zaza`, veleno, annalisa e gli estremi di un sud estremo
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zaza`, veleno, annalisa e gli estremi di un sud estremo
Premio Letterario Tropea ZAZA’, VELENO, ANNALISA E GLI ESTREMI DI UN SUD ESTREMO Ultimo aggiornamento mercoledì 25 marzo 2009 IL NUOVO ROMANZO DI MARIO DESIATI, UN AMICO DEL “PREMIO TROPEA― Lo scrittore Mario Desiati (Martinafranca, 1977), capo-redattore della rivista Nuovi Argomenti (Mondadori), da qualche mese Direttore editoriale di Fandango Libri (Roma), è stato nostro ospite ed è oramai un amico del Premio Tropea. Nell’edizione appena trascorsa del 2008 è stato con noi e ospite di una delle calde e affollate serate tropeane del nostro premio, intervistato da Pasqualino Pandullo e Livia Blasi, ci ha parlato dello scrittore Enzo Siciliano con il libro “Quel mare tanto amato. Interventi sulla narrativa di Enzo Siciliano― (Abramo, 2008). Desiati, ha pubblicato da poco per Mondadori il suo nuovo romanzo; il terzo di una produzione narrativa di successo che già , a poco più di trent’anni, lo impone all’attenzione del pubblico e della critica come uno degli autori più interessanti e di talento della nuova scena letteraria italiana. Di seguito pubblichiamo una recensione del suo ultimo romanzo critica scritta per noi da Mauro F. Minervino. di Mauro F. Minervino “Il paese delle spose infelici― (Mondadori, 2008, pp., 229, E. 17,50) ha l’esasperazione punk di un cazzotto tra i denti e l’indelicata umanità di un romanzo di formazione neomelodico; ma non lo è. Il terzo romanzo di Mario Desiati, allontanatosi da due precedenti ‘romanocentrici’, è il primo ambientato a casa sua, nella Puglia di provincia. Forse per questo è anche il più vero. I luoghi stanno tra Taranto e Martina Franca, nella Val d’Itria, attraversata dall’illustre fiume Taras sulle cui sponde degradate si apre la scena. Il paesaggio industriale coi sui cascami rugginosi in tutto il romanzo acquista la forza malvagia di un Golem. La storia nasce tra i ridossi sudici e riarsi di una Taranto lugubre e mefitica. Città compendio di tutti i mali del Sud attirato in fretta al moderno, più simile alla Londra vittoriana dei romanzi di Gissing che ai ritagli ingialliti di un meridione da cartolina turistica. E’ il marzo del 1990, data simbolo per l’avvio di una ricapitolazione generazionale. Secondo una diceria popolare a Martina Franca, alle porte di Taranto, ancora circolerebbero gli inquieti fantasmi delle spose infelici che si sono uccise nel giorno delle nozze. Inaspettatamente, in un momento della pausa pranzo agli operai chiusi nel Siderurgico Ilva, oltre i meandri di quel “torrente sottile― ormai ridotto a un rigagnolo di liquami che “si attorciglia― alle loro giornate come un sogno stregato, si manifesta la visione del fantasma di una di queste spose tragiche. Ma nel libro sullo sfondo di quegli anni si aggirano altri fantasmi senza pace. Come quello dello sbracato sindaco-despota Giancarlo Cito, la cui surreale epopea nella parabola che va dal successo alla resa finale, si consuma sui teleschermi della sua televisione privata AT6, inframmezzata dai filmetti porno che allora infiammavano le notti di Taranto. Desiati racconta la storia di Domenico e Francesco, soprannominati Zazà e Veleno. Due ragazzini che consumano la loro adolescenza brada tra eccessi e miseria, sesso e droga, nel nichilismo di una provincia sommersa e malsana che vede il Sud post-demartiniano smarrire le speranze di diventare Paese. I due ragazzi hanno famiglie molto diverse, ma egualmente segnate. Zazà viene da un quartiere operaio di Taranto abitato da esseri senza futuro, vite a perdere di gente ripiegata su stessa e appestata dai miasmi del petrolchimico e dai vapori degli altoforni. Una pletora di moribondi e di sconfitti avviati a una metamorfosi sub-umana. Veleno invece è un figlio di papà che sente il fascino del suburbio e opta per la vita di sponda che fanno i malvissuti, rampollo di una piccola borghesia dei paesi derelitta e in crisi d’identità . Veleno e i suoi amici smaltiscono la loro educazione sentimentale in mezzo a una natura apocalittica e imputridita, nutrendosi di immagini di sopraffazione e di morte, vomitando fuori il bisogno di sopravvivere all’infelicità e alla morte di chi lavora nel siderurgico, alle sozzure che si scaricano sulla città , sempre disperatamente avvolta da una cappa velenosa e opprimente di polveri rosse e grigie. Tutto per loro è estremo e senza via di scampo, terrore e allegria sono una cosa sola. La vita tra questo paesaggio di macerie psichedeliche li prende a morsi e loro prendono a morsi la vita. Insieme al mito delle spose infelici si apparecchiano così le storie di un gruppo di amici marchiati da altri destini infelici. Stanno tutti insieme, legati dal sudore e dagli stessi sogni. Per diventare grandi Zazà e Veleno giocano a pallone in una squadretta, le gambe maciullate sul campetto da calcio sgangherato di Pezza Mammarella. Si allenano tra buche e sobbalzi. Sanno che non si diventa campioni tra i campetti accerchiati dai rifiuti delle periferie degradate. Fantasticano nel disastro di paesi dispersi tra gravine inquinate e trulli scassati. Una società che si strappa anche nei suoni impronunciabili di un dialetto, quello tarantino, privo dell’armonia delle vocali. Un lingua fangosa che si avviluppa nel caos delle consonanti contigue e arretra nelle voci di un disordine “selvaggio― che pare risalire dalle profondità della storia fino suo provvisorio stato presente. A casa li aspetta l’incomprensione e l’inettitudine di grandi che stanno peggio di loro, la tristezza di vite senza via d’uscita. Si rimedia alla noia con le scorribande in motorino, gli sballi e il sesso estremo, infilando una galleria memorabili di personaggi drop-out che fragili e disperati si affiancano l’un l’altro in un crescendo da cupio dissolvi. Per tutti la stessa confusione, le perdite dolorose e i fallimenti annunciati. Più tardi tutti si troveranno legati da una sola donna: Annalisa, è lei il centro delle loro vite. Negli anni Veleno e Zazà si avviticchiano a lei come serpenti in amore. Il fato di Annalisa è quello di una specie di dea minore a metà tra le possessioni orgiastiche di una menade danzante e la ripugnanza olezzante di una punkabestia paesana. “Madonna randagia―, bionda, seduttiva e malvissuta, Annalisa indossa gli anfibi e i guanti in piena estate, salva un’amica dal suicidio il giorno prima delle nozze, colleziona http://www.premioletterariotropea.org Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 17:41 Premio Letterario Tropea cartoline di viaggi in quel mondo altrove che vorrebbe per se e non vedrà mai. Annalisa è la femmina-rea destinata a distruggersi in una follia di forze che la assorbe alla terra, un’entropia che non trova pace e non ne dà . E’ una ragazza dalla vita promiscua e disperata (si dice che se la faccia con i cani, che si venda in orge ai mafiosi e ai vecchi laidi del paese). Annalisa è anche lei una sposa infelice, ma nessuno lo saprà prima della fine. Continuerà a vivere sprecando quello che ha, la sua bellezza maligna e angelica. Il giro della sua vita si consuma presto in uno squallore da tossica, presa dai suoi mali e delle orribili maldicenze che il paese le cuce addosso. Il suo fascino fosco e amoroso perseguiterà come una maledizione i due amici, trascinati a inseguire il suo fantasma in disavventure tetre e barocche, giravolte da picari e discese agli inferi alla Lazarillo di un’epoca sbagliata. Veleno ama per sempre Annalisa e ne resterà inutilmente stregato. Ma Annalisa ama solo Zazà , uno come lei, che rimane a galla sul vuoto della sua misera esistenza. Zazà scaverà le ragioni folli di quell’amore solo dopo la morte della ragazza. L’apoteosi si raggiunge nel demente mausoleo costruito per lei e nelle copie di monumenti kitsch sparsi da Zazà in mezza Italia, in luoghi che Annalisa conosceva solo in cartolina. Dopo anni di galera, Zazà in onore alla donna che non sapeva di amare trafugherà la salma ammuffita di Annalisa dal cimitero del paese per custodirla e venerarla nel suo pantheon personale. Il finale è incredibilmente caritatevole e mistico. Veleno troverà riparo alle sue inettitudini con la clausura monastica in un centro hanseniano, trasformandosi in volontario tra i lebbrosi intravisti da ragazzo in una delle sue scorrerie on the road nella provincia tarantina sfregiata dagli abusi. “La strada piena di buche e radici pulsava sotto le ruote sottili del Sì e vibrò fino al mio traguardo finale. Accostai la moto davanti al cancello semichiuso del centro hanseniano che avevo visitato quel pomeriggio brunito di anni prima. Camminai nel niente dell’ultimo lebbrosario di questo continente. E immediatamente fu silenzio―. La scrittura di Mario Desiati ne “Le spose infelici― accosta i cocci taglienti di una lingua bassa e storta con le tessere fini e trasparenti di un mosaico ultraletterario. La parola levata alla bella scrittura precipita all’improvviso, come le spose suicide di Martina Franca, nell’orrore di un iperrealismo molesto e catastrofico. L’abiezione ordinaria e soffocante alterna alla pietà e alla poetica dell’antico. Reperti preziosi come gli ori di Taranto si mischiano ai rimasugli di un’ incosciente magnogrecia dionisiaca. Superstizioni ataviche e scorie stregonesche si sposano a mostruosità e turpitudini antropologiche glocal. Desiati ci consegna alla fine una strana lettera sulla felicità di una generazione avvilita e in fuga da tutto, che ha visto ridursi in cenere e mozziconi velenosi i sogni dell’età più breve. Vittime e carnefici di se stessi sì, ma in un mondo che frana e odia la bellezza. http://www.premioletterariotropea.org Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 17:41