scelti fin dal grembo della madre

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scelti fin dal grembo della madre
Assemblea Nazionale Missio Giovani Roma, 10 aprile 2011 SCELTI FIN DAL GREMBO DELLA MADRE 1. STORIE DI UOMINI L’immagine da cui partiamo è esplicitamente riferita all’esperienza di Paolo: 15 Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque 16 di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, 17 senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. (Gal 1,15‐17) Notiamo subito alcuni elementi: - l’alleanza tra la natura e la grazia: c’è un percorso dove ciò che appartiene all’essere umano (far nascere un figlio) si accompagna all’iniziativa di Dio; non cerchiamo Dio e la sua Parola fuori dei percorsi consueti, quotidiani, umani; - l’appello alla libertà: si compiacque di rivelare è un linguaggio di amore, di relazione e di conoscenza, che invita a una decisione e apre a un futuro possibile; è la stessa modalità di coinvolgimento della persona, che troviamo nell’annuncio a Maria (Lc 1,16‐38); - ogni scelta – di Dio o dell’uomo – è per un compito, una missione: perché lo annunciassi in mezzo alle genti; anche qui, come per Maria, c’è una dimensione di maternità: far nascere qualcosa da consegnare alla vita, agli altri, addirittura alle nazioni; - Paolo è consapevole che questa proposta ha trovato una resistenza mortale nella sua vita: per lungo tempo egli ha esattamente combattuto il Cristo al quale ora dedica la vita; egli è in grado perciò meglio di comprendere l’iniziativa personale di Dio verso di lui, ma è costretto a rileggere con dolore e scandalo il periodo di lontananza rispetto alla vocazione rivelata da Dio. Paolo fa esplicito riferimento a due testi dei profeti antichi, dove troviamo le stesse sottolineature. Geremia racconta la propria vocazione più o meno negli stessi termini: 4
Mi fu rivolta questa parola del Signore: 5«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». 6Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». 7Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. 8Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. 9Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca». (Ger 1,4‐9) 2
Di Geremia colpisce che la resistenza sia motivata dall’affermazione io non so parlare, perché sono giovane e che la reazione di Dio sia rivelare che egli non dovrà dire parole proprie, ma le parole stesse che Dio gli porrà sulla bocca. Il tema della giovinezza provoca: fino a quando uno è giovane per poter resistere? quando il Signore svela davvero la sua chiamata? qual è il salto tra maturità e immaturità? quando una preparazione è sufficiente per iniziare la propria missione? Troviamo queste dinamiche presenti nelle grandi e piccole scelte della vita – da essere educatore in parrocchia a scegliere il matrimonio, da un servizio di volontariato a una partenza missionaria – con tutto il loro carico di peso interiore, di incertezza, di maschere, di voglia di fuggire. Troviamo anche il contrasto con una cultura affettiva come quella odierna, che invita a scelte rapide e intense, tanto più possibili perché revocabili, e ugualmente capaci di dare ferite difficilmente cancellabili. In tutto questo non perdiamo di vista che Geremia è chiamato esplicitamente a essere profeta delle nazioni, anche se la sua profezia sofferta si svolgerà poi quasi interamente in Israele. Ma torniamo ai profeti e in particolare ora a Isaia. Si tratta di testi di un autore più recente che ha a cuore la fedeltà a Dio del popolo provato ed esiliato, fedeltà che solo un Servo fedele, capace di condividere le sofferenze del popolo, potrà ristabilire e guidare, a vantaggio anche degli altri popoli della terra: 1
Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. 2
Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. 3
Mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. 4
Io ho risposto: “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio”. 5
Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – 6
e ha detto: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”. (Is 49,1‐6) In questo brano non sono più il profeta o l’apostolo che parlano per se stessi, ma si mette in evidenza una chiamata più solenne e più alta, un personaggio misterioso che sperimenta resistenza più che in se stesso, nei destinatari della sua profezia. Una resistenza che – dirà Isaia negli altri brani del Servo – gli costerà la vita. Egli è anche luce delle nazioni, inviato fino all’estremità della terra: espressioni che troveremo nel nuovo testamento in riferimento a Gesù e alla missione da lui affidata agli apostoli. 3
2. UOMINI SCELTI E CHIAMATI I testi da cui siamo partiti presentano una caratteristica tipica di tutti gli scritti biblici: non si tratta di documenti ufficiali, giuridici o ecclesiastici, ma del frutto di momenti di riflessione puntuali e precisi nell’ambito della storia di persone. Nascono probabilmente da tempi di silenzio e di preghiera dove fare il punto della situazione, recuperare per se stessi e per gli altri le proprie radici, discernere le nuove realtà, rimotivare il proprio servizio. Questo modo di procedere di Paolo e dei profeti, dello stesso Luca che rilegge a distanza l’annuncio a Maria, ci consente di considerare alcuni elementi: - nessuna chiamata avviene al di fuori di un incrocio complesso di temperamenti, attese, percorsi interiori, bisogni, storia di un popolo: la vera rivelazione o ogni annuncio non possono prescindere da un contesto vissuto con ascolto, passione, attenzione; - nessuna scelta svela da subito tutta la sua potenzialità: l’impazienza e l’autosufficienza sono cattive consigliere nel realizzare un servizio che si configura da subito per lo stesso servo, apostolo, profeta, anche come un’occasione di formazione permanente. In questo contesto spazio‐temporale emerge il linguaggio della scelta: Dio ha scelto questi uomini – come Gesù ha scelto i suoi apostoli – per dire loro la sua benevolenza e affidare loro la missione di proclamare che la sua è una benevolenza universale. In quanto “scelta” l’atteggiamento di Dio è certamente arbitrario, lo si direbbe persino scorretto: non dà a tutti la stessa possibilità. Per di più non tiene conto del curriculum aziendale: un persecutore, un giovane pauroso di parlare in pubblico, un’adolescente di un villaggio marginale, pescatori, pubblicani, ex indemoniate ecc. non sembrerebbero persone di rango a cui affidare la bellezza decisiva e solenne della “buona notizia”. La ricerca, o il recupero, di una motivazione decente per lasciarsi scegliere non risiede perciò nelle proprie qualità personali, nella forza o bontà del carattere, nelle doti o carenze di pensiero e di azione. Tutto si gioca prima di tutto nella relazione personale, in un innamoramento reciproco (quanto linguaggio di fidanzamenti e di seduzione nella Bibbia!), nella consapevolezza che non abbiamo un tesoro se non perché l’abbiamo ricevuto e che tale tesoro non è per noi: abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi (2Cor 4,7). Ecco perché non è una scelta da subire, come in un risiko spirituale dove indovinare le mosse giuste, ma – pare un gioco di parole – una scelta da scegliere. La vocazione – usiamo questo termine per esprimere la ricchezza di ogni chiamata divina a breve e lungo termine, dall’opzione fondamentale della fede alle scelte più normalmente quotidiane – trova la sua capacità di risposta quando – pur lottando contro le nostre resistenze, il nostro passato, i nostri limiti, non rifiutando di andare controcorrente; age contra dicevano gli antichi maestri – capiamo che stiamo per “fare ciò che vogliamo” o ciò che “ci piace” perché coincide perfettamente con il volere di Dio. La professione di fede rimane la prima risposta vocazionale che dobbiamo coltivare, l’orizzonte dove iscrivere i nostri desideri e le nostre realizzazioni, i nostri dubbi e le nostre crisi, lo specchio dove guardare a noi stessi con verità; ma la nostra verità è il saperci ben voluti dal Padre. 4
3. IL GREMBO C’è un’insistenza dei nostri testi sul seno della madre, sul grembo materno. Non c’è nulla di più riservato e protetto del momento in cui si concepisce un bambino, niente di più nascosto di una crescita del nuovo essere umano che oggi le macchine riescono a farci vedere con emozione, ma che momento per momento è percepita da colei che non se ne può staccare e che sola ne avverte pienamente movimenti e cambiamenti. Le biotecnologie non sono un problema solo per la poesia della maternità, ma soprattutto per una relazione così unica che non può essere ricostruita a tavolino o in laboratorio. Eppure l’immagine del grembo materno è l’immagine più universale che possa esistere: così tutti nascono, così tutti vengono al mondo, alla luce. In molte culture il grembo richiama la Terra madre dalla quale tutti provengono e alla quale tutti sono destinati, in una visione di tipo religioso dove questo principio determina il valore di tutto: nascita e morte, passato e futuro, vita dell’individuo e della comunità, amore e sapere, ecc. È perché si è stati scelti dal grembo materno che non si può pensare il proprio futuro in isolamento e per una felicità individuale. Il grembo è formazione, protezione, preparazione, ma è un tempo provvisorio, dopo il quale si esce per riconoscere i propri simili, per entrare in relazione con loro, per coltivare la vita a tutti donata nella stessa misura. Per un buon discernimento però il grembo non va dimenticato,va conosciuto: ciò per cui e in cui siamo stati generati è il presupposto della nostra vita intera, non solo fisica, e il luogo delle nostre radici: la nostra genesi è gran parte della nostra vita ed è bene indagarla a fondo. 4. CHIAMATO PER PRIMO La chiamata di Dio, la vocazione cristiana, hanno un aspetto specifico riferito alla persona di Gesù non solo nel senso di sviluppare una relazione con lui, ma come diretta conformazione alla sua identità. Paolo dice di Gesù – proprio nella stessa lettera ai Galati – più o meno quello che ha detto di se stesso, introducendo però un modello di relazione più approfondito: 4
Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, 5
per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. 6E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. (Gal 4,4‐7) Incuriosisce la pienezza del tempo: c’è sempre un tempo in cui Dio opera, agisce, chiama, sceglie, rivela. Studiare e discernere i tempi di Dio fa parte della nostra risposta a lui e in parte dobbiamo attendere del tempo per rileggere la nostra parabola di vita. C’è una scansione dei tempi spirituali 5
che non è data dai calendari, dalle stagioni, dagli anniversari, ma dalla nostra avventura interiore, dalla nostra storia con Gesù. Paolo ricorda che il Figlio è mandato da Dio e nato da donna: il mandato configura una chiamata, una missione, e la citazione della nascita un’identità condivisa e universale. Gesù però rovescia lo schema: è lui a dare ora una nuova identità a quanti sono figli di una donna e possono diventare figli di Dio, accogliendo lo Spirito in se stessi. La risposta a una chiamata non è mai avventura singola, percorso autonomo: è identificazione con il Figlio, è discepolato di un Maestro, è assunzione del suo stile di pensiero e di vita. E così contempliamo il suo abbassarsi, il suo annientamento non per destino o debolezza, ma per conseguire la gloria cui tutti sono destinati: 5
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6
egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11
e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre. (Fil 2,5‐11)