Risposte a “Le Scienze” - Società Italiana di Omeopatia e Medicina
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Risposte a “Le Scienze” - Società Italiana di Omeopatia e Medicina
Risposte a “Le Scienze” Il giornale Le Scienze pubblica nel mese di Marzo un editoriale e un articolo (“La fisica dell’ omeopatia” – Le Scienze – Marzo 2005) contro l'omeopatia e i medici che la praticano. Questa iniziativa ha suscitato sentimenti di indignazione non solo nella comunità dei medici omeopati ma anche tra molti personaggi che non simpatizzano per questa medicina. Pubblichiamo la lettera inviata al direttore di “Le scienze” Enrico Bellone dal Prof. Andrea Dei, professore di Chimica Generale all'Università di Firenze, e dal dott. Luigi Turinese (cfr. box alla pagina seguente), socio SIOMI e docente CISDO (Centro Italiano Studi e Documentazione in Omeopatia): il Dott. Turinese ha anche inviato alla rivista un accurato elenco delle letteratura sull'omeopatia pubblicata dalle più importanti riviste scientifiche. La SIOMI ringrazia gli autori per avere autorizzato la pubblicazione sul nostro sito. Dr. Enrico Bellone, Direttore di “Le Scienze”, [email protected] Egregio Direttore, sono un professore di Chimica Generale, non mi curo con l’ omeopatia e, nel caso di malanno, adoro l’acido acetilsalicilico. Quando ne prendo una compressa mi sento gratificato come una nonna che seppellisce di merendine il nipotino che ha fame, conscio di assumere dieci milioni di molecole di principio attivo (che non si sa esattamente come funzioni) per ogni cellula del mio organismo. Tuttavia mi sono sentito profondamente a disagio nel leggere il Suo Editoriale, prolegomeno di un articolo di Stefano Cagliano e Luca Fraioli sulla fisica dell’ omeopatia, nel numero di Marzo 2005 di una rivista prestigiosa come “Le Scienze”. Non voglio qui stare a sottolineare la Sua visione di farmacoeconomia, che, al di là della piena libertà delle Sue opinioni, mi permetta di ritenere per lo meno stravagante. Con il supercomputer Big Blue dell’IBM impegnato a incrociare dati genetici coi soldi delle maggiori industrie farmaceutiche per migliorare l’efficacia terapeutica e rimediare i malanni provocati dalla cosiddetta medicina tradizionale, la Sua prospettiva socioculturale può essere considerata forse discutibile, ma per certo per una volta non si addice a un Direttore di una rivista seria come la Sua. Ma gli argomenti della scienza sono troppi per esserne padroni nel dettaglio e questo ritengo debba essere ritenuto argomento a Sua scusa. Rimane il fatto che il taglio adottato da Stefano Cagliano e Luca Fraioli per la scrittura del loro articolo ha tuttavia lasciato perplesso sia lo scrivente che alcuni suoi colleghi del Dipartimento di Chimica, che come lui non utilizzano l’omeopatia a scopo terapeutico. L’errore storico dell’omeopatia sta nella credenza hahnemanniana dell’ utilizzo del farmaco non a basse diluizioni, ma addirittura alle ultradiluizioni. Hahnemann che ha vissuto in pieno romanticismo e non ha letto la Critica del Giudizio del contemporaneo Kant, non conosceva la quantizzazione della materia e, poiché Scienza e buon senso non sono Sede Legale: Via San Maurilio, 20 - 20123 Milano Sede Operativa: Via E. Cornalia, 7 - 20144 Milano - Orario Segreteria: lunedì e giovedì, dalle 15 alle 18 Tel.: 02.67100819 - Fax: 02.67386977 - E-mail: [email protected] - Sito Internet: www.siomi.it la stessa cosa, cadde in errore su questo punto. Questa ipotesi di lavoro, tradotta nella conoscenza moderna, implica che nell’ultradiluizione del farmaco il solvente acqua debba ritenere una memoria della presenza del farmaco nelle soluzioni più concentrate, con buona pace dei più elementari principi della termodinamica e del fatto che memoria a livello molecolare significa configurazione in questo caso cooperativa. Il semplice fatto che la configurazione del solvente acqua muti dieci miliardi di volte al secondo (per es. vedi Righini et al., Nature, 2004) fa cadere automaticamente questa ipotesi. Inoltre come tutti i chimici sanno, posso tranquillamente asserire che è praticamente impossibile ottenere acqua con meno di qualche miliardo di atomi o molecole di impurezze, il che rende inaffidabile la definizione di una qualsiasi soluzione sotto una certa concentrazione. Purtroppo gli omeopati, i loro sostenitori e i loro critici, quando è stato loro additato l’orizzonte, hanno guardato il dito e non l’ orizzonte, rivolgendo la loro attenzione al farmaco e non alla memoria individuale del ricevente. Un eminente ricercatore come Jacques Benveniste ha creduto, ritengo in buona fede, di avere fatto una grande scoperta, senza rendersi conto dell’errore metodologico nel quale stava cadendo (di fatto era Questo non è giornalismo scientifico... Luigi Turinese, Roma Medico chirurgo, Psicoterapeuta, Esperto in omeopatia Gentile direttore, qualche parola di commento sull'attenzione che "Le Scienze" ha voluto dare alla medicina omeopatica. Lei scrive: "Alla base dell'Omeopatia sta l'aurea regola secondo cui l'efficacia di un farmaco dipende dalla sua estrema diluizione" (p. 5). Per essere precisi, la medicina omeopatica nasce dalla verifica sperimentale - da parte di Hahnemann - del cosiddetto principio di similitudine, che sancisce il parallelismo d'azione tra il potere sperimentale di una sostanza e il suo potere terapeutico. La diluizione dinamizzata del medicinale omeopatico è una prassi accessoria, una sorta di variante di quello che oggi chiameremmo "indice terapeutico": ovvero un escamotage per ridurre al minimo gli effetti secondari del medicinale. Non v'è dubbio che ancora non sia noto il meccanismo d'azione del medicinale omeopatico. Peraltro la "leggenda metropolitana della memoria dell'acqua", come la chiama Lei, non è che l'esito di un discusso e forse discutibile tentativo di dimostrare in vitro l'attività biologica di una particolare diluizione; una ricerca - discussa e discutibile - che in ogni caso non dimostra niente, né a favore né contro. Fingere dunque di pubblicare un Dossier sull'Omeopatia che si riduce a un articoletto a quattro mani sulla fisica dell'Omeopatia (pp. 65-69) e che non spiega - neppure in un box che funga da microcontraddittorio - quali siano le basi di una metodica clinico-terapeutica complessa, che ogni medico farebbe bene a conoscere se non altro per le sue finissime implicazioni semeiologiche, non è - a mio parere - fare del buon giornalismo scientifico. La chiusa dell'articolo, poi, è pura demagogia. Scrivono infatti i due coraggiosi "guastatori" Cagliano e Fraioli: "Fare affidamento sull'omeopatia contro le malattie significa insomma chiedere aiuto a uno strumento che gli studi clinici non hanno fatto altro che bocciare: e che fisici e chimici non ammetterebbero neanche all'esame". Bene. Poiché non mi sembra scientifico l'argomento - pure empiricamente rilevante - delle guarigioni che ogni buon medico, una volta posta una diagnosi clinica o sindromica che consenta in scienza e coscienza di utilizzare una terapia omeopatica, può vantare di ottenere ogni giorno, mi limito ad accludere gli estremi di alcune ricerche internazionali che i lettori dovrebbero avere il diritto di conoscere; per poi giudicare serenamente. Chissà, magari anche Cagliano e Fraioli - a tempo perso - potrebbero prendersi la briga di dar loro un'occhiata. La ringrazio per la Sua cortese attenzione. Sede Legale: Via San Maurilio, 20 - 20123 Milano Sede Operativa: Via E. Cornalia, 7 - 20144 Milano - Orario Segreteria: lunedì e giovedì, dalle 15 alle 18 Tel.: 02.67100819 - Fax: 02.67386977 - E-mail: [email protected] - Sito Internet: www.siomi.it come se misurasse una serie di lunghezze con un elastico, ovverosia con uno strumento intrinsecamente non affidabile). Quello che per me è imperdonabile è viceversa il fatto che l’immunologo Benveniste abbia trascurato il messaggio che si poteva fin troppo chiaramente evincere dal lavoro di tantissimi ricercatori, quattro dei quali (Edelman, Jerne, Doherty, Zinkernagel) hanno vinto il premio Nobel. Ma se c’ è stato da parte degli omeopati, professionisti in massima parte al di fuori della ricerca istituzionale, e dei responsabili scientifici delle industrie di farmaci omeopatici un tale marchiano errore di paradigma, questo non giustifica una presunzione di irrazionalità di tale metodologia terapeutica. Come ho scritto negli anni passati, la medicina accademica, che non è ancora riuscita tener conto del problema dell’uovo di Diderot (leggi: epigenesi) e della natura cooperativa dei processi biologici, deve essere ridefinita. Le basi scientifiche di questa ridefinizione esistono: basta cliccare sul primo data base, come ho fatto io, e leggere i numerosissimi articoli apparsi in letteratura negli ultimi anni come per esempio Calabrese, Baldwin (Nature, 2003). Questo gli autori dell’articolo sulla Sua rivista non potevano ignorarlo. La medicina tradizionale si basa sulla linearità dose-risposta conseguente alla somministrazione di un farmaco a un organismo malato. In realtà le cose non stanno così: in molti casi si assiste al fenomeno dell’ormesi (stimolo a basse dosi di farmaco, inibizione ad alte dosi), conosciuto da un secolo e scientificamente provato (legge di Arndt–Schulz). La stimolazione a basse dosi è esattamente paragonabile al terzo principio della dinamica galileiana, che poi in chimica diventa principio di Le Chatelier dal momento che la scoperta di un francese era già stata fatta duecento anni prima da un italiano: si tratta solo della risposta di un organismo a mantenere il proprio schema di organizzazione e il proprio equilibrio omeostatico in seguito a una perturbazione (Maturana e Varela, Autopoiesis and Cognition, Reidel, 1980). Il meccanismo molecolare a livello recettoriale di tale risposta è stato pubblicato in almeno trenta articoli. La medicina di Ippocrate, di Paracelso e di Hahnemann sta tutta qui, non si può ignorare per principio, e gli argomenti che vengono citati a suo discredito, focalizzandosi sugli aspetti erronei della teoria perseguita, suonano purtroppo come difesa in negativo degli evidenti limiti dell’ impostazione della farmacologia tradizionale. Il fisico e il chimico non possono vedere la medicina come scienza dal momento che la scienza deve prevedere una valutazione non solo qualitativa, ma anche quantitativa della fenomenologia. La farmacologia per lo scrivente è scienza in laboratorio, ma non lo è nella pratica clinica. Questo non deve portare alla demonizzazione della farmacologia tradizionale, come vorrebbero alcuni cultori delle medicine dolci, come la fitofarmacia, l'omeopatia o l’agopuntura. E’ altresì logico che le ricerche costino e che purtroppo quella bellissima professione del medico, che si adopra a sollevare la pena del proprio simile sofferente, debba prevedere una pietas subordinata a un patto faustiano con l’industria. A livello scientifico tuttavia questo non è sostenibile e una rivista come Le Scienze non può schierarsi da una parte sola. La medicina che auspico deve essere complementare, nel senso che deve tenere conto di entrambi i paradigmi. A me un po’ dispiace perché mi toccherebbe a rinunciare al ruolo di nonna premurosa di cui parlavo all’inizio. Tuttavia, per onestà intellettuale, dovrò anche considerare la possibilità di sfruttare lo sgomento e lo scompiglio di qualche milione di cellule buttando loro in pasto anche una sola molecola (leggi: medicinale omeopatico), magari, come novello Dio della Discordia, dopo averle scritto sopra “Alla cellula più bella”. Sinceramente, Andrea Dei Sede Legale: Via San Maurilio, 20 - 20123 Milano Sede Operativa: Via E. Cornalia, 7 - 20144 Milano - Orario Segreteria: lunedì e giovedì, dalle 15 alle 18 Tel.: 02.67100819 - Fax: 02.67386977 - E-mail: [email protected] - Sito Internet: www.siomi.it