REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI

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REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI
7343/14
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA
DEL 04/02/2014
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
Dott. AMEDEO FRANCO
Dott. LUCA RAMACCI
Dott. ANDREA GENTILI
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
- Presidente - Consigliere - Rel. Consigliere - Consigliere - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LAI EUGENIO N. IL 27/10/1946
avverso la sentenza n. 441/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
20/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
Udito, per la parte civile, l'Avv
Uditi difensor Avv. t. Qle Lec,02_,
2:04.f.
Avo.
SENTENZA
N. 344/2014
REGISTRO GENERALE
N 32948/2013
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 20.5.2013 ha confermato
la decisione con la quale, in data 30.9.2011, il Tribunale di quella città aveva
riconosciuto Eugenio LAI responsabile del delitto di cui all'art. 181, comma 1-bis
d.lgs. 42\2004, per aver realizzato, quale proprietario e committente, in assenza
della preventiva autorizzazione paesaggistica, la copertura di una veranda
avente una superficie di 30 mq in area sottoposta a vincolo paesaggistico con
d.m. 11.2.1976 (in località Costa Rei, agro di Muravera, il 21.8.2006).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
proprio difensore.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, lamentando che i giudici del gravame avrebbero erroneamente
escluso che, nella fattispecie, sarebbe stato realizzato un semplice intervento di
recupero e risanamento e non avrebbero, altrettanto erroneamente, tenuto conto
del principio di offensività, considerato che l'intervento realizzato non sarebbe
stato idoneo ad incidere negativamente sull'assetto del paesaggio, come peraltro
dimostrato dal successivo riconoscimento, da parte delle autorità preposte alla
tutela del vincolo, della compatibilità paesaggistica delle opere e della loro
rispondenza alle previsioni del piano paesaggistico.
Aggiunge che la Corte territoriale avrebbe impropriamente negato la
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, da eseguirsi mediante nuova
escussione di un teste e l'acquisizione di documentazione presso
l'amministrazione comunale.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
In materia di reati paesaggistici e di ambito di operatività della disciplina
paesaggistica questa Corte si è ripetutamente pronunciata.
Da ultimo (Sez. III n. 6299, 8 febbraio 2013), si è ribadita la natura di reato di
pericolo della violazione paesaggistica attraverso una disamina dei precedenti
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giurisprudenziali che pare opportuno richiamare anche in questa sede.
In particolare, nella richiamata decisione si è ricordato come si fosse già
precisato (Sez. III n.28277, 18 luglio 2011) che il reato contemplato dall'articolo
181 D.Lv. 42\2004 è un reato formale e di pericolo che si perfeziona,
indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione
di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull'originario
assetto dei luoghi sottoposti a protezione (si richiamava, a tale proposito, anche
Sez. III n.2903, 22 gennaio 2010 ed altre prec. conf.) e come sia di tutta
evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela
del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato
contemplato dal menzionato articolo 181, ogni intervento astrattamente idoneo
ad incidere, modificandolo, sull'originario assetto del territorio sottoposto a
vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta
autorizzazione.
Si è pure ricordato che l'individuazione della potenzialità lesiva di detti
interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta
quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all'ambiente,
bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico
tutelato (v. ex pl. Sez. III n. 14461, 28 marzo 2003; n.14457, 28\3\2003; n. 12863,
20 marzo 2003; n.10641, 7 marzo 2003) e che, proprio per tali ragioni, è richiesta
la preventiva valutazione da parte dell'ente preposto alla tutela del vincolo per
ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina
urbanistica ed edilizia.
Sulla base di tali considerazioni si giungeva pertanto ad affermare che il
reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consista nell'esecuzione
di interventi senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e
senza l'azione dell'uomo, siano venuti meno restituendo ai luoghi l'originario
assetto (Sez. III n. 6299, 08 febbraio 2013).
Ancor più recentemente si è ribadito che la punibilità del reato in questione è
esclusa solo nell'ipotesi di interventi di «minima entità», inidonei, già in astratto,
a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggisticoambientale (Sez. III n. 39049, 23 settembre 2013).
Tali principi sono stati affermati anche con riferimento all'ipotesi delittuosa
disciplinata dal medesimo art. 181 d.lgs. 42\2004 (Sez. III n. 34764, 26 settembre
2011).
4. Questa Corte non ha inoltre mancato di prendere in esame, da ultimo
nella decisione appena citata, l'incidenza del c.d. principio di offensività, già
oggetto, in precedenza, di una compiuta analisi delle diverse posizioni dottrinarie
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e giurisprudenziali (Sez. III n. 2733, 7 marzo 2000; Sez. III n.44161, 10 dicembre
2001) cui si rinviava, ricordando anche quanto osservato, in tema, dalla Corte
Costituzionale (sentenza n. 247 del 1997), secondo la quale anche per i reati
ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto è sempre
devoluto al sindacato del giudice penale l'accertamento in concreto
dell'offensività specifica della singola condotta, dal momento che, ove questa sia
assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene
meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e si verte in
tema di reato impossibile, ex art. 49 cod. pen. (sentenza n. 360 del 1995).
Veniva precisato, sempre in tale occasione (Sez. III n. 34764, 26 settembre
2011, cit.), che il principio di offensività deve essere considerato non tanto sulla
base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale, quanto, piuttosto,
per l'attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto (affermazione
peraltro successivamente ribadita in Sez. III n. 13736, 22 marzo 2013 e
precedentemente formulata in Sez. III n. 2903, 22 gennaio 2010).
E' stato preso in considerazione anche il rilievo assunto, ai fini della
valutazione della offensività della condotta, da eventuali valutazioni postume di
compatibilità paesaggistica delle opere abusivamente realizzate, escludendone
ogni efficacia.
Osservando, infatti, che il reato si perfeziona con il porre in essere interventi
in zone vincolate senza il controllo e la autorizzazione amministrativa
indipendentemente dal risultato sulle bellezze naturali, si è ritenuto irrilevante, ai
fini del perfezionamento della fattispecie, la mancanza di danno ambientale
attestata dalle autorità competenti alla tutela del vincolo (Sez. III n.10463, 17
marzo 2005)
Si era inoltre argomentato, in precedenza, che il riferimento al criterio di
concreta offensività può essere accettato, nelle ipotesi in esame, soltanto in
ambiti estremamente marginali riguardanti casi in cui l'assenza di pericolo di
lesione del bene tutelato sia verificabile ictu ocull e, quindi, al di là di ogni
ragionevole dubbio, con la conseguenza che non può ammettersi, per l'evidente
incompatibilità con la rigorosa disciplina di settore, il riconoscimento della
inoffensività, in concreto, di una nuova opera, che, indipendentemente dalle
dimensioni, per il solo fatto di essere introdotta in un paesaggio rigorosamente
tutelato nella sua integrità, ne determina inevitabilmente una modifica e, quindi,
un «pericolo di alterazione», pericolo che, con riferimento alla sua sussistenza, al
momento della consumazione dell'abuso, non può ritenersi vanificato da
successiva autorizzazione in sanatoria (così Sez. III n. 1401, 31 maggio 2000).
5. Va rilevato come sia lo stesso tenore delle disposizioni che disciplinano la
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verifica della compatibilità paesaggistica a confermare l'esattezza di tali
conclusioni, perché l'articolo 146, comma 4 d.lgs. 152\06 stabilisce che
l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, anche se,
con riferimento ai cosiddetti abusi minori, la valutazione di compatibilità
paesaggistica effettuata ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5, impedisce
l'applicazione della sola sanzione penale, restando ferma, come disposto dall'art.
181, comma 1-ter d.lgs. 42\2004, l'applicazione delle misure amministrative
pecuniarie previste dall'articolo 167.
Tale ultima disposizione stabilisce, in particolare, al comma 5, che nel caso in
cui venga accertata la compatibilità paesaggistica dell'intervento, il trasgressore
è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il
danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione, il cui
ammontare è determinato previa perizia di stima.
Dunque la procedura di verifica postuma della compatibilità paesaggistica
dell'intervento è limitata a casi del tutto marginali, riguardando le ipotesi di
lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che
non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di
quelli legittimamente realizzati; l'impiego di materiali in difformità
dall'autorizzazione paesaggistica e lavori configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380.
Essa inoltre non esclude, neppure in questi casi, caratterizzati da un impatto
sensibilmente più modesto sull'assetto del territorio vincolato, l'applicazione di
sanzioni amministrative e, sopratutto, non consente di ritenere, per il solo fatto
del riconoscimento di compatibilità paesaggistica, sempre in tali limitati casi,
l'inoffensività della condotta posta in essere, atteso che, come si è appena detto,
la determinazione delle somme da pagare tiene conto del «danno arrecato»
mediante la trasgressione.
6. Date tali premesse, osserva il Collegio che i principi in precedenza
richiamati sono pienamente condivisibili, dovendosi pertanto ribadire che,
riguardo agli abusi paesaggistici il principio di offensività opera in
relazione alla attitudine della condotta posta in essere ad arrecare
pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo
della violazione non richiede la causazione di un danno e la incidenza
della condotta medesima sull'assetto del territorio non viene meno
neppure qualora venga attestata, dall'amministrazione competente, la
compatibilità paesaggistica dell'intervento eseguito.
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7. Ciò posto, va rilevato che la fattispecie in esame non riguarda una delle
ipotesi di «abuso minore» delle quali si è detto, né pare che i riferimenti alla
riconosciuta compatibilità paesaggistica effettuati in ricorso siano riconducibili
alla specifica procedura di cui all'art. 167 d.lgs. 42\2004, dovendosi ritenere,
anche alla luce della ricostruzione dei fatti riportata in sentenza, che la menzione
riguardi una situazione del tutto diversa.
Emerge infatti dalla decisione impugnata, la quale richiama anche la
decisione di primo grado, che
l'intervento per cui è processo riguarda il
rifacimento della copertura di una veranda preesistente,
originariamente
realizzata con canne «ad aria passante» sostenuta con semplici tubi in ferro, che
veniva sostituita da una tettoia in struttura lignea sorretta da colonne con
capitello in legno con copertura bituminosa occupante una superficie di circa 30
mq.
Detto intervento veniva eseguito in difformità dall'autorizzazione
paesaggistica rilasciata all'imputato il quale, successivamente, dopo aver
demolito il manufatto, aveva chiesto ed ottenuto una nuova autorizzazione
paesaggistica per la realizzazione di un'opera diversa da quella oggetto di
contestazione.
8. Dunque ciò che è stato oggetto di considerazione da parte dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo non è neppure l'intervento per cui si procede,
bensì un'opera diversa la cui consistenza e legittimità non riguardavano i giudici
del merito, i quali hanno peraltro proceduto ad una valutazione della vicenda
sottoposta al loro esame che non presenta alcun profilo di criticità e risulta
assistita da idonea motivazione.
Correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che le opere eseguite, per
consistenza ed impatto visivo rispetto alle preesistenti, con le quali non avevano
alcuna corrispondenza, presentavano un'intrinseca obiettiva incidenza
sull'assetto territoriale, potendosi così ritenere configurato il reato contestato,
stante l'assenza di idoneo titolo abilitativo e correttamente escludendo ogni
rilievo delle successive vicende, riguardanti altro intervento debitamente
autorizzato dopo la demolizione di quello illecitamente realizzato.
9. Parimenti infondati risultano, inoltre, i rilievi formulati in ricorso riguardo al
diniego di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.
Basti ricordare, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte è
costante nell'affermare che l'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui
all'articolo 603 cod. proc. pen. costituisce un'eccezione alla presunzione di
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completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado dipendente dal
principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad esso possa
farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo
ritenga indispensabile ai fini del decidere non potendolo fare allo stato degli atti
(v. Sez. Il n. 3458, 27 gennaio 2006 ed altre prec. cont)
Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell'istituto, è
richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la
rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere
discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo
stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione
implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della
pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi
sufficienti per per una valutazione in senso positivo o negativo sulla
responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il
dibattimento (Sez. III n. 24294, 25 luglio 2010; Sez. V n. 15320, 21 aprile 2010;
Sez. IV n. 47095, 11 dicembre 2009).
Per tali ragioni si è anche ritenuto che il giudice di legittimità può sindacare
la correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento
entro l'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche
sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire ( Sez. IV n.
47095\09 cit.; Sez. IV n. 37624, 12 ottobre 2007; SS.UU. n. 2110, 23 febbraio
1996).
10. Nella fattispecie, la Corte del merito si è espressamente pronunciata
sulla sufficienza ed idoneità, ai fini della decisione, delle risultanze probatorie già
nella sua disponibilità e, segnatamene, secondo quanto affermato dallo stesso
imputato, delle dichiarazioni di un teste escusso e della documentazione
fotografica in atti, cosicché il rigetto della richiesta di nuova attività istruttoria
risulta del tutto legittimo.
11. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 4.2.2014
Il C
Il Presidente
(Dot Claudia SQUASSONJ)
Q'el'UVY1
DEPOSATATA IN CANCELLERIA
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