Testo Decker - Istituto Superiore di Studi Medievali `Cecco d`Ascoli`

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Testo Decker - Istituto Superiore di Studi Medievali `Cecco d`Ascoli`
Ioannes quondam papa. Il monumento fiorentino a Baldassarre Cossa
Gli anni 2008-2010 offrono occasione di riflessione sulla ‘memoria’ storica di papato e
concili - nella breve e lunga durata. Esattamente cinquant’anni fa venne eletto papa
Angelo Roncalli, che prese il nome di Giovanni XXIII e convocò il Concilio Vaticano II.
Scelta del nome e convocazione del Concilio sollecitano il ricordo del suo omonimo
predecessore: cinquecento anni fa, nel 1408, i cardinali dell’obbedienza romana e
avignonese, costituitesi trent’anni prima con l’elezione di Clemente VII contro Urbano VI,
convocarono un “concilio di unione”. Tale concilio poté riunirsi a Pisa nel 1409, depose i
due “pretendenti”, Gregorio XII e Benedetto XIII, dopodiché il collegio cardinalizio
‘unificato’ elesse un nuovo papa, Alessandro V, e alla sua morte, nel 1410, il legato a
Bologna, Baldassare Cossa. Questi prese il nome di Giovanni XXIII; per risolvere lo
scisma perdurante, egli convocò in accordo con il re dei Romani, Sigismondo, un concilio
a Costanza, che però giunse a deporre anche lui.
Prima di trattare della sua damnatio nel contesto eccezionale dell’età conciliare, un piccolo
omaggio al genius loci. Nell’ entourage del Cossa si possono individuare alcuni Ascolani;
uno di essi, Pietro Vanni, fu attivo fra l’altro a Roma già negli anni Ottanta del Trecento
come chierico camerario – Francesco Novati gli dedica uno svelto, pungente ritratto come
“corrispondente” del Salutati. Giovanni degli Innamorati fu promosso nel 1389 in diritto
canonico a Bologna, all’epoca degli studi universitari del Cossa - un suo trattato
conservato in una miscellanea vaticana ne confermerebbe l’insegnamento all’università di
Perugia. Al pari di Cesare Guasti nel commento a una delle Commissioni di Rinaldo degli
Albizzi, Novati riteneva di poterlo individuare durante la legazione del Cossa a Bologna;
ma si tratta probabilmente di una confusione con un altro Giovanni, il de Trivianis,
anch’egli citato nelle fonti come “Giovanni da Ascoli”: costui fu con sicurezza uno dei notai
redattori dei Capitoli della lega fra Firenze, Siena, Cossa e Louis II d’Anjou nell’estate del
1409, e divenne uno dei segretari del Cossa pontefice, accanto a Leonardo Bruni; di suo
pugno si conservano due brevi papali in originale, da lui integralmente redatti - altrettanti
sono quelli del più famoso collega Bruni. Ascoli figura anche nella convenzione del 1412
fra Ladislao di Napoli e Giovanni XXIII: questi sottrasse allora la città alla legazione delle
Marche, cedendola a Ladislao, il quale poi l’avrebbe conferita al suo condottiero Conte da
Carrara. Ad un legame ancora più interessante con la città picena accennerò parlando del
monumento funebre del Cossa.
Per presentare la damnatio che riguarda quest’ultimo ho preparato due tabelle: la prima
mostra nella parte superiore tutti i papi del Grande Scisma d’Occidente in ordine
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strettamente cronologico, da Urbano VI fino a Martino V, e fino a Clemente VIII/Benedetto
XIV. Ho espressamente evitato la collocazione in serie parallele: la distinzione
dell’obbedienza è segnalata solo da un piccolo rientro, perché anche le serie parallele
suggeriscono un giudizio di legittimità. Per lo stesso motivo, per alcuni papi si è indicata
non la fine del pontificato, la deposizione o la rinuncia, ma solo la morte, in quanto non ci
interessa immediatamente la questione della legittimità – un problema di punti di vista che
né i contemporanei né gli studiosi possono risolvere con il solo ricorso alle fonti storiche:
pure dopo l’elezione di Martino V a Costanza lo scisma continuò nella penisola iberica,
tacitamente sostenuto da Alfonso V, interessato alla successione nel regno di Napoli. Una
soluzione provvisoria fu raggiunta tramite il legato di Martino V, Pierre de Foix, con il
successore di Benedetto XIII, Clemente VIII (al secolo Gil Sanchez Munos), il quale
rinunciò solo nel 1429, due anni prima della morte di Martino V, dopo aver ottenuto la
cattedra di Maiorca. Anch’egli ebbe un successore in Bernard Garnier, che prese il nome
di Benedetto XIV. Ciò mostra quanto a lungo la tradizione di “papa Luna” fu viva in
Aragona, si può dire addirittura fino agli anni Venti del Ventesimo secolo, con la grande
biografia di Puig Y Puig.
Nella parte inferiore della tabella sono elencati i pontefici che nel corso del tempo
adottarono il nome dei papi dello Scisma, con il numero ordinale e l’anno di elezione. I
risultati parlano da soli. Il primo che riprende un nome dell’obbedienza romana è
Innocenzo VIII, a ottant’anni dalla morte del VII. E immediatamente dopo, il famoso papa
Borgia, Alessandro VI, recupera il nome del pio Pietro de Candida, frate minore, che era
stato il primo papa cosiddetto “pisano”. A distanza di trent’anni Giuliano de Medici assume
il nome di Clemente VII e così elimina il precedente omonimo, Roberto di Ginevra
(appunto Clemente VII), primo papa di obbedienza avignonese. Si realizza così, dopo un
secolo e mezzo, la prima “damnatio memoriae”: cancellato il nome si cancella il papa.
Nel 1572 Gregorio XIII si collega al “romano” Gregorio XII, così come, vent’anni dopo,
Urbano VII al VI, anche questi dell’obbedienza “romana” – siamo all’epoca del concilio di
Trento. Poco più di un secolo dopo si realizza la seconda “damnatio” di un papa
avignonese: nel 1724 un Orsini di Gravina riprende il nome e l’ordinale del Luna, cioè
Benedetto XIII - suo braccio destro fu il cardinale Niccolò Cossa, un tardo parente del
pontefice di cui tratteremo. Ed eccoci a Baldassarre Cossa/Giovanni XXIII: la sua
“damnatio”, ultima della serie, avviene nel 1958, quasi cinque secoli e mezzo dalla sua
morte, con l’adozione del suo nome da parte del citato Angelo Roncalli. Negli anni
Sessanta, negli ambienti dell’Istituto storico germanico di Roma si raccontava il seguente
aneddoto: quando nella loggia di S. Pietro fu proclamato il nome del nuovo papa, tra la
folla in piazza S. Pietro c’era anche un gruppetto di studiosi tedeschi, e quando fu
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annunciato il nome del neoeletto, Karl August Fink gridò: “Falsch, falsch, Johannes der
XXIV.!”. Fink lo sapeva bene, visto che dagli anni Trenta operava a Roma come redattore
del Repertorium Germanicum di Martino V e sarebbe poi stato autore del capitolo sullo
Scisma e sui “Reformkonzilien” nella grande Storia della Chiesa edita da Hubert Jedin, al
tempo del Concilio Vaticano II.
Appunto il Vaticano II avrebbe reso attuale la problematica conciliare – si pensi a Y.
Congar, P. De Vooght, G. Alberigo e alle due grandi Festschriften del 1964, nel 550°
anniversario dell’apertura del concilio di Costanza. In Francia si pubblicava allora la Storia
della Chiesa di Fliche-Martin, in Germania Hubert Jedin realizzava il progetto citato e
delineava una nuova collana di “Storia dei concili”, affidata a specialisti delle diverse
epoche, appartenenti a diverse confessioni e legati a diversi Istituti di ricerca, da
impegnare nella raccolta delle fonti archivistiche anche locali. Il piano di Jedin fu
concretizzato dopo la sua morte da Walter Brandmüller, oggi presidente della
Commissione pontificia per le scienze storiche e autore, in tale collana, dei volumi sui
concili di Pavia-Siena e di Costanza, anche con un nuovo approccio alla figura di papa
Cossa.
Non era stato questo il primo tentativo. Già all’epoca del concilio Vaticano I, novant’anni
prima, un altro prelato, il vescovo di Stuttgart/Rottenburg, docente di Storia della Chiesa a
Tubinga, Karl Joseph Hefele, aveva scritto una monumentale storia dei concili, tradotta in
francese e aggiornata negli anni Venti da Dom Leclercq. All’università di Tubinga aveva
conseguito il titolo di dottore nel 1888 pure il grande storico del concilio di Costanza
Heinrich Finke, con una dissertazione sulla politica dell’imperatore Sigismondo. Durante le
sue ricerche in Spagna per gli Acta Aragonensia, egli aveva trovato anche fonti spagnole
fino ad allora ignote sul concilio di Costanza, sicché tra gli anni 1896-1928 poté pubblicare
in quattro grossi tomi i documenti del concilio (Acta concilii Constantiensis), compresi i
protocolli del processo al Cossa, il cosiddetto diario di uno dei protagonisti degli
avvenimenti, il cardinale Guillaume Fillastre le vieux, e importante materiale sia per le
premesse e i preparativi, risalenti fino al concilio di Pisa, sia per l’epoca successiva alla
deposizione del Cossa. Al quarto e ultimo volume dell’opera avrebbe collaborato fra gli
altri Hermann Heimpel, autore di una biografia su Dietrich von Nieheim, che era stato
testimone oculare e il primo a scrivere sulla vita del Cossa. Più tardi, a Göttingen, Heimpel
avrebbe concluso anche un ampio studio su Job Vener von Gmünd, consigliere di Roberto
re dei Romani (Ruprecht von der Pfalz), il sostenitore di Gregorio XII che aveva
contribuito, insieme con Carlo Malatesta, alle discussioni sulla procedura di rinuncia al
pontificato all’epoca dei concili di Pisa-Costanza. Sulla scia di Heimpel a Göttingen si sono
mossi Arnold Esch, biografo di Bonifacio IX, e Dieter Girgensohn, che ora ha pubblicato
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nella collana fondata da Heimpel due volumi su Gregorio XII e Venezia e ha in
preparazione studi sui concili di Perpignan, Cividale e Pisa nella collana di Brandmüller.
Su questo sfondo storiografico, la seconda tabella ci avvicina al personaggio. Giovanni
XXIII non ha trovato finora un biografo moderno. A tutta prima ciò può destare sorpresa,
giacché si dispone di un’ampia vita contemporanea scritta dal citato Dietrich von Nieheim:
De vita et fatis pape Johannis, disponibile nell’edizione settecentesca di Hermann von der
Hardt - Dietrich fu autore anche dei De scismate libri tres, editi da Gustav Erler nel secolo
scorso. La circostanza è tanto più sorprendente in quanto, rispetto a un prelato/condottiere
del Tre-Quattrocento come l’Albornoz, a prima vista e considerata dall’esterno la sua
esistenza appare davvero singolare.
Nato alla metà del Trecento nel regno di Napoli, da una famiglia di navigatori e armatori
stabilitasi sull’isola d’Ischia, Cossa andò a studiare diritto al nord, in quell’università ricca di
tradizione che era Bologna. Alla curia del conterraneo Bonifacio IX – dal 1378 vi era un
papa a Roma e uno ad Avignone -, divenne cubiculario, arcidiacono bolognese e poi
cardinale nel 1402. Alla morte di Giangaleazzo Visconti, l’anno dopo, gli fu affidata la
legazione della Romagna, con sede a Bologna, incarico che richiedeva non solo capacità
organizzative, ma anche fini doti politiche. In quella regione difatti s’intrecciavano gli
interessi di Milano, Venezia e Firenze, cui si aggiungeva l’influenza della Francia, presente
a Genova nella persona di Jean Le Maingre detto Boucicaut. In tale costellazione Cossa
s’avvicinò a Firenze, dal 1396 alleata di Carlo VI, le roi fou, sposato a Isabella di Baviera
/Wittelsbach. La reggenza francese però, da due anni, cioè dal passaggio di pontificato da
Clemente VII a Benedetto XIII in Avignone, stava preparando una svolta nella sua politica
ecclesiastica sotto la guida di Simon de Cramaud, patriarca d’Alessandria, al fine di
ottenere la rinuncia dei due pretendenti. Poiché Benedetto XIII e il suo oppositore romano,
Gregorio XII, non intendevano rinunciare alla loro carica, alcuni cardinali delle due
obbedienze, attraverso la diplomazia francese, grazie a un patto coi fiorentini riguardo al
luogo di convocazione e col sostegno finanziario del Cossa, si accordarono nel 1408 per
un concilio, da tenere l’anno successivo a Pisa: qui vennero deposti entrambi i
‘pretendenti’ e fu eletto un nuovo papa, Alessandro V; dopo la morte precoce del quale, si
aprì la strada al papato per Cossa, che assunse il nome di Giovanni XXIII (1410).
Optando per l’alleanza con Firenze e la Francia, Giovanni aveva preso una decisione
gravida di conseguenze per il suo stesso futuro. Il ‘suo’ re, Ladislao d’Angiò-Durazzo, si
vide minacciato, in quanto Louis II d’Anjou, di un ramo collaterale della dinastia dei re di
Francia, gli contendeva il regno. La morte di Ladislao nell’estate del 1414 evitò la
conquista dello Stato della Chiesa, base territoriale del papato “pisano” del Cossa, che per
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contrastare Ladislao aveva cercato contatti non solo con Louis II d’Anjou, ma anche in
Ungheria con Sigismondo di Lussemburgo, antagonista di Venezia per la sua espansione
in Dalmazia. Con quest’ultimo si accordò per la convocazione di un nuovo concilio al di là
delle Alpi nell’ambito dell’Impero, a Costanza - già la scelta del luogo mostrerebbe il ruolo
giocato da Sigismondo. Dal momento del suo arrivo a Costanza nel Natale del 1414, la
posizione del Cossa si deteriorò in modo drammatico: dopo l’inizio del concilio si aprì una
discussione sulla legittimità dei papi esistenti, che si concluse con la richiesta anche della
rinuncia da parte del Cossa. Questi ritenne di potersi sottrarre a quel passo solo con la
fuga in direzione della ‘Borgogna’, Ma le sue possibilità d’azione vennero limitate dagli
avvenimenti di politica interna francese a seguito dell’assassinio del duca d’Orléans – si
era nel pieno delle lotte intestine in conseguenza della guerra dei Cent’anni. Così Giovanni
venne deposto e mantenuto in custodia nella Germania meridionale, ritornando libero
dopo le trattative del 1418 e l’impegno finanziario da parte di mercanti fiorentini. Appunto a
Firenze il nuovo papa Martino V, che vi soggiornava di ritorno da Costanza a Roma, lo
accolse fra i suoi cardinali nel 1419, e lì, nel battistero di S. Giovanni, Cossa venne sepolto
dopo la morte, avvenuta alla fine di quell’anno.
Già questa rapida sintesi mostra gli aspetti non convenzionali della vita del Cossa, legati
alle straordinarie circostanze del grande scisma. I pontificati dal 1378 al 1417 hanno nella
storia del papato una collocazione particolare. La ricerca ha prestato attenzione
differenziata agli otto ‘pretendenti’. I due papi dell’inizio dello scisma, Urbano VI e
Clemente VII, sono visti appunto in relazione con lo scoppio, mentre gli ultimi tre alla fine,
Benedetto XIII, Gregorio XII e Giovanni XXIII in relazione con il suo superamento.
Benedetto XIII costituisce comunque un’eccezione, giacché il suo pontificato di quasi
trent’anni fu di gran lunga il più esteso e il De Luna fu anche l’unico ad aver preso parte ai
due conclave del 1378: nella sua persona si sfiorano inizio e fine dello scisma. Dei tre papi
il cui pontificato non tocca né l’inizio né la fine dello scisma - Bonifacio IX, Innocenzo VII e
Alessandro V -, solo il primo è stato trattato in modo esauriente; con 15 anni è anche il
papa dal pontificato più lungo.
A tali questioni di cronologia e di esame sistematico dei papi dello scisma se ne aggiunge
una terza: il giudizio. Sulla “fama” di Urbano VI e Clemente VII grava, accanto a limiti
personali, soprattutto la “colpa” storica dello scoppio dello scisma. I tre papi al centro della
serie ne sono immuni: Innocenzo VII e Alessandro V sono considerate personalità
sostanzialmente integre, mentre Bonifacio IX non può liberarsi dalla fama di simoniaco per
eccellenza, nonostante si riconosca la sua situazione di assoluta necessità finanziaria. Il
giudizio su Benedetto XIII, Gregorio XII e Giovanni XXIII è fortemente condizionato
dall’esito dello scisma. Mentre per Benedetto si bilanciano, a seconda dei punti di vista,
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ammirazione per la sua ‘fermezza’ o condanna per la sua ‘ostinazione’ di fronte ai tentativi
di soluzione ai concili di Pisa e di Costanza, riguardo a Gregorio domina la fama della sua
disponibilità all’intesa e la sua rinuncia ‘spontanea’ (a lungo contrattata!). Quanto a
Giovanni, il giudizio è esattamente contrario: le infelici tergiversazioni all’inizio del concilio
a Costanza, la fuga senza successo, il processo con pesanti accuse sulla sua condotta
prima dell’elevazione al papato, infine la deposizione e la custodia - in una parola: il
fallimento. E’ chiaro allora che un fallito, non un semplice sconfitto, ha difficoltà a trovare
un giudizio equilibrato.
Non si vuole qui tentare una riabilitazione, ma neppure ripetere la sequela delle accuse
rivolte al Cossa – dallo stupro di monache a Bologna alla simonia e all’incesto con la
cognata, con momenti di sceneggiata napoletana, fino all’accusa di essere maomettano e
non credere alla resurrezione, come sostenne per esempio l’umanista Bartolomeo della
Capra davanti alla commissione conciliare. Le accuse costituirono il nucleo della fama
negativa del Cossa, alimentata dai successivi giudizi negativi degli umanisti italiani. Tali
giudizi sono stati collezionati e presentati da Walter Brandmüller in una conferenza tenuta
a Lipsia nel 1994. Brandmüller, però, ha sottovalutato secondo me il momento storico e gli
interessi personali dei diversi autori: al contrario io ritengo significativo che tutte le
affermazioni degli umanisti italiani, ad esempio Poggio, Bruni, Biondo e altri, non risalgano
all’età di Cossa e di Martino V, ma di Eugenio IV e Niccolò V, cioè dopo il 1431, all’epoca
del nuovo conflitto con il concilio di Basilea, la deposizione del Condulmer e l’elezione di
Amedeo/Felice V di Savoia.
Per altro verso, non si poteva disconoscere al Cossa il merito della convocazione del
concilio né ignorare la sua decisione di andare a Costanza, fatti dai quali dipendeva anche
la legittimità di Martino V e dei suoi successori romani: nella concezione curiale, e già dal
ritorno di Martino V a Roma, l’ambivalenza del concilio di Costanza, coi famosi decreti
“Haec Sancta” e “Frequens”, e l’ambivalenza della figura di Cossa sono strettamente
interrelate. Ecco che quest’ultimo si ritenne fosse stato ‘costretto’ o ‘ingannato’ da
Sigismondo - così Poggio e Sisto IV -, un giudizio sostenuto dall’immagine negativa del “re
dei Romani” propagandata da Venezia. Recentemente però la storiografia ungherese, e in
generale europea dopo il 1989, ha contribuito a restituire a quest’ultimo la sua statura di
sovrano, con quattro corpose biografie e due monumentali cataloghi di mostre, una
intitolata “Sigismund Kaiser in Europa”.
Fra l’anno della morte e i giudizi dei citati umanisti, dal 1419 al 1431, una fonte di
prim’ordine sulla memoria del Cossa, da valorizzare storicamente, è il suo monumento
sepolcrale, opera di Donatello e Michelozzo, restaurato in occasione del sesto centenario
della nascita di Donatello nel 1986. Nel suo testamento il Cossa aveva chiesto sepoltura in
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una cappella del Fiorentino; tre anni dopo i suoi esecutori testamentari chiesero all’Arte di
Calimala l’autorizzazione a costruire una cappella nel battistero cittadino di San Giovanni –
in S. Petronio a Bologna era stata già eretta una cappella affrescata da Giovanni da
Modena per un amico del Cossa, Bartolomeo Bolognini, ora splendidamente restaurata.
Dopo una breve discussione l’autorizzazione fu concessa, ma per un monumento e non
per una cappella, invocando ragioni pratiche di movimento nella chiesa. Ancora tre anni
dopo, nel 1425, furono depositati ben 400 fiorini per la costruzione, che venne
successivamente iniziata, come testimonia la notizia del catasto del 1427. Questa notizia
attesta anzitutto la collaborazione di Michelozzo con Donatello: attualmente si ritiene che a
quest’ultimo risalga solo la figura del gisant e che l’insieme sia dovuto alla fabbrica di
Michelozzo, il quale aveva una dipendenza in Pisa per la lavorazione del marmo di
Carrara. Il catasto ci informa inoltre del fatto che fino ad allora per il monumento del Cossa
erano a disposizione 800 fiorini, di cui 600 già spesi, e che contemporaneamente
Donatello e Michelozzo lavoravano per la stessa somma sia al monumento sepolcrale del
cardinale Rinaldo Brancaccio, cognato del Cossa, nella chiesa napoletana di S. Angelo in
Nilo, sia a Montepulciano al monumento ora distrutto di Bartolomeo Aragazzi, segretario di
Martino V, per il quale si erano già ricevuti 100 fiorini.
Dal punto di vista storico-artistico è importante tener presenti tutti e tre i monumenti
sepolcrali per la loro concezione d’insieme. Secondo lo stato attuale delle ricerche, gli
elementi innovativi, visibili in particolare nel monumento del Cossa, il più precoce, sono
nella tendenza alla rappresentazione realistica - il gisant del Cossa prelude al ritratto - e
nelle interconnessioni dell’ambiente artistico fiorentino, che vedeva contemporaneamente
attivi Ghiberti, Brunelleschi, Donatello, Masolino, Gentile e soprattutto Masaccio. Dopo il
restauro della SS.ma Trinità in S. Maria Novella, sono diventati evidenti i legami con i primi
tentativi di elaborazione della prospettiva: il gisant del Cossa è formulato in funzione della
profondità della visione, e anche l’insieme della Madonna con il bambino, fin al tessuto
operato nella faccia interna del drappo di coronamento, mostra l’illusione ottica che
Donatello e Michelozzo intendevano comunicare. Nella parte inferiore del monumento, le
tre virtù teologali inserite in tre nicchie hanno caratteri ‘prerinascimentali’, come le
ghirlande dello zoccolo e i putti del sarcofago; antichizzante è anche il letto sul quale giace
il gisant, con cuscino e protomi leonine. Vi corrisponde l’iscrizione in elegante capitale
umanistica, che qui interessa in modo particolare: Ioannes quondam papa XXIIIus, con il
luogo e la data ufficiale della morte. L’autore dell’iscrizione è ignoto; l’irritazione di Martino
V, spinto a farla cancellare, è di fonte tarda, ma è indizio significativo dell’ambiguità del
personaggio e della difficoltà a renderne memoria adeguata. Lo stesso problema si pone
con gli stemmi raffigurati sotto il sarcofago, ancora in tre spazi distinti, un elemento
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trinitario che ripete le tre virtù teologali. Il primo stemma è quello familiare – uno stemma
troncato “pseudo parlante”, con una coscia nella parte superiore, sormontato dalla tiara
papale; al centro è uno stemma pontificio, di nuovo con la tiara e le chiavi incrociate,
convenzionale; a destra lo stemma dei Cossa, uguale al primo, ma sormontato dal
cappello cardinalizio. Questa triade è del tutto singolare: il primo stemma rende manifesta
la dignità papale del Cossa; lo stemma centrale ribadisce la dimensione pontificia; l’ultimo
ricorda il grado di cardinale-diacono raggiunto dal Cossa prima dell’elezione papale – non
quello di cardinale-vescovo conferitogli da Martino V prima della morte.
In conclusione: il monumento sepolcrale presenta gli elementi ambigui della memoria di un
‘ex-papa’. Lo scisma con l’interludio pisano; le peripezie personali con la fuga, il processo,
la deposizione e la presa in custodia; le difficoltà a valutare il contesto del concilio di
Costanza, sia con i suoi decreti Haec sancta e Frequens sia anche con l’elezione di
Martino V, realizzata da un corpo elettorale che accanto al collegio dei cardinali aveva
visto attivi i rappresentanti del Concilio eletti dalle singole nazioni: tutto ciò rese la persona
del Cossa difficile da inserire, per la sua ambivalenza, in una “serie” di papi e di ‘antipapi’.
Il giudizio negativo maturò in vita attraverso il processo e poi dall’epoca del concilio di
Basilea, divenuto scismatico per gli eugeniani dal 1437/38. Solo a distanza di secoli si
realizzò una vera damnatio memoriae, per semplice oblìo delle tensioni che a quella figura
si legavano.
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