RICORDO DI ROSETTA LONGO Debbo aver conosciuto Rosetta nel

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RICORDO DI ROSETTA LONGO Debbo aver conosciuto Rosetta nel
RICORDO DI ROSETTA LONGO
Debbo aver conosciuto Rosetta nel settembre del ’44, quando in quella Roma da poco liberata, affamata e
priva di trasporti e di servizi, si dette vita al Comitato di iniziativa dell’Unione Donne Italiane: scopo era
quello di offrire una sponda al movimento dei “Gruppi di difesa della donna” (GDD) che, sotto l’egida del
CLN, operavano nell’Italia occupata dai nazisti e, al tempo stesso, di mobilitare sul terreno democratico e
chiamare all’attività politica e all’azione di ricostruzione del Paese le donne dell’Italia liberata. In particolare
ci si preoccupava di ottenere il diritto di voto per le donne, da subito, senza attendere la futura Assemblea
Costituente. Nel Comitato di iniziativa Rosetta rappresentava, assieme a Laura Ingrao, quella Associazione
degli Insegnanti Medi che si era costituita, come organizzazione clandestina di lotta contro i nazisti nelle
scuole romane durante i nove mesi dell’occupazione di Roma. Durante la resistenza romana avevamo
militato in settori diversi e le norme cospirative, che prescrivevano una rigida compartimentazione, non ci
avevano fatte incontrare prima.
Potei apprezzare nei mesi successivi le capacità di Rosetta sia nella costruzione dei primi passi della
neonata associazione sia nella redazione di Noi Donne, cui ambedue ci dedicammo con un entusiasmo pari
all’incompetenza giornalistica…Fummo anche assieme nella delegazione che, nel novembre del 1945 andò a
Parigi al I° Congresso della Federazione Internazionale delle Donne.
Al Congresso di unificazione tra l’UDI e i Gruppi di difesa della donna che avevano operato nell’Italia
occupata fino alla liberazione, tenutosi a Firenze, nel ’45, fummo Rosetta ed io a parlare in un comizio a
piazza della Signoria per illustrare la politica e il programma dell’UDI: rammento ancora un particolare
divertente, una sua battuta alla fine di quella manifestazione. “Mi vergognavo un po’ a tuonare contro lo
spreco di farina e zucchero per fare pasticcini, perché a anche a me i pasticcini piacciono…”. Rosetta infatti
era persona seria e rigorosa, ma cercava di nascondere quelle sue qualità sotto un sottile umorismo. Durante
quel Congresso ebbe luogo, se non ricordo male, nella sua camera di albergo uno scontro politico tra me e
Lei: discutevamo della composizione degli organismi dirigenti dell’UDI, che avrebbero dovuto esser eletti
dal Congresso. Rita Montagnana aveva proposto in assemblea che - a differenza dei Congressi provinciali,
dove si era votato a voto segreto, ma dove, data l’inesperienza elettorale, erano “successi dei pasticci” _ si
votasse il Consiglio Nazionale con voto palese. Ecco – penserà qualcuno – i comunisti cominciavano subito
a restringere gli spazi della democrazia. In realtà Rita si preoccupava – e questo sì era nello stile dei
comunisti – che quell’organismo fosse rappresentativo sia dal punto di vista territoriale, che da quello
dell’estrazione sociale e dell’“equilibrio politico”. Era ovvio perciò, considerato il modo in cui si era data
vita all’associazione, che, dovendosi garantire la rappresentatività, il negoziato tra le componenti politiche
divenisse determinante. Io, dunque, in quella riunione che ricordo tempestosa, pretendevo per le compagne
della Sinistra Cristiana una rappresentanza paritetica con le altre componenti politiche nel Comitato direttivo.
La pretesa era poco giustificata. Se è vero, infatti, che le compagne della Sinistra Cristiana erano molto
capaci, autorevoli e si erano spese nell’organizzazione, sta di fatto che noi, rispetto a un partito di antica
tradizione e di solido radicamento come il PSIUP , non eravamo che una piccola formazione, poco estesa
territorialmente. Quando, pochi mesi dopo, la Sinistra Cristiana si sciolse, e parecchie di noi entrarono nel
PCI , Rosetta mi accusò di aver deliberatamente manovrato, con la richiesta di una maggior quota per la
Sinistra Cristiana, per accrescere la rappresentanza comunista, peraltro già molto forte nel Consiglio
Nazionale dell’UDI. Non era vero, non prevedevo nemmeno allora che si sarebbe arrivati in breve tempo
allo scioglimento della Sinistra Cristiana. Ero solo desiderosa di affermare nell’UDI la nostra presenza e la
nostra testimonianza e da ciò derivava il mio comportamento. E, da parte sua Rosetta era assai fedele al suo
partito e fermissima nel difenderne le posizioni. Sapeva però coniugare la sua militanza di partito con una
salda e radicata convinzione dell’importanza dell’UDI. A differenza di altre compagne socialiste, alcune
anche molto autorevoli, che, avendo una concezione dell’emancipazione femminile tutta ricondotta entro una
visione di classe, sostenevano la priorità di un impegno delle militanti socialiste nel proprio partito o che
avevano perplessità sulla politica di unità d’azione tra PCI e PSI e che, infatti, sarebbero poi confluite, dopo
la scissione di Palazzo Barberini, nel partito fondato da Saragat, Rosetta, assieme a Giuliana Nenni,
condusse una seria battaglia per impegnare le militanti socialiste nell’UDI e per difendere e promuovere
l’associazione unitaria delle donne. Sarebbe significativa una attenta rilettura delle sue relazioni al II°
Congresso nazionale nel ‘47 e al II° Convegno Nazionale del ‘48. Una posizione costantemente mantenuta:
ben consapevole delle difficoltà dell’Associazione, al Convegno di organizzazione del novembre 1951
affermava: “Molto spesso l’UDI ancora non ha una vita autonoma e veramente democratica. Ancora in
alcune province, l’UDI tende a realizzare le sue iniziative attraverso l’apparato di altri organismi”. E nel ’52,
in un rapporto al Comitato Direttivo, ribadiva: “Il settarismo si fa più che mai vivo: le dirigenti dell’UDI
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dimenticano di essere dirigenti di un’organizzazione di massa per ricordarsi soltanto di essere militanti di un
partito.” Non va dimenticato che quegli anni furono segnati dall’aspro scontro politico e sociale determinato
dalla rottura dall’unità antifascista e dal fatto che l’UDI si era impegnata a fondo, a fianco dei partiti di
sinistra, nelle lotte per la pace e la democrazia e, nel ’48, era confluita nella Alleanza femminile del Fronte
Democratico Popolare, quasi identificandosi con una parte politica e aveva perciò subito i contraccolpi della
sconfitta elettorale del Fronte. Rosetta diresse l’UDI per ben 14 anni. Fu Segretaria Generale
dell’associazione dal ’45 fino al VI° Congresso del 1959, anno in cui scelse di tornare all’insegnamento e
lasciò il posto di capofila delle socialiste nella “Presidenza collegiale” ad Anna Matera.
Quella lontana discussione del ‘45 non aveva lasciato tracce nei rapporti tra Rosetta e me. Nel ’48 ero
passata a dirigere l’UDI di Roma e tornai all’UDI nazionale nel ’56. E fu in particolare tra il ’56 e il ’59,
quando io ricopersi la carica di Presidente dell’Associazione, che con Rosetta lavorammo fianco a fianco
ogni giorno. Furono anni di svolta per l’UDI, nei quali si venne consolidando la sua linea di autonomia e di
unità e affermando che solo l’emancipazione femminile – e non altri obiettivi – era fine e ragion d’essere
dell’Associazione. L’UDI riuscì così a resistere alle tempeste dei drammatici eventi internazionali del ’56 e
della rottura del patto di unità d’azione tra il PCI e il PSI. Rosetta ed io ci spalleggiammo a vicenda nel
faticoso lavoro di mediazione, a difesa dell’unità dell’UDI, nei confronti dei nostri rispettivi partiti e il ruolo
di Rosetta fu determinante per salvaguardare l’associazione. E infatti, sotto la direzione di Rosetta, l’UDI
ebbe un periodo d’oro, di sviluppo e di vivace iniziativa.
Furono anni di collaborazione proficua e sincera, nel corso dei quali si venne cementando un’amicizia
che andava assai al di là del lavoro comune e della condivisione delle idee. Ci confidavamo le nostre
preoccupazioni familiari, cercavamo di aiutarci reciprocamente anche nella cura dei figli, insomma eravamo
amiche oltre che compagne.
Dopo aver lasciato l’incarico di Segretaria Generale, Rosetta rimase negli organi dirigenti dell’UDI fino
al ‘78, (rieletta nel Comitato direttivo al VII° Congresso nel ’64, all’VIII° nel ’68, al IX° nel ’73),
continuando a dare il suo contributo. Vorrei ricordare la sua relazione alla Conferenza Nazionale dell’UDI
sul diritto delle donne a un lavoro stabile e qualificato nell’estate del ‘65 e il ruolo da Lei svolto in quegli
anni nel Bureau della FDIF, nella discussione che aprimmo sui temi dell’autonomia anche
nell’organizzazione internazionale e nel passaggio dell’UDI da membro associato a membro aderente nella
Federazione. Decisiva fu la sua paziente e tenace azione anche dietro le quinte, nella critica fase del
passaggio ai governi di centro sinistra e della scissione del PSI, quando molte dirigenti dell’UDI si trovarono
a militare in partiti collocati su opposta sponda, al Governo e all’opposizione. Credo si debba affermare che,
senza Rosetta, l’UDI non sarebbe sopravvissuta in quella difficile congiuntura, segnata da ricorrenti
tentazioni liquidatorie. Nella sua attività parlamentare Rosetta si considerò sempre anche deputata dell’UDI,
con i suoi interventi e con la firma a proposte di legge per le donne, che si erano elaborate collegialmente
nell’Associazione.
Non mi sembra che finora, nei – pochi – studi dedicati alla storia dell’UDI, sia emerso a sufficienza il
suo ruolo determinante né si sia valutata pienamente la sua attività e il suo impegno nelle battaglie per la
parità e i diritti delle donne italiane. Un’attività che non solo ha radicalmente mutata la condizione delle
donne in Italia, ma che ha anche fortemente contribuito a rafforzare la democrazia e a modernizzare il nostro
paese. Si parla sovente dei “padri” della Repubblica, ma si tende a dimenticare che la Repubblica ebbe anche
delle “madri”. Sicuramente Rosetta fu una di loro.
Marisa Rodano
24/8/2005
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