Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Magritte
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Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Magritte
Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Magritte, Milano, Bruno Mondadori, 2003, “René Magritte”, pp. 403-425. “Il problema della finestra ha fatto nascere La condizione umana. Ho piazzato davanti a una finestra vista dall'interno di una stanza un quadro che rappresenta esattamente la parte del paesaggio mascherata dal quadro stesso. L'albero rappresentato su questo quadro nasconde quindi l'albero situato alle sue spalle, fuori della stanza. Per lo spettatore si trova allo stasso tempo sul quadro, dentro la stanza, nel pensiero e all'esterno, nel paesaggio reale. E' così che noi vediamo il mondo, lo vediamo all'esterno di noi stessi e tuttavia non ne abbiamo che una rappresentazione dentro di noi.” (Il brano é riportato in D. Sylvester, René Magritte. Catalogue Raisonné I-IV, Basel 1993, p. 184 – Il quadro “La condition humaine” del 1933, olio su tela, 100x81 cm., è conservato presso la National Gallery of Art di Washington, D.C.; un altro quadro con lo stesso titolo e motivo è datato 1935) Il quadro di Magritte ha un intento didattico: dimostra come vediamo e contemporaneamente non vediamo il mondo, come lo conosciamo e non lo conosciamo allo stesso tempo. Il mondo è dunque la nostra rappresentazione. Se ammettiamo l'esistenza di un mondo esterno oltre le nostre rappresentazioni (ovvero dietro il paesaggio dipinto) la nostra rappresentazione, mentre lo svela, non potrà che alterarlo. La nostra rappresentazione è al tempo stesso un velo che mostra e insieme nasconde. La metafora della finestra ci induce a credere che l'immagine finita penetri passivamente nel nostro spazio interno, facendoci perdere di vista l'apporto cognitivo specifico dei sensi. Nella vicenda del pensiero umano abbiamo avuto 1. dei filosofi favorevoli alla concezione della finestra per i quali tutto ciò che accade nei sensi è passivo; 2. dei filosofi che si oppongono alla concezione della finestra. Per costoro non esiste nessuna mente dietro una finestra, da dove osserva il mondo esterno, ma solo una attività mentale che inizia già con i sensi. La prima posizione viene espressa già nelle Tusculanae disputationes di Cicerone: Noi infatti neppur ora non distinguiamo con gli occhi ciò che vediamo; giacché il corpo non ha nessuna facoltà di sentire, ma, secondo i dettami non solo della scienza della natura, ma anche della medicina che mediante l'esame diretto ha scoperto e messo a nudo codesti organi, esiste come una specie di canali che uniscono la sede dell'anima con gli occhi le orecchie e le nari. Pertanto accade spesso che, assorti in qualche pensiero o colpiti da grave malattia, non vediamo né ascoltiamo pur avendo aperti e sani gli occhi e le orecchie; di conseguenza si può facilmente comprendere che è l'anima che vede ed ascolta, non quegli organi che sono per così dire le finestre dell'anima, mediante le quali tuttavia nulla potrebbe percepire la mente se non vi partecipasse attivamente. … E il fenomeno per cui con la medesima mente percepiamo cose fra loro diversissime, come il colore, il sapore, il calore, l'odore, il suono ? L'anima non le conoscerebbe per mezzo dei suoi cinque messaggeri, se tutto non fosse ad essa riportato e di tutto non fosse giudice essa. Ai sensi in questa visione è negato ogni contributo cognitivo che si riserva esclusivamente alla mente o anima intellettiva. La mente è dunque iudex che approva o respinge con il suo iudicium ciò che questo messi portano alla rappresentazione. Questa prospettiva sarà anche tormentata dal dubbio scettico; non si saprà mai se sul vetro di questa finestra immagini dipinte da un artista sconosciuto che creano l'illusione del mondo esterno. Cartesio Con C. la filosofia procede alla separazione tra lo spirito e il corpo. Nelle Meditazioni Cartesio scrive: “Le cose che sento o immagino (sentio vel imaginor) potrebbero forse non essere nulla fuori di me [tuttavia] certamente [esistono] in me.” “Fuori di me” e “in me” sono i poli di questa visione cartesiana del mondo che Magritte ripropone nel suo quadro. Cartesio torna a interrogarsi nella “Seconda meditazione” su ciò che vediamo e conosciamo, e su cui formuliamo giudizi con l'intelletto: “Se per caso vedessi dalla finestra (ex fenestra) uomini che passano per strada, alla loro vista dirò certamente che passano uomini proprio come dico di vedere la cera, ma tuttavia che cosa vedo da questa finestra, se non cappelli e mantelli che potrebbero, coprire spettri o automi che si muovono per mezzo di meccanismi? Eppure giudico che essi sono veri uomini e cosi comprendo con la sola facoltà di giudicare che risiede nel mio spirito (sola judicandi facultate, quae in mente mea est) ciò che credevo di vedere con i miei occhi.” Alla concezione del mondo esterno contribuisce però anche la coscienza: esaminiamo alcuni diversi concetti di coscienza. a. mi desto dal sonno e divento consapevole di me: è un fenomeno noto a tutti; b. mi rendo conto che sto concentrandomi su qualcosa: tipo di consapevolezza familiare ad es. iun certi comportamenti come quello di chi entrando in luogo pubblico per sembrare disinvolto bada più a sé stesso che ai presenti; c. Cartesio ha dato i natali a un terzo tipo di coscienza: muovendo da se stesso l'Io cartesiano constata, dopo la regressione del dubbio, di essere pura res cogitans e di essere tale in contrapposizione alla res extensa. Per Platone e Aristotele i problemi gnoseologici erano ancora dibattuti entro un quadro di riflessioni che si possono dire a sfondo biologico. Piante, anima e uomini erano tutti possessori di un'anima che mostrava le proprie capacità cognitive distinguendo qualcosa da qualcos'altro (come l'uccello riconosce il luogo adatto a nidificare). Il moderno concetto di “mondo esterno” vide la luce nel momento in cui Cartesio traspose la dottrina della percezione dal suo ambito psicologico'empirico o biologico ad un piano ontologico. La concezione della finestra ricevette un fondamentale impulso dalla moderna dottrina della prospettiva che sul piano gnoseologico ripropose l'idea che ci troviamo in una stanza buia e che le impressioni sensoriali ' che continuano ad essere pensate come se fossero soltanto visive ' ci vengono da fuori, nel modo descritto ad es. da Leibniz nella sua controversia con John Locke: “L'intelletto potrebbe essere paragonato, aduna camera interamente oscura che avesse soltanto qualche piccola apertura per lasciare entrare le immagini esterne e visibili, in modo che, se queste immagini vengono a disegnarsi nella camera oscura, vi possano rimanere ed essere ordinate, si' da poterle ritrovare quando occorra; tra una camera oscura siffatta e l'intelletto umano ci sarebbe una gran somiglianza." [G.W.Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, in Scritti filosofici, Torino UTET, 1968, vol. II, libro II, cap. XII, p. 272. Anche Newton fa sua la medesima rappresentazione nella famosa Questione 28 dell'Ottica: “Queste cose essendo state convenientemente studiate, non appare dai fenomeni che c'è un Essere incorporeo, vivente, intelligente, onnipresente, che nello spazio infinito, come fosse nel proprio sensorio (as it were in bis sensory), vede le cose nella loro stessa intimità [ ... ]; delle quali cose solo le immagini, portate per mezzo degli organi di senso nel nostro piccolo sensorio (into our little sensoriums), sono ciò che viene visto e osservato da quello che in noi sente e pensa» (Ottica, o trattato sulle riflessioni, rifrazioni, inflessioni e sui colori della luce, 1730, in Scritti di ottica, a c. di A. Pala, Utet, Torino 1978, p. 577). La metafisica della sostanza (avviata da Cartesio) porterà Leibniz a trasformare la camera obscura in un gabinetto di specchi. Nella monade di L. il mondo esteriore è rispecchiato nello spazio psichico interno. In tal caso la stanza di Magritte sarebbe uno spazio senza aperture verso l'estreno, in cui prati e alberi possono esser visti solo su specchi. Ma se l'Io sembrò a Cartesio una solida roccia contro ogni dubbio, sarà Hume a demolire questa certezza. Che cose troverà al posto dell'Io ? Dice Hume : fasce o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità in un perpetuo flusso e movimento”. Nella stanza di Magritte, come afferma lo stesso pittore, non c'è nessuno. Troviamo solo le percezioni che l'invisibile artista fissa sulla tela, sulla quale egli tuttavia non compare. Lo stesso Hume non parla di uno spazio interiore con finestra, bensì di m palcoscenico teatrale: «La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un'infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. [ ...] E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c'è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta» (Trattato sulla natura umana, pp. 264-265). Kant Nella dottrina kantiana dello spazio e del tempo il mondo conoscibile è assorbito dall'Io e dall'animo umano e trasformato in fenomeno di quest'ultimo: spazio e tempo diventano forme soggettive dell'intuizione; noi recepiamo passivamente, per mezzo di false finestre, solo il molteplice informe della sensazione. Fichte nei suoi “Fondamenti dell'intera dottrina della scienza” (1794) illustra un mondo generato dall'Io. Il mondo esterno diventa una creazione della stessa libertà dell'Io. Il fatto viene trasformato in un vero e proprio atto. L'Io non può - scrive Fichte - per se stesso in modo valevole [ ... 1 dirigersi verso fuori, senza aver prima limitato se stesso, poiché finora non c'è per l'lo né un interno né un esterno. Questa limitazione di se stesso ebbe luogo per mezzo del già dedotto sentimento di se stesso. Infatti l'lo non può dirigersi verso fuori, se in un modo qualunque il mondo esterno non gli si manifesta in esso stesso?” L'idea del mondo di Magritte è diventata una acquisizione culturale comune soltanto con Cartesio, Kant e Fichte. E di questa tradizione la tela è una sorta di summa. Questa tradizione però resta prigioniera di una ambiguità tra un piano trascendentale (di un Io in generale) e un piano empirico di un io biografico. Con Schopenhauer il “mondo esterno” non diventa altro che una mia rappresentazione. Ogni essere umano ha perciò il proprio mondo empirico esterno. Per Nietzsche il “mondo esterno” è un puro frutto della fantasia. Non siamo in grado di stabilire se sia un Dio o siano le cose in sé o sia il nostro stesso Io con la sua energia psichica a mettere in scena lo spettacolo del mondo. Magritte ha ripreso da Cartesio la credenza in un Dio buono e generoso che provvede a far sì che le nostra rappresentazioni del mondo concordino con la sua realtà, la res extensa. Il quadro di Magritte fa della mente o coscienza umana un luogo abitato da una sola persona. E' questa la condizione umana ? Questa è la concezione secondo gli stoici, Descartes, ecc. Problemi: 1. quali sono i confini tra l'interno e l'esterno. Gli occhi fanno parte del mondo esterno ? 2. Ogni animale dotato di vista che sia in grado di rappresentare a se stesso un mondo esterno potrà possedere quel mondo; 3. Magritte considera le impressioni visive in generale come pars pro toto dell'esperienza sensibile ma la percezione visiva ha la peculiare caratteristica di non poter garantire la reale esistena fisica di ciò che vediamo E' necessario dunque tornare agli altri esseri viventi e agli altri sensi. Dovremo parlare dunque non più della condizione umana ma della condizione animale Il quadro e la condizione umana non hanno nulla a che fare l'uno con l'altra. Siamo così indotti a osservare la parte del quadro priva di parole a distinguere colori e forme.