Bulletin européen Nov.-Dic. 2014 (nn 774-775)
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Bulletin européen Nov.-Dic. 2014 (nn 774-775)
ED. ITALIANA ISSN 2283-3013 NOV.-DIC. 2014 ANNO 65 n. 774-5 TRIBUNA LIBERA FONDATA NEL 1950 DA J. CONSTANTIN DRAGAN Politiche per il vero benessere Il Manifesto per la felicità* Stefano Bartolini Professore Associato di Economia Politica Università degli Studi di Siena Pubblicità: associazione di beni consumo a relazioni I pubblicitari associano nei loro spot immagini di beni di consumo con immagini di beni relazionali. In altri termini associano la ricchezza del consumo privato alle relazioni. Trasmettono così un messaggio che conoscono molto bene, ovvero quello che essere ricchi e avere consumi vistosi serve per intessere relazioni. Nel mio precedente contributo pubblicato su queste colonne ho fatto degli esempi di situazioni in cui i soldi servivano realmente per difendersi dal degrado sociale e ambientale, ma la pubblicità tende spesso a suggerirci molti modi illusori in cui i soldi potrebbero compensare una qualche forma di disagio. Esaminiamo ora più da vicino il ruolo dei pubblicitari, che è molto interessante ed è, ovviamente, un ruolo veramente preponderante nella diffusione della cultura del consumo. Quando cominciai a studiare questi temi, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, rimasi effettivamente molto sorpreso nel rendermi conto che tutto quello che io andavo scoprendo e che i miei colleghi economisti non sapevano ancora, i pubblicitari lo sapevano già benissimo da tempo. Il modo più rapido per spiegare questo è far parlare rapidamente gli stessi pubblicitari. Un celebre pubblicitario svizzero, Frederic Beigbeder, asseriva: “Sono un pubblicitario. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”. Da canto suo il presidente di una grande multinazionale di prodotti di consumo asseriva: “Compro, dunque sono. La marca definisce il consumatore. Siamo ciò che vestiamo, che mangiamo, che guidiamo. La collezione di marche che assembliamo intorno a noi è divenuta tra le più dirette espressioni della nostra individualità.” Un’altra star della pubblicità americana, Nancy Shalek, presidente della Shalek Agency, diceva: “La pubblicità, quando è ben fatta, fa sentire alla gente che senza un prodotto sono dei perdenti. … I ragazzi sono molto sensibili a questo ... ciò apre le loro vulnerabilità emotive. Ed è molto facile da fare con i ragazzi perché sono emotivamente i più vulnerabili”. Quindi lo scopo della pubblicità è quello di creare un disagio alle persone, farle star male, farle sentire escluse o perdenti se non si comprano una determinata cosa. Tutto ciò è più facile da fare con i bambini che sono molto vulnerabili alle paure di esclusione. Questa era una pubblicità rivolta ai ragazzi. Manipolazione televisiva e fanciulli Permettetemi di citare altre affermazioni di esperti pubblicitari: “Ci sono solo due modi per aumentare i clienti: o li sposti sulla tua marca o li cresci fin da piccoli.” (James U. Mc Neal, professore di marketing alla “Texas A&M”), oppure: “Tutti ormai capiscono qualcosa che è molto logico 2 e basilare, cioè che quando possiedi un ragazzo giovane, lo possiedi per molti anni a venire. Le imprese dicono: ‘hey, voglio possedere ragazzi sempre più giovani’” (Mike Searles, presidente della Kids ‘R’). Oppure ancora: “Quando abbiamo i ragazzi come obiettivo noi della General Mills seguiamo il modello della Proctel and Gamble: ‘dalla culla alla tomba’. Noi crediamo nel prenderli da piccoli e tenerli tutta la vita.” (Wayne Chilicky, dirigente della “General Mills”). Citazioni di questo genere spiegano perché i canali satellitari di cartoni animati per bambini fanno la pubblicità dei suv. Personalmente ne sono rimasto molto sorpreso. Qui si trova la risposta: le fedeltà di marca si creano da piccoli. I pubblicitari ci spiegano come mai il budget pubblicitario diretto a bambini e adolescenti sia adesso 180 volte superiore a quello che era agli inizi degli anni ’80: ciò succede, metaforicamente parlando, perché esso assorbe ormai la fetta più grande della torta della pubblicità. Questa è una evoluzione recente, prima invece la pubblicità era diretta agli adulti. Molti genitori provano a non far guardare la televisione ai figli, a non farli stare tanto su Internet e a limitare i loro acquisti. Così facendo, però, trasformano la loro vita quotidiana con i figli in una guerra continua perché è impossibile tenere un bambino in un’isola di basso consumo quando è assediato da tante pressioni commerciali che, tra l’altro, non possono nemmeno essere ignorate, perché assecondarle vuol dire dare ai propri figli la possibilità di avere più contatti sociali. In effetti, oggi i bambini vengono accettati o meno dai propri coetanei a seconda degli oggetti che possiedono o meno e delle cose che conoscono o meno. È ovvio che il problema non può essere risolto senza cambiare l’organizzazione sociale perché, in caso contrario, la vita genitori-figli diventerebbe una fabbrica di conflitti. Si può fare tanto su questo. In Svezia, per esempio, è stata proibita la pubblicità televisiva diretta a minori di 12 anni e ciò ha letteralmente cambiato i bambini. Negli Stati Uniti invece è stato limitato per qualche mese l’accesso alla televisione a bambini di terza e quarta elementare. In pratica, è stato permesso loro di guardare la televisione per non più di due ore al giorno, invece delle sei ore giornaliere che rappresentano il tempo che il bambino americano medio trascorre davanti alla televisione. Il risultato di questo esperimento è stato che le richieste di acquisto di giocattoli da parte del gruppo di controllo sono calate dell’80%. I bambini vengono scientificamente manipolati dagli spot televisivi. Dietro all’industria pubblicitaria vi è un esercito di cervelli di prim’ordine, costituito da antropologi, sociologi e psicologi, che mette le sue raffinatissime armi al servizio di una manipolazione di massa, diretta a chi è più debole emotivamente. È estremamente difficile per un genitore contrastare una situazione di questo genere. Soffermiamoci ora sulle parole impiegate negli spot pubblicitari sopraccitati. Vi troviamo parole come “vulnerabilità, prenderli, tenerli, possedere, obiettivo”. Parole che a me ricordano la guerra; questo è un linguaggio di guerra e non vi è dubbio su chi la stia vincendo. Naturalmente, tutto questo non funziona, non produce benessere, e nemmeno stabilità economica ed è per questa ragione che negli ultimi anni sono proliferate una serie di forme di economia sociale basate sul tentativo di coniugare la sostenibilità sociale e relazionale, oltre che ambientale, con la sostenibilità economica. In Italia esiste una tradizione in questo senso; mi riferisco all’estesa tradizione della cooperazione nel nostro Paese, nel campo della finanza e del consumo. Ovviamente, vi sono anche tante nuove iniziative, come, per esempio, il microcredito, il commercio equo e solidale, il co-housing, il vicinato solidale, la responsabilità sociale d’impresa, l’impresa sociale, l’economia di comunione, il consumo responsabile ecc. Crescita economica e vero benessere Vorrei ora trarre alcune conclusioni. Che cosa bisogna quindi fare per aumentare il benessere? Vari studi affermano che la crescita economica non può portare a un aumento sostanziale del benessere e ciò è molto importante, tenuto conto che il nostro mondo, la cui società e la cui cultura sono interamente funzionali all’economia, è interamente organizzato per crescere. Il mio messaggio non è che la prosperità economica non funziona, ma che in realtà stiamo sprecando le enormi potenzialità di aumento del benessere che essa stessa ci ha dato. Dico questo perché è davvero molto importante sapere di arrivare a fine mese, essere liberati dalla povertà di massa e potersi istruire, così come lo è il fatto che la mortalità infantile sia bassa e che molte malattie siano curabili. Il problema è che se otteniamo tutte queste cose al prezzo di una desertificazione sociale, allora dobbiamo forse chiederci se valga ancora la pena di lottare per ottenerle. Dovremmo quindi concentrare maggiori sforzi su obiettivi diversi dalla crescita? Sì, dovremmo cercare di costruire modelli sociali, una organizzazione sociale e una cultura che ci consentano di coniugare la prosperità economica con quello che veramente conta per il nostro benessere, cioè con le relazioni intime e sociali che contano davvero tanto. 3 “Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma ci è stata prestata dai nostri figli” è un proverbio che esprime bene la filosofia della Veroniki Holding, la quale si inserisce, innovandolo, nel lascito imprenditoriale, culturale ed etico di Giuseppe Costantino Dragan. È un lascito per il soddisfacimento del fabbisogno di energia, nel rispetto dell’ambiente, per una economia al servizio dell’uomo e per la promozione della sua cultura e dignità. Questo perché per noi la “cultura dell’energia” e “l’energia della cultura” non sono soltanto uno slogan, ma un principio e un criterio, al contempo, imprenditoriale ed etico: in pratica una filosofia di vita. 4 Obiezioni: povertà e disoccupazione Vi è, però, una obiezione di base che i fan della crescita fanno sempre, sostenendo che essa serve per combattere la povertà e soprattutto la disoccupazione. L’argomento sulla disoccupazione è tuttavia sbagliato, perché la crescita economica e il consumismo non aiutano a combattere la disoccupazione. Il ragionamento di molti che propugnano questa tesi è che se la gente consuma di più, le imprese vendono di più e quindi si crea più lavoro e vengono assunte più persone. È certamente vero che il consumismo crea più posti di lavoro, il problema è che esso crea anche più necessità di lavorare perché famiglie che spendono di più hanno bisogno di più membri che lavorano, oltre che di orari di lavoro più lunghi, perché hanno bisogno di soldi. Per questa ragione, il discorso che il consumismo diminuisca la disoccupazione è, a rigore, sbagliato, perché se, da una parte, crea domanda di lavoro, dall’altra crea anche offerta di lavoro, quindi non esiste alcuna garanzia che l’espansione dei consumi finisca per ridurre la disoccupazione. Personalmente ritengo che la strada da seguire per ridurre la disoccupazione sia invece quella di ridurre il bisogno di denaro degli individui. Come abbiamo visto, il denaro ci serve in tanti modi reali o illusori per difenderci dal degrado sociale, ossia di beni comuni, e ciò crea quel circolo vizioso di cui parlavo prima. Per uscirne dobbiamo costruire una economia e una società più attente alla dimensione relazionale della vita. Vi sono tanti modi per farlo e ciò costituisce il vero e proprio oggetto del mio libro Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere. Ritengo che si debbano cambiare tante cose nella scuola, nei media, nell’organizzazio- ne urbana, nel nostro modo di lavorare e di fare assistenza sanitaria, ma soprattutto nella nostra cultura. Organizzazione urbana e spazio relazionale Per quanto riguarda l’organizzazione urbana vorrei sottolineare che per 5000 anni le città sono state pensate come punto di aggregazione, ma in un tempo storicamente breve, cioè dal secondo dopoguerra in poi, hanno perso questo loro ruolo sociale. Cercherò di spiegarne il perché. Per essere un punto di aggregazione, le città hanno bisogno di spazi relazionali. Lo spazio relazionale, il cui simbolo erano le piazze, è lo spazio pubblico di qualità. Nel corso dei secoli le città europee, e quindi anche quelle italiane, si sono evolute ingrandendosi lentamente in seguito alla costruzione di nuovi quartieri intorno a nuove piazze. A quei tempi esisteva dunque una proporzione tra spazio pubblico e spazio privato, cioè non si costruivano soltanto nuove case, ma anche nuove piazze. Lo spazio pubblico serviva da punto di aggregazione: la piazza era il luogo dove i cittadini di ogni rango sociale si potevano incontrare, dove i bambini potevano giocare, e dove gli anziani potevano intessere le loro relazioni sociali. Tutto ciò è cambiato bruscamente negli ultimi decenni, perché dal secondo dopoguerra in poi si è cominciato a costruire enormi periferie in cui le piazze non ci sono più. Lo spazio pubblico è arretrato di fronte allo spazio privato e, oltre a ciò, è crollato in qualità per via del traffico, il quale viene trattato normalmente come un problema di salute fisica ma è innanzitutto un problema di salute relazionale perché in una città rumorosa, puzzolente, pericolosa, le persone non si possono incontrare. Di questa situazione sono vittime soprattutto le categorie più deboli fisicamen5 te, cioè i bambini, gli anziani e gli handicappati, perché non hanno più un tessuto sociale. La gente ha bisogno di un tessuto sociale fuori dalla porta di casa. Le città contemporanee, sono, in realtà, posti costruiti per l’età media, ovvero per persone in età lavorativa; escludendo tutti gli altri, esse creano enormi disuguaglianze che non sono le classiche disuguaglianze di reddito, ma sono soprattutto generazionali e sono dovute alle diverse opportunità di accesso alle relazioni. L’attuale organizzazione urbana ha precluso ai bambini la possibilità di avere relazioni sociali autonome che, secondo gli psicologi infantili, sono fondamentali per il loro sviluppo psicologico. Ciò ha reso la relazione genitori-bambini ossessiva perché questi ultimi dipendono completamente dai primi per qualsiasi cosa debbano o vogliano fare. Se non sono i genitori a portarli, i bambini da soli non possono andare da nessuna parte. In questo modo, il ruolo dei genitori è stato gravato da un’immensa responsabilità, perché tutte le possibilità sociali dei loro figli dipendono da loro. Recintare i bambini in una casa e renderli totalmente dipendenti dagli adulti è un esperimento assolutamente innovativo nella storia umana, di una portata immensa, i cui effetti disastrosi si stanno manifestando chiaramente negli Stati Uniti. Tutto ciò è frutto di precise scelte sociali. Infatti, ci sono città che stanno cambiando, come Parigi, per esempio, il cui attuale sindaco ha vinto le elezioni grazie a un radicale programma di restituzione delle strade ai pedoni, tenuto conto che nelle città esiste un conflitto insanabile tra far sentire a proprio agio i pedoni e far sentire a proprio agio le macchine. Le città funzionano come punto di aggregazione se danno spazio ai pedoni, se li proteggono, se creano aree pedonali abbastanza strette, se il reticolo urbano è inner6 vato da una rete di spazi pedonali collegati tra loro, che consente alla gente di muoversi a piedi o in bici, oppure di incontrarsi e discutere con tranquillità. Questi sono solo alcuni cenni su un progetto che è non solo fattibile, ma anche in corso di realizzazione in alcune città. Conclusioni L’impressione da cui vorrei più rifuggire è quella che la lista dei settori in cui bisogna intervenire per operare cambiamenti sia una lista utopica, perché non lo è affatto, tenuto conto che nel mondo vi sono esempi concreti di cambiamenti già realizzati in ognuno di questi campi, e cioè imprese che lavorano in modo diverso, assistenza sanitaria fatta in modo diverso, città diverse, regolazioni diverse per i media, i quali, a volte, sono un’arma pericolosissima. La televisione può essere un’arma pericolosissima, ma potenzialmente può anche essere usata per svegliare la gente anziché per rimbecillirla. La nostra scuola andrebbe anch’essa cambiata profondamente. Vorrei concludere facendo un breve cenno sulla democrazia perché il problema chiave oggi è che la nostra democrazia si è inceppata. Tutte le proposte di riforma da me avanzate sono fattibili e non hanno nulla di utopico, come dimostra il fatto che siano già state realizzate in altre parti del mondo. Il problema, in sintesi, è che questi temi faticano ad arrivare nelle agende politiche perché il sistema politico, i partiti sono diventati schiavi degli interessi delle grandi corporation, dei grandi poteri economici che, in misura maggiore o minore, influenzano le decisioni politiche. Non è più la gente a influenzare queste ultime, bensì i grandi interessi economici, tanto è vero che ci sono grandi politologi che parlano ormai di post-democrazia. Non siamo più in una fase di democrazia, perché la democrazia era stata inven- tata per far partecipare la gente comune alla conduzione dello Stato e alle decisioni politiche ed è invece diventata col tempo un modo per escludere la gente comune dalle decisioni politiche. Anche questo può essere cambiato: ci sono riforme che, una volta attuate, libererebbero la democrazia dalla schiavitù nei confronti del big business, cioè dei grandi interessi economici. Il presente articolo del Prof. Stefano Bartolini completa i due precedenti contributi pubblicati sul “Bulletin européen” che rappresentano una sintesi della conferenza svolta alla Dragan University Golden Age. I temi sono sviluppati nel volume Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere, Roma, Donzelli, 2010. * 7 L’insegnamento nella dimensione europea. La scuola italiana e l’Europa di Antonio N. Augenti e Luciano Amatucci Editoriale Anicia, Roma, 2013 una serie di strumenti e di riflessioni utili per realizzare il disegno europeo nelle nostre scuole 8 Rileggere Kant per costruire l’Europa e la pace L’ispirazione di due testi classici per il progetto di costruzione europea e di pacificazione mondiale Guido Ravasi Gli scritti di Immanuel Kant hanno a lungo ispirato gli aneliti di costruzione europea e sono destinati ad esercitare ancora a lungo tale influenza. Diversi anni fa, per esempio, avevamo pubblicato su queste colonne un’analisi dell’influsso esercitato dal pensiero kantiano su un grande europeista, Umberto Serafini, di cui il prossimo anno ricorrerà il decennale della scomparsa. Umberto Serafini è ormai fermamente riconosciuto come un infaticabile artefice del processo di costruzione europea, a cui ha dato un importante contributo in molteplici attività, sia come fondatore del Consiglio dei Comuni e, in seguito, delle Regioni d’Europa, sia per la sua attività pubblicistica e di sensibilizzazione come direttore del periodico “Comuni d’Europa” e per il suo impegno per la la costruzione di un’Europa in senso federale. Ma al di là delle considerazioni sulle radici kantiane nel pensiero di Umberto Serafini ai fini della costruzione europea (a cui in ogni caso si rimanda: cfr. Guido Ravasi, Radici kantiane nel pensiero di Umberto Serafini. Riflessioni per il futuro dell’Europa, “Bulletin européen”, n. 672, maggio 2006, pp. 6-8), è opportuno nelle pagine seguenti riprendere e ricordare una breve selezione di alcuni brani kantiani applicabili all’argomento del progetto di costruzione europea. I brani qui scelti sono estratti da un testo classico sull’argomento, me non per questo sufficientente conosciuto: Per la pace perpetua. Progetto filosofico (1795-96). In seguito riprenderemo invece un altro testo del filosofo di Königsberg tratto da Idea di una storia universale da un punto di vista cosmopolitico (1784). Entrambi questi testi si riferiscono alla necessità di una federazione non solo europea ma mondiale di Stati. In una fase di stallo, in cui si trova il processo di costruzione europea, nonché di frizione o addirittura di belligeranza (vedi, per esempio, il caso dell’Ucraina) riflettere sui determinati testi classici non necessariamente rappresenta un’operazione circoscritta ad un ambito esclusivamente culturale. 9 Per la pace perpetua. Progetto filosofico* Immanuel Kant Lo stato di pace tra gli uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura (status naturalis). Questo è piuttosto uno stato di guerra, nel senso che, se anche non vi sono sempre ostilità dichiarate, è però continua la minaccia che esse abbiano a prodursi. Dunque lo stato di pace dev’essere istituito, poiché la mancanza di ostilità non significa ancora sicurezza. [...] Secondo articolo definitivo per la pace perpetua: “ll diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi Stati”. [...] Questa sarebbe una federazione di popoli, ma non dovrebbe però essere uno Stato di popoli. In quest’ultima idea vi sarebbe una contraddizione, poiché ogni Stato implica un rapporto di un superiore (legislatore) con un inferiore (colui che obbedisce, cioè il popolo), mentre molti popoli in uno Stato costituirebbero un sol popolo, ciò che è contrario al presupposto (poiché qui dobbiamo considerare il diritto dei popoli tra loro in quanto essi costituiscono altrettanti Stati diversi e non devono confondersi in un solo e unico Stato). Come l’attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge a preferire di azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi ad una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una libertà ragionevole, noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell’umanità, così si 10 dovrebbe pensare che i popoli civili (di cui ognuno forma uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante. Al contrario, ogni Stato ripone piuttosto la sua maestà (poiché maestà dei popoli è un’espressione insulsa) nel non sottoporsi a coazione legale esterna di sorta, e lo splendore del sovrano si fa consistere nell’avere al suo comando, senza che egli stesso si esponga al pericolo, molte migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per una causa di cui ad essi non importa nulla. La differenza tra i selvaggi dell’Europa e quelli dell’America consiste soprattutto in questo: che in America alcune tribù di selvaggi sono state interamente divorate dai loro nemici, mentre gli europei meglio che divorarli, sanno sfruttare i loro nemici vinti e preferiscono accrescere con essi il numero dei loro sudditi e quindi la quantità di strumenti per guerre ancora più vaste. [...] Sono sempre candidamente citati, a giustificazione di una guerra di aggressione, Ugo Grozio, Pufendorf, Vattel e altri (i quali non sono che assai deboli incoraggiatori), sebbene il loro codice, redatto con spirito filosofico e diplomatico, non abbia o anche solo possa avere la minima forza legale (poiché gli Stati come tali non sono sottoposti a una coazione esterna comune) e non si dia l’esempio di uno Stato che sia mai Stato che sia mai stato indotto a desistere dal suo proposito da argomenti avvalorati da testimonianze di uomini tanto celebri. Questo omaggio, che ogni Stato rende (almeno a parole) all’idea di diritto, dimostra che si riscontra nell’uomo una disposizione morale più forte, anche se presentemente assopita, destinata a prendere un giorno il sopravvento sopra il principio del male che è in lui (cosa che egli non può negare) e a fargli sperare che ciò avvenga anche negli altri, poiché altrimenti la parola diritto non verrebbe mai sulla bocca degli Stati che vogliono arrendersi, se non per prendersi gioco di essa, come quel principe gallo che affermava: “È privilegio che la natura ha concesso al più forte sul più debole, che questo debba a quello obbedire”. [...] La ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere imme- diato lo stato di pace, che tuttavia non può creato o assicurato senza una convenzione di popoli. Di qui la necessità di una lega di natura speciale, che si può chiamare lega della pace (foedus pacificum), da distinguersi dal patto di pace (pactum pacis) in ciò: che quest’ultimo si propone di porre termine semplicemente a una guerra, quello invece a tutte le guerre e per sempre. [...] Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non vi è altra maniera razionale per uscire dallo stato naturale senza leggi, che è stato di guerra, se non rinunciare, come i singoli individui, alla loro selvaggia libertà (senza leggi), sottomettersi a leggi pubbliche coattive e formare uno Stato di popoli (civitas gentium), che si estenda sempre più, fino ad abbracciare da ultimo tutti i popoli della terra. * Fonte: Immanuel Kant, La pace, la ragione e la storia, a cura di Mario Albertini, trad. di Gioe- le Solari e Giovanni Vidari, Bologna, il Mulino, 1985, Sezione Seconda, pp. 105-113. 11 Ho creato la Fondazione Europea Dragan in diverse città europee, ho pubblicato il “Bulletin europeen” dal 1950, il quale appare ancora ai nostri giorni, ho fondato le Edizioni Nagard, la Golden Age University, il Centro Europeo di Ricerche Storiche, la Università Europea Dragan e altre istituzioni. Sono considerato un promotore dell’attuale Unione europea. Jai créé la Fondation Européenne Dragan en diverses villes européennes, j’ai commencé à publier le Bulletin Européen en 1950 et sa publication continue de nos jours, j’ai créé les Éditions Nagard, l’Université Golden Age, le Centre Européen de Recherches Historiques, l’Université Européenne Dragan at d’autres institutions. On me considère comme un promoteur de l’actuelle Union Européenne. I have created the Dragan European Foundation in several European cities, I have been publishing the “Bulletin europeen” since 1950, and it is still being published, I have founded the Edizioni Nagard publishing house, the Golden Age University, the European Centre for History Research, the Dragan European University and other institutions. I am considered a promoter of the current European Union. Am creat Fundaţia Europeană Drăgan in diverse oraşe europene, am publicat, incă din anul 1950, “Bulletin europeen”, care apare şi in zilele noastre, am infiinţat Editura Nagard, Universitatea Golden Age, Centrul European de Cercetări Istorice, Universitatea Europeană Drăgan şi alte instituţii. Sunt considerat un promotor al actualei Uniuni Europene. Tratto dal volume: Iosif Constantin Dragan, Călătorie În timp, Viaggio nel tempo, Journey through time, Milano, 2008. 12 Giuseppe Costantino Dragan 13 “Piccola Mistica del Dialogo” Una nuova preziosa testimonianza di Alberto Fabio Ambrosio Guido Ravasi Tra le importanti novità librarie in cui ci si può felicemente imbattere vorrei segnalare la recente edizione italiana di un prezioso volumetto: la Piccola Mistica del Dialogo di Alberto Fabio Ambrosio (Castelvecchi editore, Roma, 2014), opera originariamente pubblicata in francese col titolo di Petit mystique du dialogue. Il volumetto è di facile lettura e molto agevole (un centinaio di pagine in tutto ma che è opportuno assaporare lentamente) ed è scritto in modo estremamente chiaro. I temi toccati sono, al di là della cornice autobiografica – o forse proprio per questo! –, di grande respiro e di indubbia importanza anche in considerazione dei tempi in cui viviamo, ove di vero e costruttivo dialogo e non di vuota retorica c’è sicuramente bisogno. L’Autore, nonostante l’ancora giovane età, è ormai uno specialista noto a livello internazionale del sufismo ottomano. Domenicano, Alberto Fabio Ambrosio da oltre un decennio vive a Istanbul ed è professore inviato in varie università europee e membro del gruppo di ricerca di Storia ottomana dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Tra le sue ultime opere ci limitiamo a ricordare: Vita di un derviscio. Dottrina e rituali del sufismo nel XVII secolo (2014); Soufisme et christianisme. Entre histoire et mystique (2013); Dervisci. Storia, Antropologia e mistica (2011). 14 La Piccola Mistica del Dialogo mi ha colpito sin dalle prime pagine (i “Prolegomeni anonimi”) ove si annuncia, a ragione, che “questo libro si rivolge a tutti, ma forse non tutti potranno leggerlo. È un cocktail un po’ forte, da sorbire con calma” e, aggiungo io, con la più ampia apertura mentale. L’Autore, come abbiamo detto, è un frate domenicano, ma non esista a attaccare le “immagini precostitutite di Dio” (pag. 10) coinvolgendo il lettore, credente o no, in un percorso per molti aspetti sorprendente. Non mi soffermo a descrivere i vari pregi del libro. Mi basta solo sottolineare che il volumetto mi è piaciuto molto, per diversi motivi e per gli spunti che offre, ma soprattutto perché l’Autore si presenta fondamentalmente nella sua umanità. Si presenta, invero, con le sue paure (ben individuate, come quella di volare), con le sue incertezze e conflitti (“la mia coscienza è teatro quotidiano di questi conflitti”, pag. 25), con le sue predilezioni (passeggiare senza meta, la musica con le cuffiette ecc.), le sue stranezze (vedi un pizzico di follia nel curioso paragrafo Un pallone giallo pag. 62) e non nasconde le sue sensazioni o moti d’animo apparentemente meno nobili (“stanchezza degli uomini e delle donne che incontro, che amo e talvolta detesto” … “reazioni pagane, assai poco caritatevoli”, pag. 15, o le “fantasticherie paranoiche” riguardo a potenziali problemi di salute da dominare, pag. 37). Alberto Fabio Ambrosio Piccola Mistica del Dialogo, Roma, Castelvecchi, 2014 Scritto da un frate domenicano che passa buona parte dell’anno in Turchia, Piccola Mistica del Dialogo non è uno dei tanti libri sul dialogo interreligioso, ma un vivo riflesso delle relazioni vissute giornalmente nella grandezza e nella multiforme varietà dell’umanità. L’esperienza che l’Autore trasmette in queste pagine costituisce una testimonianza preziosa, proprio perché è filtrata dall’umanità di chi scrive, e fa grande questa “piccola mistica del dialogo”. 15 Tutti questi elementi, invece di risultare come punti di debolezza, conferiscono valore (umanità appunto) all’esperienza trasmessa in queste pagine. Di più, tali precise indicazioni autobiografiche conferiscono consistenza all’affermazione secondo cui “il vero mistico lungi dal salire discende in se stesso e si scopre nella sua umanità” (p. 21). In definitiva, l’esperienza che l’Autore trasmette in queste pagine costituisce una testimonianza preziosa, proprio perché è filtrata dall’umanità di chi scrive, e fa grande questa “piccola mistica del dialogo”. Soprattutto per tale ragione il lettore, chiudendo il libro, sente di dover ringraziare Alberto Fabio Ambrosio per questa sua testimonianza. Non entro nel merito dei singoli temi, di sicuro interesse, limitandomi solo ad accennarli: la comunicazione fra credenti di religioni diverse e il tema del dialogo interreligioso; il primato gnoseologico della modalità del sentire, considerata “primordiale”, tanto che ciò “che si sente a volte è più vero perfino di quello in cui si crede” (pag. 16 22); la morte delle persone amate che costituisce “un invito a spostare lo sguardo sul Risorto” (pag. 35); il tema del vedere (o non vedere) e degli occhi come causa dell’incredulità (pag. 35); la sfida degli abissi dell’interiorità “siano essi psichici o spirituali” (pag. 38) e il costume di applicare etichette agli altri (“dal biglietto di visita alla categoria professionale, passando per il paese di origine e, perché no, dal pezzetto di terra che ci ha visto nascere”, pag. 39.) Altri temi di indubbio fascino, che lasciamo alla pregustazione del lettore, sono quelli dell’amore e frustrazione (si veda lo stupendo paragrafo Dimmi la tua umanità da pag. 47 seg.) e il senso dell’incarnazione; il rapporto tra crescita ed esperienze di strappo, di morte, di sofferenza, o il sublime dialogo fra la bellezza e l’orrore (nel paragrafo La Bella e la Bestia). Infine come non ricordare il tema del relazione tra ascolto e silenzio (pag. 93-95), imprescindibile in ogni esperienza mistica o umana profonda e l’inno che l’Autore, studioso dei dervisci danzanti, dedica alla danza come manifestazione dello spirito. La Romania oggi a 25 anni dalla caduta di Ceauşescu Guido Ravasi Dalla caduta di Nicolae Ceauşescu, giustiziato insieme alla moglie Elena il giorno di Natale del 1989, la politica e la società romena hanno conosciuto, non senza problemi e contraddizioni, notevoli trasformazioni. I romeni si sono ritrovati, quasi di colpo, a dover ricostruire il proprio presente e gettare le basi di un diverso futuro con parametri nuovi, affrontando da un lato sfide inedite e, dall’altro, dovendo cogliere le nuove opportunità, ciò che non sempre è avvenuta al meglio. Il nuovo quadro geopolitico di fondo in cui la Romania si è trovata ad agire in questi ultimi 25 anni e che l’ha portata all’adesione alla Nato e poi all’Unione europea è, nelle sue linee essenziali, sufficientemente noto1 e non lo riprendiamo in questa sede. Va rimarcato, tuttavia, che dopo l’esecuzione sommaria dei coniugi Ceauşescu, il “nuovo corso” del Paese è stato, a lungo e per almeno i primi 15 anni, pur con soluzioni di continuità, gestito proprio da quegli alti funzionari ex comunisti che appartenevano alle seconde file del regime di Ceauşescu, tra cui lo stesso Ion Iliescu2. Tutto questo ha inevitabilmente condizionato e permesso, in parte per metodi e soprattutto per mentalità, una indubbia continuità con la realtà romena precedente, al di là del fatto che Iliescu abbia ovviamente insistito nel definire3 sia gli avvenimenti del dicembre 1989, sia la fase immediatamente successiva del nuovo corso politico, con il termine di “rivoluzione”, piuttosto che quella di “colpo di Stato”. Particolarmente interessanti sono le considerazioni di Ion Iliescu contenute, all’interno della sua opera Romania. Rivoluzione e riforma nel paragrafo su Il processo a Nicolae Ceauşescu che in realtà si riducono ad una vera e propria giustificazione della eliminazione sommaria del Conducător4. Non rientra nell’economia del presente lavoro discutere la tesi della “rivoluzione” piuttosto che del “colpo di Stato“ in Romania. La discussione è del resto lungi dal poter essere chiarita definitivamente a breve. In effetti, nonostante (o forse anche proprio per questo!) le inchieste parlamentari successive avviate per chiarire le vicende del 1989, tuttora “restano dubbi soprattutto su quali fossero le forze in campo, a chi rispondevano e su chi abbia fatto ricorso alle armi causando un elevato numero di morti”5. Tutto ciò significa che fino a quando non si sarà in grado di rispondere adeguatamente a questi tre quesiti cruciali, qui succitati, non si potrà sapere veramente ciò che è accaduto e, soprattutto, capire il senso di quegli avvenimenti. Al riguardo aggiungo soltanto che benché anche gli storici usino spesso la parola “rivoluzione” per descrivere gli avvenimenti dell’89 romeno, almeno quelli più accreditati sono consapevoli delle riserve del caso nell’uso di tale definizione. Vi 17 è da sottolineare che il fatto stesso che la insurrezione rivoluzionaria sia stata concretamente gestita da personaggi che appartengono alle seconda file del Partito comunista romeno non fa altro che “accreditare come verosimile l’idea di un colpo di Stato programmato e messo in atto in occasione della rivolta popolare”6 . Su questo punto ha preso corpo anche il filone del complotto interno alla dirigenza comunista, soprattutto in studi condotti oltralpe7, che non hanno mancato di alimentare discussioni su cui siano però lontani dal mettere una parola definitiva. In ogni caso, è appurato che le analisi dei servizi di informazione statunitensi consideravano pressoché inevitabile, almeno sin dal 1988, il crollo del regime romeno anche se, al contempo, prefiguravano un conseguente intervento militare sovietico8 che invece non si è verificato. Per venire ai nostri giorni, la profonda crisi che sta attraversando anche la Romania in questi ultimi anni a vari livelli – economico, sociale, istituzionale e politico – non ha fatto altro che assommare gli effetti negativi della crisi globale con i ritardi e le distorsioni precipue del Paese, portandolo ad una situazione non soltanto difficile e problematica come tante, ma persino drammatica. La caduta di Ceauşescu ha suscitato una grande speranza, una voglia di riscatto ma in realtà, già dai primi anni Novanta, i romeni si dovettero in gran parte ricredere. È vero che “i primi anni del dopo comunismo furono ricchi di delusioni”9, ma non si tratta più delle difficoltà delle fasi iniziali giacché ormai a quasi un quarto di secolo le disillusioni sono diventante la norma e il Paese arranca. Giustamente è stato scritto che se prima la mancanza di libertà e la povertà diffusa generavano un grande disagio sociale “ora la paura del futuro” e “l’incubo della misera spingono soprattutto i giovani alla ricerca spasmodica dl guadagno, abban18 donando non solo le ideologie egualitarie ma persino qualsiasi limite etico e normativo”6. La Romania ha sfruttato in modo inadeguato e anzi, in gran parte sprecato, le occasioni che ha avuto in questi anni per rimodernarsi e ricostruirsi. Buona parte delle risorse finanziarie che l’Unione europea ha inviato a Bucarest sono andate di fatto sottratte al Paese. Le infrastrutture che erano previste sono state costruite in modo molto parziale e in forte ritardo, i costi sono paurosamente lievitati. La corruzione, sempre più dilagante e diffusa ad ogni livello, ha sventrato un Paese dove chi può spesso cerca di arricchirsi con ogni mezzo. Tutto ciò è diventato un peso non più sostenibile tanto che la Romania è apparsa più volte un Paese vicino al collasso sociale, oltre che economico. In tutto questo si è addirittura arrivati ad invocare persino il passato regime. Gli scandali che hanno coinvolto la famiglia del presidente Traian Basescu rappresentano solo l’apice di questa situazione. Le risorse migliori, o coloro che semplicemente avevano i mezzi per farlo, hanno lasciato la Romania e sono emigrate in altri Paesi europei (molti in Italia, ma anche in Spagna e in Germania) o oltreoceano (in primis Stati Uniti e Canada). I giovani, appena possono, se ne vanno perché la sensazione è quella che le cose potranno forse cambiare, ma in un futuro che si vede troppo lontano e che rischia di non arrivare mai e che non si riesce ad immaginare in patria. In modo certamente legittimo, molti giovani non vogliono condurre una vita come quella delle generazioni precedenti, subire privazioni come i loro genitori. In numerosi casi questo si può tradurre in una velleità di avere subito o al più presto le stesse disponibilità materiali dei loro coetanei occidentali, anche a costo di ricorrere a scorciatoie illegali. Nella maggior parte dei casi, invece, si traduce nella disponibilità di svolgere lavori all’estero che gli autoctoni non vogliono più fare e di cui c’è una forte richiesta. Sappiano che vi sono tantissime badanti romene11 o muratori e manovali romeni in Italia che accettano condizioni al limite dello sfruttamento, orari di lavoro, salari che un italiano non prenderebbe nemmeno in considerazione. Questi lavoratori spesso mandano le commesse alle famiglie lasciate in Romania, dove in molti casi confidano di ritornare con dei risparmi. Ma la situazione in Romania è sempre più critica. A distanza ormai di molti anni dalla caduta di Ceauşescu, dopo il pur agognato ingresso nell’Unione europea visto come una sorta di storico traguardo, anche il sogno della Romania rischia di svanire. Nonostante questo, il Paese ha ancora molte energie, molte potenzialità intatte, indubbie capacità, risorse e talenti che, unitamente al carattere indomito del romeno o alla semplice voglia di rivalsa, potrà – non senza difficoltà – fornire le leve di un riscatto che non sia più limitato a singoli individui o particolari situazioni. In questo contesto i servizi di informazione e sicurezza in Romania, compresa la Securitate, hanno, da un lato, dovuto affrontare una trasformazione ma, nello stesso tempo, soprattutto in certi settori, hanno mantenuto ben saldi con i legami con il passato. Riforma e continuità sono le due direttrici che hanno marcato la vita dei servizi di informazione e sicurezza e, in generale, l’intero mondo dell’intelligence in Romania in questo quarto di secolo. L’analisi di questo apparato costituirà l’oggetto di un prossimo saggio. Al proposito rimandiamo all’agile sintesi nel capitolo di Francesco Guida, La difficile transizione in Romania contenuta nel volume dello stesso Autore, La Romania contemporanea, Milano, Nagard, 2003, pp. 97-105 e al suo più recente România contemporaneă in drum spre Uniunea Europeană – La Romania contemporanea. Verso l’Unione europea nel volume collettaneo AA.VV., România şi procesul de integrare europeană – La Romania e il processo di integrazione europea, Bucureşti, Editura Europa Nova, 2005, pp. 88-96 e 180-189. Dello stesso autore si veda anche La rivoluzione del 1989 e la Romania postcomunista, in Francesco Guida, Romania, Milano, Unicopli, 2005, p. 287, corsivo nostro). Sul quadro politico romeno dell’ultimo decennio del secolo scorso è molto utile la monografia di Alina Mungiu-Pippidi, Politica după comunism, Bucureşti, Humanitas, 2002; si veda anche Catherine Durandin & Zoe Petre, La Roumanie post 1989, Paris, L’Harmattan, 2008. Sui riferimenti ai recenti problemi della società romena mi limito, tra i tanti, a segnalare il volume di Massimiliano Frassi, I bambini delle fogne di Bucarest, Clusone, Ferrari Editrice, 20023. 2 Chi scrive ha incontrato Ion Iliescu la prima volta nel 1996 allorché il presidente della Romania volle rendere noto anche in Italia il suo punto di vista sulla svolta romena con il suo volume Romania. Rivoluzione e riforma, Trento, Reverdito Edizioni, 1996. Iliescu era allora quasi alla fine del suo primo mandato. Ho poi avuto modo di reincontrare Iliescu anche successivamente, nel 2003 al tempo del suo secondo mandato presidenziale, al Palazzo Cotroceni 1 19 presso Bucarest. Era quella una fase nella quale l’ingresso, ormai vicino, nell’Unione europea, previsto per il 2004 e poi slittato al 2007, era al centro degli interessi e della politica della Romania e anche dei discorsi del suo presidente. Lo rividi nel 2004 quando venne in Italia per presentare il suo libro Integrazione e globalizzazione. La visione romena, s.l., Acque & terre, edizione fuori commercio, 2004. Ormai qui, anche nell’opera, non si faceva più nemmeno un cenno agli eventi del 1989, giacché la presidenza romena e la classe dirigente del Paese apparivano tutti tesi a far avanzare la Romania “sulla strada dell’integrazione euro-atlantica” (p. 259.) 3 Vedi Ion Iliescu La rivoluzione del dicembre 1989 e la nascita del nuovo potere in Romania, in Romania. Rivoluzione e riforma, op. cit., pp. 13-70. 4 Ion Iliescu, Romania. Rivoluzione e riforma, op. cit., pp. 65-68. 5 Francesco Guida, La rivoluzione del 1989 e la Romania postcomunista, op. cit., p. 287, corsivo nostro. 6 Antonello Biagini, Storia della Romania contemporanea, Milano, Bompiani, 2004, pp. 139 sg. 7 Molto esplicita, già nel sottotitolo, la monografia di Catherine Duran, La mort des Ceauşescu. La vérité sur un coup d’État commu- 20 niste, Bourin Éditer, Paris, 2009, in particolare si veda il capitolo 8: Un coup d’État masqué, pp. 137-158. Sulla fine dei coniugi Ceauşescu si veda anche Grigore Cristian Cartianu, Sfârsitul Ceauşeştilor. Să mori împuşcat ca un animal sălbatic, Bucureşti, Adevărul Holding, 2010, tr. it. La tragica fine dei Ceauşescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche, Roma, Aliberti Editore, 2012. 8 Antonello Biagini, Storia della Romania contemporanea, op. cit., p. 133. 9 Arianna Montanari, Un’isola di latinità nei Balcani: La Romania in Gloria Pirzio Ammassari, Marina D’Amato, Arianna Montanari, Nazionalismo e identità collettive. I percorsi della transizione in Romania nella Repubblica di Moldova, Napoli, Liguori, 2001, p. 53. 10 Arianna Montanari, op. cit., p. 56. 11 Ionela Vlase, Donne rumene migranti e lavoro domestico in Italia in “Studi Emigrazione”, vol. 43, n. 161, marzo 2006, pp. 6-22; Zoltan Rostas, Sorin Stoica, Tur-retur (vol. I). Convorbiri despre munca în străinătate, Editura Curtea Veche, Bucureşti, 2006; Valeria Mocanaşu, Il sapore della mia terra, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2006; Alberto Mazzali, Andrea Stocchiero, Marco Zupi, Rimesse degli emigrati e sviluppo economico. Rassegna della letteratura e indicazioni per la ricerca, “Laboratorio CeSPI”, n.9, Roma, novembre 2002. Bulletin européen 2014 UN ANNO D’EUROPA Indice generale degli articoli pubblicati (nn. 764-775) Gennaio 2014 – n. 764 Fausto Capelli: Trasparenza e lotta alla corruzione: necessità di formazione in materia di controlli all’interno della Pubblica Amministrazione............................... 1 Massimo Palumbo: Parlamento europeo: l’organismo democratico per eccellenza dell’Unione europea................................................................................... 9 Guido Ravasi: Un’idea moderna della comunicazione e della cultura europea: il progetto di G. Vedovato per la Tele-Università europea............................................. 16 Febbraio 2014 – n. 765 Antonio N. Augenti - Luciano Amatucci: L’Europa dei cittadini e la dimensione europea dell’educazione.......................................................................... 1 Pier Virgilio Dastoli: Il cantiere dell’Europa. Verso le elezioni del Parlamento europeo..................................................................................................... 8 Stefano Silvestri: Il mancato coordinamento dei servizi di sicurezza nell’Unione europea e negli Stati Uniti.......................................................................... 14 Laura Baldassarre: L’impegno contro lo sfruttamento del lavoro minorile a 25 anni dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza....................... 17 Marzo 2014 – n. 766 Mario Telò: L’Europa nel nuovo contesto internazionale multipolare.......................... 1 Nicola Pedde: La miopia occidentale su un’area geopolitica cruciale: il Medio Oriente: ............................................................................................................... 8 Laura Baldassarre: L’Italia e lo sfruttamento del lavoro minorile............................ 16 Giuseppe Dal Ferro: Il concetto di “genere” e il faticoso processo di emancipazione della donna......................................................................................... 20 21 Aprile 2014 – n. 767 Mario Telò: In quale direzione andiamo? Gli scenari del futuro del mondo................. 1 Francesco Perfetti: I passi avanti dell’Europa ........................................................... 14 Guido Ravasi: Medio Oriente: un banco di prova per i servizi di informazione e sicurezza.....................................................................................................................16 Nicola Pedde: La rivoluzione iraniana 35 anni dopo..................................................17 Maggio 2014 – n. 768 Mario Telò: Il nuovo multilateralismo............................................................................ 1 Nicola Pedde: Alcune considerazioni sul ruolo dell’intelligence italiana in Medio Oriente.............................................................................................................. 10 Giovanni Zanetti: Éthique et finance: quelle liaison dans le monde bancaire?......... 14 Luigi Rainero Fassati: L’etica dei trapianti. Una questione che in virtù del consenso-assenso riguarda anche noi....................................................................... 19 Giugno 2014 – n. 769 Francesco Perfetti: L’imperialismo di Mosca e la geopolitica euroasiatica. Dalle premesse ideologiche e storiche alla situazione odierna........................................ 1 Giovanni Zanetti: Éthique et finance: quelle liaison dans le monde bancaire? (II).................................................................................................................... 14 Antonio N. Augenti, Luciano Amatucci: L’Europa tra globalizzazione e localismo........................................................................................................................ 19 Luglio-Agosto 2014 – n. 770-771 Luciano Di Gregorio: Psicologia del cellulare. Trasformazioni sociali e interpersonali nell’epoca del telefonino......................................................................... 1 Andrea Accorsi - Daniela Ferro: Le origini misteriose di Milano............................ 14 Nicola Pedde: L’intelligence italiana oggi dall’Afghanistan al Nord Africa................ 17 Settembre 2014 – n. 772 Guido Ravasi: Consumo, qualità delle relazioni e felicità............................................. 1 Stefano Bartolini: Manifesto per la felicità................................................................... 4 Fausto Capelli: Valorizzazione dei prodotti agroalimentari italiani tipici e tradizionali...................................................................................................................... 9 Andrea Accorsi - Daniela Ferro: Fantasmi e leggende ............................................ 14 Dragan University Golden Age: I corsi dell’Anno Accademico 2014/15................... 22 22 Ottobre 2014 – n. 773 Stefano Bartolini: Manifesto per la Felicità: dalla società del ben-avere a quella del ben-essere....................................................................................................... 1 Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione europea: Un Quadro Strategico per l’Europa................................................................................ 14 Dragan University Golden Age: I corsi dell’Anno Accademico 2014/15................... 22 Novembre-Dicembre 2014 – n. 774-775 Stafano Bartolini: Politiche per il vero benessere........................................................ 1 Guido Ravasi: Rileggere Kant per costruire l’Europa e la pace.................................... 9 Immanuel Kant: Per la pace perpetua. Progetto filosofico.......................................... 10 Guido Ravasi: “Piccola Mistica del Dialogo”. Una nuova preziosa testimonianza di Alberto Fabio Ambrosio....................................................................... 14 Guido Ravasi: La Romania oggi a 25 anni dalla caduta di Ceauşescu....................... 17 Bulletin européen: Un anno d’Europa......................................................................... 21 Il Bulletin européen è una tribuna libera fondata nel 1950 da J. Constantin Dragan per lo sviluppo del dibattito sull’Europa. Le opinioni, liberamente espresse dagli autori, non necessariamente corrispondono a quelle del giornale. Bulletin européen Tribuna libera per l’Europa fondata nel marzo del 1950 da Giuseppe Costantino Dragan ISSN 2283-3013 già 0407-8438 (cartaceo) Direttore Responsabile: Guido Ravasi Direzione e Redazione: Via Larga 9/11 - 20122 Milano Tel. 02 58371405 - Fax 02 58304790 e-mail: [email protected] Registrazione Tribunale Milano n. 390 del 3-6-1998 Chiuso in redazione: 27 ottobre 2014 . ... si la Communauté économique européenne est la base de l’unification de l’Europe, la Communauté culturelle en permettra sa réalisation durable. SOMMARIO Stafano Bartolini: Politiche per il vero benessere............................................ 1 Guido Ravasi: Rileggere Kant per costruire l’Europa e la pace........................ 9 Immanuel Kant: Per la pace perpetua. Progetto filosofico.............................. 10 Guido Ravasi: “Piccola Mistica del Dialogo”. Una nuova preziosa testimonianza di Alberto Fabio Ambrosio........................................................... 14 Guido Ravasi: La Romania oggi a 25 anni dalla caduta di Ceauşescu........... 17 Bulletin européen: Un anno d’Europa............................................................. 21