Akhtamar On Line numero 129
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Akhtamar On Line numero 129
1 Anno 7, Numero 129 Akhtamar on line WWW.COUNITAARMENA.IT 15 gennaio 12—XCVII M.Y. Akhtamar on line 1512—2012 ANNO MONDIALE DEL LIBRO ARMENO Comincia un anno importante per l’Armenia e la cultura armena; per la civiltà che il suo popolo ha rappresentato e rappresenta. Il cinquecentenario della stampa del primo libro armeno, la concomitante proclamazione di Yerevan capitale mondiale del libro nel 2012 nonché l’inaugurazione della nuova ala del Matenadaran evidenziano un ulteriore spunto di riflessione ed al tempo stesso una magnifica vetrina per far conoscer ancor di più al mondo la nostra civiltà. Per questo Akhtamar dedicherà tre distinti appuntamenti nel corso dei prossimi mesi. È il nostro piccolo (ma, ci auguriamo, utile) contributo alla celebrazione mondiale del libro armeno, un nostro modo per dire grazie a tutti coloro che si prodigano a preservare l’arte e la cultura armena, vi dedicano passione e tempo in un abbraccio che va oltre l’essenza del sapere ma si trasforma in una metafisica compartecipazione della armenità stessa. Tra gli antichi inchiostri e le preziose miniature ci addentriamo in questo primo appuntamento a conoscere il “Libro del venerdì” ossia la prima pubblicazione stampata in armeno in onore della quale si è aperta a Venezia la prestigiosa mostra “Impronte di una civiltà” che i nostri lettori non mancheranno certo di visitare. Sommario Anno mondiale del libro armeno 1-2 Tre simpatici … armeni 3 I brutti pensieri di Capodanno 3 Robert Fisk (Indipendent) 4 Pagina Armena 5 A volte ritornano 6 6 gennaio, la festa 7 Bollettino interno di iniziativa armena Consiglio per la Comunità armena di Roma 2 Akhtamar on line Urbatagirk, il libro del venerdì Con un po’ di immaginazione riusciamo ad inquadrare la antica tipografia di Hagop Meghapart, passato alla storia per essere stato il primo a stampare un libro armeno. Accadde a Venezia giusto cinquecento anni fa. L’atmosfera della città non doveva essere molto diversa dall’attuale; certo mancavano i rumorosi motoscafi che oggi solcano il Canal Grande e lo skyline della laguna non era deturpato dalle torri di Porto Marghera. Ma il fascino di calli e campielli, canali ed approdi, doveva essere lo stesso. Ci pare ancora di sentire il sordo rumore degli stampi carichi di inchiostro che il primo tipografo armeno adoperò per entrare nella storia. Di lui si sa poco o niente se non che era armeno e viveva a Venezia nei primi anni del sedicesimo secolo; punto. Niente data di nascita o di morte. Ai posteri ha lasciato “solo” le copie dei suoi preziosi libri, il primo in assoluto dei quali è stato l’Urbatagirk (Ուրբաթագիրք), il “Libro del venerdì”, un testo di ben 124 pagine, ventiquattro delle quali a colori, stampate in rosso e nero. Il libro in realtà ne contiene cinque, uno dopo l’altro e non comprendeva solo preghiere come il titolo potrebbe far pensare. «Un libro molto pratico, destinato alla classe mercantile alla quale apparteneva lo stesso Meghapart» come ha dichiarato ad “Osservatorio Balcani e Caucaso” Vartan Karapetian uno dei curatori della mostra veneziana assieme a Gabriella Uluhogian e Boghos Levon Zekiyan E proprio una preziosissima copia di tale volume (ve ne sono una decina in tutto il mondo) è esposta a Venezia e proviene dal museo dei padri mechitaristi di san Lazzaro che tanta parte hanno avuto nella diffusione della cultura armena non solo nella città lagunare. Meghapart aveva timbrato con un numero tutte le copie: una sorta di codice ISBN ante litteram che permetteva allo stampatore di seguire il percorso di ciascuna sua produzione. Forse nello stesso 1512 o al più tardi l’anno successivo la stessa tipografia vide la luce di un'altra pubblicazione il “Parzatumar” (Պարզատումար), un calendario di 118 pagine. ANNO 7, NUMERO 129 Sicuramente datati 1513 sono altri due testi dello stesso stampatore: il “Pataragagirk” (Պատարագագիրք) in 88 pagine, lo “Aghtark” (Աղթարք), 380 pagine di preghiere per i malati ed oroscopi e il “Tagharan” (Տաղարան) un testo di musiche in 150 pagine. Bisogna attendere oltre mezzo secolo per una nuova stampa armena; sempre a Venezia nel 1565 viene alla luce "Kharnapntur tumari geghetsik yev pitani"( « Խառնափնթուր տումարի գեղեցիկ եւ պիտանի» ) dello stampatore Abgar Dpir Tokhatetsi che pubblicherà un altro volume due anni dopo a Costantinopoli. Il lungo periodo di tempo dalla prima stampa conferma la difficoltà dettata dai caratteri della lingua. Nel resto dell’Europa, invece, dall’invenzione di Gutemberg del 1455, la produzione è incessante: nei prima cinquanta anni vengono stampati trentamila titoli per oltre dodici milioni di copie. L’idea rivoluzionaria del tedesco fu quella di creare caratteri mobili per le lettere che potevano essere composti per ogni pagina e quindi macchiati di inchiostro per la stampa (sino ad allora i testi erano “scolpiti” su tavolozze di legno che fungevano da matrici e non potevano essere modificate). La realizzazione dei caratteri armeni era ovviamente più difficoltosa e richiedeva quanto meno esperti della lingua; ecco perché i primi stampatori non potevano non essere che armeni. A dire il vero pare che a Mainz (in Germania) nel 1486 sia stato pubblicato un libro che riportava anche alcune lettere armene. Ciò non scalfisce il “primato” di Meghapart a cui si deve la stampa del primo libro interamente in armeno. Ricordiamo infine che la prima stamperia in Armenia (a Vagharshapat) risale al 1771 mentre occorre attendere oltre un secolo (1877) per la prima tipografia a Yerevan. A Roma nel 1584 e a Milano nel 1621 vengono stampati altri volumi; poi sarà molto fiorente la produzione e Nuova Julfa a metà del 17° secolo. Ancora segnaliamo pubblicazioni a Livorno (1644), Padova (1690) e Trieste (1776). La mostra “Armenia. Impronte di una civiltà” è organizzata dal Ministero della Cultura d’Armenia e dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e promossa dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Cinquecentenario della Stampa Armena. Si tiene a Venezia presso il Museo Correr, il Museo Archeologico Nazionale e le Sale Monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana. Resterà aperta al pubblico dal 16 dicembre 2011 al 10 aprile 2012. Terminata la mostra parte del materiale sarà esposto a san Lazzaro fino a tutto il 2012. Catalogo Skira-Milano, con contributi di insigni studiosi internazionali e della Scuola degli armenisti italiani. (€50,00) Info: Biblioteca Nazionale Marciana (0412407238; [email protected]) Pagina 2 3 Akhtamar Tre simpatici … armeni! Alzi la mano chi non conosce Alvin e i simpatici compagni di avventura Chipmunks. I tre cricetini spopolano da alcuni anni sul grande e sul piccolo schermo in ogni parte del mondo. Proprio lo scorso Natale è uscita al cinema l’ultima loro fatica “Alvin superstar 3” che ha riscosso l’ennesimo successo di botteghino. Forse però non tutti sanno che il creatore di questi bravi canterini è un armeno americano. Rostom Sipan “Ross” Bagdasarian, nato nel 1919 a Fresno in California da una famiglia di immigrati armeni scampati al genocidio, nel 1958 ebbe l’intuizione di creare questo strano gruppetto musicale che lo accompagnava nel corso di una sua esibizione. I tre, all’epoca semplici marionette che si muovevano con i fili e cantavano in playback, ebbero un inaspettato successo di pubblico. Bagdasarian (che si esibiva con il nome d’arte di David Seville and the Chipmunks) capì al volo che il pubblico gradiva quel genere di rappresentazione dove i tre simpatici animaletti cantavano con un accorgimento tecnico: doppiatori registravano i brani parlando e cantando molto lentamente, poi il nastro veniva trasmesso a velocità più elevata fornendo la caratteristica tonalità delle voci ma garantendo comunque la comprensione del linguaggio. Il successo fu tale che vennero incisi numerosi dischi (48) e realizzati ventisei episodi di un fortunato cartone animato. La casa discografica (“Liberty records”) fece affari d’oro. Al suo presidente (Alvin Bennet), al fondatore (Simon Waronker) ed all’ingegnere capo (Theodore Keep) si ispirò Ross per chiamare i suoi amici: ANNO 7, NUMERO 129 appunto Alvin, Simon e Theodore. Bagdasarian morì d’infarto a soli cinquantadue anni nel 1972 e con lui sembrava fossero destinati all’oblio anche i Chipmunks. Fu il figlio Ross jr a cercare di ridare vigore al mito di Alvin. Nel 1996 la Universal acquistò i diritti ma in quattro anni produsse solo due lavori. Al termine di una vertenza legale la famiglia Bagdasarian riottenne quasi tutti i diritti sui cricetini chiudendo nel 2005 un accordo con la Paramount. Poi nel 2007 il boom del film “Alvin superstar”, bissato due anni dopo dal sequel: tra tutti e due quasi un miliardo di dollari di incasso oltre a tutto il merchandising di rito. Ecco allora che quando ci divertiamo con i Chipmunks dobbiamo pensare che essi sono dovuti al genio creativo di un armeno; un altro figlio di quella Nazione che si è distinta in tutto il mondo anche per le sue capacità artistiche e commerciali. Barev, Alvin! on line I brutti pensieri di Capodanno Quali brutti pensieri agitano le notti del leader azero Aliyev? Persino in un giorno di festa, quando tutto il mondo pensa solo a divertirsi, a Capodanno, il presidente dell’Azerbaigian ha brandito la spada della minaccia. Siamo andati a leggerci i classici discorsi di fine anno dei tre presidenti (l’armeno Sargsyan, l’armeno dell’Artsakh Sahakyan e l’azero Aliyev) per capire come avevano salutato i rispettivi popoli la sera dell’ultimo dell’anno. Breve e pieno di speranza quello del presidente del Nagorno Karabakh, ugualmente caldo e benaugurale quello del presidente dell’Armenia che rispetto al suo collega si è dilungato un poco di più. Terribilmente lungo, in classico stile da “padre padrone della patria” quello di Aliyev. Che dopo aver a lungo elogiato i successi economici del suo paese, unico fra i leader della regione, ha speso molte parole sulla questione del Nagorno Karabakh. Gli auguri di pace e salute si sono presto trasformati in una invettiva infarcita di luoghi comuni. Non solo le solite rivendicazioni territoriali ed i consueti anatemi contro gli “occupanti” armeni, ma anche neppur troppo velate minacce ed il comandamento a restaurare l’integrità territoriale del suo paese. Unico forse fra tutti i leader mondiali, Aliyev ha condito il suo messaggio di Capodanno facendo vanto dei tre miliardi di dollari di spese militari, elencando armi e munizione che hanno equipaggiato l’esercito azero. Gli auguri di buon anno sono stati sostituiti da questa parata verbale degna della peggior dittatura militare... Un discorso da far leggere alle cancellerie europee tanto per far capire che razza di democrazia e che tipo di sistema vige in Azerbaigian. Questo richiamo bellico, proprio nella notte dell’ultimo dell’anno, dimostra due cose: che gli azeri hanno mal digerito la parata militare di Yerevan del 21 settembre e che quella del Nagorno Karabakh è divenuta oramai una vera e propria ossessione al punto che non vi è discorso senza che venga in un modo o nell’altro richiamata. Contenti loro ... Pagina 3 4 Akhtamar on line La lunga strada della Turchia verso la riconciliazione Nella nostra traduzione italiana riproduciamo l’articolo del noto giornalista inglese Robert Fisk apparso sull’Indipendent lo scorso 24 dicembre Solo per un attimo, mettete da parte l’attuale guerra franco-turca sul primo olocausto del ventesimo secolo - degli Armeni - e ricordate che la venalità elettorale di Nicolas Sarkozy (500.000 elettori franco-armeno vogliono sentire che lui dica la verità) e il nazionalismo turco (che si nutre con la negazione dell'olocausto) fanno un terribile cocktail. Quindi, ecco una storia di buon umore. Ho appena completato ventuno interviste alla radio turca, in televisione e sui giornali, a riguardo il genocidio armeno. Non tutti i miei discorsi vertevano sul deliberato omicidio di massa di un milione e mezzo di cristiani armeni compiuto dai turchi ottomani nel 1915 si è discusso molto della Siria e del Kurdistan e se la Turchia debba essere un "modello" per il mondo arabo (un’altra meraviglia 24 ore prodotta dal dream team di Washington) - ma c'era qualche discussione seria su questo più inconfessabile argomento. L'occasione era il lancio dell’edizione in lingua turca edizione del mio libro «La grande guerra per la civiltà» (NDR, in italiano «Cronache mediorientali») - che comprende un intero e dettagliato capitolo sul genocidio e che è appena apparso in Turchia senza alcuna imposizione della famigerata legge 301 (la legge "anti -turchicità") né alcuna minaccia a Ithaki, i miei editori turchi. Il capitolo sugli Armeni, che afferma ripetutamente che questo primo olocausto del 20° secolo è stato pianificato ed eseguito dalle autorità turche a Costantinopoli (Istanbul), è intitolato in turco "Il primo genocidio". E, per la maggior parte, giornalisti turchi e pre-sentatori televisivi semplicemente non hanno contestato la veridicità di ciò che ho scritto. E penso di sapere perché. Per molte centinaia di migliaia di turchi, il genocidio armeno è ormai un fatto storico. Il governo turco nega ufficialmente ancora queste atrocità, sostenendo che erano il risultato di una "guerra civile", che alcuni armeni stavano aiutando l'esercito zarista anti-ottomano (vero - anche se difficilmente la scusa regge per un genocidio), che solo storici "di entrambe le parti "potrebbero concludere se questo è stato un genocidio. E immaginate, come dico sempre, se fossero "storici" a decidere se il genocidio nazista degli ebrei abbia effettivamente avuto luogo. Ma non è questo il punto. Migliaia di turchi stanno scavando nella loro storia di famiglia. Perché, si chiedono, avevamo nonne e bisnonne armene? Che cosa è questa storia segreta che deve essere custodita da leggi che possono imprigionare solo per aver discusso in pubblico della responsabilità della Turchia per questo genocidio? E ho chiesto, più volte, in televisione turca e sulla ANNO 7, NUMERO 129 stampa, perché un paese forte e coraggioso come la Turchia - la cui vittoria a Gallipoli rimane una delle grandi realizzazioni militare del mondo, i cui soldati sono stati l'unica unità delle Nazioni Unite nella guerra di Corea che ha rifiutato di lavaggio del cervello - non può riconoscere gli atti terribili che hanno avuto luogo prima che quasi tutti fossero nati? Non ci sono assassini sopravvissuti - anche se ci sono poche pietose vittime armene sopravvissute - e non ci possono essere processi. La Turchia vuole ancora aderire all'Unione europea e fra quattro anni, il mondo celebrerà il 100° anniversario del genocidio armeno. Perché non riconoscere questa storia adesso? I tedeschi hanno chiesto scusa mille volte agli ebrei, gli Stati Uniti hanno chiesto scusa ai nativi americani per la loro pulizia etnica del diciannovesimo secolo, gli australiani per gli aborigeni, gli inglesi agli irlandesi, gli ucraini ai polacchi per i loro stupri di massa, saccheggi e massacri sotto l'occupazione tedesca dopo il 1941. Qual è il problema per i turchi? Ma come ho detto, molti turchi ritengono che il loro paese dovrebbe confessare la propria storia, anche se ingloriosa. Solo poche settimane fa, Recep Tayyip Erdogan ha riconosciuto che l'esercito turco aveva massacrato migliaia di curdi nel 1930. Il giornale Zaman ha chiesto se questo potrebbe aprire la strada a un riconoscimento del genocidio armeno - e il giornale non ha usato la parola "cosidetto". Ha considerato il genocidio come un fatto. L'unica negazione giornalistica nella quale mi sono imbattuto era in una discussione pre-intervista, quando un produttore ha descritto il 1915 come un "massacro reciproco". Come la Bosnia, ho chiesto? Silenzio. All'interno della elite della polizia militare, naturalmente, la negazione rimane. Dopo che l’editore armeno-turco Hrant Dink è stato assassinato da un giovane nazionalista di Trebisonda nel 2007, centinaia di migliaia di turchi hanno marciato in sua memoria. Credevano che la legge turca si sarebbe dovuta occupare dei suoi assassini. Ma i poliziotti furono fotografati in posa accanto al sospetto killer dopo la sua cattura. E Bahattin Hayal, il padre di uno dei sospetti cospiratori, ora dice che suo figlio era ben mescolato con gli informatori della polizia, e che dopo l'omicidio il capo della polizia di Trebisonda, Yahya Ozturk, disse al ragazzo che stava "servendo il suo paese". Un funzionario dell'intelligence, ha sostenuto Haval, poi gli mandò un messaggio: "I miei omaggi a te. Hai allevato un figlio patriottico" Il caso giudiziario si è trasformato in uno scandalo. Documenti sono andati perduti. Dipartimenti governativi inspiegabilmente hanno rifiutato di aiutare i procuratori del processo. Per non parlare dell’intera catastrofe curda – e i curdi, dovrei aggiungere, hanno riconosciuto il proprio ruolo nel genocidio armeno in un modo che i turchi non hanno fatto - e le minacce contro la libertà di parola, per non parlare del processo Hrant Dink, la Turchia è quasi una nazione che gli arabi dovrebbero trattare come un "modello di governo". Ma, come ho più volte ricordato in Turchia, Erdogan è stato il primo leader musulmano a riconoscere e ammirare il risveglio arabo. Mai avrei potuto immaginare la bandiera turca sventolare ancora una volta a Gaza e al Cairo. La Turchia è un paese cambiato. Ci sono lati miserabili in tutto questo. Il giornalista pachistano Ahmed Aziz ha scritto per dirmi che un suo articolo sul genocidio "era stato pesantemente tagliato, perché in Pakistan facciamo questo errore di considerare l'Impero Ottomano come l'ultimo grande califfato composto da santi e avrebbe potuto danneggiare [sic] della gente ". Online "è riuscito a ottenere il mio punto attraverso il giudizio del numero [sic] di lettere di odio che ho avuto ...". Aziz ha chiesto "Perché gli esseri umani, quando negare qualcosa su cui sono in difetto, utilizzano attacchi personali per confutare le critiche?" Ma come ho detto, siamo di buon umore. A una delle mie sessioni di autografi del libro a Istambul, un giovane mi ha chiesto di firmare una copia per suo padre che mi aveva visto in televisione e gli era piaciuto quello che aveva sentito. Ho firmato il libro. "Il mio papà," disse l'uomo, "è il capo della polizia di Istanbul." Pagina 4 5 Akhtamar on line Յիսուսի Ծննդեան Եւ Աստուածայայտնութեան տօնը, Հռոմի Ս. Նիկողայոսի անուան Հայոց Եկեղեցւոյ Մէջ Հռոմի հայ համայնքը տօնեց Յիսուսի Ծննդեան եւ աստուածայայտնութեան տօնը, Ս. Նիկողայոսի անուան հայոց եկեղեցւոյ մէջ Հայածէս ձայնաւոր Ս. Պատարագը մատոյց եւ աւուր պատշաճի քարոզը արտասանեց, Լեւոնեան հայ դպրեվանքի փոխ մեծաւորը՝ գերապատիւ Հ. Գրիգոր վրդ. Պատիշահ. այս առթիւ նաեւ կատարուեցաւ Ջրօրհնէքի արարողութիւնը եւ Յիսուսի Մկրտութեան յիշատակութիւնը եւ (ինչպէս սովորութիւն է հայ համայքներու մէջ) ժողովուրդի մէջէն ընտրուեցաւ փոքրիկ մը՝ այս տարի եօթնամեայ Յարութիւն Գանանեան որդին՝ Պօղոս եւ Լուսինէ Գանանեաններու որ ներկայացուց Սուրբ Յովհաննէս Մկրտիչը։ Ֆրանսացի Գրողը Ցեղասպանութեան Բանաձեւը Վաւերացնելու Կոչ Կ՛ընէ. Պատարագէն ետք ( ինչպէս ամէն տարի) այս տարի եւս Հռոմի Հայ Համայնքի Խորհուրդի կազմակերպութեամբ՝ Լեւոնեան վարժարանի ճաշասրահը տեղի ունեցաւ ՜՜հռոմահայերու Ակաբը՝՝։ Ընտանեկան մթնոլորտին մէջ ներկաները մեծ թիւով ճաշակեցին հայկական համադամներ եւ ճաշեր. պատրաստուած էր նաեւ գեղարուեստական յայտագիր մը, զանազան հաճելի անակնկալներով ուրախացնելով փոքրերը ու նաեւ մեծերը։ Ֆ րանսացի յայտնի գրող Պեռնար Անրի Լեւի Իտալիոյ «corriere della sera»ին մէջ լոյս տեսած յօդուածով մը կոչ ըրած է ֆրանսացի ծերակուտականներուն՝ վաւերացնելու Հայոց Ցեղասպանութեան ուրացումը քրէականացնող օրինագիծը: «Խորհրդարանին ընդունած օրինագիծը, որուն նպատակն է քրէականացնել ժխտողականութիւնը, չ՛առաջարկեր պատմութիւն գրել պատմաբաններու փոխարէն, այն պարզ պատճառով, որ պատմաբանները արդէն իսկ շատո՛նց կատարած են իրենց պարտականութիւնը», կը գրէ Լեւի՝ անտեղի համարելով թուրք քաղաքական գործիչներուն այն պնդումները, թէ խորհրդարանները նման հարցերով պէտք չէ զբաղին: Նշելով, թէ ոչ մէկ լուրջ պատմաբան կասկածի տակ կը դնէ Հայկական Ցեղասպանութիւնը՝ Լեւի կ՛ընդգծէ, թէ ժամանակն է որ ծերակուտականները աւարտեն այս գործընթացը, «առանց ահաբեկուելու պատմաբաններու փոքր խումբի մը կողմէ»: ANNO 7, NUMERO 129 Pagina 5 6 Akhtamar A volte ritornano ... Della legge francese contro il negazionismo (di tutti i genocidi, non solo di quello armeno) ci siamo già occupati nello scorso numero di Akhtamar. Ribadiamo che preferiamo una legge “imperfetta” (nel senso che può anche prestarsi a qualche discettazione filosofica sulla libertà di opinione) all’assenza di qualsivoglia presa di posizione ufficiale sul tema del genocidio. Perché certi tipi, come il noto Sergio Romano che dalle colonne del Corriere pontifica sul delitto di opinione ed impartisce ai sudditi lettori le sue benedizioni, si riempiono la bocca con accademici discorsi infarciti di infiorettature sulla libertà di pensiero e la supremazia dello stato liberale, ma poi si dimenticano di argomentare la sostanza. (Come a dire il vero capita anche a qual- che superficiale di casa nostra che scambia la il dibattito sulla questione armena per una palestra di buone maniere...). E, come abbiamo avuto modo di replicare direttamente all’interessato, dopo qualche sfrondone storico e qualche giudizio partisan, tace sulla essenza della materia: ossia omette di accusare apertamente la Turchia per quanto accaduto nel 1915 e soprattutto per il suo atteggiamento negazionista che perdura da quasi un secolo. Alla scuola di pensiero del filosofo Romano ci si diverte a discettare sull’etimologia delle parole o sul termine più conveniente da adoperare, salvo poi lasciarlo dormiente nel giardino delle buone intenzioni. Negazionisti, dirà qualcuno; a volte ritornano … A volte ritornano pure gli ambasciatori. Quello turco a Parigi, ad esempio. Richia- on line mato in patria (come molti altri suoi colleghi connazionali in altre occasioni) pare sia stato già rispedito in tutta fretta all’ombra della Tour Eiffel. Ufficialmente per contrastare con tutti i potenti mezzi che ha a disposizione la promulgazione al Senato della citata legge (ma non bastava, ci domandiamo noi un po’ maliziosi, qualche bel bonifico …?), in realtà perché l’aventiniana decisione di Ankara ha suscitato un vespaio di polemiche (e pure in patria) e soprattutto la “Sublime Porta” si è accorta che tutti i giornali del mondo non hanno fatto che caricare ancora di più il fatto storico e le sue implicazioni morali. Insomma la Turchia esce (legge o non legge) con le ossa rotte da un can can mediatico che lei stessa, come al solito, ha scatenato. Per fortuna che ci sono i turchi che pensano a risvegliare il mondo (distratto). gli armeni vigilano Repubblica dell’Artsakh, 5 gennaio. Il presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan e quello del Nagorno Karabakh Bako Sahakyan ispezionano le unità dell’esercito di difesa dell’Artsakh lungo la linea di confine con l’Azerbaigian. Sargsyan si è trattenuto nell’Artsakh tre giorni ed ha visitato diverse province; si è spostato sempre in mimetica. A detta di alcuni commentatori politici, un segnale molto chiaro lanciato all’Azerbaigian. ANNO 7, NUMERO 129 Pagina 6 7 Akhtamar WWW.COUNITAARMENA.IT Salita san Nicola da Tolentino 17 00187 Roma Bollettino interno a cura del Consiglio per la Comunità armena di Roma Bollettino interno a cura del Consiglio per la Comunità armena di Roma QUESTA PUBBLICAZIONE E’ EDITA CON IL FAVORE DEL MINISTERO DELLA DIASPORA Ministry of Diaspora of the RA RA, Yerevan, 0010, Vazgen Sargsyan 26/1 Tel.: +374 10 585601, +374 10 585602 [email protected], www.mindiaspora.am www.lib.mindiaspora.am/en http://en.hayernaysor.am/ il numero 130 esce il 1° febbraio 2012 w w w. k a r a b a k h . i t I n f o r m a z i o n e q uo t i d i a n a sull’Artsakh U n appuntamento ormai tradizionale. Come la festa che gli armeni di tutto il mondo celebrano nell’armonia gioiosa del natale e dell’Epifania. Tanti anche quest’anno, dopo la celebrazione della messa solenne con il rito della battesimo di san Giovanni, a ritrovarsi insieme per alcune ore di piacevole vita comunitaria. Volti noti e “new entry”, amici armeni di passaggio e italiani curiosi di calarsi in questo mondo sconosciuto. Il menù al quale hanno lavorato per due giorni un gruppo di volontari (e l’instancabile Michel!), due esibizioni liriche improvvisate ma non per questo meno suggestive, la Befana per i bambini (ma di solito non dovrebbe essere una brutta vecchietta, Barbara?) e poi fatto spazio con i tavoli - oltre un’ora di balli scatenati, kochary su tutti. Stanchi ma felici (e pure sazi). Auguri a tutti! Fotocronaca di una giornata di affollata e gioiosa festa. on line 6 gennaio, la nostra festa