Adriano Ossicini, Un`isola sul Tevere
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Adriano Ossicini, Un`isola sul Tevere
Adriano Ossicini, Un’isola sul Tevere da: id., Un’isola sul Tevere. Il fascismo al di là del ponte, Editori Riuniti, Roma 2005 A proposito degli aiuti da parte di ecclesiastici, non ho ancora detto dei padri rosminiani. […] Fu subito dopo l’occupazione di Roma: cercavo un rifugio per cominciare a lavorare e avere dei collegamenti, così mi rivolsi a padre Hugo. Ebbene, ottenni ricovero non solo per me, ma anche per Alicata e altri, tanto che l’Unità i primi giorni fu redatta all’interno dell’istituto dei rosminiani. […] Un contributo non meno consistente per la nostra vita clandestina ci venne da padre Mirabilia, che già si era prodigato per noi sia durante che subito dopo il carcere. Diventato parroco di Santo Spirito in Sassi, mise a nostra disposizione la sua parrocchia, dove nascondeva vari ricercati e dove ci radunavamo con Alicata, Ingrao ed altri. Lo stesso Vicariato di Roma, del resto, si mise seriamente a disposizione e ampie possibilità di aiuto, di collegamento organizzativo e politico ci vennero attraverso appunto parrocchie, sacerdoti, associazioni cattoliche. […] La protezione che Roma ci offriva era straordinaria. Trastevere, anche per i buoni uffici di Giulio Sella, fu per me un quartiere complice. […] Qualche volta dormivo a santa Maria in Cappella. C’era uno scaffale molto grande in cui erano riposte lenzuola, federe e tutta la biancheria: io mi ci stendevo sopra e dormivo. Vicino a santa Maria in Cappella, poi, c’era il dormitorio del circolo San Pietro e, dietro, nello stesso caseggiato, un convento di monache. Tra il dormitorio e il convento c’era un’apertura, uno sportello, attraverso il quale le monache comunicavano con l’ospizio dei vecchi per l’inoltro dei cibi. Giulio Sella, che aveva organizzato tutto in modo perfetto, si era messo d’accordo con la superiora che, qualora arrivassero visite di nazisti o di fascisti, se qualcuno di noi era lì poteva scappare attraverso quel portapranzi.[…] Quella di Roma città aperta è una delle pagine più vergognose scritte dai nazisti. Approfittando del giusto desiderio del papa che Roma fosse preservata dalla distruzione, i tedeschi interpretarono la dichiarazione in tal senso fatta unilateralmente da Badoglio, senza alcun accordo con gli alleati, come se solo loro potessero servirsi di Roma come base militare. Vorrei in proposito ricordare che il conte Calvi di Bergolo, che aveva firmato l’armistizio di Roma con i tedeschi con la espressa “garanzia” che la città doveva essere esclusa da impegni militari di qualsiasi tipo, il 23 ottobre fu arrestato da un gruppo di paracadutisti tedeschi proprio all’interno del ministero della guerra e fu deportato!C’erano dentro la città comandi e centri militari tedeschi, persino importanti fabbriche belliche. Truppe germaniche ed SS erano presenti in forze e attraversavano in armi e di continuo la città. C’era all’albergo Flora, al centro di Roma, il tribunale militare di guerra tedesco, che in seguito avrebbe pronunciato numerose condanne a morte. C’erano almeno sei centri di tortura e luoghi di esecuzione per antifascisti (via Tasso, palazzo Braschi, i forti Bravetta e Boccea, la pensione Jaccarino e, prima, la pensione Oltremare, dove agiva il famigerato seviziatore Koch); Regina Coeli era piena di detenuti politici e ho già accennato alle continue razzie per le strade e alle deportazioni di massa, tra cui quella terribile nel Ghetto. Roma città aperta era aperta, sì, come base di guerra dei nazisti! […] In effetti, a Roma il passaggio dei poteri dai tedeschi agli alleati avvenne al di fuori del controllo del Cln centrale. Gran parte delle trattative si svolsero attraverso la mediazione del Vaticano, che voleva difendere la città da eventuali violenze. E tali trattative ebbero luogo solo in parte a san Giovanni in Laterano dove erano nascosti autorevoli membri del Cln, da DeGasperi a Nenni, e dove era altresì nascosto il generale Bencivenga, che pure era stato designato da Brindisi, e imposto al Cln, come colui che doveva dirigere le operazioni per la liberazione di Roma! In realtà, Bonomi aveva accettato di fatto (come dichiarerà documentatamente) che il generale Bencivenga, su richiesta dei tedeschi, venisse isolato, in pratica ibernato, in modo che nulla si svolgesse a Roma che non fosse legato ad un accordo la cui unica condizione era che Chirieleison, altro cosiddetto comandante della città aperta, desse assicurazioni a monsignor Ronca che nulla avrebbe turbato la pacifica fuga dei tedeschi. Si arrivò all’assurdo che Bonomi non trattò direttamente con il generale Bencivenga al momento decisivo, ma con il suo aiutante maggiore, e che io stesso, che avevo chiesto a nome della giunta militare un colloquio con Bencivenga, subissi la stessa sorte. Il rappresentante di Bencivenga dichiarava a me, rappresentante della Resistenza, che le trattative per l’abbandono di Roma da parte dei tedeschi erano prerogativa di monsignor Ronca! Proprio così Bencivenga, capo designato delle operazioni per la liberazione di Roma, era nascosto, protetto dal Vaticano e irraggiungibile! E mentre si “trattava”, i tedeschi seguitavano a uccidere dentro la città, e questo fino all’ultimo giorno: proprio quel giorno, il 3 giugno, avvenne una vera “strage degli innocenti” quando vecchi, donne e bambini vennero fucilati ed uccisi da un Tigre tedesco nei pressi di Porta Maggiore. E a Forte Bravetta, dove in continuità erano stati fucilati patrioti, si giustiziarono partigiani fino alla fine. Gli ultimi trucidati, che saranno definiti i “martiri della vigilia” furono il maggiore Ebat, il tenente De Martis, il sergente maggiore Orlanducci, Emilio Scarano, Fortunato Caccamo e Giovanni Lupis, tutti arrestati a suo tempo per la delazione della spia Quirino Neri, portati a Via Tasso e torturati. Anche il velocissimo esodo dei tedeschi dalla nostra città, con l’epilogo dell’eccidio della Storta, fu cruento come era stata cruenta la loro presenza. 2