale doveva contenere un’immagine sacra (tabernacolo cosiddetto ‘scacciadiavoli’) di conforto al viandante che doveva percorrerla dopo il tramonto. L’antica strada diviene poi un tortuoso sentiero che presenta, di tanto in tanto, gradoni tagliati nel masso e tratti lastricati a basolato. Completata poco dopo la discesa, s’intravederanno completamente immersi nel bosco i resti di un antico insediamento rupestre di Santa Cecilia. Per la varietà tipologica di tali resti fa supporre che il sito fosse rimasto abitato dalla preistoria fino al X sec. d.C. In questo luogo si trovano anche i resti di un cimitero paleocristiano, che i Bomarzesi identificano come ‘camposanto di Chia’. Il completo isolamento in un bosco quasi impenetrabile fa sì che questi resti creino al contempo nel visitatore un senso di mistero, smarrimento e ammirazione. Dopo la visita dell’insediamento rupestre, si proseguirà sempre per il sentiero in prevalente direzione sud, che si farà via via sempre più marcato fino a raggiungere un buon punto panoramico. Improvvisamente compariranno, solenni e inquietanti e in un magnifico scenario naturale, le rovine medioevali della cosiddetta torre di Chia e del relativo castello (XIII secolo). La torre, alta circa 42 metri e merlata alla ghibellina, presenta una inconsueta pianta pentagonale ed è inserita in una lunga cinta muraria, anch’essa merlata, preceduta da un fossato artificiale, che racchiude la parte estrema di un colle sul quale sorgono le rovine di un piccolo castello (purtroppo non visibili). All’inizio del 1970, l’insieme dei ruderi fu acquistato da Pier Paolo Pisolini che fece ristrutturare una torre del castello adibendola a propria abitazione da diporto. Pier Paolo Pisolini amava definire questo luogo come il ‘paesaggio più bello del mondo’, quando nei mesi invernali i colori pastello e le giornate brumose regalano le sensazioni più intense. Si continua quindi per la comoda mulattiera fino ad arrivare quasi al livello del greto del fosso, dove l’acqua spumeggiante romba fra massi colossali in piperino, staccatisi dalle rupi sovrastanti, creando in tal maniera un’atmosfera surreale. Si oltrepassa una grotta con una tomba, del tipo a colombario; non meno suggestivi sono i resti di vecchi mulini, di epoca più recente, visibili nei pressi del corso d’acqua. Il sentiero, delimitato da un poderoso muraglione al di sopra del quale doveva passare, originariamente, una grossa condotta d’acqua necessaria per azionare alcuni mulini, sale per un tratto in una vera e propria galleria addossata alla parete rocciosa. Prima della galleria si scorge sulla sinistra una porta di accesso al mulino, nel quale si conserva ancora una grossa mola rotonda in pietra per la macina del grano. Circa la data di origine del mulino non si hanno notizie precise, certo è che ha continuato a funzionare fino al 1940. Più a valle vi sono i resti minori di altri mulini, abbandonati in precedenza, ma la vegetazione li ha ormai resi difficilmente individuabili. Dopo la visita dei mulini, percorsa una stradina per circa un chilometro, si arriva sulla SP n. 151 Ortana. Quindi, seguendo le indicazioni per Bomarzo, si arriverà al punto di partenza, fino al campo sportivo. Nel pomeriggio, intorno alle ore 16:00, partenza con rientro a Salerno in serata. Si vuol ricordare, nel nostro viaggio escursionistico nelle Terre dell’Antica Tuscia, la presenza fondamentale dei Soci del C.A.I. di Viterbo: Peppe Lupattelli, che sarà la nostra Guida per le escursioni che effettueremo nelle giornate del 1° maggio e del 2 maggio; Gianni Menichino, che sarà la nostra Guida per l’escursione che effettueremo nella giornata del 3 maggio. Si ringrazia Peppe Lupattelli e Gianni Menichino per il loro supporto nell’organizzazione delle escursioni; inoltre, la descrizione degli itinerari che effettueremo e le notizie storiche ed artistiche qui riportate, sono state tratte dal Volume “Escursionismo d’Autore nella Terra egli Etruschi” realizzato da Gianni Menichino dove, insieme ad altri due Volumi della Collana, si ripercorre attraverso planimetrie, disegni e foto l’Antica Terra della Tuscia e della Maremma laziale e toscana. Buon divertimento! Myriam Caputo Maria Teresa Labella