Titolo V e clima: a qualcuno piace caldo

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Titolo V e clima: a qualcuno piace caldo
11/12/2016
Titolo V e clima: a qualcuno piace caldo | A. Ciffolilli, C. della Libera ed Elene di Palma
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Titolo V e clima: a qualcuno piace caldo
09.12.16
Andrea Ciffolilli, Carlo Della Libera e Elisa Anna Di Palma
La fragilità del territorio italiano rende cruciale l’adattamento ai cambiamenti climatici. Già le risorse, per lo più fondi europei, non sono
sufficienti. Ma il vero problema è la frammentazione degli interventi. Perché per il Titolo V Stato e Regioni hanno poteri legislativi
concorrenti sul tema.
L’Europa contro i cambiamenti climatici
Il 2016 è un anno record per il clima, con la temperatura più alta degli ultimi 200 anni e una concentrazione di anidride carbonica
nell’atmosfera oltre una soglia critica, come ricordato anche su lavoce.info. L’opinione pubblica è molto divisa sul tema. Molti, ignorando
l’evidenza scientifica, com’è di moda ai tempi dei social network, si chiedono se si tratti di un’invenzione. Altri ritengono che il problema
non meriti attenzione perché riguarderà eventualmente un futuro lontano. Altri ancora pensano che trattandosi di un problema globale,
soluzioni locali sono insufficienti e tanto vale far finta di nulla. Ma vi è anche una larga fetta sensibile e favorevole a interventi seri.
È chiaro che il contributo dell’Europa e dell’Italia è una condizione necessaria ma non sufficiente per affrontare i problemi. Tuttavia è
auspicabile che l’Europa si faccia portatrice di una posizione coesa e assuma sempre più la leadership nel coordinamento delle azioni degli
stati membri e di quelle globali. Un ruolo essenziale anche alla luce del risultato del voto negli Stati Uniti che ha fatto passare inosservata e
in parte reso vacua la Conferenza di Marrakech (Cop22), nonostante vi sia stato deciso di definire entro il 2018 il regolamento di attuazione
dello storico accordo di Parigi.
L’UE, con la strategia Europa 2020, si era data tre obiettivi importanti per fine decennio: una riduzione delle emissioni di gas serra del 20
per cento rispetto al 1990, 20 per cento del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili, aumento del 20 per cento dell’efficienza
energetica. Nell’ottobre 2014, il Consiglio europeo ha fissato un obiettivo di riduzione del 40 per cento delle emissioni entro il 2030, a cui
ha fatto seguito l’iniziativa “Energy Union” della Commissione Juncker e la recente presentazione di un pacchetto di misure apposite.
Obiettivi ambiziosi ma significativi solo se perseguiti con politiche efficaci da parte degli stati.
Come si è mossa l’Italia nella programmazione delle risorse UE 2014-2020? Il nostro paese ha destinato quasi il 24 per cento dei fondi ai
cambiamenti climatici. Circa 10 miliardi provenienti in larga misura dal fondo per lo sviluppo regionale (Fesr) e dal fondo per l’agricoltura e
lo sviluppo rurale (Feasr). La distribuzione del Fesr per la lotta ai cambiamenti climatici è riportata nella figura 1. Le voci di spesa maggiori
riguardano le fonti rinnovabili, l’efficienza energetica, i trasporti. Si tratta di categorie collegate alle maggiori fonti di emissioni (figura 2).
Tuttavia, da una recente analisi condotta per la Commissione europea (Dg Clima – Mainstreaming of climate change into Esi Funds) emerge
che, nonostante l’allocazione finanziaria sia in linea con le indicazioni comunitarie, varie criticità minano l’efficacia delle politiche nel nostro
paese.
I piani di stato e regioni
L’assetto costituzionale (Titolo V) conferisce allo stato e alle regioni poteri legislativi concorrenti in alcuni settori chiave per il cambiamento
climatico, come l’energia. Il sistema è rimasto invariato a seguito del referendum e determina una forte frammentazione: una strategia
energetica nazionale che coesiste con piani energetici regionali (Per) e piani comunali d’azione per l’energia sostenibile (Paes) che
definiscono, nei fatti, le scelte energetiche in termini di tecnologie, potenza e collocazione geografica, a discapito di un’armonizzazione
indispensabile per il successo delle grandi opere per il trasporto e lo stoccaggio dell’energia. A ciò si aggiungono altri problemi. Per
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esempio i bandi regionali rimborsano solo i sovra-costi per migliorie ambientali e non i costi totali e ciò rende gli incentivi non determinanti
nelle scelte di investimento delle imprese. Inoltre non sono stati utilizzati tutti gli strumenti a disposizione per massimizzare l’efficacia degli
interventi, ad esempio promuovendo l’analisi delle emissioni lungo tutto il ciclo di vita dei prodotti e criteri di selezione che premino le
aziende promotrici di un’economia circolare.
L’adattamento ai cambiamenti climatici è cruciale data la fragilità del nostro territorio. Ma le risorse dedicate risultano sottodimensionate,
mentre il monitoraggio degli interventi sconta una grande disomogeneità degli indicatori di dissesto idrogeologico e la loro assenza per i
molteplici altri aspetti contemplati dalla Strategia nazionale di adattamento (per esempio, edilizia verde, agricoltura a basso impatto
ambientale, gestione delle risorse idriche e degli spazi naturali e altro ancora).
In definitiva, l’Italia dovrebbe darsi un quadro strategico nazionale coerente e uscire dalla frammentazione di cui è vittima. Una revisione del
Titolo V sarebbe utile anche a questo fine, lo dobbiamo almeno alle generazioni future. Ma chi riuscirà mai a riformarlo?
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In questo articolo si parla di: clima, cop22, fondi europei, referendum, titolo V
BIO DELL'AUTORE
ANDREA CIFFOLILLI
Senior Policy Consultant, si occupa di analisi e valutazione di politiche per lo sviluppo regionale, per la ricerca e l’innovazione cofinanziate dai fondi UE. Ha coordinato, per Ismeri Europa, numerosi progetti su incarico della Commissione Europea (DG Regional and
Urban Policy, DG Research and Innovation, DG Employment, DG Internal Market, Industry, Entrepreneurship, SMEs) e valutato interventi
nazionali. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Economia Politica presso l’Università Politecnica delle Marche e il Master of Science in
Technology and Innovation Management presso lo SPRU – Science Policy Research Unit – University of Sussex.
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CARLO DELLA LIBERA
Esperto nell’ambito delle scienze ambientali, ha conseguito il master in gestione ambientale strategica presso
l'Università di Padova, Facoltà di ingegneria industriale. Carlo ha partecipato a progetti internazionali per sviluppo
sostenibile, e si occupa di analisi e valutazione di programmi finanziati con i fondi strutturali europei con
particolare riferimento alle politiche ambientali, energetiche e alle tematiche connesse ai cambiamenti climatici. Per
DG Clima ha coordinato il progetto “Mainstreaming Climate Change into ESI Funds 2014-2020” in Italia.
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ELISA ANNA DI PALMA
Architetto, con dottorato di ricerca in Cultura Tecnologica e Progettazione Ambientale. Esperta senior nel campo
della tutela dell'ambiente e del governo del territorio. Ha valutato programmi e piani urbanistici a diverse scale
territoriali, Programmi Operativi UE (e.g. PON R&C 2007-2013; POFEAMP e POR FESR Lazio 2014-2020), ha
condotto studi ambientali e nel campo dello sviluppo sostenibile (Mainstreaming Climate Change into ESI Funds
2014-2020; technical support for Beijing Air Pollution Control; Green economy and green jobs in Italy). È stata
consulente VAS della DG Valutazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente e professore a contratto presso
l’Università Federico II.
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