Verne, Jules (1828-1905) Ventimila leghe sotto i mari, Milano, Oscar
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Verne, Jules (1828-1905) Ventimila leghe sotto i mari, Milano, Oscar
Verne, Jules (1828-1905) Ventimila leghe sotto i mari, Milano, Oscar Mondadori, 2012 [Vingt mille lieues sous les mers, 1869] [9] [...] Analogo fatto venne osservato il 23 luglio dello stesso anno, nei mari del Pacifico, dal Cristobal Colon della West India and Pacific Steam Navigation Company. Perciò lo straordinario cetaceo poteva trasferirsi da un posto a un altro con velocità sorprendente, dato che a distanza di tre giorni il Governor Higginson e il Cristobal Colon lo avevano osservato in due punti separati, sulla carta oceanica, da più di settecento leghe marine. Quindici giorni più tardi, duemila leghe più lontano, l’Helvetia della Compagnie Nationale e lo Shannon della Royal Mail, incrociandosi in quella porzione dell’Atlantico che è compresa tra gli Stati Uniti e l’Europa, si segnalarono a vicenda il mostro a 42° 15’ di latitudine nord e 60° 35’ di longitudine ovest dal meridiano di Greenwich. [12] [...] Il 5 marzo 1867 il Moravian della Montreal Ocean Company, trovandosi di notte a 27° 30’ di latitudine e 72° 15’ di longitudine, urtò con la fiancata di dritta una roccia che nessuna carta segnalava in quei paraggi. Sotto la doppia spinta del vento e dei suoi quattrocento cavalli-vapore, navigava alla velocità di tredici nodi. Non vi è dubbio che, non fosse stato per la qualità superiore della sua carena, il Moravian, squarciato nell’urto, si sarebbe inabissato con i duecentotrentasette passeggeri che aveva imbarcati nel Canada. [77] [...] - Il mio giudizio è bell’e fatto - replico Ned Land. - Sono furfanti. - Bene. E di che paese? - Del paese dei furfanti! - Mio bravo Ned, quel paese non è ancora segnato sul mappamondo, e confesso che la nazionalità dei due sconosciuti resta un mistero. Non sono francesi né inglese né tedeschi, ecco tutto quanto si può dire. Sarei propenso a credere che il comandante e il secondo provengano da basse latitudini. C’è del meridionale in loro. Ma che siano spagnoli o turchi, arabi o indiani, il loro tipo fisico non lo rivela abbastanza. Quanto al loro linguaggio è del tutto misterioso. [130-131] [...] Qui oggi, 8 novembre, a mezzogiorno, comincia il nostro viaggio di esplorazione sottomarina. - Dio ci assista. - E ora, signor professore, vi lascio ai vostri studi. Ho dato la rotta per est-nord-est, profondità cinquanta metri. Eccovi le carte marine su cui potrete seguirla. Il salone è a vostra disposizione. Permettetemi di ritirarmi. Il capitano Nemo mi salutò. Rimasi solo, assorto nei miei pensieri, tutti concentrati sul comandante del Nautilus. Avrei mai saputo a quale paese apparteneva lo strano uomo che si vantava di non avere nazione? L’odio che aveva giurato all’umanità, quell’odio che cercava forse vendette terribili, da chi era stato provocato? Il capitano Nemo era forse uno di quegli scienziati incompresi, di quei geni «ai quali si è fatto dispiacere» - secondo l’espressione di Conseil - un Galileo moderno, oppure uno di quegli uomini di scienza come l’americano Maury, la cui carriera era stata sconvolta da rivoluzioni politiche? Non potevo ancora saperlo. Ero stato gettato dalla sorte a bordo della sua nave e mi trovavo in suo potere, ma dovevo riconoscere in lui un ospite cortese. Però non aveva mai stretto la mia mano tesa. Non mi aveva mai offerto la sua. Per un’ora intera restai sprofondato in queste riflessioni, cercando di penetrare quel mistero tanto interessante. Poi fissai gli occhi sul vasto planisfero steso sulla tavola, e misi il dito là dove si incrociavano la latitudine e la longitudine rilevate. Il mare ha i suoi fiumi, come i continenti. Sono correnti particolari, riconoscibili dalla temperatura e dal colore; la più importante è nota con il nome di Gulf Stream, o Corrente del Golfo. La scienza ha determinato sul globo la direzione di cinque correnti principali: una nell’Atlantico settentrionale, la seconda nell’Atlantico meridionale, una terza nel Pacifico settentrionale, una quarta nel Pacifico meridionale e una quinta nell’Oceano Indiano meridionale. E’ probabile che una volta ne esistesse anche una sesta, nell’Oceano Indiano settentrionale, quando il Mar Caspio e il lago Aral, riuniti ai grandi laghi dell’Asia, formavano una sola distesa d’acqua. Ora, nel punto indicato sul planisfero passava una di queste correnti: il Kuro-Scivo dei Giapponesi, il Fiume Nero che, uscendo dal Golfo del Bengala dove lo scaldano i raggi perpendicolari del sole dei tropici, attraversa lo Stretto di Malacca, si spinge oltre la costa asiatica, si incurva nel Pacifico settentrionale fino alle isole Aleutine, trascinando con sé anche tronchi d’albero della canfora, e facendo risaltare tra i flutti il puro indaco delle sue acque. Era questa corrente che il Nautilus avrebbe percorso. La seguivo con lo sguardo, la vedevo perdersi nell’immensità del Pacifico e mi sentivo come rapito, quando Ned Land e Conseil apparvero sulla soglia del salone. [145] [...] (...) : - Vediamo intanto cos’è l’isola di Crespo. La cercai sul planisfero. A 32° 40’ di latitudine nord e 167° 50’ di longitudine ovest trovai un isolotto che era stato scoperto dal capitano Crespo e che le antiche carte spagnole chiamavano Roca de la Plata, ossia Rocca d’argento. Eravamo quindi a circa milleduecento miglia dal nostro punto di partenza, e la direzione un po’ modificata del Nautilus portava a sud-est. Mostrai ai miei compagni la piccola isola sperduta nel Pacifico settentrionale. [172-173] [...] Nei giorni e nelle settimane seguenti il capitano mi cercò pochissimo. Lo vidi raramente. Il suo secondo regolarmente faceva il punto, che io trovavo ogni volta sulla carta; così potevo rilevare con esattezza la rotta del Nautilus. [182] [...] Stavo ricostruendo sul planisfero la rotta del Nautilus. Il capitano si avvicinò, mise un dito su un punto della carta pronunciando una sola parola: - Vanikoro. Sugli isolotti di Vanikoro erano andati a perdersi i vascelli di La Pérouse. Mi alzai di colpo. - Il Nautilus ci porta a Vanikoro? - domandai. - Sì, professore. - E potrò visitare le famose isole dove naufragarono la Boussole e l’Astrolabe? - Se vi fa piacere, signor professore. - Quando arriviamo a Vanikoro? - Ci siamo, signor professore. [192] [...] Davanti a noi c’era la gabbia del timoniere, e il capitano Nemo doveva essere là dentro a dirigere personalmente il suo battello. Avevo sotto gli occhi alcune carte eccellenti dello stretto [di Torres], opera dell’ingegnere-idrografo Vincendon Dumoulin e del guardiamarina Coupvent-Desbois (oggi ammiraglio), che avevano fatto parte dello stato maggiore di Dumont d’Urville nell’ultimo suo viaggio di circumnavigazione. Con quelle del capitano King, sono le migliori carte relative allo stretto, e io le consultavo con scrupolosa attenzione. Intorno al Nautilus il mare ribolliva furiosamente. La corrente, muovendo da sud-est a nord-ovest con una velocità di due miglia e mezzo, veniva a frangersi sui coralli le cui punte emergevano a tratti. - Ecco un mare cattivo - disse Ned Land. - Davvero - risposi. - È inadatto a una nave come il Nautilus. - Questo dannato capitano deve essere ben sicuro della rotta - aggiunse il canadese. - Vedo certi ammassi di corallo che ridurrebbero il suo scafo in pezzi solo a sfiorarli. [220-221] [...] Fra l’altro parlammo della situazione in cui si trovava il Nautilus, incagliato proprio nello stretto dove fu sul punto di perdersi Dumont d’Urville. E su questo argomento: - D’Urville fu uno dei vostri più grandi marinai, uno dei vostri navigatori più intelligenti! - disse il capitano Nemo. - È stato il Cook francese. Ma che disdetta! Aver sfidato le banchise del Polo Sud, i coralli del Pacifico e i cannibali dell’Oceania per morire infine miseramente in un treno! Se quell’uomo energico ha potuto riflettere negli ultimi istanti di vita, immaginate i suoi tormentosi pensieri? Il capitano Nemo pareva commosso. Segno l’evento al suo attivo. Poi, carte alla mano, rintracciammo i percorsi del navigatore francese, i suoi viaggi di circumnavigazione, il doppio tentativo al Polo Sud che portò alla scoperta delle Terre Adélie e Luigi Filippo; infine i rilievi idrografici delle principali isole dell’Oceania. - Ciò che d’Urville ha fatto alla superficie dei mari - disse il capitano Nemo - io ho potuto farlo dentro all’oceano e più facilmente, più ampiamente di lui. L’Astrolabe e la Zélée, sballottate senza tregua dagli uragani, non valevano il Nautilus, tranquillo gabinetto di lavoro, un autentico sedentario in mezzo alle acque! - Eppure - obiettai - c’è qualcosa di analogo fra le due navi di Dumont d’Urville e il Nautilus. - Quale, signore? - Anche il Nautilus si è incagliato. - Il Nautilus non si è incagliato - ribatté freddamente. - È fatto anche per starsene quieto sul letto dei mari; e io non dovrò fare le fatiche, le complicate manovre che a d’Urville impose il disincagliamento delle corvette. L’Astrolabe e la Zélée furono là in punto di morte; il Nautilus non corre alcun pericolo. Domani all’ora stabilita la marea lo solleverà piano piano ed esso riprenderà a navigare. - Non ho dubbi... - Domani - riprese il capitano Nemo, alzandosi - domani alle due e quaranta del pomeriggio il Nautilus galleggerà, e senza avarie lasceremo lo Stretto di Torres. [224] [...] Facevamo rotta direttamente verso ovest. L’11 gennaio doppiammo il Capo Wessel, situato a 135° di longitudine e 10° di latitudine, sulla punta orientale del Golfo di Carpentaria. Gli scogli restavano numerosi, ma erano più sparsi e rilevati sulle carte con la massima precisione. Il Nautilus evitò facilmente a sinistra i frangenti di Money, gli scogli Victoria a dritta, lungo il decimo parallelo che seguivamo rigorosamente. [259] [...] Il capitano Nemo e il suo secondo apparvero nel salone dov’ero tornato. Il capitano lanciò un’occhiata alla carta. Poi, volgendosi verso di me: - L’isola di Ceylon - disse - è famosa per le peschiere di perle. Vi piacerebbe, signor professore, visitarne una? - Certamente, capitano. - Bene, è un’impresa facile. Solo che, se vedremo le peschiere, non vedremo i pescatori. La stagione dello sfruttamento non è ancora cominciata. Ma non importa. Darò ordine di puntare la prua sul Golfo di Manaar, dove arriveremo nella notte. Il capitano parlò brevemente al secondo, che uscì subito. Poco dopo il Nautilus tornò nel suo liquido elemento, e il manometro disse che si teneva a una profondità di trenta piedi. Cercai allora sulla carta il Golfo di Manaar: lo trovai al nono parallelo, sulla costa nordoccidentale di Ceylon. Era formato da un prolungamento dell’isoletta di Manaar. Per arrivarvi bisognava risalire tutta la costa occidentale di Ceylon. [313] [...] Il Nautilus emergeva con la sola gabbia del timoniere, o scendeva a grandi profondità, perché tra l’arcipelago greco e l’Asia Minore il fondo è di duemila metri. Non feci dunque conoscenza dell’isola di Carpathos, una delle Sporadi, se non mediante un verso di Virgilio che il capitano Nemo mi citò indicando un punto del planisfero: Est in Carpathio Neptuni gurgite vates caeruleus Proteus... [319] [...] - E il canale in cui ci troviamo adesso? - domandai. - Eccolo - rispose il capitano, mostrandomi una carta dell’arcipelago. - Come vedete vi ho segnato i nuovi isolotti. - Ma un giorno questo canale si colmerà? - È probabile, signor Aronnax. Dopo il 1866 otto isolotti minuscoli spuntarono davanti al porto di San Nicola, a Palea Kamenni. Sembra evidente che Nea e Palea in un tempo non lontano si uniranno. Nel Pacifico sono gli infusori che formano i continenti; qui sono i fenomeni eruttivi. Guardate, professore, ecco il lavoro che si compie sotto le onde. [324] [...] Stavamo passando fra la Sicilia e la costa tunisina. In quel breve spazio fra il Capo Bon e lo Stretto di Messina, il fondale risale bruscamente. Vi si è formata una vera e propria cresta su cui poggiano diciassette metri d’acqua, mentre da un lato e dall’altro la profondità è di centosettanta metri. Il Nautilus dovette manovrare cautamente per non sbattere contro la barriera sottomarina. Mostrai a Conseil, sulla carta del Mediterraneo, il luogo in questione. - Non dispiaccia al signore - osservò Conseil - ma è come un istmo sommerso che unisca l’Europa all’Africa. [340] [...] Me ne resi ben conto: era il teatro della battaglia avvenuta il 22 ottobre 1702. Qui erano affondati i galeoni carichi di ricchezze. E il capitano Nemo veniva a incassarvi, secondo le proprie esigenze, i milioni di cui zavorrava il Nautilus. Solo per lui infine le Americhe avevano generato questi metalli preziosi. Era l’erede incondizionato di tesori sottratti agli Incas e ai vinti di Fernando Cortez. - Sapevate, professore - disse sorridendo - che il mare fosse così ricco? - Sapevo - risposi - che si valuta a due milioni di tonnellate il denaro custodito dalle sue acque. - Esatto. Ma per estrarre questo denaro le spese supererebbero i profitti. Qui invece io non ho che da raccogliere quello che gli uomini hanno perduto, e non solo nella baia di Vigo, ma in mille altri luoghi di cui la mia carta sottomarina ricorda l’ubicazione. Adesso, capite come io sia ricco a miliardi? [343] [...] - Qual è la direzione attuale? - gli domandai. - Non lo so. - E va bene. Vedremo i rilievi a mezzogiorno. Ned Land tornò da Conseil. Appena vestito andai nel salone. La bussola non era rassicurante. La rotta puntava a sud-sud-ovest. Stavamo voltando le spalle all’Europa. Con impazienza attesi che il punto fosse riportato sulla carta. Verso le undici i nostri serbatoi si svuotarono, e la nave risalì in superficie. Corsi sulla piattaforma, dove Ned mi aveva preceduto. Nessuna terra in vista. Nient’altro che l’oceano. Qualche vela all’orizzonte, diretta senza dubbio verso il lontano Capo San Roque per trovarvi i venti favorevoli a doppiare il Capo di Buona Speranza. Il cielo era coperto, e si annunciava burrasca. Ned, infuriato, fissava l’orizzonte brumoso. Sperava ancora che dietro la nebbia sbucasse la terra desiderata? A mezzogiorno il sole apparve per qualche momento, e l’ufficiale in seconda approfittò della schiarita per la solita operazione. Poi, dato che il mare si faceva più agitato, scendemmo tutti, e il boccaporto fu richiuso. Un’ora dopo consultai la carta. La posizione del Nautilus vi era segnata con 16° 17’ di longitudine e 33° 22’ di latitudine, a centocinquanta miglia dalla costa più vicina. Inutile ormai pensare alla fuga. Si immagina facilmente la collera di Ned quando ebbe la notizia. [415] [...] Eravamo là da venti minuti, attenti ai minimi rumori, quando entrò il capitano. Parve non vederci. La fisionomia, di solito impassibile, rivelava inquietudine. Osservò in silenzio bussola e manometro, e andò a posare un dito su un punto del planisfero, nella zona relativa ai mari australi. Non interruppi il suo esame. [433] [...] Tagliammo il circolo polare e facemmo rotta verso Capo Horn. Eravamo in vista della punta americana la sera del 31 marzo. Le sofferenze di prima erano dimenticate. Non pensavamo che all’avvenire. Il capitano non si mostrava più né in salone, né sulla piattaforma. Il punto, fatto dal secondo e riportato quotidianamente sul planisfero, mi consentiva di conoscere la direzione esatta del Nautilus. E quella sera fu evidente che tornavamo a nord per la rotta atlantica. Comunicai al canadese e a Conseil il risultato delle mie osservazioni. [484-485] [...] Fatto il rilevamento sulla carta, vidi che passavamo nei pressi della Manica, e ci dirigevamo verso i mari boreali molto velocemente. [486] [...] Non sapevamo più nulla del capitano Nemo e dell’intero equipaggio. Il Nautilus navigava quasi sempre in immersione. Quando risaliva alla superficie per rinnovare l’aria, i boccaporti si aprivano e tornavano a richiudersi automaticamente. Il punto non venne più registrato sul planisfero. Non sapevo dove fossimo. Quotation by Filippo Panzavolta www.mapsinliterature.it