NOTIZIE SILCEA NOTIZIE SILCEA

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NOTIZIE SILCEA NOTIZIE SILCEA
GENNAIO 2015
NOTIZIARIO DELLA SEZIONE SILCEA DI UNISIN
Via Cristoforo Colombo. 181 Roma - www.silcea.org - Tel.: 06 51 26 765 - 06 51 60 58 28 Fax. 06 51 40 464 e-mail: [email protected]
BUON ANNO
Estratto dalla lettera di fine anno del Segretario Generale del SILCEA Sergio
Mattiacci
Il Paese non riesce a venir fuori da una profonda recessione ed è
questa l’unica sintesi realistica ed onesta che può essere
facilmente rilevata da chi non ha interessi di parte per affermare
cose diverse. Unisin, come ricorderete, in prossimità delle ultime
elezioni politiche inviò un documento articolato ai Partiti, durante
la campagna elettorale, dove –uscendo dal ruolo del Sindacato di
Settore- ritenne indispensabile lanciare un grido di allarme in
merito a tutta una serie di criticità
che una politica
maggiormente responsabile avrebbe dovuto affrontare con
urgenza.
Ora tutti sappiamo come è andata e di che cosa si è occupata,
invece, la politica in questo lasso di tempo per cui non possiamo
meravigliarci se l’indispensabile crescita economica rimane un
augurio, un semplice auspicio di fine anno, se il PIL passa dallo
zero virgola qualche centesimo a negativo, se sprofondiamo anno dopo anno - nella classifica che rileva la competitività dei
Paesi e se l’unica classifica che ci vede primeggiare è quella che
evidenzia i livelli di disoccupazione. In particolare la drammatica
mancanza di lavoro per le nuove generazioni dovrebbe
preoccupare seriamente chi governa il Paese tanto da
considerare questa dinamica tra le priorità da risolvere…tra le
emergenze primarie.
Chi governa il Paese, invece, ha una diversa idea per far ripartire
l’economia o, forse, sarebbe meglio dire che non ha idee e
ripresenta la solita, sbagliata, iniqua e perdente soluzione,
ovvero, quella di penalizzare ancora i lavoratori ed il lavoro. E’
noto che non condividiamo gli ultimi interventi relativi alle
modifiche delle norme che regolano il mercato del lavoro, lo
abbiamo detto, lo abbiamo scritto e lo abbiamo sostenuto con
sciopero e manifestazione e lo sosterremo ancora con forza.
Non possiamo accettare il “dono” che la politica ci ha fatto
trovare, quest’anno, sotto l’albero di Natale. Con i primi decreti,
infatti, il Governo ha esteso il raggio di applicazione del nuovo
regime sui licenziamenti e - anche se occorrerà attendere che il
testo definitivo sia pubblicato in Gazzetta Ufficiale per esprimere
una valutazione complessiva - già da ora posso dire che è
inaccettabile l'applicazione della norma, che esclude del tutto il
A CURA DEL COMITATO TECNICO SILCEA
reintegro nel caso di licenziamenti economici, ai casi di
liceniamenti collettivi in base alla Legge 223/91.
Unisin , come dicevo, si è già espressa sul Jobs Act,
sull'aggiramento dell'art. 18 e sulle altre misure contenute nella
legge delega (dal demansionamento al controllo a distanza) …
ma estendere la cancellazione del reintegro ai
licenziamenti collettivi rappresenta - oltre a superare e
snaturare la stessa delega - un enorme regalo alle imprese
ed un attacco al mondo del lavoro ed al Sindacato in
quanto si consente di non rispettare le procedure ed i criteri per
l'individuazione dei lavoratori da licenziare (così come già
previsto dalla legge 223/91).
Il decreto prevede infatti che le regole sui licenziamenti
individuali valgano anche per quelli di almeno cinque lavoratori
per cui, con la sola penale di un indennizzo economico, si
escludono questi lavoratori dal reintegro e così, di fatto, si da via
libera anche ai licenziamenti discriminatori.
Si… perché in questo modo si può dire senza timore di
“estremizzare” che… se per i licenziamenti discriminatori
individuali è previsto il diritto al reintegro…saranno leciti i
licenziamenti discriminatori collettivi… Qualche politico si è
accorto della follia: non rimane che sperare.
In ogni caso Vi invito a seguire la diatriba che scaturirà
dall’estensione o meno, ai dipendenti della Pubblica
Amministrazione, di quanto previsto dal decreto. Temo una
ennesima guerra fra poveri.
Il declino del Paese non si arresterà con la maggiore libertà di
licenziare lo sa anche chi finge di credere altro… chi non investe
nel nostro Paese ha ben presente i fattori che comprimono la
competitività e la produttività. Ha ben presente il gap
infrastrutturale, la morsa della burocrazia,
la corruzione
dilagante, l’incertezza del diritto e dei tempi della giustizia.
Ha ben presente che esiste “il mondo di mezzo o di sopra… che
dir si voglia” che non è popolato da elfi e draghi ma dai tanti
Buzzi e Carminati. Per questo le imprese serie guardano al nostro
Paese con sospetto…non certo perché non possono “disfarsi” dei
Lavoratori Italiani che sono, invece, richiesti e ben pagati in tutto
il Mondo quando questi ultimi, sopraffatti dalla disperazione,
decidono di cercare altrove la dignità che gli è stata negata in
Patria.
Sergio Mattiacci (Segretario Generale SILCEA)
Pagina 1
COMUNICATO STAMPA
DISDETTA CONTRATTO ABI: UNISIN, RISPOSTA SARA'
FORTE E NON SI FERMERA' A SCIOPERO
"Prendiamo
atto, con grande preoccupazione e stupore, della decisione di ABI di procedere alla
disdetta unilaterale dei contratti di lavoro di Settore a far tempo dal prossimo 31 dicembre e con
effetto dal successivo 1 aprile 2015. Ancora una volta, dopo l'attacco mosso nei mesi scorsi alla
struttura stessa dei contratti vigenti, alle rivendicazioni mosse dalle lavoratrici e dai lavoratori del
settore attraverso le piattaforme di rinnovo, agli impianti normativi ed economici a tutela del lavoro
nel settore credito, la scelta delle Banche si dimostra essere miope e di fatto finalizzata alla ricerca
di una conflittualità interna che, ancor più a questo punto, tutti i lavoratori del settore sapranno non
far venire meno”. Lo dichiara il Segretario Generale di Unità Sindacale Falcri Silcea, Emilio
Contrasto.
ABI – prosegue Contrasto – sembra aver del tutto dimenticato come, anche nel recente passato, la
scelta di promuovere relazioni industriali forti abbia consentito il rinnovamento dell'intero settore,
definendo anche intese che sono state in grado di governare processi estremamente complessi,
che hanno cambiato radicalmente il volto delle banche e sono stati da esempio per altri settori”.
Per il segretario generale quindi “ABI ha scelto di non volersi confrontare su un nuovo e più
efficace modo di fare Banca, favorendo il recupero della produttività e dell'efficienza a vantaggio
non solo delle stesse Banche ma di tutti gli stakeholder coinvolti e in nome di una rinnovata
Responsabilità Sociale che da tempo sembra del tutto assente nei rapporti tra banche e territori e
tra banche e dipendenti. Come sempre, quindi, la posizione dei banchieri è quella di sopravvivere
comprimendo i costi del lavoro, i diritti degli oltre 300.000 addetti del settore, la propria presenza
sui territori e continuando in un assurdo esercizio di finanza creativa che tanti danni ha prodotto nel
corso degli ultimi anni in Italia ed all'estero. Tutto ciò, peraltro, in un contesto economico e storico
che consiglierebbe alle banche ed ai banchieri scelte completamente diverse, attraverso cui
rilanciare un settore strategico come quello del credito, assumendosi la responsabilità di condurre
famiglie ed imprese fuori dal tunnel di una recessione senza precedenti e che sta minando anche
la tenuta sociale del nostro Paese”.
“A questo punto – è la conclusione del segretario di Unisin – la risposta dei lavoratori non potrà che
essere di mobilitazione generale e forte, già a partire dal prossimo 29 dicembre con la sospensione
unitaria delle trattative, dopo il livello nazionale, anche in ambito aziendale e di gruppo sino ad
arrivare allo sciopero generale del settore previsto per la fine del prossimo gennaio. Altre iniziative
dovranno essere valutate unitariamente alle altre OO. SS. al fine di far bene capire ad ABI che i
tempi per procedere ad ulteriori scelte miopi, ai tagli ai costi, al dire di voler cambiare tutto per poi
non cambiare effettivamente nulla, sono definitivamente tramontati. La risposta della categoria sarà
quindi forte e inequivocabile".
Roma, 17 dicembre 2014
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Pagina 2
Comunicato Stampa
JOBS ACT:
DECRETO OLTRE PEGGIORI ASPETTATIVE
"Con il primo decreto sul nuovo regime dei licenziamenti il Governo va oltre le più pessimistiche previsioni - dichiara il
Segretario Generale di UNISIN Emilio Contrasto - ampliandone il raggio di applicazione oltre ogni ragionevole
aspettativa".
"Attenderemo che il testo definitivo sia pubblicato in Gazzetta Ufficiale per esprimere giudizi tecnici finali - spiega
Contrasto - ma in merito al testo licenziato dal Consiglio dei Ministri della Vigilia di Natale - scelta discutibile in
quanto richiama le peggiori tradizioni delle cattive leggi fatte quando l'attenzione degli italiani è concentrata su altro possiamo affermare che è inaccettabile l'applicazione del nuovo regime, che esclude del tutto il reintegro nel caso di
licenziamenti economici, ai casi di licenziamenti collettivi in base alla Legge 223/91".
"La stessa esistenza di questa normativa, infatti - secondo Contrasto - contraddiceva le semplicistiche affermazioni
circa la presunta rigidità del mercato del lavoro in Italia per la presenza dell'art. 18 e della difficoltà a licenziare, che
sarebbe stata anche un freno agli investimenti, in quanto essa disciplina e rende possibili i licenziamenti collettivi per
motivi economici".
"Il pensiero negativo della nostra Organizzazione sul Jobs Act, sull'aggiramento dell'art. 18 e sulle varie altre misure
contenute nella legge delega - dal demansionamento al controllo a distanza - è ben noto ed è stato negli scorsi mesi
più volte espresso - ricorda il Segretario Generale di UNISIN - ma estendere la cancellazione del reintegro ai
licenziamenti collettivi, oltre a superare e snaturare la stessa delega, rappresenta un abnorme regalo alle imprese ed
un attacco al mondo del lavoro ed al Sindacato in quanto si consente di non rispettare le procedure ed i criteri per
l'individuazione dei lavoratori da licenziare, con la sola penale di un indennizzo economico ed escludendo il reintegro,
e così di fatto si da via libera anche ai licenziamenti discriminatori".
"Il paradosso - secondo Contrasto - è che se per i licenziamenti discriminatori individuali resta il diritto al reintegro,
saranno leciti i licenziamenti discriminatori collettivi. Chiediamo al Governo ed alle competenti Commissioni
Parlamentari di intervenire con le opportune correzioni al decreto prima della sua pubblicazione".
"Chiunque sia in buona fede - conclude il Segretario Generale di UNISIN - non potrà che concordare sul fatto che non
sarà la libertà di licenziare ad attrarre investimenti e a far crescere l'occupazione finché non si combatterà con
determinazione il “mondo di mezzo” fatto di malaffare, corruzione, complicità tra alcuni rappresentanti delle
istituzioni e organizzazioni criminali, burocrazia ed incertezza del diritto".
Roma, 29 dicembre 2014
A CURA DEL COMITATO TECNICO SILCEA
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Cassazione: si può dare del 'pazzo' a una persona se ci si trova in un
contesto conflittuale
Il delitto di ingiuria (Art. 594 codice penale) è uno di quei reati destinati ad evolvere
nel corso del tempo. La natura offensiva di questo o quell'altro comportamento non
è infatti un dato fisso ma una variabile suscettibile di mutare a seconda del periodo
storico e del contesto sociale considerati – almeno per quanto riguarda l'aspetto
strettamente verbale. A questo proposito, la Giurisprudenza di Legittimità ha più
volte avuto modo di derubricare l'ingiuriosità di parole volgari – come il cosiddetto
'vaffa' (cfr. sent. 35669/14) – sulla base della considerazione che ormai sono
entrate nell'uso comune.
Il termine pazzo, invece, che di per sé non è ascrivibile alla cerchia dei turpiloqui
propriamente detti, è però un appellativo poco lusinghiero e certamente capace di
colpire in modo forte il decoro e l'onore del 'destinatario'.
A CURA DEL COMITATO TECNICO SILCEA
Ciononostante, non sempre vale una condanna penale! Lo afferma in questi giorni
la Corte di Cassazione, V sez. pen., con sentenza n. 50969/14 depositata il 4
dicembre scorso, di fatto promuovendo la scusante della provocazione – che
ricorre sovente nei procedimenti per ingiuria – ad elemento scriminante. In pratica,
secondo gli Ermellini, stante fra i due soggetti coinvolti (la rea e la persona offesa –
coniuge separato di un'amica della prima) una consuetudine di rapporti già alterati
e compromessi – tali per cui le modalità comunicative ordinarie non si ispiravano
certo alle regole della cortesia –, il fatto che l'una abbia appellato l'altro "pazzo"
non può assurgere alla condotta criminosa di cui all'art. 594 c.p.. E non è la prima
volta che la S.C si pronuncia su questa particolare voce del nostro vocabolario,
visto che già in una sentenza del 2010, si era espressa positivamente addirittura
sull'ammissibilità dell'epiteto da parte di un lavoratore nei confronti del proprio
principale.(Fonte:www.StudioCataldi.it)
Pagina 4
Sentenza del lavoro nulla se il dispositivo non viene letto nell'ultima udienza.
Cassazione 25305/2014
Nulla, insanabilmente nulla! Tale è la sentenza che chiude il processo del lavoro o
altra causa che segua il medesimo rito, se manca la lettura del dispositivo in
udienza. Così è stato stabilito – o piuttosto chiarito – dalla Suprema Corte, nella
sentenza n. 25305 del 28 novembre 2014.
Nei casi in cui oggetto della controversia trattata siano rapporti di lavoro e tutte
quelle materie per cui il nostro codice prevede la stessa procedura (vedi contratti di
locazione), il dispositivo della sentenza deve necessariamente essere letto dal
giudice nell'udienza di discussione – l'ultima.
Un “requisito formale” richiesto dal Legislatore per rispondere a quelle esigenze di
concentrazione del giudizio e immutabilità della decisione che caratterizzano tali
riti.
In particolare, nel caso deciso in terzo grado dalla sentenza numero 25305, gli
Ermellini hanno cassato con rinvio la sentenza di appello di un procedimento del
lavoro per non essere intervenuta nel giorno stesso dell’udienza di discussione.
Ironia della sorte, la sentenza annullata respingeva il ricorso perché tardivo! Una
sorta di legge del contrappasso che per “questioni di forma”, annulla una sentenza
che si pronuncia su… “questioni di forma”. Intanto, il giudizio di secondo grado
dovrà celebrarsi di nuovo. Ovviamente, con poche – o nulle – speranze per il
ricorrente!.(Fonte:www.StudioCataldi.it)
Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che offende il capo in
un atto difensivo
“Non costituisce illecito disciplinare né fattispecie determinativa di danno ingiusto grazie alla scriminante di cui all'art. 598 co. 1 c.p., avente valenza generale
nell'ordinamento - attribuire al proprio datore di lavoro in uno scritto difensivo atti o
fatti, pur non rispondenti al vero, concernenti in modo diretto ed immediato
l'oggetto della controversia, ancorché tale scritto contenga, in ipotesi, espressioni
sconvenienti od offensive (soggette solo alla disciplina prevista dall'art. 89 c.p.c)”.
Lo ha deciso la sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 26106 dell’11
dicembre 2014, dando ragione al dipendente di una banca che aveva impugnato il
licenziamento disciplinare intimatogli per avere “diffamato” l’istituto affermando di
non aver ricevuto un preavviso di revoca relativamente all’opposizione ad
un’ordinanza ingiunzione e per aver emesso un assegno bancario su un conto
corrente chiuso.
L’uomo ricorreva per Cassazione impugnando la sentenza della Corte d’appello di
Ancona che aveva confermato la legittimità del licenziamento ritenendo sussistente
il danno all’immagine a carico dell’istituto di credito addebitandogli la condotta in
quanto dipendente dello stesso, laddove, invece, le sue asserzioni non potevano
essere considerate diffamazione poiché contenute in uno scritto difensivo e, quindi,
avvenute al di fuori dell’esercizio delle mansioni.
Per la S.C. il motivo è fondato.
Alla condotta rimproverata al dipendente è applicabile, infatti, secondo la
Cassazione, la causa di giustificazione ex art. 598, 1° co., c.p., che costituisce
applicazione del più generale principio dell’art. 51 c.p., poiché “le frasi ritenute
11 dicembre 2014
VERSO LA PUBBLICAZIONE IN GAZZETTA UFFICIALE
JOBS ACT:
DEMANSIONAMENTO, COSA CAMBIA?
di D. Morena Massaini - Consulente del lavoro, pubblicista
Nel Jobs Act è contenuta la delega alla revisione delle norme in materia di
demansionamento dei lavoratori. L'ipotesi contemplata nel Jobs Act riguarda la
possibilità di modificare le mansioni del lavoratore nei casi di riorganizzazione,
riconversione o conversione aziendale. Tale previsione non costituisce però un
elemento di assoluta novità nel nostro ordinamento; nell’attuale panorama
legislativo e giurisprudenziale, infatti, è già disciplinata l’ipotesi di deroga al divieto
di demansionamento. Resta da vedere come si darà attuazione alla norma con i
decreti delegati attuativi.
Nel Jobs act, contenente "Deleghe al Governo in materia di riforma degli
ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in
materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di
tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro", è stata inserita dal
Legislatore una norma concernente la possibilità di modificare le mansioni del
lavoratore in casi specifici di riorganizzazione, ristrutturazione e conversione
aziendale.
A CURA DEL COMITATO TECNICO SILCEA
diffamatorie concernevano in modo diretto ed immediato l’oggetto della
controversia (vale a dire l’insussistenza degli estremi dell’illecito amministrativo di
cui all’art. 28 d.lgs. n. 507/1999) ed erano funzionali alle argomentazioni svolte a
sostegno della tesi difensiva prospettata”.
Tale scriminante di portata generale - ha spiegato la Corte - è pacificamente
applicabile anche al contenuto di scritti difensivi relativi a giudizi civili e a maggior
ragione nel caso di specie, in cui le affermazioni ritenute non veritiere si
rinvenivano in uno scritto difensivo depositato nel corso di un giudizio in cui
l’istituto di credito era estraneo e le stesse non solo “erano strettamente pertinenti
all’oggetto della controversia – ma anche – formulate in maniera tutt’altro che
sconveniente, non continente o comunque oltraggiosa”.
Infine, ha concluso la Corte accogliendo il ricorso e cassando la sentenza con
rinvio, non è da ritenersi sussistente nella condotta addebitata al lavoratore
“neppure un'astratta potenzialità lesiva in termini di danno all'immagine della
società, atteso che quest'ultimo, meglio definibile come danno alla reputazione
aziendale, può sussistere solo allorquando l'atto lesivo che determina la proiezione
negativa sulla reputazione dell'ente sia immediatamente percepibile dalla
collettività o da terzi”. (Fonte: www.StudioCataldi.it)
Cassazione: Il vocabolario non salva dal reato di ingiuria. Neppure se il
termine è entrato nel gergo comune
Aveva forse sperato di farla franca un uomo, finito sotto processo per aver dato
dello "scemo" a un vigile urbano, sostenendo che il termine non sarebbe stato
offensivo.
Dopo una sentenza del Giudice di Pace di Ancona che lo condannava per il reato
di ingiuria (assolvendolo per quello di minaccia), l'uomo si era rivolto alla
Cassazione contestando la valenza ingiuriosa, ai sensi della legge penale, del
termine da lui utilizzato.
Ma cadeva dalla padella nella brace.
Non importa, per la Corte, che il termine sia contemplato dal vocabolario con
riferimento a colui "che ha o dimostra poca intelligenza, sciocco, insulso"
(Garzanti). E nemmeno che sia entrato nel gergo corrente e comunemente usato.
Per la Cassazione dare dello "scemo" a qualcuno integra, comunque, gli estremi
del reato di ingiuria.
Così i giudici del Palazzaccio, con sentenza n. 52082 del 15 dicembre 2014,
hanno confermato in via definitiva la condanna per il reato di cui all'art. 594 codice
penale.
Con riferimento alla natura ingiuriosa della parola "scemo", infatti, la quinta sezione
penale della S.C., rigettando il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento
delle spese processuali, ha richiamato un precedente giurisprudenziale secondo
cui "le frasi volgari e offensive sono idonee a integrare gli estremi del reato (di
oltraggio) anche se siano divenute di uso corrente in particolari ambienti perché
l'abitudine al linguaggio volgare e genericamente offensivo proprio di determinati
ceti sociali non toglie alle dette frasi la loro obiettiva capacità di ledere il prestigio
del pubblico ufficiale, con danno della pubblica amministrazione da esso
rappresentata".(Fonte:www.StudioCataldi.it)
La norma è stata oggetto di critiche in quanto si teme che possa essere utilizzata
in modo tale da abusare dei diritti spettanti al lavoratore.
Vediamo ora piu' da vicino cosa prevede la legge delega, che entrerà in vigore il
giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, ispirati alla revisione
della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione,
ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri
oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale
con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e
delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica
dell’inquadramento. La legge delega prevede, inoltre, che la contrattazione
collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni
sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale
a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a
quelle che precedono.
E' utile "calare" la previsione contenuta nel Job Act nell'attuale contesto normativo
per cercare di Intuirne meglio la portata, per quanto possibile in assenza dei
decreti.
Rispetto all'attuale panorama, sia legislativo che giurisprudenziale, si può
affermare che già si conoscono, da tempo, casi in cui si ammette la possibilità di
derogare all'art. 2013 c.c.
Dunque, la previsione del Job Act non costituisce un elemento di assoluta novità
nel nostro ordinamento.
Pagina 5
Ovviamente, lo si ripete, resta da vedere come si darà attuazione alla norma
contenuta nel Jobs Act per capire appieno la portata degli interventi allo studio del
Legislatore.
A seguire, dunque, alcune prime annotazioni.
Art. 2013: esercizio dello ius variandi
La norma si inserisce nell'ampio disegno normativo, che oggi regola l'esercizio del
potere del datore di lavoro di variare le mansioni del proprio dipendente,
prevedendo delle modifiche all'attuale regime giustificate da particolari situazioni di
ristrutturazione, riqualificazione, conversione aziendale.
Ad oggi è l'art. 2013 del codice civile che regola l'esercizio dello ius variandi,
prevedendo (fatte salve alcune specificità legate alla figura del "quadro" e
disciplinate dalla legge n. 190/85) che il Ipsoa Quotidianolavoratore debba essere
adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle alla categoria superiore
che abbia acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte,
senza alcuna diminuzione della retribuzione, sancendo la nullità di ogni patto
contrario.
La norma mira a realizzare una duplice tutela: garantire il diritto del lavoratore ad
essere adibito alle mansioni di assunzione con riconoscimento alla tutela sia della
parte retributiva che della professionalità che gli e' propria e garantire al datore di
lavoro di potere intervenire, modificandole, sulle mansioni assegnate al lavoratore
laddove ricorrano specifiche esigenze organizzative dell’impresa.
Il potere di variare le mansioni - rispetto a quelle assegnate in fase di assunzione si muove in senso orizzontale, nel senso di attribuire nuove mansioni "equivalenti"
o in senso "verticale", attribuendo cioè mansioni di carattere superiori.
Non si ammette la possibilità di attribuire mansioni "inferiori" sbarrando così la
strada alla possibilità di demansionare il lavoratore, pena la nullità dell'atto, come
sancito dal Legislatore.
Il demansionamento non solo e' vietato per atto unilaterale da parte del datore di
lavoro, ma neppure puo' trovare legittimamente spazio all'interno di un accordo tra
il lavoratore e il datore di lavoro.
Deroghe al divieto di demansionamento
Il nostro ordinamento, tuttavia, già contempla delle ipotesi in cui sono ammesse
deroghe al regime poc'anzi descritto.
In sintesi si puo' derogare all'art. 2013 c.c. nel caso di: - lavoratore divenuto inabile
a seguito di infortunio o malattia, con conservazione del trattamento a lui più
favorevole proprio delle mansioni di provenienza (legge n. 68/99)
- lavoratrice in gravidanza nel caso in cui le mansioni di assunzione siano
ricomprese tra le mansioni a rischio o comunque interdette in relazione allo stato
della lavoratrice (con conservazione della retribuzione e della qualifica
corrispondenti alle mansioni precedentemente svolte a norma di quanto previsto
dal D.lgs. n. 151/2001)
- accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di mobilità che stabiliscano
l’assegnazione dei lavoratori in esubero allo scopo di evitare il licenziamento
(legge n. 223/91).
Per quanto concerne, invece, i casi in cui è la Magistratura che considera legittimo
il demansionamento, si ricorda, ad esempio, la Corte di Cassazione ove si
conferma che "la limitazione dello ius variandi prevista dall’art. 2103 c.c. mira ad
impedire la modifica in pejus delle mansioni del lavoratore contro la sua volontà ed
in suo danno, salvo venga provato in fatto che il demansionamento sia disposto
con il consenso del lavoratore finalizzato ad evitare il licenziamento reso
necessario da una situazione di crisi aziendale" (fra le tante: Cass., Sez. lav., 7
febbraio 2005, n. 2375).
Una conferma in tale senso arriva dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite
(Cass., SS.UU., 24 novembre 2006, n. 25033) che riconosce la legittima possibilità
per la contrattazione collettiva di settore di prevedere la mobilità tra mansioni che
esprimano una professionalità diversa da quella ormai acquisita dal lavoratore
ancorché rientranti nella medesima qualifica: la contrattazione collettiva "è (…)
autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo,
con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra esse (e cioe' le mansioni) per
sopperire a
contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della
professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica senza per
questo incorrere nella sanzione di nullità del secondo comma della medesima
disposizione".
E ancora: nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti
l’esternalizzazionedei servizi o la loro riduzione a seguito di processi di
riconversione o ristrutturazione aziendali, l’assegnazione del lavoratore a mansioni
diverse, ed anche inferiori, a quelle precedentemente svolte non si pone in
contrasto con la disciplina codicistica, se rappresenta l’unica alternativa praticabile
in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cass., 5 aprile 2007, n.
8596).
Infine, "il demansionamento o la dequalificazione sono legittimi allorché
rappresentino una extrema ratio, necessaria al fine di conservare il rapporto di
lavoro" (v. Cass., 10 ottobre 2006, n. 21700).
Le novità del Jobs act in tema di demansionamento
La norma del Jobs Act fa rinvio alla contrattazione aziendale e di secondo livello
per quanto concerne la individuazione di “ulteriori ipotesi” di revisione delle
mansioni.
A CURA DEL COMITATO TECNICO SILCEA
A tale proposito si osserva che il decreto legge n. 138 del 2001, all'art. 8 ove si
disciplina la cd. "contrattazione di prossimità", già prevede che i contratti collettivi di
lavoro aziendali o territoriali possono realizzare specifiche intese con efficacia nei
confronti di tutti i lavoratori (rappresentanza sindacale) finalizzate alla maggiore
occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di
partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare,
agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e
occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. In specifiche materie, le
intese possano prevedere deroghe alle norme di fonte pubblica o contrattuale,
fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative
comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.
Per quanto qui di interesse, si tratta delle materie concernenti, fra l'altro, le
mansioni del lavoratore oltre alla classificazione e inquadramento del personale, ai
contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della
solidarietà negli appalti etc.
28/12/2014
WANGIRI, L'ULTIMA TRUFFA COL CELLULARE
Una chiamata persa può svuotarci il credito sulla scheda del nostro cellulare.
Quando ricevete una chiamta da un numero che non conoscete e vitate di
richiamare perchè potrebbero scattare tariffe premium che vi costerebbero circa 1
euro e 50 centesimi al minuto. Bastano pochi minuti al telefono e la scheda si
svuota. Potrebbe essere una ping call , la nuova truffa telefonica che si limita
appunto a uno squillo. Basta richiamare per spendere decine di euro per pochi
secondi. E l’Italia sarebbe la patria del boom di queste nuove truffe telefoniche.
La truffa - La telefonata può arrivare a qualunque ora, anche nel cuore della notte.
È un numero come un altro, ma sconosciuto alla vittima. Comincia spesso con
+373. Di solito dura appena un breve squillo. Se si fa in tempo a rispondere, si
sente la linea cadere. Più spesso la telefonata rimane senza risposta, dentro la
memoria del cellulare. Se si richiama il telefonino viene infatti “agganciato” a una
tariffa ad alto costo: 1.50 euro ogni 10 secondi. L’utente è incappato in una ping
call. Internet abbonda di segnalazioni al riguardo. Centinaia di forum e siti
avvertono del pericolo. Su unknownphone. com, come racconta Repubblica, per
esempio, si legge: "Un euro e 50 a questi maledetti per sentire un film porno in
russo. Ho trovato una telefonata non risposta e ho richiamato". Le associazioni dei
consumatori parlano di una “epidemia di truffe”.
Tariffe premium - Le compagnie telefoniche le conoscono tutte per nome: "L’ultima
frode è denominata Wangiri — spiegano da Vodafone — in tal caso i truffatori
utilizzano un computer in grado di contattare simultaneamente una grande quantità
di numeri telefonici in modo casuale. I cellulari di coloro che ricevono questa
telefonata, visualizzano sul display una “chiamata persa”. La truffa scatta quando
l’utente, in buona fede, ricontatta il numero, che normalmente viene tariffato come
numero premium o contiene delle pubblicità". Insomma se volete difendervi dalla
truffa leggete qui i consigli da seguire per evitare di passare le feste col cellulare a
secco.
29/12/2014
FIDUCIA DEI CONSUMATORI IN CALO A DICEMBRE
L'indice dell'Istat scende a 99,7 punti dai 100,2 di novembre. Peggiorano sia
le indicazioni sulla situazione economica del Paese che i giudizi sulla
situazione personale. Piccolo miglioramento sulle prospettive per il futuro
MILANO - Il periodo natalizio non rinfranca l'umore dei consumatori italiani:
secondo le rilevazioni dell'Istat, infatti, a dicembre l'indice che misura la fiducia dei
consumatori è calato passando dai 100,2 punti di novembre a quota 99,7. La
'quota 100' fa riferimento alla situazione del 2005.
L'Istituto di Statistica segnala che il peggioramento riguarda sia la componente
economica sia quella personale, i cui indici diminuiscono rispettivamente a 103,2
da 103,9 e a 98,0 da 99,1. L'indice riferito al clima corrente si riduce a 97,2 da
99,0, quello relativo al clima futuro aumenta lievemente passando a 101,8 da
101,7.
Posti di fronte alle domande su quale sia e cosa ci si possa attendere riguardo alla
situazione economica italiana, le risposte dei cittadini indicano un peggioramento:
per i giudizi correnti si passa a -108 da -105, per le attese a -15 da -13. Quanto alla
tendenza della disoccupazione, il saldo diminuisce a 48 da 53.
I giudizi sulla situazione economica della famiglia migliorano (a -56 da -57, il
saldo); per le attese, invece, il saldo scende a -19 da -16. I giudizi sul bilancio
familiare migliorano (a -17 da -18). Gli italiani vedono più scuro anche sulla
opportunità attuale di risparmio diminuisce a 114 da 115, mentre per il futuro i
consumatori si attendono miglioramenti (a -53 da -55 il saldo). Le valutazioni
sull'opportunità di acquisto di beni durevoli mostrano un peggioramento: il saldo
passa a -89 da -79. Infine, I saldi che esprimono i giudizi e le attese circa la
dinamica dei prezzi al consumo passano a -5 da -8 e a -18 da -19, rispettivamente.
A livello territoriale il clima di fiducia aumenta nel Nord-ovest, diminuisce nel Nordest e al Centro, è stazionario nel Mezzogiorno
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223 ANCHE PER I DIRIGENTI
Si rende noto che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2014, n° 261, la Legge 30 ottobre 2014, n° 161
denominata "Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea - Legge europea
2013-bis", nella quale, oltre ad intervenire in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (si veda a tal proposito la circolare
prot. 604/2014 del 24 novembre u.s.), si va a modificare la normativa in tema di licenziamenti collettivi, Legge 23 luglio 1991, n° 223.
Tale intervento emendativo è dovuto alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 febbraio 2014, che ha
condannato il nostro Paese per illegittimità della L. 223/91. Secondo la CGE, infatti, la normativa italiana risultava illegittima per
l’esclusione dell’obbligo di rispettare le procedure di riduzione del personale nei confronti dei dirigenti.
La L. 161/2014, con l’art. 16, ha modificato l’art. 24 della L. 223/91, includendo i dirigenti tra il personale da computare ai fini
dell’applicabilità della relativa procedura collettiva. Con questa nuova formulazione, dunque, i dirigenti vanno conteggiati nel calcolo:
•
dei 5 lavoratori per i quali l’impresa intende procedere al licenziamento nell’arco di 120 giorni;
•
e dell’organico che determina il superamento della soglia dei 15 dipendenti.
Con riferimento alla specifica procedura per i licenziamenti collettivi ed alle sue regole, la normativa - così come modificata chiarisce che nei confronti dei dirigenti si applicano le stesse norme previste per le altre categorie di personale:
•
avvio della procedura mediante comunicazione preventiva scritta alle R.S.A ed alle associazioni di categoria (in caso di
mancanza delle suddette rappresentanze, la comunicazione va inviata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale). Tale comunicazione deve recare le motivazioni delle eccedenze e
dell’impossibilità di misure alternative al licenziamento collettivo, l’indicazione del personale eccedente, del personale abitualmente
impiegato, dei tempi di attuazione e delle misure per fronteggiare le ricadute sul piano sociale;
•
obbligo di svolgere l’esame congiunto. In merito all’esame congiunto relativo ai dirigenti eccedenti, la normativa novellata,
nel prescrivere che esso si svolge “in appositi incontri”, sembrerebbe ipotizzare che tale esame congiunto si possa svolgere
separatamente rispetto a quello inerente gli altri lavoratori.
Ugualmente, si estendono ai dirigenti i criteri di scelta dei destinatari del licenziamento: sono individuati con accordo sindacale o, in
mancanza di questo, sulla base di carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
Anche le previsioni inerenti il licenziamento intimato senza forma scritta - che è soggetto alle regole del licenziamento orale - si
estendono ai dirigenti.
In caso di accertamento di una violazione delle procedure o dei criteri di scelta sopra citati, il datore di lavoro è tenuto al pagamento
in favore dei dirigenti interessati di una indennità in misura compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto,
secondo la quantificazione effettuata dal Giudice. I sopra richiamati limiti minimi e massimi della sanzione possono essere modificati
dai contratti collettivi.
A CURA DEL COMITATO TECNICO SILCEA
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