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Come ti smonto il
Neoliberismo in 23 mosse
di C. Wolff
7/11/2012
Ha-Joon Chang è un economista coreano
trapiantato in Gran Bretagna dove insegna a
Cambridge. Mr Chang non è un anticapitalista
ovviamente, è solo un economista eterodosso
che si rifà alla tradizione istituzionale di scuola
americana, quella per intenderci dei Veblen,
Commons e Galbraith. La teoria economica sta
attraversando un tale periodo di monismo
ideologico che gli economisti si dividono in
ortodossi (il mainstream più o meno neo-lib) ed eterodossi dove sono ammucchiati tutti gli
altri, gli “eretici”. Questi eretici sono poi una categoria assai diversificata, includente tanto
quelli della complessità-bioeconomisti-evoluzionisti-ecologisti, che i marxisti, i neo-keynesiani,
le femministe, gli sraffiani, gli istituzionalisti ed a tratti, financo gli austriaci che porre fuori
dalla tradizione liberale è assai arduo. Ma tant’è.
Chang scrive un libricino di facile lettura (ormai i libri non sono più scritti dagli autori ma dagli
editor): 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, (Il Saggiatore, Milano,
2012) in cui introducendo per ognuno dei 23 capitoli tipiche tesi mainstream, le smonta una
ad una.
1) Si comincia col libero mercato, il cui perimetro di libertà è sempre presente, non è mai
libertà assoluta e che viene definito dal politico e non certo dall’economico. Sono stati governi
a decretare prima libero e poi non più libero lo schiavismo, il commercio dell’oppio, il lavoro
minorile. Poiché il concetto di libertà è quindi dato dal politico, i liberisti sono ideologi di un
certo tipo di libertà relativa, quella che fa quadrare i conti degli interessi che sostengono.
2) Le aziende condotte dal principio del “valore per gli azionisti” non creano valore
produttivo ma finanziario e spesso lo fanno tagliando dipendenti ed investimenti e strozzando
fornitori. Jack Welch, ex CEO di GE che nel 1981 coniò il concetto di “shareholder value” pare
che recentemente abbia mutato giudizio definendola “l’idea più stupida del mondo”.
3) I lavoratori non vengono pagati per il loro valore assoluto, ma relativamente alle
cornici di contesto delle singole economie-paese. Pensare di mettere tutti i lavoratori in uno
stesso mercato planetario è una truffa. Un guidatore di autobus svedese ha un salario 50
volte superiore a quello di un collega indiano quando semmai l’indiano ha ben più capacità
visto che deve muoversi tra carretti, pedoni indisciplinati, animali e biciclette. In realtà agisce
un potente sbarramento, di nuovo politico, un protezionismo del lavoro agito tramite barriere
all’immigrazione che nessun liberale si sogna di rimuovere. Così, “produttività” è un concetto
sistemico, quindi economico-nazionale, non certo dipendente dal singolo individuo e dalla sua
“flessibilità”.
4) La quarta tesi è ad effetto: la lavatrice ha cambiato il mondo più di internet. Chang
picchia duro su uno di quei topos con i quali si costruisce la nostra visione del mondo.
L’economia dell’immateriale è stata una falsa promessa, un fenomeno di ben più misurata
significanza rispetto a quanto si vada ripetendo nei mantra post moderni.
5) Il presupposto dell’egoismo razionale dal quale discende l’intera teoria economica
quantificabile, individualista, razionale è del tutto arbitrario. L’individuo asociale è un
disturbato e così la teoria economica che da questo patologico presupposto discende ( autistic
economy).
6) La stabilità economica che dipende dall’azzeramento dell’inflazione, quindi dalla gestione
della moneta, serve solo come protezione di chi ha ingenti capitali da investire. Nel
dopoguerra con inflazione si cresceva più del doppio degli ultimi trent’anni senza inflazione.
Una moderata inflazione addirittura potrebbe fare bene alla crescita e comunque è certo che
zero inflazione non porta di per sé alcuna crescita correlata.
7) Le politiche liberiste sul commercio internazionale rendono più ricchi i paesi ricchi e non
certo i paesi poveri. Riecheggiano qui le osservazioni dell’economista tedesco Friedrich List
(1789-1846). Tra l’altro, gli Stati Uniti furono protezionisti almeno dal 1830 al 1940 e la Gran
Bretagna dal 1720 al 1850. Si può così notare come la furia libero mercatistica emerga
solo quando il paese a capitalismo egemone sull’intero sistema-mondo, inizia la sua fase più
prettamente imperiale. La libertà allora è quella dell’agente imperiale che “deve” poter entrare
nella tua economia per eterodirigerla a sua convenienza.
8) La transnazionalità globalizzata va ridimensionata. Vere e proprie imprese
transnazionali sono pochissime, per lo più sono imprese nazionali con prospezione
internazionale. Nei servizi poi questo radicamento nazionale si accentua data l’impossibilità di
prestare servizi a distanza. La maggior parte degli investimenti esteri comprano aziende già
esistenti (per ristrutturarle e rivenderle ) e non ne creano di nuove e molte aziende
manifatturiere svolgono sull’estero soprattutto attività finanziaria e non produttiva.
9) Anche la favola dell’era post-industriale va ridimensionata. Spesso l’industria
contribuisce al PIL meno che in passato perché le attività dei servizi hanno un valore più alto,
anche in ragione dell’aumento di produttività che è più marcato proprio nelle attività
industriali. Outsourcing e riclassificazioni di attività prima conteggiate come manifattura
alterano le statistiche. Diminuzione dell’industria inoltre provoca dipendenza, sbilancia la
bilancia dei pagamenti, depotenzia le possibilità di crescita e deprime l’occupazione. L’unica
vera economia post industriale è quella delle Seychelles.
10) Gli Stati Uniti non hanno il tenore di vita più alto del mondo. Molto dipende da
come si effettuano conteggi e comparazioni ma empiricamente un paese con tra i più alti
indici di diseguaglianza, criminalità, ore lavorate (quindi mancanza di tempo libero), vita meno
lunga e maggiore mortalità infantile non si può dire un paese felice.
11) Non esiste alcuna ragione strutturale che condanna l’Africa al sottosviluppo. La mancanza
di possibilità al cambiamento è dovuta per lo più dall’ingerenza occidentale che continua a
condizionare per sfruttare, le immense ricchezze del continente. Il dato peggiorativo proviene
proprio dalla dissennata applicazione coatta di politiche di libero mercato e di programmi di
aggiustamento strutturale imposti da Fmi e WB.
12) Anche l’assunto per il quale la capacità di intervento dello stato sulla complessità del
mercato sarebbe impedita da un velo d’ignoranza è falso. L’autore che è coreano, riporta
proprio casi del suo paese che è passato da economia primitiva ad economia di punta grazie
ad un strategia coordinata in cui c’è la visibilissima mano dello stato. Così per Giappone,
Francia ed anche se non lo dicono gli stessi Stati Uniti per quanto attiene alle tecnologie
dell’informazione, biotecnologia, aerospazio. Altresì casi come Windows Vista o Nokia N-Gage
dimostrano possibili errori macroscopici anche da parte del mercato. Di fronte all’errore, stato
e mercato quantomeno si equivalgono.
13) È qui la volta del famigerato “trickle down” ovvero quella irrazionale convinzione per la
quale facendo i ricchi sempre più ricchi poi la ricchezza di questi “colerebbe” sugli strati
inferiori tramite investimenti che producono poi crescita e quindi ricchezza per tutti. Anche qui
si possono leggere dati empirici del tutto contrari comparando il trentennio post bellico
redistributivo e crescista con il trentennio neoliberale, che fa corrispondere bassi e stentati
livelli di crescita a fronte di una impennata degli indici di diseguaglianza. Ma anche il senso
comune può soccorrerci. Un milione in più ad un miliardario diventa proprietà accumulata o
investimento che date le caratteristiche degli attuali mercati beneficerà un altro sistema
paese. Cento euro di più ad un metalmeccanico diventano consumo, il consumo chiama
produzione che chiama occupazione e il tutto fa crescita e circolazione della ricchezza.
14) Gli esorbitanti stipendi dei top manager non sono fenomeni spontanei del mercato.
Essi sono determinati in buona parte proprio dal potere che questi top manager hanno
assunto, potere di autodeterminare il proprio stipendio. Questo è schizzato a ordini di
centinaia di volte quello dei sottoposti e negli USA a tre, quattro volte quello degli omologhi
europei o giapponesi.
15) Nei paesi più poveri non è vero che manchi intraprendenza, anzi ce ne è
sicuramente di più di quanta ce ne sia in Occidente proprio perché maggiore è la richiesta di
arte di arrangiarsi. Altresì la figura dell’eroe individuale che con la propria forza di volontà
riesce ad emergere, a fabbricare il proprio destino è pura letteratura. Senza politiche di
contesto, infrastrutture, legislazioni, sistemi complessi spesso promossi da una autorità
statale, non c’è alcuna possibilità di far crescere ed affermare un’impresa.
16) Il presupposto dell’iper-razionalità delle scelte economiche individuali, il presupposto
che regge come “se”, l’”allora” dell’intera presunta scienza economica è palesemente
inconsistente. La nostra razionalità è assai limitata, condizionata, agita entro grandi
semplificazioni di complessità e routine fideistiche ed abitudinarie senza le quali non
potremmo vivere. Viviamo immersi in oceani di incertezza e non abbiamo alcuna possibilità di
fare calcoli neanche probabilistici del rischio effettivo.
17) Altresì non esiste alcuna correlazione provata tra il livello medio di istruzione generale
di un paese ed il suo successo economico. Molte attività meccanizzate o informatizzate
addirittura richiedono solo mansueti esecutori. Le materie di insegnamento servono ad altro
che non ad aumentare la produttività e l’inflazione di “alti studi” non fa che rendere
maggiormente classista l’entrata nel mondo di quei lavori a maggiori opportunità. La Svizzera
è uno dei paesi più ricchi del pianeta ed ha il tasso d’immatricolazione universitaria più basso
tra i paesi sviluppati. Da buon istituzionalista, Chang rimarca l’importanza di condizioni di
contesto per creare benessere economico, condizioni alla portata di istituzioni collettive, tra
cui lo stato.
18) Gli interessi dell’imprenditori privata non coincidono sempre con quelli della
nazione. Gli interessi della nazione debbono essere promossi dal governo, cioè dallo stato,
anche come regolamento di contesto nell’interesse stesso dell’imprenditoria privata.
19) L’ostracismo alla pianificazione in economia non è totalmente giustificato anche perché
anche le cosiddette economie di mercato hanno parti abbondantemente pianificate. Certo la
totale pianificazione centralizzata, soprattutto all’evolversi ipercomplesso delle nostre
economie fallisce, ma la pianificazione dei contesti o “pianificazione indicativa” è stata
ampiamente praticata con successo dalla Francia, alla Finlandia, Norvegia, Austria, Giappone,
Corea, Taiwan, così le politiche economiche di settore e la politica industriale in particolare.
Esiste ancora intrapresa economica statalizzata e il settore della ricerca e sviluppo è
totalmente supportato negli Stati Uniti d’America. Così le aziende, tanto più grandi sono tanto
maggiore è la loro pianificazione pluriennale, con grande articolazione di strategie. Così per i
paesi, più grandi e diversificati sono più controllano ed agiscono in favore della propria
economia.
20) L’uguaglianza delle opportunità è nulla se non c’è uguaglianza delle possibilità
(il vecchio dibattito tra “liberta da” e “libertà di”).
21) Lo stato sociale aiuta ad assumersi rischi ed assumendosi i rischi del cambiamento la
società è più dinamica ed aperta. Le automobili più veloci hanno anche i migliori impianti
frenanti. Questo è un dato solido e concreto che si può desumere dalla comparazione tra
indici di spesa sociale e crescita del PIL a livello delle economia più sviluppate.
22) Tra mercati finanziari ed economia reale c’è una asimmetria nei tempi. Il
capitale impaziente della speculazione ha una logica diversa dal capitale paziente che si
richiede nello sviluppo di una iniziativa economica reale. Occorre render più difficili le
acquisizioni ostili, vietare le vendite allo scoperto, aumentare gli obblighi di margini, introdurre
restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Occorre cioè domare e limitare la finanza la cui
totale libertà è altamente dannosa.
23) Minore crescita, maggiore instabilità economica, maggiore diseguaglianza, crisi ripetute e
crollo del 2008. Questo il pacchetto dei risultati dell’economia liberista. Di contro, l’intero
pacchetto della formidabile crescita orientale degli ultimi anni è stata fatta in totale assenza di
economisti. Gli economisti liberisti non solo hanno fatto cattiva economia ma
soprattutto hanno svolto un ruolo altamente ideologico basato sulla sistematica
inversione del buonsenso: l’ineguaglianza fa bene, le tecnologie sono tutto, l’incertezza
esistenziale è propedeutica alla crescita, svendere la propria industria fa bene, non bisogna
occuparsi di politica economica perché l’economia si autoregola, abbandoniamo lo stato ed
abbandoniamoci al mercato, diamo più soldi ai ricchi, esaltiamo l’egoismo, distruggiamo la
società. Un lungo delirio istituzionalizzato.
“E’ tempo di sentirsi a disagio” chiude Mr
Chang. Si riferisce al suo ambiente quello
dell’accademia mainstream che invita
senza troppi compimenti a pentirsi e
ravvedersi, ma può essere un buon
consiglio anche per chi ne è fuori.
Si tratta di rimettere sul tavolo i sistemi
delle idee economiche per giungere a
nuove sintesi avanzate.
Marx, Keynes, Minsky, ma anche List,
Kaldor, Hirschmann, Simon, insomma una
sorta di unione degli eterodossi alla ricerca
della fondazione di un nuovo paradigma
economico, perché per quello vigente sta
giungendo “la fine dei tempi”.
O almeno così speriamo.
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