Lonely Guitars Story

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Lonely Guitars Story
1
Leonardo Carta
presenta
La storia dei
Lonely Guitars
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“Solo chi ha profondi sentimenti
può apprezzare la vera musica”
Sembrerebbe un aforisma tratto da un’opera filosofica platonica o qualcosa di simile, eppure
l’apprezzare la musica puramente e semplicemente denota una sensibilità d’animo non indifferente
riscontrabile soltanto in chi è capace di considerarla ed utilizzarla come mezzo per affrontare con
maggiore serenità i problemi sociali della vita, e non solo quelli.
E’ certamente difficile riuscire a nascondere le profonde emozioni che si provano ad ascoltare
le composizioni di artisti come Chopin, Smetana, Endrigo, Beatles, Verdi oppure esecuzioni de Los
Indios Tabajaras, di Andres Segovia o di un’orchestra Filarmonica diretta da Leopold Stokowsky, se
non si ha una naturale predisposizione a vivere intensamente i momenti di pathos che una semplice
concatenazione di note riesce a suscitare nel profondo dell’animo umano.
Detto ciò come pura riflessione personale, mi accingo a raccontare la storia di alcuni normali
ragazzi che, accomunati da particolari semplici qualità, prima una grande sensibilità musicale,
seconda un profondo senso dell’amicizia, sono riusciti ad elaborare principi di vita basati
sull’apprezzamento di alcune semplici doti umane, in contrapposizione all’enorme pletora dei difetti
che caratterizzano ogni individuo di questo mondo.
Lo scenario musicale
Prima di addentrarmi nel racconto, desidero effettuare una panoramica sul particolare periodo
che precede l’epoca in cui si svolge la vicenda, per aiutare a capire l’evoluzione che a cavallo fra gli
anni 50 e 60 ha interessato la musica leggera in generale e più in particolare quella italiana.
L’improvvisa e violenta rivoluzione musicale, culminata nell’avvento del Rock’n’roll,
scoppiata negli States nel 1954 fra i giovani, frutto di un processo generativo cui hanno contribuito
varie componenti (dal Blues e Rhythm & Blues dei negri al Country & Western dei bianchi) ha
avuto ripercussioni tardive nell’asfittico nostro panorama nazionale, ancora influenzato dal filone
romantico popolare, pur con sporadiche infiltrazioni jazzistiche di carattere postbellico, che il
fenomeno Festival di Sanremo contribuiva a rendere ancor più preponderante.
Le
motivazioni
sono
pubblica opponeva
Brano
tratto dalla colonna
sonorada ricercare nei forti contrasti che l’opinione
“Il seme della dei
violenza”
del 1955Boys, dei blue jeans, delle macchine decappottabili, delle ragazzine
all’esplosione
Teddy
disinibite, del fumo e dell’alcool, nonché dei nuovi balli dalle movenze troppo sensuali, fenomeni
tutti che non potevano venire accettati di buon grado da una borghesia ancora molto tradizionalista
e clericale che stava lentamente tentando di risollevarsi dai disastri di una recente guerra in
direzione di una ripresa economica, e che cercava di proteggere la nuova generazione dalle
contaminazioni d’oltreoceano
E difatti i mass media (all’epoca riviste e radio) affrontavano il nuovo fenomeno con distaccata
superficialità, avendo quasi il timore di intaccare il modo di essere ancora troppo convenzionale
della nostra società giovanile.
Così mentre ai primi posti delle classifiche USA nel 56 già spadroneggiava Elvis Presley con
Don’t be cruel e Jealous Rock, in Italia, dove ancora non esistevano le hit parade, “Aprite le
finestre” cantata da Franca Raimondi e Claudio Villa vinceva il Festival di Sanremo. Evidentemente
questo stato di cose non sarebbe potuto durare a lungo perché il Rock bussava prepotentemente alle
nostre porte e pressava alle nostre frontiere.
Il primo varco fu aperto nel 1958 da Domenico Modugno che con la sua “Volare” riuscì a
compiere il percorso inverso Italia-Estero, e che rappresentò una prima reazione musicale che
avrebbe portato all’epoca degli urlatori e costituì una prima “breccia” nella quale a breve si sarebbe
catapultata quella immensa furia Rock che avrebbe interessato tutti i generi musicali nostrani,
permeandoli di quel particolare ritmo che da allora in poi sarebbe stato parte integrante di tutti noi.
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La mia generazione attraversava allora il particolare passaggio alla fase adolescenziale piena
di curiosità e voglia di cominciare ad essere anche interprete della propria vita, e l’ingresso nella
scuola media superiore dava un ulteriore e più forte stimolo in tale direzione.
Quali erano allora i mezzi di comunicazione? Se il nostro paese aveva sofferto la distanza dal
luogo di origine del Rock, peraltro resa ancor più sensibile dalla presenza di un oceano, figuratevi
noi giovani sardi, ancor più lontani per via del nostro isolamento dalla madrepatria. Fortunatamente
Marconi aveva già dato il suo immenso contributo alla storia ed il nostro più fedele compagno era
un apparecchio radiofonico che sempre meno timidamente affrontava il nuovo fenomeno musicale.
Ricordo che per poter ascoltare la nuova musica nel dopopranzo prima di dedicarmi allo
studio dovevo sintonizzarmi su Radio Montecarlo, unica stazione che soddisfaceva i miei
parametri, per carpire le ultime novità della nuova musica nonché per registrare con un piccolo
“Geloso” quello che di più colpiva il mio gusto musicale.
Era il 1958 ed insieme ai primi brani targati Elvis e Little Richard, già vecchi di almeno due o
tre anni (tale era l’handicap che i successi d’oltreoceano pagavano per giungere alle nostre
orecchie), ascoltavo le “Pretty Faces” ovvero i bambini prodigio di Filadelfia tipo Paul Anka con
Diana, o Neil Sedaka con The Diary, o il Country Rock con Tom Dooley del Kingston Trio o Little
Darlin’ dei Diamonds, ma piacevano anche iPlatters di Only you ed i nascenti gruppi
strumentali. E per chi aveva la fortuna di avere un giradischi a tre velocità (78, 45 e 33 e 1/3) si
andava subito ad acquistare il nuovo 45 giri microsolco in vinile, che ormai stava soppiantando il
vecchio 78 giri in gommalacca di “Aprite le finestre”.
Il segnale televisivo in Sardegna arrivò soltanto nel 1957 ma le prime trasmissioni, limitate ad
alcune fasce orarie, erano prettamente concentrate su spettacoli di varietà (quiz) mentre il primo
telegiornale nacque nel 1960; pertanto tale mezzo di comunicazione non poteva dare alcun
contributo, soprattutto alla luce della già citata avversione dell’opinione pubblica alla nuova
musica “degenere e diseducatrice”.
Anche giornali e riviste (TV Sorrisi e Canzoni, TV Settimana Radio, etc) erano una timida
fonte di notizie sulla nuova ondata del Rock, ma erano quasi esclusiva preda del mondo femminile.
E noi ci riunivamo in occasionali feste in casa di amiche quando non riuscivamo ad avere dei
nostri circoli (io per esempio avevo a disposizione un intero piccolo appartamento con le pareti
tappezzate con le copertine dei dischi della nuova musica) mentre cominciavano a proliferare i
“Club” realizzati in vecchi scantinati restaurati ed adattati a luoghi di ritrovo dove ci si riuniva per
“socializzare”, ma in effetti per ascoltare la nuova musica e fare nuove conoscenze femminili.
Cominciavano anche a sorgere primi i gruppi strumentali (Champs, Shadows, Ventures) con
l’esplosione del fenomeno chitarra elettrica, in particolare le nostre Eko e Meazzi quando non
Fender o Gretsch, il massimo che allora si potesse desiderare; e non era raro constatare i primi
approcci a degli strumenti musicali che non fossero la fisarmonica.
Agli albori degli anni ’60 la nostra città cominciava ad offrire qualche orchestrina e qualche
gruppo musicale anche se ancora ancorati al genere melodico o latino- americano (Perez Prado,
Xavier Cugat) e non pronti ad affrontare il prorompente fenomeno del Rock che esplodeva
dappertutto ed in tutte le sue manifestazioni.
Il merito del nostro gruppo fu appunto il sapersi porre a sostegno della immensa “fame” di
musica e della crescente domanda di nuovo sound che non aveva momentanea risposta ed a
costituire in ambito locale un punto di partenza e di riferimento per tutta una nuova generazione
affamata di musica, che, a differenza di noi, non aveva assistito al veloce trapasso tra un’era
musicale ed un’altra: quella che tuttora viviamo.
Correva l’anno……..
Correva l’estate dell’anno 1962 quando Giancarlo Poddighe, reduce da diversi anni di
frequentazione e di studio presso un collegio in quel di Castelfidardo, patria della fisarmonica,
rientrò a Sassari dopo aver conseguito il diploma di perito industriale in elettrotecnica.
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Appassionato di musica in tutte le sue manifestazioni, aveva cominciato a strimpellare una chitarra
utilizzandola in particolare come basso di accompagnamento, in quanto amante soprattutto della
componente jazzistica della musica.
Anche Franco Idini aveva avuto il suo approccio musicale appassionandosi particolarmente
alla ritmica tanto da acquistare un batteria con la quale “imparava il mestiere” da autodidatta.
Racconta Giancarlo:
“Dopo aver conseguito il diploma di perito industriale in elettrotecnica, nel luglio 1962
rientrai a Sassari pieno degli ardori giovanili dei ventenni, pronto a spaccare il mondo, e
nell’autunno dello stesso anno mi incontrai con Franco Idini che già conoscevo da tempo.
Durante la mia permanenza nelle Marche avevo incominciato a strimpellare una chitarra che
utilizzavo soprattutto per accompagnare come basso gli altri musicisti.
Anche Franco si era appassionato alla musica e si era avvicinato allo strumento della
batteria, e così provammo a riunirci per fare musica insieme, cercando altri elementi per
completare una formazione che fosse in grado di eseguire in maniera decente brani musicali che
erano fondamentalmente basati sull’emergente musica Rock di origine negro - americana nonché
su altri stili musicali in voga in quel periodo, brani che potevamo all’epoca ascoltare alla
radio oppure, per i più fortunati che possedevano un giradischi, con supporti in vinile a 45 giri
che, nati in america nel 1958, stavano soppiantando il vecchio 78 giri. Fu l’amico comune Uccio
Virdis che ci mise in contatto con Giorgio Lanza, chitarrista solista con qualche esperienza alle
spalle, che si unì volentieri a noi ed il gruppo fu completato con l’ingresso di Giorgio Truddaiu.
La formazione iniziale fu composta quindi da una batteria e tre chitarre (solista, ritmica e
basso) e Franco si assunse la paternità della sua nascita attribuendole il nome di “Lonely
Guitars”, ovvero “Le chitarre solitarie”.
Il nome fu volutamente stabilito in inglese in quanto in quel periodo furoreggiavano gruppi
musicali stranieri basati soprattutto sullo strumento a corde che aveva raggiunto una diffusione
eccezionale in tutto il mondo ed in tutte le forme grazie ad un fortunato filone creato da Shadows,
Ventures, Atlantics, Champs, ecc.
D’altro canto il brano da eseguirsi con la chitarra per antonomasia era “Guitar boogie”, un
rock scatenato diffuso dalle mani magiche di Arthur Smith, che qualsiasi chitarrista che si volesse
considerare tale doveva per forza di cose annoverare nel suo repertorio. Il mio primo strumento era
una normale chitarra elettrica a sei corde che usavo come basso, ma non ricordo di che marca fosse
così come non ricordo la marca del mio primo amplificatore; Giorgio Lanza aveva una chitarra
elettrica Eko bianca ed un piccolo amplificatore mi pare di marca Meazzi e Giorgio Truddaiu una
chitarra elettrica non meglio identificabile ed un amplificatore Marelli; Franco aveva la sua
batteria che era forse il migliore strumento dal punto di vista della qualità.
Le prime prove le effettuammo in un magazzino ubicato nella traversa 1 di Via Università,
vicino a Via Munizione Vecchia, ed i pezzi di repertorio erano costituiti essenzialmente da brani
degli Shadows, suonati da Giorgio Lanza e di Duane Eddy, eseguiti da Giorgio Truddaiu. Nel
successivo periodo natalizio, non ricordo per quale motivo, la sala prove fu trasferita in un locale
messoci a disposizione dall’amico Uccio Virdis nella sua abitazione.
Qualcosa si comincia a muovere
Nel primo periodo del 1963 facemmo qualche serata spicciola, una delle quali nell’Aula
Magna del Liceo “Azuni” in occasione di una festa di carnevale, ma poiché volevamo ampliare il
nostro repertorio di natura esclusivamente strumentale, estendendolo anche a quello vocale,
pensammo di introdurre nel gruppo un cantante che individuammo in Antonello Marrosu, che
aveva una bella voce alla Pat Boone (cantante all’epoca molto in voga sia nel melodico che nel
Rock), ed una sua chitarra Eko.
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Con questa formazione continuammo a fare qualche serata a Sassari, non ricordo dove, ma
soprattutto una intera settimana ad Ozieri presso il Caffè Polo, guadagnando anche qualche
soldarello e nell’estate successiva spostammo la nostra sala prove in un vecchio magazzino, sito in
un vicolo chiuso a destra scendendo in Corso Trinità, dalla cui finestra si vedeva la fontana di
Rosello.”
In effetti il fondatore del gruppo musicale fu Franco Idini, che trovò il primo appoggio in
Giancarlo, appena rientrato dai suoi studi nel continente. E fu la madre di Franco che confezionò la
prima divisa del gruppo costituita da una casacca di raso o tessuto similare di color verde con
colletto chiuso da un gemello dorato di forgia sarda.
Tonino Bullitta
Racconta Tonino:
“Durante l’estate del 1963 mi trovai, forse per caso, in quel magazzino di Corso Trinità e
provai a cantare alcune canzoni che evidentemente piacquero per cui anch’io mi unii al gruppo che
risultò così composto da sei elementi: batteria, basso, due chitarre soliste, una chitarra ritmica ed
il cantante.
Con questa formazione ci esibimmo in qualche cantina ed in qualche festa di amici, ma
sempre gratuitamente. Alla fine di quell’estate conseguii il diploma di geometra e quasi
contemporaneamente uscirono dal gruppo prima Giorgio Truddaiu, per incompatibilità con
Giorgio Lanza, in quanto entrambi aspiravano ad interpretare in esclusiva il ruolo di chitarra
conduttrice, e successivamente Antonello Marrosu, con motivazioni che non ricordo ma che
comunque non mi apparvero sufficientemente chiare.”
Racconta Giorgio:
“In seguito alle due defezioni era necessario provvedere a sostituire la chitarra ritmica,
indispensabile nell’economia del gruppo, ed allora mi ricordai che alcuni anni prima, durante una
gita del Liceo, avevo con me la chitarra e conobbi Leonardo Carta. Anche lui era appassionato di
musica e suonava la chitarra ritmica, per cui trascorremmo l’intera gita suonando insieme con
piena soddisfazione di entrambi e di tutti i gitanti.
Quindi mi misi in contatto con lui e ci incontrammo per effettuare qualche prova; l’esito fu
del tutto positivo e Leonardo si inserì molto rapidamente e volentieri nel gruppo. Aveva già una
sua chitarra ma soprattutto un ottimo amplificatore di marca Binson, che aveva acquistato l’anno
precedente durante una sua parentesi universitaria di breve durata a Roma, non aveva problemi ad
accompagnarmi né aspirazioni ad interpretare pezzi da solista, ed inoltre aveva una
predisposizione a fare da seconda voce a Tonino, nei brani in cui era necessario.”
Racconta Leonardo:
“In effetti il mio rapporto con la chitarra è stato sempre in primo luogo votato alla ricerca
degli accordi delle canzoni ed al loro arrangiamento ed accompagnamento; essendo un puro
dilettante autodidatta e non uno strumentista, questo era quello che mi piaceva particolarmente e
perciò entrai immediatamente in sintonia col resto del gruppo.
D’altra parte erano tutti dotati di ottimo orecchio musicale nonché di un particolare senso di
humor che ben si sposava col mio carattere, sempre pronti allo scherzo ed all’ironia. Franco era
un bravo ragazzo abbastanza mite, anche se non dotato di eccelsa tecnica musicale col suo
strumento. Giorgio era molto pulito nell’eseguire i brani e gli stacchi da solista ed era dotato di
buona tecnica unita ad un particolare tocco che migliorava continuamente con l’ascolto e la
ripetizione di brani, soprattutto quelli de “Los Indios Tabajaras” e degli “Shadows” gruppi allora
in fase di particolare ascesa. Se devo cercargli un difetto, forse era un po’ protagonista, ma era
comprensibile essendo la chitarra conduttrice.
Giancarlo era l’ideologo del gruppo; era pericoloso quando iniziava una discussione, ma,
grazie alla sua buona sensibilità musicale, si inseriva immediatamente in qualsiasi brano musicale
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dando il suo prezioso contributo sull’adeguatezza degli accordi che di norma io preparavo come
mio compito. Un suo difetto? In fase di trasloco di strumentazione, passando vicino ad un
amplificatore, diceva “Qui c’è un amplificatore” e finchè non lo si invitava a prenderlo, aspettava
che qualcuno lo facesse al posto suo, non per sua scelta, ma perché era così di carattere.
Tonino faceva tutto quello che gli si diceva con molta applicazione senza mai inquietarsi,
anche quando lo si riprendeva perché era suo compito ampliare il repertorio vocale proponendo
nuove canzoni, delle quali io cercavo gli accordi, Giancarlo inseriva la parte del basso e Giorgio
cercava eventuali stacchi e preparava i pezzi di assolo. Un suo difetto? Fumava troppo e noi lo
riprendevamo ogni qual volta non riusciva a raggiungere tonalità a lui di norma congeniali, tanto
che spesso io lo aiutavo raddoppiandogli la voce (ovviamente durante le nostre esibizioni non
mancavano i cartoni di latte che trovavamo schiarisse la raucedine causata dal fumo).
Io sono stato sempre considerato il collante del gruppo, nonché l’arrangiatore dei brani,
naturalmente con la collaborazione di tutti, i cui pareri ascoltavo con attenzione prima di decidere;
forse sono stato un po’ “decisionista” e forse talvolta eccessivamente pignolo nella preparazione
del repertorio, e questo perché non mi piaceva esibirmi senza aver chiaro il compito che ciascuno
doveva assumere nell’interpretazione dei brani, ed anche alle volte intransigente quando le
circostanze lo richiedevano, soprattutto se c’era il pericolo che si violasse un patto intercorso fra
tutti noi.
Con questi compiti a ciascuno tacitamente assegnati il lavoro procedeva con snellezza e
grande soddisfazione e quasi tutte le sere ci si riuniva per le prove. Queste inizialmente si tenevano
in un maleodorante ed umido magazzino sito in Corte Quesada, vicino a Via Usai, con ingresso al
livello della strada, da cui bisognava scendere qualche gradino verso l’interno, ed erano dedicate
al ripasso dei brani già preparati ed all’impostazione del nuovo repertorio che Tonino per i brani
vocali e Giorgio per quelli strumentali, proponevano per il successivo arrangiamento.
Difatti normalmente i brani venivano da noi personalizzati a seconda dei nostri gusti; e così
per esempio il brano “La mia chitarra (Ma guitare)”, un rock scatenato interpretato da Johnny
Halliday, era stato da noi trasformato in un brano melodico tipo beguine con coretto di
accompagnamento ed inframmezzato da piccoli stacchi di chitarra, come la struttura di allora
imponeva.
In seguito al mio ingresso nel gruppo una delle prime esibizioni si tenne nell’ottobre del 1963
al “Picnic”, una sala da ballo nella immediata periferia di Sassari sulla strada vecchia per
Alghero, in occasione del ricevimento di Laurea di un mio cugino che rimase molto soddisfatto del
regalo che gli fu fatto.
Durante il successivo carnevale ci impegnavamo spesso in serate gratuite presso i numerosi
“club” della Sassari vecchia costituiti da scantinati adattati a sale da ballo dai giovani affamati di
musica, che ci davano la possibilità di affinare e migliorare le nostre esecuzioni. Non solo ma quelle
prime esperienze servivano soprattutto a tenerci al corrente sull’evoluzione dei gusti musicali nel
mondo dei giovani e ad indirizzare la nostra musica nel senso a loro più favorevole.
L’11 febbraio del 1964 suonammo presso l’Hotel Pontinental di Platamona in occasione
dell’Arcisuperveglionissimo, unitamente al complesso “I Twister’s” del maestro Fiori.
….Franco ci lascia
Il nostro repertorio migliorava in continuazione in quanto ci tenevamo al passo con l’evolversi
della musica che in quel periodo viveva una delle stagioni più importanti della sua storia del
dopoguerra; purtroppo Franco non riusciva a stare in linea con le nuove ritmiche di cui aveva
difficoltà a seguire la velocissima evoluzione ed a tenersi aggiornato.
Piccoli screzi cominciavano a nascere nell’impostazione del nuovo repertorio che richiedeva
una tecnica di base più evoluta di quella che Franco era in grado di assicurare e noi dovevamo
tenerci al corrente delle novità e delle continue modifiche nelle tecniche strumentali. Pertanto alla
fine dell’inverno del 1964 giungemmo nella determinazione di sostituire il batterista e la cosa non fu
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certo facile. Franco era l’ideatore ed il fondatore del gruppo e, nonostante abbia fatto buon viso,
certamente non digerì di buon grado la decisione assunta diciamo di comune accordo.
Nelle more del divorzio avevamo iniziato a fare i nostri sondaggi per reperire un sostituto che
possedesse valide tecniche di base e che fosse in grado di seguire con facilità la continua evoluzione
che lo strumento ritmico stava vivendo e si adattasse facilmente alla novità. La scelta cadde su due
ragazzi che andavano per la maggiore nella nostra città: uno era Franco Pirino, che allora era già
impegnato non ricordo con quale gruppo o per lo meno ci disse che ci doveva pensare su; l’altro era
Giampiero Marras, grande appassionato e proprietario di una sua batteria nuova fiammante.
Racconta Giorgio:
“Ricordo il primo incontro con Giampiero in uno dei vari club di cui era piena la Sassari di
allora, il "San Carlo"(Presidente Tore Profumo) mentre si esibiva suonando dei bonghetti ed
impressionato dalla scioltezza e sicurezza nel maneggiare quegli strumenti lo invitai ad una
"audizione" nella nostra sala prove dove facemmo la sua conoscenza musicale eseguendo insieme
qualche brano.
Fu sorprendente il gradimento e l’intesa reciproca. Ci piacque soprattutto per la sua
linearità e per la conoscenza di tutti i ritmi in voga, nonchè per la semplicità con cui riusciva a
tirar fuori del ritmo da tutto quello che lo circondava.
Era un po’ come Gegè Di Giacomo, batterista nel complesso di Carosone, allora in gran
voga, e come lui riusciva produrre del ritmo da qualunque cosa lo circondasse suscitando lo
spasso del suo auditorium. Fondamentale fu anche l’immediatezza con la quale riuscì ad inserirsi
nell’armonia e nell’humor del gruppo, cosa che ci fece decidere di accoglierlo fra noi con grande
piacere.
In effetti rimanemmo tutti molto impressionati dalla sua sicurezza nel gestire qualunque tipo
di ritmo, che affrontava con un’imbarazzante semplicità, abituati come eravamo alla gestione molto
dilettantistica dello strumento da parte di Franco. Un suo difetto? Prima di darci la conferma volle
sapere se c’era da guadagnare qualche soldo. La richiesta ci meravigliò non poco in quanto nessuno
di noi altri si era mai posto tale problema …… ma poi capimmo che, avendo già un suo lavoro,
avrebbe dovuto affrontare non pochi sacrifici.
Racconta Giampiero:
“La mia richiesta relativa alla possibilità di guadagnare qualcosa era legata al fatto che io
avevo già lavorato e lavoravo nel campo musicale in quanto spesso venivo chiamato da gruppi
musicali a sostenerli in alcuni spettacoli per i quali naturalmente venivo ricompensato in maniera
sonante. Avevo da poco acquistato una batteria Ludwig nera nuova fiammante con intervento di
mio padre e volevo quanto prima disimpegnarmi con lui che ritenevo avesse fatto un sacrificio per
il suo acquisto. Quindi la mia prima richiesta immediata che mi sentii di fare era quella che feci,
ma nessuno mi aveva fatto rimarcare questa particolarità.
Per quanto riguarda il mio ingresso nel gruppo devo affermare che già ero stato invitato ad
entrare in pianta stabile da altre formazioni, alcune dei quali poi raggiunsero grande dimensione,
ma in genere o non erano di mio gradimento oppure erano troppo precisini ed il dover per esempio
dare due colpi di rullante ed uno di tom anziché tre colpi di rullante come sentivo, mi dava
alquanto fastidio; io la musica ce l’avevo dentro ed il fatto che con i Lonely avevo carta bianca
nell’interpretare i brani mi faceva sentire creatore musicale e ne avevo grande soddisfazione.
Inoltre mi resi conto che ci saremo divertiti tanto insieme per l’identità di humor che ci
accomunava e per l’impronta estemporanea che caratterizzava noi tutti; ed il tempo mi ha dato
ragione”.
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Il concorso Enal
Primo impegno che ci assumemmo nella nuova formazione fu la partecipazione ad un concorso
provinciale di arte varia organizzato dall’Enal di Sassari che superammo per poi essere ammessi alla
fase regionale che si sarebbe svolta ad Alghero.
La prima fase, di carattere provinciale, si svolse a Sassari nei locali dell’ONPI (Casa Serena) il
due maggio del 1964, e risultò articolata in tre differenti sezioni: cantanti voci nuove, complessi
strumentali e vocali, attrazioni artistiche. Tonino partecipò come solista alla prima sezione
eseguendo il brano “O mio Signore” di Edoardo Vianello ed il gruppo partecipò alla seconda col
brano “Maria Elena”. Inutile dire che avemmo un buon successo cui tenevamo particolarmente per
il modo in cui ci eravamo preparati considerando l’appuntamento di grosso prestigio nella nostra
nascente carriera musicale.
Quindi il 2 giugno successivo presso il Teatro Selva di Alghero si tenne la Selezione regionale
che fu presentata da Corrado Mantoni. Parteciparono i vincitori delle varie eliminatorie di tutta la
Sardegna. Noi eseguimmo una favolosa “Maria Elena” che non ci consentì di vincere la
manifestazione che ci avrebbe permesso di proseguire la kermesse su piano nazionale, ci
piazzammo comunque al secondo posto. Risultarono vincitori “I Catalani”, gruppo di Alghero che
poi sapemmo avere numerosi fans nella giuria di carattere locale. Pur rimanendo delusi per come
erano andate le cose, considerammo che tutto sommato era stata per noi un’occasione per farci
conoscere e per affrontare per la prima volta un esame importante per il prosieguo della nostra
attività.
L’estate al lido “Iride” di Platamona
Racconta Leonardo:
“Ci rifacemmo comunque dopo pochi giorni, l’8 giugno 1964, perché suonammo nel locale
“Il Picnic” in occasione dell’anniversario dei venticinque anni di matrimonio dei miei genitori,
rendendoli particolarmente felici per quel tipo di partecipazione.
Alla luce delle ultime esibizioni ci stavamo dando da fare per affrontare l’imminente stagione
estiva ed eravamo alla ricerca di qualche scrittura di carattere duraturo che ci facesse finalmente
guadagnare qualche soldarello (e in questo le pressioni di Giampiero furono determinanti).
Accadde tutto quasi per caso; un giorno mia madre, rientrando a casa dopo una passeggiata con
mio padre mi disse di avere incontrato una sua amica la quale, nel corso di una lunga
chiacchierata, le aveva detto che il marito, proprietario del lido “Iride” di Platamona, era
tormentato dai figli che avrebbero voluto utilizzarlo per organizzare qualche serata musicale.
Immediatamente le dissi di chiamarla al telefono per accennarle il fatto che col mio gruppo
musicale avremmo potuto realizzare il loro desiderio ed il giorno successivo mi trovai coi suoi figli
che ben conoscevo ed insieme studiammo qualcosa che accontentasse il padre, i suoi figli ed il
nostro gruppo. Intanto facemmo una prova, in una serata ristretta ai loro amici, che risultò di pieno
gradimento e quindi programmammo per l’imminente stagione estiva una serie di esibizioni
giornaliere nell’arena del Lido “Iride” che si sarebbe trasformata in un circolo privato accessibile
ai possessori di una particolare tessera d’ingresso che i proprietari avrebbero concesso soltanto ai
loro conoscenti ed ai clienti abituali del “Lido”, nonché a nostri conoscenti da segnalare loro volta
per volta.
Provvedemmo quindi ad integrare la nostra divisa con una maglietta tipo "Lacoste" a righe
orizzontali bianche e rosse e con un paio di scarpe tipo "spadillas" di color ecru con lacci rossi in
maniera di essere pronti per iniziare la nostra prima avventura musicale estiva che ci teneva in
particolare ansia. Inoltre accettammo la partecipazione al nostro gruppo di Tonino Concu,
chitarrista di buona qualità ed esperienza, che aveva praticamente “rotto” col suo complesso di
appartenenza “I Baronetti”.
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Indubbiamente eravamo uno di più ma non potevamo farci sfuggire l’occasione per
migliorare la qualità del gruppo agli occhi del pubblico, che era molto giovane e di palato fine, e
di sfruttare l’esperienza di Tonino Concu che certamente sarebbe stato una guida ed un maestro del
tutto affidabile. Inoltre portò con sè la sua parte di strumentazione composta da un "Factotum"
Meazzi, due microfoni, un'asta ed un suo repertorio ben assortito.
La paga riconosciutaci era di £. 5.000= a testa per ogni esibizione di carattere quotidiano,
compenso che era stato pattuito tramite il padre di Giorgio, anch’egli conoscente del proprietario
del locale. E non era male per un primo contratto di lavoro.
Inutile dire che quelle esibizioni ebbero un successone non sperato in quanto il nostro
repertorio accoglieva il pieno favore dei giovani frequentatori delle notti del “Lido”, ricalcando
quello dei juke box che allora imperavano su tutte le spiagge ed in tutti i bar e locali vari. Inoltre la
mattina effettuavamo alcune prove per far sentire la nostra presenza ai frequentatori della spiaggia
che ancora non ci conoscevano e per ampliare ulteriormente il repertorio.
E la platea aumentava sempre più: e per la richiesta di tessere che veniva fatta tramite amici
comuni ai proprietari, e perché era loro interesse avere un pubblico sempre più vasto che garantiva
incassi più alti per il “Lido”, in considerazione che tale pubblico era di una certa qualità.
La sigla di apertura e chiusura delle serate era "Maria Elena" de Los Indios Tabajaras, che
Giorgio interpretava magistralmente così come altri brani degli stessi come "Amapola", "Tu sei
sempre nel mio cuor", "L'arcobaleno" ecc, mentre tra i brani degli Shadows risaltavano "Blue
star", "Gonzales", "Apache" ed altri. Il brano di maggior effetto però era "Bombora" degli
Atlantics che metteva in risalto le qualità di Giampiero il quale trasportava il suo timpano al centro
della pista da ballo illuminata da poche luci di grande effetto e cominciava a percuoterlo come un
tam-tam della jungla mentre Giorgio faceva "gridare" la sua chitarra ed il pubblico accompagnava
l’esibizione con scroscianti applausi; ricordo che anche i camerieri durante quella esibizione
sospendevano la consegna delle ordinazioni fermandosi ad assistere alla performance.
Fu proprio in quel locale, inoltre, che lanciammo il limbo nella versione che ancora si balla
attualmente, col brano "Limbo Rock", allora eseguito nella versione suonata dai Champs.
Lanciammo inoltre un altro ballo di gruppo detto“Letkiss” un brano interpretato dalle Gemelle
Kessler, che allora andava alla grande (una specie di twist che si ballava di norma in fila indiana
ed alla fine di ogni battuta si facevano dei saltelli tutti insieme: uno in avanti, uno indietro e tre in
avanti, per poi ricominciare). Tonino Concu poi portò naturalmente i suoi pezzi migliori, tipo
"Midnight" degli Shadows ed un bell’arrangiamento del brano "Doce doce", allora interpretata da
Fred Bongusto.
Ricordo che il padre di Giorgio aveva realizzato una specie di insegna luminosa di forma
rettangolare con la scritta “Lonely Guitars” che oggi farebbe ridere ma che allora ci dava un
ulteriore tocco di modernità e che tenevamo in evidenza nella parte anteriore del palco.
Avevamo soprattutto una predisposizione naturale ad inventare situazioni particolari mai
affrontate da altri gruppi che ci facevano apparire un po’ pazzerelli ma per lo stesso motivo più
interessanti ad un pubblico per lo più giovanile, affamato e curioso, che non aspettava altro che
l’essere trascinato dalla nostra estemporaneità.
Racconta Giancarlo:
“Al lido Iride suonammo fino alla vigilia di Ferragosto, quando litigammo col proprietario, il
quale pare ci avesse negato una consumazione. Inutili furono i tentativi per farci recedere da tale
decisione, ma in quella occasione mi dimostrai molto intransigente ed il gruppo molto compatto.
In ogni caso avevamo raggranellato un discreto gruzzolo individuale ed avevamo acquisito una
buona notorietà in quanto il locale era stato frequentato in maniera massiccia grazie anche alle
amicizie di ciascun componente il nostro gruppo che assicuravano il pienone serale. Il proprietario
tra l’altro, per evitare gli assalti di spettatori sconosciuti che venivano appositamente a Platamona
per ascoltarci, era stato costretto a consentire l’accesso soltanto a chi fosse provvisto di una
speciale tessera che veniva dispensata esclusivamente ad amici e conoscenti della famiglia dei
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proprietari e dei componenti il nostro gruppo, oltre ovviamente a tutti gli abbonati e clienti abituali
del “Lido”.
Risolto il contratto spostammo la strumentazione a poche centinaia di metri in quanto per il
giorno di ferragosto nella vicina "rotonda" era stata programmata la festa dell'unità e fummo
ingaggiati per tenere la serata musicale, riscuotendo la somma di £. 160.000 (dice sempre
Giancarlo) ed un enorme successo (da non dimenticare che il pubblico sassarese di quel periodo
se non gradiva la musica era solito rovesciare sul palco quintali di ortaggi e frutta varia
all'indirizzo dei suonatori).
Al termine di quel periodo Tonino Concu, avendo intenzione di entrare a far parte del gruppo
del trombettista Crasta di Berchidda, ci lasciò ringraziandoci per l’ospitalità accordatagli che aveva
ricambiato abbondantemente col trasmetterci la sua esperienza e parte del suo repertorio maturato
in diversi anni di attività nel campo musicale. In quella occasione concordammo con lui la
cessione del Factotum, microfoni ed asta ad un prezzo non rimasto nei ricordi.
Ma dopo alcune settimane, ai primi di settembre, avendo procurato una serie di serate presso
il “Picnic” di Peppino Cerchi, ci convocò per suonare con lui. Anche in quel locale il titolare fu
costretto a rilasciare delle speciali tessere per evitare il sovraffollamento, a dimostrazione della
buona nomea che ci avevamo conquistato nelle recenti notti estive, ed alla fine di quel ciclo ci
lasciò di nuovo per formare, diceva, un suo complesso.
Durante le nostre esibizioni al lido "Iride" si era avvicinato al gruppo Giancarlo Idini, nostro
conoscente in qualità cantante interprete del filone Elvis Presley, che seguiva sia come look che
come repertorio, il quale, appena rientrato da Genova per aver ottemperato agli obblighi di leva, ci
elogiava dicendo che nel continente non c'erano gruppi della nostra portata . . . . che eravamo
destinati ad un enorme successo ecc. e ci sviolinava in continuazione forse cercando di trovare
l'occasione di effettuare qualche performance con noi.
Ma al momento non eravamo interessati in quanto proiettati ed occupati ad accumulare
esperienza. Comunque successivamente continuò a frequentarci anche perché gli consentivamo
saltuariamente di cantare qualche suo brano.
Tornando alla nostra esibizione di Ferragosto presso la rotonda di Platamona in occasione
della Festa dell'Unità, si affiancò al nostro gruppo un bambino con una bella voce da rock, anche
lui pressante perchè lo accompagnassimo in alcune sue canzoni. Si chiamava Gigi Capra e
successivamente riuscì anche nel suo intento di esibirsi con noi in qualche occasione ed in seguito
formò un suo proprio gruppo.
Il “Lonely Guitars Club”
Si ritenne quindi necessario abbandonare il magazzino già usato per le prove, malsano e
particolarmente umido, per paura di danneggiare la nostra strumentazione e prendemmo in affitto,
dallo zio di un mio compagno di studi, un locale situato in una traversa di Via Lamarmora, non
lontano da un altro magazzino ove alcuni nostri amici avevano realizzato un circolo trasformando
allo scopo un vecchio locale ove ci si riuniva spesso e che anche noi frequentavamo con buona
continuità, tanto che gli era stato dato il nome del nostro gruppo: Lonely Guitars Club.
Come già detto in quel periodo questi "club" spuntavano come funghi nella Sassari vecchia
ove vecchie cantine e magazzini venivano utilizzati dai giovani per ascoltare musica e socializzare
(praticamente fare conoscenze femminili e ballare) e noi ci eravamo spesso appoggiati a quei
circoli per effettuare le prime esibizioni.
Fra tutti scegliemmo appunto di entrare a far parte di quello che prese il nostro nome anche
perchè i componenti erano in parte nostri compagni di studi ed anche per la particolare simpatia
della proprietaria dei locali che aveva numerose conoscenze femminili grazie alla sua attività di
maglierista che esercitava nel suo appartamento sito sopra i suddetti magazzini.
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Racconta Leonardo:
“Sulla scia dei successi riscossi sia d’estate presso il lido “Iride” che successivamente
presso il “Cantinone” o “Picnic”, cominciarono i primi contatti soprattutto con gli istituti
scolastici che organizzavano serate danzanti nei due principali locali della città, ovvero i due
Hotel Jolly, il Jolly Deledda, realizzato a ridosso dell’Emiciclo Garibaldi ove io abitavo, ed il
Jolly Dante, più ampio e moderno, costruito appunto nel Viale Dante.
Poiché la nostra musica era indirizzata ai giovani e soprattutto al popolo studentesco, che
costituiva quasi esclusivamente il nostro seguito, la nostra presenza in quei locali era ben vista
dall’allora Direttore dei Jolly, certo Sig. Rocchi, il quale aveva voluto il mio numero di telefono
per proporre il nostro gruppo a chi gli avesse chiesto in affitto le sale dei suoi Hotels per
organizzare balli studenteschi o cene sociali dei vari Club cittadini come Lyons o Rotary, oppure i
balli di beneficenza che venivano organizzati dalle associazioni di dame di carità per reperire
fondi da destinare a scopi umanitari. Pertanto posso dire che eravamo pressoché in pianta stabile
nella sala delle feste degli Hotel Jolly. (Mio padre mi prendeva in giro e quando squillava il
telefono mi diceva "Mi..Mi...c'è il Jolly al telefono")”.
Era comunque necessario ampliare in continuazione il nostro repertorio in funzione
dell'evoluzione della musica che in quel periodo era particolarmente veloce; pensammo pertanto di
rinforzare il settore vocale e dotare il gruppo di un nuovo strumento che si stava inserendo in
maniera sempre più preponderante nel modo di fare musica: la tastiera.
…….arriva Paolo
E la nostra scelta cadde su Paolo Carboni, persona appassionata di musica con una buona
conoscenza del pianoforte ma che si dilettava anche con chitarra, batteria e fisarmonica ed aveva
un’attonata vocalità di tipo basso che ben si amalgamava con le voci di Tonino e la mia formando
un trio vocale ben assortito con innato il senso della polifonia; ma soprattutto, come noi tutti, era in
possesso di uno spiccato senso dell’umorismo che è stato sempre il principale collante dell’intero
gruppo. Poichè ci aveva seguito durante le esibizioni estive e quindi conosceva sia il nostro modo
di operare che gran parte del repertorio, la mia proposta fu accettata con grande entusiasmo sia da
lui che dal resto del gruppo. Un suo difetto? Ogni tanto nei suoi assoli sbagliava nota ed allora
cercava di trasformare il suo errore in una serie di svisature cui soltanto noi potevamo attribuire il
giusto valore; quante volte ci abbiamo riso sopra!
In questa maniera la formazione era al completo e pronta per affrontare la nuova stagione che
ci avrebbe assicurato ulteriore considerazione essendo al momento l’unico gruppo a fare un certo
tipo di musica per i giovani e nella nostra città e nel circondario ove avevamo intenzione di
allargare i nostri orizzonti.
Fra le ultime esibizioni dell’anno il 28 novembre del 1964 suonammo presso l’Hotel Jolly
Dante in occasione di un ballo di beneficenza organizzato dalle Dame per l’Opera Pro-Liberati dal
carcere ed il 31 dicembre, sempre nello stesso locale, per il cenone e veglione di fine anno.
Ricordo che per affrontare quest'ultima esibizione che ritenevamo importante nel panorama
musicale cittadino provvedemmo a farci confezionare dal sarto D'Orsi delle nuove divise
cosiddette "invernali" che prevedevano per i musicisti pantaloni di vigogna grigio chiari e giacca
priva di risvolto di color blu e per il cantante la stessa confezione ma a colori invertiti. I cravattini
erano costituiti da dei nastrini color granata, così come lo erano le fodere in raso delle giacche. In
quella occasione però il sarto la tirò molto per le lunghe e ci fece sudare le proverbiali sette
camicie per ottenere la consegna in tempo per poterle utilizzare per l'esibizione del fine anno.
In quel momento la nostra amplificazione era composta da un Factotum Meazzi per chitarra
conduttrice e due microfoni a condensatore di marca “Meazzi” di cui non ricordo il modello (credo
li chiamassero microfoni "a biscotto") con un'asta, una cassa per il basso amplificata con un
geloso, il mio fedele amplificatore Binson e la strumentazione individuale costituita dalla batteria
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di Giampiero, il pianoforte di Paolo, la mia nuova chitarra Meazzi Hollywood nera a cassa piena
(in precedenza ne avevo avuto un’altra rossa semiacustica ed elettrificata di cui non ricordo né
marca né modello), la chitarra Eko di Giorgio (che nel frattempo aveva sostituito la sua prima
chitarra bianca con un’altra perlinata di colore celeste) ed il basso Meazzi di Giancarlo (anche lui
aveva da tempo abbandonato la sua sei corde con un vero basso elettrico a 4 corde perlinato celeste
che però suonava alla vecchia maniera e non con la nuova tecnica che stava prendendo piede in
quegli anni). In pratica percuoteva ciascuna corda dall’alto verso il basso, mentre la nuova tecnica
prevedeva la percussione verso l’alto delle corde una volta appoggiato il palmo della mano sulla
parte superiore dello strumento.
Il 24 gennaio del 1965 ci esibimmo al Teatro Astra (ex Augusteo) con un The Danzante alle
ore 17 ed un Veglione alle ore 22. Ricordo che a questo veglione partecipò inaspettatamente la
“meglio aristocrazia” del momento, costituita da papponi e relative professioniste cui si mescolava
qualche guappo e qualche donna di servizio ed il repertorio fu basato soprattutto su “tanghi”.
Durante quell’inverno ci esibimmo altre volte in quel teatro, sempre in occasione di veglioni o the
danzanti.
Inoltre, dietro invito di Giancarlo Idini che aveva procurato la scrittura, suonammo alcune
volte ad Alghero presso il “Fuego”, locale adibito d’estate a night club, effettuando anche un paio
di serate con the danzante e quindi veglione (delle vere maratone).
Infine Paolo, come primo suo contributo, riuscì a conseguire una scrittura, tramite un suo
conoscente e proprietario in Codaruina (oggi Valledoria) del cinema Minerva, per numerose
esibizioni durante il Carnevale in quel locale appositamente adattato per l’occasione a sala da
ballo. Fu una tournèe particolarmente fortunata che ci permise di maturare ulteriore esperienza e
maggiore notorietà nella zona dell’Anglona e di prepararci adeguatamente per affrontare la
stagione estiva, cui attribuivamo particolare importanza.
Provvedemmo quindi a dotarci di un cliche in maniera che una nostra foto apparisse sempre
sui manifesti ed inviti che venivano fatti stampare dagli organizzatori delle serate e tale
accorgimento ci conferiva un’aria di maggiore importanza e di migliore qualità.
La strumentazione migliora…..
Racconta Leonardo:
“Le numerose prestazioni che effettuammo quell’inverno tra Fuego, Valledoria, Astra ed
altre esibizioni, ci indussero a cominciare a pensare più in grande, per la particolare notorietà che
ci stava circondando e che ci rendeva consapevoli della crescente dimensione che andavamo
acquisendo e che ormai si allargava oltre i confini della nostra città. In considerazione di ciò fin
dall’inizio dell’anno ci eravamo impegnati a mettere da parte il ricavato delle nostre esibizioni ed
io ebbi l’ingrato compito di esercitare la funzione di “tesoriere”, ingrato e perché dovevo tenere i
conti (e questo forse era meno gravoso per la mia predisposizione naturale alla contabilità e per
la massima fiducia che ritengo abbiano sempre riposto in me gli amici del gruppo) e perché avrei
dovuto essere intransigente di fronte alle richieste di sovvenzioni da parte dei componenti stessi,
tenendo conto che a quella età avere dei soldi e non poterli utilizzare non era di facile
accettazione. Ma gli accordi di base erano quelli ed io dovevo mio malgrado rifiutare per esempio
a Tonino i soldi per comprare le sigarette che mi chiedeva spesso. Me ne scuserà.”
Tale accordo era in funzione della decisione di un ammodernamento della strumentazione e
soprattutto dell’amplificazione che volevamo seguisse l’evolversi dei tempi sia come tipologia che
come qualità. I progetti erano per l’acquisto di nuovi microfoni, di una camera eco e di nuove
casse acustiche per sfruttare al massimo le nostre potenzialità vocali e strumentali, nonché di una
moderna tastiera per Paolo che si sarebbe così finalmente liberato dal pachidermico pianoforte, il
cui trasporto ci faceva sudare le proverbiali sette camicie.
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Difatti, pur essendo la sua sede naturale prima il cinema Minerva di Valledoria poi il salone
delle feste del Jolly Dante in Sassari, dove in prevalenza venivamo convogliati sia dal direttore che
dagli organizzatori delle feste, eravamo costretti a trasportarlo negli altri locali ove dovevamo
esibirci e che spesso variavano anche ogni pochi giorni (solo al Fuego mi pare ricordare un
pianoforte di loro proprietà). Utilizzavamo un camion e ci servivamo di numerosi aiuti per il carico
e lo scarico di quello strumento, ma eravamo giovani, di una straordinaria esuberanza e sentivamo
che il mondo in quel momento aveva necessità e fame di musica come penso mai si sia verificato
in altri periodi.
Il 19 marzo del 1965 ci esibimmo nei locali del Jolly Mancini alle ore 17 in un ballo
organizzato dall’A.I.T.I. (Associazione Istituto Tecnico Industriale), in cui era “gradito l’abito
scuro”. L’invito aveva il prezzo di £. 500=
Racconta Giancarlo:
“Finito l’inverno e la intensa stagione del carnevale, facemmo i conti e decidemmo che
avevamo raggranellato quanto necessario per portare a termine il nostro progetto. Quindi io,
Giorgio e Leonardo partimmo per Roma dove soggiornammo per non più di due o tre giorni in
casa del nonno di quest’ultimo, il quale provvide ad indirizzarci verso i migliori esercizi
commerciali che trattavano quanto ci serviva. Trovammo quasi subito nella centrale Via Cavour
un negozio ben fornito ove decidemmo per l’acquisto di una camera eco della Binson, la Ecorec 2
e tre fiammanti microfoni dinamici di marca AKG modello D 12. A dire il vero eravamo orientati
verso prodotti della Semprini e microfoni Siemens ma l’alto costo non alla nostra portata ci fece
dirottare verso marche minori ma certamente di sicura qualità. Non ricordo assolutamente la
spesa sostenuta ma senz’altro esaurimmo il budget stanziato.
Lasciammo il tutto a Roma in quanto il materiale acquistato ci sarebbe stato recapitato dalla
zia di Leonardo che era in procinto di venire in Sardegna per le vacanze con la sua auto, e
ritornammo in sede molto soddisfatti. Ci dedicammo quindi al completamento della
strumentazione, acquistando le aste per i microfoni, un amplificatore Geloso da collegare alla
camera eco Binson e facendo realizzare due casse acustiche più piccole per le voci, nonché altre
due più grandi per la sezione strumentale. Le facemmo fare di legno truciolare che allora ci
avevano indicato come il migliore per lo scopo (che poi si rivelò errato per l’eccessivo peso del
manufatto), facendo inserire a cura di un tecnico nostro amico al centro di ciascuna cassa un
grosso altoparlante che più grandi al momento non se ne trovavano.”
Il tutto fu quindi consegnato nelle mani magiche di Giampiero che, nella sua qualità di
esperto tappezziere, le rivestì di sky rosso scuro. Infine Paolo si liberò del pianoforte acquistando,
tramite la Ditta Muzzo, un allora modernissimo fisiorgano “Farfisa” (senz’altro il primo utilizzato
in Sardegna) e così completammo la trasformazione e ci preparammo ad affrontare la stagione
estiva che sognavamo di effettuare lontano dalla nostra isola.
Racconta Leonardo:
“Nel frattempo continuavano le nostre esibizioni anche nelle feste in piazza che la stagione
più calda faceva preferire e senza dubbio più remunerative. Fra le altre ricordo certamente la
serata di Palmadula che fu altamente redditizia (compenso pari a £. 1.000.000= per allora
un’enormità) anche se dovemmo pagare alcuni cantanti tra cui la moretta Natalia e la bionda
Tina che all’epoca andavano per la maggiore. Natalia, nativa di Bolotana, era una ragazzina tutto
pepe che cantava alla maniera di Rita Pavone e Tina, con un caschetto biondo, tra l’altro cantava
il brano “Quando vedrete il mio caro amore” successo di Donatella Moretti.
Di quello spettacolo ricordo in particolare il viaggio di ritorno a Sassari nel cuore della
notte e l’incidente che subì la prima macchina della carovana, quando dopo una curva andò a
finire su un gregge di pecore che occupava la strada. Era un millecento grigio su cui Giampiero
caricava la sua batteria ed era condotta da tal Michelangelo, suo caro amico e nostro affezionato
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accompagnatore e fan, che aveva una vocina fievole ed un po’ effeminata, il quale pare che
appena effettuata una curva si vide la carreggiata occupata dal gregge e finendoci addosso
esclamò con un filino di voce “Li pecuri!!!!!!”, frase che per lungo tempo ricordammo e
ricordiamo con grande simpatia. Non ricordo invece se ci fermammo per constatare i danni, ma
penso che non tardammo a riprendere il viaggio frettolosamente per paura che arrivasse il
proprietario del gregge investito”.
Perché non andiamo in Corsica?......
Numerosi amici e conoscenti ci avevano parlato molto bene della Corsica, ove il turismo era
praticato soprattutto da giovani che naturalmente avevano voglia di divertirsi, come d’altronde noi
tutti, ed eravamo affascinati dall’idea di poter trascorrere un periodo in quell’isola mettendo a
frutto l’esperienza musicale che ormai avevamo accumulato durante un lungo tirocinio nella nostra
zona.
Decidemmo quindi di intraprendere l’avventura pur nella consapevolezza che Giampiero
avrebbe forse incontrato delle difficoltà a rendersi libero a causa della sua attività lavorativa. Ciò
fortunatamente non avvenne, ma in ogni caso potevamo contare su una discreta esperienza di
Tonino che si era appassionato al suono della batteria ed a volte si prestava ad accompagnarci in
brani di non elevata difficoltà, e nelle pause di Giampiero.
Quindi, ritenendo non opportuno intraprendere una trasferta in Corsica senza avere un punto
d’appoggio o quanto meno una scrittura, pensammo di mandare qualcuno in avanscoperta per
sondare la fattibilità del nostro progetto di affrontare un’esperienza diversa lontano dalle mura di
casa. E la scelta cadde su Tonino, non ne ricordo i motivi, cui si affiancò l’amico Dino Lumbau,
che iniziò la spedizione forti dell’importo di £. 100.000= che pare somministrammo loro per le
spese da sostenere e con la raccomandazione di farle durare più tempo possibile.
Racconta Tonino:
“Accompagnato da Dino in quanto conoscitore della lingua francese, partii per la Corsica
nel maggio del 1965. A Santa Teresa arrivammo in pullman, prendemmo il traghetto fino a
Bonifacio ed in treno, quando non facevamo l’autostop, arrivammo ad Ajaccio dove conoscemmo
un muratore di Sassari che ci ospitò a pranzo a casa sua. Ma poichè non trovammo alcuna
scrittura proseguimmo fino a Bastia con un trenino antidiluviano che non arrivava mai e poi da lì
fino a Calvi utilizzando spesso l’autostop per risparmiare qualcosa. Ricordo che durante il
viaggio ci fermammo in un campo di finocchietti che saccheggiammo per calmare la fame.
Arrivati a Calvi ci accorgemmo che i soldi stavano per finire in quanto eravamo già una
settimana che giravamo senza trovare niente. Dino voleva dormire sulla spiaggia ma io avevo
paura e quindi andammo in un albergo. Terminati gli ultimi soldi Dino ripartì per la Sardegna,
avendo già il biglietto per il ritorno, ed io mi fermai in un alberghetto di Calvi da dove telegrafai
a Sassari chiedendo soccorso al gruppo, che mi mandò a quel paese. Allora mi rivolsi a mio padre
ma i quattrini non arrivavano mai e poiché avevo fame e non sapevo come fare, inscenai un
malessere che impietosì la proprietaria dell’albergo la quale mi ospitò fino all’arrivo della
sovvenzione”.
Fallito il primo tentativo, non ci perdemmo d’animo e cercammo di trovare un’altra soluzione. Fu
Giorgio che si offrì di recarsi in Corsica e partì con in tasca £. 10.000= ed una chitarra acustica con
la quale sperava di dimostrare la qualità del gruppo che rappresentava.
Racconta Giorgio:
“Una volta arrivato a Bonifacio cominciai a girare per i locali chiedendo se avessero
necessità di musicisti per l’imminente stagione estiva ma non riuscii ad ottenere risposte positive.
Conobbi invece alcuni ragazzi francesi con i quali feci amicizia suonando insieme, e che, avendo
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saputo che non avevo un posto dove passare la notte, mi ospitarono nella loro tenda. Rimasi anche
il giorno successivo a Bonifacio ma non riuscii a trovare nessuna scrittura in quanto mi
consigliarono di andare ad Ajaccio, unica località in cui avrei potuto trovare quel che cercavo.
La mattina successiva pertanto salii su un bus che mi condusse fino alla piazza principale di
Ajaccio, ove cominciai a assumere informazioni sul dove era opportuno andare per trovare
qualche locale interessato alla nostra musica; mi fu detto che i locali del genere li avrei potuti
trovare soltanto in vicinanza del porto ed allora cominciai a sondare il litorale partendo dalla
piazza principale in direzione del porto.
Durante le mie visite in quei locali mi capitò di conoscere un muratore di Sassari che sapeva
suonare la fisarmonica e che si offrì di accompagnarmi nel mio tour, ospitandomi inoltre in casa
sua una volta appreso che non avevo un posto dove trascorrere la notte. L’indomani mattina
cominciammo insieme a battere il litorale del porto finché non arrivammo in un locale ove il
muratore era conosciuto e grazie alla sua garanzia, alquanto temeraria in quanto non conosceva
il nostro gruppo ma soltanto me dal giorno prima, si presero i primi accordi con i proprietari, ma
niente di più. Fatto ciò, poiché ci eravamo fermati soltanto ai primi contatti, chiesi al muratore
quali altre località potevano essere visitate per cercare una scrittura e lui mi indicò Calvi.
Quindi mi recai all’uscita di Ajaccio verso nord ed in prossimità delle Iles Sanguinaires
trovai un passaggio in auto fino a Porto dove però non trovai niente di interessante. Arrivata la
notte senza che trovassi “nessuno”che mi ospitasse dovetti cercare un posto dove dormire e mi
fermai in una casa in costruzione dove durante la notte fui spaventato da dei rumori che si
rivelarono quelli di un cane che mi fece compagnia per il resto della nottata.
La mattina successiva decisi che non era più il caso di proseguire oltre in quanto i soldi
erano pressoché esauriti e presi la strada del ritorno trovando un passaggio per Cargese. Anche
qui feci un ampio giro con esito negativo in quanto mi resi conto che il problema principale era la
non conoscenza del gruppo e quindi la diffidenza a chiudere contratti al buio, tanto è vero che gli
unici approcci si erano verificati ad Ajaccio ed in presenza di una garanzia di terzi. Anche a
Cargese conobbi una coppietta di francesi che gentilmente la notte mi ospitarono nella loro tenda
dei viveri; l’indomani mattina raggiunsi in autostop Bonifacio e feci rientro a casa, portando con
me il recapito telefonico del muratore, unico legame con la Corsica e col locale ove mi avevano
dato qualche speranza.
Difatti con una telefonata questo muratore mi confermò che il contratto si poteva
considerare chiuso credo per una ventina di giorni con paga di quattro franchi “pesanti”
giornalieri a testa, compreso vitto ma alloggio escluso”.
Ovviamente eravamo ai sette cieli per aver ottenuto una scrittura “all’estero” e soprattutto in
Corsica ove si era sparsa la voce che si concentrasse un flusso turistico giovanile di grosse
dimensioni grazie alla sua natura incontaminata e alla pressoché totale mancanza di aree ricettive,
consistenti quasi esclusivamente in camping e villaggi turistici per giovani.
si parte per la Corsica…..
Naturalmente la nostra attività locale continuò regolarmente soprattutto con feste in piazza e
si concluse con una due giorni a Castelsardo, ove suonammo il l’1 ed i 2 agosto, prima al Bastione
e quindi alla Pianedda. Al termine caricammo tutta la strumentazione sulle auto, trascorremmo
qualche ora della notte avvolti in coperte sulla spiaggia di Frigiano, ed all’alba partimmo per Santa
Teresa di Gallura da dove ci imbarcammo destinazione Bonifacio per iniziare l’avventura corsa
che tanto ci entusiasmava; era una situazione frenetica nella quale alla prima uscita musicale “da
casa” si univa l’aspettativa di una vacanza che ogni giovane di allora aveva sognato: la libertà.
Le macchine al seguito erano tre: la seicento di Giancarlo con Tonino, la cinquecento di
Paolo con Giampiero e la sua batteria caricata sull’imperiale e la mia Simca 1000 con Giorgio; il
resto della strumentazione era stata equamente ripartita tra le tre auto. All’arrivo a Bonifacio
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facemmo appena in tempo a vedere un reparto della Legione Straniera con i caratteristici Kepì che
avevamo visto soltanto nei film, e proseguimmo immediatamente per Ajaccio desiderosi di arrivare
quanto prima per prendere possesso del nuovo “posto di lavoro”.
Le strade erano terribili, molto strette e costeggiate non da normali paracarri come in Italia,
ma da sassi disposti uno appresso all’altro, per la maggior parte con asfalto rossiccio, presumo
realizzato usando un granito rosso tipico della Corsica e particolarmente abbondante nella molto
suggestiva costa nord occidentale, nel tratto da Porto alla zona di Girolata. Di tanto in tanto
esistevano delle piazzole di sosta che servivano per consentire l’incrocio fra due veicoli,
operazione altrimenti molto difficoltosa a causa della precarietà del complesso viario di quell’isola.
Ma il tutto attribuiva un particolare fascino alla già incontaminata natura dei luoghi che in quella
occasione ci apparvero meravigliosi.
Racconta Leonardo:
“Durante il viaggio di trasferimento ad Ajaccio, in un tratto di ascesa lungo il monte che
separa la baia di Propriano al golfo di Ajaccio, ricordo che Giancarlo con la sua seicento, forse a
causa della eccessiva stanchezza (eravamo reduci da due serate musicali e da una notte pressoché
insonne, cui si aggiungeva la fatica del viaggio) accusò un colpo di sonno e andò a finire fuori
strada in una cunetta senza fortunatamente apportare danni a persone e cose; tale episodio è stato
disconosciuto dagli altri ma io credo di averlo vissuto in quanto lo ricordo molto chiaramente.
Comunque dopo diverse soste necessarie per riprendere le forze ed assaporare le bellezze
che l’isola ci offriva ad ogni curva, raggiungemmo Ajaccio, arrivando in prossimità del porto, ove
era ubicato il locale ove avremmo dovuto esibirci, all’insegna Hollywoood, e che, a dire la verità,
mi deluse non poco al primo impatto, salvo poi convenire che l’importante era vivere la nuova
avventura intensamente e con tutto l’entusiasmo possibile.
Dopo aver fatto conoscenza con i proprietari alla presenza del famoso “muratore garante” e
presi gli accordi per la nostra prima esibizione, ci preoccupammo di reperire un locale per
dormire e per un paio di notti lo trovammo in una pensioncina al centro di Ajaccio, vicino a Rue
Feche. Dopo di che acquistai una tenda Marechal per tre persone che però usavamo in quattro
mettendoci distesi per traverso e la sistemammo nella spiaggetta al di sotto del locale ove
suonavamo. Giorgio invece aveva una sua piccola canadese dove dormiva con Giampiero. Il vitto
era tutto particolare in quanto la proprietaria del locale era una tunisina e ci propinava una
cucina magrebina molto gustosa e saporita ove spiccava il cus-cus, una salsa molto pepata e
piccante con cui veniva condito del succhetto cucinato a parte).
La villeggiatura ajaccina era di nostro gradimento in quanto gli avventori, anche se non di
“magnanimi lombi”, erano sempre abbastanza numerosi e avevamo fatto diverse amicizie
soprattutto con elementi locali che si mostravano molto affezionati agli amici suonatori. Unica
disavventura fu quella legata ad una “amore” intrecciato da un componente del nostro gruppo con
una donna sposata che culminò in una minaccia con una rivoltella da parte del marito; passammo
un brutto momento in quanto gli amici corsi ci avevano avvertito che bisognava stare attenti
durante la notte perché potevamo essere assaliti e colpiti con bastoni e quindi si erano offerti di
farci la sorveglianza notturna per un paio di notti.
Racconta Paolo:
Tra le prime cose mi resi conto del particolare carattere dei corsi, in alcuni atteggiamenti
non molto dissimili da noi sardi, in occasione di una animata discussione tenutasi nel bar fra
l’amico muratore ed un altro avventore; volendo attribuirmi atteggiamenti da paciere mi avvicinai
loro appoggiando una mano sulla spalla di ciascuno di essi, ma ricevetti un brusco rifiuto
accompagnato non da parole ma da un’occhiataccia, che mi fece decidere di continuare a farmi i
fatti miei.
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La sera stessa, durante la nostra esibizione, l’elemento corso sopra citato mi si avvicinò con
un bicchiere di Pastis e con ampi sorrisi mi prese sotto braccio e quasi pretese che si bevesse
insieme. Mi fu poi spiegato che nel luogo era molto pericoloso intromettersi in discussioni altrui
(anche se solo per fare da pacieri) e quindi per il futuro mi fossi comportato di conseguenza. Me
ne guardai bene….!
Il Pastis era la bibita per antonomasia che si beveva in Corsica; nel particolare una specie
di Pernod dal sapore misto di anice e liquirizia, allungato con ghiaccio ed acqua e girato
esclusivamente col dito indice fino a far assumere alla bevanda la connotazione ed il colore di
un’orzata; se invece lo si allungava con della menta prendeva il nome di Perroquet; altre bevande
che si bevevano spesso per rinfrescarsi erano la “mente a l’eau”, praticamente uno sciroppo di
menta sempre allungato con ghiaccio ed acqua, l’”Orangine”corrispondente alla nostra
aranciata ed il “Bock panascè” che altro non era se non il nostro “birra con limonata”.
Particolarmente forti erano le sigarette popolari, le “Bastos”, che esistevano anche al
mentolo, e le “Gauloises” dei cannoncini corti e piuttosto duretti corrispondenti alle nostre
“Alfa”ma molto più forti.
Le serate erano di norma soddisfacenti soprattutto quando il locale era frequentato da turisti,
naturalmente giovani, che apprezzavano la nostra musica e coi quali si faceva spesso amicizia che
si coltivava la mattina successiva quando si andava al mare. Ma altre volte dopo una certa ora il
locare era frequentato da elementi locali che pretendevano di ballare il tango ed il paso doble
(Tangò e Passò chiedevano) ed allora Paolo li accontentava suonando brani che normalmente
avrebbe suonato con la fisarmonica. Ma non erano queste la serate che più ci piacevano, pur
riconoscendo che facevano parte delle caratteristiche ambientali del posto. Dopo ferragosto
Giancarlo fece ritorno in Sardegna con la sua seicento poiché come insegnante avrebbe dovuto
sostenere gli esami di riparazione, ed io lo accompagnai lasciando la mia auto e la mia tenda a
Giorgio, ed il gruppo con soli quattro elementi.
Raccontano Giancarlo e Leonardo:
“purtroppo, per motivi diversi, fummo costretti nostro malgrado a lasciare i compagni di
avventura per fare ritorno in Sardegna. Comunque eravamo sicuri che la nostra assenza non
avrebbe gravato sugli altri più di tanto in quanto avevamo constatato quanto poco ci voleva per
accontentare gli avventori dell’Hollywood, in particolare una fisarmonica e qualcuno dei nostri
pezzi più semplici. Lasciammo quindi la Simca a Giorgio e con la seicento partimmo per
raggiungere Bastia in tempo per prendere il giorno successivo un traghetto proveniente da
Livorno e diretto a Porto Torres, al fine di evitare il lungo tragitto in auto da Santa Teresa a
Sassari, che, facendo i dovuti conti, ci sarebbe costato di più sia in termini di quattrini che di
tempo e fatica.
Durante il viaggio attraversammo zone a noi sconosciute e meravigliose per paesaggi, come
i calanchi di Piana, il piccolo centro di Porto e la cittadina di Calvi da dove però affrontammo un
tragitto che si rivelò terribile in quanto per raggiungere il centro di Saint-Florent dovevamo
attraversare una zona impervia chiamata “Desert des Agriates” che ci accolse con un grande
incendio che costeggiava i due lati della strada. L’avventura fu terribile ma per fortuna di breve
durata in quanto le distanze corse sono abbastanza contenute rispetto alle nostre, ma fummo
costretti a tenere per tutto il tempo un fazzoletto bagnato su naso e bocca per cercare di respirare
il meno possibile il fumo che ci avvolgeva.
Dopo Saint-Florent tagliammo il dito corso e nei pressi di Bastia infrascammo la macchina,
togliemmo i sedili e creammo due specie di giacigli per trascorrere la notte. La mattina seguente
di buonora ci recammo al porto di Bastia, ma constatammo con sorpresa che il traghetto in arrivo
da Livorno era già risalpato per Porto Torres e soltanto la sera ad una cert’ora ce ne sarebbe
stato un altro. Immediatamente partimmo per cercare di raggiungere Bonifacio e da lì Santa
Teresa, ma anche qui non ci riuscimmo non ricordo per quale motivo, forse un’improvviso
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sciopero; nella nostra immensa insania giovanile risalimmo quindi velocemente in macchina e
riguadagnammo Bastia appena in tempo per imbarcarci del pomeriggio per Porto Torres. Da
pazzi!!!!!!!!
Raccontano Giorgio e Paolo:
“Dopo la partenza di Giancarlo e Leonardo rimanemmo ancora qualche giorno presso
l’Hollywood per rispettare la scadenza del contratto e poi, sollecitati dal muratore di Sassari,
che oramai era diventato la nostra “guida all’estero”, ci recammo ad Ucciani, una località di
montagna nell’entroterra di Ajaccio dove, prima di effettuare la serata, fummo invitati da alcune
persone veramente ospitali ad una cena durante la quale ci fecero assaggiare dei prodotti locali
(salumi) veramente squisiti che però non vollero venderci (“mangiatene quanto ne volete ma non
si vende”).
Finita la serata chiedemmo dove saremmo potuti andare per trovare qualche altra scrittura e
fummo indirizzati a Saint-Pierre de Venaco, ove pare stessero cercando un’orchestra. Ci
inoltrammo pertanto ancora verso l’interno e finalmente arrivammo a Venaco con la paura che ci
stesse mancando la benzina. Fermammo alcuni passanti i quali ci dissero che S. Pier era ad una
decina di chilometri più avanti e quindi… “ne poussez-pas” (non premete sull’acceleratore per
non consumare troppa benzina).
Arrivammo a Saint-Pierre de Venaco in piena notte e trovammo aperto soltanto un albergo
non distante dal locale dove avevamo intenzione di proporci per suonare. Al buio piazzammo le
tenda in uno spiazzo a fianco della strada ma probabilmente sbagliammo le misure perché
l’indomani mattina ci accorgemmo che un tirante della tenda di Giorgio era stato fissato sulla
carreggiata. Fortunatamente il traffico era limitato!! Comunque prendemmo contatto con i gestori
del locale e l’indomani notte suonammo per loro nello spiazzo ove avevamo montato le tende. Fu
una serata favolosa perché improvvisamente quella località pressoché disabitata si popolò in
maniera eccezionale tanto che non capivamo da dove provenisse tutta quella gente. Il particolare
curioso di quella serata fu che durante la nostra esibizione gli avventori continuavano a
richiedere brani, di norma tanghi e passò, ed a depositare denari nel nostro tamburello che era
stato poggiato occasionalmente sopra il coperchio della Farfisa, tanto che alla fine della serata le
cosiddette “mance” avevano di gran lunga superato il cachet pagato dagli organizzatori.
Giorgio e Giampiero ci lasciano…….
Una volta rientrati alla base riprendemmo la nostra attività galvanizzati dall’ulteriore
esperienza maturata durante la tournee in Corsica, che aveva allargato il nostro orizzonte musicale,
ritenendo di poter ancor più penetrare efficacemente in un mercato sempre più affamato a causa
delle importanti novità che si stavano impadronendo dei filoni tradizionali della musica, fino quasi
a soppiantarla.
Racconta Leonardo:
“sul finire dell’estate, al rientro dalla nostra tournee corsa di tutto il gruppo, mi accorsi che
nella nostra città qualcosa stava cambiando. Infatti sullo slancio della “Bleatesmania”e del
proliferare dei gruppi musicali anglosassoni, spuntavano da tutte le parti nuove formazioni
musicali che già avevano abbracciato il nuovo sound inglese che, esploso altrove già da circa due
anni, incominciava ad impadronirsi della nostra musica, in parte affiancandosi al Rock di cui
faceva parte, in parte soppiantando il genere latino americano, quello dei cantautori urlatori
nonché quello dei tradizionali gruppi strumentali tipo Shadows. Si trattava del cosiddetto filone
Beat che stava conquistando la nostra generazione col nuovo look dei capelli lunghi e basettoni,
generando un ritorno alle scene di delirio collettivo che avevano caratterizzato la nascita dei divi
del Rock. Caratteristica di questo nuovo sound era la “band”, ovvero il gruppo musicale.
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Anche noi, naturalmente, ci avventurammo su questo filone, senza però perdere di vista gli
altri generi musicali che avevano fatto la fortuna della nostra crescita. Purtroppo Giampiero
ricevette la cartolina precetto e dovette assolvere gli obblighi di leva lasciandoci in preda al
panico in quanto avevamo sperimentato che Tonino poteva essere un ripiego non preparato ad
affrontare la nuova ritmica e d’altra parte le nuove band si erano accaparrati i pochi validi
batteristi della piazza, per cui decidemmo di andare ugualmente avanti con Tonino. Ma nel
programmare l’imminente nuova stagione invernale, dal gruppo uscì anche Giorgio.
Le motivazioni ufficiali erano di natura cameratistica in quanto lo stretto legame che ci
univa ci fece rifiutare una proposta di Giorgio di effettuare la stagione invernale lontano da
Sassari, dove però Giancarlo, a causa della nomina ottenuta per l’insegnamento, avrebbe avuto
grandi difficoltà a seguirci. Nè accettammo di sostituirlo, come proposto per giustificare
l’occasione abbastanza remunerativa. Quindi per forza di cose la collaborazione con Giorgio
ebbe termine e lui formò un suo nuovo gruppo. Fu per noi una grossa perdita anche se rimase
forte il legame che aveva cementato la nostra amicizia.
Racconta Giorgio:
“dopo il rientro dalla Corsica e la defezione di Giampiero mi resi conto che il gruppo con
Tonino alla batteria, pur avendo retto abbastanza la recente estate, col proliferare delle nuove ed
attrezzate formazioni non era più in grado di reggere l’avanzata del nuovo ed io, che avevo
aspirazioni di maggiore crescita, non vedevo nella nostra rabberciata formazione una solida base
per migliorare la nostra musica ma soprattutto per affrontare l’agguerrita concorrenza che si
andava delineando. Inoltre i nuovi musicisti che la piazza sfornava erano di ottima caratura ed
ero convinto che la mia esperienza da trasmettere loro avrebbe creato qualcosa di meglio di ciò
che eravamo riusciti a costruire. Ecco perché non mi sottrassi alla eventualità di uscire dal
gruppo.
Racconta Leonardo:
“in effetti tutte le nostre carenze musicali stavano cominciando a venir fuori: dalle
caratteristiche estremamente dilettantistiche di ciascuno di noi, alla non conoscenza della musica,
oramai fondamentale nella preparazione degli arrangiamenti sempre più articolati, alla non
conoscenza della lingua inglese cui erano improntati i testi dei nuovi brani.
Insomma non potevamo più basare il nostro repertorio su “fiaschi di binu..” o su
“fiaggami…”, né proporre a palati ormai raffinati brani come “Dove sei” (Yesterday), “Non ci
riuscirai” (Thank you girl), “Il nostro cuore” (And i love her), “Ho saputo” (If i fell), “Ora so”
(Let’s dance). Infatti i testi in italiano da me composti erano naturalmente forzati dovendosi
adattare il testo in italiano a dei brani nati in lingua inglese; e questo fatto oltretutto ne
menomava la resa.
Le defezioni di Giorgio e Giampiero, inoltre, dettero il colpo decisivo al gruppo. Io non ero
certo un solista né avevo alcuna tecnica valida per potermi cimentare in quel campo. Dovetti
pertanto mettermi d’impegno per preparare almeno la sigla di apertura e chiusura delle nostre
esibizioni, che allora era “Sentimental Journey”, ed il nostro repertorio fu basato quasi
esclusivamente su brani vocali.
Anche in questo campo la nostra formazione, che pur non necessitava di particolari
preparazioni armoniche in quanto le nostre voci erano naturalmente affiatate e di facile fusione,
cominciò a trovare non dico difficoltà, ma la necessità di attribuire maggiore attenzione nella
ricerca armonica vocale, anche in considerazione che improvvisamente da accordi pieni si
cominciò a passare alle variazioni di 5°, di 6°, di diminuite, di 7° aumentate, che rendevano più
complicata la preparazione della parte vocale dei nuovi brani; insomma la musica si era
“raffinata”. Non che ci spaventassimo, in quel campo ne davamo a tutti, ma non potevamo più
preparare nuovo repertorio di slancio come prima, menomati come eravamo soprattutto nella
parte strumentale (batteria e chitarra conduttrice).
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Ci rendemmo conto purtroppo che la storia dei Lonely Guitars era entrata nella fase
discendente, e soltanto la reputazione conquistata non ci impedì di sparire in maniera improvvisa
dal panorama musicale della nostra città, anche perché, a detta dei nuovi musicisti, eravamo per
loro un punto di riferimento, essendo loro cresciuti ai nostri concerti ed avendo imparato da noi
l’imporci al pubblico in maniera simpaticamente sbarazzina e sempre in linea con l’evoluzione
musicale che nel primo scorcio degli anni sessanta era stata davvero trascinante.
Stranamente si verificò che fummo noi ad andare ad ascoltare le nuove leve nelle loro
esibizioni, e per cercare le novità da far nostre, e perché in tutte le occasioni non mancavamo di
essere invitati sul palco per regalare qualche brano del nostro iniziale repertorio, soltanto in parte
abbracciato dalle nuove generazioni, ma che ancora riusciva a trascinare una parte del pubblico.
E non è che fossimo diventati vecchi, forse lo stavamo diventando sotto il profilo musicale in
quanto nati con una certa impronta che avevamo con estrema passione trasmesso ad un pubblico
che ci aveva seguito con grande interesse e che con piacere vedevamo ora cresciuto musicalmente.
In ogni caso le nostre esibizioni procedevano con sufficiente normalità, avendo consolidato la
nostra presenza nelle piattaforme storiche consistenti nei due Hotel Jolly ed in alcuni siti nei
dintorni della nostra città, che nel passato erano state testimoni dei nostri primi trionfi. Fra le altre
esibizioni il 23 novembre 1965 tenemmo una veglia danzante all’Hotel Jolly Dante dove, con
ingresso di £. 1.500 si aveva anche diritto ad una consumazione, ma era prescritto l’abito scuro; ed
il 28 novembre dello stesso anno suonammo in una festa danzante goliardica presso la “Casa dello
studente” e chiudemmo l’anno all’Hotel Grazia Deledda col Veglionissimo di San Silvestro,
sempre molto ambito dai gruppi musicali della nostra piazza. Diciamo che avevamo mantenuto la
parte più “in” del nostro seguito.
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