Untitled - Rizzoli Libri

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CAROL TOPOLSKI
L’AMORE È UN MOSTRO
Traduzione di Andrea Di Gregorio
ROMANZO
BOMPIANI
Realizzazione editoriale: Perroni & Morli Studio – Taormina
Topolski, Carol, Monster Love
Copyright © Carol Topolski, 2008
All rights reserved
First published in 2008 by Fig Tree,
An imprint of Penguin Books
© 2009 RCS Libri S.p.A.
Via Mecenate 91 – 20138 Milano
ISBN 978-88-452-6344-6
Prima edizione Bompiani settembre 2009
A Michael, Cassie, Clea e Alessia,
stimolo costante della mia esistenza
e a Kit Pedler (1927-1981), mio padre
O buio, buio buio, nel fulgore del meriggio,
irrimediabilmente buio, eclisse totale
senza speranza alcuna di rivedere il giorno!
Sansone Agonista, John Milton
Charlotte
La bambina era incantevole. Sherilyn aveva preso per lei
una carrozzina – passeggino all’ultimo grido – non ho mai
visto niente di simile: linee aerodinamiche, grandi ruote di
plastica ed era talmente silenziosa che ti arrivava addosso
prima che te ne accorgessi. Ti faceva distrarre: ti perdevi
ad ammirare quella costosa carrozzina e dovevi ricordare a
te stessa che, dentro, c’era una bambina vera. Voglio dire:
la bimba era talmente tranquilla che potevi anche pensare
fosse fnta, come quelle bambole che si usano al posto di
un Gesù bambino in carne e ossa nelle rappresentazioni
del Natale, caso mai qualche ragazzino lo faccia cadere in
terra. Non sono mai stata religiosa, ma da quando l’hanno
trovata, c’è una domanda che continua a ronzarmi per la
testa: mi sarebbe più facile accettare quel che è successo
se avessi una fede a cui aggrapparmi? Se credessi in tutte
quelle sciocchezze, l’idea che esista veramente un essere
maligno mi aiuterebbe? Allora non ci ho pensato. Sono
sempre stata abbastanza orgogliosa del fatto di non esser
mai scivolata nella religione come assicurazione per la vecchiaia – e non sarei certo diventata una penitente remissiva, neanche di fronte a questa tragedia agghiacciante.
Samantha era sempre vestita benissimo. Abbinamenti di colore perfetti: il cappottino, il cappellino, l’abitino, i guantini,
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e la copertina della carrozzina color lillà scuro se era vestita di lillà, di un rosa più tenue se era vestita di rosa, e
così via. Era tutto così curato, che la Lady di Ferro sarebbe sembrata disordinata al confronto. A questo punto, ti
saresti aspettata che Sherilyn fosse vestita con una nuance
dello stesso colore della fglia, tipo un completino mamma-bimba. Invece lei era sempre volutamente diversissima, come se volesse negare qualsiasi associazione con sua
fglia. Spesso, i primi mesi, vestiva di nero: abiti impeccabili, di alta sartoria, neri e griffati, come se stesse andando
a un’importante riunione di lavoro. Oppure come fosse
in lutto. Sono abbastanza pignola sul mio aspetto, eppure
di fronte a lei a volte mi sentivo una barbona. D’accordo,
cerco di trovare il tempo per andare dal parrucchiere e
per scegliere delle cosine carine da mettermi, ma ho altre
priorità – ad esempio il giardinaggio – per cui tengo le
unghie corte, che sono anche più pratiche. Le sue invece
erano come artigli – mi facevano pensare a quegli alti dignitari cinesi che non si erano mai tagliati le unghie per
far sapere a tutti che erano persone troppo importanti
per dover fare qualsiasi lavoro manuale – e mi chiedevo
come facesse a sbrigare tutte le tenere incombenze di una
mamma con quelle unghie così lunghe.
Cerco di non essere troppo intransigente, per l’amor di Dio:
una carriera passata a insegnare nei quartieri poveri mi ha
abituato a stili di vita e a culture diversissimi – ma c’era
qualcosa che non andava. Una donna se ha una figlia,
magari sarà anche totalmente ignorante, ma sa istintivamente come si fa la mamma. Sa come rispondere ai bisogni della sua piccola, come comprenderla, come concederle
o negarle qualcosa, ma in quel caso era come se Sherilyn
stesse interpretando una parte nella storia della vita di
un’altra persona. Magari la vedevi trotterellare per strada,
sui suoi tacchi vertiginosi, e allora la fermavi e le chiedevi, Come sta Samantha? E lei sorrideva a denti stretti e
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rispondeva, Oh, ora dorme tutta la notte, è una bambina
così brava! Oppure, Ha appena cominciato a mangiare le
pappine – che sollievo non dover più sterilizzare tutti quei
biberon! Ma era come se parlasse di qualcuno di cui non
sapeva niente, in verità. Come se rigurgitasse qualcosa che
magari aveva letto in qualche libro senza averne ben digerito il signifcato.
E poi non l’ho mai vista toccare la bambina. Neanche una
volta. Le rimboccava la copertina, tirava su la cappotta
della carrozzina quando si metteva a piovere, ma non le
ha mai fatto una carezza sul viso, né una coccola sui ricci,
insomma uno di quei gesti che vedi fare alle neomamme.
Samantha aveva sempre il ciucciotto, e quando le cadeva, Sherilyn glielo rimetteva in bocca e poi tirava fuori un
fazzoletto per asciugarsi le mani. Una volta la bambina
aveva il raffreddore e le colava il naso. Quando Sherilyn
se ne accorse fece, involontariamente, una smorfa. Allora
io dissi, Povero topino, e le asciugai il nasino con uno dei
miei fazzoletti. Il piccolo volto tagliente di Sherilyn si incrinò, anche solo per un istante, e lei mi gettò uno sguardo
di tale gratitudine che quasi mi si mozzò il fato. Ma non
ho saputo approfttarne. Fosse stata un’altra, avrei detto,
Venga a prendere un caffè da me, ha l’aria di aver proprio
bisogno di una pausa, ma prima che trovassi le parole la
sua espressione tornò immediatamente a irrigidirsi. Era
come quando ti trovi a osservare un cielo basso, gravido
di pioggia: a un certo punto c’è uno squarcio nelle nuvole, ed ecco che vedi, dall’altra parte, uno sprazzo di cielo
completamente sgombro, ma poi lo squarcio si richiude
subito. E devi insistere che è successo davvero, altrimenti
nessuno ti crede.
Dev’essere rimasta incinta poco dopo il trasloco, e dato
che aveva un fsico molto sottile, me ne sono accorta subito. Li vedevo andare a lavorare insieme, con la loro fammante BMW. Lei doveva acquistare dei vestiti nuovi per
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farci entrare il bambino che cresceva, ma il pancione aveva
l’aria di un qualcosa appiccicato addosso, un qualcosa in
più. Come se non fosse veramente parte di lei. Come se il
suo corpo si assolvesse da ogni responsabilità.
Mi era dispiaciuto che i Bennett se ne fossero andati,
perché Lamorna era una buona amica, ma pensai che i
Gutteridge avrebbero fatto fare un salto di qualità al nostro quartiere, il Crescent: sembrava gente che sa vivere.
Per prima cosa, avevano ridipinto l’esterno della casa, e
affdato il giardino di fronte e quello sul retro a giardinieri
professionisti. Il risultato era stato forse un flino formale,
per i miei gusti – a me piace che le piante si ammassino
l’una sull’altra – ma ognuno fa come crede. Era tutto perfettamente coordinato proprio nello stile di Sherilyn. Non
c’era spazio per nessun genere di “allegro imprevisto”. Io,
ad esempio, ho una camelia molto ammirata nel giardino
sul retro – il terreno è acido, per cui anche i miei rododendri e le azalee sono strepitosi – e gliene avevo offerto un
ramo da trapiantare. Oh, che gentile, mi avevano detto.
Che bel pensiero, ma no grazie: abbiamo votato contro il
rosso nel nostro giardino. Erano sempre gelidamente ben
educati, e io naturalmente sono favorevole alla buona educazione. Anche a scuola, ho nuotato controcorrente perché ho sempre insistito che i ragazzi imparassero il “grazie” e il “prego” contemporaneamente ai fondamenti della
grammatica. Sono stata anche derisa per questo. Però i
modi dei Gutteridge erano troppo formali, come se non
servissero a dimostrare interesse per gli altri, ma piuttosto
a respingere il contatto. Non voglio insistere troppo con il
senno di poi, ma Annie, quella del 17, mi ha ricordato che
un giorno io le avevo detto che quando parlavo con loro
mi sentivo come se parlassi a un iceberg. Molto belli, molto gelidi e molto riservati. E ora posso anche aggiungere
molto letali.
Ma, del resto, non è che si possa essere amici di tutti, e loro
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non erano mai sgarbati. Cinque anni fa, quando il mio
Russell era morto all’improvviso, c’era stato un grande
andirivieni. Allora, mia fglia Olivia – che si era già trasferita in Australia con Stefan – era saltata sul primo aereo
ed era tornata qui. Anche mio fglio Marcus era venuto
dalla Danimarca per il funerale del papà. L’avevamo perso
di vista da quando aveva svuotato uno dei nostri conti in
banca, ma poi la polizia danese l’ha rintracciato e lui si è
presentato al crematorio in abito talare. Sono stata contenta che abbia trovato le sue radici, anche se all’interno di
una chiesa. È un bambino adottato e forse è sempre stato
in cerca di qualcosa a cui appartenere.
Tutti i miei amici di Crescent erano spuntati con roba da
mangiare, fori e anche i biglietti di condoglianze erano
arrivati a frotte. Tutti i colleghi di Russell e i miei ci erano stati vicini, e i tamburi della foresta avevano trasmesso
la notizia a entrambe le nostre famiglie d’origine. Erano
spuntati cugini e secondi cugini che non mi ricordavo neanche di aver mai frequentato, e quindi per un po’ sono
stata positivamente avvolta nell’affetto. Be’, magari una
può pensare che i Gutteridge si siano accorti di tutto quel
viavai, e magari abbiano chiesto a un vicino che cosa stava
succedendo. E invece no. E dire che, al loro arrivo, gli avevo dato il benvenuto con un cestino di delizie: composta
di mele selvatiche del mio albero, il vino di bardana che
faceva Russell, e un gran mazzo di fori del mio giardino.
Mi sa che c’erano troppi colori in quel mazzo. Ma loro
non hanno mandato un biglietto di condoglianze e non
hanno sostato sul marciapiedi come gli altri vicini a guardar partire il carro funebre. Maureen, quella che abita al
24, l’aveva notato. Io non ci avevo fatto caso, ma del resto
capita anche che il dolore ti accechi.
Dopo qualche settimana la solidarietà di tutti era decisamente scemata. Non che la gente fosse diventata indifferente, più che altro si pensa che nel giro di un paio di mesi
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