Fulvio Delle Donne Liturgie del potere
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Fulvio Delle Donne Liturgie del potere
Università degli Studi di Bari “A. Moro” Centro Studi Normanno-Svevi Fulvio Delle Donne Liturgie del potere: le testimonianze letterarie estratto da: Nascita di un regno. Poteri signorili, istituzioni feudali e strutture sociali nel Mezzogiorno normanno (1130-1194) Atti delle diciassettesime Giornate normanno-sveve Bari 10-13 ottobre 2006 a cura di Raffaele Licinio e Francesco Violante Mario Adda Editore Bari 2008 Fulvio Delle Donne Liturgie del potere: le testimonianze letterarie Bernardo, tesoriere di Saint-Pierre di Corbie intorno al 1230, ci tramanda un racconto piuttosto insolito ed “eccentrico”, relativo a un incontro tra il re di Francia Luigi e il normanno Ruggero. Or avint cose, quant il fu sour mer, ke vens le fist ariver en l’isle de Sesille, à une cité qui a à non Palierne. N’avoit encore gaires quant li rois ariva en l’isle de Sesille, que Crestiien l’avoient conquis sour Sarrasins. Li sires ki le conquist avoit à non Rogiers; si estoit sires de Puille et de Calabre. Cis Rogiers estoit en Palierne, quant li rois i arriva. Et ala encontre lui, quant il sot que li rois de France estoit arivés. Il li pria qu’il se herbegast aveuc lui en son castiel; et li rois i herbega volentiers. Et il li fist tant d’onnour que li rois s’en loa mout durement. Ains que li rois s’en parti, se pourpensa Rogiers d’une mout grant voisdie. Et vint au roi, si li dist qu’il alast aveuc lui, par tout son castiel et à son tresor; et quan qu’il li plairoit preist à sa volenté, comme le suen. Li rois ala adonc avé li à son tresor. Et cil li fist moustrer tous les biaus joiaus que il avoit; mais li rois n’en vot riens prendre. Rogiers prist une couronne d’or mout biele, si vint al roy, si li dist: «Sire, se vous plaisirs estoit que vous me mesissiés ceste couronne d’or en ma tieste, pour savoir comment elle me serroit»? Li rois, qui n’estoit mie malicieus, pour l’onnour qu’il li avoit douné et fete, ne li vot escondire, dont il fu mout dolans apriès. Il prist la couronne en sa main, si li mist sour la tieste. Quant Rogiers ot le couronne en le 332 Fulvio Delle Donne tieste, il s’agenoulla devant le roi, si l’en mercia mout hautement, et dist que plus haus hom de lui ne le peuist mie avoir couronné. Quant li rois vit çou, si se tint mout à engignié, et prist congié, si s’en ala en France. Et li rois Rogiers le convoia jusques à la mer, et fist porter apriès lui grant partie de ses joiaus1. [Dunque, avvenne che, quando fu in mare, il vento lo fece arrivare all’isola di Sicilia, in una città che si chiama Palermo. Quando il re arrivò nell’isola di Sicilia, non era trascorso ancora molto tempo da quando i Cristiani l’avevano strappata ai Saraceni. Il signore che l’aveva conquistata si chiamava Ruggero, che era signore di Puglia e di Calabria. Questo Ruggero si trovava a Palermo, quando il re vi arrivò. E lì l’incontrò, quando seppe che il re di Francia era arrivato. Egli lo pregò di soggiornare da lui, nel suo castello; e il re vi soggiornò volentieri. E gli concesse tanti onori che il re se ne allontanò molto mal volentieri. Prima che il re partisse, Ruggero ordì un grandissimo inganno. Andò dal re e gli propose di percorrere con lui tutto il suo castello, di vedere il suo tesoro e di prendere in abbondanza quanto gli fosse piaciuto, come se fosse stato suo. Il re si recò dunque con lui al suo tesoro. E questi gli fece vedere tutti i bei gioielli che aveva; ma il re non volle prendere niente. Ruggero prese una corona d’oro molto bella, andò dal re e gli disse: «Signore, vi piacerebbe mettere questa corona d’oro sulla mia testa, per sapere come mi starebbe»? Il re, che non era malizioso, lo fece, per gli onori che quello gli aveva reso, e non gli volle dire di no, cosa di cui dopo si pentì molto. Prese la corona in mano e gliela mise sulla testa. Quando Ruggero ebbe la corona sulla testa, si inginocchiò davanti al re, lo ringraziò moltissimo e disse che non l’avrebbe potuto mai incoronare un uomo più eccelso di lui. Quando il re vide ciò, si rese pienamente conto di essere stato ingannato, e, preso congedo, se ne andò in Francia. E il re Ruggero lo accompagnò fino al mare e fece portaChronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier, ed. M.L. de Mas Latrie, Paris 1871, pp. 13-14. 1 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 333 re con lui gran parte dei suoi gioielli]2. Dunque, questa è la descrizione che Bernardo Tesoriere, nella sua cronaca, fornisce dell’incoronazione regia di Ruggero II. L’opera di Bernardo Tesoriere, che è probabilmente una rielaborazione di quella di Ernoul e descrive gli eventi degli anni 110112313, ci è nota, tuttavia, anche attraverso una traduzione o, più precisamente, rielaborazione approntata dal bolognese Francesco Pipino intorno al 1320, che costituisce il XXV libro del suo Chronicon4. Così, abbiamo anche una versione latina, un po’ più Ringrazio Gilda Caiti Russo, dell’Università “Paul Valéry” di Montpellier, per l’aiuto che mi ha fornito nella traduzione di questo passo. Tutte le traduzioni delle fonti utilizzate sono mie. 3 Su Bernardo Tesoriere, continuatore dell’opera di Guglielmo di Tiro (Guillelmus Tyrensis, Chronique, ed. R.B.C. Huygens [CC Cont. Med. 6363A], Turnhout 1986), cfr. soprattutto l’introduzione alla citata edizione di Mas Latrie; M.R. Morgan, The Chronicle of Ernoul and the Continuations of William of Tyre, Oxford 1973, pp. 51 ss.; e, più di recente, C. Croizy-Naquet, Deux représentations de la Troisième croisade: l’“Estoire de la guerre sainte” et la “Chronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier”, in «Cahiers de civilisation médiévale», 44 (2001), pp. 313-327. 4 Il Chronicon di Francesco Pipino è pubblicato in maniera incompleta e piuttosto confusa da L.A. Muratori soprattutto nel IX volume dei Rerum Italicarum Scriptores, Mediolani 1726, coll. 587-752; il XXV libro, invece, è pubblicato nel VII volume dei Rerum Italicarum Scriptores, Mediolani 1725, coll. 663-848, sotto il titolo di Historia de acquisitione Terrae Sanctae, attribuita a Bernardo Tesoriere. Muratori, nel ms. da lui usato, l’α. X. 1. 5 della Biblioteca Estense di Modena, lesse, infatti, in principio di quel libro: «incipit Historia de acquisitione Terrae Sanctae, quam Auctor huius operis transtulit ex Gallico in Latinum»; e, in conclusione: «Haec de gestis regis Iohannis scripta sunt ex Historia Bernardi Thesaurarii». Per questo giunse alla sua proposta di attribuzione dell’opera. Sulla confusione presente dell’edizione di Muratori, cfr. soprattutto l’introduzione alla citata edizione di Mas Latrie, pp. XLIII-XLV. Su Pipino cfr. soprattutto L. Manzoni, Frate Francesco Pipino da Bologna de’ PP Predicatori, geografo, storico e viaggiatore, in «Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna», 13 (1894-1895), pp. 285-334; T. Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, I, Roma 1970, pp. 392-95; A.I. Pini, Pipino Francesco, in Lexikon des Mittelalters, VI, München - Zürich 1993, col. 2166; A.T. Hankey, Riccobaldo of Ferrara: 2 334 Fulvio Delle Donne stringata e meno particolareggiata, dello stesso racconto dell’incoronazione di Ruggero II. Ludovicus Rex, dum reverteretur, vento impellente Siciliam divertens, venit Panormum, a quo Roglerius, qui noviter insulam ipsam Siciliae contra Saracenos bellando obtinuerat, hac astutia coronatus est in Siciliae Regem. Dum enim Regem Ludovicum suscepisset hospitio, et in ostentatione divitiarum suarum, ipse Roglerius Regi thesauros suos aperuisset, accepta Roglerius de industria insigni corona, rogavit Regem, ut eam accipiens, capiti eius imponeret. Rex autem credens Roglerium ioco non serio hoc petiisse, capiti Roglerii imposuit. Quo facto Roglerius coronatus genua flectens gratias illi egit, qui cum coronasset in Regem, professus quod a sublimiori inter Christianorum Reges coronari non potuisset. Post haec usque ad mare concomitatus est Ludovicum5. [Il re Luigi, mentre tornava (da Damasco, che aveva posto sotto assedio), piegando verso la Sicilia spinto dal vento, giunse a Palermo, e da lui Ruggero, che di recente si era impossessato della stessa isola di Sicilia combattendo contro i Saraceni, venne incoronato re di Sicilia con questa astuzia. Infatti, dopo che lo stesso Ruggero aveva accolto il re Luigi ospitalmente e con l’o stentazione delle sue ricchezze, dopo aver mostrato al re i suoi tesori, Ruggero, sollevata una corona di insigne fattura, chiese al re che, prendendola, la ponesse sul suo capo. Il re, da parte sua, credendo che Ruggero gli avesse fatto quella richiesta per gioco e his Life, Works and Influence, Roma 1996, ad indicem; F. Delle Donne, Una perduta raffigurazione federiciana descritta da Francesco Pipino e la sede della cancelleria imperiale, in «Studi Medievali», s. III, 38 (1997), pp. 737-49 (ripubblicato in Id., Politica e letteratura nel Mezzogiorno Medievale, Salerno 2001, pp. 111-126). 5 Bernardus Thesaurarius [Franciscus Pipinus], Historia de acquisitione Terrae Sanctae, in L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, VII cit., coll. 766-767. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 335 non sul serio, la pose sul capo di Ruggero. Quando lo ebbe fatto Ruggero, incoronato, piegando le ginocchia, lo ringraziò, e dichiarò che non avrebbe potuto essere incoronato da re più eccelso tra i re cristiani, avendolo incoronato re proprio lui. Dopo queste cose, accompagnò Luigi fino alla riva del mare]. Sia nella versione di Francesco Pipino, sia in quella di Bernardo Tesoriere, la descrizione è condotta in maniera senz’altro fantastica, così che, sconfinando quasi nella novellistica o nella narrazione aneddotica di matrice popolare, non si preoccupa della plausibilità istituzionale degli eventi o della congruenza di date e personaggi6. Il clima favolistico che viene rappresentato costituisce, tuttavia, un’attestazione significativa di un modo in cui venne recepito e trasfigurato quell’evento straordinario e sicuramente suggestivo che fu l’incoronazione di Ruggero II: talmente straordinario e suggestivo da essere descritto, interpretato e giudicato in maniera assai varia e difforme. In un intervento alle “giornate” normanno-sveve di qualche anno fa, Reinhard Elze, parlando della liturgia seguita nelle cerimonie, faceva una premessa che definiva «quasi metodologica». Quando era a Roma e gli capitava di assistere a cerimonie di canonizzazione e beatificazione, gli veniva assegnato un posto sempre diverso: così la sua prospettiva variava di volta in volta e la cerimonia sembrava mutare sempre in qualche parte, dato che non tutti i particolari venivano recepiti nella loro complessità. «Per rendersi conto di tutte le varie azioni – diceva Elze – bisogna disporre dell’Ordo che oggi viene stampato ed è a disposizione di tutti gli interessati. Un testo del genere (anche se non sempre il testo preciso) era accessibile anche nel Medioevo a chi se ne interessava. Dei cronisti del Regno meridionale dei secoli XII e Dallo spoglio di S. Thompson, Motif-Index of Folk-Literature, ed. rivista ed ampliata, Copenhagen 1955-1958, non è stato possibile riscontrare alcuna versione popolare che in qualche modo potesse essere collegata, sia pure soltanto nell’ispirazione, a questo racconto. 6 336 Fulvio Delle Donne XIII nessuno ha usato tale testo»7. Dovendo parlare della liturgia del potere nelle fonti letterarie, mi limiterò quasi esclusivamente alla descrizione delle incoronazioni8, facendo necessariamente i conti con la premessa “quasi metodologica” di Elze: per cui partirò dal presupposto che nessun cronista e nessun autore si è mai servito dell’ordo per l’incoronazione di un sovrano normanno. Tuttavia, non è possibile limitarsi all’assunzione di questo dato di fatto, ma bisogna cercare di capire da quali particolari della liturgia sia stato maggiormente colpito l’autore letterario, a prescindere dal fatto che egli abbia assistito effettivamente alla cerimonia o l’abbia descritta basandosi sulle testimonianze altrui. Dunque, bisogna cercare di capire che cosa è intervenuto a mutare la sua prospettiva. D’altronde, se già nella ricezione “sincronica” di un solo osservatore – come notava Elze – l’acquisizione dei particolari muta a seconda dell’angolazione da cui egli guarda la scena, è facile immaginare come la ricezione di un evento muti a seconda della distanza cronologica, geografica o anche culturale, così che di quell’evento si finisce col percepire solo l’impressione che esso ha generato nell’osservatore, nell’ascoltatore o nella catena degli ascoltatori che l’hanno recepito e nuovamente trasmesso, ogni volta selezionando, aggiungendo o amplificando un particolare o un dettaglio. I “dati oggettivi”, colpendo in misura diversa chi li osserva, costituiscono, così, solo un punto di riferimento per la “riscrittura” narrativa di chi, già soltanto scegliendo e selezionando i particolari da descrivere, li modifica e trasforma più o meno volontariamente, rimodellandoli in funzione della propria formazione o del proprio punto di vista. Cfr. R. Elze, Le insegne del potere, in Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle undecime giornate normanno-sveve (Bari, 26-29 ottobre 1993), a c. di G. Musca – V. Sivo, Bari 1995, p. 117. 8 Per gli aspetti più generali del problema e per una sua disamina più complessiva si può rimandare a P. Corsi, Le celebrazioni laiche, in Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione cit., pp. 187-230; S. Tramont ana, L’effimero nella Sicilia normanna, Palermo 1984, e Id., Vestirsi e travestirsi in Sicilia. Abbigliamento, feste e spettacoli nel Medioevo, Palermo 1993. 7 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 337 Ma torniamo all’incoronazione di Ruggero II, ripartendo proprio dalla narrazione fantastica fatta, nella prima metà del Duecento, dal francese Bernardo Tesoriere e rielaborata dal bolognese Francesco Pipino circa un secolo dopo: una narrazione, quindi, che supera distanze geografiche e cronologiche piuttosto ampie, e che dell’evento descritto restituisce soltanto un’eco lontana, tanto lontana da perdere ogni connessione con la realtà storica. Al narratore, infatti, non sembra che interessi molto fornire informazioni precise, ma creare immagini suggestive, riproducendo, probabilmente, l’impressione che doveva aver generato, riverberandosi nel tempo, la notizia dell’incoronazione del Normanno. Così, quell’avvenimento appare totalmente “riscritto” e “reinterpretato” in una chiave esclusivamente narrativa, che non si interessa affatto di rispettare il punto di vista storico, che risulta del tutto incongruo. Nel 1130, data dell’incoronazione di Ruggero II, il re di Francia era Luigi VI, ma quello a cui fanno riferimento Bernardo Tesoriere e Francesco Pipino è evidentemente Luigi VII. È plausibile che il racconto costituisca una sorta di germinazione dell’incontro che effettivamente ci fu, nell’estate del 1149, tra Ruggero II, ormai già re da tempo, e Luigi VII, quando quest’ultimo godette di protezione navale e di ospitalità nel regno di Sicilia9. Del resto, anche l’accenno a Ruggero II conquistatore della Sicilia contro i Musulmani ben si adatta al contesto, in cui si parla della crociata di re Luigi, il più eccelso tra i re cristiani. Tuttavia, a interessarci, qui, non è tanto questo, quanto la caratterizzazione dell’insolita liturgia dell’incoronazione. Innanzitutto, a incoronare Ruggero II è il re di Francia. È difficile spiegare come si sia generata questa leggenda, comunque riportata, sia pure senza connotazioni aneddotico-novellistiche, anche da altre opere – soprattutto di ambito franco-inglese – come in quella di Goffredo di Bruil († dopo il 1184)10, nei Gesta Cfr. H. Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente, Roma - Bari 1999, p. 121. 10 Gaufridus de Bruil, Chronica, ed. O. Holder-Egger [MGH, SS, XXVI], 9 338 Fulvio Delle Donne Henrici II et Ricardi I (che vanno dal 1177 al 1193)11, o in quella di Giovanni Brompton (abate nel 1437)12; opere che costituiscono attestazioni di una versione forse primitiva dell’aneddoto, che non fa cenno alla malizia con cui viene ingannato re Luigi. Può darsi che essa sia nata per esaltare re Luigi, difensore della cristianità, come appunto viene descritto da Bernardo Tesoriere e da Hannoverae 1882, p. 201: «Tunc Ludovicus cum uxore sua Alienora ab Hierosolimis rediens, coronavit Rogerium, nepotem Roberti Guischardi, qui Rogerius ex stirpe illa regiae dignitatis insignia suscepit primus» [Allora Luigi, tornando da Gerusalemme con sua moglie Eleonora, coronò Ruggero, nipote di Roberto il Guiscardo; Ruggero fu il primo di quella stirpe ad assumere le insegne della dignità regia]. 11 Gesta Henrici et Ricardi I, edd. F. Liebermann - R. Pauli [MGH, SS, XXVII], Hannoverae 1885, p. 129 (anche editi da W. Stubbs, Rerum Britannicarum Scriptores, XLIX, 2, London 1867, p. 202): «Et paulo post contigit, quod Lodovicus rex Francorum et Alienor regina, uxor eius, iter Ierosolimitane profeccionis susciperent; et cum venissent in Siciliam, prefatus Rogerus comes Sicilie cum debito honore et gaudio suscepit eos; et ad preces illius rex Francie Lodovicus fecit illum regem, coronam capiti suo imponens; et iste Rogerus ita factus est primus rex coronatus de Sicilia» [E poco dopo accadde che Luigi re di Francia e sua moglie, la regina Eleonora, partissero per Gerusalemme, e, essendo giunti in Sicilia, il menzionato Ruggero, conte di Sicilia, li accolse con degni onori e gioia; e, assecondando le sue preghiere, il re di Francia Luigi lo fece re, ponendo sul suo capo la corona; così questo Ruggero fu il primo re coronato della Sicilia]. 12 Iohannis Bromton, Chronicon, in Historiae Anglicanae scriptores antiqui, ed. R. Twysden, Londini 1652, col. 1011: «Et paulo post contigit, quod cum Lodowicus rex Francorum et Alianora regina uxor eius tunc causa peregrinationis versus Terram Sanctam itinerantes in Siciliam venissent, Rogerus comes Siciliae eos cum debito honore gaudenter suscepit; ad cuius preces ipse rex Franciae Lodowicus ipsum Rogerum regem faciens, coronam capiti suo imposuit, et ita iste Rogerus factus est primus rex Siciliae coronatus» [E poco dopo accadde che Luigi re di Francia e sua moglie, la regina Eleonora, essendo allora giunti in Sicilia mentre andavano verso la Terra Santa per un pellegrinaggio, Ruggero, conte di Sicilia, li accolse con degni onori e gioiosamente; e, assecondando le sue preghiere, lo stesso re di Francia Luigi, facendo re lo stesso Ruggero, pose sul suo capo la corona; e così questo Ruggero fu il primo re coronato della Sicilia]. Questa versione e quella precedente sono quasi identiche nella forma. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 339 Francesco Pipino, e che si sia sviluppata in connessione con gli accordi che ci furono, a proposito della crociata, tra lui e Ruggero II. Oltre a questo, si può ipotizzare che abbia sortito un proprio effetto anche la notizia che a porre la corona sul capo di Ruggero II non fosse stato un rappresentante della Chiesa. Su tale questione dobbiamo, tuttavia, soffermarci, perché è abbastanza problematica, e volgere lo sguardo ad altre fonti che possono fornirci ulteriori indizi interpretativi. A partire da Falcone Beneventano, che, proprio a proposito dell’incoronazione di Ruggero II, racconta: «Anno igitur ipso, predictus Anacletus cardinalem suum, Comite nomine, ad ducem illum [Rogerium] direxit, quem die Nativitatis Domini in civitatem Palormitanam in regem coronavit. Princeps vero Robertus Capuanus coronam in capite eius posuit, cui non dignam retributionem impendit»13. Non è possibile dire se sia vera questa notizia, che – come suggerisce Hubert Houben – forse serve a Falcone, assai critico nei confronti del re normanno, a screditare malignamente la figura di Ruggero II, ingrato verso colui che lo ha incoronato14. Tuttavia, Erich Caspar accolse la notizia15, soprattutto sulla base del conFalcone di Benevento, Chronicon Beneventanum. Città e feudi nell’Italia dei Normanni, ed. E. D’Angelo, Firenze 1998, p. 108: «Quello stesso anno Anacleto inviò al duca [Ruggero] un suo cardinale, chiamato Conti, che lo incoronò re il giorno di Natale nella città di Palermo. A porgli la corona sul capo fu però il principe Roberto di Capua, a cui non diede degna ricompensa». Alle notizie fornite da Falcone si rifà anche il testo dell’Ignoti monachi cisterciensis S. Mariae de Ferraria Chronica, ed. A. Gaudenzi, Napoli 1888, p. 18. 14 Cfr. Houben, Ruggero II di Sicilia cit., p. 73. Sull’atteggiamento di Falcone cfr. soprattutto l’introduzione di D’Angelo alla sua citata edizione, pp. XXXVI ss.; M. Oldoni, Realismo e dissidenza in due scrittori del regno di Ruggero II: Falcone di Benevento e Alessandro di Telese, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II, Atti delle terze giornate normanno-sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, pp. 259-283. 15 Cfr. E. Caspar, Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, Roma - Bari 1999 (ed. orig. Innsbruck 1904), p. 92. Accettano la versione di Falcone anche R. Elze, Zum Königtum Rogers II. von Sizilien, in Festschrift für Percy Ernst Schramm zu seinem siebzigsten Geburtstag, I, Wiesbaden 1964, pp. 106 ss.; C. Brühl, Kronen und Krönungsbrauch im 13 340 Fulvio Delle Donne fronto con quanto dice anche Romualdo Salernitano nel seguente passo: «Postmodum baronum et populi consilio apud Panormum se in regem Sicilie inungi et coronari fecit»16. Il passo in questione, tuttavia, in una differente tradizione manoscritta dell’opera di Romualdo, viene trasformato nel modo seguente: «Anno ab incarnatione Domini MCXXXI, indictione X, mense decembris die natali Domini prephatus dux Rogerius precepit congregare in Sicilie prouinciam omnes episcopos diuersarum prouinciarum Calabrie, Apulie, Campanie qui iussione Calixti pape unxerunt eum in regem ac super caput eius coronam regiam posuerunt et ab omnibus uocari regem iusserunt»17. A prescindere dagli errori di datazione o di identificazione del papa (che fu Anacleto e non Callisto) presenti in questa seconda redazione, a interessare Caspar era la menzione della duplicazione dell’atto – l’unzione e l’incoronazione – che poteva offrire plausibilità anche all’informazione fornita da Falcone Beneventano. Tuttavia, va detto che l’uso frühen und hohen Mittelalter, in «Historische Zeitschrift», 234 (1982), p. 5. 16 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. C.A. Garufi [RIS2, VII], Città di Castello 1935, p. 218: «Poi in un’assemblea di baroni e popolo si fece ungere e coronare re di Sicilia a Palermo». Cfr. anche Romoaldus, Annales, ed. W. Arndt [MGH, SS, XIX], Hannoverae 1866, p. 419; Sui manoscritti del Chronicon cfr. l’introduzione alla citata ed. di Garufi; quella alla citata ed. di Arndt; H. Hoffmann, Hugo Falcandus und Romuald von Salerno, in «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters», 23 (1967), pp. 116-170; D.J.A. Matthew, The Chronicle of Romuald of Salerno, in The Writing of History in the Middle Ages. Essays Presented to R.W. Southern, a c. di R.H.C. Davis - J.M. WallaceHadrill, Oxford 1981, pp. 239-274; M. Zabb ia, Romualdo Guarna arcivescovo di Salerno e la sua Cronaca, in Salerno nel XII secolo. Istituzioni, società, cultura, a c. di P. Delogu - P. Peduto, Salerno 2003, pp. 380-398. 17 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 218: «Nell’anno 1131 dall’incarnazione del Signore 1131, indizione decima, nel mese di dicembre, nel giorno del Natale del Signore, il predetto duca Ruggero ordinò di radunare nella provincia di Sicilia tutti i vescovi delle diverse province di Calabria, Puglia, Campania, che per comando del papa Callisto lo unsero re e gli posero sul capo la corona regia, e ordinarono che venisse chiamato re da tutti». Cfr. anche la citata ed. di Arndt, p. 419-420 (che, invece di «indictione X» scrive «indictione 11.»); Romualdo II Guarna, Chronicon, a c. di C. Bonetti, Cava de’ Tirreni 2001, pp. 134-136 (che riporta solo questa versione). Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 341 distinto di quei verbi e, di conseguenza, delle azioni, apparteneva comunque alla liturgia della cerimonia, come si evince, ad esempio, anche dal privilegio di papa Anacleto sulla elevazione a re di Ruggero II: «Porro auctorizamus et concedimus, ut per manus archiepiscoporum terre tue, quos volueris, iuxta tuam voluntatem adsistentibus aliis episcopis, quos volueris, tu et tui heredes in reges inungamini et in statutis temporibus coronemini»18. D’altronde, gli usi liturgici, con la connessa terminologia, non potevano essere ignoti al vescovo Romualdo, che incoronò re Guglielmo II19. Pur se va detto che l’idea dell’incoronazione senza passare per l’intermediazione di un rappresentante della gerarchia ecclesiastica dovette senz’altro venire in mente a Ruggero II, come si evince soprattutto dai mosaici della Martorana di Palermo20. [Inoltre autorizziamo e concediamo che per mano degli arcivescovi della tua terra, quelli che vorrai, con la presenza di altri vescovi che desidererai, secondo la tua volontà, tu e i tuoi eredi veniate unti re e veniate incoronati nei tempi stabiliti]. Cfr. H. Hoffmann, Langobarden, Normannen, Päpste. Zum Legitimationsproblem in Unteritalien, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 58 (1978), p. 174. 19 Del resto, Romualdo usa un’espressione molto simile a proposito dell’incoronazione di Guglielmo II: cfr. Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 254. Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 435, e di Bonetti, pp. 192-194. Di tale incoronazione, comunque, si parlerà più avanti. Sulle rappresentazioni dei sovrani nell’opera di Romualdo cfr. anche H. Houben, in «Amator pacis et cultor iustitie»: il re di Sicilia secondo Romualdo di Salerno, alle pp. 41-48 del volume della citata ed. di Romualdo curata da Bonetti. Sull’atteggiamento di Romualdo cfr. anche M. Oldoni, Guarna Romualdo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 60, Roma 2003, pp. 400-403; Id., Un modo di intender la storia, alle pp. 49-55 del volume della citata ed. di Romualdo curata da Bonetti. In questo volume è contenuta anche l’introduzione di G. Andenna, Romualdo Salernitano fonte per la storia politica delle città di Lombardia, pp. 7-39. 20 J. Deér, The Dinastic Porphyry Tombs of the Norman Period in Sicily, Cambridge (Mass.) 1959, p. 11 ritiene che l’incoronazione per mano del cardinale sarebbe stata in contraddizione con la concezione ruggeriana della derivazione del potere regio. Comunque, sugli sviluppi del pensiero politico di Ruggero cfr. anche P. Delogu, Idee sulla regalità: l’eredità normanna, in Potere, società e popolo tra età normanna ed età sveva, Atti delle quinte 18 342 Fulvio Delle Donne Tuttavia, l’incoronazione di Ruggero II offre ben altri motivi di incertezza. Anzi, proprio l’aneddoto raccontato da Bernardo Tesoriere e Francesco Pipino fornisce un’ulteriore caratterizzazione della sua problematica legittimità, parlando della voisdie o astutia usata dal Normanno. Termini, questi, dalle connotazioni non proprio positive, che, generalmente, non vengono usati in altre fonti per caratterizzare Ruggero II, tranne che, implicitamente, da Falcone Beneventano, a proposito del passaggio per Napoli del sovrano normanno, nel 1140, dopo che, ad Ariano, aveva promulgato acta mortifera. In quest’occasione Falcone, fiero oppositore del potere normanno, sembra improvvisamente mutare registro: Archiepiscopus itaque Neapolitanus, Marinus nomine, clerum omnem civitatis congregari precepit simul et cives, et adventum regis eis annuntians hortatur, ut honeste et letitia multa eum suscipiant. Cives igitur simul cum militibus civitatis foris portam Capuanam exierunt in campum, qui Neapolis dicitur, et regem ipsum honore et diligentia multa, ultra quam credi potest, amplexati sunt; et sic usque ad predictam portam Capuanam perductus est. Continuo presbiteri et civitatis clerus ad eandem portam obviam exivit et eum, hymnis et laudibus ad astra levatis, civitatem introduxerunt; quatuor illico viri nobiles habenas equi et pedes regis ipsius tenentes, alii quatuor usque ad episcopium civitatis regem illum perduxerunt. Frequentiam vero populi per plateam incedentis et mulieres viduas, coniugatas et virgines per fenestras existentes, lector, si aspiceres, miratus affirmares imperatorem aut regem alium sive principem tali sub honore et gaudio nunquam civitatem Neapolim ingressum fuisse21. giornate normanno-sveve (Bari, 26-28 ottobre 1981), Bari 1983, p. 195; nonché G.M. Cantarella, Le basi concettuali del potere, in Per me reges regnant. La regalità sacra nell’Europa medievale, a c. di F. Cardini - M. Saltarelli, Bologna 2002, pp. 194 ss.; e G. Andenna, Dalla legittimazione alla sacralizzazione della conquista (1042-1140), in I caratteri originari della conquista normanna. Diversità e identità del Mezzogiorno (1030-1130), Atti delle XVI giornate normanno-sveve (Bari, 5-8 ottobre 2004), a c. di R. Licinio - F. Violante, Bari 2006, pp. 399 ss. 21 Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, ed. cit., pp. 234-236. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 343 [Pertanto, l’arcivescovo di Napoli, che si chiamava Marino, ordinò a tutto il clero della città e ai cittadini di riunirsi, e, annunziando loro l’arrivo del re, li esorta ad accoglierlo con molto onore e letizia. I cittadini, allora, insieme con i cavalieri della città uscirono fuori da porta Capuana nello spiazzo che è chiamato Napoli, e si strinsero attorno al re con grande onore e diligenza, più di quanto sia possibile immaginare; e così fu condotto fino alla già ricordata porta Capuana. Immediatamente i sacerdoti e il clero della città gli andarono incontro presso la stessa porta e lo fecero entrare nella città, levati al cielo inni e lodi; mentre quattro nobili tenevano le redini del cavallo e i piedi del re, altri quattro condussero quel re fino al vescovato. In verità, se tu, o lettore, avessi visto la folla del popolo che camminava sulla piazza e le donne, vedove, sposate e fanciulle che stavano alle finestre, stupito avresti affermato che nessun altro imperatore o re o principe fosse mai entrato nella città di Napoli tra tanti onori e gioia]. Dietro alla descrizione della esaltazione popolare per l’arrivo del re, solenne dimostrazione del suo potere, e della liturgia connessa con l’ingresso nella città, naturalmente si cela, subdolamente, la critica di Falcone, che, sottilmente, descrive tutta la manifestazione non come spontanea, ma come manovrata dall’arcivescovo Marino, che precepit e hortatur, ed eseguita con diligentia. Ma, qui ci interessa soprattutto la descrizione fatta da Falcone di quanto accade successivamente: Interea noctis silentio prefatus rex totam civitatem Neapolim extrinsecus metiri fecit, cognoscere volens quantae esset circumquaque latitudinis; invenit itaque studiose metiendo in girum passus duo milia trecentum et sexaginta tres. Et passibus illis ita inventis, dum populus civitatis aggregatus esset, in eius conspectu, quasi dilectionis affectu, eis interrogare cepit, utrum sciret quot passus civitas illorum per circuitum habuisset; qui, ultra quam credi potest admirantes, se nescire profitentur; rex autem, sicut studiose invenerat, mensuram passuum, quos civitas eorum te- 344 Fulvio Delle Donne nebat, patefecit. Unde populus omnis regem ipsum sapientiorem aliis antecessoribus et studiosiorem predicabat, et quod nunquam factum fuerat, super civitatis mensura mirabantur, quomodo rex ille fieri contractasset22. [Frattanto, nel silenzio della notte, il detto re fece misurare dall’esterno tutta la città di Napoli, poiché voleva sapere la lunghezza del suo perimetro; e calcolò, misurando con grande cura, che misurava tutt’intorno 2363 passi. E fatto questo calcolo, mentre il popolo della città era riunito in sua presenza, quasi come dimostrazione d’affetto, cominciò a chiedere se sapevano quanti passi misurasse il perimetro della loro città; e quelli, stupiti più di quanto si possa credere, confessarono di non saperlo; allora il re disse quale fosse la misura della loro città, così come l’aveva attentamente calcolata. Quindi tutto il popolo andava ripetendo che quel re era più sapiente e più scrupoloso di tutti i suoi predecessori, e si meravigliavano di come quel re fosse riuscito a fare una cosa che non era mai stata fatta, riguardo alla misura della città]. Dunque, Falcone stigmatizza implicitamente il sotterfugio di Ruggero II, compiuto di notte, di nascosto, al fine di stupire la cittadinanza napoletana e dimostrare, quasi con un gioco di prestigio, la propria grandezza. In Bernardo Tesoriere e in Francesco Pipino, però, l’astuzia di Ruggero II non serve, come nel racconto di Falcone, a stupire l’interlocutore; nonostante la descrizione del sotterfugio sia molto cadenzata, particolareggiata e connotata in chiave novellistica, soprattutto nella versione di Bernardo Tesoriere. Quell’astuzia è finalizzata ad aggirare in maniera diretta ed energicamente concreta l’ostacolo istituzionale che si frappone all’incoronazione: quello della sua legittimità23. Del resto, il problema della legittiIvi, p. 236. Su questo aspetto della gestione del potere da parte di Ruggero cfr. C.D. Fonseca, Ruggero II e la storiografia del potere, in Società, potere e popolo cit., p. 14. 22 23 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 345 mazione della propria incoronazione regia, Ruggero II si studiò attentamente di risolverlo anche in maniera teorica, come dimostra il racconto di Alessandro di Telese, a proposito del suggerimento dato soprattutto dal conte Enrico del Vasto a Ruggero II: Videlicet ut ipse, qui tot provinciis, Sicilie, Calabrie, Apulie, ceterisque regionibus que pene Romam usque habentur, Domino cooperante dominabatur, nequequam utique ducalis sed Regii illustrari culminis honore deberet. Qui etiam addebant, quod regni ipsius principium et caput, Panhormus Sicilie metropolis fieri deceret; que olim sub priscis temporibus super hanc ipsam provinciam Reges nonnullos habuisse traditur, qui postea, pluribus evolutis annis, occulto Dei disponente iudicio nunc usque sine regibus mansit. Horum itaque amica atque laudanda suggestio, cum infra semet ipsum multipharie tractando versaretur, velletque exinde certum ratumque habere consilium Salernum regreditur; extra quam non longe convocatis ad se aliquibus ecclesiasticis peritissimis, atque competentioribus personis, nec non quibusdam principibus, comitibus, baronibus, simulque aliis qui sibi sunt visi probatioribus viris, patefecit eis examinandum secretum et inopinatum negotium; ac illi, rem ipsam sollicite perscrutantes, unanimiter tandem uno ore laudant, concedunt, decernunt; ymmo, magnopere precibus insistunt ut Rogerius dux in regiam dignitatem apud Panhormum, Sicilie metropolim, promoveri debeat, qui non tantum Sicilie paterna hereditate, verum etiam Calabrie, Apulie, ceterarumque terrarum, que non solum ab eo bellica obtinentur virtute, sed et propinquitate generis antecedentium ducum iure sibi succedere debent. Nam si regni solium in eadem quondam civitate ad regendum tantum Siciliam certum est extitisse, et nunc ad ipsum per longum tempus defecisse videtur, valde dignum et iustum est ut in capite Rogerii diademate posito, regnum ipsum non solum ibi modo restituatur, sed in ceteras etiam regiones, qui- 346 Fulvio Delle Donne bus iam dominari cernitur, dilatari debeat24. [E cioè, che egli stesso, che dominava con l’aiuto di Dio tante province, Sicilia, Calabria, Puglia e altre regioni quasi fino a Roma, non doveva più fregiarsi del titolo di duca, ma di quello di re. I consiglieri aggiungevano che il centro e la capitale del regno avrebbe dovuto essere Palermo, che una volta, in tempi antichi, si tramanda che abbia avuto dei re che governarono sulla stessa provincia (la Sicilia), e che poi, trascorsi moltissimi anni, per un imperscrutabile disegno divino, fino ad ora è rimasta senza re. Il duca, avendo ripetutamente vagliato tra sé e sé il lodevole e sincero suggerimento di costoro, volle consultarsi seriamente e tornò a Salerno; e non molto lontano da questa città, convocati alcuni espertissimi uomini di chiesa e persone tra le più competenti in materia, e inoltre alcuni principi, conti, baroni ed altri uomini a suo parere degni di fede, annunciò loro che c’era da esaminare un affare segreto e mai fino ad allora preso in considerazione, e quelli, indagando sollecitamente sulla questione all’unanimità, infine coralmente lodano, concordano e deliberano; anzi, insistono ancora pregando che si debba promuovere il duca Ruggero alla dignità regia presso Palermo, capitale della Sicilia; poiché egli non soltanto è padrone della Sicilia per eredità paterna, ma anche della Calabria, della Puglia e delle altre terre, ottenute da lui non solo per la sua virtù bellica, ma anche per parentela con i precedenti duchi. Infatti, se la sede del regno c’era stata un tempo nella stessa città, per governare soltanto la Sicilia, e poi sembra che per lungo tempo sia mancata, certo è cosa degna e giusta che, posta la corona sul capo di Ruggero, lo stesso regno sia non solo restaurato lì, ma si debba estendere anche alle altre regioni su cui evidentemente già domina]. Insomma, Alessandro di Telese, sostenitore e celebratore del Alexander Telesinus, Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabrie atque Apulie, ed. L. De Nava, con commento di D. Clementi [FSI, 112], Roma 1991, pp. 23-25. 24 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 347 potere normanno25, ci fa comprendere che la preoccupazione principale di Ruggero II fu quella di dare una solida giustificazione alla creazione della sua monarchia, che, basata su un’antica tradizione regia già radicata in Sicilia, non veniva improvvisamente inventata, ma veniva più semplicemente restaurata, col consenso della nobiltà e con il supporto dottrinario di esperti e dotti. Dunque, non si trattava di sovvertire le istituzioni, ma di riportarsi a un antico ordine26. E questa visione delle origini del proprio potere regio veniva confermata dallo stesso Ruggero II nel privilegio di fondazione della Cappella Palatina di Palermo, del 28 aprile 1140, in cui si diceva così: «regnum quod absoleverat multis evolutis temporibus, benignitate Redemptoris diebus nostris rediit in statum pristinum et formam regni in integrum perfectam, honorificentius decoratam, magnifice sublimatam»27. Tuttavia, la legittimità dell’incoronazione di Ruggero II dovette essere considerata assai dubbia da molti suoi contemporanei, e soprattutto dai suoi avversari. A questo proposito, basta ricordare quello che dice Ottone di Frisinga a proposito del fatto che «regium nomen usurpavit»28, o degli «imperii (…) limites tyrannica Rogerii rabie usurpatos»29. O, ancora, quello che dice anche Bernardo di Clairvaux, che chiama Ruggero II «usurpator Siculus» o 25 Cfr. soprattutto l’introduzione alla citata ed. di De Nava; N. Cilento, La «coscienza del Regno» nei cronisti meridionali, in Potere, società e popolo tra età normanna cit., pp. 165-184; Oldoni, Realismo e dissidenza cit., pp. 259-283. 26 Cfr. Houben, Ruggero II cit., pp. 67-72; Elze, Zum Königtum cit., p. 105; Cilento, La «coscienza del Regno» cit., p. 166. 27 Rogerii II. regis Diplomata Latina, ed. C. Brühl, Köln - Wien 1987, nr. 48, p. 136: «un regno, che col trascorrere di molto tempo era stato disfatto, ai nostri tempi, per benevolenza del Redentore, tornò allo stato originario e interamente a forma perfetta di regno, onorevolmente decorata e magnificamente esaltata». Cfr. anche P. Delogu, I Normanni in Italia: cronache della conquista e del regno, Napoli 1984, p. 139. 28 Otto Frisingensis, Gesta Friderici I. imperatoris, ed. G. Waitz [MGH, SS Rerum Germanicarum], Hannoverae 1912, p. 15. 29 Ivi, p. 157. 348 Fulvio Delle Donne «invasor imperii»30. Dunque, i racconti di Bernardo Tesoriere e di Francesco Pipino costituiscono senz’altro una spia di come l’incoronazione di Ruggero II potette essere recepita negli ambienti lontani dalla corte normanna e, per converso, in quelli dei suoi maggiori sostenitori, come Alessandro di Telese. Comunque, i racconti di Bernardo Tesoriere e di Francesco Pipino si soffermano anche su un altro particolare, che pure può costituire il riverbero leggendario di un ulteriore aspetto del regno normanno che dovette sempre colpire l’immaginario collettivo: quello della ricchezza di Ruggero II. Infatti, Bernardo Tesoriere e Francesco Pipino insistono, con progressive aggiunte di dettagli, sull’ostentazione delle ricchezze del Normanno, connessa con l’atto di mostrare o offrire i gioielli del tesoro, e mirata a prendere la corona «d’or mout biele» come dice Bernardo Tesoriere, ovvero «de industria insigni» come traduce Francesco Pipino. La ricchezza della corte siciliana costituisce senz’altro un tópos utilizzato di frequente nella letteratura dell’epoca31. E questa “liturgia” dell’ostentazione della ricchezza e dello sfarzo viene confermata esplicitamente anche dal racconto della cerimonia dell’incoronazione, fatto da Alessandro di Telese: Cum ergo dux ad ecclesiam archiepiscopalem more regio ductus, ibique unctione sacra linitus, regiam sumpsisset dignitatem, non potest litteris exprimi, immo mente extimari que et qualis quantave eius tunc esset gloria, quam magnus in regni decore, quamque etiam in divitiarum affluentiis admirabilis. Nempe aspicientibus tunc universis ita videbatur ac si omnes huius mundi opes honoresque adessent. Inextimabiliter quidem tota coronabatur civitas, in qua non nisi gaudium et lux erat. Palatium quoque Cfr. Bernardus Claraevallensis, Epistulae, in Patrologia Latina, ed. J.-P. Migne, 182, Lutetiae Parisiorum 1854, coll. 294, 295; ma altre espressioni più o meno simili si trovano anche alle coll. 282 e 285. 31 Cfr. G.M. Cantarella, Principi e corti. L’Europa del XII secolo, Torino 1997, pp. 13-21. 30 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 349 regium undique interius circa parietem palliatum glorifice totum rutilabat. Solarium vero eius multicolorijs stratum tapetis terentium pedibus largifluam prestabat suavitatem. Euntem vero regem ad Ecclesiam sacrandum, universis eum dignitatibus comitantibus, immensus etiam equorum numerus ex parte altera ordinate procedens, sellis frenisque aureis vel argenteis decoratus, secum comitabantur. Ad regiam discumbentibus mensam ciborum potumque multimodus atque affluentissimus apparatus habebatur; ubi quidem non nisi in pateris, seu catinis aureis vel argenteis ministratum fuit. Servitor ibi nullus nisi quem serica tegeret vestis; adeo ut ipsi etiam parobsidum reportitores sericis operirentur indumentis. Quid plura? Gloria et divitie in domo regis tot et tales tanteque tunc vise sunt, ut omnibus et miraculum ingens et stupor vehementissimus fieret; in tantum, ut timor etiam non modicus universis qui de longe venerant, incuteretur. Et enim multo plura in eo conspiciebantur, quam rumor non fuit quem audierant32. [Condotto dunque il duca alla chiesa arcivescovile, secondo il costume regio, e lì consacrato con l’unzione, avendo assunto la dignità regia, non si può esprimere con parole scritte né immaginare quale e quanta fosse allora la sua gloria, quanto grande fosse in lui la maestà di re e quanto fosse da ammirare per l’abbondanza delle ricchezze. Infatti alla totalità di quelli che guardavano sembrava proprio che tutti i beni e gli onori di questo mondo si trovassero lì. Tutta la città era adorna in modo inestimabile, e in essa non vi erano che gioia e luce. Anche il palazzo regio era rivestito tutto di drappi all’interno sulle pareti, e il suo pavimento coperto di tappeti variopinti offriva morbidezza ai piedi di coloro che lo calpestavano; e, accompagnato con tutti gli onori, il re andava alla chiesa per essere consacrato; lo accompagnava un gran numero di cavalli, disposti ordinatamente sui due lati, con selle e freni decorati d’oro e d’argento. Per coloro che sedevano alla mensa regia c’era un vario e abbondantissimo apparato di cibi e 32 Alexander Telesinus, Ystoria Rogerii, ed. cit., pp. 25-26. 350 Fulvio Delle Donne bevande, che furono serviti solo in piatti e coppe d’oro e argento. Tutti i servitori, lì, indossavano vesti di seta, al punto che persino i portatori di stoviglie avevano indosso una tunica serica. Che dire di più? La gloria e le ricchezze nella reggia furono tali e tante che a tutti sembrò un gran miracolo, e ne ebbero profondo stupore, così tanto da incutere timore non modesto in chi veniva da lontano. E infatti videro molto più sfarzo di quello che avevano sentito dire]. La descrizione di Alessandro è molto suggestiva e dettagliata, tanto che ha fatto talvolta pensare che l’abate telesino, pur non essendo stato presente di persona, fosse stato informato dei particolari da un testimone oculare, forse rappresentato dalla committente dell’opera, Matilde, sorella di Ruggero II, o da suo marito, il conte Rainulfo d’Alife33. Questo è senz’altro probabile, a giudicare dai dettagli forniti sulla tappezzeria, sul corteo o sul pranzo, dove tutto viene connotato coi colori dell’oro e dell’argento. Tuttavia, se pure così fu, l’autore dovette senz’altro compiere una selezione del materiale informativo di cui disponeva. Ad interessarlo in maniera quasi esclusiva è l’ostentazione della ricchezza, del lusso, dello sfarzo, quasi che la liturgia dell’incoronazione consistesse solo in essa. Tanto è vero che il resto, e soprattutto la cerimonia vera e propria, non viene assolutamente descritto. Alessandro, infatti, non ci dice con precisione quali furono i gesti compiuti, oppure i rappresentanti della nobiltà e della gerarchia ecclesiastica che parteciparono al rito, o chi fu a porre la corona sul capo di Ruggero II, forse anche per fare cosa gradita ai suoi committenti, evitando la menzione di particolari che mettessero in risalto alcuni aspetti della dubbia legittimità dell’incoronazione. Come abbiamo già visto, infatti, solo Falcone di Benevento ci fornisce alcune di queste informazioni, sia pure in modo critico. Insomma, da Alessandro non veniamo a sapere quello che successe nella cattedrale, ma solo quello che accadde all’esterno, ov33 Cfr. Houben, Ruggero II cit., p. 72. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 351 vero il contorno della cerimonia. Certo, anche quel contorno faceva parte dell’ordo dell’incoronazione34, ma è solo quello l’oggetto della narrazione di Alessandro. L’ostentazione della ricchezza e dello sfarzo costituiva, evidentemente, la principale insegna di potere che intendeva mostrare Ruggero II, o, almeno, quello che dovette essere maggiormente recepito dagli spettatori e che si riverberò nel tempo fino a Bernardo Tesoriere e, poi, a Francesco Pipino. Del resto, ciò che abbiamo già letto in Alessandro di Telese, ovvero che il ducato stava troppo stretto a Ruggero II, ci viene confermato dalla Historia del cosiddetto Ugo Falcando, dove si dice: «minusque ratus ydoneum tantam ac tam late diffusam potentiam in dignitate nominis coartari, regem se maluit appellari quam ducem, exindeque Siciliam regnum esse constituit»35. Dunque, se, come sembra probabile, il nuovo sovrano intendeva effettuare una dimostrazione di potenza, tale da rendere palese che il titolo di re gli spettasse senz’altro, riuscì perfettamente nel suo intento, riuscendo a far recepire pienamente la forza del proprio potere con lo stupor derivato dalla sontuosità e dallo sfarzo della cerimonia, dimostrati, anzi ostentati nella parte più visibile e comprensibile della liturgia dell’incoronazione. Uno stupor, tuttavia, talmente forte, da travalicare i limiti del timor non modicus, generato dalla contemplazione di un miraculum ingens, destinato a essere visto, più che sentito raccontare, come chiosa AlessanCfr. R. Elze, Tre “ordines” per l’incoronazione di un re e di una regina del regno normanno, in Atti del Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia Normanna (Palermo, 4-8 dicembre 1972), Palermo 1973, pp. 445-453; Id., The Ordo for the Coronation of King Roger II of Sicily, in Coronations. Medieval and early Modern Monarchic Ritual, a c. di J.M. Bak, Berkeley 1990, pp. 170178; Id., Der normannische Festkrönungsordo aus Sizilien, in Cavalieri alla conquista del Sud, a c. di E. Cuozzo - J.-M. Martin, Roma - Bari 1998, pp. 315-327; Id., Le insegne del potere cit., pp. 115-117. 35 Ugo Falcando, La Historia o Liber de Regno Sicilie, ed. G.B. Siragusa, Roma 1897, p. 5: «e avendo pensato che fosse meno conveniente che una tanto grande e così ampiamente distesa potenza fosse limitata nella dignità del nome, preferì essere chiamato re piuttosto che duca, e quindi decise che la Sicilia divenisse regno». 34 352 Fulvio Delle Donne dro. Ammirazione, stupore, timore: dunque, erano queste le impressioni che Ruggero II aveva suscitato con lo scopo evidente di sortire la sensazione di eccezionalità quasi sovrumana connessa con l’idea di un potere destinato a diventare sacro e carismatico36, così come in altre occasioni, per ottenere lo stesso effetto, aveva puntato sul terror e il metus con la visibilità esemplare delle punizioni e dei supplizi37: perché, come avrebbe detto Federico II nel 1246 a proposito delle terribili punizioni comminate ai congiurati di Capaccio, ciò che si percepisce «ex oculorum aspectu (...) mentibus hominum magis infigitur quam dimissa per aures»38, ovvero ciò che si vede «attraverso la vista degli occhi (...) si conficca nella mente degli uomini più a fondo che se entrasse per le orecchie». Secondo quanto evinciamo soprattutto dalla descrizione di Alessandro di Telese, Ruggero II ricercò la spettacolarizzazione della sua incoronazione. Prassi diversa, invece, sembra che abbiano seguito i suoi successori. O, almeno, la ricezione dell’evento fu diversa. Romualdo Salernitano, a proposito dell’incoronazione di Guglielmo I, avvenuta il 4 aprile 1154, si limita a dire: «Hic autem post mortem patris conuocatis magnatibus regni sui, proximo A proposito della volontà di Ruggero di presentarsi come figura carismatica, si è spesso messo in forte rilievo il fatto che la scelta del Natale come giorno dell’incoronazione di Ruggero sia in relazione con l’incoronazione imperiale di Carlo Magno: cfr. soprattutto L.-R. Ménager, L’institution monarchique dans les États normands d’Italie. Contribution à l’étude du pouvoir dans les principautés occidentales au XIe-XIIe siècles, in «Cahiers de civilisation médiévale», 2 (1959), pp. 303-331, 445-468. Tuttavia, era prassi piuttosto comune che le incoronazioni si celebrassero in coincidenza delle più importanti feste liturgiche: cfr. soprattutto Elze, Le insegne del potere cit., p. 118; Id., Der normannische Festkrönungsordo cit., p. 316, e la bibliografia lì segnalata. 37 Sul terror e il metus come strumenti di lotta e di governo usati da Ruggero cfr. Delogu, Idee sulla regalità cit., pp. 188-191. Ma su aspetti simili della questione cfr. anche Fonseca, La storiografia del potere cit., pp. 12-19. 38 Historia Diplomatica Friderici Secundi, ed. J.-L.-A. Huillard-Bréholles, VI, Parisiis 1860, p. 441. 36 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 353 pascha est sollempniter coronatus, cui curie Robbertus de Basauilla comes de Conuersano consobrinus frater eiusdem regis interfuit»39. La descrizione è quanto mai asciutta e rapida. Si limita solo ad affermare che furono presenti i notabili del regno, facendo, però, un solo nome, forse per il ruolo che avrebbe avuto nelle successive vicende40. Tutto il resto viene omesso, tanto che non viene detto neppure che la cerimonia dell’incoronazione si svolse nella cattedrale di Palermo. Effetto della scarsa attenzione per quell’evento da parte del cronista, del desiderio di annullarla dimenticandola, o di una diversa tecnica narrativa? O, magari, espressione della diversa caratterizzazione data alla gestione del potere da parte del nuovo sovrano? Certo, a quanto pare, Guglielmo I tese a sottrarsi alla vista dei propri sudditi, probabilmente mirando ad ammantare di mistero il carisma derivato dal suo ruolo, secondo una prassi, forse, di derivazione bizantina41. Ugo Falcando, talvolta, ci dice che Guglielmo I «ac si humanos horreret aspectos inaccessibilem se prebuit» e «suam omnibus absentavit presentiam, ut per multum temporis spatium (...) nulli penitus appareret. Que res argumento fuit ut a plerisque mortuus putaretur»42, ovvero «come se avesse orrore per la vista degli uomini si mostrò inaccessibile» e «privò tutti della sua presenza, così che per lunghi intervalli di tempo (...) non si mostrava a nessuno. La qual cosa diede occasione che venisse da molti ritenuto morto»43. Anche le ricchezze, che, 39 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 237: «Egli poi, dopo la morte del padre, convocati gli uomini più potenti del suo regno, fu solennemente incoronato il successivo giorno di pasqua, e a quella curia partecipò Roberto di Bassavilla (Vassonville), conte di Conversano, cugino diretto del re». Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 427, e di Bonetti, p. 164. 40 Addirittura, Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 11, riporta la diceria secondo cui Ruggero II lo avrebbe indicato come proprio successore, qualora Guglielmo I fosse apparso inidoneo a reggere il regno. 41 Cfr. M. McCormick, L’uomo bizantino, in L’uomo bizantino, a c. di G. Cavallo, Roma - Bari 1992, pp. 339-379. 42 Ugo Falcando, Liber, ed. cit., pp. 11 e 13. 43 Anche Ruggero II, sia pure in un’unica occasione, ovvero dopo la morte 354 Fulvio Delle Donne come abbiamo visto, Ruggero II tendeva a ostentare, divennero qualcosa di privato, da accaparrare e conservare in segreto. Sempre Ugo Falcando, a proposito della sua successione al trono, ci dice soltanto che «palatium ac thesauros optinuit regnique curam suscepit»44. Certo, Falcando, scrittore di opposizione, sottolineando come unico particolare la presa in consegna delle ricchezze paterne, dimostra implicitamente il suo astioso moralismo45. Tuttavia, anche Romualdo Guarna, caratterizzando il sovrano dopo la sua morte, sottolinea che fu «in congreganda pecunia multum sollicitus, in expendenda non adeo largus»46, ovvero «molto attento nell’accumulare denaro, non molto largo nello spenderlo». Insomma, tutto doveva rimanere all’interno della sua reggia: rinunciando non solo agli aspetti visibili della liturgia del potere, ma anche alla stessa gestione pubblica del potere. Non più assemblee di nobili, né sedi di gestione e organizzazione amministrativa complementari alla corte, divenuta l’unica sede della sovranità47. Così come viene implicitamente confermato da Falcando, quando, nell’introduzione della sua cronaca, dice: «satis fecisse videbor proposito, si qui laude digni fuerint, eos non taceam, si della moglie, si sottrasse, in lutto, alla vista dei sudditi: «unde accidit, ut fama paulatim diffusa, non solum iis qui longe, verum etiam qui prope erant, vere obiisse existimaretur», ovvero «per cui accadde che, essendosi diffusa la notizia a poco a poco, fosse considerato morto non solo da quelli che erano lontani, ma anche da quelli che gli erano vicini». Cfr. Alexander Telesinus, Ystoria Rogerii, ed. cit., p. 129. 44 Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 7: «ottenne il palazzo e i tesori e assunse la cura del regno». 45 Sull’atteggiamento di questo autore cfr. soprattutto l’introduzione alla citata ed. di Siragusa; M. Fuiano, Studi di storiografia medioevale, Napoli 1960, pp. 103-197; H. Hofmann, Hugo Falcandus und Romuald von Salerno, in «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters», 23 (1967), pp. 116170; G.M. Cantarella, Hugo Falcandus, in Dizionario Biografico degli Italiani, 44, Roma 1994, pp. 240-247. 46 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 253. Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 435, e di Bonetti, p. 192. 47 Cfr. Delogu, Idee sulla regalità cit., p. 198. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 355 maiora rerum momenta breviter ac succinte transcurram, in hiis maxime que circa curiam gesta sunt occupandus»48. Dunque, se il potere diviene qualcosa di assolutamente privato, da tenere lontano dagli occhi degli uomini, non meraviglia il fatto che tacciano anche le fonti letterarie. Anche se, in determinate occasioni, le modalità della manifestazioni del potere, e, di conseguenza, il registro usato nei resoconti cronachistici, muta, così come accadde in occasione della congiura del marzo 1161, capeggiata da Matteo Bonello49. A tale riguardo, racconta Romualdo Guarna che i congiurati, in parte evasi dalle carceri, cominciarono ad assalire il palazzo: «Rex autem huius rei nescius et ignarus et de tam repentino casu attonitus, ad fenestram turris Pisane uenit, et quosque transeuntes cepit ad suum auxilium conuocare»50. In caso di bisogno, Guglielmo I si mostra in pubblico, costretto, a quanto pare, a cambiare prassi comportamentale. Tuttavia, in quel momento non c’era nessuno che potesse soccorrerlo e il re fu fatto prigioniero insieme con la moglie. «Prisones uero Roggerium ducem Apulie, filium regis, imponentes equo per totam ciuitatem Panormi circumduxerunt, uolentes per hoc populi sedare tumultum (...) Facto uero mane, die ueneris, iterum Roggerium Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 4: «mi sembrerà di aver soddisfatto il mio proposito, se non tacerò di quelli che sono stati degni di lode, e se tratterò brevemente e succintamente dei fatti di maggiore importanza, essendomi proposto di occuparmi massimamente delle cose che furono compiute intorno alla corte regia». 49 Sulle vicende relative a questa congiura e su alcune interpretazioni delle fonti che la descrivono cfr. G.M. Cantarella, La Sicilia e i Normanni: le fonti del mito, Bologna 1989, pp. 157-161; Id., Scene di folla in Sicilia nell’età dei due Guglielmi, in A Ovidio Capitani. Scritti degli allievi bolognesi, a c. di M.C. De Matteis, Bologna 1990, pp. 14-17. 50 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 246: «ma il re, inconsapevole e ignaro di questa cosa e sbalordito per un avvenimento tanto repentino, si affacciò alla finestra della torre pisana e cominciò a chiamare in suo aiuto quelli che passavano». Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 431, e di Bonetti, p. 178. 48 356 Fulvio Delle Donne ducem per ciuitatem equitare fecerunt»51. Anche in questo caso il racconto di Romualdo è molto stringato. La sua attenzione si concentra esclusivamente sulle cavalcate del giovane Ruggero, tanto da dimenticarsi di spiegare il motivo per cui i congiurati le avevano volute. Forse, quel motivo, poteva ritenerlo ovvio, ma evidentemente Romualdo, che pure assistette ai fatti ed ebbe un ruolo importante in essi, fa guidare la sua narrazione dall’eccezionalità dell’evento pubblico a cui aveva assistito, così da tralasciare completamente la descrizione di ogni altra cosa, come quella dei saccheggi o dell’atteggiamento del sovrano imprigionato. Forse, però, in questa occasione, Romualdo intendeva descrivere solo ciò che aveva visto direttamente52. Così come si potrebbe evincere da un passo di poco successivo, in cui menziona il proprio nome tra quelli che spingono il popolo a sollevarsi per liberare Guglielmo I. Così, vinti dal timore della folla, i congiurati chiedono al sovrano misericordia: «Qua impetrata, simul cum rege ad fenestram turris Pisane uenerunt. Tunc rex uniuerso populo de sua liberatione gratias egit, mandans eis ut singuli reuerterentur ad propria et in pace quiescerent. Archiepiscopi vero et episcopi cum aliis fidelibus palatium ascenderunt, et regem de infortunio, quod acciderat, pro posse sunt consolati»53. Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 246: «I prigionieri, mettendo a cavallo Ruggero duca di Puglia, figlio del re, lo portarono in giro per tutta la città di Palermo, volendo in questo modo sedare il tumulto del popolo. Fattasi mattina, il giorno di venerdì di nuovo fecero cavalcare il duca Ruggero per la città». Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 431, e di Bonetti, p. 178. 52 Secondo Matthew, The Chronicle cit., pp. 239-274, la parte della cronaca che va dal 1125 al 1176 fu redatta non da Romualdo, ma da un chierico della curia salernitana. In questo caso, sarebbe da supporre un’intermediazione, e quindi una selezione ulteriore della materia del racconto. Tuttavia, l’ipotesi di Matthew viene negata, in maniera convincente, da Zabbia, Romualdo Guarna cit., pp. 380-398. 53 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 247: «Avendo ottenuto ciò, si affacciarono col re dalla finestra della torre pisana. Il re, allora, ringraziò tutto il popolo per la sua liberazione, ordinando che tutti tornassero nelle proprie case e restassero in pace. Invero gli arcivescovi e i vescovi, con 51 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 357 Insomma, anche se brevemente, qui Romualdo si sofferma a riassumere il contenuto del discorso del re, apparso una seconda volta in pubblico, e aggiunge il particolare della difficile consolazione del re: ma in quest’occasione l’arcivescovo salernitano aveva partecipato direttamente all’azione. Di certo, la narrazione della stessa vicenda fatta da Ugo Falcando è molto più ampia e articolata. Vengono, innanzitutto, forniti particolari sul modo in cui i congiurati riuscirono a penetrare nel palazzo, su ciò che in quel momento Guglielmo I stava facendo, sul suo stupore e terrore, sul suo tentativo di fuga, su una sua promessa di cedere subito il trono. Tuttavia, non viene detto che Guglielmo I si era affacciato alla finestra per chiedere aiuto, così come, invece, veniva raccontato da Romualdo. Evidentemente il racconto di Ugo Falcando è guidato da altri interessi, come quelli che si incentrano sulla descrizione delle ricchezze e sul desiderio di impossessarsene. Deinceps ad interiora palatii progressi, foribus proturbatis, ceperunt singula loca disquirere, rapere, predari quod cuique potissimum videbatur; alii gemmas anulosque, quia parvo loco concludi poterant, alii purpuras vestesque regias avidius appetebant; quidam aurea argenteaque vasa tarenis implentes porrigebant amicis, domum interim deferenda; nonnulli quoque, per fenestras palatii in plebem, que foris stabat, tarenos habundantissime dispergebant; nec deerant qui puellarum pulcritudinem crederent lucris omnibus preferendam54. [Poi, inoltratisi nelle parti più interne del palazzo, sfondate le porte, cominciarono a cercare in ogni luogo, a rapinare, a predare ciò che a ciascuno sembrava più prezioso; alcuni cercavano con maggiore avidità gemme e anelli, perché potevano essere tenuti in piccolo spazio, altri le porpore e la vesti regie; altri, riempienaltri fedeli salirono al palazzo e, per quanto era possibile, consolarono il re per quanto era accaduto». Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 432, e di Bonetti, p. 180. 54 Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 56. 358 Fulvio Delle Donne do vasi d’oro e d’argento con monete, li porgevano agli amici, perché frattanto li portassero a casa; altri ancora gettavano dalle finestre, con molta abbondanza monete alla folla55 che stava fuori; né mancavano quelli che credevano fosse da preferire la bellezza delle fanciulle a tutte le ricchezze]. Se per Romualdo la finestra era il luogo in cui si era manifestata la regalità nella fisicità stessa di Guglielmo I, altrimenti sempre tenuta nascosta, per Falcando essa mantiene la stessa funzione, solo che a manifestarsi sono solo quei simboli del potere rappresentati dall’abbondanza delle monete, di cui Guglielmo I subito si era impossessato succedendo al padre. Anzi, la finestra da cui vengono gettati i tarì costituisce quasi il rovesciamento della liturgia del potere celebrata dal re: se egli aveva trasformato in invisibile e inattingibile la propria regalità, nel momento della ribellione quella regalità viene violentemente resa pubblica e offerta al popolo, che così se ne riappropria. Nella sua rappresentazione di quell’improvvisato paese di cuccagna, in cui viene offerta in abbondanza ogni cosa, del resto, Falcando insiste su alcune esplicite insegne del potere regio, come le porpore e i vestiti regi, nonché sulla bellezza delle fanciulle che forse costituivano l’harem del re, altro simbolo di regalità che viene annullato, così come viene confermato da una frase successiva di Falcando: «eunuchorum vero quotquot inveniri potuerunt nullus evasit»56. Insomma, a leggere attentamente quello che racconta Falcando, sembra quasi che la congiura sia volta a sovvertire il modo in cui Guglielmo I aveva manifestato la propria regalità, ovvero la liturgia del proprio potere. E, a questo punto, in tale senso potrebbe interpretarsi anche la descrizione della cavalcata per la città di Palermo che i rivoltosi fanno fare al giovane Ruggero: un atto che rimanda senz’altro a un rituale liturgico di appropriazione simbolica del territorio, ma che, forse, assume anche altre connotazioni. 55 L’uso del termine plebs, in Falcando, è usato con connotazioni neutre e non specifiche: cfr. cantarella, La Sicilia e i Normanni cit., p. 164. 56 uGo Falcando, Liber, ed. cit., p. 56: «nessuno scampò, di tutti gli eunuchi che vennero trovati». Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 359 His ita gestis, comites eorumque complices Rogerium ducem maiorem regis filium educentes de palatio, per totam urbem equitare fecerunt, ostendentes eum omnibus, plebique dicentes, ne quemque alium deinceps regem aut dominum appellarent, hunc eorum esse dominum, hunc avi sui Rogerii regis auspicio regnaturum, hunc totius populi communi consilio coronandum57. [Fatte queste cose, i conti e i loro complici, facendo uscire dal palazzo il duca Ruggero, il figlio maggiore del re, lo fecero cavalcare per tutta la città, mostrandolo a tutti e dicendo alla folla che non avrebbero più chiamato nessun altro re o signore, che questo era il loro il loro signore, che questo avrebbe regnato con l’auspicio di suo nonno, il re Ruggero, che questo doveva essere coronato per decisione comune di tutto il popolo]. Non a caso – c’è da credere – Falcando usa il verbo ostendere; è proprio quello lo scopo della cavalcata che viene fatta fare al giovane Ruggero: mostrarlo al popolo, sovvertendo la prassi seguita da suo padre nella gestione del regno. Il re, dunque, deve manifestarsi, non nascondersi. Così come, in seguito, fa pure re Guglielmo I, quando – anche secondo Falcando – viene fatto affacciare alla finestra per acquietare il tumulto dei suoi sostenitori, che vogliono liberarlo. Dehinc ad Ioharie fenestras eum perducunt. Tunc vero, viso rege, totius multitudinis clamor et tumultus ingens exoritur (...) Rex autem, manu silentium indicens, iubet eos quiescere, satis inquiens ad promerendum fidelitatis titulum sufficere quod eorum sit opera liberatus; deinceps arma deponant eosque libere sinant egredi, quibus ipse quo maluerint eundi concesserit libertatem58. 57 58 Ivi, pp. 57-58. Ivi, p. 60. 360 Fulvio Delle Donne [Poi lo conducono alle finestre della Ioaria. A quel punto, visto il re, nasce un grande clamore e tumulto di tutta la moltitudine (...) Il re, poi, chiedendo silenzio con la mano, ordina che si acquietino, dicendo che era attestato sufficiente a fargli capire la loro fedeltà il fatto che era stato liberato grazie a loro; poi ordina che depongano le armi e che permettano di uscire liberamente a quelli ai quali egli stesso aveva concesso la libertà di andare dove preferivano]. La descrizione di Falcando non si discosta da quella di Romualdo, anche se, come abbiamo già notato, è più dettagliata e minuziosa. Tuttavia se, secondo Romualdo, Guglielmo I si era già affacciato spontaneamente alla finestra prima di essere fatto prigioniero, in Falcando questa è la prima volta che Guglielmo compie quel gesto; e lo compie perché costretto. Sembra, però, che, a partire da questo momento, il Guglielmo descritto da Falcando cambi il modo di mostrare la propria regalità. Rex itaque tam acceptis incommodis, quam rei pudore vehementissime perturbatus, abiecta veste regia, sueque dignitatis immemor, humi sedebat flens inconsolabiliter (...) Apertis etiam et inobservatis palacii foribus, omnes ad se venientes benigne ac familiariter admictebat, suum illis dolorem et luctus causam insinuans, ut a multis etiam qui prius eum oderant lacrimas extorqueret. Tandem vero, monitus at rogatus ab episcopis aliisque qui ad consolandumeum venerant, descendit in aulam que palatio coniuncta erat, iussitque populum convocari, eo quod amplitudo loci capiende multitudini vulgi sufficeret59. [E così, il re, straordinariamente turbato per le molestie subite e per la vergogna della cosa, dismessa la veste regia e immemore della sua dignità, sedeva a terra piangendo inconsolabilmente (...) Ed essendo aperte e senza custodia le porte del palazzo, ammette59 Ivi, p. 62. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 361 va benignamente e familiarmente tutti quelli che venivano da lui, comunicando loro il suo dolore e la causa del suo lutto, così da indurre a piangere anche coloro che prima l’avevano odiato. Poi, essendoglielo stato consigliato e chiesto dai vescovi e dagli altri che erano venuti a consolarlo, scese nella sala che era congiunta al suo palazzo, e ordinò di convocare il popolo, dal momento che l’ampiezza del luogo permetteva di raccogliere tutta la moltitudine del volgo]. Guglielmo I ha improvvisamente mutato i suoi tratti e la sua liturgia del potere, anche se per farlo, come sottolinea Falcando, ha dovuto deporre la sua vestis regia, così che possa essere sue dignitatis immemor. Insomma, a impedirgli di mostrarsi agli uomini e di mescolarsi ad essi è l’apparato del potere regio, quello che lo avvicina alla divinità, perché è la divinità che gliel’ha conferito, così come suggeriscono gli affreschi della Martorana e del duomo di Monreale. Ma, una volta dismessi quegli abiti, può finalmente mutare atteggiamento: le porte del palazzo possono restare aperte e senza custodia, ed egli può sedere a terra, può comunicare i suoi sentimenti umani, può piangere. Stando in mezzo ai sudditi, può – sempre secondo il racconto di Falcando – lodare la loro fedeltà, ringraziarli di averlo liberato, esortarli a restargli fedele, confessando che quanto gli era capitato era stato meritato e cagionato dai molti delitti da lui commessi60; ma sarebbe stato pronto a rimediare. «De cetero enim malle se diligi quam timeri»61, ovvero «del resto preferiva essere amato piuttosto che temuto», si conclude con un’affermazione che trova un implicito corrispettivo nella caratterizzazione di Guglielmo I fatta da Romualdo: «regno suo odibilis et plus formidini quam amori»62, cioè Tale concezione viene attribuita al solo Ruggero II da Delogu, Idee sulla regalità cit., pp. 193-195. 61 Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 63. 62 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 253. Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 435, e di Bonetti, p. 192. Tuttavia, anche a proposito di Ruggero II, Romualdo, a p. 237 della citata ed. di Garufi (p. 427 dell’ed. di 60 362 Fulvio Delle Donne «fu odiato nel suo regno, più temuto che amato». È difficile dire se tutto questo racconto sia plausibile, oppure se sia il risultato della rielaborazione fantastica di Falcando, di cui, del resto, non sappiamo assolutamente niente, e neppure a quali fonti attingesse a questo proposito. Tuttavia, subito dopo, aggiunge una frase sorprendente: «Hec et his similia que rex non sine lacrimis demissus loquebatur, electus Siracusanus, vir licteratissimus et eloquens, ad populum referebat»63. Il discorso che Falcando fa pronunciare a Guglielmo I, insomma, è ulteriormente mediato dal vescovo Riccardo Palmer, che funge, quindi, da logoteta64. Anche nel momento in cui, secondo la descrizione di Falcando, si fa circondare dal popolo, Guglielmo I mantiene una barriera che lo tiene distante da esso. Barriera che, invece, a quanto pare, venne meno con il suo successore, Guglielmo II. Quello che, secondo il racconto di Falcando, era stato il proposito – poi immediatamente disatteso – di Guglielmo I dopo la sua liberazione, ovvero la ricerca dell’amore più che dell’odio dei sudditi, diventa la strategia del potere adottata da Guglielmo II. E lo stesso Falcando non tarda a segnalarla, già a partire dal momento della sua incoronazione, nel 1166. At ubi dies transierunt luctui publico deputati, Willelmus, qui iam fere .XIIIIm. annum etatis attigerat, sub ingenti plebis gaudio rex creatus, per urbem sollempniter equitavit. Qui cum pulcherrimus esset, ea tamen die, nescio quo pacto, pulcrior apparens et Arndt; p. 164 dell’ed. di Bonetti), dice che «erat suis subditis plus terribilis quam dilectus, Grecis et Sarracenis formidini et timori», ovvero «risultava ai suoi sudditi più terribile che amato, terrore e timore per Greci e Saraceni». 63 Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 63: «Queste e simili cose, che il re non senza lacrime, dimesso, diceva, le riferiva al popolo l’eletto siracusano, uomo di grande cultura ed eloquenza». 64 Non è da escludere che l’aggiunta di questo particolare sia motivata dall’importante ruolo che successivamente ebbe a corte quel personaggio, sottolineata anche dallo stesso Falcando. Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 363 augustiorem quandam in vultu preferens venustatem, adeo gratiam et favorem omnium promeruit, ut etiam hii qui patrem eius atrociter oderant neque putabantur fidem unquam eius heredibus servaturi, dicerent humanitatis eum terminos transgressurum qui adversus puerum hunc aliquid impie moliretur65. [Ma come trascorsero i giorni destinati al pubblico lutto, Guglielmo, che già si trovava nel quattordicesimo anno di età, fatto re con grande gioia del popolo, cavalcò solennemente per la città. Ed egli, che era già bellissimo, in quel giorno, non so perché, apparendo ancora più bello e più augusto, portando in volto una certa venustà, si guadagnò la grazia e il favore di tutti a tal punto, che anche coloro che avevano odiato suo padre e pensavano che mai avrebbero serbato fede ai suoi eredi, dicevano che avrebbe travalicato i limiti dell’umana natura chi avesse tramato empiamente contro questo fanciullo]. Falcando, che non aveva fatto alcun cenno all’incoronazione di Guglielmo I, anche in questo caso non parla assolutamente della cerimonia, ma si limita a sottolineare la gioia del popolo e a ricordare la cavalcata per le strade della città. Dunque, se Guglielmo I, sottraendosi allo sguardo dei sudditi, aveva raggelato l’inventiva narrativa del cronista, in questa occasione egli può di nuovo spaziare sugli aspetti pubblici della liturgia dell’incoronazione, quelli che consistono nel mostrare al popolo tutta la solennità e la magnificenza della regalità. È con la pubblica cavalcata che il re palesa la sua grandezza di re, apparendo ancora più bello di quanto già non fosse. «Nescio quo pacto», dice Falcando, descrivendo e amplificando l’effetto di quel miracolo: egli – quasi novello virgulto di Iesse – ha la capacità di trasformare l’odio in amore. Se Ruggero II e il suo celebratore, Alessandro di Telese, per dare espressione alla carismaticità del potere regio, si erano serviti dell’oro e dell’argento, Guglielmo II e Falcando si servono 65 Ugo Falcando, Liber, ed. cit., p. 89. 364 Fulvio Delle Donne soltanto della presenza e dell’aspetto corporeo della sovranità66. Simile, da questo punto di vista, è anche la descrizione di Romualdo Guarna, che, tuttavia, fornisce qualche dettaglio di tipo diverso: Quo defuncto, Wilhelmus filius eius maior, natus annos duodecim, illi in regno successit. Hic autem secundo die post mortem patris, ex mandato regine, consilio archiepiscoporum et episcoporum et baronum et populi in regem est promotus. Nam eo die cum maxima gloria et apparatu regio ad ecclesiam beate Marie de Panormo ueniens, assistentibus plurimis archiepiscopis et episcopis et baronibus, a Romualdo secundo Salernitano archiepiscopo in regem unctus est et coronatus. Postmodum uero cum magno honore et totius populi gaudio et letitia ad palatium rediit coronatus67. [Morto il sovrano, gli successe nel regno il dodicenne Guglielmo, suo figlio maggiore. Egli, nel secondo giorno dopo la morte del padre, su ordine della regina, fu innalzato a re da un’assemblea di arcivescovi, vescovi, baroni e popolo. Infatti quel giorno, venendo con massima gloria e apparato regale alla chiesa di Santa Maria di Palermo, fu unto e incoronato re da Romualdo secondo, arcivescovo di Salerno, alla presenza di molti arcivescovi, vescovi, e baroni. Poi, con grande onore e con la gioia e la letizia di tutto il popolo, tornò incoronato al palazzo]. Sulla bellezza come “virtù politica” cfr. Cantarella, La Sicilia e i Normanni cit., pp. 86-89; Id., Qualche idea sulla sacralità regale alla luce delle recenti ricerche: itinerari e interrogativi, in «Studi Medievali», s. III, 44 (2003), pp. 921 ss.; Id., Il pallottoliere della regalità: il perfetto re della Sicilia normanna, in corso di stampa nella Miscellanea in onore di Vincenzo D’Alessandro. Su tale concetto anche in Adalberone di Laon cfr. C. Carozzi, D’Adalbéron de Laon à Humbert de Moyenmoutier: la désacralisation de la royauté, in La cristianità dei secoli XI e XII in Occidente: coscienza e struttura di una società, Milano 1983, p. 72. 67 Romualdus Salernitanus, Chronicon, ed. Garufi cit., p. 254. Cfr. anche le citate edd. di Arndt, p. 435, e di Bonetti, pp. 192-194. 66 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 365 Neppure Romualdo descrive quale sia l’apparatus regius a cui accenna. Sulla scorta di quanto abbiamo visto a proposito dell’incoronazione di Ruggero II, possiamo immaginare che si tratti di lussuosi e sfarzosi addobbi. Ma possiamo solo immaginarlo, per l’appunto. Perché a Romualdo, in questo momento, non interessa la descrizione dell’ostentazione delle ricchezze regali, ma quella della manifestazione del re, capace di generare gioia alla sua sola apparizione. Certo, come abbiamo detto, Romualdo è più preciso nella descrizione di alcuni dettagli liturgici, dal momento che è egli stesso a celebrare la cerimonia. Così, elenca, sia pure succintamente, le varie fasi dell’incoronazione, consistenti nell’acclamazione da parte del parlamento palermitano; nell’unzione e nell’incoronazione, alla presenza dei più alti rappresentanti della gerarchia ecclesiastica e dei magnati del regno; e poi nel ritorno al palazzo, dove il magnus honor doveva consistere in un corteo di uomini, croci e paramenti sacri: così come veniva prescritto negli ordines dell’incoronazione68. Tuttavia, a interessare maggiormente Romualdo, sembra che sia soprattutto la pubblica compartecipazione della gente alla liturgia del potere, dall’acclamazione dell’assemblea alla letizia festante dei sudditi che assistono al ritorno al palazzo del nuovo re. La liturgia seguita per l’incoronazione di Guglielmo II dovette essere celebrata in modo molto simile anche in occasione dell’incoronazione di Tancredi di Lecce, avvenuta a Palermo nel 1190. Tuttavia, viene rappresentata in maniera del tutto capovolta nella descrizione data da Pietro da Eboli nel suo Liber ad honorem Augusti: Primo mane subit, vestem ferruginis instar induit: hic habitus signa doloris habet. Heu heu, quanta die periuria fecit in illa, qua comes infelix unctus in urbe fuit! O nova pompa doli, species nova fraudis inique, Cfr. Elze, Tre «ordines» cit., p. 455; Id., The Ordo cit., p. 178; Id., Der normannische Festkrönungsordo cit., p. 327. 68 366 Fulvio Delle Donne non dubitas nano tradere regna tuo? Ecce vetus monstrum, nature crimen aborsum; ecce coronatur simia, turpis homo! (...) Quam bene conveniunt redimito cimbala mimo! Ne quemquam lateat, erea plectra sonant. Et quibus auditum sors aut natura negavit, ut videant, alto simia fertur equo69. [Giunge al primo albeggiare, indossa una veste che sembra di ruggine: quest’abito porta i segni del dolore. Ahimé, quanti spergiuri fece in quel giorno, in cui l’infelice conte fu unto in città! O nuova pompa d’inganno, nuovo aspetto d’iniqua frode, non hai dubbi nel consegnare i regni al tuo nano? Ecco il vecchio mostro, criminoso aborto di natura; ecco che viene incoronata una scimmia, un turpe uomo! (...) Come si adattano bene i cembali al redimito mimo! Perché a nessuno resti nascosto, suonano i plettri di bronzo. E quelli a cui la sorte o la natura negò l’udito, perché vedano, la scimmia è portata su un alto cavallo]. L’angolo prospettico è totalmente mutato, tanto che scene del tutto simili vengono viste in maniera completamente diversa, perché diverso è l’occhio che le guarda. La cavalcata del sovrano, a cui avevano dato tanta importanza Falcando e Romualdo nelle narrazioni delle acclamazioni del giovane Ruggero e di Guglielmo II, qui diventa occasione di satira e di sbeffeggiante condanna. Così, se Guglielmo II, nel giorno della sua incoronazione, appariva ancora più bello di quello che era, Tancredi, agli occhi di Pietro, appare mostruoso come una scimmia, un aborto di natura, un turpe nano, che con inganno e con frode si guadagna una «spurioPetrus de Ebulo, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine Bilderchronik der Stauferzeit aus der Burgerbibliothek Bern, edd. T. Kölzer G. Becht-Jördens ed altri, Sigmaringen 1994, vv. 178-185, 190-193. Questa edizione offre anche le fotografie a colori dell’intero manoscritto. Comunque, il testo è stato ben edito anche da Ettore Rota [RIS2, 31, 1], Città di Castello 1904-1910, e da Gian-Battista Siragusa [FSI, 39, 1-2], 2 voll., Roma 19051906. 69 Liturgie del potere: le testimonianze letterarie 367 sa unctio», come viene detto nel titolo della particula. Anche la veste, che probabilmente era di color porpora, simbolo del potere regio, agli occhi dell’avverso cronista diventa simile alla ruggine, corrosiva e distruttiva come il dolore. Nella satira pungente e mordace, Pietro non dimentica nessun particolare, neppure quelli che altri cronisti avevano trascurato quando avevano descritto le incoronazioni dei precedenti sovrani. Così, viene ricordato che anche la musica accompagnava quel tipo di cerimonie70; tuttavia, gli strumenti che la suonano non servono a manifestare gioia, ma a mettere alla berlina un buffone che si finge re. Il narratore, in questo caso, si pone come osservatore scrupoloso dell’evento, ma non vuole trasmettere suggestioni e impressioni diverse da quelle dell’irrisione e del dileggio. La sacralità della liturgia viene ribaltata come in una rappresentazione carnevalesca. Il re viene additato nella sua deformità, che lo pone al di sotto degli uomini, proprio nel momento in cui dovrebbe apparire più eccelso di chiunque altro. Pietro da Eboli è autore raffinato e scaltro, e sa usare ben altri toni per descrivere l’incoronazione di Enrico VI, avvenuta il 15 aprile 1191: Balsama, thus, aloe, miristica, cinnama, nardus, regibus assuetus ambra modestus odor, per vicos, per tecta fragrant, redolentque per urbem, thuris aromatici spirat ubique rogus71. [Balsami, incenso, aloe, miristica, cinnamo, nardo e ambra, odore misurato adatto ai re, si diffondono per le strade e per le case, si spandono per la città; dappertutto spira il rogo dell’incenso aromatico]. Enrico VI è il signore al quale Pietro da Eboli dedica la sua 70 71 Cfr. Elze, Le insegne del potere cit., pp. 123-124. Petrus de Ebulo, Liber ad honorem Augusti, edd. cit., vv. 264-267. 368 Fulvio Delle Donne opera; un’opera che non vuole soltanto descrivere le imprese compiute dal giovane imperatore svevo, ma aspira a delineare, rafforzare e idealizzare il carisma che ne illumina il potere, glorificandone la dinastia con richiami a una tradizione allegorica e mistica che non trova esempi nella precedente produzione cronachistica e letteraria del regno meridionale72. Ormai tutto è cambiato. Nella caratterizzazione dei sovrani normanni, gli autori che abbiamo esaminato si rifacevano ancora a criteri valutativi incentrati soprattutto sugli aspetti visibili e tangibili della fisicità e della corporeità. Ma, con l’avvento della dinastia sveva, i moduli rappresentativi della liturgia del potere tendono sempre più a connotare la regalità con i tratti arcani della ieraticità mistica e metafisica, secondo gli schemi di una nuova propaganda: una propaganda di cui Pietro da Eboli è solo il primo interprete. Per le differenze tra i moduli narrativi ed encomiastici di Pietro da Eboli rispetto alla tradizione regnicola precedente cfr. Delle Donne, Politica e letteratura cit., pp. 31-73; Id., Il Potere e la sua legittimazione. Letteratura encomiastica in onore di Federico II di Svevia, Arce 2005, pp. 29-57. 72