Bulletin européen Nov.-Dic. 2014 (nn 774-775)

Transcript

Bulletin européen Nov.-Dic. 2014 (nn 774-775)
ED. ITALIANA ISSN 2283-3013
NOV.-DIC. 2014 ANNO 65 n. 774-5
TRIBUNA LIBERA FONDATA NEL 1950 DA J. CONSTANTIN DRAGAN
Politiche
per il vero benessere
Il Manifesto per la felicità*
Stefano Bartolini
Professore Associato di Economia Politica
Università degli Studi di Siena
Pubblicità: associazione
di beni consumo a relazioni
I pubblicitari associano nei loro spot immagini di beni di consumo con immagini di
beni relazionali. In altri termini associano
la ricchezza del consumo privato alle relazioni. Trasmettono così un messaggio che
conoscono molto bene, ovvero quello che
essere ricchi e avere consumi vistosi serve
per intessere relazioni.
Nel mio precedente contributo pubblicato su queste colonne ho fatto degli esempi di situazioni in cui i soldi servivano realmente per difendersi dal degrado sociale
e ambientale, ma la pubblicità tende spesso a suggerirci molti modi illusori in cui i
soldi potrebbero compensare una qualche
forma di disagio.
Esaminiamo ora più da vicino il ruolo
dei pubblicitari, che è molto interessante
ed è, ovviamente, un ruolo veramente preponderante nella diffusione della cultura
del consumo.
Quando cominciai a studiare questi
temi, a partire dalla seconda metà degli
anni Novanta, rimasi effettivamente molto sorpreso nel rendermi conto che tutto
quello che io andavo scoprendo e che i miei
colleghi economisti non sapevano ancora, i
pubblicitari lo sapevano già benissimo da
tempo.
Il modo più rapido per spiegare questo
è far parlare rapidamente gli stessi pubblicitari.
Un celebre pubblicitario svizzero, Frederic Beigbeder, asseriva: “Sono un pubblicitario. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la
vostra felicità, perché la gente felice non
consuma”.
Da canto suo il presidente di una grande multinazionale di prodotti di consumo
asseriva: “Compro, dunque sono. La marca definisce il consumatore. Siamo ciò che
vestiamo, che mangiamo, che guidiamo.
La collezione di marche che assembliamo
intorno a noi è divenuta tra le più dirette
espressioni della nostra individualità.”
Un’altra star della pubblicità americana, Nancy Shalek, presidente della Shalek
Agency, diceva: “La pubblicità, quando è
ben fatta, fa sentire alla gente che senza
un prodotto sono dei perdenti. … I ragazzi
sono molto sensibili a questo ... ciò apre le
loro vulnerabilità emotive. Ed è molto facile da fare con i ragazzi perché sono emotivamente i più vulnerabili”.
Quindi lo scopo della pubblicità è quello di creare un disagio alle persone, farle
star male, farle sentire escluse o perdenti
se non si comprano una determinata cosa.
Tutto ciò è più facile da fare con i bambini che sono molto vulnerabili alle paure di
esclusione. Questa era una pubblicità rivolta ai ragazzi.
Manipolazione
televisiva e fanciulli
Permettetemi di citare altre affermazioni di esperti pubblicitari: “Ci sono solo due
modi per aumentare i clienti: o li sposti
sulla tua marca o li cresci fin da piccoli.”
(James U. Mc Neal, professore di marketing alla “Texas A&M”), oppure: “Tutti ormai capiscono qualcosa che è molto logico
2
e basilare, cioè che quando possiedi un ragazzo giovane, lo possiedi per molti anni a
venire. Le imprese dicono: ‘hey, voglio possedere ragazzi sempre più giovani’” (Mike
Searles, presidente della Kids ‘R’).
Oppure ancora: “Quando abbiamo i
ragazzi come obiettivo noi della General
Mills seguiamo il modello della Proctel
and Gamble: ‘dalla culla alla tomba’. Noi
crediamo nel prenderli da piccoli e tenerli
tutta la vita.” (Wayne Chilicky, dirigente
della “General Mills”).
Citazioni di questo genere spiegano perché i canali satellitari di cartoni animati
per bambini fanno la pubblicità dei suv.
Personalmente ne sono rimasto molto sorpreso. Qui si trova la risposta: le fedeltà di
marca si creano da piccoli.
I pubblicitari ci spiegano come mai il
budget pubblicitario diretto a bambini e
adolescenti sia adesso 180 volte superiore
a quello che era agli inizi degli anni ’80: ciò
succede, metaforicamente parlando, perché esso assorbe ormai la fetta più grande
della torta della pubblicità. Questa è una
evoluzione recente, prima invece la pubblicità era diretta agli adulti.
Molti genitori provano a non far guardare la televisione ai figli, a non farli stare
tanto su Internet e a limitare i loro acquisti. Così facendo, però, trasformano la loro
vita quotidiana con i figli in una guerra
continua perché è impossibile tenere un
bambino in un’isola di basso consumo
quando è assediato da tante pressioni commerciali che, tra l’altro, non possono nemmeno essere ignorate, perché assecondarle
vuol dire dare ai propri figli la possibilità
di avere più contatti sociali.
In effetti, oggi i bambini vengono accettati o meno dai propri coetanei a seconda
degli oggetti che possiedono o meno e delle
cose che conoscono o meno.
È ovvio che il problema non può essere risolto senza cambiare l’organizzazione
sociale perché, in caso contrario, la vita
genitori-figli diventerebbe una fabbrica
di conflitti. Si può fare tanto su questo.
In Svezia, per esempio, è stata proibita la
pubblicità televisiva diretta a minori di
12 anni e ciò ha letteralmente cambiato i
bambini.
Negli Stati Uniti invece è stato limitato
per qualche mese l’accesso alla televisione
a bambini di terza e quarta elementare.
In pratica, è stato permesso loro di guardare la televisione per non più di due ore
al giorno, invece delle sei ore giornaliere
che rappresentano il tempo che il bambino americano medio trascorre davanti alla
televisione.
Il risultato di questo esperimento è stato che le richieste di acquisto di giocattoli
da parte del gruppo di controllo sono calate
dell’80%.
I bambini vengono scientificamente manipolati dagli spot televisivi.
Dietro all’industria pubblicitaria vi è un
esercito di cervelli di prim’ordine, costituito da antropologi, sociologi e psicologi, che
mette le sue raffinatissime armi al servizio
di una manipolazione di massa, diretta a
chi è più debole emotivamente.
È estremamente difficile per un genitore contrastare una situazione di questo
genere.
Soffermiamoci ora sulle parole impiegate negli spot pubblicitari sopraccitati. Vi
troviamo parole come “vulnerabilità, prenderli, tenerli, possedere, obiettivo”. Parole
che a me ricordano la guerra; questo è un
linguaggio di guerra e non vi è dubbio su
chi la stia vincendo.
Naturalmente, tutto questo non funziona, non produce benessere, e nemmeno
stabilità economica ed è per questa ragione
che negli ultimi anni sono proliferate una
serie di forme di economia sociale basate
sul tentativo di coniugare la sostenibilità
sociale e relazionale, oltre che ambientale,
con la sostenibilità economica.
In Italia esiste una tradizione in questo
senso; mi riferisco all’estesa tradizione
della cooperazione nel nostro Paese, nel
campo della finanza e del consumo.
Ovviamente, vi sono anche tante nuove
iniziative, come, per esempio, il microcredito, il commercio equo e solidale, il co-housing, il vicinato solidale, la responsabilità
sociale d’impresa, l’impresa sociale, l’economia di comunione, il consumo responsabile ecc.
Crescita economica
e vero benessere
Vorrei ora trarre alcune conclusioni.
Che cosa bisogna quindi fare per aumentare il benessere?
Vari studi affermano che la crescita
economica non può portare a un aumento
sostanziale del benessere e ciò è molto importante, tenuto conto che il nostro mondo,
la cui società e la cui cultura sono interamente funzionali all’economia, è interamente organizzato per crescere.
Il mio messaggio non è che la prosperità
economica non funziona, ma che in realtà
stiamo sprecando le enormi potenzialità di
aumento del benessere che essa stessa ci
ha dato.
Dico questo perché è davvero molto importante sapere di arrivare a fine mese,
essere liberati dalla povertà di massa e
potersi istruire, così come lo è il fatto che
la mortalità infantile sia bassa e che molte
malattie siano curabili.
Il problema è che se otteniamo tutte
queste cose al prezzo di una desertificazione sociale, allora dobbiamo forse chiederci
se valga ancora la pena di lottare per ottenerle.
Dovremmo quindi concentrare maggiori sforzi su obiettivi diversi dalla crescita?
Sì, dovremmo cercare di costruire modelli
sociali, una organizzazione sociale e una
cultura che ci consentano di coniugare la
prosperità economica con quello che veramente conta per il nostro benessere, cioè
con le relazioni intime e sociali che contano davvero tanto.
3
“Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma
ci è stata prestata dai nostri figli” è un proverbio che esprime bene la filosofia della Veroniki Holding, la quale si inserisce, innovandolo, nel lascito imprenditoriale, culturale ed
etico di Giuseppe Costantino Dragan. È un lascito per il soddisfacimento del fabbisogno
di energia, nel rispetto dell’ambiente, per una economia al servizio dell’uomo e per la
promozione della sua cultura e dignità. Questo perché per noi la “cultura dell’energia” e
“l’energia della cultura” non sono soltanto uno slogan, ma un principio e un criterio, al
contempo, imprenditoriale ed etico: in pratica una filosofia di vita.
4
Obiezioni:
povertà e disoccupazione
Vi è, però, una obiezione di base che i fan
della crescita fanno sempre, sostenendo
che essa serve per combattere la povertà e
soprattutto la disoccupazione.
L’argomento sulla disoccupazione è tuttavia sbagliato, perché la crescita economica e il consumismo non aiutano a combattere la disoccupazione.
Il ragionamento di molti che propugnano questa tesi è che se la gente consuma
di più, le imprese vendono di più e quindi
si crea più lavoro e vengono assunte più
persone.
È certamente vero che il consumismo
crea più posti di lavoro, il problema è che
esso crea anche più necessità di lavorare
perché famiglie che spendono di più hanno
bisogno di più membri che lavorano, oltre
che di orari di lavoro più lunghi, perché
hanno bisogno di soldi.
Per questa ragione, il discorso che il consumismo diminuisca la disoccupazione è,
a rigore, sbagliato, perché se, da una parte, crea domanda di lavoro, dall’altra crea
anche offerta di lavoro, quindi non esiste
alcuna garanzia che l’espansione dei consumi finisca per ridurre la disoccupazione.
Personalmente ritengo che la strada da
seguire per ridurre la disoccupazione sia
invece quella di ridurre il bisogno di denaro degli individui.
Come abbiamo visto, il denaro ci serve
in tanti modi reali o illusori per difenderci
dal degrado sociale, ossia di beni comuni, e
ciò crea quel circolo vizioso di cui parlavo
prima. Per uscirne dobbiamo costruire una
economia e una società più attente alla dimensione relazionale della vita. Vi sono
tanti modi per farlo e ciò costituisce il vero
e proprio oggetto del mio libro Manifesto
per la felicità. Come passare dalla società
del ben-avere a quella del ben-essere. Ritengo che si debbano cambiare tante cose
nella scuola, nei media, nell’organizzazio-
ne urbana, nel nostro modo di lavorare e di
fare assistenza sanitaria, ma soprattutto
nella nostra cultura.
Organizzazione urbana
e spazio relazionale
Per quanto riguarda l’organizzazione
urbana vorrei sottolineare che per 5000
anni le città sono state pensate come punto di aggregazione, ma in un tempo storicamente breve, cioè dal secondo dopoguerra
in poi, hanno perso questo loro ruolo sociale. Cercherò di spiegarne il perché.
Per essere un punto di aggregazione, le
città hanno bisogno di spazi relazionali. Lo
spazio relazionale, il cui simbolo erano le
piazze, è lo spazio pubblico di qualità.
Nel corso dei secoli le città europee, e
quindi anche quelle italiane, si sono evolute ingrandendosi lentamente in seguito
alla costruzione di nuovi quartieri intorno
a nuove piazze.
A quei tempi esisteva dunque una proporzione tra spazio pubblico e spazio privato, cioè non si costruivano soltanto nuove case, ma anche nuove piazze. Lo spazio
pubblico serviva da punto di aggregazione:
la piazza era il luogo dove i cittadini di ogni
rango sociale si potevano incontrare, dove
i bambini potevano giocare, e dove gli anziani potevano intessere le loro relazioni
sociali. Tutto ciò è cambiato bruscamente
negli ultimi decenni, perché dal secondo
dopoguerra in poi si è cominciato a costruire enormi periferie in cui le piazze non ci
sono più.
Lo spazio pubblico è arretrato di fronte
allo spazio privato e, oltre a ciò, è crollato
in qualità per via del traffico, il quale viene
trattato normalmente come un problema
di salute fisica ma è innanzitutto un problema di salute relazionale perché in una
città rumorosa, puzzolente, pericolosa, le
persone non si possono incontrare.
Di questa situazione sono vittime soprattutto le categorie più deboli fisicamen5
te, cioè i bambini, gli anziani e gli handicappati, perché non hanno più un tessuto
sociale.
La gente ha bisogno di un tessuto sociale fuori dalla porta di casa. Le città contemporanee, sono, in realtà, posti costruiti
per l’età media, ovvero per persone in età
lavorativa; escludendo tutti gli altri, esse
creano enormi disuguaglianze che non
sono le classiche disuguaglianze di reddito, ma sono soprattutto generazionali e
sono dovute alle diverse opportunità di accesso alle relazioni.
L’attuale organizzazione urbana ha
precluso ai bambini la possibilità di avere relazioni sociali autonome che, secondo
gli psicologi infantili, sono fondamentali
per il loro sviluppo psicologico. Ciò ha reso
la relazione genitori-bambini ossessiva
perché questi ultimi dipendono completamente dai primi per qualsiasi cosa debbano o vogliano fare. Se non sono i genitori
a portarli, i bambini da soli non possono
andare da nessuna parte.
In questo modo, il ruolo dei genitori è
stato gravato da un’immensa responsabilità, perché tutte le possibilità sociali dei
loro figli dipendono da loro.
Recintare i bambini in una casa e renderli totalmente dipendenti dagli adulti è
un esperimento assolutamente innovativo
nella storia umana, di una portata immensa, i cui effetti disastrosi si stanno manifestando chiaramente negli Stati Uniti.
Tutto ciò è frutto di precise scelte sociali.
Infatti, ci sono città che stanno cambiando,
come Parigi, per esempio, il cui attuale sindaco ha vinto le elezioni grazie a un radicale programma di restituzione delle strade
ai pedoni, tenuto conto che nelle città esiste un conflitto insanabile tra far sentire a
proprio agio i pedoni e far sentire a proprio
agio le macchine.
Le città funzionano come punto di aggregazione se danno spazio ai pedoni, se li
proteggono, se creano aree pedonali abbastanza strette, se il reticolo urbano è inner6
vato da una rete di spazi pedonali collegati
tra loro, che consente alla gente di muoversi a piedi o in bici, oppure di incontrarsi
e discutere con tranquillità. Questi sono
solo alcuni cenni su un progetto che è non
solo fattibile, ma anche in corso di realizzazione in alcune città.
Conclusioni
L’impressione da cui vorrei più rifuggire
è quella che la lista dei settori in cui bisogna intervenire per operare cambiamenti
sia una lista utopica, perché non lo è affatto,
tenuto conto che nel mondo vi sono esempi
concreti di cambiamenti già realizzati in
ognuno di questi campi, e cioè imprese che
lavorano in modo diverso, assistenza sanitaria fatta in modo diverso, città diverse,
regolazioni diverse per i media, i quali, a
volte, sono un’arma pericolosissima.
La televisione può essere un’arma pericolosissima, ma potenzialmente può anche
essere usata per svegliare la gente anziché
per rimbecillirla. La nostra scuola andrebbe anch’essa cambiata profondamente.
Vorrei concludere facendo un breve cenno sulla democrazia perché il problema
chiave oggi è che la nostra democrazia si
è inceppata.
Tutte le proposte di riforma da me avanzate sono fattibili e non hanno nulla di utopico, come dimostra il fatto che siano già
state realizzate in altre parti del mondo.
Il problema, in sintesi, è che questi temi
faticano ad arrivare nelle agende politiche
perché il sistema politico, i partiti sono diventati schiavi degli interessi delle grandi
corporation, dei grandi poteri economici
che, in misura maggiore o minore, influenzano le decisioni politiche.
Non è più la gente a influenzare queste
ultime, bensì i grandi interessi economici,
tanto è vero che ci sono grandi politologi
che parlano ormai di post-democrazia.
Non siamo più in una fase di democrazia, perché la democrazia era stata inven-
tata per far partecipare la gente comune
alla conduzione dello Stato e alle decisioni
politiche ed è invece diventata col tempo
un modo per escludere la gente comune
dalle decisioni politiche.
Anche questo può essere cambiato: ci
sono riforme che, una volta attuate, libererebbero la democrazia dalla schiavitù nei
confronti del big business, cioè dei grandi
interessi economici.
Il presente articolo del Prof. Stefano Bartolini
completa i due precedenti contributi pubblicati sul “Bulletin européen” che rappresentano
una sintesi della conferenza svolta alla Dragan
University Golden Age. I temi sono sviluppati nel volume Manifesto per la felicità. Come
passare dalla società del ben-avere a quella del
ben-essere, Roma, Donzelli, 2010.
*
7
L’insegnamento nella dimensione europea.
La scuola italiana e l’Europa
di Antonio N. Augenti e Luciano Amatucci
Editoriale Anicia, Roma, 2013
una serie di strumenti e di riflessioni utili
per realizzare il disegno europeo nelle nostre scuole
8
Rileggere Kant
per costruire l’Europa e la pace
L’ispirazione di due testi classici
per il progetto di costruzione europea
e di pacificazione mondiale
Guido Ravasi
Gli scritti di Immanuel Kant hanno a
lungo ispirato gli aneliti di costruzione europea e sono destinati ad esercitare ancora
a lungo tale influenza.
Diversi anni fa, per esempio, avevamo
pubblicato su queste colonne un’analisi
dell’influsso esercitato dal pensiero kantiano su un grande europeista, Umberto
Serafini, di cui il prossimo anno ricorrerà
il decennale della scomparsa.
Umberto Serafini è ormai fermamente
riconosciuto come un infaticabile artefice del processo di costruzione europea, a
cui ha dato un importante contributo in
molteplici attività, sia come fondatore del
Consiglio dei Comuni e, in seguito, delle
Regioni d’Europa, sia per la sua attività
pubblicistica e di sensibilizzazione come
direttore del periodico “Comuni d’Europa”
e per il suo impegno per la la costruzione di
un’Europa in senso federale.
Ma al di là delle considerazioni sulle
radici kantiane nel pensiero di Umberto
Serafini ai fini della costruzione europea
(a cui in ogni caso si rimanda: cfr. Guido
Ravasi, Radici kantiane nel pensiero di
Umberto Serafini. Riflessioni per il futuro
dell’Europa, “Bulletin européen”, n. 672,
maggio 2006, pp. 6-8), è opportuno nelle
pagine seguenti riprendere e ricordare
una breve selezione di alcuni brani kantiani applicabili all’argomento del progetto di
costruzione europea.
I brani qui scelti sono estratti da un testo
classico sull’argomento, me non per questo
sufficientente conosciuto: Per la pace perpetua. Progetto filosofico (1795-96). In seguito riprenderemo invece un altro testo
del filosofo di Königsberg tratto da Idea di
una storia universale da un punto di vista
cosmopolitico (1784). Entrambi questi testi si riferiscono alla necessità di una federazione non solo europea ma mondiale
di Stati.
In una fase di stallo, in cui si trova il
processo di costruzione europea, nonché di
frizione o addirittura di belligeranza (vedi,
per esempio, il caso dell’Ucraina) riflettere
sui determinati testi classici non necessariamente rappresenta un’operazione
circoscritta ad un ambito esclusivamente
culturale.
9
Per la pace perpetua.
Progetto filosofico*
Immanuel Kant
Lo stato di pace tra gli uomini assieme
conviventi non è affatto uno stato di natura (status naturalis). Questo è piuttosto
uno stato di guerra, nel senso che, se anche non vi sono sempre ostilità dichiarate,
è però continua la minaccia che esse abbiano a prodursi. Dunque lo stato di pace
dev’essere istituito, poiché la mancanza di
ostilità non significa ancora sicurezza.
[...]
Secondo articolo definitivo per la pace
perpetua: “ll diritto internazionale deve
fondarsi sopra una federazione di liberi
Stati”.
[...] Questa sarebbe una federazione di
popoli, ma non dovrebbe però essere uno
Stato di popoli. In quest’ultima idea vi
sarebbe una contraddizione, poiché ogni
Stato implica un rapporto di un superiore
(legislatore) con un inferiore (colui che obbedisce, cioè il popolo), mentre molti popoli
in uno Stato costituirebbero un sol popolo,
ciò che è contrario al presupposto (poiché
qui dobbiamo considerare il diritto dei popoli tra loro in quanto essi costituiscono
altrettanti Stati diversi e non devono confondersi in un solo e unico Stato).
Come l’attaccamento dei selvaggi alla
loro libertà senza legge, che li spinge a
preferire di azzuffarsi di continuo tra loro
piuttosto che sottoporsi ad una coazione
legale da loro stessi stabilita, a preferire
una folle libertà a una libertà ragionevole,
noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza,
degradazione brutale dell’umanità, così si
10
dovrebbe pensare che i popoli civili (di cui
ognuno forma uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante.
Al contrario, ogni Stato ripone piuttosto
la sua maestà (poiché maestà dei popoli
è un’espressione insulsa) nel non sottoporsi a coazione legale esterna di sorta, e
lo splendore del sovrano si fa consistere
nell’avere al suo comando, senza che egli
stesso si esponga al pericolo, molte migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per una
causa di cui ad essi non importa nulla.
La differenza tra i selvaggi dell’Europa
e quelli dell’America consiste soprattutto
in questo: che in America alcune tribù di
selvaggi sono state interamente divorate
dai loro nemici, mentre gli europei meglio
che divorarli, sanno sfruttare i loro nemici
vinti e preferiscono accrescere con essi il
numero dei loro sudditi e quindi la quantità di strumenti per guerre ancora più vaste. [...]
Sono sempre candidamente citati, a
giustificazione di una guerra di aggressione, Ugo Grozio, Pufendorf, Vattel e altri
(i quali non sono che assai deboli incoraggiatori), sebbene il loro codice, redatto con
spirito filosofico e diplomatico, non abbia
o anche solo possa avere la minima forza
legale (poiché gli Stati come tali non sono
sottoposti a una coazione esterna comune)
e non si dia l’esempio di uno Stato che sia
mai Stato che sia mai stato indotto a desistere dal suo proposito da argomenti avvalorati da testimonianze di uomini tanto
celebri. Questo omaggio, che ogni Stato
rende (almeno a parole) all’idea di diritto,
dimostra che si riscontra nell’uomo una disposizione morale più forte, anche se presentemente assopita, destinata a prendere
un giorno il sopravvento sopra il principio
del male che è in lui (cosa che egli non può
negare) e a fargli sperare che ciò avvenga anche negli altri, poiché altrimenti la
parola diritto non verrebbe mai sulla bocca degli Stati che vogliono arrendersi, se
non per prendersi gioco di essa, come quel
principe gallo che affermava: “È privilegio
che la natura ha concesso al più forte sul
più debole, che questo debba a quello obbedire”. [...]
La ragione, dal suo trono di suprema
potenza morale legislatrice, condanna in
modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere imme-
diato lo stato di pace, che tuttavia non può
creato o assicurato senza una convenzione
di popoli. Di qui la necessità di una lega
di natura speciale, che si può chiamare
lega della pace (foedus pacificum), da distinguersi dal patto di pace (pactum pacis)
in ciò: che quest’ultimo si propone di porre termine semplicemente a una guerra,
quello invece a tutte le guerre e per sempre. [...]
Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non vi è altra maniera
razionale per uscire dallo stato naturale
senza leggi, che è stato di guerra, se non rinunciare, come i singoli individui, alla loro
selvaggia libertà (senza leggi), sottomettersi a leggi pubbliche coattive e formare
uno Stato di popoli (civitas gentium), che si
estenda sempre più, fino ad abbracciare da
ultimo tutti i popoli della terra.
*
Fonte: Immanuel Kant, La pace, la ragione e la
storia, a cura di Mario Albertini, trad. di Gioe-
le Solari e Giovanni Vidari, Bologna, il Mulino,
1985, Sezione Seconda, pp. 105-113.
11
Ho creato la Fondazione Europea Dragan in diverse città europee, ho pubblicato
il “Bulletin europeen” dal 1950, il quale appare ancora ai nostri giorni, ho fondato le
Edizioni Nagard, la Golden Age University, il Centro Europeo di Ricerche Storiche,
la Università Europea Dragan e altre istituzioni. Sono considerato un promotore
dell’attuale Unione europea.
Jai créé la Fondation Européenne Dragan en diverses villes européennes, j’ai commencé
à publier le Bulletin Européen en 1950 et sa publication continue de nos jours, j’ai
créé les Éditions Nagard, l’Université Golden Age, le Centre Européen de Recherches
Historiques, l’Université Européenne Dragan at d’autres institutions. On me considère
comme un promoteur de l’actuelle Union Européenne.
I
have created the Dragan European Foundation in several European cities, I have
been publishing the “Bulletin europeen” since 1950, and it is still being published,
I have founded the Edizioni Nagard publishing house, the Golden Age University,
the European Centre for History Research, the Dragan European University and
other institutions. I am considered a promoter of the current European Union.
Am creat Fundaţia Europeană Drăgan in diverse oraşe europene, am publicat,
incă din anul 1950, “Bulletin europeen”, care apare şi in zilele noastre, am infiinţat
Editura Nagard, Universitatea Golden Age, Centrul European de Cercetări Istorice,
Universitatea Europeană Drăgan şi alte instituţii. Sunt considerat un promotor al
actualei Uniuni Europene.
Tratto dal volume: Iosif Constantin Dragan,
Călătorie În timp, Viaggio nel tempo, Journey through time, Milano, 2008.
12
Giuseppe Costantino Dragan
13
“Piccola Mistica del Dialogo”
Una nuova preziosa testimonianza
di Alberto Fabio Ambrosio
Guido Ravasi
Tra le importanti novità librarie in cui
ci si può felicemente imbattere vorrei segnalare la recente edizione italiana di un
prezioso volumetto: la Piccola Mistica del
Dialogo di Alberto Fabio Ambrosio (Castelvecchi editore, Roma, 2014), opera originariamente pubblicata in francese col
titolo di Petit mystique du dialogue.
Il volumetto è di facile lettura e molto
agevole (un centinaio di pagine in tutto ma
che è opportuno assaporare lentamente)
ed è scritto in modo estremamente chiaro.
I temi toccati sono, al di là della cornice autobiografica – o forse proprio per questo! –,
di grande respiro e di indubbia importanza anche in considerazione dei tempi in cui
viviamo, ove di vero e costruttivo dialogo
e non di vuota retorica c’è sicuramente bisogno.
L’Autore, nonostante l’ancora giovane
età, è ormai uno specialista noto a livello internazionale del sufismo ottomano.
Domenicano, Alberto Fabio Ambrosio da
oltre un decennio vive a Istanbul ed è professore inviato in varie università europee
e membro del gruppo di ricerca di Storia
ottomana dell’École des Hautes Études en
Sciences Sociales di Parigi.
Tra le sue ultime opere ci limitiamo a
ricordare: Vita di un derviscio. Dottrina e
rituali del sufismo nel XVII secolo (2014);
Soufisme et christianisme. Entre histoire et
mystique (2013); Dervisci. Storia, Antropologia e mistica (2011).
14
La Piccola Mistica del Dialogo mi ha colpito sin dalle prime pagine (i “Prolegomeni
anonimi”) ove si annuncia, a ragione, che
“questo libro si rivolge a tutti, ma forse non
tutti potranno leggerlo. È un cocktail un
po’ forte, da sorbire con calma” e, aggiungo
io, con la più ampia apertura mentale.
L’Autore, come abbiamo detto, è un frate
domenicano, ma non esista a attaccare le
“immagini precostitutite di Dio” (pag. 10)
coinvolgendo il lettore, credente o no, in un
percorso per molti aspetti sorprendente.
Non mi soffermo a descrivere i vari
pregi del libro. Mi basta solo sottolineare
che il volumetto mi è piaciuto molto, per
diversi motivi e per gli spunti che offre,
ma soprattutto perché l’Autore si presenta fondamentalmente nella sua umanità.
Si presenta, invero, con le sue paure (ben
individuate, come quella di volare), con le
sue incertezze e conflitti (“la mia coscienza
è teatro quotidiano di questi conflitti”, pag.
25), con le sue predilezioni (passeggiare
senza meta, la musica con le cuffiette ecc.),
le sue stranezze (vedi un pizzico di follia
nel curioso paragrafo Un pallone giallo
pag. 62) e non nasconde le sue sensazioni o
moti d’animo apparentemente meno nobili (“stanchezza degli uomini e delle donne
che incontro, che amo e talvolta detesto” …
“reazioni pagane, assai poco caritatevoli”,
pag. 15, o le “fantasticherie paranoiche” riguardo a potenziali problemi di salute da
dominare, pag. 37).
Alberto Fabio Ambrosio
Piccola Mistica del Dialogo, Roma, Castelvecchi, 2014
Scritto da un frate domenicano che passa buona parte dell’anno in Turchia, Piccola
Mistica del Dialogo non è uno dei tanti libri sul dialogo interreligioso, ma un vivo riflesso delle relazioni vissute giornalmente nella grandezza e nella multiforme varietà
dell’umanità.
L’esperienza che l’Autore trasmette in queste pagine costituisce una testimonianza
preziosa, proprio perché è filtrata dall’umanità di chi scrive, e fa grande questa “piccola
mistica del dialogo”.
15
Tutti questi elementi, invece di risultare come punti di debolezza, conferiscono
valore (umanità appunto) all’esperienza
trasmessa in queste pagine. Di più, tali
precise indicazioni autobiografiche conferiscono consistenza all’affermazione secondo cui “il vero mistico lungi dal salire
discende in se stesso e si scopre nella sua
umanità” (p. 21).
In definitiva, l’esperienza che l’Autore
trasmette in queste pagine costituisce una
testimonianza preziosa, proprio perché
è filtrata dall’umanità di chi scrive, e fa
grande questa “piccola mistica del dialogo”. Soprattutto per tale ragione il lettore,
chiudendo il libro, sente di dover ringraziare Alberto Fabio Ambrosio per questa
sua testimonianza.
Non entro nel merito dei singoli temi, di
sicuro interesse, limitandomi solo ad accennarli: la comunicazione fra credenti di
religioni diverse e il tema del dialogo interreligioso; il primato gnoseologico della modalità del sentire, considerata “primordiale”, tanto che ciò “che si sente a volte è più
vero perfino di quello in cui si crede” (pag.
16
22); la morte delle persone amate che costituisce “un invito a spostare lo sguardo sul
Risorto” (pag. 35); il tema del vedere (o non
vedere) e degli occhi come causa dell’incredulità (pag. 35); la sfida degli abissi dell’interiorità “siano essi psichici o spirituali”
(pag. 38) e il costume di applicare etichette
agli altri (“dal biglietto di visita alla categoria professionale, passando per il paese
di origine e, perché no, dal pezzetto di terra
che ci ha visto nascere”, pag. 39.)
Altri temi di indubbio fascino, che lasciamo alla pregustazione del lettore, sono
quelli dell’amore e frustrazione (si veda lo
stupendo paragrafo Dimmi la tua umanità da pag. 47 seg.) e il senso dell’incarnazione; il rapporto tra crescita ed esperienze di strappo, di morte, di sofferenza, o il
sublime dialogo fra la bellezza e l’orrore
(nel paragrafo La Bella e la Bestia).
Infine come non ricordare il tema del relazione tra ascolto e silenzio (pag. 93-95),
imprescindibile in ogni esperienza mistica o umana profonda e l’inno che l’Autore,
studioso dei dervisci danzanti, dedica alla
danza come manifestazione dello spirito.
La Romania oggi
a 25 anni dalla caduta di Ceauşescu
Guido Ravasi
Dalla caduta di Nicolae Ceauşescu, giustiziato insieme alla moglie Elena il giorno
di Natale del 1989, la politica e la società
romena hanno conosciuto, non senza problemi e contraddizioni, notevoli trasformazioni. I romeni si sono ritrovati, quasi di
colpo, a dover ricostruire il proprio presente e gettare le basi di un diverso futuro con
parametri nuovi, affrontando da un lato
sfide inedite e, dall’altro, dovendo cogliere
le nuove opportunità, ciò che non sempre è
avvenuta al meglio.
Il nuovo quadro geopolitico di fondo in
cui la Romania si è trovata ad agire in questi ultimi 25 anni e che l’ha portata all’adesione alla Nato e poi all’Unione europea è,
nelle sue linee essenziali, sufficientemente
noto1 e non lo riprendiamo in questa sede.
Va rimarcato, tuttavia, che dopo l’esecuzione sommaria dei coniugi Ceauşescu,
il “nuovo corso” del Paese è stato, a lungo
e per almeno i primi 15 anni, pur con soluzioni di continuità, gestito proprio da
quegli alti funzionari ex comunisti che appartenevano alle seconde file del regime di
Ceauşescu, tra cui lo stesso Ion Iliescu2.
Tutto questo ha inevitabilmente condizionato e permesso, in parte per metodi e
soprattutto per mentalità, una indubbia
continuità con la realtà romena precedente, al di là del fatto che Iliescu abbia
ovviamente insistito nel definire3 sia gli
avvenimenti del dicembre 1989, sia la fase
immediatamente successiva del nuovo
corso politico, con il termine di “rivoluzione”, piuttosto che quella di “colpo di Stato”.
Particolarmente interessanti sono le
considerazioni di Ion Iliescu contenute,
all’interno della sua opera Romania. Rivoluzione e riforma nel paragrafo su Il
processo a Nicolae Ceauşescu che in realtà
si riducono ad una vera e propria giustificazione della eliminazione sommaria del
Conducător4.
Non rientra nell’economia del presente
lavoro discutere la tesi della “rivoluzione”
piuttosto che del “colpo di Stato“ in Romania. La discussione è del resto lungi
dal poter essere chiarita definitivamente
a breve. In effetti, nonostante (o forse anche proprio per questo!) le inchieste parlamentari successive avviate per chiarire
le vicende del 1989, tuttora “restano dubbi
soprattutto su quali fossero le forze in campo, a chi rispondevano e su chi abbia fatto
ricorso alle armi causando un elevato numero di morti”5. Tutto ciò significa che fino
a quando non si sarà in grado di rispondere adeguatamente a questi tre quesiti
cruciali, qui succitati, non si potrà sapere
veramente ciò che è accaduto e, soprattutto, capire il senso di quegli avvenimenti.
Al riguardo aggiungo soltanto che benché anche gli storici usino spesso la parola
“rivoluzione” per descrivere gli avvenimenti dell’89 romeno, almeno quelli più
accreditati sono consapevoli delle riserve del caso nell’uso di tale definizione. Vi
17
è da sottolineare che il fatto stesso che
la insurrezione rivoluzionaria sia stata
concretamente gestita da personaggi che
appartengono alle seconda file del Partito
comunista romeno non fa altro che “accreditare come verosimile l’idea di un colpo
di Stato programmato e messo in atto in
occasione della rivolta popolare”6 . Su questo punto ha preso corpo anche il filone del
complotto interno alla dirigenza comunista, soprattutto in studi condotti oltralpe7,
che non hanno mancato di alimentare discussioni su cui siano però lontani dal mettere una parola definitiva.
In ogni caso, è appurato che le analisi dei
servizi di informazione statunitensi consideravano pressoché inevitabile, almeno
sin dal 1988, il crollo del regime romeno
anche se, al contempo, prefiguravano un
conseguente intervento militare sovietico8
che invece non si è verificato.
Per venire ai nostri giorni, la profonda
crisi che sta attraversando anche la Romania in questi ultimi anni a vari livelli
– economico, sociale, istituzionale e politico – non ha fatto altro che assommare
gli effetti negativi della crisi globale con i
ritardi e le distorsioni precipue del Paese,
portandolo ad una situazione non soltanto difficile e problematica come tante, ma
persino drammatica.
La caduta di Ceauşescu ha suscitato una
grande speranza, una voglia di riscatto ma
in realtà, già dai primi anni Novanta, i romeni si dovettero in gran parte ricredere.
È vero che “i primi anni del dopo comunismo furono ricchi di delusioni”9, ma non si
tratta più delle difficoltà delle fasi iniziali
giacché ormai a quasi un quarto di secolo
le disillusioni sono diventante la norma e
il Paese arranca.
Giustamente è stato scritto che se prima la mancanza di libertà e la povertà diffusa generavano un grande disagio sociale
“ora la paura del futuro” e “l’incubo della
misera spingono soprattutto i giovani alla
ricerca spasmodica dl guadagno, abban18
donando non solo le ideologie egualitarie
ma persino qualsiasi limite etico e normativo”6.
La Romania ha sfruttato in modo inadeguato e anzi, in gran parte sprecato, le
occasioni che ha avuto in questi anni per
rimodernarsi e ricostruirsi. Buona parte
delle risorse finanziarie che l’Unione europea ha inviato a Bucarest sono andate
di fatto sottratte al Paese. Le infrastrutture che erano previste sono state costruite
in modo molto parziale e in forte ritardo,
i costi sono paurosamente lievitati. La
corruzione, sempre più dilagante e diffusa ad ogni livello, ha sventrato un Paese
dove chi può spesso cerca di arricchirsi con
ogni mezzo. Tutto ciò è diventato un peso
non più sostenibile tanto che la Romania
è apparsa più volte un Paese vicino al collasso sociale, oltre che economico. In tutto
questo si è addirittura arrivati ad invocare
persino il passato regime. Gli scandali che
hanno coinvolto la famiglia del presidente
Traian Basescu rappresentano solo l’apice
di questa situazione.
Le risorse migliori, o coloro che semplicemente avevano i mezzi per farlo, hanno
lasciato la Romania e sono emigrate in altri Paesi europei (molti in Italia, ma anche
in Spagna e in Germania) o oltreoceano (in
primis Stati Uniti e Canada).
I giovani, appena possono, se ne vanno
perché la sensazione è quella che le cose
potranno forse cambiare, ma in un futuro
che si vede troppo lontano e che rischia di
non arrivare mai e che non si riesce ad immaginare in patria. In modo certamente
legittimo, molti giovani non vogliono condurre una vita come quella delle generazioni precedenti, subire privazioni come i
loro genitori.
In numerosi casi questo si può tradurre in una velleità di avere subito o al più
presto le stesse disponibilità materiali dei
loro coetanei occidentali, anche a costo di
ricorrere a scorciatoie illegali.
Nella maggior parte dei casi, invece, si
traduce nella disponibilità di svolgere lavori all’estero che gli autoctoni non vogliono più fare e di cui c’è una forte richiesta.
Sappiano che vi sono tantissime badanti
romene11 o muratori e manovali romeni
in Italia che accettano condizioni al limite
dello sfruttamento, orari di lavoro, salari
che un italiano non prenderebbe nemmeno in considerazione.
Questi lavoratori spesso mandano le
commesse alle famiglie lasciate in Romania, dove in molti casi confidano di ritornare con dei risparmi. Ma la situazione in
Romania è sempre più critica. A distanza ormai di molti anni dalla caduta di
Ceauşescu, dopo il pur agognato ingresso
nell’Unione europea visto come una sorta
di storico traguardo, anche il sogno della
Romania rischia di svanire.
Nonostante questo, il Paese ha ancora
molte energie, molte potenzialità intatte,
indubbie capacità, risorse e talenti che,
unitamente al carattere indomito del romeno o alla semplice voglia di rivalsa, potrà – non senza difficoltà – fornire le leve di
un riscatto che non sia più limitato a singoli individui o particolari situazioni.
In questo contesto i servizi di informazione e sicurezza in Romania, compresa
la Securitate, hanno, da un lato, dovuto
affrontare una trasformazione ma, nello
stesso tempo, soprattutto in certi settori,
hanno mantenuto ben saldi con i legami
con il passato. Riforma e continuità sono
le due direttrici che hanno marcato la vita
dei servizi di informazione e sicurezza e,
in generale, l’intero mondo dell’intelligence in Romania in questo quarto di secolo.
L’analisi di questo apparato costituirà l’oggetto di un prossimo saggio.
Al proposito rimandiamo all’agile sintesi
nel capitolo di Francesco Guida, La difficile
transizione in Romania contenuta nel volume
dello stesso Autore, La Romania contemporanea, Milano, Nagard, 2003, pp. 97-105 e al suo
più recente România contemporaneă in drum
spre Uniunea Europeană – La Romania contemporanea. Verso l’Unione europea nel volume
collettaneo AA.VV., România şi procesul de integrare europeană – La Romania e il processo
di integrazione europea, Bucureşti, Editura
Europa Nova, 2005, pp. 88-96 e 180-189. Dello
stesso autore si veda anche La rivoluzione del
1989 e la Romania postcomunista, in Francesco Guida, Romania, Milano, Unicopli, 2005, p.
287, corsivo nostro). Sul quadro politico romeno
dell’ultimo decennio del secolo scorso è molto
utile la monografia di Alina Mungiu-Pippidi,
Politica după comunism, Bucureşti, Humanitas, 2002; si veda anche Catherine Durandin
& Zoe Petre, La Roumanie post 1989, Paris,
L’Harmattan, 2008. Sui riferimenti ai recenti
problemi della società romena mi limito, tra i
tanti, a segnalare il volume di Massimiliano
Frassi, I bambini delle fogne di Bucarest, Clusone, Ferrari Editrice, 20023.
2
Chi scrive ha incontrato Ion Iliescu la prima volta nel 1996 allorché il presidente della
Romania volle rendere noto anche in Italia il
suo punto di vista sulla svolta romena con il suo
volume Romania. Rivoluzione e riforma, Trento, Reverdito Edizioni, 1996. Iliescu era allora
quasi alla fine del suo primo mandato. Ho poi
avuto modo di reincontrare Iliescu anche successivamente, nel 2003 al tempo del suo secondo mandato presidenziale, al Palazzo Cotroceni
1
19
presso Bucarest. Era quella una fase nella quale l’ingresso, ormai vicino, nell’Unione europea,
previsto per il 2004 e poi slittato al 2007, era al
centro degli interessi e della politica della Romania e anche dei discorsi del suo presidente.
Lo rividi nel 2004 quando venne in Italia per
presentare il suo libro Integrazione e globalizzazione. La visione romena, s.l., Acque & terre,
edizione fuori commercio, 2004. Ormai qui, anche nell’opera, non si faceva più nemmeno un
cenno agli eventi del 1989, giacché la presidenza romena e la classe dirigente del Paese apparivano tutti tesi a far avanzare la Romania
“sulla strada dell’integrazione euro-atlantica”
(p. 259.)
3
Vedi Ion Iliescu La rivoluzione del dicembre
1989 e la nascita del nuovo potere in Romania,
in Romania. Rivoluzione e riforma, op. cit., pp.
13-70.
4
Ion Iliescu, Romania. Rivoluzione e riforma,
op. cit., pp. 65-68.
5
Francesco Guida, La rivoluzione del 1989 e
la Romania postcomunista, op. cit., p. 287, corsivo nostro.
6
Antonello Biagini, Storia della Romania
contemporanea, Milano, Bompiani, 2004, pp.
139 sg.
7
Molto esplicita, già nel sottotitolo, la monografia di Catherine Duran, La mort des
Ceauşescu. La vérité sur un coup d’État commu-
20
niste, Bourin Éditer, Paris, 2009, in particolare
si veda il capitolo 8: Un coup d’État masqué,
pp. 137-158. Sulla fine dei coniugi Ceauşescu si
veda anche Grigore Cristian Cartianu, Sfârsitul Ceauşeştilor. Să mori împuşcat ca un animal
sălbatic, Bucureşti, Adevărul Holding, 2010, tr.
it. La tragica fine dei Ceauşescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche, Roma, Aliberti
Editore, 2012.
8
Antonello Biagini, Storia della Romania
contemporanea, op. cit., p. 133.
9
Arianna Montanari, Un’isola di latinità nei
Balcani: La Romania in Gloria Pirzio Ammassari, Marina D’Amato, Arianna Montanari, Nazionalismo e identità collettive. I percorsi della
transizione in Romania nella Repubblica di
Moldova, Napoli, Liguori, 2001, p. 53.
10
Arianna Montanari, op. cit., p. 56.
11
Ionela Vlase, Donne rumene migranti e lavoro domestico in Italia in “Studi Emigrazione”,
vol. 43, n. 161, marzo 2006, pp. 6-22; Zoltan Rostas, Sorin Stoica, Tur-retur (vol. I). Convorbiri
despre munca în străinătate, Editura Curtea
Veche, Bucureşti, 2006; Valeria Mocanaşu, Il
sapore della mia terra, Torino, Edizioni Angolo
Manzoni, 2006; Alberto Mazzali, Andrea Stocchiero, Marco Zupi, Rimesse degli emigrati e
sviluppo economico. Rassegna della letteratura
e indicazioni per la ricerca, “Laboratorio CeSPI”, n.9, Roma, novembre 2002.
Bulletin européen 2014
UN ANNO D’EUROPA
Indice generale
degli articoli pubblicati
(nn. 764-775)
Gennaio 2014 – n. 764
Fausto Capelli: Trasparenza e lotta alla corruzione: necessità di formazione
in materia di controlli all’interno della Pubblica Amministrazione............................... 1
Massimo Palumbo: Parlamento europeo: l’organismo democratico
per eccellenza dell’Unione europea................................................................................... 9
Guido Ravasi: Un’idea moderna della comunicazione e della cultura europea:
il progetto di G. Vedovato per la Tele-Università europea............................................. 16
Febbraio 2014 – n. 765
Antonio N. Augenti - Luciano Amatucci: L’Europa dei cittadini
e la dimensione europea dell’educazione.......................................................................... 1
Pier Virgilio Dastoli: Il cantiere dell’Europa. Verso le elezioni
del Parlamento europeo..................................................................................................... 8
Stefano Silvestri: Il mancato coordinamento dei servizi di sicurezza
nell’Unione europea e negli Stati Uniti.......................................................................... 14
Laura Baldassarre: L’impegno contro lo sfruttamento del lavoro minorile
a 25 anni dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza....................... 17
Marzo 2014 – n. 766
Mario Telò: L’Europa nel nuovo contesto internazionale multipolare.......................... 1
Nicola Pedde: La miopia occidentale su un’area geopolitica cruciale:
il Medio Oriente: ............................................................................................................... 8
Laura Baldassarre: L’Italia e lo sfruttamento del lavoro minorile............................ 16
Giuseppe Dal Ferro: Il concetto di “genere” e il faticoso processo
di emancipazione della donna......................................................................................... 20
21
Aprile 2014 – n. 767
Mario Telò: In quale direzione andiamo? Gli scenari del futuro del mondo................. 1
Francesco Perfetti: I passi avanti dell’Europa ........................................................... 14
Guido Ravasi: Medio Oriente: un banco di prova per i servizi di informazione
e sicurezza.....................................................................................................................16
Nicola Pedde: La rivoluzione iraniana 35 anni dopo..................................................17
Maggio 2014 – n. 768
Mario Telò: Il nuovo multilateralismo............................................................................ 1
Nicola Pedde: Alcune considerazioni sul ruolo dell’intelligence italiana
in Medio Oriente.............................................................................................................. 10
Giovanni Zanetti: Éthique et finance: quelle liaison dans le monde bancaire?......... 14
Luigi Rainero Fassati: L’etica dei trapianti. Una questione che in virtù
del consenso-assenso riguarda anche noi....................................................................... 19
Giugno 2014 – n. 769
Francesco Perfetti: L’imperialismo di Mosca e la geopolitica euroasiatica.
Dalle premesse ideologiche e storiche alla situazione odierna........................................ 1
Giovanni Zanetti: Éthique et finance: quelle liaison dans le monde
bancaire? (II).................................................................................................................... 14
Antonio N. Augenti, Luciano Amatucci: L’Europa tra globalizzazione
e localismo........................................................................................................................ 19
Luglio-Agosto 2014 – n. 770-771
Luciano Di Gregorio: Psicologia del cellulare. Trasformazioni sociali
e interpersonali nell’epoca del telefonino......................................................................... 1
Andrea Accorsi - Daniela Ferro: Le origini misteriose di Milano............................ 14
Nicola Pedde: L’intelligence italiana oggi dall’Afghanistan al Nord Africa................ 17
Settembre 2014 – n. 772
Guido Ravasi: Consumo, qualità delle relazioni e felicità............................................. 1
Stefano Bartolini: Manifesto per la felicità................................................................... 4
Fausto Capelli: Valorizzazione dei prodotti agroalimentari italiani tipici
e tradizionali...................................................................................................................... 9
Andrea Accorsi - Daniela Ferro: Fantasmi e leggende ............................................ 14
Dragan University Golden Age: I corsi dell’Anno Accademico 2014/15................... 22
22
Ottobre 2014 – n. 773
Stefano Bartolini: Manifesto per la Felicità: dalla società del ben-avere
a quella del ben-essere....................................................................................................... 1
Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione europea:
Un Quadro Strategico per l’Europa................................................................................ 14
Dragan University Golden Age: I corsi dell’Anno Accademico 2014/15................... 22
Novembre-Dicembre 2014 – n. 774-775
Stafano Bartolini: Politiche per il vero benessere........................................................ 1
Guido Ravasi: Rileggere Kant per costruire l’Europa e la pace.................................... 9
Immanuel Kant: Per la pace perpetua. Progetto filosofico.......................................... 10
Guido Ravasi: “Piccola Mistica del Dialogo”. Una nuova preziosa
testimonianza di Alberto Fabio Ambrosio....................................................................... 14
Guido Ravasi: La Romania oggi a 25 anni dalla caduta di Ceauşescu....................... 17
Bulletin européen: Un anno d’Europa......................................................................... 21
Il Bulletin européen è una tribuna libera fondata nel 1950
da J. Constantin Dragan per lo sviluppo del dibattito sull’Europa.
Le opinioni, liberamente espresse dagli autori,
non necessariamente corrispondono a quelle del giornale.
Bulletin européen
Tribuna libera per l’Europa fondata nel marzo del 1950
da Giuseppe Costantino Dragan
ISSN 2283-3013
già 0407-8438 (cartaceo)
Direttore Responsabile: Guido Ravasi
Direzione e Redazione: Via Larga 9/11 - 20122 Milano
Tel. 02 58371405 - Fax 02 58304790 e-mail: [email protected]
Registrazione Tribunale Milano n. 390 del 3-6-1998
Chiuso in redazione: 27 ottobre 2014
.
... si la Communauté économique européenne est la base de l’unification de l’Europe,
la Communauté culturelle en permettra sa réalisation durable.
SOMMARIO
Stafano Bartolini: Politiche per il vero benessere............................................ 1
Guido Ravasi: Rileggere Kant per costruire l’Europa e la pace........................ 9
Immanuel Kant: Per la pace perpetua. Progetto filosofico.............................. 10
Guido Ravasi: “Piccola Mistica del Dialogo”. Una nuova preziosa
testimonianza di Alberto Fabio Ambrosio........................................................... 14
Guido Ravasi: La Romania oggi a 25 anni dalla caduta di Ceauşescu........... 17
Bulletin européen: Un anno d’Europa............................................................. 21