Tutta la vita è un continuo oscillare tra diverse polarità
Transcript
Tutta la vita è un continuo oscillare tra diverse polarità
COSTRUIRE UN PONTE d.ssa Antonella Ronchi Il tema di queste mie riflessioni è la possibilità di costruire ponti tra le varie declinazioni dell'omeopatia italiana e non solo, piuttosto che continuare a scavare solchi. Per il mio ruolo di Presidente FIAMO dovrei parlare del piano politico, ma in un campo come quello della medicina il ruolo della politica non può essere altro che la codifica di realtà che nella cura del paziente hanno la loro ragion d’essere, per cui non posso fare un discorso che da questo esuli. La prima cosa da chiarire è quali sono le declinazioni dell’omeopatia italiana e non solo. Già nel fare questo, cercando di dare definizioni e classificazioni apparentemente creiamo divisioni, perché ogni entità si definisce distinguendosi dalle altre, quindi separandosi, tracciando i propri limiti e confini. D’altra parte questo processo di definizione è fondamentale perché solo da realtà ben identificate può venire , come vedremo, un’integrazione reale. A un occhio esterno, anche abbastanza informato, nel mondo medico o nei media, il mondo dell’omeopatia si presenta semplicemente come quello del medicinale diluito e dinamizzato; solo in qualche raro caso passa anche il concetto della cura col simile. A questo dobbiamo opporci con forza, rivendicando all’episteme omeopatica la sua specificità: quindi non prenderò nemmeno in considerazione medicine che utilizzano anche farmaci omeopatici, come l’omotossicologia e l’antroposofia, con diverse basi epistemologiche, perché questo esula dal tema che mi sono posta. La prima cosa da fare è intendersi sulla definizione di omeopatia. La definizione data da LIGA ed ECH come metodo terapeutico finalizzato a migliorare lo stato di salute di un organismo grazie alla somministrazione di sostanze sperimentate, diluite e dinamizzate, utilizzate come medicinali da somministrare al paziente attraverso l’individualizzazione secondo il principio della similitudine mi sembra una buona base di discussione perché comprende praticamente tutti gli elementi essenziali, alcuni dei quali sono universalmente condivisi, altri invece fonte di dissidio. Quello che viene accettato da tutti è il metodo di preparazione per diluizione e succussione dei medicinali e il principio di similitudine, mentre i problemi cominciano quando si parla di sperimentazione, di individualizzazione e di azione sull’organismo nella sua globalità. La frattura più importante è certamente quella che differenzia l’unicismo dal pluralismo. Ma davvero queste differenze sono così importanti? Trovo la bussola per orientare le riflessioni sulle differenti metodologie omeopatiche in queste due affermazioni di Hahnemann: Questa dottrina si rifà non in modo prevalente bensì esclusivo al verdetto dell’esperienza - “ripeti l’esperienza” proclama a gran voce, “ripetila accuratamente e con cura e ad ogni passo troverai conferma della dottrina” - e fa quello che nessuna dottrina medica, nessun sistema cosiddetto terapeutico è finora riuscito a fare, cioè insiste sull’ “essere giudicata dai risultati”. Sarebbe una criminale superficialità accontentarsi di agire senza basi sufficienti al letto del malato. Questi secondo me sono i punti che devono essere patrimonio comune del mondo omeopatico e possono costituire il ponte che stiamo cercando. I risultati: l’esperienza è il banco di prova della teoria. Ciascuno vanta i suoi risultati, molto meno siamo disposti a riconoscere i nostri fallimenti. Un confronto onesto della propria pratica clinica è il primo requisito per un dialogo efficace. Quali risultati ottengo con la mia metodologia? Su quali tipi di patologie? Con quali ricadute sul paziente? Quanto la scelta di un rimedio su una base analogica determina un’azione in conformità con le leggi generali di guarigione? E che conferme cliniche posso portare?All’interno di una medicina che per eccellenza dovrebbe essere centrata sulla persona, quanto del mio intervento è invece di tipo riduzionistico, meccanicistico? Socrate ci insegna che la virtù massima di chi ama il dialogo è la capacità di rallegrarsi nello scoprirsi in errore, perché chi si corregge può migliorare. Certo, bisogna che sull’orgoglio e sulla vanità prevalgano l’amore per la verità e una doverosa umiltà, ma è un fatto che solo restando disponibili a questo confronto possiamo abbattere i muri dell’ideologia. Il dialogo quindi richiede umiltà e disponibilità. La superficialità: l’insegnamento per il quale Hahnemann meriterebbe, senza altre considerazioni, di essere annoverato tra i grandi innovatori, è il richiamo alla serietà, alla profondità. Quante volte tutti noi agiamo senza domandarci troppo le conseguenze di quello che facciamo o comunque dando loro poca importanza. Quello che l’omeopatia stigmatizza nella medicina convenzionale è il non preoccuparsi sufficientemente delle ricadute che un dato intervento, ad esempio un farmaco o un vaccino, ha sulla salute generale di un organismo. Ma la stessa cosa deve preoccuparci nel valutare l’impatto del nostro intervento omeopatico sul paziente. Quanto siamo in grado di dire al riguardo? Che cosa sto mettendo in moto nel paziente con la mia prescrizione? Come valuto la reazione alla prima prescrizione? Anche qui, ovviamente, si tratta di sottoporre la propria pratica a una rigorosa valutazione. L’approfondimento dello studio dell’omeopatia dovrebbe aiutare a sviluppare il rigore necessario, perché più conosci e approfondisci una materia e più “sai di non sapere”. Il dialogo quindi richiede intelligenza e profondità. Alla luce di queste minime riflessioni come gettare ponti tra le diverse declinazioni dell’omeopatia in Italia e nel mondo? Secondo me innanzi tutto assicurando a tutti i medici un programma di formazione adeguato, che dia una base forte, che è assolutamente fondamentale, ma anche gli strumenti critici per continuare a crescere. Se Hahnemann vivesse adesso, che cosa sarebbe diventata nelle sue mani l’omeopatia? In secondo luogo promuovendo il confronto di esperienze. E’ chiaro che ciascuno ha le sue modalità di lavoro, ma nessuno ha la verità in tasca, abbiamo tutti bisogno di ottenere risultati migliori e non possiamo chiuderci in modo pregiudiziale a proposte diverse. E nel momento in cui rispondiamo alle esigenze prima esposte, abbiamo diritto di identificarci e di essere rispettati nella nostra specificità, tanto più in un ambito così individualizzato, come la cura omeopatica. Proprio noi non dobbiamo avere paura del pluralismo! Quindi definizioni e rispetto. Alla politica dobbiamo chiedere di dare garanzie ai cittadini rispetto alla libertà di cura, di vigilare sulla competenza, senza confondere la semplice prescrizione di un complesso omeopatico, che viene in realtà fatta anche da medici non competenti, con l’assunzione di responsabilità della salute del paziente che un omeopata competente può assicurare. Alla fine, come al solito, il vero cambiamento avviene se riusciamo a realizzarlo dentro di noi.