Untitled - Rizzoli Libri
Transcript
Untitled - Rizzoli Libri
Eric Hobsbawm Viva la Revolución Il secolo delle utopie in America Latina a cura di Leslie Bethell Proprietà letteraria riservata © 2016 The Trustees of the Eric Hobsbawm Literary Estate © 2016 Bruce Hunter and Christopher Wrigley © Leslie Bethell per l’introduzione © 2016 Rizzoli Libri S.p.A./Rizzoli, Milano ISBN 978-88-17-08793-3 Titolo originale dell’opera: ViVa la R eVolución Prima edizione: settembre 2016 Traduzione di Daniele Didero, Stefano Galli, Giovanni Giri, Brunello Lotti, Sergio Mancini, Leonardo Taiuti e Andrea Zucchetti In copertina: © Erhui 1979 / Getty Images Art director: Francesca Leoneschi Graphic designer: Mauro de Toffol / theWorldof DOT Realizzazione editoriale: Studio Dispari – Milano Viva la Revolución AVVERTENZA Le note scritte dal curatore di questa raccolta o dal redattore hanno l’esponente in corsivo, le altre erano presenti nei saggi originali. Prefazione Prima della sua morte, avvenuta nel 2012 all’età di novantacinque anni, Eric Hobsbawm riunì sotto il titolo Come cambiare il mondo1 alcuni suoi testi su Marx e il marxismo, scritti tra il 1956 e il 2009. Contemporaneamente, preparò una raccolta di saggi e conferenze (dal 1964 al 2012) sulla cultura e la società del Novecento, pubblicata postuma come La fine della cultura.2 Inoltre, espresse il desiderio che venisse data alle stampe una raccolta di articoli, saggi e recensioni sull’America Latina. Bruce Hunter e Chris Wrigley, incaricati della pubblicazione delle opere postume di Hobsbawm, hanno invitato Leslie Bethell, storico dell’America Latina e amico di Eric per oltre mezzo secolo, a curare l’edizione di una raccolta di scritti sulla regione del collega scomparso, da un articolo sulla Rivoluzione cubana apparso in «New Statesman» (ottobre 1960) al capitolo dedicato al Terzo Mondo, e al Sudamerica in particolare, contenuto nella sua autobiografia Anni interessanti,3 nonché a contribuire con un’introduzione sul quarantennale rapporto di Hobsbawm con l’America Latina. Il progetto ha ricevuto l’entusiastico supporto di Marlene, la vedova di Eric. Keith McClellan ha generosamente messo a disposizione del curatore la sua Bibliografia degli scritti di Eric Hobsbawm (fino al febbraio del 2010). Andrew Gordon, l’agente letterario di Eric alla David Higham Associates, insieme ai suoi assistenti Marigold Atkey e David Evans, si è occupato della conversione in formato digitale di molti dei testi. Alla Little, Brown, Zoe Gullen ha preparato il libro per la pubblicazione, mentre Sarah Ereira ha compilato l’indice analitico. 7 Introduzione Eric e l’America Latina Nella sua autobiografia Anni interessanti ,1 pubblicata nel 2002 all’età di ottantacinque anni, lo storico Eric Hobsbawm (1917-2012) scrisse che l’unica regione del mondo al di fuori dell’Europa che riteneva di conoscere bene e in cui si sentiva come a casa propria era l’America Latina. Era stato il suo potenziale in termini di rivoluzione sociale ad attirare l’interesse di Eric più di quarant’anni prima. Dopo il trionfo di Fidel Castro a Cuba, nel gennaio del 1959, e ancor più dopo il fallito tentativo statunitense di rovesciare il regime castrista, nell’aprile del 1961, «non c’era più un solo intellettuale [di sinistra], in Europa come negli Usa, che non subisse il fascino dell’America Latina, un continente che sembrava ribollire della lava delle rivoluzioni sociali».2 In un’introduzione inedita a un volume sulle rivoluzioni del XX secolo, Eric scrisse (nel gennaio del 1967): La Seconda guerra mondiale produsse una sorta di reazione a catena di movimenti rivoluzionari di liberazione […] Il movimento di liberazione prese infine ad avanzare nell’impero non ufficiale delle maggiori potenze capitalistiche superstiti, tra i Paesi formalmente indipendenti, ma in pratica semi-coloniali, dell’America Latina. Qui, i movimenti rivoluzionari non erano riusciti a svilupparsi al di là di guerre civili anarchiche (come in Colombia dopo il 1948) oppure si erano affermati in circostanze alquanto eccezionali come quelle della Bolivia (1952). Tuttavia, la vittoria di Fidel Castro a Cuba (1959) avrebbe ben presto portato alla nascita del primo regime socialista nel continente americano, e aperto un’epoca di sommovimenti che non si è ancora conclusa [corsivo mio]. 9 Viva la Revolución Fu soprattutto l’aspettativa, o la speranza, di una rivoluzione sociale, o almeno di un significativo cambiamento sociale, in particolare in Perù e in Colombia, per breve tempo in Cile, più tardi nell’America centrale e in Venezuela, e infine in Brasile, ad alimentare l’interesse di Eric per l’America Latina durante i decenni successivi. Membro del Partito comunista di Gran Bretagna (CPGB) fin dai tempi in cui studiava a Cambridge, alla fine degli anni Trenta, Eric si recò una prima volta a Cuba nell’estate del 1960 su invito di Carlos Rafael Rodríguez, personaggio di spicco del Partito comunista cubano che si era unito al Movimento 26 luglio nella Sierra Maestra, diventando uno dei più stretti alleati di Castro. Eric, che aveva appena trascorso tre mesi alla Stanford University, si ritrovò a L’Avana in compagnia di due amici statunitensi, gli economisti di ispirazione marxista Paul Sweezy e Paul Baran, direttori della «Monthly Review». Era, ricordò in seguito, l’«irresistibile luna di miele della giovane rivoluzione».3 Al suo ritorno a Londra, nel mese di ottobre, oltre a ragguagliare la Commissione affari internazionali del CPGB, pubblicò un articolo sul «New Statesman» in cui descriveva la Rivoluzione cubana come «un campione di laboratorio del suo genere (un nucleo di intellettuali, un movimento contadino di massa)», «estremamente accattivante e incoraggiante», il quale, «a meno che gli americani intervengano con le armi», farà di Cuba, «in breve tempo», «il primo Paese socialista dell’emisfero occidentale».4, 5 Nell’aprile del 1961, insieme al critico teatrale Kenneth Tynan, Eric mobilitò numerose personalità affinché firmassero una lettera al «Times» in cui si denunciava l’aggressione americana ai danni di Cuba. I due inoltre organizzarono a Hyde Park una marcia di solidarietà in favore del popolo cubano, memorabile, sostenne lo storico in seguito, per «la maggior concentrazione di belle ragazze – presumibilmente provenienti dall’ambiente teatrale e dalle agenzie di moda – che abbia mai visto in una manifestazione politica».6 Eric fu anche un membro fondatore del Comitato britannico-cubano, e fece una seconda visita sull’isola tra il dicembre del 1961 e il gennaio del 1962, viaggiando con «una delegazione della sinistra britannica, formata dai soliti componenti: un deputato del Partito laburista; alcuni sostenitori del disarmo nucleare unilaterale, un cocciuto leader sindacale, solitamente in linea con il partito, animato da un certo 10 Introduzione Eric e l’America Latina interesse per le donne straniere; uno stravagante cospiratore radicale; alcuni funzionari del partito comunista e via di seguito».7 Curiosamente, a parte alcune osservazioni in un divertente resoconto, apparso sul «Times Literary Supplement», del Congresso culturale tenutosi a L’Avana nel gennaio del 1968 – un eterogeneo raduno di cinquecento intellettuali della Nuova Sinistra internazionale giunti da settanta Paesi diversi – e qualche pagina in Il secolo breve,8 Eric scrisse ben poco sui progressi della Rivoluzione cubana negli anni Sessanta – o in seguito, se è per questo. Nel «Times Literary Supplement» descrisse Cuba come «un Paese eroico e assediato, [ed] estremamente affascinante, se non altro perché è chiaramente uno dei rari Stati al mondo il cui governo gode della simpatia e della fiducia della popolazione. Inoltre, al momento attuale, la situazione di floridezza e libera disponibilità delle attività culturali, le ammirevoli conquiste in campo sociale ed educativo, e le stimolanti escursioni in un’utopia antimaterialistica, non possono che costituire un’attrattiva per gli intellettuali».9 Tuttavia, malgrado i risultati ottenuti, alla fine degli anni Sessanta Cuba non si poteva considerare esattamente un esempio di rivoluzione socialista coronata da successo in America Latina. E ben presto non sarebbe stato più valido il principio per cui «chi non si trova bene, è libero di emigrare». Per di più, come vedremo, Eric era fortemente critico verso i movimenti di guerriglia che la Rivoluzione cubana ispirò in tutta la regione – e oltre confine. Il 31 ottobre 1962, Eric intraprese il suo primo viaggio nell’America Latina continentale, che nell’arco di tre mesi lo portò a visitare Brasile, Argentina, Cile, Perù, Bolivia e Colombia.10 Il viaggio era finanziato dalla Fondazione Rockefeller per svolgere ricerche su forme «primitive» di rivolta sociale, il tema del suo recente libro I ribelli,11 incentrato principalmente sull’Europa meridionale. Nella sua domanda di sovvenzione, aveva sostenuto che in America Latina ideologie e partiti politici «moderni» erano stati da lungo tempo accettati dalle classi dirigenti locali, ma senza produrre un impatto evidente sulle masse, il cui emergere nella coscienza politica aveva avuto luogo solo negli ultimi decenni. Di conseguenza, si aspettava di trovare in Sudamerica non soltanto «numerosi movimenti genuinamente arcaici», ma anche «combinazioni di arcaico e superficialmente moderno», che, a suo parere, erano immancabilmente oggetto di interpretazioni errate 11 Viva la Revolución come quando si è utilizzato il termine «liberale» per definire il movimento gaitanista perché si dava il caso che il suo leader operasse nell’ambito di uno dei partiti colombiani tradizionali, o «fascista» nel caso di Perón [in Argentina], o molto probabilmente «comunisti» nel caso dei movimenti castristi. […] Come dimostra l’indeterminatezza ideologica delle élite intellettuali negli ultimi decenni (per esempio le mutevoli etichette adottate e la cooperazione in Bolivia di elementi nominalmente trotzkisti, peronisti, comunisti ecc.), la descrizione in termini di movimenti europei del XX secolo già formati rischia di essere più fuorviante che illuminante.12 Al suo ritorno a Londra, tra l’aprile e il luglio del 1963, Eric pubblicò una serie di articoli sulle riviste «Labour Monthly», «New Society», «Listener» (i testi di due trasmissioni per il terzo canale radiofonico della BBC) e «World Today» (sulla base di una relazione tenuta al Seminario latino-americano a Chatham House) in cui esplorava i cambiamenti demografici, economici e sociali in America Latina dopo la Grande depressione mondiale degli anni Trenta, in particolare la disintegrazione delle società agrarie tradizionali (il crollo della «vecchia America Latina», «la fine del Medio Evo»), e il risveglio politico delle masse – la classe operaia urbana, i poveri delle città e, soprattutto, i contadini – negli anni Quaranta e Cinquanta. Eric era tornato dalla sua prima visita in America Latina convinto che nel giro di un decennio o poco più fosse destinata a diventare «la regione più esplosiva del mondo».13 Credeva che diversi Paesi di quell’area fossero «maturi per una sollevazione popolare», anzi, con l’eccezione forse dell’Argentina e dell’Uruguay, maturi per una rivoluzione sociale, se adeguatamente organizzata e guidata. Era in special modo impressionato dal potenziale rivoluzionario dei movimenti contadini in Perù e, soprattutto, in Colombia, la cui situazione era «praticamente sconosciuta nel resto del mondo». Dalla fine degli anni Cinquanta, con un picco raggiunto nei primi anni Sessanta, gli altopiani centrali e meridionali peruviani erano stati testimoni della più grande insurrezione di massa e mobilitazione politica di indios dai tempi della rivolta di Túpac Amaru, nell’ultimo periodo coloniale. «Se c’è un Paese che ha bisogno di una rivoluzione sociale ed è maturo per farla» scrisse Eric, «questo è il Perù.» In Colombia, caso eccezionale per l’America Latina, una rivoluzione sociale «si sta12