INDICE - servizio di fisica medica e radi

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INDICE - servizio di fisica medica e radi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
MASTER DI I LIVELLO
EDUCATORE ESPERTO PER LA DISABILITÀ SENSORIALI
TESI DI MASTER
EEDS:
“ LA SORDITÀ E L’ ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO
NEL BAMBINO SORDO”
Relatore
Dotta.ssa M. Nalli
Specializzanda
Dott.ssa Alessia Grazia Minniti
Anno Accademico
2010-2011
INDICE
1
INTRODUZIONE
pag. 4
I CAPITOLO “ L'apparato uditivo”
1.1 Anatomia e fisiologia dell'orecchio
pag. 7
1.2 Ipoacusia di trasmissione ed ipoacusia neurosensoriale
pag. 9
1.3 Origine e gradi di sordità
pag. 12
1.4 Sordità e sistema sensoriale
pag. 14
II CAPITOLO “ La prima scuola: l'acquisizione del linguaggio”
2.1 Sviluppo linguistico
pag. 19
2.2 Il ruolo della famiglia
pag. 21
2.2.1 Bambini sordi figli di genitori sordi
pag. 22
2.2.2 Bambini sordi figli di genitori udenti
pag. 23
2.3 Scelta linguistica: metodi ed approcci educativi
pag. 27
2.3.1 Metodo oralista
pag. 28
2.3.2 Metodo bimodale
pag. 30
2.3.3 Educazione bilingue
pag. 31
2.4 Usare la lingua senza le parole
pag. 33
III CAPITOLO “ L'educazione dei sordi oggi”
3.1 Chi è il logopedista
pag. 36
3.2 L'intervento logopedico
pag. 38
3.3 Rieducazione e riabilitazione logopedica
pag. 41
3.3.1 Allenamento acustico
pag. 43
3.3.2 Esercizi respiratori
pag. 45
3.3.3.Esercizi preparatori all'impostazione dei fonemi
pag. 45
3.3.4 Impostazione dei fonemi
pag. 46
3.4 Trattamento delle ipoacusie
pag. 48
3.5 Psicomotricità, Musicoterapia, Mezzi Audiovisivi e Multimediali pag. 50
2
IV CAPITOLO “ Il bambino sordo a scuola”
4.1 Breve viaggio intorno all’educazione dei sordi
4.1.1 La situazione italiana
pag. 54
pag. 55
4.2 Il bambino sordo a scuola
pag. 57
4.3 La didattica speciale per il bambino sordo
pag. 61
4.4 Metodologie e strategie didattiche
pag. 64
V CAPITOLO “L’assistente alla comunicazione: un aiuto in più per
l’integrazione scolastica del bambino sordo”
5.1 L’assistente alla comunicazione: la legge 104/92, ruolo e competenze
pag. 68
5.2 Operare nel contesto scolastico: il piccolo mondo degli
assistenti alla comunicazione
pag. 70
CONCLUSIONI
pag. 74
BIBLIOGRFIA
pag. 76
SITOGRAFIA
pag. 81
3
INTRODUZIONE
“Devi essere sordo per capire”
Che cosa c’è di più terribile che essere un bambino,
a scuola, in una stanza vuota di suono
con una maestra che parla parla e parla;
e quando ti viene vicino
si aspetta che tu abbia capito le sue parole?
Devi essere sordo per capire.
……………………………………..
Riduzione tratta da una poesia di
Willard J. Madsen
Questa poesia è stata scritta da Willard J. Madsen, docente sordo del
Gallaudet College, l’università per sordi più famosa nel mondo. Scrivendo
questa poesia, Madsen ha voluto comunicarci quante siano le difficoltà
relazionali e comunicative che una persona sorda incontra quotidianamente
nelle diverse situazioni, tra le quali le difficoltà scolastiche. Ha sintetizzato
in semplici parole tutto il percorso di una vita fatta di sacrifici, delle sue
sofferenze e dei pregiudizi della gente, aspetti che purtroppo rappresentano
la realtà ancora attuale. Partendo proprio da queste riflessioni, l’intento
primario di questa tesi consiste nell’analisi delle maggiori difficoltà sociali
che incontra un bambino sordo, e che dovrà affrontare nel corso della sua
vita, prendendo atto che il problema maggiore per un bambino sordo è
rappresentato dalla comunicazione. Il limite di comunicazione che pone la
sordità, sarà superato solo se attorno al bambino ci sarà la presenza di
persone (quali famiglia, logopedista, insegnanti, educatori, assistente alla
comunicazione..) in grado di indicargli la strada giusta in base alle sue
esigenze comunicative e sociali. Tali
4
figure potranno avere un riscontro positivo o negativo che si manifesterà
durante gli anni della sua crescita, e in particolare all’interno del contesto
socio-culturale.
La realtà scolastica, in maniera particolare, è il contesto nel quale tutto ciò
che è stato vissuto prima viene messo in atto: acquisizione del linguaggio,
livello di comunicazione, capacità di adattamento e sviluppo cognitivo.
L’istituzione scolastica influenza, con la sua organizzazione, a volte, con i
suoi pregiudizi, la vita del bambino che dovrebbe essere assolutamente
normale, ma che è priva solo della capacità di sentire.
La scelta di questo argomento ha la pretesa di voler dare una visione
pertinente delle principali tappe di vita di un bambino sordo, soffermandosi,
soprattutto, sulla possibilità di migliorare l’organizzazione scolastica, al fine
di aiutare il bambino a superare le difficoltà comunicative e di
apprendimento.
La tesi è suddivisa in 5 capitoli.
Nel I capitolo si analizzano la struttura dell'apparato uditivo, l'insorgenza e
le cause della sordità; Solo in Italia i bambini audiolesi sono circa 100.000.
Un bambino su sette nati prematuri è audioleso, mentre la perdita uditiva a
causa dell’inquinamento acustico è in continuo aumento. L’esigenza di avere
personale educativo specializzato in tale patologia è il motivo principale che
ci spinge a fare dell’ipoacusia infantile l’oggetto della nostra tesi.
Il secondo capitolo presenta la strada che un bambino sordo intraprende
all’inizio del suo percorso, ovvero l’acquisizione di un linguaggio, con
particolare riferimento al ruolo che la famiglia riveste e alle diverse scelte
linguistiche che la stessa adotta. Tali scelte verranno effettuate soprattutto
dal contesto familiare in cui il bambino nasce; difatti, saranno presentati due
casi possibili ben precisi: bambini sordi figli di genitori sordi e bambini
sordi figli di genitori udenti. Questa prima parte ha lo scopo di far capire
quanti e quali siano i limiti che un bambino sordo incontra sin dall’infanzia
e che avranno riscontro nelle tappe successive della sua crescita cognitiva e
sociale. La famiglia, composta da genitori sordi o udenti, rappresenta il
5
primo vero supporto a cui il bambino fa riferimento; tale supporto tuttavia,
non sempre risulta pronto a sostenere e a volte accettare il deficit uditivo. A
tutto ciò si aggiungono le difficoltà linguistiche, nella lingua parlata e scritta,
che influenzeranno la vita scolastica e comunicativa.
Nel III capitolo dopo un’esposizione di tali fermenti, che si concluderanno
nel 1880 con il Congresso Internazionale di Milano e che segnerà la vittoria
del metodo orale su quello gestuale, si presenterà la figura del “logopedista”
con una sommaria descrizione di strategie logopedico - riabilitative che
vengono messi a punto da questo professionista del linguaggio al fine di
favorire un adeguato sviluppo linguistico e cognitivo nel bambino audioleso.
Il IV capitolo affronta la tematica del bambino sordo a scuola. Dopo un breve
viaggio attorno all’educazione dei sordi, viene presentata la situazione
italiana con particolare riferimento alla legge 517/77, legge che ha
capovolto radicalmente il quadro scolastico sull’istruzione dei sordi.
All’interno del capitolo si discute, inoltre della didattica speciale per il
bambino sordo e delle diverse e possibili metodologie da utilizzare in
ambito scolastico. Nello specifico sono state prese in esame tutte le varie
strategie comunicative da applicare all’interno della classe sia da parte dei
docenti sia dei compagni, in quanto l’obiettivo principale dovrebbe essere
innanzitutto basato sulla realizzazione di una vera e propria integrazione e
non su un semplice inserimento.
Il V ed ultimo capitolo propone l’introduzione all’interno del contesto
scolastico dell’assistente alla comunicazione, figura professionale prevista
dalla legge 104/92 ma di cui non si delinea ancora un preciso profilo
professionale. Tale ruolo sarà presentato come una vera e propria risorsa in
più di cui la scuola può usufruire per
concretizzare il progetto di
integrazione dei sordi nella scuola di tutti, considerando le dinamiche di
collaborazione e rispetto dei ruoli delle diverse figure che accompagnano il
bambino durante tutto il suo percorso scolastico.
CAPITOLO 1
6
L'APPARATO UDITIVO
1.1 Anatomia e fisiologia dell’orecchio
L’apparato uditivo è costituito da un organo periferico, l’orecchio, organo
dell’udito, posizionato in un osso del cranio definito con il termine osso
temporale, e da strutture nervose centrali.
Da un punto di vista anatomico l'orecchio viene suddiviso in tre parti:
orecchio esterno, orecchio medio e orecchio interno. ( Fig.1)
L'orecchio esterno1: è costituito dal padiglione auricolare, e dal condotto
uditivo esterno, entrambe composti da cartilagine, i quali hanno il compito di
proteggere le strutture interne. La parte centrale, prende il nome di conca e
si caratterizza per l’apertura del condotto uditivo esterno. Il condotto
uditivo esterno termina con la membrana del timpano, la quale divide
l'orecchio esterno dall'orecchio medio.
Compito dell'orecchio esterno è quello di captare le onde sonore e
convogliarle verso la membrana del timpano.
L’orecchio medio2: è costituito da una cavità piena d'aria contiene il
complesso timpano - ossiculare, costituito dal martello, incudine e staffa. La
staffa per mezzo della platina, si colloca nella finestra ovale circondata dal
ligamento anulare, i tre ossicini, invece, sono sospesi nella cassa timpanica
per mezzo di ligamenti e muscoli.
Il complesso timpano – ossiculare permette di recuperare la quota di energia
sonora persa dalle vibrazioni nel passaggio dell’aria ai liquidi endococleari,
permettendo una efficace trasmissione del suono all’orecchio interno.
Per far sì che la membrana del timpano possa vibrare correttamente,
l'orecchio medio è connesso alle cavità nasali attraverso un sottile condotto
osteo-cartilagineo, la tuba di Eustachio.
1 Vittorio Colletti, Marco Carner, “ Argomenti di ORL” p.7 Dispensa Master EDDS, a.a.2010/2011
2 Ibidem p.8
7
L'onda sonora pervenuta attraverso il condotto uditivo esterno, viene
amplificata. Per evitare che rumori intensi e improvvisi possano provocare
lesioni all'organo dell'udito, l'orecchio medio possiede un meccanismo di
protezione detto riflesso stapediale.
Orecchio interno3: ha una struttura molto complessa, è principalmente
caratterizzato dal vestibolo, dalla coclea (sezione uditiva dell’orecchio), dal
sacculo, dall’utricolo e dai canali semicircolari, tali strutture formano il
labirinto membranoso.
Nel labirinto si distinguono due porzioni, ciascuna deputata ad una funzione
specifica.
La porzione anteriore, coclea (chiamata così per la sua forma a spirale che
ricorda una chiocciola), appartiene funzionalmente all'apparato uditivo,
mentre il labirinto posteriore (costituito dal vestibolo e dai canali
semicircolari) partecipa alla regolazione dell'equilibrio.
La coclea è costituita da tre canali avvolti aspira su se stessi: la scala
timpanica, la scala vestibolare e il dotto cocleare o meglio definita scala
media.
All'interno dei due spazi laterali circola un liquido di composizione simile al
liquor cerebrale, la perilinfa, mentre nel compartimento interno si trova l'
endolinfa.
L'onda sonora che arriva all'orecchio interno come stimolo meccanico,
viaggia lungo tutta la coclea stimolando i recettori uditivi contenuti nel
canale cocleare dove si trovano le cellule cocleari riunite nell'organo del
Corti. Queste modificano l'onda sonora, trasformando il segnale meccanico
in un segnale bioelettrico, comprensibile al nostro cervello.
Le cellule dell'organo del Corti sono connesse alle fibre nervose del nervo
acustico le quali portano il segnale bioelettrico al tronco dell'encefalo, qui il
segnale viene ulteriormente analizzato ed elaborato, quindi
propagato
3 Ibidem p.9
8
verso la corteccia cerebrale dove finalmente raggiunge il livello di
coscienza.
(Fig.1)4
1.2 Ipoacusia di trasmissione ed ipoacusia neurosensoriale.
Il termine ipoacusia5 indica una diminuzione della sensibilità uditiva, la
perdita completa della funzione udita, invece, viene denominata con il
termine di anacusia o cofosi.
4 www.Audika.it
5 Ibidem p.22
9
E’ possibile distinguere l’ipoacusia in:
Trasmissiva: legata a problemi a livello del condotto uditivo, del timpano o degli
ossicini
Neurosensoriale: quando la patologia interessa la coclea o le fibre del nervo
acustico
Mista: determinata da lesioni dell’orecchio interno ed orecchio esterno
L’ipoacusia può essere legata a traumi cranici o a deficit vascolari, può
quindi insorgere in maniera improvvisa o avere un decorso lento e fluente.
Nell’ambito di un’ipoacusia neurosensoriale è poi importante distinguere le
forme legate all’incapacità della coclea di trasformare l’onda sonora in un
segnale bioelettrico (ipoacusia neurosensoriale cocleare) da quelle in cui la
successiva propagazione del segnale cocleare, normalmente generato, è
alterata a causa di un problema a livello del nervo acustico (ipoacusia
neurosensoriale retrococleare).
La diagnosi di ipoacusia trasmissiva o neurosensoriale, in un soggetto che
presenta una riduzione della capacità uditiva, è possibile mediante un esame
audiometrico, che consente di formulare un giudizio diagnostico topografico
della lesione uditiva, e può distinguersi in audiometria tonale o audiometria
vocale ambedue eseguiti in ambienti insonorizzati.
Audiometria tonale: vengono inviati al paziente una serie di toni di varia
intensità per valutare la capacità della funzione uditiva. L'esame si svolge in
due fasi:
a) ricerca della soglia (minima capacità uditiva) per via aerea poiché la
trasmissione sonora avviene attraverso il sistema timpano – ossiculare,
consentendo in un primo momento una valutazione dello stato dell’orecchio
esterno e medio, il tutto viene effettuato mediante la somministrazione di
toni puri con l’ausilio di cuffie
10
b) ricerca della soglia per via ossea (trasmissione sonora attraverso le
strutture craniche), nello specifico si esegue utilizzando un vibratore che
viene appoggiato sull'osso dietro l'orecchio (mastoide).
Audiometria vocale: consente di valutare la comprensione del linguaggio
attraverso l’esplorazione della funzione uditiva, rispetto all’intellegibilità
della parola vengono somministrate ad intensità variabile mediante
l'audiometro liste di 10 parole standard. La percentuale delle parole
correttamente identificate viene riportata sul grafico.
Se dall'esame audiometrico risulta una perdita di tipo trasmissivo (la via
ossea normale e la via aerea alterata) e' opportuno consultare un
otochirurgo, infatti in questo caso e' possibile rimediare con un intervento
chirurgico.
Nella perdita dell'udito dovuta a difetti percettivi (mal funzionamento delle
cellule acustiche e/o del nervo) sia la via ossea che la via aerea sono alterate
in tal caso, per il paziente, l’unico intervento possibile è la protesizzazione o
il ricorso ad un impianto cocleare.
Tra le apparecchiature di audiometria messe oggi a disposizione, ritroviamo:
Elettrococleografia ABR (Auditory brainstem rsponse)6 - tecnica che
registra l’attività elettrica del nervo acustico e del troco encefalico, è una
delle tecniche più usata per un giudizio diagnostico topografico della lesione
uditiva.
S.V.R. registra l’attività elettrica della corteccia celebrale, utilizzata nel caso
bambini più piccoli, in quanto non vi è collaborazione da parte del paziente,
e spesso la somministrazione di tale tecnica viene effettuata durante la fase
del sonno del bambino o addirittura sotto anestesia.
Audiometria Comportamentale Insieme di metodiche attraverso le quali
possibile valutare soggettivamente le capacità uditive del bambino mediante
l’osservazione delle variazioni, riflesse o volontarie, del suo comportamento
in presenza di stimoli sonori.
6 Ibidem p 29-30
11
Molti tra questi test vengono effettuati nei cosiddetti screening neonatali o
dépistage
della sordità a titolo preventivo sulla fascia infantile, specialmente nei
soggetti arischio (ad esempio bambini nati prematuri o che hanno subito
traumi ostetrici, ecc.).
Un esempio di audiometria comportamentale è il BOA7 (Behavioral
Observation Audiometry) si concentra sulle osservazioni di reazioni
ottenute da stimoli sonori nei neonati e nei lattanti fino ai 5 mesi di vita. In
risposta all’invio dello stimolo sonoro si osservano variazioni posturali,
reazioni psicoemotive come grida, pianto succhiamento, blocco del respiro e
reazioni di allarme.
1.3 Origine e gradi di sordità
Una prima e fondamentale suddivisione dei tipi di sordità riguarda la
localizzazione del danno che comporta la conseguente perdita uditiva, in
quest’ottica possiamo distinguere:
• Sordità Trasmissive: (3-4% dei bambini) che interessano le parti
dell’apparato uditivo deputate alla trasmissione del suono (orecchio esterno e
orecchio medio), in questo caso le onde sonore non arrivano o arrivano
parzialmente distorte all’orecchio interno.
• Sordità percettive: (0,05% dei bambini) suddivise a loro volta in
neurosensoriali, quando l’anomalia riguarda l’orecchio interno e le
connessioni nervose ad esso prossime, e centrali, quando l’anomalia riguarda
i centri uditivi del cervello e le connessioni del nervo acustico: in tali casi la
trasmissione delle onde sonore avviene normalmente, mentre è compromessa
la trasformazione di tali vibrazioni in percezione uditiva.
7 G. Portioli, R. Ruberto, M. Lauriola_ http://biblioteca.asmn.re.it/
12
• Sordità mista: dovuta a sordità di tipo trasmissivo e neurosensoriale;
• Sordità centrale: dovuta a lesioni delle vie nervose uditive che collegano i
centri cocleari con le aree corticali.
Infine la sordità riguardo il momento dell’insorgenza; si distingue tra:
• Sordità pre-linguistica: ovvero prima del periodo critico che limita
l’acquisizione del linguaggio;
• Sordità post-linguistica: ovvero dopo l’acquisizione del linguaggio. In
base al grado, alla tipologia e all’età di insorgenza della sordità il bambino
incontrerà, nel corso della sua crescita, tante difficoltà che, con l’aiuto dei
genitori, dovrebbero essere affrontate e superate attraverso il metodo
educativo ritenuto più adeguato.
Inoltre la sordità può essere classificata in base al grado: (4 tipi diversi di
sordità)8:
• Sordità lieve: con una perdita compresa fra i 20 e i 40 db; dove solo la voce
bisbigliata viene percepita
• Sordità media: con una perdita compresa fra i 40 e i 70 db; la voce emessa
a livello di normale conversazione non viene udita perfettamente; ad
intensità superiore la persona percepisce i suoni ma ha una certa difficoltà a
discriminare le parole
• Sordità grave: con una perdita compresa fra i 70 e i 90 db; la persona
avente un tale deficit percepisce solo alcuni suoni delle parole anche se
pronunciate a intensità elevata
• Sordità profonda: con una perdita pari o superiore ai 90 db, esistono tre
livelli di sordità profonda; al terzo livello vengono percepiti solo i suoni più
gravi e intensi aventi una notevole componente vibratoria, come il rombo
del motore, lo sbattere della porta e pochi altri. La parola non viene
assolutamente udita per cui senza un ausilio protesico associato alla lettura
delle parole sulle labbra non è possibile alcuna forma di apprendimento del
linguaggio verbale.
8 Classificazione tratta da D. Fabbretti, E. Tomasuolo, “Scrittura e sordità” Carrocci, Roma, 2006, pag 41;
13
La sordità è un deficit “nascosto”, non visibile, che porta il soggetto ad avere
non pochi limiti nella vita affettiva e relazionale. Ciò che manca al bambino
sordo è la possibilità di sentire le parole e di rispettare le normali tappe di
sviluppo linguistico; la sordità, infatti, non è un deficit provocato da un
ritardo mentale, ma limita fortemente l’utilizzo del canale acustico - vocale
necessario per l’ascolto e l’articolazione dei suoni linguistici.
I bambini, nel loro normale sviluppo linguistico, imitano i suoni uditi
nell’ambiente, manifestando sempre di più la padronanza della lingua
verbale che diviene la loro lingua madre. Anche i bambini sordi nei primi
mesi di vita, presentano la produzione di suoni linguistici, ma la loro
“lallazione” è molto povera, in quanto manca il feedback acustico necessario
per la produzione e la comprensione della lingua verbale. Il non parlare è
una conseguenza del non sentire.
Spesso nel corso della storia si è parlato di “sordomutismo” o di “mutismo”;
in realtà tali definizioni potrebbero essere sostituite dal semplice termine di
“sordità”.
Come diceva Alfred Tomatis: “L’uomo parla nella misura in cui sente”9.
Tutto, infatti, è conseguenza dell’impossibilità di sentire se stessi e gli altri.
L’apparato fono - articolatorio dei bambini sordi risulta completamente
integro ed in grado di funzionare perfettamente come nei bambini udenti.
1.4 Sordità e sistema sensoriale
L’ udito, può essere considerato come strumento di esplorazione per
l'individuo, che, permette di collegare l'ambiente esterno con quello interno.
Ogni sistema sensoriale ha due componenti: una periferica che trasforma gli
impulsi fisici e chimici in impulsi nervosi rappresentata dagli organi di senso;
una centrale che trasmette gli impulsi nervosi dall'organo di senso alla
9 A. Tomatis 1977, citazione tratta da: R. Cavalieri, D. Chiricò, “Parlare segnare. Introduzione alla fisiologia e alla patologia
delle lingue verbali e segniche”, Il Mulino, Bologna, 2005, pag 113
14
corteccia cerebrale (ottimizzazione del messaggio, percezione) ed è
rappresentato dalla via sensoriale centrale. Per cui si può affermare che si
educa la capacità percettiva e non quella sensoriale e che si possono trovare
parametri ben distinti relativi all'una o all'altra capacità. I parametri dell'udito
possono essere classificati10:
− frequenza: la quale dipende dalla frequenza delle vibrazioni, e determina
quelli che comunemente noi conosciamo come, suoni gravi (al di sotto dei
500Hz) percepibili dal sistema uditivo per mezzo del recettore cocleare o ai
recettori utricolari e sacculari, per quanto riguarda la comunicazione, tali
frequenze stimolano nel cervello la zona della voce, delle vocali, e delle
strutture soprasegmentarie; medi (dai 500 ai 2000 Hz), i quali stimolano
prevalentemente l'Organo del Corti e dei recettori vibrotattili, per quanto
riguarda il linguaggio, tali frequenze stimolano la zona del cervello deputata
alla parola, consonanti e strutture segmentarie, quali i fonemi. In fine le
frequenze acute dai 2000 ai 20000 Hz.
− intensità: è la caratteristica che ci permettere di distinguere i suoni forti da
quelli deboli; in pratica quello che comunemente chiamiamo il volume del
suono. L’intensità è determinata dalla forza con la quale un corpo sonoro viene
messo in movimento e, di conseguenza, dall’ampiezza delle vibrazioni.
−timbro: la composizione in frequenza di un determinato suono.
I parametri operativi della percezione uditiva sono nove:11
1. Coordinazione uditivo - motoria: è la facoltà, molto precoce, per cui ad
uno stimolo – messaggio - segnale uditivo corrisponde un movimento di
risposta (es.: voltare la testa o la persona verso o via da una fonte sonora e
l’abilità di regolare il volume della radio agendo sull’apposita manopola). I
10 Vittorio Colletti, Marco Carner, “ Argomenti di ORL” Dispensa Master EDDS, a.a.2010/2011, p.9
11 Materiale on-line, II modulo “ Problemi e prospettive dell'intervento educativo speciale”, Dott.ssa Nalli
15
circuiti nervosi interessati verosimilmente non passano per la corteccia
cerebrale, ma hanno origine in settori più bassi del tronco. Per tale motivo la
coordinazione uditivo - motoria può essere presente in soggetti molto piccoli
ed anche con consistenti alterazioni cerebrali.
2. Separazione figura - sfondo: è l’elemento fondamentale e più
caratteristico di qualsiasi tipo di percezione e consiste nel saper scegliere in
un
determinato
momento
secondo
i
meccanismi
del
rapporto
segnale/rumore, quanto interessa, lasciando cadere il rimanente anche
quando si tratta della maggior parte del "suono”: non è necessariamente il
rumore più intenso quello considerato come oggetto, ma quello che interessa
di più (es.: poter seguire qualsiasi segnale acustico nel rumore, discriminare
uno strumento musicale nell’ambito di un’intera orchestra, prestare
attenzione chi dice le cose che ci servono o piacciono a chi parla più forte)
3. Discriminazione silenzio - sonorità: consiste nella capacità di prestare
attenzione ad una sonorità-stimolo all’interno di un silenzio "convenzionale"
(così definito perché nella vita di tutti i giorni esiste un rumore di fondo più o
meno intenso). L’analisi dell’andamento nel tempo della presenza o assenza
della sonorità permette la costruzione del ritmo sonoro. A livello di
progressiva difficoltà può essere tradotto in condotte motorie, grafiche e
verbali, ma solo dopo l’inizio della scolarità elementare
4. Costanza timbrica: rappresenta la facoltà di riconoscere un’individualità
sonora solo grazie alle sue caratteristiche timbriche ("è un aereo a reazione",
"c’è Mario che parla"). L’acquisizione di questa categoria è l’elemento
condizionante per la creazione di vocaboli e vocabolari, cioè il primo
patrimonio semantico concreto
5. Discriminazione suono/rumore: in natura prevalgono certamente i
rumori nei confronti dei suoni. Nella lingua parlata in Italia, il rumore (le
consonanti) pur rappresentando la parte che trasmette maggiori
16
informazioni, sono di norma piuttosto deboli e necessitano quindi di essere
associate a suoni di origine laringea (le vocali) in grado di apportare
maggiore energia alla parola. Ma nella voce parlata, oltre al messaggio
razionale veicolato dalle consonanti (rumore), c’è una parte prevalentemente
emotiva veicolata dalle vocali (dalla voce in sé). Questo messaggio emozionale
veicolato dal suono della voce deve essere particolarmente sviluppato nell’età
dello sviluppo come facilitazione alla comprensione del linguaggio verbale, per
saperlo poi comprendere, riprodurre, leggere e scrivere
6. Discriminazione sonorità impulsive/sonorità continue: le sonorità
impulsive (scoppi, oggetti che cadono o che sbattono, come le porte) sono
formati da consonanti occlusive ed esplosive altamente informative, ma che
hanno una durata così breve che spesso non è possibile l’analisi completa del
fenomeno uditivo da parte del nostro apparato. Per tale motivo spesso è
necessario, ai fini dell’analisi del suono impulsivo, valutare quali alterazioni e
modificazioni esse producano sulle sonorità continue che li seguono o li
procedono. Tale capacità permette di differenziare e di descrivere
correttamente fenomeni sonori impulsivi, quindi non prolungabili, quali
scoppi, oggetti che cadono, differenziandoli da rumori di trascinamento
(catene) o tipo sirene. La lingua italiana permette di differenziare tra loro le
occlusive continue (/p/, /t/, /b/, /s/, /v/ etc).
7. Percezione delle dinamiche melodiche: è la capacità di giudicare nel
tempo l’andamento dell’altezza e, di conseguenza, saper trarre informazioni
dal variare nel tempo di suoni semplici e complessi. In altre parole, una
melodia è caratterizzata non dal variare delle altezze (o frequenze) dei suoni
che la compongono, ma dal variare del loro rapporto. Il linguaggio parlato fa
uso di informazioni basate sulla costruzione melodica della frase, ed utilizza
queste caratteristiche per portare o rafforzare le informazioni: si pensi all’uso
dell’interrogativo, dell’esclamativo o dell’imperativo. Le caratteristiche che la
sequenza melodica aggiungono alla comunicazione verbale prendono il nome
di soprasegmentarie, perché non si esplicano su singoli segmenti
17
(rappresentati dai fonemi)
8. Percezione delle dinamiche di intensità: è la capacità di giudicare nel
tempo l’andamento dell’intensità (dB) e di trarre informazioni dal variare nel
tempo dei rapporti tra le intensità di sonorità successive. Si tratta anche in
questo caso di caratteristiche soprasegmentarie del linguaggio, che
permettono di evidenziare con sottolineature determinate parole o parti del
discorso. Da notare che molti tipi di protesizzazione acustiche hanno
dispositivi di regolazione automatica del volume (A.V.C.) che possono
annullare quasi del tutto la dinamica di intensità del linguaggio, introducendo
una distorsione del messaggio
9. Discriminazione tra suoni continui e suoni continui periodicamente
interrotti: si tratta di una categoria percettiva secondaria, il cui studio è stato
condotto soltanto per quanto riguarda la verbalità, in cui le consonanti R ed L
si distinguono solo per questo parametro.
CAPITOLO 2
LA PRIMA SCUOLA: L' ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO
2.1 Sviluppo linguistico
L'acquisizione del linguaggio rappresenta l'ostacolo principale per un
soggetto sordo: un bambino affetto da sordità prelinguale grave o profonda,
infatti, smette intorno ai sei mesi di vita, a produrre suoni e, senza un
intervento sistematico, non è in grado di apprendere il linguaggio verbale.
18
“Il linguaggio è la casa dell’essere. ella sua dimora abita l’uomo12”; tale
definizione ci aiuta ad introdurre la problematica sulla questione
dell’acquisizione del linguaggio nel bambino sordo e sulle difficoltà che il
bambino incontra durante il suo sviluppo. Nella “normalità” tutti i neonati
acquisiscono il linguaggio naturalmente poiché immersi in un mondo di
suoni e di parole. Il linguaggio è quella facoltà che permette ad ogni neonato,
e quindi ad ogni bambino, di imparare una lingua a patto di venire esposto
ad essa. A tutto questo si aggiungono le variazioni interindividuali
manifestate nei modi, nei tempi e nelle strategie di apprendimento collegate
al
sesso,
all’intelligenza,
alla
personalità
e
all’estrazione
sociale.
L’acquisizione del linguaggio rappresenta un prerequisito fondamentale
nell’ambito dell’apprendimento e della socializzazione. L’assenza del canale
acustico permette l’attivazione di un canale altrettanto funzionale per le
esigenze linguistiche: il canale visivo - gestuale che permette la realizzazione
di una vera e propria comunicazione.
Il linguaggio, infatti, è la proprietà specie - specifica degli esseri umani
attraverso la quale essi comunicano e che si realizza sotto forma di diverse
lingue. Ciò che è essenziale, dunque,non è tanto in che modo il bambino si
esprime, quanto la sua capacità di comunicare in qualsiasi modo e con
qualsiasi mezzo i propri bisogni, le proprie esigenze e di verbalizzare le
proprie paure, ansie ed emozioni.
Il linguaggio è comunicazione, ma la comunicazione non è linguaggio.
Nei primi mesi di vita non vi è distinzione di linguaggio tra i bambini italiani,
cinesi, americani, ecc…; la loro capacità comunicativa si basa su uno scambio
di sguardi e di suoni che non hanno ancora valore linguistico, accompagnati
dall’esecuzione di gesti deittici (quali dare, mostrare..) che traducono le loro
esigenze sociali e che vengono mantenuti anche dopo l’acquisizione del
linguaggio verbale.
I bambini sordi, però, non riescono a sviluppare come propria la lingua
verbale. La continua ricerca nel comprendere il significato dei fonemi “letti”
12 M. Heidegger, (a cura di F. Volpi), “Lettera sull'umanismo", Adelphi, Milano, 1995, pag. 84.;
19
sulle labbra dei genitori per poi essere riprodotti da loro stessi, è lunga e
difficile.
L’acquisizione del linguaggio, in questo caso, è una vera caccia al tesoro le
cui tappe sono rappresentate dalla presenza di figure professionali che
accompagneranno il bambino durante tutto il suo iter educativo.
Il bambino sordo dovrebbe essere in grado di raggiungere alcuni obiettivi
nell’uso del linguaggio. Il principale tra questi è quello di riuscire a poter
comunicare al meglio con tutti coloro che fanno parte della sua vita. I
bambini udenti imparano ad utilizzare la lingua verbale con l’uso della
stessa, al contrario, i bambini sordi non adotteranno mai l’uso diretto della
lingua verbale se non sottoposti ad una adeguata formazione linguistica.
Una delle principali conseguenze di una mancata acquisizione è il sentirsi
continuamente inadeguato in un mondo che il bambino non percepisce come
proprio; non poter comunicare con tutti e non essere in grado di riuscire ad
esprimersi in maniera libera è la difficoltà maggiore che incontra il bambino
sordo nel momento in cui si trova nel pieno sviluppo del suo iter linguistico.
Questa difficoltà avrà una forte conseguenza sul suo processo relazionale e
nella sua integrazione sociale che risulteranno spesso molto limitati.
2.2 Il ruolo della famiglia
Il primo ambiente in cui un bambino si trova a far parte è quello familiare, e
proprio la famiglia aiuta a facilitare l’accesso a tutte le modalità
comunicative che caratterizzano la vita sociale, in quanto i genitori sono le
prime persone con cui il bambino instaura un rapporto di relazione.
La nascita di un bambino, rappresenta nella maggior parte dei casi un evento
meraviglioso: una nuova vita che riempie le mura domestiche di rumori, di
voci.
I genitori non subito si accorgono della presenza del deficit in quanto
nascosto, di conseguenza l’improvvisa scoperta della sordità provoca nei
20
genitori mille dubbi: perché, come fare, come comunicare. Fino al momento
della scoperta della sordità, l’atteggiamento dei genitori è spontaneo e la
comunicazione naturale.
Un padre così scrive dopo la scoperta della sordità del figlio: “ … rimasi solo
con Roberto. Lo guardai mentre dormiva sereno nella sua culla, dai miei
pensieri veniva fuori una sola parola: sordo, sordo, sordo. Diedi un pugno
contro la parete, ma non sentii il minimo dolore, mi buttai sul letto, e rimasi
per un tempo indefinito a guardare il soffitto ripetendo come una litania: non
è giusto”13.
Queste parole rappresentano una tra le tante reazioni che i genitori
dimostrano di fronte ad un problema che fino ad allora non si erano posti.
Da qui inizia un lungo cammino che coinvolge in prima persona la madre e il
padre di ogni bambino sordo. Tocca ai genitori scegliere e far seguire il figlio
da persone competenti che sappiano aiutare il bambino ad integrarsi
nonostante il suo deficit.
A tutto questo va aggiunto che il bambino sordo può nascere sia all’interno
di una famiglia di genitori sordi sia all’interno di una famiglia di genitori
udenti ( il 95% circa dei bambini sordi nasce da genitori udenti, il rimanente
5% nasce da genitori sordi).
2.2.1 Bambini sordi figli di genitori sordi:
In questo caso si presentano meno difficoltà comunicative: i genitori vivendo
in prima persona la stessa condizione del figlio sanno come relazionarsi e la
loro interazione con il figlio sarà spontanea e naturale. Nelle famiglie di
genitori sordi la situazione è meno allarmante: i genitori stessi, e in
particolare
le
mamme,
utilizzano
strategie
comunicative
basate
sull’attenzione visiva: utilizzano espressioni facciali molto evidenti, un
contatto tattile e cinestetico con le mani e i piedi del bambino (tapping),
13 www.digilander.iol.it/sordi/6. html
21
posizionano il loro viso e le mani nel campo visivo del bambino ed eseguono
i segni direttamente sul corpo del bambino o sull’oggetto su cui vogliono
attrarre l’attenzione.
A questo si aggiunge l’acquisizione naturale di una lingua che si serve del
canale visivo - gestuale: la lingua dei segni, lingua madre per i sordi che
serve a garantire ad essi crescita, autonomia e apprendimento mentale.
Attraverso la lingua dei segni la vita familiare del bambino si svolge entro la
normalità: il bambino acquista la consapevolezza del suo deficit rispettando
le fasi di un regolare sviluppo linguistico e cognitivo. Ciò è dovuto anche al
fatto che il tipo di interazione comunicativa adottata dalle madri sorde
cambia nel tempo in sintonia con lo sviluppo delle abilità linguistiche e
comunicative del bambino. La ricercatrice Volterra parla di Baby Sign14: "E'
interessante ritrovare nella comunicazione dei genitori sordi con il bambino
sordo le stesse caratteristiche della comunicazione dei genitori udenti con i
bambini udenti: come i genitori udenti con i bambini udenti usano un
linguaggio molto ridondante, molto ripetitivo, in pratica molto povero, così i
genitori sordi producono gesti molto diversi dalla lingua dei segni usata tra
adulti, eseguendo gesti molto più ampi e in forma facilitata. Come
chiamiamo BABY-TALK quello rivolto ai bambini udenti, così è un BABY-SIG
quello rivolto ai bambini sordi. I meccanismi dello scambio sono gli stessi:
chiedono le cose, la fanno rispondere, vedono se il segno è giusto, le
correggono le mani: ho visto madri modellare le mani dei loro bambini per
la giusta configurazione di un segno".
Le mamme sorde, dunque, adottano una comunicazione completa che si
serve non solo del canale visivo, ma anche di quello tattile e uditivo,
cercando di offrire anche un “rudimento” della lingua vocale per far capire
che esiste qualcosa che si può realizzare attraverso le labbra e la voce.
2.2.2 Bambini sordi figli di genitori udenti:
14 M. C. Caselli, S. Maragna, V. Volterra, “ Linguaggio….”, pag 185;
22
Contrariamente a ciò che accade nel rapporto tra figlio sordo e genitori
sordi, i genitori udenti attraversano delle fasi iniziali prima di arrivare
all’accettazione del deficit, causando involontariamente delle difficoltà
relative alle prime fasi di sviluppo del bambino. Lo sviluppo comunicativo e
linguistico del bambino non dipende soltanto dalla sua incapacità acustica,
ma dipende soprattutto dall’ambiente in cui vive, che in questo caso, si
dimostra incapace di accoglierlo e di offrirgli tutte le possibilità per l’accesso
alla comunicazione e al linguaggio.
I bambini sordi figli di genitori udenti presentano, dunque, un ritardo nello
sviluppo linguistico e una “variabilità individuale”15, in quanto diverso è il
tipo di sordità che varia da bambino a bambino, diverse sono anche le loro
famiglie.
L’interazione comunicativa in questo caso non si basa tanto su strategie di
tipo visivo, quanto su stimoli vocali o tattili. Tutti i genitori udenti
desiderano che il loro figlio diventi “normale” come gli altri bambini, ma non
sempre sono in grado di offrire al bambino gli stimoli giusti per costruirsi
una vita autonoma. ”Forse perché la sordità non si vede, non si tocca, forse
perché la parola bambino non sembra avere senso senza ninne nanne,
filastrocche, girotondi e favole16”.
Occorre innanzitutto che i genitori acquisiscano la consapevolezza che il
proprio figlio è portatore di un deficit sensoriale che non provoca alcun
ritardo mentale, ma che inevitabilmente ritarderà l’acquisizione dei normali
processi di sviluppo linguistico e relazionale, se non sarà adeguatamente
indirizzato verso un iter educativo capace di rispettare tali processi. Quando
il bambino nasce in una famiglia di genitori udenti, i genitori stessi
inizialmente attraversano delle fasi critiche17 prima di riuscire ad accettare
il bambino con il suo deficit. Le citazioni di Daniela Rossi, tratte dal suo libro
15 Ibidem,pag 179
16 D.Rossi, “Il mondo delle cose senza nome”, Fazi Editore, Roma, 2005, pag 16;
17 D. Luterman, ”Il counseling per i genitori dei bambini audiolesi”, Centro Ricerche e Studi Amplifon, Milano 1983
23
“Il mondo delle cose senza nome”18, sembrano adatte per capire meglio gli
stati d’animo provati dai genitori nelle varie fasi.
Nella maggior parte dei casi la prima reazione è di disperazione: nel
momento in cui scoprono che il proprio figlio è sordo e rimarrà tale,
attraversano un primo periodo di forte tensione emotiva: “posso vivere per
te, ma devo riuscire a imitare la mamma che conosci, che già ti manca e che
non sono più”. Alla disperazione segue poi uno stato di shock che ha breve
durata e che porta all’ammissione: “di te che sei mio figlio senza le mie
parole”, fase in cui i genitori sono assaliti da un miscuglio di sentimenti ed
emozioni: inadeguatezza del ruolo, confusione (perché troppe sono le
diverse informazioni accumulate) e rabbia che portano ad uno stato di
impotenza e frustrazione. Il sentimento più intenso però è il senso di colpa,
provato soprattutto dalla madre: i genitori vogliono scoprire a tutti i costi la
“causa” della sordità del figlio e manifestano atteggiamenti di angoscia e di
iperprotezione. Dopo la fase di disperazione si passa a quella del rifiuto:
“non puoi chiedere a una mamma e a un figlio di avere un linguaggio
differente”, rappresentato o dall’illusione volontaria da parte del genitore
nella non accettazione della sordità del figlio o da sentimenti di rabbia verso
i medici che si occupano della diagnosi. Tutto questo però porta ad una
presa di coscienza: “ti serve tempo e a noi imparare a non avere paura”,
durante la quale i genitori, vivendo una condizione di grande tensione, sono
costretti ad affrontare una realtà inevitabile per arrivare finalmente ad una
azione costruttiva che accompagnerà genitori e figlio per tutta la vita:
“giorno dopo giorno mi sto accorgendo di quanto il mondo della sordità sia
ricco di variabili, sfumature, soluzioni alternative, rischi e possibilità”.
La costruzione di una buona comunicazione dipende da quanta attenzione si
pone nello stimolare il bambino nel modo giusto: un compito difficile
soprattutto nei primi anni di vita, quando il bambino è attratto dagli oggetti
che lo circondano ed è poco interessato all’interazione comunicativa.
18 D. Rossi, “Il mondo…”, pag 22
24
E’ necessario, in ogni caso, saper rispettare i tempi del bambino sordo.
Anche se la sordità non è un deficit che ostacola la costruzione di una
interazione comunicativa tra madre e bambino è necessario considerare che
i tempi di acquisizione del linguaggio costituiscono un lungo processo (come
la terapia logopedica che dura circa 10-12 anni, che richiede molta fatica sia
da parte del bambino che della famiglia e che continuerà anche dopo questo
arco di tempo al fine di rafforzare sempre di più le competenze del parlato).
“Quello che veramente conta è l'intento comunicativo, che si manifesta nella
ricerca del dialogo: i genitori che non dialogano con i bambini, ma fanno
monologhi davanti a loro, sono persone che, sentendosi impotenti di fronte
alla sordità dei figli, esercitano su di loro un controllo eccessivo"19.
L’atteggiamento dei genitori è fondamentale affinché il bambino accetti il
suo deficit e abbia più fiducia in se stesso.
La famiglia ha il compito di informarsi e cercare la strada migliore per
garantire al figlio una buona crescita, una buona educazione e il suo
inserimento nella società. In sostanza dovrebbe affrontare delle scelte che
corrispondono esattamente al percorso di vita tracciato dal bambino sordo.
In primo luogo la famiglia dovrebbe essere in grado di aiutare il proprio
figlio a parlare, cercare di scegliere il giusto iter educativo che normalmente
prevede la faticosa terapia logopedica per migliorare gli effetti di
protesizzazione 20. In questa fase la famiglia si affida pienamente alla figura
del logopedista, il quale ha il delicato compito di sostenerla ed incoraggiarla
nell’accettazione del deficit e di far comprendere che il bambino sordo è un
bambino normale che non presenta alcun ritardo mentale. A questo periodo
appartiene anche la scelta del tipo di educazione linguistica che i genitori
prevedono e che spesso viene distinta da tre aree (oggi usate sia in Italia che
in altri Paesi)21: metodo orale, metodo bimodale, educazione bilingue.
19 M. L. Favia, S. Maragna, “Una scuola oltre le parole. Manuale per l’istruzione dei sordi”, La Nuova Italia,Firenze1995 pag 32
20 “L’applicazione della protesi è un momento estremamente delicato che coinvolge bambino, logopedista e famiglia: senza
protesi i risultati sono pressoché nulli e inutile è la sola protesizzazione senza la seduta logopedica” tratta da C. A. De
Filippis, “uovo manuale di logopedia,Terapia logopedica del bambino sordo.”, Centro Studi Erickson, Trento, 1998;
21 S. Maragna,“La sordità. Educazione, scuola, lavoro e integrazione sociale”, Ed Hoepli, Milano, 2004, pag35;
25
In secondo luogo, i genitori devono superare uno dei compiti più difficili
rappresentato dalla scelta educativa didattica per il loro bambino, in quanto
è solo da una scelta idonea che si realizzerà una vera integrazione scolastica
e sociale.
In terzo luogo la famiglia dovrebbe sostenere il figlio nei suoi rapporti
interpersonali che rappresentano la fase più delicata dell’integrazione
sociale. La ricerca delle amicizie (e degli amori) nel mondo degli udenti
risulta difficile, in quanto la comunicazione non avviene sempre in maniera
fluida; il bambino sordo, arrivato in età adolescenziale, spesso desidera
conoscere altre persone sorde così che la comunicazione risulti molto più
semplice. I genitori in questa fase spesso non condividono le scelte del
proprio figlio ostacolando le relazioni che quest’ultimo è stato in grado di
instaurare
autonomamente.
L’entrata
nel
mondo
sociale,
inoltre,
rappresenta un vero banco di prova per verificare se si ha la consapevolezza
di affermare: “Io sono sordo!”. Nel momento in cui, trovandosi in una
situazione comunicativa di disagio, il soggetto riconosce il suo limite, allora
si potrà dire che è riuscito a realizzare uno dei più importanti traguardi:
costruire dentro di sé l’identità di persona Sorda.
Infine i genitori dovrebbero accompagnare il figlio nella scelta del suo
futuro: università o lavoro? Mentre il lavoro rappresenta una conquista di
indipendenza da parte del ragazzo, l’università, costituisce un’ulteriore
prova per superare ogni tipo di difficoltà comunicativa.
2.3 Scelta linguistica: metodi ed approcci educativi
La scelta del metodo linguistico è un passo che la famiglia dovrebbe valutare
con grande attenzione e responsabilità; tale scelta rappresenta la possibilità
di accesso alla lingua e si basa principalmente sull’osservazione dei
comportamenti, delle emozioni e delle capacità comunicative e relazionali22.
22 M. C. Caselli, S. Maragna, V. Volterra, “Linguaggio…”, pag193;
26
Una volta accertata la sordità del figlio, infatti, l’approccio logopedico
dovrebbe essere incentrato sull’utilizzo di una specifica scelta educativolinguistica, dove l’influenza del contesto familiare e dell’ambiente sociale in
cui il bambino cresce risulta particolarmente importante. E’ compito della
famiglia, però, decidere il tipo di intervento a cui il bambino sarà sottoposto,
in base a informazioni corrette e complete legate alle esigenze comunicative
e sociali del bambino. La famiglia, a questo proposito, dovrebbe ricorrere ad
un adeguato counseling affinché possa avere un sostegno psicologico per
mirare ad una scelta linguistica adeguata, in quanto la conoscenza dei
vantaggi e dei limiti di tutti i metodi potrebbe portare i genitori a fare una
scelta corretta in base alle esigenze del proprio figlio.
Il dibattito relativo alla scelta del metodo adeguato per il bambino sordo è
abbastanza antico; la scelta tra metodo orale e segni esiste fin dal ‘700,
anche se già precedentemente si era mostrato interesse nei confronti
dell’educazione linguistica dei sordi. Per lungo tempo il metodo oralista è
stato privilegiato rispetto a qualsiasi altra soluzione che si presentasse come
possibile chiave di accesso al mondo comunicativo, e ancora oggi la
decisione di far parlare i propri figli è la scelta fatta dalla maggior parte delle
famiglie. Il punto è comunque dotare il bambino di tutte le strategie possibili
per poter apprendere, conoscere e comunicare, in quanto non è la sordità a
negare il suo diritto alla comunicazione ma il contesto che, non
intervenendo in modo tempestivo, ritarda ogni tipo di approccio alla
capacità relazionale.
E’ possibile cercare la soluzione tra almeno tre diversi metodi: metodo
oralista, metodo bimodale, metodo bilingue
2.3.1 Metodo oralista
Il metodo oralista in Italia è stato imposto alla popolazione sorda, per un
lungo periodo di tempo in seguito al Congresso di Milano del 1980, il quale
proclamava la superiorità della lingua parlata rispetto all’utilizzo dei segni.
Appartengono a questo metodo tutti gli approcci educativi che escludono
27
l’utilizzo dei segni, in quanto si basano sulla convinzione che il gesto uccide
la parola. Essi puntano da una parte sull’allenamento acustico, per aiutare il
sordo ad utilizzare al massimo i suoi residui uditivi, dall’altra sul
potenziamento della lettura labiale su cui si basa la comunicazione.
All’interno di questo approccio comunicativo la madre è partecipante protagonista e sostituisce spesso la figura del logopedista. Inizialmente la
terapia è centrata soprattutto sull’uso di immagini e sull’abbinamento della
parola con l’oggetto figura, sulla stimolazione della conversazione attraverso
domande relative all’ambiente e la vita familiare del bambino, sulle
associazioni e le classificazioni degli oggetti in base al colore e alla forma,
fino ad ampliare le conoscenze con parole relative a categorie semantiche
quali i mestieri, i negozi, i verbi. A questo si
aggiunge una precoce
esposizione dell’apprendimento della lettura e della scrittura. Uno degli
approcci relativi ai metodi oralisti è il verbo tonale (o ritmo - musicale).
Tale metodo è stato ideato da Peter Guberina, direttore dell’istituto di
Fonetica dell’Università di Zagabria, in un lasso di tempo che va dal 1935 al
1960, e si basa sull’assunto che il sordo è capace di percepire i suoni delle
basse frequenze (suoni vibratori) mentre la percezione del suono ha un
incidenza di caduta maggiore sulle frequenze alte. Il metodo, sostenendo che
“il bambino sordo può parlare perché può sentire23”, agisce sulla
trasmissione dei suoni attraverso amplificatori particolari del messaggio
acustico dell’emissione - ricezione del suono che vengono accolti
interamente dal corpo del bambino, predisposto alla ricezione e alla
trasmissione di tali messaggi. I parametri strutturali del metodo verbotonale sono: il tempo, la frequenza, l'intensità, la tensione, la pausa; a tutto
questo il corpo fa da ricettore e trasmettitore.
L’acquisizione del ritmo avviene attraverso la voce, l’intonazione, il ritmo e i
fonemi, in quanto l’obiettivo finale è quello di far acquisire al bambino il
ritmo fonetico del linguaggio verbale.
23 Ibidem, pag 196
28
Un secondo approccio oralista è il metodo multidisciplinare, utilizzato in
Italia dall’educatore Ripamonti (1988). I genitori, in questo tipo di metodo,
sono coinvolti direttamente sia per imparare ad assumere un ruolo meno
rigido, sia per non concentrarsi solo sull’acquisizione del linguaggio parlato,
ma, al contrario, essere disponibili nel dare al bambino la possibilità di
comunicare anche solo attraverso gli occhi e i gesti. “C’è, dunque,
un’attenzione maggiore alla comunicazione intesa in maniera globale”24. Lo
svolgimento della terapia, inizialmente, segue l’utilizzo degli strumenti tipici
del metodo orale, attraverso l’utilizzo di oggetti raggruppati per categorie.
Successivamente, vengono proposte al bambino la narrazione di semplici
favole che permettono di dare i primi approcci causali e temporali del
linguaggio parlato, viene proposta anche la partecipazione ad alcuni giochi
che stimolano le capacità logico - critiche. In sostanza, il metodo
multidisciplinare mira all’uso delle attività di gioco, esplorazione,
sperimentazione del bambino svolte anche con l’utilizzo di gesti per favorire
lo sviluppo di acquisizione del linguaggio.
2.3.2 Metodo bimodale:
Nel metodo bimodale il bambino viene esposto ad un’unica lingua,
utilizzando però due canali: acustico-verbale, visivo-gestuale. Il logopedista
in questo caso mentre parla esegue i segni rispettando l’ordine nella frase in
italiano e lavorando su tre livelli differenti: stimolazione fono-acustica,
lettura labiale, stimolazione cognitivo-linguistica. Le finalità del metodo
riguardano la possibilità di facilitazione alla comunicazione tra bambino e
adulto e di esposizione ai contenuti linguistici della lingua verbale
raggiungendo le stesse conoscenze della lingua parlata e scritta simili a
quelle acquisite dai coetanei udenti. L’obiettivo è dunque che il bambino
presti attenzione alla forma linguistica della lingua parlata (o scritta), con un
24 Ibidem
29
“Italiano ingrandito” attraverso le mani. All’interno del metodo possono
essere usati due tipi di sistemi di comunicazione:
• l’Italiano Segnato (IS): è un sistema comunicativo che utilizza i segni
rispettando la struttura grammaticale dell’italiano. Non vengono però
eseguiti articoli, preposizioni, coniugazioni verbali e alcune proposizioni, in
quanto tali parti del discorso rappresentano una difficile forma di
apprendimento per le persone sorde. In sostituzione sono stati inseriti degli
“evidenziatori”, ovvero segni che danno un supporto visivo e dove è
possibile semantico delle regole morfologiche.
• l’Italiano Segnato Esatto (ISE): è un sistema di comunicazione che si
serve dei segni della LIS e della dattilologia rispettando interamente la
struttura della lingua vocale. La dattilologia, in particolare, viene utilizzata
per rappresentare congiunzioni, preposizioni, coniugazioni verbali e tutte le
parti del discorso che vengono realizzate in modo diverso attraverso la
Lingua dei Segni. Se il metodo viene applicato ai bambini piccoli, la
dattilologia anziché nello spazio neutro si eseguirà vicino la bocca
rispettando i ritmi della lingua parlata in modo tale che il bambino potrà
cogliere alcuni aspetti della lingua verbale da lui sconosciuti. Questo
sistema
risulta
molto
efficace
per
l’esposizione
del
bambino
all’apprendimento della lingua vocale e scritta, in quanto non viene
tralasciato alcun elemento grammaticale della lingua parlata (in particolar
modo la morfologia libera) difficilmente recepibile attraverso la sola labiolettura.
Tali sistemi di comunicazione gestuale permettono di realizzare l’accesso
alla conoscenza della struttura grammaticale della lingua parlata per le
persone sorde, perché non si basano solo sull’esecuzione di un sistema
segnico, ma ricorrono all’uso della lingua verbale stimolando e allenando il
residuo uditivo del bambino.
2.3.3 Educazione bilingue
30
L’educazione bilingue è di uso più recente e rappresenta molto più di un
metodo. A differenza del metodo bimodale, che utilizza due diversi tipi di
canali, qui vengono utilizzate due lingue: la lingua vocale e la lingua dei
segni. Attraverso tale metodo il bambino potrà riuscire a soddisfare i suoi
bisogni, che sono: comunicare con i propri genitori, sviluppare le attività
cognitive, acquisire conoscenza del mondo, comunicare in modo
soddisfacente con il mondo che lo circonda, e relazionarsi culturalmente con
il mondo degli udenti e dei sordi.
L’apprendimento della lingua dei segni per i bambini sordi nell’educazione
bilingue risulta una pratica del tutto naturale, in quanto ad essere utilizzato
è il canale visivo - gestuale completamente integro.
Lo studioso F. Grosjean sottolinea che a seconda del bambino, le due lingue
giocheranno diversi ruoli: per alcuni sarà prevalente la lingua dei segni, per
altri la lingua orale, altri ancora troveranno un equilibrio tra le due lingue.
Tutto questo dipende dal contesto familiare in cui vive il bambino; ad
esempio, così come sostiene lo stesso Grosjean, si può parlare di vero
bilinguismo nel caso dei figli udenti di genitori sordi, in quanto imparano la
lingua dei segni naturalmente dai loro genitori sordi, e apprendono allo
stesso tempo la lingua vocale, poiché il loro canale acustico - vocale è
completamente integro. Lo stesso accade nel caso di bambini sordi
nell’utilizzo del metodo bilingue: se figli di genitori sordi faranno della
lingua dei segni la loro lingua madre perfezionando, grazie ai segni, la
conoscenza della lingua parlata; se figli di genitori udenti, la lingua vocale
avrà la prevalenza rispetto ai segni.
Comunque sia, per il bambino sordo, l’altra lingua sarà la lingua vocale usata
dal mondo udente al quale anche egli appartiene. La scelta del metodo
bilingue, infatti, aiuta ad una maggiore padronanza della lingua scritta e
quindi aiuta ad un apprendimento scolastico adeguato.
Per raggiungere questo obiettivo il bambino dovrebbe entrare in contatto
con le due culture: udente e sorda; inoltre è necessario creare contesti in cui
il bambino sia motivato ad utilizzare entrambi i codici, ad esempio è
31
importante che di tanto in tanto si trovi in ambienti o situazioni dove è
indispensabile utilizzare un determinato codice per farsi capire25.
Secondo i sostenitori del metodo, ogni bambino sordo dovrebbe avere il
diritto di crescere bilingue ed è nostra responsabilità aiutarlo in questo
senso.
2.4 Usare la lingua senza le parole
Parlare, scrivere e saper comunicare oggi rappresentano prerequisiti
fondamentali per essere ben integrati nel mondo sociale.
E’ per questo che la competenza linguistica di ogni bambino non si ferma
solo ed esclusivamente all’acquisizione della lingua parlata. All’interno
dell’uso complesso della lingua rientrano a far parte delle abilità particolari
che vengono acquisite dal bambino in maniera naturale e inconsapevole. Il
linguaggio infatti si sviluppa in vari ambiti, che in teoria potrebbero essere
suddivisi in: fonologico, lessicale, morfosintattico, pragmatico, ma che nella
25 M. C. Caselli, S. Maragna, V. Volterra, “Linguaggio….”, pag 203
32
realtà evolvono in stretta connessione tra loro, anche se il bambino in alcuni
momenti può essere più avanti in uno e più indietro in un altro.
Utilizzare il linguaggio in maniera corretta è come mettere insieme i pochi
pezzi di un puzzle, che se non uniti correttamente rischiano di dare luogo ad
una forma del tutto sbagliata.
Occorre stimolare il bambino nella giusta competenza linguistica che
abbraccia non solo lo sviluppo della lingua vocale, ma anche di quella scritta;
bisogna tener conto, innanzitutto, che nel bambino sordo sono diversi i
tempi e i modi di acquisizione. Tale compito spetta ai genitori, che, come
detto prima, sono le prime persone che si relazionano con il bambino. La
differenza tra lingua verbale e lingua scritta non è soltanto nella modalità di
espressione, ma sta soprattutto nel fatto che i due linguaggi sono due diversi
modi di conoscere e quindi di rappresentare la realtà. In un film dal titolo:
“Nel paese dei sordi”26, un anziano sordo francese si rivolge ai genitori
sottolineando l’abilità naturale dei bambini sordi ad apprendere attraverso
gli occhi, ma soprattutto sottolinea un aspetto che dovrebbe essere
condiviso da tutti: “non disperate se i vostri figli sono sordi! I loro occhi sono
la loro forza; se avete un figlio sordo non proteggetelo ma stimolatelo! ” I
genitori possono fare molto per i propri figli, ma devono innanzitutto essere
capaci di stimolare il bambino aiutandosi con le semplici cose che segnano
l’infanzia di ogni soggetto.
In particolar modo, la famiglia può fare moltissimo per quello che sarà
l’atteggiamento futuro del bambino nei confronti della lettura. Le favole, per
esempio, rappresentano un ottimo modello di stimolo adeguato alla lettura;
le mamme che leggono i libri di favole ricchi di immagini, possono aiutare il
bambino non solo a sviluppare le sue capacità immaginative, ma anche le
sue abilità linguistiche. Imparare a scrivere in maniera corretta è un tassello
essenziale nella vita di un sordo, in quanto può rappresentare una
comunicazione alternativa alle difficoltà linguistiche di uso verbale. “Così
26 Un film di Nicholas Philibert., Con Jean-Claude Poulain, Odile Ghermani ;Titolo originale “Le pays de
sourds”.,Documentario, durata 99 min. - Francia 1992;
33
come ogni serratura ha bisogno della sua chiave, per essere aperta, così il
bambino si aprirà all’apprendimento se le proposte saranno adeguate alle
sue potenzialità”. A tutto ciò va aggiunto che la capacità di parlare bene non
si limita soltanto all’abilità di usare la lingua parlata: si comunica anche
senza le parole. Il giudizio globale sulle persone non dovrebbe basarsi sulla
quantità di parole pronunciate, quanto piuttosto sulla sua personalità,
vivacità e potenzialità.
Cosa significa, dunque, usare la lingua? Usare la lingua non significa
necessariamente realizzarla attraverso le parole.
Il caso dei sordi è un caso linguistico speciale; tante sono le possibilità di
scelta per l’applicazione del metodo linguistico adeguato, ma pochi sono i
casi in cui il metodo porta il soggetto a sviluppare le capacità comunicative
adeguate.
La lingua dei segni, in questo caso, rappresenta una possibilità concreta!
Grazie agli studi linguistici di William Stokoe27, la lingua dei segni viene
mostrata come una lingua a tutti gli effetti con una struttura interna propria.
Egli riconosce nella lingua dei segni l’esistenza dei cheremi (corrispondenti
ai morfemi della lingua vocale), realizzati attraverso l’utilizzo dei 3
parametri formazionali, ai quali se ne aggiunge un 4°: configurazione
(ovvero la forma che la mano assume nel momento in cui si segna), luogo (lo
spazio dove viene eseguito il segno), movimento (il movimento compiuto
dalla mano) e l’orientamento (del palmo e delle dita). La differenza tra
lingua dei segni e lingua vocale risiede nel mezzo di esecuzione che sfrutta il
canale integro attraverso la modalità visivo - gestuale. I segni sono una via
d’accesso concreta alla comunicazione, e se applicati fin dalla più tenera età
rendono più semplice l’acquisizione delle conoscenze e dei contenuti
culturali. Partendo dal confronto con la lingua dei segni, il bambino ha la
27 William Stokoe (1919-2000) è stato studioso dell’ASL (American Sign Language). Fece uno studio comparato tra la lingua
dei segni e la lingua vocale e notò che la struttura grammaticale in segni era del tutto simile alla struttura della
lingua
vocale. L’obiettivo dei suoi studi era quello di dimostrare che la lingua dei segni è una lingua a tutti gli effetti, con un suo
lessico e una sua grammatica e attraverso la quale è possibile esprimere qualsiasi tipo di messaggio;
34
possibilità di conquistare una maggiore consapevolezza dell’uso della
morfologia e della sintassi dell’italiano, ovvero gli aspetti della lingua più
complessi per William Stokoe (1919-2000) è stato studioso dell’ASL
(American Sign Language).
Fece uno studio comparato tra la lingua dei segni e la lingua vocale e notò
che la struttura grammaticale in segni era del tutto simile alla struttura della
lingua vocale.
L’obiettivo dei suoi studi era quello di dimostrare che la lingua dei segni è
una lingua a tutti gli effetti, con un suo lessico e una sua grammatica e
attraverso la quale è possibile esprimere qualsiasi tipo di messaggio; le
persone sorde (uso delle preposizioni e dei pronomi, articoli, frasi passive,
ecc.).
CAPITOLO 3
L'EDUCAZIONE DEI SORDI OGGI
3.1 Chi è il logopedista
La logopedia è la professione che si occupa della cura dei disturbi e delle
patologie della voce, della parola, del linguaggio o per dirla con lo “ Studio Eco
”:
“Il logopedista è un operatore sanitario specializzato nell'educazione e nella
rieducazione dei disturbi della voce, della parola e del linguaggio. Questa
35
professione richiede non solo competenza, professionalità e preparazione,
ma doti e qualità umane quali sensibilità, intuito, pazienza, creatività. E' una
figura professionale indispensabile ormai in molte strutture, sia pubbliche
che private (servizi di riabilitazione, poliambulatori, case di riposo, scuole).
Il logopedista ha un ruolo importante in moltissimi settori; nel campo dell'età
evolutiva collabora alla diagnosi di disturbi specifici di linguaggio, di disturbi
d'apprendimento, di disfluenze (balbuzie) e si pone come riferimento nella
loro rieducazione. Nel campo della voce rieduca i disturbi vocali da
disfunzione e post intervento, nel campo della neuropsicologia cognitiva
formula diagnosi funzionali in soggetti cerebrolesi e programma iter
riabilitativi personalizzati, coerenti e razionali.
Per poter svolgere questa professione è indispensabile frequentare un corso
di diploma universitario (3 anni), con frequenza obbligatoria e un tirocinio
complessivo di 3000 ore28.
Il logopedista è per il bambino ipoacusico un adulto nuovo, diverso dai
genitori e dagli insegnanti, con un atteggiamento né tollerante né rassegnato,
non grida né si rivolge a lui con gesti o espressioni infantili o con messaggi
telegrafici, prende in considerazione le sue difficoltà senza drammatizzarle. Un
buon terapista sa che ogni bambino è diverso.
Nell’intraprendere il suo lavoro egli deve tener presente sia il vissuto
personale del bambino (l’ambiente da cui proviene) sia le caratteristiche del
suo deficit uditivo (entità ed epoca di insorgenza, metodologia riabilitativa
eseguita, nel caso in cui il bambino sia già in terapia, ecc.)29, egli inoltre sa che
l’aiuto e la collaborazione attiva della famiglia sono requisiti indispensabili
per raggiungere un maggior successo nell’intervento rieducativo del
bambino:
“[…] per questo è necessario che il terapista tenga, fin dall’inizio, i contatti
28 www.logopedista.it
29 Quanto specificato per il lavoro del logopedista è valido anche per gli insegnanti che seguono il bambino a scuola.
36
con loro e qualora rivelassero problemi di una certa gravità li consiglierà di
rivolgersi allo psicologo …”30.
Inoltre rientrano nelle sue mansioni anche i compiti di:
“[…] sensibilizzazione e di preparazione dell’ambiente scolastico in vista
dell’inserimento in scuola normale del piccolo paziente, inserimento che
andrà costantemente seguito e sostenuto. Il logopedista è senz’altro la
persona che meglio conosce capacità e limiti del bambino, che lo ha
preparato, anche didatticamente se necessario, per l’ingresso nella scuola;
egli è quindi il più idoneo ad appoggiare l’insegnante nelle difficoltà che potrà
incontrare durante l’iter scolastico.”31
3.2 L’ intervento Logopedico
Nessun bambino audioleso è uguale ad un altro, così come non ci sono due
individui udenti uguali. Nel caso del bambino sordo questa affermazione è
ancor più vera, infatti ogni “sordità” è unica, a ciò contribuisce non solo il
periodo ed il grado di insorgenza, ma anche la percezione dei suoni.
Alfine di ottimizzare l’intervento riabilitativo è importante conoscere i diversi
gradi di sordità,32 in quanto sono queste differenze che determinano la
corretta acquisizione e lo sviluppo del linguaggio vocale.
Nelle sordità lievi il bambino ha uno sviluppo del linguaggio normale, cioè
30 De Filippis Cippone, Adriana, op. cit. pag. 20
31 Ibid., op. cit., pag.19
32 Precedentemente elencati nel I capitolo
37
non è in ritardo rispetto alle tappe più significative, non ha problemi di
comprensione a livello semantico e morfosintattico, ha solo difficoltà a livello
di discriminazione fonica e non riesce a percepire correttamente la voce
sussurrata.
Il bambino omette oppure altera alcuni fonemi nei gruppi consonantici, ad
esempio confonde le sorde con le sonore, oppure presenta alcune dislalie con
le affricate (t e d che corrispondono al grafema z; ts che corrisponde al
grafema c + e o i ; dz che corrisponde al grafema g + e o i ) e le costrittive (f, v,
z come sbaglio e s come sole che corrisponde al grafema s).
Il danno cioè riguarda il significante o immagine acustica della parola, e non il
significato.
Nella sordità media invece il danno riguarda sia il significante che il
significato, cioè il concetto sottostante alla parola.
Qui infatti parliamo di ritardo nello sviluppo del linguaggio parlato. Se noi
aumentiamo l’intensità della voce, migliora la comprensione del linguaggio
vocale, per cui sono indispensabili la protesizzazione e l’intervento
logopedico precocissimo, prima che la componente linguistica sia
compromessa.
Ci sono anche grosse difficoltà di comprensione quando la conversazione
avviene in gruppo, quando c’è un rumore di fondo, quando la voce è registrata.
Da un punto di vista morfosintattico questi bambini compiono errori nella
concordanza, nelle preposizioni, negli articoli, nei verbi, nei pronomi
personali e possessivi. Quindi, il danno riguarda tutte e tre gli aspetti del
linguaggio vocale: fonologico, semantico e morfosintattico, sia nella
comprensione che nella produzione.
Poiché si tratta di soggetti che in genere vengono diagnosticati con molto
ritardo, perché in qualche modo l’ambiente familiare si è adattato ad avere con
loro una comunicazione ridotta e loro stessi si sono abituati spesso a non
capire o a far finta di capire, il lavoro dovrà riguardare inizialmente proprio
38
questo aspetto.
Nella sordità grave invece non c’è percezione del parlato, neppure se
l’interlocutore si trova a 20/30 centimetri e parla a voce molto alta.
Quello che il bambino riesce a comprendere, senza protesi, anche parlando a
voce molto alta vicino all’orecchio, sono la durata e il ritmo, riuscendo a
distinguere ad esempio un suono ripetuto da uno continuo.
La protesizzazione, soprattutto se è fatta in modo precoce, dà buoni risultati
sia nell’intonanzione della voce del bambino sia nell’apprendimento vocale,
anche se la protesi spesso migliora la ricezione del suono a livello di intensità,
ma non di qualità per cui è sempre indispensabile un supporto visivo.
E’ da sottolineare che nelle sordità gravi la riuscita dell’intervento logopedico
dipende non solo dalla protesizzazione e dalla rieducazione, ma anche da
fattori individuali come l’intelligenza, il carattere, la motivazione a
comunicare, e dall’ambiente sociofamiliare inteso come stimoli offerti al
bambino.
Numerose ricerche hanno infatti dimostrato che anche la specificità
dell’individuo ha un ruolo essenziale nei processi di recupero e di
integrazione, importante quanto gli aspetti strettamente riguardanti la sordità.
Nella sordità profonda, che come abbiamo visto si divide in tre gruppi, solo
attraverso l’intervento logopedico il bambino imparerà a parlare, ma a questo
livello l’ educazione è molto complessa ed è difficile che il sordo raggiunga una
competenza linguistica completa sia nel parlato che nello scritto; i messaggi
sonori infatti arrivano incompleti e distorti.
Quanto più l’educazione è stata precoce, tanto maggiori sono le possibilità di
avere risultati accettabili. Diversi casi di bambini abbandonati e non esposti
ad alcuna lingua, dai bambini-lupo (di cui il più celebre è Il selvaggio
dell’Aveyron del celebre film di Truffaut, descritto da Lane nel 1989) a Genie, il
caso di Los Angeles descritto dalla Curtiss (1977), hanno messo in evidenza
che dopo i 12 anni è molto difficile apprendere il linguaggio; mentre l’età
39
cruciale per ottenere buoni risultati è tra 0 e 4 anni, quando il bambino udente
acquisisce le strutture fondamentali della lingua a cui è esposto.
Nel caso del bambino sordo però parliamo di apprendimento del linguaggio e
non di acquisizione perché a lui vengono richiesti un allenamento specifico e
sistematico, una grande fatica e tempi molto lunghi per imparare la lettura
labiale, l’utilizzo dei residui uditivi, la comunicazione verbale.
La lingua vocale non è dunque una modalità di comunicazione naturale per i
sordi, ma è frutto di un lungo processo di apprendimento, in cui il logopedista
è una figura essenziale 33.
3.3 Educazione e rieducazione logopedica
Come già specificato nel capitolo precedente si parla di educazione quando il
soggetto è stato protesizzato precocemente, entro il primo anno di vita e non
oltre i 18 mesi. Infatti, dagli studi fatti sull’acquisizione e l’uso del linguaggio, è
emerso che questo si struttura proprio nel primo anno di vita del bambino.
Mentre se la protesizzazione è stata tardiva, cioè dopo il periodo suddetto (ed
in tal caso il bambino non ha acquisito il linguaggio o l’ ha acquisito in modo
parziale), allora si parlerà di rieducazione.
In ambedue i casi sia l’educazione che la rieducazione, per un buon recupero
del soggetto audioleso, si avvalgono anche di altre discipline come la
Psicomotricità, la Musicoterapica, e la terapia con mezzi visivi.
Diversi autori cognitivisti da Piaget a Bruner a Vygotskij hanno sottolineato
come vi sia un nesso tra comunicazione verbale → formazione dei concetti →
attività pratica del bambino.
33 www.ens.it
40
In particolare quanto sia importante l’interazione verbale tra adulto e
bambino alfine di favorire lo sviluppo mentale del medesimo. Secondo questi
autori l’attività esterna e quella interna hanno la stessa struttura: la seconda si
costituisce nel corso della prima grazie anche alla mediazione del linguaggio.
La mamma nel suo contatto quotidiano (mentre se ne prende cura)ha un
dialogo tonico con il bambino, in quanto gli fa giungere la sua voce anche
attraverso le vibrazioni del proprio corpo (stringendolo al petto, cantando,
ballando, dondolandolo). Anche i giochi che normalmente si fanno con il
bambino
(nascondendosi,
facendo
“cucù”,
chiamandolo,
riapparendo,
camminando carponi e mettendosi a terra con lui), sono importanti non solo
per l’allenamento acustico ma anche per la maturazione e la ricezione del
linguaggio. Tutto questa attività viene considerata, infatti, di “prelinguaggio”,
fondamentale in un bambino normoudente, basilare per l’educazione di un
bambino ipoacusico.
Di solito i genitori di bambini ipoacusici tendono,invece, a parlare poco con
il bambino o a farlo in modo molto schematico, infantile, usando ad esempio
pochissimi vocaboli, soprattutto perché scoraggiati dalla mancata risposta del
figlio alle loro sollecitazioni. E’ importante invece far comprendere loro che la
stimolazione sonora e acustica sono la conditio sine qua non per un buon
recupero ed uso del linguaggio.
Con l’intervento educativo precoce il bambino riuscirà ad acquisire il
linguaggio in modo spontaneo, quasi naturale.
Di solito questi soggetti, inseriti nella classe, non hanno bisogno dell’intervento
dell’insegnante di sostegno.
Diverso è il problema quando si parla di rieducazione. In quanto si dovrà
“lavorare” sia sull’impostazione del linguaggio seguendo l’iter fonema →
parola → frase sia sulla stimolazione acustica per lo sviluppo “percettivo” del
suono e del silenzio.
La riabilitazione dei soggetti ipoacusici avverrà su più fronti stimolando il
41
bambino con:
allenamenti acustici;
psicomotricità;
esercizi bucco-linguali;
esercizi di soffio e respirazione;
vibrazione labiale e scoppio;
impostazione dei fonemi;
presentazione di figure e oggetti contenenti i fonemi impostati;
argomenti per la stimolazione globale presentati con oggetti, album
illustrati;
preparazione didattica.
3.3.1 Allenamento Acustico
E’ semplicistico pensare che l’applicazione delle protesi risolva il problema
della sordità. Ho detto che queste hanno per il bambino ipoacusico una
funzione simile a quella degli occhiali in un bambino ipovedente, in realtà
come abbiamo visto i problemi di un bambino sordo sono molto ma molto
più complessi; egli, infatti, deve imparare a sentire, deve imparare ad ascoltare
ed, infine, deve riuscire a distinguere il suono dal silenzio e comprendere la
differenza tra suono e rumore.
Quindi è necessario che il bambino: accetti le protesi, vi si adegui, impari a
sfruttarle.
Come ben sappiamo, la protesi acustica non permette, in caso di sordità
profonda, la percezione dei suoni della lingua.
Essa
permette,
se
adeguatamente
sfruttata,
di
percepire
i
tratti
soprasegmentale 34 del discorso, mentre la percezione dei tratti segmentali,
34 Per tratti soprasegmentali (o tratti prosodici) si intendono quei fenomeni che riguardano non i singoli segmenti (i fonemi),
bensì l’intera catena fonica ; sono tratti soprasegmentali, l’intonazione, le variazioni di velocità e la posizione degli accenti
42
ovvero i fonemi, non sono percepiti da un soggetto sordo profondo. Per
questo è molto importante che l’allenamento acustico venga praticato da
subito e che prosegua per tutta la durata della terapia. Grazie a questo lavoro il
bambino riuscirà a distinguere la melodia del discorso, una frase dichiarativa
da una interrogativa, non solo: una attenzione particolare all’intensità dei
fonemi aiuterà il bambino a distinguere una parola dall’altra, nonostante
l’impossibilità di percepire i singoli fonemi di ognuna delle parole considerate.
La stimolazione acustica viene praticata sia dal logopedista che dai genitori e
dai familiari del bambino.
- L’allenamento acustico praticato in studio dal logopedista consiste nel far
ascoltare al bambino il suono di vari strumenti (campanellino, xilofono,
tamburello, tromba, fischietti, giocattoli sonori, ecc..), guidandolo alla detezione
del suono (ovvero alla distinzione tra presenza e assenza di suono); gli
esercizi vengono eseguiti prima tenendo il bambino di fronte, poi fuori dal
suo campo visivo, infine si daranno al bambino dei semplici comandi (alla
percezione del suono il bambino deve eseguire una certa operazione, ad
esempio buttare una palla nel cesto). Dopo di che si passerà alla fase di
discriminazione del suono (si faranno ascoltare due suoni ed egli dovrà dire
se sono uguali o diversi tra loro), fino a che il bambino, attento al mondo
sonoro che lo circonda, sarà in grado di localizzare la sorgente sonora ed
imparerà a identificare e a riconoscere i suoni degli strumenti, la voce della
logopedista e quella della mamma, i vari rumori intorno a lui, le prime
semplici parole.
L’allenamento acustico praticato a casa dai genitori e dai familiari consiste
nel rivolgersi al bambino in modo continuo ed espressivo, evidenziando bene
le varie inflessioni e intonazioni della frase, comunicandogli nello stesso
tempo emozioni ed affetto. Si richiamerà l’attenzione del bambino verso i
rumori “domestici” (aspirapolvere, televisore, frullatore, radio, telefono,
all’interno di un discorso. Essi sono caratterizzati da variazioni nella durata, nell’intensità, nell’altezza dei suoni che
compongono una determinata catena fonica.
43
campanello di casa). Fuori casa si guiderà il bambino alla percezione ed alla
discriminazione dei vari suoni della strada, una gita in campagna sarà
occasione di stimolazione nella percezione dei rumori della natura, ecc..
Queste
“sollecitazioni”
porteranno
il
bambino
sordo,
protesizzato
tempestivamente, a produrre i primi suoni ed ad entrare nella fase della
lallazione in tempi relativamente brevi.
3.3.2 Esercizi respiratori
Educare un bambino sordo all’uso del linguaggio è un compito molto
impegnativo il cui intervento può essere, come abbiamo visto, più o meno
lungo. Nei casi di sordità lieve o media il bambino potrebbe avere solamente
qualche ritardo del linguaggio, o qualche difetto di articolazione. Il suo timbro
vocale non presenta alterazioni, quindi non necessita di alcuna forma di
educazione respiratoria. Diverso è il caso in cui il bambino ha una voce
alterata. Vi sono bambini che hanno interrotto, o non hanno proprio
sviluppato (a causa di una sordità congenita) l’attività fonatoria, pertanto non
emettono alcun suono.
Diventa indispensabile una adeguata educazione respiratoria, che educhi il
bambino all’utilizzo del diaframma.
L’educazione respiratoria precede, in logopedia, gli esercizi di preparazione
per l’impostazione dei fonemi e per l’impostazione dei medesimi.
Si esegue facendo appoggiare la mano del bambino sul proprio diaframma, in
movimento, stimolandolo a ripeterlo volontariamente, insegnandogli a
controllare il respiro, facendo trattenere ed emettere l’aria in tempi corti e
44
lunghi. Dopodiché si cercherà di portare il bambino all’emissione vocale per
mezzo di esercizi di soffio (facendogli gonfiare un palloncino, soffiare su una
piuma o un pezzo di carta, soffiare nella tromba, ecc..) e facendogli sentire il
suo ventre.
In seguito a questi primi esercizi si cercherà di portare il
bambino all’emissione sonora con una serie di esercizi preparatori
all’impostazione dei fonemi.
3.3.3 Esercizi preparatori all’impostazione dei fonemi
Sono esercizi particolari e ben mirati, eseguiti principalmente sotto forma di
gioco e molto spesso davanti ad uno specchio; il loro scopo è quello di aiutare
a ridurre l’impaccio iniziale del bambino sordo nel movimento e nella
coordinazione degli organi fono - articolatori. Infatti il bambino sordo dalla
nascita arriva in genere alla fase di vocalizzazione ma poi, in assenza di
stimoli sonori, non prosegue nelle ulteriori fasi di sviluppo della parola. Se
invece la sordità compare nei mesi successivi, comunque prima della
strutturazione del linguaggio, il bambino tende ad interrompere la
comunicazione verbale. In ambedue i casi si va incontro ad un graduale
irrigidimento dell’intero apparato fono-articolatorio36.
Gli esercizi che vengono eseguiti hanno lo scopo di eliminare questo
irrigidimento, di migliorare l’atto respiratorio e di permettere un adeguato
allenamento degli organi preposti alla fonazione (lingua, labbra, muscoli
facciali, ecc..), si suddividono in:
3. esercizi e prassie linguo – bucco - facciali;
4. esercizi per il soffio, lo scoppio, la vibrazione labiale.
Tutti questi esercizi vengono presentati al bambino come un gioco,
mettendosi davanti ad uno specchio ed assumendo diverse espressioni
facciali. Queste “smorfie”, che per il bambino sono solo un gioco divertente,
36 Sarebbe necessario approfondire anche l’aspetto anatomo-fisiologico dell’apparato fonatorio ma ciò richiede tempi e spazi
più lunghi. Per chi interessato si consiglia: Zerneri, Luciano – Manuale di Foniatria e Compendio di Logopedia, Edizioni
Omega, Torino - 1989
45
contribuiscono a far esercitare una parte specifica dell’apparato fonatorio.
3.3.4 Impostazione dei fonemi
Acquisita una adeguata coordinazione nei movimenti degli organi
dell’apparato fono - articolatorio, si passa al lavoro di impostazione dei
fonemi.
L’impostazione dei fonemi, insieme all’educazione linguistica, costituiscono la
parte più importante della riabilitazione logopedica. Il linguaggio e
l’espressione verbale costituiscono nel nostro mondo (di udenti) i fondamenti
della vita sociale e relazionale.
Per l’esecuzione e l’impostazione del fonema il logopedista proporrà una
serie specifica di esercizi e movimenti caratterizzanti proprio quel fonema.
Ad esempio per il fonema PA si metterà una candela accesa davanti al
bambino cercando di spegnarla soffiandoci sopra e facendo “scoppiare” il PA
dalla bocca, il bambino è tenuto ad imitare l’esempio del logopedista.
Ogni fonema impostato verrà pronunciato ripetutamente e sempre in
strutture CV (consonante-vocale); le vocali non vengono impostate
singolarmente, ma come una normale successione di suono consonantico.
Una volta raggiunta la produzione dei primi suoni da parte del bambino inizia
il vero e proprio lavoro di educazione verbale, che si protrarrà per anni
(anche oltre l’inserimento del bambino nella scuola elementare).
In questa fase l’attività logopedica è legata all’aspetto cognitivo - linguistico del
bambino e all’apprendimento della lettura precoce. Ci si servirà di giocattoli,
animali di peluche e oggetti di uso comune per insegnare al bambino ad
associare ogni elemento alla parola (sia scritta che orale) corrispondente 37. In
genere si comincia con i suoni onomatopeici (versi di animali, mezzi di
trasporto,ecc. ), per arrivare alle parole ed alle frasi. A questo punto, se il
37 Contemporaneamente si abitua il bambino a riconoscere, per ogni parola, la forma delle labbra alfine di acquisire la capacità
di “lettura labiale”. Il bambino con una sordità grave prima di imparare a sentire impara a “vedere le parole”.
46
bambino ha una buona resa protesica, si possono fare degli esercizi a bocca
schermata, il logopedista pronuncerà delle parole coprendosi le labbra ed il
bambino deve ripeterle, quando sarà in grado di scrivere si potranno fare dei
veri e propri dettati.
3.4 Trattamento delle ipoacusie
Le indagini diagnostiche permettono quindi di accertare non solo il grado di
sordità ma anche le condizioni patologiche che hanno determinato il deficit
uditivo.
L’otoiatra, l’audiologo ed il foniatra informeranno i genitori sulla possibilità di
trattare la patologia con terapie mediche, chirurgiche o fisio-terapiche.
Nel corso degli ultimi trent’anni la ricerca medico-tecnologica ha fatto grandi
progressi. Oggi gli otochirurghi sono in grado di impiantare, direttamente
nella coclea, degli elettrodi in grado di svolgere il lavoro delle cellule ciliate
danneggiate. Si tratta praticamente del famoso “impianto cocleare” cioè un
circuito multielettrodo formato da un microfono applicato all’esterno che
cattura il suono e lo invia attraverso un cavo ad un processore vocale; il
processore vocale converte il suono in un segnale speciale che passa lungo un
cavo fino a raggiungere il microfono; il microfono invia il segnale attraverso la
cute allo stimolatore cocleare impiantato, sotto cute dietro l’orecchio, il
quale invia il segnale agli elettrodi che bypassano i recettori acustici non più
funzionanti. Questo tipo di intervento viene eseguito solo in un orecchio e
solo su bambini nati anacusici o su bambini ed adulti che hanno perso l’uso
47
dell’udito in seguito a meningite o altre malattie, oppure che abbiano subito
un trauma cranico o in casi di sordità progressiva, insomma in tutti quei casi
in cui i soggetti audiolesi non traggono alcun beneficio con le protesi
tradizionali.38
Quando il grado di sordità è grave si preferisce ricorrere all’applicazione di
protesi acustiche, alimentate a batteria, e
composte da: microfono,
amplificatore, ricevitore.
Il microfono capta i segnali ambientali e li trasforma in segnali elettrici
inviandoli all’amplificatore. L’amplificatore invia il segnale amplificato al
ricevitore. Il ricevitore auricolare trasforma il segnale elettronico in segnale
acustico che viene inviato all’orecchio. Le protesi acustiche sono di diverso
tipo:
- Endoauricolari, ( miniaturizzate) si applicano nel condotto uditivo esterno
ma solo quando la perdita uditiva è moderata;
- Retroauricolari, le più diffuse, si applicano in caso di sordità grave;
Protesi ad occhiali si usano di solito nei bambini con problemi visivi, i
componenti sono applicati all’interno e all’esterno della stanghetta.
- A scatola, si applicano di solito quando i bambini sono molto piccoli in
quanto questo tipo di apparecchio permette una elevata amplificazione dei
suoni e quindi l’orecchio viene maggiormente stimolato.
Parte integrante delle protesi è la chiocciola che si applica nel condotto uditivo
esterno.
Dalla protesi parte un tubicino che si inserisce nella chiocciola, in materiale
semirigido o molle (silicone) che ha lo scopo di condurre il segnale
amplificato dal ricevitore alla membrana timpanica.
La chiocciola serve inoltre per:
38 Convegno di Foniatria e Logopedia – L’orecchio bionico nel trattamento delle sordità infantili: mito o realtà. Castellammare di
Stabia 2001
48
− sostenere il ricevitore nella protesi a scatola e mantenere in posizione la
protesi stessa se retroauricolare;
− occludere completamente, quando richiesto, il condotto uditivo in modo tale
da evitare il fastidioso “ effetto larsen”39.
Vi sono quattro tipi di chiocciole: piene per protesi a scatola; piena per protesi
retroauricolare; aperte; forate.40
Gli insegnanti, con l’aiuto della famiglia e dove possibile dell’audiologo, devono
conoscere il funzionamento e l’uso delle protesi. Una protesi non adeguata o
rotta può causare fastidio ed anche dolore all’orecchio del bambino.
Le batterie, che servono per far funzionare le protesi, possono scaricarsi
isolando il bambino dall’attività scolastica. E’ bene che l’insegnante si accerti
sempre, prima che i genitori vadano via, che nello zainetto vi siano un paio di
batterie di ricambio.
Almeno per i primi anni è bene che il controllo delle protesi venga effettuato
ogni tre mesi, mentre le chiocciole devono essere rifatte ogni sei mesi per
meglio adattarsi all’orecchio in crescita del bambino.
3.5 Psicomotricità, Musicoterapia, Mezzi Audiovisivi e Multimediali
Secondo i psicologi cognitivisti alla base delle costruzioni logiche e dei processi
mentali c’è l’attività motoria, l’azione e la sperimentazione con l’ambiente e
con gli oggetti.
Partendo da questo principio si è andata sviluppando nel tempo la terapia
psicomotoria anche per il recupero dei soggetti con difficoltà del linguaggio.
Il linguaggio è, come abbiamo visto, la capacità non solo di entrare in
relazione con gli altri ma è soprattutto la capacità di evocare oggetti, pensieri,
39 L’effetto Larsen è un fischio acuto e continuo, quindi fastidioso, che impedisce la corretta ricezione del suono, l’eventuale idea
di abbassare il volume della protesi è completamente sbagliata.
40 Per un maggiore approfondimento si possono consultare le pubblicazioni degli audioprotesisti nonché il Manuale di
logopedia di De Filippis Cippone, Adriana.
49
esperienze motorie, visive, tattili e uditive, è capacità di codificare e
decodificare i messaggi verbali. Esso viene enfatizzato dall’espressione
corporea mimica e gestuale. La mimica gestuale dà un valore affettivo al
linguaggio e lo trasforma in vera comunicazione.
Il bambino che presenta difficoltà di linguaggio è spesso, se non sempre,
disarmonico e presenta ritardo o rallentamento dello sviluppo psicomotorio.
Come accennavamo precedentemente, l’orientamento spaziale è uno dei
parametri operativi della percezione uditiva. Per questo motivo, il soggetto
sordo incontra difficoltà di coordinazione dei movimenti, ed ha problemi a
collocarsi nello spazio.
Un intervento riabilitativo deve tener conto delle capacità motorie e
intellettive. A tal fine bisogna valutare, con prove specifiche: le capacità
motorie globali, la coordinazione del movimento, le capacità posturali, la
coordinazione oculo-manuale, le capacità percettive e operative, la qualità
delle capacità prassiche, l’evoluzione della conoscenza dello schema corporeo,
l’organizzazione spazio-temporale, la creatività nel gioco, le capacità attentive
e di memorizzazione, la lateralità, il livello verbale, l’evoluzione del segno
grafico e del disegno spontaneo41.
La terapia psicomotoria in soggetti con difficoltà di linguaggio si propone
come obiettivo quello di portare il bambino alla coscienza ed alla conoscenza
dello schema corporeo e dell’organizzazione spazio-temporale. I giochi che si
fanno in terapia sono finalizzati a elaborare le esperienze sensoriali, a
conoscere gli oggetti manipolandoli, toccandoli e classificandoli, si motiverà il
bambino sul suo reale bisogno di comunicare, di conoscere, di apprendere
attraverso un vissuto diretto e personale.
Il fine della terapia psicomotoria è quello di dare al bambino:
“[…] la possibilità di fare esperienze motorie e senso-percettive e di stimolare
la verbalizzazione in situazioni concrete e socializzanti dando al bambino la
41 Trucco Borgogno, Eletta in: Nuovo Manuale di Logopedia di De Filippis Cippone, Adriana, op. cit., pag.510
50
possibilità non solo di fare esperienze personali per mezzo del vissuto
psicomotorio, ma di comunicarle con i mezzi che ha a disposizione.[…]”42.
Con la terapia psicomotoria il bambino ipoacusico acquisisce la
consapevolezza del sé corporeo, di un sé come punto di riferimento, immerso
in una rete di relazioni, e in uno spazio-tempo ben definito che gli consentirà,
inoltre, di individuare uguaglianze e differenze, relazioni spaziali e temporali
e quindi di formulare giudizi sulle stesse.
Mentre l’educazione all’ascolto e la correzione del timbro vocale trovano un
ottimo alleato nella musicoterapia.
Un’educazione melodica dei bambini ipoacusici sviluppa in loro la capacità
non solo di un ascolto migliore, ma corregge la pronuncia, dando alla loro
voce un ritmo quasi naturale, che specialmente in soggetti sordi profondi non
può esserci. Il sordo infatti ha difficoltà a discriminare il timbro vocale, la
musicoterapia interviene proprio nel correggere e nel sollecitare l’ascolto
della propria voce. Il musicoterapeuta opera sviluppando la prosodia, cioè
tutto ciò che riguarda l’intonazione della voce, la melodia della frase, gli accenti
delle parole. Nel lavorare con i bambini ipoacusici, il musicoterapeuta mette in
atto le stesse caratteristiche di lavoro che si rendono utili per i cantanti.
Mentre i mezzi audiovisivi si prefiggono lo scopo di stimolare il linguaggio
spontaneo, la comprensione e la fantasia del bambino sordo.
Si proiettano dei film a immagini fisse che propongono delle scene di vita
quotidiana, vengono proiettati di solito a piccoli gruppi di bambini che
dovranno poi drammatizzare quanto hanno visto. Le fasi sono : “… vicenda,
comprensione,
memorizzazione,
conversazione,
drammatizzazione,
grammatica e correzione fonetica. Questo tipo di intervento integra la terapia
logopedica individuale, stimola il bambino e lo abitua ad un discorso diretto
ed indiretto, puntualizza la fonetica, i particolari sintattici e la grammatica,
42 ibid.
51
favorisce la memorizzazione, affina la capacità attentiva, visiva e acustica.”43.
All’utilizzo degli audiovisivi, nell’intervento riabilitativo logopedico e
scolastico, si va sempre più affiancando l’utilizzo di sofisticati programmi
informatici.
Grazie alla ricerca telematica e informatica, oggi, gli educatori usufruiscono
di ottimo materiale multimediale che mette il bambino in grado di interagire
personalmente con il computer, addirittura di dialogare con esso. I giochi
proposti dal software didattico posseggono diverse potenzialità che, se
opportunamente sfruttate, consentono di ottenere ottimi risultati nel campo
educativo e degli apprendimenti. Attraverso il loro utilizzo, che deve sempre
essere guidato da un progetto educativo individualizzato, si possono
perseguire diversi obiettivi:
- L’interazione con il computer consente al bambino di assumere un ruolo
attivo in quanto stimolano il bambino e il ragazzo a compiere scelte e ad
agire attivamente, sollecitando l’analisi critica delle situazioni proposte e la
comprensione delle relazioni causali;
- le procedure di accesso all’utilizzo del software permettono, se gestite dal
bambino, di memorizzare sequenza procedurali di diversa complessità: dalla
semplice accensione del computer si arriva alla gestione di programmi dalle
funzioni assai articolate;
- l’utilizzo dei sistemi di input (tastiera e mouse) ed output (monitor)
esercitano e perfezionano la manualità fine e favoriscono un miglior
coordinamento visuo - motorio;
- la possibilità di utilizzare il computer ha generalmente un alto valore
motivante che può supportare ogni tipo di apprendimento, esercizio o
verifica: movimento, colori,suoni, possibilità di ricevere gratificazioni e
feedback positivi sono strumenti potenti in grado di allungare anche i tempi
di attenzione;
43 De Filippis Cippone, Adriana, op. cit.,pag.335
52
- le attività proposte consentono di lavorare su moltissime aree, più o meno
definite: si possono proporre attività generiche che stimolano la creatività,
che riguardano l’ area della letto-scrittura o quella logico matematica via via
fin a proporre attività specifiche come ad esempio il calcolo delle probabilità
o la distinzione tra omofoni.
CAPITOLO IV
IL BAMBINO SORDO A SCUOLA
4.1 Breve viaggio intorno all’educazione dei sordi
L’educazione dei sordi ha una storia abbastanza antica, basti pensare che si
parlava dell’integrazione delle persone sorde già nei testi biblici e negli
scritti dei filosofi. In generale si consideravano le persone sorde come se
fossero ritardate, cioè carenti di uno sviluppo cognitivo adeguato per essere
considerate al pari di tutti gli altri individui;il deficit, cioè, non veniva
ricondotto soltanto all’impossibilità di non sentire, ma unito o sostituito ad
un ritardo mentale che in realtà, come sappiamo oggi, è completamente
inesistente. Molti furono i pregiudizi avanzati nei confronti del “sordo”, ma
l’errore più comune, che viene commesso ancora oggi, è utilizzare la
terminologia di “sordomuto”. Dal Medioevo fino al ‘600, la convinzione che
le persone sorde fossero intellettualmente inferiori rivestì un ruolo da
protagonista nell’ambito dell’educazione dei sordi. Bisogna attendere il ‘700
con l’introduzione del primo linguaggio dei segni e le prime istituzioni
scolastiche per sordi per parlare di vera e propria educazione. La prima
scuola pubblica per sordi nasce nel 1755 ad opera di Charles Michèl de
L’Epée, il quale elaborò un linguaggio dei segni convenzionale creato in base
ai gesti che i suoi allievi utilizzavano per comunicare. L’opera dell’Abate De
53
L’Epée continuò grazie a Sicard, il quale perfezionò il metodo e lo diffuse
fuori dal continente, così nel 1791 la scuola precedentemente fondata
diventò il primo Istituto Nazionale per Sordomuti. Tale metodo fu quindi
preso in seria considerazione da un allievo di Sicard, Roch - Ambroise
Bebiàn, il quale per primo si rese conto che i segni avevano una grammatica
autonoma. La lingua dei segni, dunque arrivò anche in America grazie a
Thomas Gallaudet e Laurent Clerc che nel 1817 fondarono a Hartford nel
Connecticut la prima scuola americana per sordi utilizzando la prima lingua
dei segni americana. Più tardi nel 1864 fu fondata a Washington la prima
università per sordi: la Gallaudet Univeristy. Edward Gallaudet, figlio di
Thomas Gallaudet, combatté tutta la vita il movimento d’opinione capeggiato
negli Stati Uniti da Alexander Graham Bell, che si opponeva all’uso dei segni
e ne chiedeva l’eliminazione da ogni ordine scolastico. Sia Gallaudet sia Bell
erano figli di madri sorde, ma assunsero un atteggiamento completamente
opposto nei confronti della sordità. Dopo un secolo di presidenza di persone
udenti, gli studenti nel 1988 hanno ottenuto l’elezione di un rettore sordo,
King Jordan, il quale inaugurò il “Deaf Way”.
Attualmente la Gallaudet University è l’unica università per sordi al mondo,
dove i docenti sordi, svolgono la loro attività didattica mediante l’ASL
(American Sign Language).
4.1.1 La situazione italiana
In Italia la prima scuola pubblica per sordi nasce a Roma nel 1784 grazie a
Tommaso Silvestri, il quale aveva appreso il metodo del De L’Epée; Giacomo
Carbonieri, studioso sordo, e l’Abate Tommaso Pendola, dopo Silvestri,
furono grandi sostenitori della lingua dei segni, nella quale riconobbero
l’importanza dei segni per un maggiore apprendimento della lingua scritta.
Dopo questo periodo, in cui le prime scuole avevano accolto e riconosciuto la
validità della lingua dei segni, l’educazione dei sordi subì un enorme
cambiamento: il “Congresso Internazionale per il miglioramento della sorte
54
dei sordomuti” tenuto a Milano nel 1880, al quale parteciparono oralisti
udenti francesi e italiani, impose l’utilizzo della lingua orale contro il severo
divieto della lingua dei segni. Tale Congresso risulta essere un evento
piuttosto importante nella storia dell’educazione dei sordi, in quanto non
solo venne limitato l’utilizzo di una lingua naturale per i sordi, ma
rappresentò una sorta di negazione dell’identità delle persone sorde stesse.
Dagli Atti del Congresso emerge che alle poche persone sorde presenti,
contrari alla decisione presa, non fu chiesta alcuna opinione sull’argomento,
tanto che da quel momento in poi cambiò radicalmente l’intera storia della
loro educazione.
A partire dal ‘900 vennero effettuati i primi interventi legislativi, nei quali
l’oralismo ha sempre avuto una posizione di privilegio rispetto all’utilizzo
dei segni all’interno del contesto scolastico. Prima di questo periodo
l’educazione dei bambini sordi veniva gestita dagli istituti religiosi, in quanto
la legge n.3725 del 1859 (chiamata Legge Casati) affidava ai comuni
l’obbligo di provvedere all’istruzione elementare istituendo le scuole
occorrenti44; ovvero il compito della gestione finanziaria delle scuole venne
affidato agli enti locali di ciascun comune, così da determinare da un lato
uno squilibrio tra le diverse realtà territoriali dal punto di vista finanziario,
dall’altro l’aumento dell’analfabetismo in tutta Italia.
Successivamente, nel 1977, sulla base del principio di uguaglianza, viene
emanata la legge 517/77, che si presenta come un insieme di provvedimenti
e indicazioni pedagogiche, ovvero: “Norme sulla valutazione degli alunni e
sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica
dell’ordinamento scolastico”45. In
particolare, tale legge trasforma
radicalmente il quadro scolastico dei soggetti non considerati “normali”, in
quanto prevede: “forme di integrazione e sostegno a favore degli alunni
portatori di handicap, da realizzare mediante l’utilizzazione dei docenti in
44 R. Bosi, S. Maragna, R. Tomassini,,“L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo”, Franco Angeli, Milano, 2007, pag
23;
45 Ivi pag 24
55
possesso di particolari titoli di specializzazione “ (art 7, 2° comma). A tutto
questo nell’art 7, 4°comma si aggiunge: “devono essere assicurati la
necessaria integrazione
specialistica, il servizio socio-pedagogico e forme particolari di sostegno
secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti”.
La situazione scolastica italiana, dopo l’emanazione della legislazione del
’77, cambiò la sua impostazione apportando alla gestione delle scuole, non
poche novità. La legge, infatti, si occupò non solo di ridefinire la
programmazione dell’iter scolastico standard, ma si interessò degli alunni
portatori di handicap, ai quali venne data la possibilità di scegliere tra scuole
comuni e le scuole speciali.
Dunque, in riferimento agli alunni sordi, l’art 10 al 1° comma afferma:
“L’obbligo scolastico si adempie per i fanciulli sordomuti, nelle apposite
scuole speciali o nelle classi ordinarie delle pubbliche scuole elementari e
medie, nelle quali siano assicurati la necessaria integrazione specialistica e i
servizi di sostegno”.
La legge, insieme ai suoi articoli, ha determinato lo svuotamento degli istituti
speciali e un grande cambiamento nello svolgimento della vita scolastica sia
per i docenti che per gli alunni; le scuole non erano pronte ad accogliere e
soddisfare le esigenze degli alunni ritenuti “diversi”, compresi gli alunni
sordi, di conseguenza si vennero a creare dei problemi sul piano di
intervento concreto rivolto ai soggetti interessati.
Lo scopo principale della legge, dunque, era quello di puntare al passaggio
che va dall’inserimento all’integrazione, cambiamento che doveva prevedere
la valutazione per l’utilizzo di nuove ed adeguate metodologie educative.
4.2 Il bambino sordo a scuola
La scuola è il secondo ambiente in cui il bambino entra a far parte dopo
quello familiare; di fatti, dopo i genitori il bambino è affiancato da figure che
lo accompagneranno durante tutto il suo percorso scolastico nel quale
56
investirà non solo l’impegno utile per la sua istruzione, ma anche le
esperienze che vivrà all’interno di esso. La scuola, perciò, deve essere in
grado di accogliere il bambino che ivi vive gli anni preziosi della sua vita,
favorendone l’integrazione e l’apprendimento.
Il caso del bambino sordo è un caso di integrazione “speciale”, in quanto “la
qualità dell’integrazione dell’alunno sordo dipende in gran parte dalla
capacità della scuola o della classe di diventare una comunità di sostegno,
ove è possibile reperire aiuti ed adeguate risposte educative in grado di
soddisfare le esigenze comunicativo - apprenditive dell’alunno sordo, che va
tuttavia mantenuto in un continuativo clima relazionale con i coetanei
normo - udenti, che debbono saper e poter dialogare con lui, nell’ottica del
reciproco
aiuto
e
della
co-educazione”46.
Il
compito
principale
dell’istituzione scolastica, dunque, dovrebbe concentrarsi sulla ridefinizione
del contesto scolastico avendo la consapevolezza che il deficit uditivo, come
detto prima, limita soltanto la capacità di sentire, ma non provoca alcun
danno di tipo cognitivo.
Bisogna soprattutto tenere in considerazione che “il percorso scolastico”
risulta influenzato positivamente o negativamente dalla storia personale
dell’alunno. Le difficoltà saranno minori se vi è stata una diagnosi precoce,
una protesizzazione tempestiva, una terapia valida e continuativa e la
collaborazione costante e intelligente dei genitori47.
L’efficacia delle scelte educative che i genitori hanno preso nel periodo
precedente a quello scolastico, si verifica proprio in questa fase, in cui è
continuamente messa alla prova la capacità di comunicazione che possiede il
bambino.
L’inserimento all’interno di una classe di udenti, scelta oggi fatta dalla
maggioranza dei genitori, dovrebbe basarsi su una forte flessibilità da parte
degli insegnanti e degli alunni stessi, in modo tale che possa essere garantita
la vera e propria integrazione.
46 P. Gasparri, “Il bambino sordo. Pedagogia speciale e didattica dell’integrazione”, Anicia, Roma, 2005, pag 172
47 Op. cit. pag 7; M. C. Caselli, S. Maragna, V. Volterra “Linguaggio….”, pag 235;
57
Tuttavia, dalle ricerche condotte risulta che in Italia la situazione
dell’integrazione scolastica non è omogenea, né classificabile secondo
parametri territoriali.
La “scuola di tutti” non è sempre in grado di accogliere e intervenire sui
bisogni educativi del bambino sordo: per garantire la sua integrazione
scolastica, è importante organizzare un ambiente classe in cui la
comunicazione avvenga in contesti stimolati e animati; sia caratterizzata da
pluralità di lingue e modalità comunicative (lingua verbale e scritta, lingua
dei segni o italiano segnato esatto, dattilologia e lettura labiale), da vari
strumenti tecnologici e tipi di testo (libri, riviste, fumetti, enciclopedie,
pubblicità, ecc..); sia espressione di diverse modalità di organizzazione del
lavoro (individuale, in gruppi, collettivo).
Il successo scolastico di ogni bambino sordo è, comunque, fortemente
influenzato dal tipo di metodologia linguistica acquisita: oralista, bimodale,
bilingue o lingua dei segni. Non a caso le maggiori difficoltà che il bambino
sordo incontra a scuola si manifestano nell’ambito della scrittura a livello
sintattico e lessicale, alle quali si aggiunge uno sforzo ulteriore di
comprensione e comunicazione con l’intero contesto classe.
E’ per tutte queste ragioni che vivere la scuola per un bambino consiste nel
riuscire a superare una forte prova con sé stesso; soprattutto l’area socioaffettiva risulta piuttosto limitata, in quanto il bambino a scuola:
• È isolato dalla classe;
• Non fa i compiti;
• Non porta il materiale occorrente;
• È distratto;
• Dice di aver capito anche quando non è vero;
• Ha atteggiamenti aggressivi e di rifiuto nei confronti dell’insegnante di
sostegno.
Tali problemi rendono ancora più complessa la necessità di attuare un
adeguato intervento didattico e una corretta valutazione dello studente
stesso, il quale si trova inserito in una situazione di disagio e di solitudine.
58
Per riuscire a superare difficoltà di questa natura e conquistare l’attenzione
dell’alunno
è
necessario
semplicemente
mirare
ad
una
efficace
comunicazione, in quanto il principale ostacolo da superare consiste proprio
nel livello comunicativo. Occorre, dunque, attuare una sorta di adattamento
alla pari, durante il quale sia gli udenti che i sordi dovrebbero cercare di
collaborare per la riuscita di una buona strategia comunicativa. Per capire le
difficoltà da affrontare nell’educazione dei sordi bisogna cominciare a
prendere in esami i bambini che vengono educati.
A tal proposito, è necessario che in classe48:
• si smetta di parlare quando si è girati a scrivere alla lavagna;
• parlare a turno, uno per volta, e segnalare con la mano quando qualcuno
interrompe e interviene nella conversazione;
• toccare leggermente sul braccio il bambino per richiamare la sua
attenzione, mai all’improvviso e alle spalle;
• farlo partecipare a tutto quello che avviene in classe e che a lui può
sfuggire.
L’ultimo punto delle strategie sopra elencate rispecchia pienamente ciò che
il bambino sordo vive tutti i giorni; basti pensare ai piccoli episodi che
accadono quotidianamente all’interno di un’aula scolastica, ma dei quali
l’alunno sordo non è sempre messo al corrente. Per esempio l’entrata
nell’aula di un collaboratore scolastico che deve dare un avviso alla classe, la
risata di uno dei compagni seduti in fondo all’aula, o semplicemente non
essere a conoscenza dei nomi di ciascun compagno.
Tutti questi piccoli eventi, anche se apparentemente di poco conto, non
rendono possibile la vera integrazione. E’ compito degli insegnanti cercare
di adattare e di adattarsi alle esigenze di un alunno che ha tutto il diritto di
vivere la scuola.
“L’integrazione dell’alunno sordo da utopia diviene realtà concretamente
realizzabile se il contesto scuola riesce a rimettere in gioco le sue risorse, le
48 R.E. Jhonson, S.K.Liddle, C.J. Erting,. “Educazione degli studenti sordi. Principi per facilitare l’accesso ai programmi di
studio.”, Anicia, Roma, 1991, pag 16;
59
dinamiche relazionali e cognitive, le modalità didattico - organizzative, spazi
e tempi dell’apprendimento, proponendo una vasta gamma di interventi di
differenziazione educativo - didattica”.
Occorre garantire al bambino sordo un percorso scolastico che viaggi sulle
vie
dell’integrazione
e
della
serenità
necessaria
per
sviluppare
l’apprendimento, ricordando che ogni bambino è diverso dall’altro, che
dietro ogni bambino si nasconde una storia familiare e personale, e, infine,
bisogna non sottovalutare l’importanza dell’educazione linguistica la quale
avrà una forte influenza durante tutto l’iter scolastico del bambino.
4.3 La didattica speciale per il bambino sordo
Il termine didattica deriva dal greco didàsko (insegno) e si riferisce alla
teoria e alla pratica dell’insegnare; ogni didattica, a seconda della disciplina
oggetto di insegnamento, riguarda innanzitutto il rapporto tra insegnanteallievo, ovvero un rapporto vivo tra due persone che insegnano e imparano
contemporaneamente. Nell’approccio didattico il contesto educativo deve
essere ben strutturato e deve servirsi di strumenti adeguati che permettono
la riuscita di una buona programmazione scolastica.
Alla didattica generale si aggiunge quel tipo di didattica che è stata
denominata “speciale”, rivolta ai soggetti con difficoltà di apprendimento al
fine di poterli integrare all’interno del contesto classe e sociale in generale.
Appartenenti al quadro della didattica speciale, i bambini sordi
rappresentano una presenza particolare che necessita di essere appagata
attraverso un corretto ridimensionamento dei contenuti scolastici. La
didattica quotidiana rivolta ad essi diviene “speciale” in quanto ha uno scopo
esclusivo: riuscire a ridurre il deficit comunicativo. Solo se si considera la
sordità semplicemente come una “diversità” e non come un handicap, si può
riuscire a
realizzare
una “integrazione di qualità” che
consiste,
principalmente, nel dare la possibilità al bambino sordo di essere parte
attiva dell’ambito scolastico, e nel superare tutte le barriere comunicativo relazionali, al fine di acquisire competenze linguistiche e psicologiche utili
60
non solo per la sua crescita relativa al profitto scolastico, ma soprattutto per
la sua crescita personale.
Il punto fondamentale della didattica speciale rivolta al bambino sordo
riguarda da un lato il diritto ad accedere alla scuola di tutti, dall’altro il
diritto ad assicurare un successo formativo e scolastico; tale obiettivo non si
raggiunge ponendo il bambino sordo di fronte ad una “programmazione
didattica
speciale”, ma semplicemente utilizzando una metodologia
didattica accessibile, basata su strumenti più adeguati alle esigenze del
bambino. Secondo i ricercatori americani, Robert Johnson, Scott Liddell e
Carol Erting, il fallimento dell’educazione dei sordi è dovuto principalmente
alla mancanza di accessibilità dei programmi di studio e all’idea che ci si può
accontentare di basse aspettative nel rendimento scolastico dei bambini
sordi.
Essendo a conoscenza che il bambino sordo risulta deficitario del canale
uditivo, gli insegnanti e tutti coloro che partecipano al lavoro didattico del
bambino, dovrebbero adattare la lezione da un punto di vista metodologico
con l’obiettivo di visualizzare i contenuti scolastici attraverso strategie che
siano per lo più visive, in quanto la vista veicola sul canale integro che i
bambini sordi riescono a sfruttare al meglio. A tutto questo si aggiunge
l’aspetto relazionale del bambino che oggi, nella maggior parte dei casi, è
inserito in una classe di udenti, con i quali è difficile realizzare una completa
comunicazione.
È necessario, dunque, saper valutare in primo luogo i livelli di partenza del
ragazzo per trarre in modo giusto gli obiettivi e la metodologia, saper dosare
gli interventi individualizzati in classe e fuori dalla classe, saper intervenire
tempestivamente nelle dinamiche di gruppo per migliorare la competenza
linguistica del ragazzo che è lo strumento essenziale per una vera
integrazione49.
49 S. Maragna, “Una scuola oltre le parole. Educare il bambino sordo alla lingua parlata e scritta.Con esempi di unità
didattiche”, Franco Angeli, Milano, 2007, pag 18;
61
Seguendo le dinamiche della didattica metacognitiva, il ragazzo dovrebbe
sviluppare capacità di introspezione, autoanalisi, autoconsapevolezza,
processi che vengono inseriti nel secondo livello della didattica
metacognitiva
e
che
seguono
l’acquisizione
sulle
conoscenze del
funzionamento cognitivo generale, sviluppate mediante un normale
processo di assimilazione. Il secondo livello della didattica metacognitiva
sembra adattarsi in modo appropriato alle esigenze dell’alunno sordo, in
quanto “ il soggetto deve chiedersi non solo cosa sta pensando, quali sono i
processi cognitivi in atto nel momento in cui sta affrontando la soluzione di
un problema, come ha fatto a ricordare quel determinato evento, ma anche
come può per ricordare meglio”50. Tali competenze rendono l’alunno il
diretto responsabile della sua formazione, poiché, seguendo queste
dinamiche, riuscirà non solo a diventare un partecipante attivo della sua
didattica, ma a sviluppare una personalità adatta ad affrontare le
problematiche che si presenteranno nel suo percorso scolastico.
Sviluppare l’atteggiamento di autoconsapevolezza e di autoanalisi porta il
ragazzo ad acquisire una maggiore stima nei confronti del lavoro che
dovrebbe essere svolto interamente da lui. Un caso comune, che si verifica
spesso all’interno delle scuole in cui i bambini sordi sono inseriti, riguarda
l’atteggiamento di eccessiva tolleranza da parte dell’istituzione scolastica nei
confronti dell’alunno sordo stesso; difatti accade non poche volte che il
ragazzo venga esonerato dai compiti a casa o dalle verifiche periodiche a cui
è sottoposta il resto della classe. Così facendo il ragazzo sordo non prenderà
mai coscienza del fatto di poter arrivare a raggiungere obbiettivi didattici
non al di sopra delle aspettative degli stessi insegnanti.
Il compito di stimolare e far crescere il desiderio di apprendere spetta ai
docenti, i quali dovrebbero valutare il ragazzo soltanto in relazione al suo
deficit uditivo.
L’intervento didattico, dunque, oltre all’interesse verso l’area linguistica e
logico-matematica, dovrebbe riguardare anche l’educazione alla creatività,
50 C. Epasto, “Processi cognitivi e didattica evolutiva”, Samperi, Messina, 1999, pag
62
che è uno “strumento prezioso non soltanto per aprire la mente a nuove
esperienze, ma anche per leggere criticamente il reale”51. Il progetto
educativo dovrebbe basarsi sul massimo sfruttamento della curiosità
spontanea, in parte già soffocata da strumenti linguistici inadeguati e
dall’atteggiamento protettivo dell’ambiente familiare in cui il bambino ha
vissuto prima di entrare nella vita scolastica. Tuttavia, l’immagine è lo
strumento comunicativo che più si avvicina alla realtà, e l’utilizzo di essa può
soltanto giovare in positivo per raggiungere l’obiettivo di suscitare la
curiosità del bambino sordo attraverso un canale perfettamente integro che
l’alunno sordo sfrutta, spesso e volentieri in maniera migliore, rispetto ai
compagni udenti.
La didattica speciale del bambino sordo dovrebbe mettere in primo piano il
bambino sordo con le sue esigenze e le sue capacità, cercando di creare un
equilibrio alla pari tra apprendimento scolastico e vita relazionale. Bisogna,
inoltre, tener conto, che ogni alunno sordo è una persona “diversa e
speciale”: diversa perché ogni bambino ha una storia personale e linguistica
a sé stante, speciale perché con essi si attua la vera didattica, ovvero la
costruzione di un rapporto alla pari tra insegnante e allievo, dove entrambi i
membri imparano l’uno dall’altro. Così come ogni bambino, anche il
bambino sordo trasmette le sue emozioni, le sue paure, le sue ansie, che
sono frutto di un vissuto tutto personale ed esclusivo.
4.4 Metodologie e strategie didattiche
L’applicazione di adeguate metodologie e strategie didattiche è necessaria
per consentire una buona comunicazione in classe. Le più semplici strategie
didattiche riguardano essenzialmente l’organizzazione dell’ambiente fisico
dell’aula; in particolare è necessario che il docente52:
• controlli sempre che l’aula sia ben illuminata e che il proprio viso abbia la
luce nella giusta posizione per evitare che ci siano zone d’ombra;
51 Op. cit. pag 43; S. Maragna, “Una scuola…”, pag 140;
51 Ivi, pag 53;
63
• parli lentamente cercando di pronunciare le parole in modo chiaro e
corretto;
• eviti l’uso di frasi subordinate che, spezzando il discorso, rendono più
difficile la comprensione del messaggio;
• si serva, durante la spiegazione, di una “scaletta” preparata alla lavagna,
facendo riferimento alle diverse parti della spiegazione ogni volta che si
introduce un argomento nuovo;
• prepari tutto il materiale visivo possibile, inerente all’argomento trattato,o
si serva della lavagna luminosa come elemento di supporto,
• spieghi all’alunno sordo tutto quello che avviene in classe in modo che non
si senta escluso.
Tali condizioni sono indispensabili da applicare nel caso in cui si ricorre alla
lingua orale. Non si esclude, però, la possibilità di far utilizzare al bambino la
Lingua dei Segni che consente una comunicazione veloce, efficace e
completa, in particolare quando il bambino ha seguito una educazione
bilingue che gli permette di favorire le sue capacità espressive e di rispettare
la sua identità culturale. In questo caso, il docente di sostegno dovrebbe
preoccuparsi di conoscere la lingua dei segni, o in alternativa dare la
possibilità di affiancare al bambino sordo un aiuto in più, come l’inserimento
di una delle figure che, oggi, vengono sempre più richieste nelle classi
frequentate dagli alunni sordi: l’assistente alla comunicazione, il quale ha il
compito di ricoprire il ruolo di un vero e proprio ponte
comunicativo.
L’utilizzo della lingua dei segni ha come primo obiettivo migliorare la
competenza nell’italiano parlato e scritto e, di conseguenza, potrebbe
rappresentare una possibilità per attuare una buona comunicazione e
arrivare a raggiungere obiettivi didattici soddisfacenti.
Nell’ambito delle possibili tecnologie didattiche rientrano a far parte l’uso
degli strumenti multimediali, primo fra tutti il computer. La scelta del
computer, in sostituzione al tradizionale utilizzo di carta e penna, potrebbe
suscitare un interesse maggiore da parte del bambino sordo nei confronti
dei contenuti scolastici; in particolar modo, grazie alla nitidezza dei caratteri
64
è possibile riconoscere meglio il tipo di errore commesso durante la
scrittura di un testo, in modo tale che il bambino possa incuriosirsi e
correggersi da solo. Tale tecnologia, punto di attrazione anche degli studenti
udenti,
media
il
messaggio
attraverso
un
canale
visivo,
facilita
l’apprendimento dello studente sordo, favorisce la concentrazione e stimola
la cura degli aspetti estetici dell’elaborato; in tal senso, offre al bambino il
piacere di riconoscere il prodotto finale come frutto del proprio lavoro.
L’auto - correzione, in particolare, diminuisce nel bambino sordo
l’umiliazione della correzione che, se continuativa nel tempo, abbassa il
senso di autostima necessario per la costruzione della propria autonomia.
Lavorando da solo con il computer, si avranno risultati non solo nell’ambito
del profitto scolastico, ma lo studente acquisterà più autonomia e sicurezza
nel svolgere i compiti e approfondire i contenuti degli argomenti
appartenenti alla programmazione scolastica. Al computer si affianca
l’utilizzo dei software didattici, utili per favorire la discussione e
l’apprendimento cooperativo.
Negli ultimi anni si sta sempre di più diffondendo l’utilizzo della lavagna
digitale (o interattiva o “Smart Board”) all’interno delle classi. Nato
esclusivamente come strumento interattivo didattico da utilizzare
all’interno dello spazio socio - educativo, la lavagna digitale consente più di
altre tecnologie, di aumentare il coinvolgimento e l’attenzione della classe
migliorando l’apprendimento e arricchendo le lezioni da un punto di vista
multimediale. Molte scuole oggi, tra le quali le classi all’interno dell’istituto
sordi di Roma di Via Nomentana, si servono delle lavagne interattive; tale
strumento è utile sia ai docenti, in quanto organizzano meglio le lezioni
rivolte indifferentemente agli alunni udenti e sordi, sia agli studenti, che
sviluppano curiosità e interesse verso la lezione. L’utilizzo di questo
strumento potrebbe essere una risorsa per favorire l’integrazione
dell’alunno sordo con il resto della classe, in quanto ne beneficiano insieme
sia sordi che compagni udenti.
65
Tutte le tecnologie oggi rivolte al mondo della scuola, non sono altro che
strumenti in più per consentire la progettazione di un modo diverso di fare
didattica. Gli alunni sordi, che necessitano di essere continuamente
stimolati, hanno bisogno di essere circondati di metodologie e strumenti
adatti alle loro esigenze e capacità di comunicazione. Coloro che partecipano
alla vita scolastica del ragazzo sordo, non dovrebbero mai dimenticare che la
sfida per ottenere l’integrazione non può essere vinta senza una funzionale
organizzazione e sinergia tra le diverse parti (famiglia, logopedisti, docenti,
assistente alla comunicazione…..), che devono contribuire insieme per buona
riuscita del piano educativo sociale e scolastico. Per realizzare il progetto
della “scuola di tutti”, occorre concedere a questi alunni “diversi” la
possibilità di esprimersi e di apprendere come meglio possono: è loro diritto
farlo, ed è dovere delle istituzioni scolastiche creare le condizioni necessarie
per renderlo reale.
66
CAPITOLO V
L’ASSISTENTE ALLA COMUNICAZIONE: UN AIUTO IN PIU’ PER
L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEL BAMBINO SORDO
5.1 L’assistente alla comunicazione: la legge 104/92, ruolo e
competenze
Viaggiando lungo il percorso didattico del bambino sordo, oggi è sempre più
facile incontrare un educatore professionale speciale, che opera in ambito
scolastico e che ne cura, in particolare, l’aspetto comunicativo- relazionale:
l’assistente alla comunicazione. Questa figura professionale ha il compito di
facilitare
la
comunicazione
del
bambino
sordo
nel
contesto
di
apprendimento (con i docenti e i compagni di classe) e di rendere accessibile
all’alunno i contenuti scolastici e le informazioni che lo riguardano
attraverso diverse strategie comunicative (ISE, Lingua dei Segni, lettura
labiale, strumenti visivi …) rappresentando così un vero e proprio “ponte
comunicativo”.
L’ assistente alla comunicazione rappresenta un prezioso aiuto, in quanto la
sua presenza in classe consente di realizzare la vera integrazione che porta il
bambino a sentirsi parte costitutiva del contesto scolastico e sviluppare le
capacità adeguate per affrontare un percorso di formazione e di
apprendimento.
I
riferimenti
legislativi
relativi
all’inserimento
di
questo
profilo
professionale riguardano la nota legge 104 del 5 febbraio 1992. Preceduta
67
dalla legge 517/77, la legge 104 denominata “legge - quadro” continua ad
occuparsi dell’integrazione scolastica dei soggetti portatori di handicap, al
fine di garantire ad essi il diritto all’educazione e all’istruzione nelle scuole
di ogni ordine e grado scolastico, dagli asili nido all’università. La legge
104/92 si occupa di definire la normativa per offrire nuove disposizioni in
ambito di prevenzione, di garanzia dell’autonomia personale e di servizio di
diritti fondamentali, tra i quali il diritto allo studio.
Con particolare riferimento all’integrazione sociale e scolastica degli alunni
sordi, l’art 3 comma 2 cita: “la persona handicappata ha diritto alle
prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza
della minorazione...” e nell’articolo 8 comma 1 la legge dispone di:
“provvedimenti che rendano effettivi il diritto all’informazione e il diritto
allo studio della persona handicappata, con particolare riferimento a
linguaggi specializzati”. Inoltre nell’articolo 13, comma 3 la legislazione
prevede il servizio di: “assistenza per l’autonomia e la comunicazione
personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali...”; affidando agli Enti
Locali preposti, il compito di offrire alle famiglie e alle scuole il servizio di
assistenza all’interno delle scuole che ne faranno richiesta. Nel caso del
bambino sordo si parla di Assistente alla Comunicazione, il cui profilo non è
stato ancora del tutto definito.
La legge n. 104/92 si è limitata ad attribuire alle amministrazioni locali
l’incarico di gestire il servizio di assistenza alla comunicazione senza
specificarne il ruolo e le competenze; gli enti si trovano così a gestire una
importante realtà senza poter affidarsi a linee guida con riferimenti precisi.
In verità, alla legge 104, in quanto legge quadro dovevano seguire leggi
successive, ma ciò è accaduto solo parzialmente.
Il profilo professionale elaborato dall’ENS (Ente Nazionale Sordi), prevede
che l’assistente alla comunicazione deve53:
• essere figlio di sordi segnanti, oppure aver frequentato un corso di lingua
dei segni di almeno 400 ore;
53 Profilo delineato dall’ENS di Roma
68
• aver frequentato un corso di formazione;
• avere un titolo di studio adeguato (diploma di maturità per il nido, la
scuola materna e la scuola elementare, laurea per tutti i gradi scolastici).
E’ necessario mettere in risalto il primo punto del profilo appena delineato;
di fatti, non basta aver acquisito la Lingua dei Segni come lingua - madre, ma
occorre conseguire la formazione e le competenze adeguate per svolgere
tale servizio. A tutto questo si aggiunge una buona preparazione riguardo la
conoscenza della storia, del mondo e della cultura sorda, una conoscenza
base riguardo i metodi e la didattica degli alunni sordi e il possesso di buone
capacità di collaborazione (ovvero insieme l’insegnante curriculare,
l’insegnante di sostegno, l’educatore sordo…).
Queste definizioni di ruolo non appartengono ad alcun profilo giuridico ed
economico, ma sono il risultato di esperienze portate avanti da tempo in
alcune città e paesi, come accade nella città di Roma. Da tutte queste
esperienze emerge un principale prerequisito che deve possedere
l’assistente alla comunicazione: essere un educatore professionale
ulteriormente specializzato e possedere competenze specifiche necessarie
per lavorare con i bambini sordi.
Dunque, la difficoltà primaria dell’operato di questa figura riguarda la
mancata definizione giuridica del profilo professionale che provoca, a volte
una distribuzione di ruoli non del tutto chiara, per cui spesso si chiede
all’assistente alla comunicazione di fare da insegnante o da logopedista,
dovendo così padroneggiare competenze e formazioni, che non possiedono.
Tutto ciò è conseguenza della difficoltà comunicativa che gli insegnanti
incontrano nel rapportarsi con gli alunni sordi, che come tutti i bambini e i
ragazzi che frequentano la scuola sono diversi gli uni dagli altri. In
particolare gli alunni sordi hanno una storia linguistica personale, non
sempre sono figli di sordi e non sempre conoscono la lingua dei segni, per
cui l’assistente alla comunicazione deve essere in grado di passare il
messaggio con qualunque mezzo o metodo.
69
5.2 Operare nel contesto scolastico: il piccolo mondo degli assistenti
alla comunicazione
Cosa accade in classe? Accanto al bambino sordo troviamo le figure che si
occupano della sua formazione in ambito didattico: l’insegnante curricolare,
l’insegnante di sostegno e l’assistente alla comunicazione.
L’insegnante di sostegno è spesso impreparato nei confronti del deficit
uditivo, poiché la sua preparazione prevede una formazione polivalente e
non specifica al deficit uditivo, di conseguenza si presentano molte difficoltà
di comunicazione con il bambino sordo. Ha il compito di attuare forme di
integrazione a favore degli alunni in situazione di handicap e realizzare
interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni.
Inoltre predispone il P.E.I. (Piano Educativo Individualizzato previsto dalla
legge 104/92, articolo 12), che comprende il progetto riabilitativo, di
socializzazione e didattico dell’alunno.
L’assistente alla comunicazione ha un compito ben diverso: è un modello
comunicativo relazionale, è un modello linguistico, è un punto di riferimento
emotivo e un mediatore comunicativo con i coetanei e gli adulti, è un
supporto all’apprendimento. In altre parole, a differenza dell’insegnante di
sostegno, non ha alcun compito didattico, (competenza esclusiva dei docenti
curricolari e dell’insegnante di sostegno), ma deve essere in grado di
rivestire il compito di mediatore comunicativo. Nel caso dell’assistente alla
comunicazione, mediare significa “entrare e uscire”: significa accettare di
stare nell’ombra, saper rispettare il confine e il limite tra ciò che è il suo
compito e ciò che non lo è; significa saper entrare in un gruppo compatto,
qual è quello degli insegnanti della scuola, con la discrezione e la delicatezza
di chi entra in una casa sconosciuta in cui tutti gli altri ospiti presenti, però,
si conoscono54. Occorre quindi che l’assistente alla comunicazione faccia
molto di più; per non creare disagi o equivoci è utile che faccia un quadro
della situazione: Chi è il bambino? Che storia familiare e linguistica
54 E. Barbero, “L’assistente alla comunicazione: una professione in crescita tra difficoltà e vittorie “, in «La voce silenziosa,
dell'Istituto sordimuti di Torino” Numero 22, Anno VII, Pianezza, Maggio-Agosto 2003, pag 31-32;
70
possiede? Chi sono e/o Cosa si aspettano i genitori? Come funziona la scuola
e come si organizzano gli insegnanti?... Tutti interrogativi che necessitano di
avere risposta affinché si possa creare una sinergia tra le figure professionali
educative che ruotano intorno al bambino sordo.
Il lavoro dell’assistente alla comunicazione, una volta date le risposte a tali
interrogativi, deve essere quello di mettere in campo tutte le capacità
comunicative da lui in possesso per riuscire nel suo principale obiettivo:
trasmettere il messaggio nel miglior modo possibile. È necessario che
conosca le principali difficoltà che un bambino sordo incontra a livello di
apprendimento e nell’area socio - affettiva, in particolar modo nell’ambito
dell’italiano scritto, dove la lingua
dei segni rappresenta una preziosa
risorsa.
Bisogna chiarire che l’assistente alla comunicazione non è un interprete, in
quanto non si limita a tradurre il contenuto scolastico da una lingua all’altra,
ma permette una trasposizione in segni tale da rendere accessibile i
contenuti al bambino. Una delle metodologie più efficaci utilizzate dagli
assistenti alla comunicazione consiste nell’utilizzo di strategie visive come
disegni, immagini, schemi, mappe concettuali.
Occorre avere una buona predisposizione verso la fantasia e la creatività:
entrare nel mondo delle immagini, dei colori, per capire come far avvenire
questa speciale comunicazione. Adattando le strategie di comunicazione
soprattutto in base alle competenze linguistiche del bambino sordo,
l’assistente alla comunicazione rappresenta, a volte, non solo il primo, ma
anche l’unico modello comunicativo adeguato, con cui l’alunno si relaziona
di più rispetto agli insegnanti e ai compagni. La funzionalità di questo
importante ruolo, dunque, rappresenta un vero supporto all’apprendimento
e alla comunicazione che agisce tra docenti, compagni e alunno sordo.
Oltre
ad
essere
un
sostegno
all’apprendimento,
l’assistente
alla
comunicazione è anche un supporto emotivo di enorme importanza per il
ragazzo. Accanto all’educatore sordo, che ha il compito esclusivo di
rafforzare l’identità del ragazzo, l’assistente alla comunicazione deve essere
71
in grado di chiarire alcuni dubbi e comunicare i suoi pensieri; i bambini,
infatti, non sono solo scolari, ma membri di una piccola comunità, quale la
scuola in cui essi mettono in gioco la loro vita, le loro emozioni e le loro
perplessità.
La realtà scolastica si dimostra piuttosto complicata: ma perché non dare la
possibilità al bambino sordo di sentirsi compreso e non isolato? La
costruzione di un buon rapporto basato sulla fiducia con il bambino è il
primo passo verso la realizzazione dell’integrazione scolastica dei sordi; è
necessario semplicemente rispettare i ruoli che rivestono le diverse figure
operanti, non proteggendo l’alunno da qualsiasi difficoltà, ma stimolandolo a
mostrare le sue capacità che pian piano lo porteranno a costruire un buon
percorso didattico e di vita.
Ogni figura deve svolgere il proprio compito, in particolare l’assistente alla
comunicazione oltre a riconoscere i limiti del bambino, deve essere in grado
di riconoscere anche i suoi limiti, mettendo in campo le sue capacità e le sue
risorse
al fine di trasmettere una buona informazione. Un messaggio
trasmesso erroneamente, potrà essere interpretato in maniera sbagliata dal
bambino, che non riuscirà a cogliere in modo corretto il contenuto
dell’informazione. Si deve avere ben chiaro in mente cosa si trasmette e
come si avviene tale passaggio di informazioni: percorso e obiettivo
viaggiano insieme. La presenza di un assistente alla comunicazione
all’interno della classe, infine, serve alle istituzioni scolastiche per far
accrescere l’interesse verso una vera integrazione, perché il sordo può
sentirsi solo anche tra tante persone se non è messo nelle condizioni di
comunicare. Le condizioni fondamentali sono rappresentate dal livello di
accoglienza e di sinergia che si crea attorno al ragazzo.
72
CONCLUSIONE
Quanto abbiamo esposto è solo una piccola parte della vasta problematica che
investe la sordità ed il trattamento delle ipoacusie infantili.
Essa non è, e non poteva essere, esaustiva. Il motivo che ci ha portato a
trattare questo specifico problema è dovuto al fatto che ancora oggi, con
nostro grande rammarico, questi bambini, inseriti nelle scuole normali, non
riescono ad avere sufficiente motivazione, né a nutrire particolare interesse
per l’apprendimento.
Ciò, a nostro parere, è dovuto, oltre che alla insufficiente preparazione del
corpo docente, anche alla mancanza di stimoli e di incentivi adeguati a far
nascere nel bambino il desiderio di apprendere.
I genitori, d'altronde a ragione, richiedono il diritto all’istruzione del figlio,
diritto che risulta delegittimato, anche e non solo, a causa delle carenze del
materiale didattico e delle stesse strutture scolastiche.
Sono ancora poche le scuole che possiedono un computer, e quelle poche non
hanno a disposizione software didattico specifico per l’handicap in generale.
Così come non vi sono aule attrezzate con microlink né i ragazzi segnanti
possono avvalersi di un’interprete della LIS.
La nostra speranza è quella di riuscire a scatenare nelle persone coinvolte “a
livello scolastico” nel progetto di integrazione, o meglio, nell’educazione dei
73
bambini ipoacusici, un interesse più profondo per un campo tanto vasto.
E’ fondamentale che i partecipanti al progetto di integrazione siano
veramente convinti che i bambini sordi hanno delle capacità e ci si può
aspettare da loro delle riposte al pari dei bambini udenti, che le metodologie
didattiche debbano essere sottoposte a revisioni e trasformazioni e che il
fallimento scolastico attuale dipenda soprattutto dalla non corretta
programmazione delle istituzioni scolastiche.
Riflettere sull’istruzione dei sordi oggi, ha significato riflettere su cosa è
meglio da realizzare per i sordi domani. Certamente l’attuale forma di
pseudo - integrazione utilizzata non porta risultati positivi né in ambito
educativo, né in ambito didattico.
La realizzazione di una scuola pensata per i sordi potrebbe rappresentare la
vera opportunità per concretizzare la desiderata integrazione; serve solo
capire quali sono gli aspetti da eliminare, quali quelli da migliorare e, infine,
quali da
proporre. Per avverare questo progetto, credo sia utile,
semplicemente instaurare una stretta collaborazione tra sordi e udenti:
inserire all’interno dell’équipe scolastica i docenti udenti o sordi, l’Assistente
alla Comunicazione e l’educatore sordo.
74
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