Capitolo 28 - Contromossa - ufo TAOE

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Capitolo 28 - Contromossa - ufo TAOE
Un romanzo di Davide Roso
ufotaoe.myblog.it
CAPITOLO 28 – “Contromossa”
Il corpo non importa, ciò che conta è la mente
Rita Levi-Montalcini
Letterman pensò che fosse giunta la sua ora.
«La quantità di neurotossina è cinquemila volte minore di quella che ha colpito il suo collega. Lei è salvo per
miracolo, Jim.»
La Enniston lo aveva risparmiato.
Gli aveva detto di tornare dalla sua famiglia.
Lo aveva consigliato di mollare.
E forse avrebbe davvero dovuto farlo.
Ma il cadavere di Grinnel era lì, di fronte a lui. E sua moglie, alla quale aveva promesso giustizia, avrebbe
presto partorito.
No.
Non si sarebbe arreso.
Houston 9:00 a.m. 13/01/2001
Il mattino seguente, Letterman si risvegliò di colpo, accecato dalla luce del sole che lo colpiva in pieno volto,
filtrando dal parabrezza.
Aveva dormito in auto, parcheggiata lungo la riva del Buffalo Bayou, che scorreva silenzioso oltre i finestrini.
I sentimenti di rabbia e delusione legati all’indagine sulla Enniston lo avevano tenuto sveglio quasi tutta la
notte, e aveva preferito evitare di rincasare in quello stato di evidente alterazione.
La questione della dottoressa lo stava logorando.
Fin’ora aveva rimediato una lunga serie di sconfitte tattiche, ed un collega morto.
Inoltre, il senso di impotenza che avvertiva, ripensando allo sfrontato sorriso della Enniston mentre lo
invitava a mollare tutto, era doloroso quanto un pugnale conficcato dritto nel cuore.
A mente fredda, ripensò all’ipotesi che aveva formulato stando accanto al corpo esanime di Grinnel.
La Enniston, il gruppo TAOE, il sostegno degli alieni.
Non c’erano prove tangibili dell’esistenza di un filo conduttore che legasse questi tre soggetti.
Ma Letterman non aveva dubbi.
L’innaturale tranquillità che traspariva dagli occhi della dottoressa lo aveva convinto. Escludendo un
appoggio governativo, del quale lui sarebbe stato al corrente, solamente un aiuto alieno avrebbe potuto
darle la forza di schernire un’indagine federale.
Bisognava scoprirne di più.
Raddrizzando lo schienale del sedile, prese in mano il telefono e chiamò l’ufficio.
«Sono Letterman, arriverò lì tra una mezzora. Fammi trovare tutti gli uomini in sede. Mi serve anche John
Bollow, il tecnico che lavora alla sala di controllo.»
Una catena, è forte tanto quanto il suo anello più debole. E anche la dottoressa, apparentemente capace di
reagire a qualsiasi intervento della sua squadra, aveva un punto debole. Quella notte convulsa, passata
dormendo a sprazzi, cercando una posizione comoda nell’angusto abitacolo della sua auto, gli aveva
suggerito una possibile soluzione.
Letterman abbozzò un sorriso, girando la chiave di accensione del mezzo.
«Ora ti spacco il culo.» bisbigliò mentre manovrava per rimettersi in strada.
Quando arrivò in ufficio, trovò tutti i colleghi ordinatamente seduti con penne e fogli di fronte a loro, come
una classe di studenti diligenti al primo giorno di scuola.
In prima fila, c’era anche John Bollow, che si guardava intorno probabilmente chiedendosi perché si trovasse
in mezzo ad un gruppo di agenti operativi, mentre lui si occupava di esperimenti spaziali.
Letterman percorse la stanza scambiando dei rapidi saluti con rapidi cenni del capo, fino a raggiungere un
tavolo che, in effetti, si poteva considerare senza dubbio la cattedra di quell’insolita aula scolastica.
«Buon giorno a tutti.» esordì prendendo un pacco di carte posate sul tavolo.
«Il giorno del funerale del nostro collega, ad ognuno di voi è stato consegnato un dossier relativo il caso
della dottoressa e del gruppo TAOE. Vorrei conoscere le vostre impressioni a proposito.»
Vi furono alcuni momenti di silenzio, poi dall’ultima fila si alzò una mano.
Letterman fece cenno di parlare.
«Buon giorno signore. Ecco, io… io credo che centri con quello che sta accadendo nella sala di controllo.»
Letterman aprì le braccia in segno di insoddisfazione.
«Si spieghi meglio.»
Il collega si schiarì la voce, cercando di superare l’imbarazzo iniziale.
«Beh, signore. Ecco, nel dossier è scritto che la dottoressa è una biologa laureata con il massimo dei voti,
che da un giorno all’altro ha mollato tutto, è rimasta incinta nonostante fosse stata dichiarata sterile, e ha
costituito un gruppo di fanatici amanti degli alieni, che in realtà nasconde qualcos’altro. Qualcosa che
Grinnel aveva probabilmente scoperto, ma che l’ha portato nella tomba.»
Vi fu una brave pausa di riflessione, poi la spiegazione riprese.
«Ora, io ho controllato anche i rapporti sul periodo redatti da Grinnel mentre era sotto copertura, e sul suo
ultimo giorno di servizio. Francamente non credo sia possibile per un qualsiasi gruppo criminale, per quanto
organizzato, muoversi con tanta sicurezza, eludendo i nostri controlli, e finendo per ammazzare un nostro
agente facendolo impiccare senza torcergli un capello per obbligarlo a farlo.
Ci sono troppi punti oscuri.
Una ragazza che ha dedicato una vita allo studio e poi molla tutto. Una diagnosi ospedaliera smentita da una
gravidanza, un gruppo di fanatici che fanatici non sono, la dottoressa che si spaccia per pazza e amica degli
alieni senza aver mai dato segni di squilibri mentali negli anni precedenti. Una sfrontatezza nell’affrontare a
viso aperto degli agenti federali, quasi come conoscesse le nostre mosse in anticipo, ed infine un fottuto
modulo alieno che si piazza davanti la Stazione Spaziale.»
Il collega si fermò per bere un bicchiere d’acqua.
«So che sembra una pazzia, ma io ho l’impressione che un filo colleghi la dottoressa a quel modulo nello
spazio. E credo che quei figli di puttana venuti da chissà dove siano qui da un bel po’, e abbiano preso
contatto con la dottoressa.»
Letterman indicò il collega col dito indice proteso.
«Esattamente ciò che penso io.» disse guardando la reazione dei colleghi. In sala si accese un crescente
brusio di sottofondo.
Poi un collega seduto nella prima fila alzò la mano.
Letterman gli fece un cenno.
«C’è qualche prova?»
«No. Sono andato a casa della dottoressa per interrogarla, ma non ne è uscito nulla di utile. Sulla carta lei è
solo un’emarginata che gestisce legami con un gruppo di fanatici per i quali analizza qualche campione dl
sangue. Non c’è nulla per cui incriminarla. E non c’è prova tangibile che lei abbia, ora o nel passato, avuto
contatti con una forma di vita aliena. Anche perché non sapremmo quale sia tale forma.
Ma io sono convinto che non appena i due ambasciatori alieni spiegheranno la loro presenza, capiremo
quale sia il nesso che li lega con la Enniston. Il problema è che ci vorranno due mesi di attesa.»
Letterman indicò uno dei colleghi, intento a lavorare su un piccolo portatile, seduto in un angolo della stanza.
«Ciò che voglio, signori, è un’indagine sulla struttura del gruppo TAOE. Voglio scoprirne i membri,
consultatevi con l’agente Fillis, l’esperto informatico, che da qualche giorno sta incrociando tutti i dati degli
utenti che accedono al sito del gruppo con i nostri database. Seguite le tracce che escono dalle sue
ricerche.»
Tutto il gruppo scattò in piedi, dirigendosi nell’angolo della stanza, accerchiando lo schivo collega, intento a
cercare di concentrarsi nonostante la folla di compagni che gli si assiepavano intorno aspettando di poter
conferire con lui.
Letterman fece un cenno a John.
Lui lo raggiunse, ed i due si allontanarono di qualche passo per non farsi sentire.
«Buon giorno John.»
«Che ci faccio io qui?» chiese lui spaesato.
«Devo parlarti, e chiederti un favore, ma non qui. A che ora vai a prendere Rachel a scuola?»
«Tra circa un’ora.» rispose John senza capire quale fosse il punto.
«Ti accompagnerò, così potremo parlare.»
John avrebbe voluto chiedergli cosa gli passava per la testa, ma rispettò la volontà di aspettare e rispose
con un semplice cenno di assenso.
Letterman gli diede una pacca sulla spalla, poi si incamminò verso la sala di controllo, estraendo una busta
dalla tasca interna della giacca.
Appena entrò nella sala, si fermò poco oltre la porta, ad osservare i tecnici intenti a lavorare ai propri
terminali, avvolti da un pesante senso di nervosismo e angoscia, tanto pressante che sembrava quasi
essere palpabile nell’aria.
Il ventenne si trovava al centro della sala, immobile, con le mani strette ai fianchi, concentrato ad osservare
la superficie lunare, ed il flusso di moduli 1010 che si avvicinavano al piccolo satellite roccioso.
Letterman gli si avvicinò fermandosi al suo fianco.
«Buon giorno signore.»
«Mi dica, agente Letterman.»
Lui gli porse la busta.
«Legga questa. Non è ufficiale.»
Il ventenne strappò con cura il lato della busta ed estrasse la lettera, che si mise a leggere dopo essersi
guardato rapidamente intorno.
Letterman deglutì un paio di volte, in attesa della risposta del ventenne.
«La sua è una teoria sensata, agente Letterman. E capisco che lei sia bramoso di avere una prova tangibile
di ciò che ha teorizzato. Ma questa opzione, è a dir poco azzardata.»
Vi fu un attimo di pausa, durante il quale il ventenne scosse la lettera con forza, quasi volesse modificarne il
testo che aveva appena letto.
«Se lei farà quanto descritto su questo foglio, se ne assumerà le responsabilità nel caso qualcosa andasse
storto. Io le ordino ufficialmente di accantonare l’idea.»
Con queste gelide parole gli restituì la lettera, dopo averla piegata ed infilata con cura nella busta.
«Tuttavia io non ne so nulla. Io le avevo solamente consigliato di prendersi mezza giornata di riposo.» disse
poi sorridendo.
«E mentre lei gestirà in autonomia il suo tempo libero, io coordinerò la sua squadra, nel caso la dottoressa
andasse fuori di testa per qualche… diciamo… motivo non prevedibile e in cui lei non è coinvolto. Giusto
agente Letterman?»
I due si scambiarono uno sguardo complice.
Bene, poteva farlo, anche se ufficialmente gli era stato vietato.
Il ventenne si rimise ad osservare le navicelle aliene proiettate sullo schermo gigante di fronte a lui.
«Spacchi il culo a quella stronza agente Letterman. Ma stia attento a non strafare, non voglio assistere ad un
altro funerale.»
Letterman scattò sull’attenti.
«Certo signore. Grazie… ehm… per avermi negato la missione.»
Detto ciò si allontanò, attraversando la sala con un lieve ma inquietante sorriso stampato sulla faccia.
John lo osservò sorpreso, aspettando che lo raggiungesse all’uscita della sala di controllo.
«Che succede?» gli chiese incuriosito.
«Presto capirai. Andiamo a prendere Rachel.» disse Letterman imboccando il corridoio d’uscita.
John lo seguì, mettendosi a cercare tra le tasche le chiavi dell’auto ed il badge di riconoscimento.
Una volta nel parcheggio, John notò che Letterman non aveva parcheggiato al solito posto.
«Dove hai messo l’auto?»
Letterman alzò le spalle.
«Non è qui. Sono tornato in taxi. Andiamo con la tua.»
John decise di non approfondire, visto che probabilmente non avrebbe ottenuto che risposte telegrafiche.
Si avvicinò al suo pick up e fece un cenno all’agente indicandogli che la portiera era già aperta.
Letterman salì a bordo, rendendosi presto conto che quel’auto era ad uso famigliare.
Sul sedile posteriore c’erano un paio di Barbie che lo osservavano con gli occhi spalancati, con a fianco un
piccolo pianoforte giocattolo, di quelli a batterie, che probabilmente sostituiva l’autoradio nei viaggi aventi
Rachel a bordo.
«Non far caso alla confusione.» disse John allacciandosi la cintura di sicurezza.
«Ognuno ha i suoi giocattoli.» rispose Letterman estraendo la pistola per controllare che fosse carica.
John si irrigidì, afferrò il volante e si immise in strada. Decise di aspettare che fosse l’agente a spiegargli
cosa stesse succedendo.
«Allora John. Ho in mente un piano per fregare la dottoressa. Quando io farò ciò che ho in mente, tu tornerai
alla centrale e ci porterai tutta la tua famiglia.»
John si voltò di scatto.
«Cosa?»
«Ascoltami. Se pesto i piedi a quella, lei si ricorderà che ci siamo presentati assieme a casa sua. Da chi
credi andrà a chiedere il conto?»
«Ma io non ho fatto nulla.» si giustificò John.
«E credi che questo a lei potrà interessare? Fai come ti ho detto. Chiuso. Inventati qualcosa con tua moglie,
poi portala nell’ala della base destinata ospiti, in modo che non possa entrare in contatto con informazioni
relative gli alieni.»
John sospirò contrariato, poi inserì la freccia, andando ad accostare accanto la scuola.
Dopo pochi minuti un folto gruppo di bambini uscì di corsa dalla porta principale, sparpagliandosi nel cortile
antistante.
«John.»
«Sì?»
«Visto che siamo qui mi indichi il figlio della dottoressa?»
John allungò il dito, indicando un piccolo bambino con i capelli rossi.
«E’ quello che cammina a un paio di metri da Rachel, vicino a quella berlina nera che… ehi… Gim ma quella
non è la tua auto?»
Ma finendo la frase John si rese conto che l’agente Letterman era sgusciato fuori dal pick up, diretto verso
Rachel.
John balzò fuori dall’auto, cercando di capire cosa stesse accadendo.
Tutto successe in un attimo.
Letterman aveva già raggiunto Danny, al quale stava mostrando il distintivo.
Rachel cercò di salutare il suo amico poliziotto, ma lui le fece solo un cenno, invitandola poi ad andare dal
suo papà.
Poi prese Danny e lo caricò sulla berlina nera, partendo poi a tutta velocità diretto chissà dove.
John recuperò Rachel, mentre scorse in lontananza l’auto della Enniston avvicinarsi a gran velocità.
«Merda.» disse nervoso. Meglio non farsi beccare con le mani nella marmellata.
Rachel non capì cosa stesse accadendo, sentì solamente che il suo papà la trascinava di corsa verso l’auto,
continuando ad osservare l’orizzonte, con sguardo terrorizzato.
«Forza amore, corri, corri.» continuava a ripetere cliccando nervosamente sulla chiave elettronica il tasto di
apertura dell’auto.
La Enniston era ormai di fronte la scuola, ma ancora non sapeva cos’era accaduto.
John accese l’auto, mise la prima e partì di fretta, ma senza farsi notare, poi si concentrò sullo specchietto
retrovisore, dove intravide la dottoressa sbracciare inveendo contro qualcuno.
John sentì un tonfo al cuore.
Bisognava mettere in salvo la famiglia, e subito.
L’ira di Emily Enniston si stava per abbattere su di loro con una tremenda violenza.
Ansia.
Terrore.
Il tachimetro si spinse oltre le centotrenta miglia orarie, ed il cuore di John oltre i centotrenta battiti al minuto.