Full-text - Società Italiana di Storia del Diritto

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Full-text - Società Italiana di Storia del Diritto
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N. 4 LUGLIO-AGOSTO
2008
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(1955-1968)
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(1968-1998)
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ANTONIO GAMBARO NATALINO IRTI GIORGIO OPPO
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VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGER
PAOLO SPADA VINCENZO VARANO
REDATTORE CAPO
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ANNO LIV
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(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
Laura Moscati
Prof. ord. dell’Università di Roma « La Sapienza »
IL CODE CIVIL E IL DESTINO
DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE IN EUROPA (*)
Sommario: 1. Premessa. — 2. La proprietà intellettuale tra antico e nuovo regime. — 3. Paradigma proprietario e proprietà a termine. — 4. La dottrina francese e la configurazione della proprietà dei beni immateriali. — 5. L’internazionalizzazione del sistema del
diritto d’autore francese. — 6. Problemi aperti tra scelte nazionali e prospettive transnazionali. — 7. Ricodificazione e proprietà intellettuale.
1. — In occasione del bicentenario del Codice civile napoleonico, che si è
da poco concluso, mi sembra interessante ripercorrere alcuni aspetti delle origini del diritto d’autore e del destino della proprietà intellettuale in Europa,
un istituto giuridico di indubbia rilevanza, estraneo al Code civil e che, sviluppatosi in Francia, si è imposto in Europa, e oggi nel mondo, come problema centrale della proprietà nel diritto globale.
Contrariamente a quanto si possa ritenere, il diritto d’autore si costruisce
in parte sulla trasmigrazione e sull’evoluzione di alcune idee e concetti che
hanno visto la luce nella dottrina e nella giurisprudenza inglesi tra la seconda
metà del XVII e gli inizi del XVIII secolo, prima della costruzione del sistema
del copyright e che, rimasti in embrione, hanno trovato fecondo sviluppo in
Francia attraverso la conoscenza del pensiero di Locke.
La giurisprudenza inglese dopo la metà del XVII secolo e Locke possono
essere considerati, a quanto risulta dalle indagini effettuate (1), forse i primi
ad aver utilizzato il termine proprietà in relazione alle opere letterarie. All’autore viene attribuita « the most absolute property » della sua opera e questa
viene assimilata a quella che « any Man hath to the Estate », con un chiaro
riferimento alla proprietà dei beni materiali (2). Locke, oltre ad attribuire agli
(*) Il presente lavoro riprende nelle linee essenziali il testo della relazione letta il 20 ottobre 2006 a Paris II in occasione della VI e ultima Conferenza dedicata alle celebrazioni
del Code civil e dell’intervento tenuto il 5 maggio 2007 sempre a Paris II sul tema della
proprietà nel quadro annuale degli scambi con la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Roma « La Sapienza ».
( 1 ) Cfr. L. Moscati, Un Memorandum di John Locke tra Censorship e Copyright, in R. di
storia del d. it., 76, 2003, p. 69-89 e in « Panta rei ». Studi dedicati a Manlio Bellomo, a cura di
O. Condorelli, IV, Roma 2004, p. 127-44; Ead., Lo Statuto di Anna e le origini del Copyright, in
Fides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna, VI, Napoli 2007, p. 3671-88.
( 2 ) The Case of the Booksellers and Printers Stated: with Answers to the Objections of
the Patentee [1666], rist. anast. in S. Parks (ed.), The English Book Trade 1660-1853, I,
New York 1975.
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LAURA MOSCATI
autori la proprietà delle loro opere e a richiedere di apporre il nome sul libro
per garantirne la proprietà, propone di aggiungere un limite temporale per
tale proprietà: questo costituirà una delle novità più rilevanti dello Statuto di
Anna del 1710 e, ripreso dal droit intermédiaire francese, circolerà in Europa, e oggi nel mondo, come elemento fondamentale per i diritti di sfruttamento dell’autore.
La concezione lockiana della proprietà, riflesso delle istanze giusnaturalistiche, approfondendo il discorso sulla proprietà come dominium sui, aveva
naturalmente legato l’individuo alle sue azioni attraverso l’appropriazione
delle risorse del suo lavoro. Le sue posizioni hanno avuto un’eco nella dottrina e nella legislazione inglesi successive e soprattutto in un progetto del famoso Statuto di Anna, dove si attribuisce agli autori una « undoubte property »
delle loro opere « as the product of their learning and labour » (3), facendo un
passo avanti rispetto allo stesso pensiero di Locke.
Ma lo Statuto dato alle stampe (4), considerato come la base del moderno
copyright, ebbe tutt’altro tenore. Anche se sono state tenute in conto alcune istanze, come il limite temporale già ricordato, l’autore non è considerato proprietario
dell’opera perché invece gli è attribuito, insieme ad altri destinatari (stampatore,
editore, etc.), un diritto esclusivo su quest’ultima (5), in quanto il legislatore ha
utilizzato l’autore più per bloccare il monopolio librario che per tutelare la proprietà della sua opera. Il copyright vedeva così la luce e avrebbe proseguito inesorabilmente il suo cammino, lasciando un’impronta nel diritto inglese e in quello
americano (6) che privilegiano l’editore rispetto all’autore, con differenze profonde rispetto all’ordinamento giuridico francese (7), caratterizzato fin dalle origini
dall’esaltazione della creatività e dal faticoso ma inesorabile emergere del diritto
morale (8). Mentre si ponevano le radici del copyright, i due mondi di common
law e di civil law iniziavano a dividersi.
2. — In realtà, le posizioni della dottrina e della giurisprudenza inglesi,
bruscamente interrotte dall’applicazione della normativa regia, hanno trovato
( 3 ) Oxford, Bodleian Library, Mss. Rawl. D. 922, f. 380-86.
( 4 ) 8 Annae c. 19, in The Statutes at Large, IV, London 1769, p. 417-19.
( 5 ) Soltanto nel capitolo XI, che prevede la possibilità di aggiungere un’ulteriore scadenza di quattordici anni nel caso in cui l’autore sia ancora in vita, questi è nominato unico
destinatario del diritto esclusivo: ibid., p. 419.
( 6 ) Per una visione storica complessiva cfr., rispettivamente, M. Rose, Authors and
Owners. The Invention of Copyright, Cambridge: Mass., 1993 e O. Bracha, Owing Ideas: a
History of Anglo-American Intellectual Property, S.J.D. Dissertation, Harward School of
Law 2005.
( 7 ) Per alcuni punti di contatto tra i due sistemi cfr. F. Rideau, La formation du droit
de la propriété littéraire en France et Grande-Bretagne: une convergence oubliée, Aix-Marseille 2004.
( 8 ) Cfr. L. Moscati, Alle radici del droit d’auteur, in F. Liotta (ed.), Studi di storia del
diritto medievale e moderno, II, Bologna 2007, p. 261-341.
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fecondo sviluppo in Francia, attraverso la conoscenza e l’elaborazione del pensiero di Locke. Più che di una trasposizione delle sue idee in Francia, riterrei
opportuno parlare di un interscambio tra i due paesi. I Philosophes parlano,
come Locke, di « propriété littéraire fruit du travail personnel », ma aggiungono « perpétuel comme une terre, une maison » (9), sulla base delle istanze della
giurisprudenza inglese ricordate. Compare, quindi, in Francia, nel corso del
XVIII secolo, l’assimilazione di questo tipo di proprietà a quella dei beni materiali. Su questa scia, prima della Rivoluzione francese, numerose decisioni del
Consiglio di Stato ed alcuni arrêts, oltre ad accordare agli autori la proprietà
delle loro opere, la considerano per loro e per i loro eredi « in perpetuo » (10).
Ma è solo dopo la Rivoluzione francese (11), con l’abolizione dei privilegi
e l’affermazione della libertà di stampa — periodo al quale sono stati recentemente dedicati alcuni lavori di grande interesse, quali quelli di Dury (12),
d’Edelmann (13) e, in particolare, di Pfister (14) — che i governanti iniziano a
tutelare la figura dell’autore. Emerge, molto presto, una tutela di tipo economico, ossia il diritto dell’autore allo sfruttamento esclusivo della sua opera e
non il suo diritto morale sulla stessa. Inizialmente, quindi, e ancora per molto
tempo, la natura della tutela accordata è legata alla proprietà e non ai diritti
della persona.
Ma di che tipo di proprietà si tratta? I Philosophes avevano richiesto un
allineamento in tutto e per tutto alla proprietà materiale: « On ne connaît
point la différence de l’achat d’un champ ou d’une maison à l’achat d’un manuscrit, et en effet il n’y en a point » (15), sosteneva Diderot e, con lui, i più
importanti esponenti del pensiero del XVIII secolo. Una proprietà « funzionale » l’ha definita efficacemente un giuspositivista italiano (16), che vede nelle
( 9 ) Cfr. L. D’Héricourt, Mémoire en forme de requête à M. Le Garde des Sceaux
(1725), in Œuvres posthumes de maître Louis d’Héricourt, avocat au Parlement. Tome
troisième contenant la suite de ses mémoires sur des questions de droit civil, Paris 1759, p.
54-71, pubblicato in E. Laboulaye-G. Guiffrey, La propriété littéraire. Recueil de pièces et
de documents, Paris 1859, p. 21-40.
( 10 ) Il decreto del 18.3.1806 sulla proprietà dei disegni (Bulletin des lois, IV, Paris
1806, n. 1423, p. 355, art. 18) costituisce l’unico caso in cui, dopo la legislazione del 1793,
viene attribuita la perpetuità.
( 11 ) Cfr. G. Becourt, La Révolution française et le droit d’auteur, in Rev. int. dr. aut.,
143, 1990, p. 231-87.
( 12 ) La censure. La prédication silencieuse, Paris 1995.
( 13 ) Le sacré de l’auteur, Paris 2004.
( 14 ) L’auteur, propriétaire de son oeuvre? La formation du droit d’auteur du XVIe siècle
à la loi de 1957, 2 t., Université de Strasbourg III 1999; Id., La propriété littéraire est-elle
une propriété? Controverses sur la nature du droit d’auteur au XIXe siècle, in Tijdschrift
voor Rechtsgeschiedenis, 72, 2004, p. 103-25.
( 15 ) Questo testo è stato recentemente ripubblicato: cfr. D. Diderot, Lettre sur le commerce de la librairie, Paris 2001.
( 16 ) Facciamo riferimento ad alcuni recenti interventi di Paolo Spada: P. Spada, Parte
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istanze illuministiche non l’espressione di una riflessione matura quanto,
piuttosto, il prevalere delle esigenze economiche sottostanti. Bisogna anche tener presente il ruolo sociale del nuovo intellettuale dell’Illuminismo che, come
è stato ben evidenziato da Voltaire (17), deve farsi strada da solo, attraverso la
concorrenza del merito personale.
In realtà, la legislazione del droit intermédiaire non aveva tradotto in una
normativa conseguente le aspettative che provenivano dal mondo dell’ancien
régime e gli autori dovettero accontentarsi — e fu moltissimo per l’epoca —
del riconoscimento dei loro diritti di sfruttamento nella sfera del diritto di
proprietà, con l’aggiunta della creazione di un nuovo tipo di proprietà: una
proprietà particolare o, più specificamente, una proprietà « a termine ».
Gli autori, quindi, cominciano a vedere riconosciuti i loro diritti, con alcune implicazioni che avrebbero segnato il destino della proprietà intellettuale in Europa, i cui echi sono ancora oggi ben presenti: la legge del 1793 (18)
sarebbe stata la base del diritto francese ed europeo in materia per tutto il
XIX secolo e per la prima metà del XX. Dall’esame della legge emergono
chiaramente sia l’attribuzione della proprietà dell’opera all’autore e quindi la
natura proprietaria di tale diritto, sia il suo godimento esclusivo e quindi la
sua essenza patrimoniale, sia i diritti ereditari temporanei sull’opera per dieci
anni.
I principi posti dal droit intermédiaire si estesero alla tutela dei brevetti
(19) che, da un punto di vista normativo, presuppone l’attuale concetto di
proprietà intellettuale e che, fino a quel momento, non aveva suscitato lo stesso interesse né lo stesso impegno da parte degli intellettuali. Frutto dello
scientismo del XVIII secolo e dell’esaltazione individualista dell’epoca rivoluzionaria, il diritto dei brevetti si affiancava assai bene alla proprietà letteraria.
Il droit intermédiaire creava, così, per la prima volta, una legislazione
sulla proprietà letteraria e industriale che definiva « la plus sacrée » (20), pur
imponendo nello stesso tempo un limite per i diritti ereditari con l’introduziogenerale, in P. Auteri-G. Floridia-V. Mangini-G. Olivieri-M. Ricolfi-P. Spada, Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, Torino 20055; Id., La proprietà intellettuale
tra « reale e virtuale »: un guado difficile, in Diritto dell’internet, 5, 2007, p. 437-40.
( 17 ) R. Chartier, L’uomo di lettere, in M. Vovelle (ed.), L’uomo dell’illuminismo, Roma-Bari 1994, p. 143-97. Cfr. in generale, anche, R. Darnton, L’intellettuale clandestino.
Il mondo dei libri nella Francia dell’Illuminismo, Milano 1990.
( 18 ) Si tratta del Décret relatif aux droits de propriété des auteurs d’écrit, en tout
genre, compositeurs de musique, peintres et dessinateurs, del 19-24.7.1793, in Bulletin des
lois, IV, Paris 1835, n. 615, p. 307-10.
( 19 ) Cfr. Décret relatif aux auteurs des découvertes utiles, del 31.12.1790-7.1.1791, in
J.B. Duvergier, Collection complète des lois, décrets, ordonnances, règlemens, avis du Conseil, II, Paris 18342, p. 136-39.
( 20 ) L’espressione è di Le Chapelier nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente: Archives parlementaires de 1787 à 1860. Recueil complet des débats législatifs et politiques
des chambres françaises... Première série (1787 à 1799), XVIII, Paris 1884, p. 212.
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ne di una proprietà limitata a dieci anni. La questione essenziale che il droit
intermédiaire lasciava nell’ombra era la natura stessa di tale diritto e, soprattutto, come era stato chiaramente intravisto dagli intellettuali del secolo precedente, la possibilità di assimilarlo a tutti gli effetti alla proprietà materiale.
3. — Il concetto di proprietà che si forma nel droit intermédiaire si distingue così da quello precedente dato che tale termine designa anche situazioni giuridiche diverse dalla proprietà materiale, quali la proprietà letteraria
e quella industriale. In realtà, dall’inizio del XVIII secolo in poi si è sempre
fatto ricorso allo schema proprietario che, nonostante i suoi limiti, non è stato
sostituito e che, nell’utilizzare questo specifico concetto giuridico, rappresenta
la storia di una « finzione ». Infatti, anche nei paesi in cui la riflessione in
proposito è stato più elaborata non si sono trovate tecniche di tutela alternative.
Quanto alla proprietà temporanea introdotta dal droit intermédiaire, il
testo rinviava ad una più ponderata decisione in vista dell’imminente codificazione. Ma la proprietà letteraria, secondo la volontà dello stesso legislatore,
non figura tra gli articoli del Code civil. I limiti posti dal droit intermédiaire
alla proprietà letteraria sembrano spiegare — almeno in linea di principio —
le ragioni dell’esclusione dell’istituto dalle disposizioni del Code Napoléon. Lo
schema proprietario, infatti, fondato sulla concezione della pienezza e assolutezza, espressa a più riprese nei lavori preparatori, non induce a prendere in
considerazione l’inserimento di una proprietà sui generis nei numerosi progetti che si sono succeduti.
Come è stato già evidenziato in un articolo pubblicato in questa stessa sede (21), a cui rinvio per ogni ulteriore approfondimento, il contributo di Napoleone fu determinante, anche se successivo alla promulgazione del Code civil, nel considerare la proprietà letteraria come una « propriété incorporelle »
(22) senza però assimilarla interamente alla piena proprietà, lasciando tracce
profonde nella dottrina e nella giurisprudenza successive. L’intervento di Napoleone intendeva bloccare ogni soluzione normativa favorevole alla perpetuità, sulla base di una concezione della pienezza assoluta e dell’esclusività del
godimento e dell’uso della proprietà materiale.
Così, la proprietà letteraria resta una proprietà a durata limitata e la
questione della sua assimilazione alla proprietà materiale continuerà, nel corso dei decenni successivi, a impegnare l’attenzione del legislatore, sia attraverso i reiterati tentativi volti a predisporre una disciplina organica della materia, sia ad opera della riflessione della dottrina francese fino alla seconda
( 21 ) Cfr. L. Moscati, Napoleone e la proprietà intellettuale, in questa Rivista, 2006, II,
p. 179-97.
( 22 ) J.-G. Locré, Discussion sur la liberté de la presse, la censure, la propriété littéraire, l’imprimerie et la librairie, Paris 1819, p. 18: 2 settembre 1808. Si tratta di una delle
sedute del Consiglio di Stato dedicate all’esame dei progetti relativi ad un decreto sulla
stampa e l’editoria, promulgato nel 1810.
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metà del XIX secolo, nel momento in cui l’affermarsi del diritto morale condusse alla coesistenza dei due aspetti del diritto, ma non alla loro compenetrazione.
Il fascino della singolare vicenda dottrinaria francese in cui si arriva a
parlare di « quasi propriété » (23), dimostra che non si riesce o non si vuole
superare lo schema proprietario, con l’inserimento della proprietà letteraria
tra i beni mobili e con l’elaborazione dei « droits incorporels », sulla scia del
dettato napoleonico. Anche se la maggior parte della dottrina resta legata allo
schema proprietario e alla richiesta della perpetuità, le riflessioni iniziali di
alcuni giuristi francesi, a cui non è stata data la dovuta attenzione, costituirono la complessa essenza concettuale e la base pregnante dell’elaborazione sistematica riferita, troppo semplicisticamente, alla scienza tedesca della fine
del secolo (24).
4. — Comincia, infatti, ad emergere, pochi anni dopo la promulgazione
del Code civil, nella dottrina più avvertita l’idea che le proprietà immateriali
non modifichino i principi generali del diritto di proprietà e che la loro esclusione dal codice sia in realtà dovuta all’unificazione delle categorie proprietarie e alla conseguente esclusione di forme diverse.
Bisogna, infatti, tenere presente che un’analisi approfondita porta a considerare una pluralità di forme proprietarie che poggiano su diverse letture
possibili dell’art. 544 (25). Alla visione prevalente della proprietà come godimento pieno ed esclusivo del bene materiale limitato solo dalla legge (26), ne
va aggiunta, per quello che ci interessa specificamente, un’altra che costruisce
un tipo di proprietà individuale come remunerazione, in vista di un interesse
generale, di un servizio reso alla collettività. In tal caso, il fattore discriminante è costituito dall’arco della durata del godimento esclusivo del diritto e
dalla sua limitazione, elemento essenziale e caratterizzante del diritto d’autore
che, per tutto il secolo XIX, impegna il legislatore nell’analisi della sua natura
e ancora per il XX nella sua specifica determinazione.
Alcuni giuristi francesi, infatti, separano la categoria materiale da quella
( 23 ) N. M. Le Senne, Brevets d’invention. Traité des droits d’auteur et d’inventeur en
matière de littérature, de sciences, d’arts et d’industrie, Paris 18492, p. 33.
( 24 ) Sugli sviluppi dottrinari successivi cfr. J. Kohler, Zur Konstruktion des Urheberrechts, in Archiv für bürgerliches Recht, 10, 1897, p. 241-86 e, più in generale, Id., Urheberrecht an Schriftwerken und Verlagsrecht, Stuttgart 1907, nonché gli interessanti rilievi
di B. Dölemeyer, « Das Urheberrecht ist ein Weltrecht ». Rechtsvergleichung und Immaterialgüterrecht bei Joseph Kohler, in E. Wadle (ed.), Historische Studien zum Urheberrecht
in Europa. Entwicklungslinien und Grundfragen, Berlin 1993, p. 139-50.
( 25 ) Cfr. F. Revet, L’évolution du droit de propriété depuis le code civil, in Droits 1,
1985, p. 33-49 e, soprattutto, l’analisi approfondita di M. Xifaras, La propriété. Etude de
philosophie du droit, Paris 2004.
( 26 ) Cfr. P. Grossi, Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali,
Milano 1992, p. 454-59; 660-63.
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immateriale e cominciano a configurare quest’ultima offrendo soluzioni diverse da quelle proprietarie. Attraverso l’utilizzazione di altre fattispecie giuridiche come l’« usufruit » e la « réservation de jouissance », essi trasformano
anche la terminologia dalla tradizionale accezione « propriété » al « droit de
copie » e al « droit d’auteur ». Il bene immateriale diventa il referente oggettivo della proprietà ormai definita « intellettuale » in alcune limpide analisi,
dalla robusta costruzione logica, dagli anni dieci agli anni trenta.
Mi riferisco in particolare a Jean-Marie Pardessus che ha elaborato
una riflessione completa muovendo dalla considerazione che i diritti dell’autore — diritti immateriali iscritti nella categoria dei beni mobili — rappresentano l’elemento fondante della proprietà letteraria in quanto l’autore
ha sulle opere del proprio ingegno i medesimi diritti che ha sui propri beni
materiali (27).
La sua sensibilità verso la tutela del lavoro svolto dall’autore da un lato
anticipa un discorso legato ai diritti della persona (28), prefigurando quindi
un diritto morale dello stesso, dall’altro lato individua un fattore centrale di
differenziazione con la proprietà materiale (29). Pardessus, infatti, ritiene che
i principi fondamentali della proprietà letteraria e di quella materiale e i loro
mezzi di trasmissione siano i medesimi, ma non gli effetti.
L’editore, infatti, non può disporre pienamente dell’opera (30) perché deve lasciarla immutata, rispettando l’obbligo morale e risultando, in realtà, un
« usufruitier » che gode di un diritto temporaneo non prorogabile. Di conseguenza, gli eredi, invece di ricevere un diritto perpetuo ne devono ricevere
uno limitato, e Pardessus considera « exorbitante » la richiesta avanzata da
una parte consistente della dottrina francese di rendere perpetua la trasmissione del diritto d’autore (31). Per questo egli preferisce sostituire il termine
« propriété » con « droit de copie », sostanziando la configurazione dell’istituto con l’introduzione della figura dell’« usufruitier ».
( 27 ) Fin dalla prima edizione del suo Cours de droit commercial (I, Paris 1814), Pardessus aveva inserito il diritto dei brevetti e della proprietà letteraria all’interno della trattazione. Ma bisogna tener presente che già nell’opera precedente (Elémens de jurisprudence
commerciale, Paris 1811, p. 88-93), scritta all’indomani del suo insediamento sulla prima
cattedra di diritto commerciale istituita nella facoltà giuridica parigina, erano contenuti i
principi della trattazione successiva.
( 28 ) Nell’ultima edizione saranno ancora più chiari gli aspetti del diritto d’autore legati
alla persona: J.-M. Pardessus, Cours de droit commercial, I, Paris 18566, pp. 121-22.
( 29 ) « La vente d’un droit de copie, sans aucune réserve, n’a pas les mêmes effets que
celle des propriétés ordinaires. Elle ne donne pas à l’acheteur le droit de disposer du manuscrit de la manière la plus absolue, par exemple de le changer, refondre, augmenter par
des interpolations, ou le réduire par des suppressions »: ibid., p. 397.
( 30 ) « Il a droit de le publier en tels formats et nombre d’éditions qu’il veut, mais il
n’est pas le maître d’intercaler ou d’opérer des changements de quelque manière que ce
soit, sans le consentement de l’auteur »: ibid., p. 397-98.
( 31 ) Commission de la propriété littéraire. Collection des procès-verbaux, Paris 1826,
p. 85.
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Pardessus, quindi, prefigurando il diritto morale e i diritti della persona e, allo stesso tempo, separando la proprietà intellettuale, sia come diritto dei brevetti sia come diritto d’autore (32), dalla proprietà materiale, offre, una costruzione nuova e originale alla quale non è stato dato il dovuto
rilievo.
Questa evoluzione simboleggia il passaggio dalle riflessioni dottrinali del
XVIII secolo a quelle successive alla legislazione specifica in materia e sarà
elaborata dalla dottrina di poco posteriore.
Augustin Charles Renouard, nella sua più specifica e complessa ricostruzione storica e al contempo dogmatica del diritto d’autore (33), separa la proprietà immateriale da quella materiale, perché intrinsecamente diverse, e ritiene necessaria una rivisitazione delle categorie giuridiche per distinguerle
non solo sul piano normativo ma anche su quello concettuale. Sulla base delle
suggestioni kantiane (34) emerge la doppia essenza dell’opera intellettuale,
che si esprime nell’idea dell’autore e nell’esemplare in cui essa viene trasfusa.
Il diritto dell’autore, infatti, trova il suo fondamento nel mondo delle
idee, al quale ogni uomo ha un diritto innato, è inappropriabile, si basa sulla
valorizzazione del lavoro e, con un chiaro riferimento alle parole di Napoleone, non può essere trasmesso all’infinito per non compromettere i progressi
della scienza e della società (35).
È necessaria, quindi, secondo Renouard, una limitazione temporale del
godimento esclusivo, una sua autonoma configurazione, e la sostituzione del
termine « propriété littéraire » con « droit de copie » e, successivamente, con
« droit d’auteur ».
La « réservation de jouissance » (36) (o « droit reservé » o « jouissance
temporaire ») rappresenta, così, un privilegio esclusivo (con un significato
completamente rinnovato rispetto ai privilegi letterari dell’ancien régime)
conseguente a un’attività produttiva, come remunerazione per un servizio re( 32 ) Interessante, a questo riguardo, è anche una consultazione nella quale Pardessus
collega la legge del 1793 con il regolamento del 1809 concernente i marchi: Bibliothèque de la Cour de Cassation, Paris, Consultations imprimées, 5509/III: 19 aprile
1821.
( 33 ) A.Ch. Renouard, Traité des droits d’auteurs dans la littérature, les sciences et les
beaux-arts, 2 voll., Paris 1838. L’opera è stata preceduta da una Memoria letta presso
l’Académie de Sciences morales et politiques che ne delinea i principi essenziali: Théorie des
droits des auteurs sur les productions de leur intelligence, in Revue de législation et de jurisprudence, 5-6, 1837, p. 241-74.
( 34 ) La recezione del pensiero kantiano è stata progressiva negli scritti di Renouard.
Inizialmente criticato (Théorie des droits des auteurs, cit., p. 258-59), successivamente riconsiderato (Traité des droits d’auteurs, cit., I, p. 439-40) serve di base per la costruzione
del « domaine immatériel » (Du droit industriel dans ses rapports avec les principes du
droit civil sur les personnes et sur les choses, Paris 1860, p. 209-24).
( 35 ) A. Ch. Renouard, Théorie des droits des auteurs, cit., p. 245-47; Id., Traité des
droits d’auteurs, cit., p. 467-69.
( 36 ) Si vedano le pagine approfondite di M. Xifaras, La propriété, cit., p. 343-427.
IL CODE CIVIL E IL DESTINO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
437
so alla comunità. In tal senso si spiega e si giustifica la temporaneità del diritto di godimento che, da un lato, serve a compensare l’autore per il lavoro
svolto, dall’altro lato tutela gli interessi del pubblico. Si può notare la modernità di tale posizione che si avvicina a quella dell’attuale « dominio pubblico
pagante », con l’istituzione di un equo compenso per l’autore che converte un
diritto reale in un diritto di credito.
Ambedue i giuristi, anche se in forme e con approfondimenti diversi,
configurano i diritti spettanti alla persona dell’autore (attribuzione dell’opera
e inalterabilità della stessa) come una sorta di diritto morale, unico diritto
perpetuo e intoccabile rispetto alla stessa proprietà materiale che, nella seconda metà del secolo, verrà sviluppato e isolato concettualmente rispetto al diritto di sfruttamento (37). Ma vi sono anche altri elementi che accomunano la
novità delle loro posizioni e che vanno sottolineati per la loro rilevanza sul destino della proprietà intellettuale in Europa.
Mi riferisco in particolare al fatto che tutta la materia è trattata da ambedue gli autori (fin dagli anni dieci da Pardessus e alla fine del percorso da Renouard) in opere di carattere commerciale e industriale. La costruzione e le
relative fattispecie, mai disciplinate nei codici di commercio ma che ritroviamo ancora nei manuali di diritto commerciale e industriale, sono oggi considerate all’origine del diritto industriale (38).
I due giuristi, inoltre, affiancano alla costruzione teorica anche un apporto pratico per la realizzazione di una legislazione sul diritto d’autore,
partecipando, con contributi diversi ma ugualmente rilevanti, alle Commissioni che si sono succedute a distanza di poco più di un decennio. Nel
1825 Pardessus aveva espresso forti critiche alle legislazioni vigenti perché
fondate su interessi politici e di mercato e non su principi generali del diritto di proprietà (39). Egli si era impegnato personalmente affinché la nuova normativa superasse i limiti del decreto del 1810, che aveva trascurato
la natura personale del diritto d’autore. Ma nella redazione definitiva del
progetto era prevalsa l’opinione di Portalis che voleva estendere a cinquant’anni il limite dei diritti ereditari, attraverso una « quasi-perpétuité »,
per rimanere nell’orbita dei principi della proprietà materiale.
Più tardi, nel 1836, Renouard, conformandosi alle principali legislazioni
europee nell’imporre il termine di trent’anni, era riuscito a modificare lo stesso dettato normativo, sostituendo al termine « propriété littéraire » quello di
« droit d’auteur », con tutte le conseguenze importanti che ne sono deriva( 37 ) L. Pfister, L’auteur, propriétaire de son oeuvre?, cit., II, p. 751-78; Id., La propriété littéraire est-elle une propriété?, cit.; A. Lucas-Schloetter, Droit moral et de la personnalité: étude de droit comparé français et allemand, I, Aix-en-Provence 2002.
( 38 ) In particolare Renouard, enucleando il diritto industriale da una branca del diritto
civile, sviluppa più tardi alcuni dei principi espressi negli anni trenta, pur mantenendo
omogenea la sostanza del discorso: Du droit industriel, cit.
( 39 ) Commission de la propriété littéraire, cit.
438
LAURA MOSCATI
te (40). Il giurista, oltre ad avvertire la necessità di una rinnovata legislazione
francese che completasse quella vigente, inquadrandola nei principi generali,
riteneva indispensabile che vi fosse una legge internazionale che unificasse i
diritti dei singoli popoli in materia.
5. — Con una serie di problemi irrisolti, la disciplina del diritto d’autore si presenta all’Europa, agli inizi del XIX secolo, con due modelli di riferimento: quello francese e quello inglese. Il primo prevale plasmando la
legislazione in materia nell’Europa continentale e confina l’esperienza inglese al mondo anglo-americano. Anzi, in tempi più recenti, tra i due sistemi normativi, che erano sempre stati considerati paralleli e con minime
connessioni tra loro in un’ottica più generale intesa a cercare di ridurre le
divergenze tra i sistemi di common law e di civil law (41), è prevalso quello
francese.
Preso come modello in quasi tutta l’Europa, i cui singoli diritti si possono
considerare una vera e propria derivazione da quello francese in ragione della
sostanziale omogeneità della struttura della normativa, il diritto d’autore,
escluso dal Code civil, perviene ugualmente, grazie alla sua forza di espansione dovuta all’importanza e alla novità della normativa, a impiantarsi in tutta
l’Europa (42), influenzando, in un primo momento, le sorti dell’istituto negli
Stati soggetti all’occupazione napoleonica e in seguito nei principali Stati europei del XIX secolo. Le differenze, di cui si colgono in questo studio solo gli
avvii (43) ma di cui si intravedono in tutta la loro portata gli esiti, riguardano
l’aggiunta o la modifica di specifici aspetti (durata dei diritti ereditari, maggiore o minore ampiezza delle categorie degli aventi diritto) che tuttavia non
inficiano la sostanza del modello.
Il Belgio e l’Olanda, almeno inizialmente, adottarono per la proprietà
artistica e la proprietà letteraria la legge del 1817 la quale riproduceva
quella del 1793. Dopo una breve parentesi, nella quale in Olanda furono
previsti diritti perpetui per gli autori (44), è solo verso la fine del secolo, e
( 40 ) Cfr. Le Moniteur, 28 Mars 1837 e A. Ch. Renouard, Traité des droits d’auteurs,
cit., II, p. 57-87, che contiene il progetto e le relative discussioni.
( 41 ) Cfr. G. Alpa, « In partibus Angliae ». Immagini del « common law » nella cultura
giuridica italiana, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 32, 2002, p.
25-57.
( 42 ) Per uno sguardo d’insieme delle principali fonti europee del diritto d’autore, si veda B. Dölemeyer, Urheber- und Verlagsrecht, in H. Coing (ed.), Handbuch der Quellen und
Literatur der neueren europäischen Privatrechtsgeschichte. Das 19. Jahrhundert, III/3,
München 1986, p. 3955-4066; si veda anche E. Wadle (ed.), Historische Studien zum Urheberrecht in Europa, cit.; Id., Geistiges Eigentum. Bausteine zur Rechtsgeschichte, I,
Weinheim 1996; II, München 2003.
( 43 ) Interessante al riguardo è stato il recente convegno internazionale su La construction du droit d’auteur: entre autarchie et dialogue, Montpellier 10-11 Maggio 2007.
( 44 ) Mi riferisco alla legge dell’8.12.1796, in B. van der Valden, Over het Kopijregt
IL CODE CIVIL E IL DESTINO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
439
a seguito di un lungo processo destinato a far approvare una legge che
avrebbe parificato i termini della tutela per le diverse categorie di produzioni intellettuali, che in Belgio fu emanata una legislazione organica (45).
La legislazione dei paesi germanici — mi riferisco in particolare all’ALR,
al Codice di Baden ed al Codice civile austriaco — contiene delle disposizioni
relative, principalmente, ai rapporti tra autori ed editori. Un caso a sé è rappresentato dal Codice del Baden del 1809 che non è una semplice traduzione
del Code Napoléon e che resta in vigore fino al BGB (46). Nel secondo libro relativo alla proprietà, c’è un articolo sulla proprietà degli scritti (47), in cui si
attribuisce all’autore la proprietà dell’opera, ma limitata alla propria vita, e
la sua paternità se ceduta a un editore, con una recezione atipica del modello
francese. Lo Schrift-Eigenthum, infatti, si profila come un diritto strettamente
legato alla persona, lontano dalla sfera della proprietà materiale.
L’orientamento tedesco culmina nella legge prussiana del 1837 (48), di
cui Savigny fu il principale artefice (49), che, però, si fonda sul modello francese con la sola eccezione della modifica relativa al periodo di protezione.
Inoltre, nel 1846, l’Austria adotta una legislazione avanzata basata anch’essa
sulla normativa francese (50), con importanti innovazioni in materia di traduzioni, sul modello della convenzione austro-sarda del 1840.
in Nederland, ‘s-Gravenhage 1835, p. 293 s., relativamente alla quale, anche per gli
sviluppi successivi, cfr. Ch. Schriks, Het Kopijrecht. 16de tot 19de eeuw, Walburg Pers/
Kluwer 2004, p. 359-89.
( 45 ) La legislazione belga apparve a seguito di un lungo iter parlamentare iniziato con
un progetto del 1878: « Loi sur le droit d’auteur », Le Moniteur belge. Journal officiel: 26
mars 1886. Cfr. P. Recht, Le droit d’auteur en Belgique. La législation belge mise en
concordance avec la Convention d’Union de Berne et annotée d’après la doctrine et la jurisprudence, Bruxelles 1955.
( 46 ) Cfr. Land-Recht des Großherzogthums Baden. Nebst Handels-Gesetzen, Karlsruhe 1809. Del Codice, realizzato da J.N.F. Brauer, Zachariä von Lingenthal pone in luce i
punti di divergenza dal diritto civile francese, tra cui i diritti degli autori: Zusätze und
Veränderungen, die der Code Napoléon als Landrecht für das Großherzogthum Baden erhalten hat. Ein Nachtrag zu dem Handbuche des französischen Civilrechte, Heidelberg
1809, p. 16.
( 47 ) Land-Recht des Grossherzogthums Baden, art. 577, da-dg.
( 48 ) Per la legge dell’11.6.1837, cfr. Gesetz zum Schutze des Eigenthums an Werken
der Wissenschaft und Kunst gegen Nachdruck und Nachbildung, in Preußische Gesetzsammlung, 1837, p. 165-71.
( 49 ) E. Wadle, Friedrich Carl von Savignys Beitrag zum Urheberrecht, in G. Lüke
(ed.), Grundfragen des Privatrechts, Köln 1989, p. 3-59.
( 50 ) Gesetz zum Schutze des literarischen und artistischen Eigenthumes gegen unbefugte Veröffentlichung, Nachdruck und Nachbildung, in Gesetze und Verordnungen im JustizSache vom Jahre 1846, für die deutschen Staaten der österreichischen Monarchie, p.
375-86: 19 octobre 1846, riprodotto in L. Geller (ed.), Österreichische Justizgesetz mit Erläuterung aus dem oberstgerichtlicher Rechtsprechung, II, Wien 1882, p. 232-41 e il lungo
commento in JB, 20, 1891, n. 24, p. 279-80; n. 25, p. 291-94; n. 26, p. 303-305; n. 27, p.
315-18; n. 28, p. 327-30; n. 29, p. 339-42, n. 47, p. 560.
440
LAURA MOSCATI
Questo è anche il caso della Spagna, in cui un decreto del 1813 (51) ricalcato sulla legge francese e integrato nel 1826 con quello sulle invenzioni (52),
è sostituito dalla legge del 1847 che prolunga la durata dei diritti ereditari a
cinquant’anni (53), senza peraltro che l’istituto venga inserito nel Codice civile
spagnolo del 1889.
6. — La circolazione del modello francese porta con sé un gran numero di
problemi strettamente connessi con il destino della proprietà intellettuale in Europa. Mi riferisco in particolare sia a problemi di ordine sistematico e, quindi, al
rapporto tra codice e leggi speciali, sia a problemi di ordine sostanziale, legati alla natura stessa del fenomeno, soprattutto con riguardo al rapporto con la proprietà materiale, sia a problemi di ordine lessicale, con l’evoluzione concettuale
della terminologia, sia, infine, a problemi di natura « globale » attraverso la creazione di disposizioni normative che tendono ad essere uniformi sulla base di convenzioni con procedure unificate binazionali prima, transnazionali poi.
Quanto al primo aspetto, quello sistematico, la natura delle modifiche del
diritto d’autore riguarda la struttura del dettato normativo e se ne rinvengono
tracce sia nel Baden, nella particolare forma ricordata, sia e soprattutto in
Italia, poi in Portogallo e, in seguito, in alcuni codici dell’America centrale e
dell’America latina. In tali Paesi, uno o più articoli di carattere generale sul
diritto d’autore sono contenuti nel Codice civile, mentre la regolamentazione
specifica è demandata a una legge speciale, oppure l’intera normativa è inserita all’interno dello stesso codice.
Conviene, prima di tutto, mettere in evidenza che il Codice civile del Regno di Sardegna del 1837 è l’unico tra tutti quelli anteriori all’unità d’Italia
— seguito dalla codificazione unitaria del 1865 e da quella attuale (54) — a
contenere un articolo specifico sui diritti sulle opere dell’ingegno, discostandosi così dall’impostazione del Codice Napoleone.
Questa scelta dei codificatori piemontesi prima e italiani poi deriva dal
fatto di aver affrontato problemi giuridici più generali come il rapporto tra
codice e leggi speciali che sottintende chiaramente quello dell’idea di un codice come codice di principi (55). Essi hanno tenuto presente, come si evince
( 51 ) Cfr. T. R. Fernández-J. A. Santamaría (eds.), Legislación administrativa española
del siglo XIX, Madrid 1977, § 288, p. 1267.
( 52 ) Ibid., § 289, p. 1267-70.
( 53 ) Ibid., § 291, p. 1270-73. Sulla rilevanza dei problemi connessi con la proprietà letteraria in Spagna si veda in particolare C. Petit, Discurso sobre el Discurso Oralidad y
Escritura en la Cultura Jurídica de la España liberal. Lección inaugural curso académico
2000-2001, Universidad de Huelva 2000, p. 45-47; 99-101.
( 54 ) In realtà, nel 1848, nel Parlamento subalpino appena insediato una delle prime richieste fu quella di una legge organica sul diritto d’autore: cfr. Atti del Parlamento Subalpino - Sessione del 1848, Torino 1859, p. 70: 13 luglio 1848.
( 55 ) Cfr. L. Moscati, Sul diritto d’autore tra Codice e leggi speciali, in R. comm., 9-10/
11-12, 2001, p. 655-81.
IL CODE CIVIL E IL DESTINO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
441
chiaramente dai lavori preparatori (56), questo aspetto che viene, nel caso
specifico, applicato in modo rigoroso, essendo concordi nell’attribuire in via
generale agli autori la proprietà delle loro opere senza elencare le singole fattispecie (57). Il rinvio alla normativa specifica consentiva anche di mantenere
fermo il principio generale adeguando però la disciplina alla realtà circostante
in Europa (58). Con decisione e con maggiore chiarezza di quanto fatto in precedenza, viene così difeso il « principio generale che solo deve essere conservato
nel Codice » (59), demandando ogni dettaglio ai regolamenti particolari (60).
Va sottolineata l’importanza della questione che si pone ancora come
centrale in un eventuale Codice civile europeo.
La situazione portoghese è particolare, nella misura in cui la prima disciplina di rilievo sul diritto d’autore, insieme a quella sui brevetti basata anch’essa sulla legislazione francese, è inserita direttamente nel Codice civile del
1867 (61). Si privilegia, così, una regolamentazione di dettaglio della materia
trattata, allontanandosi dal principio ispiratore dei legislatori italiani. Ciò differenzia profondamente la soluzione portoghese da quella italiana perché, in
quest’ultima, sarà evidente quanto sia stato opportuno aver introdotto nel
Codice solo il principio cardine separandolo dalle leggi speciali che, all’occorrenza, possono essere modificate.
Quanto ai problemi di ordine sostanziale, riaffiora nelle principali legislazioni europee il difficile rapporto con la proprietà materiale. Sulla base dell’assimilazione francese alla proprietà materiale, nella legislazione del Regno
( 56 ) L. Nomis di Cossilla, Memorie prese nelle varie sedute e nelle conferenze preparatorie tenute dalla Classe per il Codice civile nella Commissione di Legislazione, I, in Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Patetta. Autografi e documenti, Ms. 1357, f. 365; III, in
Biblioteca Patetta, Università di Torino, 11.B.22, f. 2408.
( 57 ) Ibid., I, f. 365.
( 58 ) « Si fa menzione nell’esporre i motivi dell’aggiunta fatta per dare agli autori la proprietà delle produzioni dell’ingegno, aggiunta richiesta anche dallo sviluppo delle scienze e
delle arti, ma che le contraffazioni che pur troppo si permettono tra Stati e Stati, e singolarmente nel Belgio, a riguardo della Francia e nelle diverse province d’Italia fra loro, rende
quasi inutile. L’ingiustizia ne è somma, tutti la riconoscono, ed i sovrani non sono da tanto
di farla cessare unendosi una volta davvero a benefizio comune, e dei loro sudditi... Nel
Belgio si stampano contemporaneamente i libri che si stampano a Parigi, e si danno alla
metà prezzo, e meno ancora »: ibid., III, f. 2408.
( 59 ) Cfr. Processi verbali della R. Commissione di Legislazione. Classe del Codice civile
contenenti le discussioni che ebbero luogo nella stessa classe per la prima redazione del
progetto del Codice civile, I, in Biblioteca Ruffini, Università di Torino, D.C.II.5, f. 243:
2.9.1831.
( 60 ) Ibid., f. 243v; cfr. altresì i Motivi dei Codici per gli Stati sardi, II, Genova 1856, p. LI.
( 61 ) Cfr. Codigo civil portuguez, approvado por carta de lei de 1 de julho de 1867, sexta
edição official, Lisboa 1892, artt. 570-640. Il Codice era stato anticipato da una legge dell’8
luglio 1851: Collecçao official da Legislação Portugueza, Lisboa 1852, p. 232-37; cfr. Diario do Governo, 18 Julho 1851, n. 167. Si veda anche il progetto del 1839 del deputato J.
Baptista de Almeida Garret, su cui cfr.: Dicionário de Literatura, II, Le Port 19944, p.
363-66; Dicionário de História de Portugal, dir. da J. Serrão, III, Lisboa 1980, p. 105-107.
442
LAURA MOSCATI
di Sardegna l’articolo sul diritto d’autore è immediatamente successivo a
quello di apertura del titolo « Della proprietà »: agli autori è attribuita la proprietà delle opere dell’ingegno mentre la loro tutela è demandata alle leggi
speciali (62). Ciò testimonia la volontà della Commissione di inserire il diritto
d’autore al centro della disciplina del diritto di proprietà e quindi della perdurante assimilazione di questo diritto alla proprietà materiale. La medesima
impostazione, anche se con importanti modifiche lessicali, è confermata dal
primo Codice italiano unitario del 1865 (63).
Nel Codice portoghese, invece, i diritti degli autori sono regolati, con una
posizione autonoma e innovativa, all’interno della parte relativa all’acquisizione dei diritti nel capitolo del lavoro. Pur collocata al di fuori della proprietà, la proprietà letteraria è regolata come tutte le altre proprietà mobiliari,
salvi i casi, dovuti alla sua particolare natura, in cui la legge stabilisca il contrario (64). Allo stesso modo, nel Codice italiano del 1942 (65) i diritti sulle
opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali sono disciplinati nel nuovo libro V « Del lavoro » (66), nell’ambito della regolamentazione dell’attività economica e dell’impresa.
Strettamente legato con l’aspetto appena esaminato è quello d’ordine lessicale. L’apparente solidità semantica nasconde una fluidità, per non dire una
difficoltà, di definizione del diritto che non sopravvive al vaglio del tempo. In
effetti, in Italia in particolare, il primo Codice unitario ripropone la sistematica del Codice del Regno di Sardegna, ma sostituisce il termine « proprietà »
con « diritto d’appartenenza » (67).
Inoltre, nel Codice del 1942 la locuzione « diritto esclusivo » di pubblicazione dell’opera e di utilizzazione economica assume un significato ben diverso da quello di « diritto di proprietà ». Sembra riemergere, quindi, a lunga distanza, e magari anche sotto altre sollecitazioni, la difficile classificazione di
questo diritto, che lo aveva escluso dal Code civil. Ciò permette di comprendere alcune difficoltà attuali della nostra dottrina che oscilla tra diritto di
proprietà e diritto di privativa, come tendenza ancora viva volta a inquadrare
la tutela delle creazioni intellettuali nell’istituto del monopolio (68).
( 62 ) Codice civile per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, 1837, art. 440: « Le produzioni dell’ingegno umano sono proprietà dei loro autori, sotto l’osservanza delle leggi, e dei regolamenti che vi sono relativi ».
( 63 ) Codice civile del Regno d’Italia, 1865, art. 437: « Le produzioni dell’ingegno appartengono ai loro autori secondo le norme stabilite da leggi speciali ».
( 64 ) Codigo civil portuguez, 1867, art. 590.
( 65 ) Codice civile del Regno d’Italia, 1942, artt. 2575-2594.
( 66 ) Cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile, in Gazzetta Ufficiale del
Regno d’Italia, n. 79 bis: 4 aprile 1942, p. 235-36.
( 67 ) Codice civile del Regno d’Italia, 1865, art. 437.
( 68 ) Cfr. G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di C. Angelici e G.B. Ferri,
Torino 200612, p. 137.
IL CODE CIVIL E IL DESTINO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
443
È singolare, ancora una volta, la situazione portoghese in cui vengono
usati ambedue i termini: « propriedade » dell’autore sulla sua opera e « dereito exclusivo » dello stesso alla sua riproduzione e al suo sfruttamento (69).
La sostituzione del termine proprietà con diritto esclusivo era già stata
adottata da numerose leggi e convenzioni europee e, dopo più di vent’anni,
anche dalla Convenzione di Berna del 1886 che, dopo essere stata oggetto di
diverse modifiche, è ancora oggi in vigore. Attualmente sembra prevalere la
posizione centrale del « diritto esclusivo » privilegiando così il diritto morale,
le cui caratteristiche si riferiscono ai diritti della persona, rispetto alla proprietà intellettuale nella sua espressione polisemica (diritto d’autore e diritto
dei brevetti).
Invece, nella dottrina francese, come dimostrano alcuni recenti interventi
(70), resta più saldo il legame con la proprietà, rafforzato dalla stessa utilizzazione del termine. Peraltro, non si tratta, soltanto di una differenza terminologica, che può essere spiegata solo da un’attenta analisi delle radici storiche.
Un ulteriore elemento caratteristico per il destino della proprietà intellettuale in Europa, che ha, peraltro, una specifica validità attuale, è costituito
dalla diffusione del modello francese e dalla forza espansiva del sistema del
diritto d’autore, accompagnata da un’accentuata dimensione internazionale
che rappresenta una peculiarità dell’istituto. Peculiarità più volte sottolineata
dagli specialisti che ne hanno evidenziato le caratteristiche. In realtà, si tratta
di un diritto che è, più di altri, indifferente all’articolazione nazionale del territorio, dal che deriva, come conseguenza più generale, una concezione globale della sua stessa natura.
Anche in questo caso, l’analisi storica ci aiuta a capire meglio la questione. Mi riferisco all’emergere, fin dalle origini, dell’esigenza di dar vita a convenzioni internazionali per regolare la materia. Questi trattati derogano alle
singole leggi nazionali e contribuiscono ad assicurare, pur con alcune diversità di impostazione, una sostanziale uniformità di disciplina nelle legislazioni
dei principali paesi (71). La prima è quella del 1840 tra il Regno di Sardegna
e l’Austria (72), con un trattato nato per bloccare le contraffazioni e le ristam( 69 ) Codigo civil portuguez, 1867, art. 576.
( 70 ) Cfr., in particolare, La propriété intellectuelle en question(s). Regards croisés européens, Paris 2006 e le relative discussioni.
( 71 ) A questo riguardo si vedano le interessanti riflessioni di F. Ruffini, De la protection
internationale des droits sur les oeuvres littéraires et artistiques, Paris 1927.
( 72 ) Cfr. Convention entre S. M. le Roi de Sardaigne et S. M. l’Empereur d’Autriche en
faveur de la propriété littéraire, et pour empêcher la contrefaçon des productions scientifiques, littéraires et artistiques, in Traités publics de la royale maison de Savoie, VI, Turin
1844, p. 156-67, 22 maggio 1840; si veda in particolare C. Solaro della Margharita, Memorandum storico politico, Torino 1930, p. 152-53. Numerosi documenti, riguardanti soprattutto la corrispondenza diplomatica relativa al trattato, sono pubblicati da G. A. Ubertazzi, I Savoia e gli autori, Milano 2000, p. 166-265. La novità della legislazione carloalbertina in materia è ricordata nei lavori comparatistici della coeva dottrina francese: cfr. in
444
LAURA MOSCATI
pe in altri paesi, che il diritto dei singoli ordinamenti e il Codice penale in
specie non erano stati sufficienti a fermare, per la natura stessa delle opere
che circolavano al di fuori dei singoli territori.
La convenzione con l’Austria, alla quale hanno aderito quasi tutti gli Stati italiani preunitari, viene recepita anche in altri paesi ma, soprattutto, viene
riprodotta in analoghe convenzioni binazionali e trinazionali tra i principali
paesi. La circolazione del modello europeo del diritto d’autore, fondandosi
sulla legislazione francese e su tutte quelle che a essa si erano ispirate (73), ha
per effetto immediato la stipula di un numero considerevole di convenzioni
con la Francia (74), a testimonianza della centralità di quello Stato e della volontà di una normativa comune, che costituiscono la base delle convenzioni
internazionali successive ancora in vigore. Il terreno era ormai arato per una
riflessione globale.
In questo senso, appare emblematico il Congresso di Bruxelles svoltosi
nella metà del XIX secolo (75), dove si riuniscono per la prima volta tutti i
paesi europei e gli Stati Uniti per studiare una legislazione comune sul diritto
d’autore. È così che il diritto d’autore oltrepassa l’oceano iniziando un percorso che lo condurrà, negli ultimi anni, ad avvicinarsi al copyright.
Scopo del Congresso era quello di sopprimere tutte le differenze nazionali
per quel che concerne i vantaggi conferiti dalla legge agli scrittori e agli artisti
e per preparare una legge universale sulla proprietà intellettuale. Il Congresso
non poteva ovviamente assumere il ruolo di legislatore, ma poteva individuare le questioni principali e fissare i principi essenziali di tutta la legislazione
avanzata.
Sul piano della riflessione dottrinale, il Congresso si orientò, con un evidente richiamo alla dottrina del XVIII e dell’inizio del XIX secolo, ad assimiparticolare E. Blanc-A. Beaume, Code général de la propriété industrielle littéraire et artistique, Paris 1854, p. 536; J. Pataille-A. Huguet, Code international de la propriété industrielle, artistique et littéraire, Paris 1855, p. 318-19; D. Dalloz-A. Dalloz, Jurisprudence
générale. Répertoire méthodique et alphabétique de législation de doctrine et de jurisprudence, XXXVIII, Paris 1857, p. 447 e sottolineata con particolare favore da A. Nion, Droits
civils des auteurs, artistes et inventeurs, Paris 1846, p. 24.
( 73 ) Si veda in tal senso la legge belga che contiene gli elementi caratterizzanti della
Convenzione di Berna, che verrà emanata nello stesso anno, e in cui la tutela normativa si
sofferma ampiamente sugli aspetti morali: « c’est-à-dire la production d’une chose qui
n’existait pas auparavant et qui est tellement personnelle à l’auteur qu’elle forme comme
une partie de lui-même ». Cfr. J. De Borchgrave, Les droits des auteurs et des artistes
étrangers en Belgique, in Journal du droit international privé et de la jurisprudence comparée, 14, 1887, p. 403-17.
( 74 ) Il percorso comune condotto dai vari paesi, a cominciare dalla Francia e dal Belgio,
è ben evidenziato da V. Cappellemans, De la propriété littéraire et artistique en Belgique et
en France, Bruxelles-Paris 1854.
( 75 ) Il congresso si è svolto nel 1858. Cfr. E. Romberg, Compte rendu des travaux du
congrès de la propriété littéraire et artistique, 2 voll., Paris-Londres 1859; J. Delalain, Législation de la propriété littéraire et artistique suivie des conventions internationales, nouvelle édition revue et augmentée, Paris 1858.
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lare la proprietà di un libro e quella di un quadro alla proprietà della terra o
di una casa e, di conseguenza, non trovò motivo di limitarne la durata. Ma in
pratica, il Congresso si rifece al lavoro dei legislatori francesi che avevano rifiutato di concedere la perpetuità del diritto d’autore, considerando la proprietà letteraria costituita da elementi speciali e ammettendone soltanto il godimento per un tempo limitato.
7. — La richiesta di una proprietà letteraria perpetua, sulla quale si erano ampiamente dilungati gli intellettuali illuministi, riapparve a più riprese,
in maniera più o meno evidente, nel corso di tutto il XIX secolo fino alla Convenzione di Berna del 1886 per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, alla quale hanno progressivamente aderito pressoché tutti i paesi del
mondo ad eccezione, per quasi un secolo, degli Stati Uniti. Tale Convenzione
è tutt’oggi in vigore e costituisce la conclusione ideale del nostro percorso.
Essa si caratterizza per il fatto di attribuire espressamente agli autori il
diritto esclusivo di sfruttare le proprie opere, a differenza della Convenzione
di Parigi del 1883 sulla tutela della proprietà industriale, in cui viene adoperato il termine proprietà. Saranno i trattati internazionali, come l’OMPI o i
TRIPS, del XX secolo, su probabile influenza americana, a utilizzare la proprietà intellettuale nel suo significato polisemico, in cui si riecheggiano le importanti anticipazioni della dottrina francese del primo Ottocento.
È, quindi, solo con la Convenzione di Berna, che trova il suo fondamento
nella legge del 1793 e in tutte le successive importanti aggiunte e modifiche
formali e sostanziali, che si stabilizzano alcune delle questioni rimaste in sospeso nel corso del secolo: il diritto d’autore come legislazione speciale, i diritti ereditari temporanei e non perpetui accompagnati dal consolidamento della
proprietà a termine, l’inquadramento significativo della doppia anima morale
e patrimoniale dell’istituto e, di conseguenza, di un diritto misto, inerente a
sfere giuridiche diverse.
Il lungo processo legislativo francese si conclude soltanto con la legislazione speciale del 1957 e con il nuovo Codice della Proprietà Intellettuale, nel
quale si rafforza la coesistenza dei due diritti: « L’auteur d’une oeuvre de l’esprit jouit sur cette oeuvre, du seul fait de la création, d’un droit de propriété
incorporelle exclusif et opposable à tous » (76).
La forza espansiva della normativa francese, al di là delle considerazioni
sulla sua esclusione dal Code che potrebbero sembrare limitative, è emersa in
tutta la sua grandezza e ha fatto in modo che un istituto relegato ai margini
sia stato comunque esportato in Europa e, sulla base della regolamentazione
francese, inserito in alcuni codici stranieri.
( 76 ) M. Vivant-J.-L. Bilon (eds.), Code de la propriété intellectuelle, Paris 2007, art.
L.111-1. Cfr. A. Lucas, H.-J. Lucas, Traité de la propriété littéraire et artistique, Paris
20012. Il Codice, adottato il 1 luglio 1992, raggruppa le leggi dell’11.3.1957 e del
3.7.1985.
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LAURA MOSCATI
Il diritto d’autore francese, con l’eredità lasciata dal XIX secolo, resta alla base di tutte le costruzioni continentali europee, contrapponendosi a lungo
al diritto anglo-americano che tuttavia ha cominciato ad ispirarsi ad esso nel
tentativo di un percorso comune. Da una cinquantina d’anni, infatti, i due sistemi tendono ad avvicinarsi e oggi ancora di più perché gli Stati Uniti hanno
finito per aderire nel 1989 alla Convenzione di Berna. Il sistema americano è,
quindi, allineato alle leggi europee: le opere sono protette per settant’anni
esattamente come da noi; sempre di più si constata che la giurisprudenza
americana consacra il diritto morale, il diritto di paternità e quello di integrità (77).
Ma da una ventina d’anni, si è arrivati, e lo hanno fatto gli economisti in
particolare, a parlare non solo di abolizione della proprietà intellettuale, ma
anche di dematerializzazione delle opere dell’ingegno e questo rischia di provocare sconvolgimenti sociali ed economici dei quali è difficile determinare la
portata. Evidenziando i benefici piuttosto che i costi sociali, alcune posizioni
recenti non intendono rifiutare l’utilizzo degli strumenti della proprietà intellettuale, ma desiderano un miglioramento della tutela di questo diritto, richiamando, in particolare, l’attenzione sul fatto che le innovazioni avvengono
principalmente negli Stati avanzati a discapito di quelli in via di sviluppo che
possiedono, invece, le risorse necessarie alla loro realizzazione.
Con l’intenso programma di « codification à droit costant », dalla fine
degli anni Ottanta sono stati promulgati in Francia circa sessanta codici, tra i
quali quello sulla proprietà intellettuale, provocando un fenomeno definito di
inflazione legislativa (78), teso a riunificare tutto il materiale esistente e non a
selezionarlo e ricondurlo ai principi generali del diritto.
Inoltre, sulla scia della revisione di parti del Code civil, attuata fin dagli
anni Settanta e concentrata soprattutto sul libro I, a cavallo del bicentenario
del Code abbiamo visto rifiorire iniziative di revisione dell’intero Codice o di
sue parti, di cui si vedono i primi effetti nel recente « avant-projet » di riforma del diritto delle obbligazioni (79) e del libro dei beni (80).
( 77 ) Cfr. in questo senso le osservazioni di A. Baremboom: Situation actuelle du droit
d’auteur. Entretien avec Alain Barenboom (2001), in J. Baetens (ed.), Le combat du droit
d’auteur, Paris 2001, p. 171-86.
( 78 ) Cfr. N. Molfessis, Le Code civil et le pullulement des codes, in 1804-2004. Le
Code civil. Un passé, un présent, un avenir, Paris 2004, p. 309.
( 79 ) Mi riferisco a P. Catala (ed.), Avant-projet de reforme de droit des obligations et
de la prescription, Paris 2006. Del testo dell’avant-projet, redatto da un gruppo di giuristi
francesi sotto la direzione di Pierre Catala, è stata appena pubblicata presso il Consiglio
Nazionale Forense una traduzione italiana a cura di G.B. Ferri e P. Spada. Sui problemi attuali europei relativi alle traduzioni dei testi giuridici, cfr. E. Ioriatti Ferrari, La traduzione del diritto comunitario ed europeo: riflessioni metodologiche. Atti del convegno tenuto
presso la Facoltà di giurisprudenza di Trento, 10-11 marzo 2006, Milano 2007.
( 80 ) L’Associazione Henry Capitant ha istituito, nel luglio 2006, un gruppo di lavoro
per la riforma del diritto dei beni, presieduto da Hugues Périnet-Marquet, di cui si può già
IL CODE CIVIL E IL DESTINO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
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Nel quadro di questo fenomeno, si potrebbe valutare l’opportunità di inserire uno o più articoli sulla proprietà intellettuale nel rinnovato Code civil.
Mi riferisco ovviamente ai soli principi generali e non alla regolamentazione
specifica, sulla scia dei primi codificatori italiani e come è avvenuto ora per la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (81). L’autonomia delle regole relative al diritto d’autore e la peculiarità del loro oggetto, potrebbero da
un lato sconsigliare tale inserimento, ma dall’altro lato renderlo opportuno
perché necessario giungere a una definizione della natura di tale istituto prevedendo una sezione speciale ed autonoma per la sua trattazione, al fine di rispondere alle tendenze attuali.
Anzi, è stata recentemente al centro delle polemiche, la discussione al Senato francese su un progetto di legge sulla licence globale e cioè sulla possibilità di copiare un’opera per uso personale o collettivo. Ma la maggior parte
dei creatori ha ritenuto la licence globale lesiva dei propri diritti e ha difeso il
testo governativo che li tutelava e che ne individuava la remunerazione. La
versione iniziale del progetto è stata talmente modificata che, in definitiva, si
può considerare abbandonata l’idea di una licence globale, ancora una volta,
per la forte presa di posizione degli stessi autori.
Sarebbe, quindi, necessario costruire la proprietà intellettuale come diritto dell’innovazione, con l’applicazione di vantaggi competitivi per l’innovatore stesso (82). Su questa spinta sarebbe auspicabile un intervento rigoroso del
legislatore, inteso a definire una volta per tutte la natura della proprietà intellettuale che imporrebbe anche una sua legittimazione antropologica, in grado di soddisfare le esigenze sociali, quelle individuali, e anche quelle di mercato (83).
vedere L’immeuble et le code civil, in 1804-2004. Le Code civil. Un passé, un présent, un
avenir, cit., p. 395-408.
( 81 ) Cfr. Una costituzione per l’Europa. Progetto di trattato, art. 17, comma 2o: « La
proprietà intellettuale è protetta ».
( 82 ) Cfr. R. A. Posner, Intellectual Property: The Law and Economic Approach, in The
Journal of Economic perspectives, 19, 2005, p. 57-73.
( 83 ) M-A. Frison-Roche-A. Abello (eds.), Droit et économie de la propriété intellectuelle, Paris 2005.