I LAOGAI: LA MACCHINA DELLA REPRESSIONE IN CINA

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I LAOGAI: LA MACCHINA DELLA REPRESSIONE IN CINA
I LAOGAI: la Macchina della Repressione in Cina
Il laogai cinese è uno dei sistemi carcerari più repressivi e disumani al mondo. Modellato sul gulag sovietico e “creato per
punire coloro che vengono identificati come oppositori del regime comunista”1, il laogai è usato nella Cina contemporanea
come “strumento... (per esercitare) la dittatura su una minoranza di elementi ostili”2, cioè i dissidenti. il sistema da un lato serve
come mezzo per la repressione e per la riforma del pensiero (cioè il lavaggio del cervello), dall’altro garantisce un’immensa
quantità di manodopera gratis che è fonte di ingenti profitti per il sistema carcerario e per il Partito Comunista Cinese (PCC). Il
potere esecutivo in Cina ha potere illimitato e può tenere sotto controllo e arrestare le persone indiscriminatamente. il termine
laogai comprende tutte le diverse forme di detenzione possibili. la parola è entrata nei vocabolari di lingua inglese nel 2003, in
quelli di lingua tedesca nel 2005 e in quelli di lingua italiana nel 2006, ma l’uso del vocabolo si è diffuso fin dai primi anni ’90.
Da quando l’opinione pubblica ha cominciato ad acquisirne consapevolezza e a porsi domande sulla questione, il PCC ha
smesso di usare detto vocabolo.
Definizioni
Il laogai. È il sistema di campi di concentramento e lavoro forzato, prigioni, centri
di detenzione, ospedali psichiatrici, ecc. in uso in Cina3. Il termine laogai significa
“riforma attraverso il lavoro.”
La “rieducazione attraverso il lavoro” è il laojiao4, una forma di detenzione
amministrativa. La polizia attraverso il laojiao può tenere in carcere i cittadini cinesi
fino a tre anni e senza processo.
L’ankang. Una traduzione letterale del termine paradossalmente significa “pace e
salute”, invece è una forma di detenzione psichiatrica. Chi per esempio presenta
petizioni alla pubblica amministrazione, anche locale, può “ritrovarsi chiuso in
manicomio dove viene sottoposto a cure psichiatriche forzate come per esempio
l’elettroshock.”5
Le “black jails” sono parte di un sistema di detenzione segreto e formalmente
illegale, al di fuori delle istituzioni governative. In Cina vige un’antica tradizione –
già consolidata ai tempi dell’Impero - per cui i singoli cittadini possono chiedere
udienza alle autorità per presentare denunce e petizioni. Per questo ancora oggi
molti viaggiano fino a Pechino o fino alla capitale della provincia in cui risiedono
per denunciare gli abusi commessi dai funzionari locali. Questi allora, organizzati
spesso con bande di mercenari adeguatamente retribuite, “si mettono alla caccia
della persona che intende fare la denuncia, quando la trovano la acchiappano,
anche in mezzo alla strada, e la rinchiudono in hotel in disuso o in altri immobili
affittati per lo scopo, con tanto di guardiani per evitare fughe.”6 Il governo centrale
finge di non sapere e di fatto tollera il sistema.
La Cina ha cambiato il nome laogai con “prigioni”. Dopo che il termine laogai ha
cominciato ad essere abbastanza noto in Occidente, nei primi anni ’90, il governo
cinese l’ha rimpiazzato con il più generico e innocuo termine “prigione” (jianyu).
Nonostante ciò il governo ha ammesso pubblicamente attraverso i mass media
cinesi che il sistema carcerario è esattamente lo stesso che precedentemente si
chiamava laogai.7
Un sistema carcerario redditizio
I campi di concentramento generano reddito per il PCC: con il lavoro forzato dei
prigionieri si guadagnano milioni di dollari. Che le prigioni siano produttive potrebbe
anche sembrare un dato positivo, ma in Cina tale sistema crea incentivi ad incarcerare
un numero sempre crescente di individui, a prescindere dalla loro colpevolezza.
I prigionieri in Cina sono costretti al lavoro forzato. La legge cinese indica
chiaramente che il laogai deve “servire alla costruzione economica dello Stato”,8
deve creare “ricchezza per la società. Le strutture dei laogai sono sia strumenti per
la dittatura, sia speciali attività d’impresa”.9
Rivista della commissione economia e sicurezza U.S.A. - Cina,
“Rapporto al Congresso del 2008”, Novembre 2008.
2
Alan Dowd, “Christmas in China”, Indianapolis News, 18 dicembre 1998.
3
“Laogai”, Random House Dictionary, 2010.
4
Wu Jiao, “New Law to Abolish Laojiao System”, China Daily, 1 Marzo 2007.
5
“Activist Sent to Mental Hospital”, Radio Free Asia, 2 febbraio 2010.
6
“Chinese State Media Reveal Secret, Illegal Jails”, CNN, 30 Novembre 2009.
7
“劳改改名成监狱”, 法制日报, 7 Gennaio 1995.
8
劳动改造生产, “中华人民共和国劳动改造条例”, Ch.4, Article 30, 26 Agosto 1954.
9
司法部, 劳改局. 犯人改造手册 (Shaanxi: Shaanxi People’s Publishers, 1988).
1
I LAOGAI IN NUMERI
1007 sono i laogai la cui esistenza
e operatività attualmente è stata
verificata dalla LRF; il vero numero
di campi di concentramento è molto
probabilmente ben più elevato ed è
segreto.
Da 3 a 5 milioni sono le persone che
si ritiene siano attualmente detenute in
detti campi.
Da 40 a 50 milioni di persone sono
state incarcerate nei laogai dal 1949.
Il 99% di coloro che sono stati accusati
di “minaccia alla sicurezza dello stato”
sono stati ritenuti colpevoli.
314 sono le imprese commerciali
catalogate nei database di Dun &
Bradstreet che sono chiaramente
collegate
a
dei
campi
di
concentramento.
110 sono i laogai che pubblicizzano le
loro attività sul web in lingua inglese ed
altre lingue, incluso l’italiano.
1.400 persone nel 2008 sono state
internate per “minaccia alla sicurezza
dello Stato”, il doppio rispetto al 2007.
500.000 sono le persone che in Cina
si ritiene siano poste in detenzione
arbitrariamente in qualsiasi momento.
5.000 sono le sentenze alla pena
capitale che si ritiene siano state
eseguite nel 2009, ma il reale numero
delle stesse potrebbe verosimilmente
essere molto più elevato.
68 è il numero dei crimini per cui in
Cina, oggi, è comminata la pena di
morte: vi rientrano anche reati non
violenti e reati di carattere “economico”.
40% sono i detenuti nei laogai
condannati a più di cinque anni di
prigione, all’ergastolo o a morte.
(fonte: Laogai: The Machinery of
Repression in China, Umbrage
Editions, 2009)
I campi di concentramento operano sotto due nomi diversi per facilitare gli affari. Un nome è quello ufficiale della prigione, l’altro
è il nome per l’attività imprenditoriale, per presentarsi sul mercato, per stabilire rapporti con partner commerciali esattamente
come una qualsiasi società di capitali.10
Le merci prodotte con il lavoro forzato nei laogai sono vendute illegalmente sul mercato internazionale. Mascherati da legittime
imprese commerciali, i laogai vendono prodotti di ogni genere sul mercato internazionale. La Laogai Research Foundation
ha identificato molti di tali prodotti in vendita negli USA e, dal 1991 ad oggi, le autorità americane competenti (Customs
and Border Protection Agency) hanno spiccato ventisei ordini di confisca di tali prodotti. Il numero effettivo delle merci che
provengono dai laogai è però attualmente sconosciuto.
Il commercio dei prodotti nei laogai è illegale anche in Cina. Il commercio dei prodotti del lavoro forzato viola sia la legge
cinese11 che quella statunitense12, nonché i trattati internazionali siglati da entrambi. Perciò le imprese-laogai deliberatamente
violano la legge per ottenere profitto. In Europa l’importazione dei prodotti nei laogai è generalmente possibile, perché né
l’unione Europea, né i singoli paesi membri hanno emanato norme restrittive in tal senso13. La Laogai Research Foundation è
impegnata per colmare tale vuoto normativo in Italia ed in Europa. La sua azione è già stata determinante per l’approvazione
di risoluzioni contro i laogai e le violazioni dei diritti umani in Cina, presso il Bundestag tedesco, il 10.5.2007, ed al Parlamento
Italiano il 30.10.2007. Nel 2010 la Laogai Research Foundation ha presentato una proposta di legge (n. 3887) contro il
commercio dei prodotti del lavoro forzato al Parlamento Italiano.
Le condizioni di vita nei laogai
I carcerati in Cina conducono un’esistenza tremenda. La LRF ha potuto documentare le condizioni di lavoro assolutamente
disumane in numerosi campi: per esempio prigionieri che scavano in miniere di amianto senza alcuna attrezzatura di protezione,
oppure che maneggiano acidi corrosivi senza guanti, o che stanno nudi in vasche di componenti chimici per tingere pelli. Per
amore del massimo profitto non solo i prigionieri lavorano in modo da mettere in pericolo la loro vita, ma spesso rendono i
prodotti stessi insicuri, pericolosi, di bassa qualità e a volte addirittura letali.
La tortura dei prigionieri è prassi normale nei laogai. Un’inchiesta delle Nazioni Unite ha riportato che i prigionieri subiscono
“shock elettrici e a pestaggi da parte dei funzionari di polizia” e diverse punizioni corporali come “la privazione del sonno,
l’obbligo di stare in piedi o di mantenere determinate posizioni scomode e dolorose per ore e a volte per giorni interi.”14
Normalmente i prigionieri muoiono durante la detenzione nei laogai. In quattro mesi del 2009 abbiamo avuto notizia della
morte di 15 detenuti. “Sette sono stati picchiati a morte, tre si sono suicidati, due sono morti per non meglio identificati
“incidenti”, sugli altri tre decessi si sta ancora indagando”.15
Prigionieri per reati di coscienza
La legge cinese consente di arrestare e imprigionare i cittadini per “reati politici, come l’organizzazione di un giornale indipendente,
la partecipazione a un sindacato di lavoratori, a una associazione religiosa non riconosciuta, o l’aver pronunciato slogan democratici
in pubblico.”16 Così la polizia e i pubblici funzionari hanno la possibilità di imputare reati a chiunque e di spazzare via qualsiasi tipo
di dissenso: il numero dei prigionieri politici in Cina continua tutt’oggi ad essere preoccupante ed estremamente alto.
Il reato di “minaccia alla sicurezza dello Stato” ha sostituito il noto reato di “controrivoluzione”. Da quando esiste il sistema
del laogai, milioni di persone sono state internate con l’accusa di essere “controrivoluzionari” o “di destra”.17 Questo delitto
capitale è stato rinominato nel 1997 con l’espressione ugualmente ambigua di “minaccia alla sicurezza dello Stato”.18
Steven W. Mosher, “Chinese Prison Labor”, Society, Vol 29, Number 1, Novembre 1991.
Chinese Customs, “中华人民共和国海关总署关于禁止劳改产品出口的通告”, 29 Settembre 2005.
Smoot Hawley Tariff Act of 1930 Section 307 (19 U.S.C. § 1307), U.S. Code Title 18 Section 1761.
13
Jean-Luc Forgeron, “Slaves of China Who Make the Cup that Cheers the West”, The Observer, 30 Ottobre 1994.
14
Phillip P. Pan, “Abuse Found in China Prisons”, Washington Post, 3 Dicembre 2005.
15
“China to Clamp Down on Inmate Abuse”, Associated Press, 20 aprile 2009.
16
“A List Aids China’s Political Prisoners”, Christian Science Monitor, 21 Novembre 2005.
17
Changyu Li, “Mao’s ‘Killing Quotas’”, Human Rights in China, 26 Settembre 2005.
18
“Number of Chinese Political Prisoners in 2007 ‘Highest Since 1999’”, Monsters and Critics,17 Marzo 2008.
10
11
12
Grazie al sostegno della Fondazione CARITRO ed al Patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale una Mostra
Fotografica sui Laogai, composta da 25 pannelli, sarà esibita nella Sala di Rappresentanza degli Uffici della Regione
dal 7 al 23 novembre, con apertura dal lunedì al venerdì nei seguenti orari: 9.00 - 12.00 | 14.00 - 17.00.
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