Introduzione - Tiziano Terzani

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Introduzione - Tiziano Terzani
Una testimonianza di pace
TIZIANO TERZANI
nel cortile della Pieve a Sesto Fiorentino
la sera del 19 settembre 2002
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Introduzione
di Don Silvano Nistri, parroco di Pieve di San Martino (FI)
Tiziano Terzani venne a Sesto Fiorentino la sera del 19 settembre 2002. L’avevo
incontrato nel cinema di Sesto qualche mese prima quando aveva parlato ai ragazzi delle
scuole superiori e gli avevo chiesto di venire in Pieve: "La faccio parlare in chiesa", gli
dissi. Così un paio di giorni prima, non ricordo bene se il 16 o il 17 settembre mi
comunicò, tramite il comune amico Paolo Pecile, la sua disponibilità.
Il tempo era molto stretto ma si riuscì a passare la voce. Il cortile della nostra Pieve era
gremito di gente, molti anche a sedere per terra sul selciato. A occhio e croce almeno
quattrocento persone. Tiziano stette a cena con noi in canonica con la moglie Angela,
Paolo e Dina Pecile: cena rigorosamente vegetariana che apprezzò moltissimo. Dopo
cena la conversazione sotto le stelle. Avevamo preparato un tavolo sotto il colonnato del
cortile, ma Tiziano ci saltò sopra con una mossa che mi parve giovanile, certo acrobatica.
Così, seduto sul tavolo, le gambe incrociate, iniziò la conversazione. Registrammo tutto.
Purtroppo non si fecero fotografie e me ne dispiace.
Mi arrivò poi, una ventina di giorni dopo, una sua cartolina entusiasta:
"Una serata indimenticabile. Ci s’era messa anche la luna a riscaldare il panorama
umano! Grazie della sua generosità e per l’accoglienza e il libro che ho ripercorso come
un cammino nella nostalgia di quella Firenze anche mia. A presto suo, Tiziano Terzani."
Don Silvano Nistri
Note: per ricordare Tiziano Terzani e la serata indimenticabile passata con lui nel cortile della Pieve la
sera del 19 settembre 2002, abbiamo voluto dare alle stampe il testo del suo intervento di cui esisteva una
registrazione. La conversazione, trascritta fedelmente da Franca Righini, è stata pubblicata dopo la
scomparsa di Terzani e ovviamente non è stata rivista dall'autore.
Il testo integrale in formato .doc è scaricabile al seguente indirizzo:
http://www.parrocchie.it/sestofiorentino/sanmartino/terzani.doc
Per contattare il sito della parrocchia di Pieve di San Martino digitare questo indirizzo:
http://www.parrocchie.it/sestofiorentino/sanmartino/
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Il mio pellegrinaggio di pace.
Per un mese e mezzo - tra febbraio e marzo sono stato a giro per l'Italia, soprattutto nelle
scuole. Avevo promesso, quando sono partito
per questo mio personalissimo pellegrinaggio di
pace, di non andare ai vari show televisivi. Non
volevo farmi vedere da
Costanzo, né da Vespa, né da
"mosconi" o da mosche
cocchiere
del
potere.....Volevo evitare tutto
questo; perciò sono andato
nelle scuole ed è stato
bellissimo perché ho visto
un'Italia piena di speranza,
gente che ha ancora il cuore
nella parte giusta, che è
disposta a sperare, che vuole
sperare.
Stasera
non
voglio
ripetere le cose che ho detto
altrove; mi piacerebbe, se
fosse possibile, dopo che mi
presento, per quelli che tra di
voi non mi conoscono, se ci
potessimo parlare: serve anche a me seguire le
cose, che cosa succede nel cuore degli altri.
La mia storia è molto semplice: io ho fatto
per 30 anni il corrispondente di guerra come
diceva don Silvano a cui debbo questo invito e
di cui gli sono grato.
Kamikaze della pace.
Per 30 anni ho fatto il corrispondente di guerra,
sono stato a giro per l'Asia a coprire tutte le
guerre, tutte le rivoluzioni, tutte le cose che
sono avvenute e che stanno nelle prime pagine
dei giornali. L'ho fatto da giornalista tedesco,
perché quando ho cercato lavoro in Italia non
riuscivo a trovarlo ed allora sono diventato un
emigrante, come quelli che ai tempi miei,
quando ero giovane, andavano in Germania a
lavorare alla Wolksvagen, con la valigia legata
con lo spago e mangiando il salame nella
seconda classe. Anch'io ho fatto la stessa cosa
andando a fare il giornalista. Per 30 anni ho
fatto questo lavoro in una lingua che non è la
mia. Per questo poi ho cominciato a scrivere dei
libri perché volevo sfogarmi in qualcosa che mi
era più familiare che il tedesco. Ricordo che il
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primo libro che ho scritto si chiamava "Pelle di
leopardo. Diario di un corrispondente di
guerra". Il libro cominciava con queste parole (
mi vengono i bordoni a ripensarci): 1972: il mio
primo giorno in Vietnam. Io avevo fatto la
Scuola Normale a Pisa, avevo tentato di fare
tante cose, avevo lavorato
all'Olivetti... e poi, così, perché
non riuscivo a fare nessun vero
mestiere mi sono messo a fare
questo che non è un mestiere
ma un modo di vivere, mi sono
trovato alla guerra. Non
l'avevo
cercata,
cercavo
qualcos'altro, cercavo qualcosa
che avesse senso nella vita:
volevo fare giustizia, quella
sociale, quella umana; per
questo ero finito in Vietnam e
mi sono trovato al fronte. Nel
mio diario le prime righe - che
poi furono le prime di quel
primo libro - erano: "la guerra
è una cosa triste, l'abitudine".
E dicevo: "il primo morto,
quando l'ho visto rovesciato lungo la strada,
giallo in faccia, con la bocca piena di mosche,
mi ha shockato; gli altri poi ho imparato per
mestiere a contarli, come quantità".
Per 30 anni ho contato morti ed ora non
riesco più a fare il corrispondente di guerra e in
qualche modo mi rendo conto che non ci ho
fatto l'abitudine alla guerra. Ora mi sembra di
diventare quello che una televisione svizzera ha
detto in un video, che uscirà in occasione del
mio libro "Lettere contro la guerra", in cui mi
chiamano " kamikaze per la pace".
Sì, forse mi sento un kamikaze: ho voglia di
parlare di pace, di andarla a raccontare: ai
giovani specialmente. I vecchi, quelli come me,
in fondo ragionano in base a quella che
credono la loro sapienza, l'esperienza del
passato, e l'esperienza del passato ripete dei
modi di essere, dei modi di pensare, ma secondo
me il mondo è così cambiato recentemente che
dobbiamo cambiare noi: non possiamo reagire
secondo gli schemi del passato. Ed è questa una
grande sfida che specialmente i giovani sono
pronti ad accettare per inventare un nuovo
futuro, perché il futuro che noi ci eravamo
immaginati non c'è più. Io ho simpatia, ho
compassione per i giovani! Avevamo promesso
ai giovani la nuova era, il terzo millennio, l'età
dell'acquario. Il terzo millennio! Ci sarebbe
stata ricchezza ovunque, avremmo potuto
spartire la nostra felicità, ci sarebbe stato da
mangiare per tutti e chi non era felice bastava
che prendesse una pasticchina di ecstasy per
essere lo stesso felice!
Abbiamo tolto ai nostri giovani, da sotto il
naso, la minestra prima ancora che ci mettessero
il cucchiaio dentro. Viviamo ormai in un mondo
terribilmente insicuro, abbiamo sempre più
paura, non ci fidiamo più di niente.
L'altro giorno, tornando da Parigi, ero alla
stazione con la mia bella borsettina e stavo
aspettando. Siccome mi pesava l'ho posata ed è
rimasta lì per un minuto. La gente ha
cominciato a dire:" Ma di chi è quella valigia?
E' sua?", come se in ogni valigia ci fosse una
bomba. Ormai viviamo così!
Inventare il futuro.
Questo futuro dobbiamo inventarlo ed è
forse questa, dell'11 settembre - come io l'ho
chiamata - una grande occasione, perché l'11
settembre ci ha messo dinanzi a questa
incredibile novità, dinanzi alla quale noi
dobbiamo diventare nuovi.
L'11 settembre in sé non è stato una grande
novità; la grande novità, secondo me, nella
storia dell'umanità è avvenuta nell'agosto del
1945 con lo scoppio di due bombe a Hiroshima
e Nagasaki, due bombe atomiche, che, non con
cattiveria ma che ci tengo a ricordarlo, sono due
bombe americane, buttate su due città civili. Né
Hiroshima né Nagasaki erano obiettivi militari e
tutti i morti - qualcosa come trecentomila , a
conti fatti - erano tutti civili. Bombe americane
su due città civili! Forse anche il concetto di
terrorismo andrebbe ristudiato, forse dovremmo
relativizzare tutte queste cose che ogni giorno ci
vengono raccontate.
La bomba atomica.
Secondo me la grande novità è l'energia
atomica: questo uomo che ha preso nelle sue
mani la forza di Dio, che è la forza di quei
quattro elementi che costituiscono il fondo di
tutte le vite - l'acqua, la terra, l'aria, il fuoco l'uomo che ha preso questo e lo usa a suo fine
con questa forza che lui quasi non è più in
grado di controllare. Questa è la grande novità,
secondo me la bomba atomica è stata una
grande svolta nella storia dell'umanità.
Però quelle due bombe non le abbiamo
vissute. La nostra coscienza non le ha recepite,
perché erano lontane; perché non c'era questa
cosa perversa della televisione 24 ore su 24;
perché - in fondo - erano state buttate su dei
giapponesi brutti, gialli, cattivi ! I giapponesi
avevano commesso cose orribili nella seconda
guerra mondiale, per cui in qualche modo era
quasi giustificato che gli americani gettassero
queste bombe per accorciare la guerra si dice. In
verità quelle bombe non le abbiamo sentite, le
abbiamo studiate a scuola, abbiamo visto le foto
dei bambini accartocciati. Io che ho vissuto in
Giappone per cinque anni, andando al museo di
Hiroshima e Nagasaki, ho visto i bambini che
ancora oggi nascono con le teste quadre, con
sette dita invece che cinque per le
degenerazioni genetiche avvenute a causa di
quelle bombe.
Ma quelle bombe non le abbiamo
vissute, mentre l'11 settembre tutto il mondo,
dai lapponi ai bantu agli eschimesi ai cinesi ai
burundi, tutta l'umanità ha visto questo orrore (
dimenticatevi per un attimo i fondamentalisti,
gli arabi, i musulmani, i cristiani, quelli con la
pelle gialla...) che è il risultato dell'uomo,
quello che l'uomo è capace di fare. Tutti
abbiamo visto le due Torri che cadevano ... e
poi? E poi l'orrore della nostra violenza, della
nostra cultura, della nostra civiltà; quelle bombe
sono nostre, sono il prodotto del nostro cercare,
di possedere la natura, forse quelle bombe
ideologicamente nascono nella mia bella
Firenze del Rinascimento, quando l'uomo vuol
conquistare la natura; quelle bombe sono cadute
nell'Afganistan con superiore violenza e quelle
bombe che cadranno forse tra qualche
settimana, tra qualche giorno su Baghdad...
Non siamo più capaci di
indignarci.
Tutti ci rendiamo conto di questo, tutti lo
sappiamo, ma non siamo più capace di
indignarsi, non ci facciamo più contare, non
diciamo più no.
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Per trent'anni ho lavorato per i tedeschi, in
una lingua che non è la mia. Un paese strano la
Germania. Io ne ho sposato una figlia, una delle
poche nate a Firenze per cui sono
fortunatissimo. Questo Paese per 50 anni è stato
messo tra i paria dell'Europa, è vissuto con un
grande complesso di colpa per quello che è
successo nella II guerra mondiale (sei milioni di
ebrei morti nelle camere a gas o bruciati nei
forni crematori), questo Paese che per 50 anni si
è portato dietro questo complesso di colpa,
passato dai nonni ai padri ai figli e ai nipoti,
questo Paese ha trovato, attraverso questo
strano personaggio che - magari l'ha fatto per
essere eletto alle elezioni di domenica (ma la
gente che voterà per lui lo ha impegnato a quel
discorso) - ha dovuto ascoltare la voce del suo
popolo che ha avuto il coraggio di dire agli
americani: No, la guerra non la vogliamo. Ed io
trovo molto bello questo.
Dopo domani parto per la Germania dove è
uscito il mio libro e mi posso permettere, da
italiano, di dire ai tedeschi: "Avete coraggio,
forza, continuiamo così."
E faccio un'altra politica personale: cerco di
dire ai francesi che ho occasione di incontrare:
Usate questo veto vostro a nome dell'Europa. I
francesi infatti hanno l'unico diritto di veto al
Consiglio di Sicurezza, perché il voto inglese
non è europeo. Non voglio arrivare a dire la
brutta frase: 'che Dio stramaledica gli inglesi',
però gli inglesi fanno bene a non usare l'euro e a
dire che se c'è l'alta marea nella Manica sono
isolati dal continente, perché questo signor
Blair a casa sua, in un cassetto segreto,
probabilmente ha un passaporto americano,
perché tutto quello che dice è più americano di
quello che dicono gli americani. Quindi l'unica
vera voce che ancora l' Europa può far sentire è
attraverso quella della Francia, che sarà di
nuovo per un attimo la Francia che De Gaulle
sognava, con un ruolo particolare, contro la
posizione, ad esempio, che ha preso il nostro
Governo o quello di Aznar, che è quella di non
riflettere, ma semplicemente dire: Noi
dobbiamo essere con gli americani perché
siamo amici e siamo grati per il fatto che ci
hanno salvato dalla II guerra mondiale,
E questo ci basta per andare a fare la guerra
ad un popolo diretto da un orribile dittatore,
assassino, tutto quello che volete? Certo, ma se
vogliamo andar dietro a tutti quelli che sono
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assassini avremo una guerra permanente e non
ci sarà mai la pace.
E' un momento molto particolare. Io ho 64
anni; quando gli americani bombardavano il
Vietnam ricordo che c'erano migliaia di persone
che scendevano per le strade ad urlare: " O Chi
Min! Basta con i bombardamenti! ". C'era una
mobilitazione generale delle anime che non
sopportavano questa ingiustizia, questa violenza
che faceva morti.
Ora nessuno si muove. Come è possibile?
Siccome gli americani si preparano a fare la
guerra all'Iraq, qualunque cosa le Nazioni Unite
si apprestino a fare, stanno ritirando le loro
truppe speciali dall'Afganistan e il nostro
governo ha già deciso che manderà forse mille
dei nostri soldati in Afganistan, con pallottole
nostre, ad uccidere gente a nome nostro. Ma noi
lo vogliamo? Non dobbiamo riflettere su
questo?
Non voglio farne una questione
politica.
Non voglio farne una questione di politica,
anzi! E se mi chiedete di politica non rispondo:
ormai sono troppo vecchio per occuparmi di
queste cose. Quasi non leggo più i giornali; mi
pare che la risposta del nostro futuro non verrà
dalla politica. Dirò delle cose orribili, vi prego
di capirmi: parlo col cuore. Non ho nessuna
agenda personale, non voglio essere eletto a
niente, non voglio ricevere nessun premio, dico
quello che il cuore mi dice: i sistemi politici nei
quali oggi viviamo non sono in grado di dare
soluzioni - compresa la democrazia per come
noi la esercitiamo. La democrazia mi piaceva ai
tempi dei greci quando, tutti in piazza, con la
spada, decidevano se fare la guerra a Sparta, ma
bisognava grattarsi la testa perché se si diceva
sì, si andava alla guerra e si moriva. Oggi ogni
4 anni si va in un baracchino e si vota per chi ci
vuol far felici, ma sono tutti uguali. Io l'ho visto
in Cambogia quando le Nazioni Unite hanno
riportato la democrazia; c'erano tutti questi
segni: uno ci aveva il serpente, l'altro la vacca,
un altro il montone... Le donnine che non
avevano mai visto niente di scritto, giravano
questo foglio... Infatti il partito comunista
cambogiano aveva cercato di farsi mettere al
numero uno nelle liste, ma sapete quanti voti
sono andati all'ultimo partito, perché giravano
la lista alla rovescia?
Questa non è democrazia. La democrazia è
partecipazione, la democrazia è -dinanzi ad ogni
grande decisione- riporsi il problema senza farsi
intrappolare dagli opinions shops che sarebbero
il correttivo della democrazia: si chiede: "Lei
vuole la guerra all'Iraq? ": magari quello sta
portando il bambino a scuola, sta spingendo il
carrello della spesa.... "Sì, sì, io voglio la
guerra" risponde senza neanche pensare ed ecco
la conclusione: il 60% vuole la guerra.
Io dico che la risposta non ci viene data
dalla politica, ma ci verrà in altro modo: ci
verrà dai pulpiti in cui forse nuove generazioni
di credenti e di portatori di parola di verità
sapranno parlare al cuore della gente; ci verrà
dai giovani, ci verrà da qualcun altro, ci verrà
da un nuovo Gandhi che verrà da qualche parte
con un altro nome, ma la politica non la vedo
risolvere questi problemi.
Rifondare le istituzioni.
Pensate un po', ormai operiamo con sistemi
come quello delle Nazioni Unite, nel quale
ormai siamo intrappolati, in cui ci sono i paesi
vincitori della II guerra mondiale che hanno
ancora il diritto di morte e di vita sul mondo!
Un paese come l'India, che ha un miliardo di
persone, non è rappresentata al Consiglio di
Sicurezza! Eppure l'India ha oggi le bombe
atomiche con cui può buttare di sotto il
Pakistan. Tutto questo non ha senso. L'Asia non
è rappresentata che dalla Cina.
Tutte le istituzioni sulle quali fondiamo la
nostra convivenza non sono più all'altezza,
vanno riviste, occorre coraggio, occorre
riinventarsi il futuro.
Allora il mio appello, che porto là dove
qualcuno mi dà la possibilità, è questo:
dobbiamo riflettere, dobbiamo prendere
seriamente quello che è successo l'11 settembre
e quello che ci sta succedendo, come
un'occasione di
riflessione. Ripensiamoci!
Siamo tutti diventati degli automi. Tutto è
automatico, come la sveglia la mattina, il
telegiornale ... uno ti sorpassa: "Dove va lei?"....
Tutto è automatico nella nostra vita, non
abbiamo più un momento di vuoto, un momento
in cui pregare, meditare, riflettere, guardare chi
ci sta attorno. Tutto è automatico e in questi
automatismi abbiamo perso l'anima, abbiamo
perso la voce del cuore, non la stiamo più a
sentire, siamo così assordati dai rumori che non
stiamo più a sentire l'unica voce a cui dovremo
dare ascolto. Allora io dico: fermiamoci,
fermiamoci! E' un momento straordinariamente
importante e straordinariamente pericoloso.
Pensate un po': se questa amministrazione
americana fa la guerra all'Iraq - ed è probabile
che la farà al di là di quello che le Nazioni
Unite decidono, perché ormai c'è questo senso
di una missione storica dinanzi alla quale niente
è più grande, neppure la legge... Qualcuno mi
chiedeva cosa penso della guerra preventiva. La
guerra preventiva?! Ma diamo i numeri ? E la
nostra Costituzione? Vogliamo fare qualcosa
per la pace ? Allora rispettiamo le regole che ci
siamo dati. Rileggete la Costituzione italiana e
diciamoglielo: la Costituzione italiana dice che
l'Italia si impegna a non usare la guerra come
mezzo per la risoluzione di conflitti
internazionali. E' semplice poesia ? Questi
grandi vecchi che ci han dato questo bel Paese
ci hanno pensato bene: l'Italia rinuncia alla
guerra
come
strumento
di
conflitti
internazionali! Perché allora mandiamo i soldati
in Iraq e in Afganistan? Non è guerra mandarli
con i fucili a sparare alla gente? E le Nazioni
Unite cosa dicono? Dicono la stessa cosa. Dunque, se l'amministrazione americana
porterà il mondo verso l'abisso che è quello di
attaccare l'Iraq, con l'illusione che tutto finirà in
pochi giorni, a questo punto andiamo anche a
risolvere il problema dell'Iran perché anche lì
c'è l'asse del male e poi la Libia, la
Giordania...... Se questo succede ci troveremo
confrontati quotidianamente con la paura,
perché ad una azione c'è una reazione, ad una
violenza non c'è che un'altra violenza. E voi vi
aspettate che tutto questo passi perché noi soprattutto l'uomo occidentale -siamo capaci
con questa grande tecnologia di stare su a
trentamila piedi, pigiare un bottone e ...bum! Si
ammazzano i bambini, le donne, tanto non ci
acchiappano mica lassù! Ma è giusta questa
asimmetria? Vi prego, capite questo: è giusta
questa asimmetria del potere tecnologico che gli
occidentali possiedono a così alto livello nei
confronti di chi non può difendersi?
Contro questo avviene il terrorismo. Come
vi spiegate il terrorismo in Nigeria di cui si è
parlato oggi? E' questa asimmetria. Non si può
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in una situazione di guerra - perché guerra è da un lato avere gli elicotteri, i carri armati più
incredibili, i bulldozer che buttano giù le case e
dall'altra parte i ragazzini con i sassi. L'unica
arma sono allora i kamikaze. Non possiamo
immaginarci che sarà possibile bombardare
l'Iraq e poi l'Iran e chi altro venga, da altezze
irraggiungibili senza che poi sotto non succeda
qualcosa.
Vogliamo parlare di terrorismo?
Intanto dobbiamo metterci d'accordo, se è
possibile, su cosa è il terrorismo. Ve l'ho
accennato prima ma posso fare molti altri
esempi. La mia collega indiana Arundhati Roy,
quando gli americani volevano che mullah
Omar consegnasse Osama Bin Laden, senza
fra l'altro dare le prove che Osama Bin Laden
era responsabile dell'attacco al Word Trade
Center, la mia collega indiana diceva agli
americani: Noi abbiamo le prove che il
presidente americano della Union Carbide, è
responsabile della morte di 16/17 mila indiani
nell'esplosione della fabbrica chimica di Bhopal
in India. Perché non ce lo estradate?
Perché la Union Carbide ha fatto in India
una fabbrica che mai avrebbe potuto fare nel
Primo Mondo, dove avrebbe dovuto rispettare
certe regole di sicurezza e di controllo dei
prodotti chimici. In India invece..... e, guarda
caso, un bel giorno: bum! Nel giro di pochi
secondi 15 mila persone muoiono ed altre
migliaia rimangono ciechi. Non è anche questa
una forma di terrorismo?
Ma ora parliamo del terrorismo delle bombe
dei kamikaze.
Se vogliamo combattere il terrorismo non lo
potremo mai fare uccidendo i terroristi, perché
creeremo nuovi terroristi. L'unico modo per
combattere il terrorismo è uccidere le ragioni
che fanno di una persona come noi, più giovane
di noi, nato per vivere felice, un terrorista.
In questo ultimo anno abbiamo letto le cose
più incredibili su quello che sarebbe successo,
perché - fra l'altro - voi siete ancora convinti di
sapere cosa è successo nel mese di settembre?
Ogni giorno ce n'è una nuova; ora viene fuori
che gli americani sapevano che sarebbe stato
possibile un attacco così.
Io non sono di quelli che pensano che se la
sono inventata loro, non sono neppure uno di
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quelli che credono che il Pentagono non è stato
colpito da un aereo. Certamente noi sappiamo
con esattezza cosa è successo l'11 settembre,
però da quel giorno ad oggi ci sono state
raccontate tante storie. Io lo ripeto tante volte:
questa guerra non è stata una guerra di bombe,
di missili intelligenti, è stata soprattutto una
guerra di bugie e la guerra continua. Noi siamo
già in guerra, ogni giorno quando accendete la
televisione c'è la guerra, una guerra psicologica.
Il modo con cui vi vengono poste le notizie, il
modo con cui vi viene raccontato chi è Saddam
Hussein: un assassino che gassa i suoi, come
dice Bush. Nessuno si alza per chiedergli chi ha
dato a Saddam il gas. Glielo hanno dato gli
americani, perché Saddam Hussein è in parte
un'invenzione degli americani, quando serviva a
colpire l'Iran; e l'antrace che ha fatto così
spavento dopo l'11 settembre, proveniva dai
laboratori americani; eppure ogni giorno ci
vengono raccontate queste storie senza che
nessuno si alzi e dica:" Ma è il contrario!"
"Il signor Saddam Hussein è un notorio
assassino che non ha rispettato le deliberazioni
del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e
tutti, ora, gridano allo scandalo". E Israele
allora?
E poi c'è il petrolio e tanti altri interessi.
Guardate la carta del mondo come è cambiata:
gli americani hanno oggi una grande base
militare in Pakistan, in Tagikistan, in
Uzbekistan; il petrolio dell'Asia Centrale passa
attraverso l'Afganistan...... E perché l'Iraq?
Perché il petrolio dell'Arabia Saudita è incerto,
perché l'Arabia Saudita, paese tenuto in piedi
con questa formula dall'appoggio occidentale,
traballa, perché non si capisce bene fino a che
punto Osama Bin Laden è legato ad una certa
parte del potere saudita che tenta di rovesciare
la casa reale. Perché il principe Burqui a capo
dei servizi segreti sauditi è stato rimpiazzato
due anni fa? Allora, se il petrolio saudita è in
dubbio, meglio accaparrarsi quello iracheno!
Dobbiamo renderci conto che ogni giorno
siamo vittime di una cattiva informazione, di
una informazione parziale.
Dobbiamo prendere coscienza!
La pace nasce dal perdono.
Tutti mi dicono:" Tu parli sempre di pace,
ma se te l'11 settembre fossi stato il presidente
Bush cosa avresti fatto?"
Intanto l'11 settembre io non potevo essere il
presidente Bush perché mio fratello non è il
governatore della Florida che conta i voti.... Ma
anche se fossi stato il presidente Bush c'erano
tanti altri modi di reagire che quello di mandare
gli aerei, di usare violenza!
E' bello il messaggio del papa che parla del
perdono. "La pace nasce dal perdono". Un
amico indiano mi diceva: "Sino a che gli
israeliani non avranno perdonato Hitler e i
tedeschi, in Israele non ci sarà mai la pace". E'
un bel pensiero: gli ebrei dovranno perdonare
Hitler e i tedeschi e allora, forse, anche Israele
avrà pace.
Il perdono è una grande cosa e le parole del
papa sono belle. Sembra un'assurdità invece...Il
presidente Bush avrebbe potuto andare in
televisione e dire: "Siamo stati vittime di un
orrore spaventoso. La nostra ferita non guarirà".
Perdonare forse era troppo, però poteva dire:
"Non ci abbassiamo a questo livello, non
reagiremo con questa violenza". Gli avrei
permesso persino di dire: "Siamo una grande,
superiore, civiltà". E non reagire allo stesso
modo; il mondo sarebbe molto diverso,
l'America sarebbe di esempio ad altri paesi,
invece di essere oggetto di un odio che aumenta
pericolosamente. E' pericoloso anche per noi
che aumenti questo odio per l'America.
Togliere la violenza dalla nostra
vita.
Allora il mio appello è di riflettere: la
violenza non provoca che violenza, l'odio non
crea che odio. L'ha detto un indiano di 2500
anni fa che si chiamava Budda: l'odio si
combatte solo con l'amore. L'ha detto Cristo
500 anni dopo: ama il prossimo tuo come te
stesso. Lo dicono tutti, ma in qualche modo ci
sentiamo incapaci di farlo.
Guardate stasera questa luna stupenda,
guardate queste colonne che hanno una
grandissima storia....! Questi potrebbero essere
gli ultimi giorni della nostra vita, perché la
catena di violenza ormai è fuori dai nostri
controlli; non sono più i massacri di un tempo:
il potere tecnologico che l'uomo si è preso in
mano è tale che si scombina il fondamento della
natura. Siamo in grado, oggi, di rovinare il
mondo che ci dà la vita.
L'11 settembre, e quello che ci sta
accadendo, deve essere un'occasione per
riflettere, farci contare, farci sentire: vogliamo
la pace. Dobbiamo togliere la violenza dalla
nostra vita.
Rifletteteci bene: la violenza aumenta
enormemente; magari non ce ne accorgiamo
perché non abbiamo visto la guerra in casa
nostra, ma basta accendere la televisione e non
si vede che violenza. Qualcuno in America ha
fatto uno studio a questo riguardo: un bambino
americano che sta davanti alla TV un certo
numero di ore, in un anno vede 2420 assassinii,
30 stupri ecc. ecc. Continuamente violenza; il
guidare fa violenza, ogni cosa che facciamo ha
una carica di violenza.
L’armonia dei contrasti.
Alla fine di una vita - ho 64 anni - dopo 30
di questo mestiere, tutte le violenze che ho visto
fuori erano il risultato di una rivoluzione. Io
sono sempre stato affascinato dalle rivoluzioni.
Nasco in una famiglia metà cattolica e metà
comunista; al tempo delle elezioni il babbo comunista – diceva alla mamma: "Te per chi tu
voti?". "Il voto è segreto", rispondeva mia
madre (cattolica).
Forse già questo, dicevo, ha preparato la mia
vita in Asia: l' equilibrio, l'armonia di questa
contraddizione familiare mi ha preparato forse a
questo mio vivere in Asia dove mi pare di aver
capito che il bello della vita è l'armonia dei
contrasti, l'uno contro l'altro, ma tutte e due
devono esistere. Non c'è uomo senza donna,
non c'è acqua senza fuoco, non c'è giorno senza
notte. Invece l'idea orribile di tutti i
fondamentalismi è quella di eliminare il male;
Osama Bin Laden dice che Bush è il male, per
Bush il male è Osama Bin Laden: tutti e due
invocano i loro dii... e i loro passati non sono
più divini...
Ma poi, ci credete davvero che si possa
eliminare il male?
Forse il male deve esistere perché esiste il
bene ed è la loro contraddizione che fa la vita.
E' così bella la nostra vita fatta di diversità. Se
noi vogliamo sempre eliminare il diverso,
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finiremo con il non sapere più chi siamo noi,
perché l'esistenza del diverso determina la
nostra identità.
Si tratta solo di intendersi, di rispettarsi
reciprocamente, anche il male e il bene
potrebbero andare a cena insieme. Se Bush
riuscisse ad eliminare il male, cosa farebbe il
bene tutto solo? Dovrebbe dividersi in due !
Forse hanno ragione gli asiatici con il loro
simbolo dello ying e dello yang: all'interno
dello yang c'è un punto di ying, all'interno della
luce c'è un punto d'ombra, all'interno dell'ombra
c'è un punto di luce, perché questo è l'equilibrio
della vita.
Se cominciamo a ragionare così, ad accettare
che il diverso è necessario - perché se è vero
che alla biodiversità nella natura si affidano gli
ecologisti e anche a noi piace, perché eliminare
tante specie ci dà noia: muoiono gli uccellini,
muoiono certi tipi di animali....- perché anche
l'uomo non deve accettare il diverso? E' qui che
la globalizzazione è sacrilega: dobbiamo
diventare tutti uguali, tutti consumatori, tutti
fatti sulla stessa misura, così ci possono rifilare
gli stessi prodotti. E' bello invece essere diversi
anche nelle religioni, nel modo di essere; io lo
ripeto ogni volta che mi viene data l'occasione,
come adesso.
Nella vita io non ho fatto che una cosa:
viaggiare. Oggi, vi devo dire, che ci sono nel
mondo milioni e milioni di persone - molte nel
mondo musulmano - che non vogliono vivere
come noi, che non vogliono sognare come noi,
che non vogliono avere i nostri desideri, che
non vogliono trattare le donne come le trattiamo
noi. Attaccatemi pure! Ho detto che del burqa
abbiamo fatto una storia un po' più grossa di
quella che è.
Noi, in occidente, non abbiamo il monopolio
di nulla, dobbiamo rendersene conto; non
credete al nostro primo ministro che dice che
noi siamo una civiltà superiore. Noi non
abbiamo il monopolio di superiorità di nulla,
non abbiamo il monopolio della cultura, della
civiltà, della saggezza, della bellezza, non
abbiamo certo il monopolio della dignità della
donna. Credete che noi rispettiamo le donne
molto più dei musulmani? Ma chi ve lo ha
detto? Quella mia concittadina di cui non voglio
fare il nome? Se date retta a lei, a Bologna,
prima dell'11 settembre, sarebbe apparso un
volantino musulmano in cui si diceva: "Domani
8
ne vedrete delle belle!", facendoci intendere che
a Bologna c'era un gruppo di musulmani che
sapevano che Osama Bin Laden - o chi per lui avrebbe l'indomani buttato giù le Torri Gemelle.
Sì, il volantino c'era, ma del mese dopo.
La violenza nasce dentro di noi.
E' il momento di riflettere, è il momento di
rendersi conto che tutta la violenza che spesso è
fuori, nasce da noi.
Dicevo prima che io sono sempre stato
affascinato dalle rivoluzioni. Sono andato in
America a studiare il cinese, perché volevo
andare in Cina a vedere cosa era questo sogno
maoista; ero incuriosito di vedere un paese che
riesce a liberarsi dal giogo del colonialismo,
dall'imperialismo occidentale, da tutti i pasticci
fatti dall'occidente nell'Ottocento, che segue
Mao che nel '49 dice:" E ora stiamo in piedi da
noi!. E' affascinante e volevo vedere. Mi sono
studiato il cinese - un rompimento di scatole su
cui ci ho perso gli occhi - per andare in Cina a
vedere la rivoluzione.
Sono stato in Vietnam per vedere la
rivoluzione di questi contadini che si
ribellavano all'imposizione occidentale di
dividere il loro paese in due.
Dopo tante rivoluzioni di cui sono stato
testimone, ho concluso una cosa molto semplice
e banale: le rivoluzioni non servono a nulla,
sono dei grandi massacri, pieni di morti, sono
una grande tristezza, sempre gente che piange.
Forse c'è un'altra rivoluzione da fare, ma non è
fuori, è dentro di noi, perché le radici vere di
ogni violenza sono là; non sono nell'economia,
nel nazionalismo, nel colonialismo, nelle
bandiere, nelle religioni: queste sono scintille
che servono ad attizzare un fuoco, ma le vere
radici del fuoco sono dentro, sono nelle nostre
passioni, nei nostri desideri, nella nostra
cupidigia, nell'arroganza. E' lì che nasce la
violenza. "Lei non sa chi sono io!" " E chi
sei?". Nessuno sa chi siamo. Facciamo buchi in
questa terra e nell'ozono, ammazziamo gli
animali, mangiamo, siamo amici di quelli che
bombardano.... Ma se ci fermiamo un attimo e
riflettiamo su quello che sta succedendo ci
accorgiamo che è tutto assurdo, ci creiamo una
vita spaventosa.
Dico una cosa e poi taccio perché vorrei che
mi faceste domande.
Non siamo solo corpi.
L'uomo è il risultato di cinque miliardi dalla
scimmia: abbiamo fatto una grande evoluzione
per diventare quelli che siamo! Tra cinque
milioni di anni cosa saremo? E' chiaro che
l'uomo che noi siamo non è il progetto
definitivo, siamo in una fase di transizione.
Cosa vogliamo diventare, una scimmia
elettronica o qualcosa di meno legato alla
materia? Non siamo solo corpi; gli ultimi
cinquant'anni ci hanno distrutto, la ricchezza ci
ha fatto diventare poveri: non siamo mai stati
così spiritualmente poveri da quando siamo
diventati ricchi. Siamo solo corpi, corpi da
rimpinzare di vitamine, di boccette, di carne;
corpi da rivestire con abiti firmati che costano
l'ira di Dio, corpi lucidati, da tenere in vita fino
a cent'anni. Si spende più soldi per questi corpi
che per qualsiasi altra cosa.
Ma siamo solo corpo? Non c'è qualcosa
dietro?
Ricordiamocelo: facciamo questo salto.
Prendiamo coscienza. Ce l'abbiamo questa
coscienza che è così bella; è uno strumento
straordinario che, tra gli esseri viventi, pochi
hanno. Non ce l'ha di certo la mucca o la
pecora. Usiamo la coscienza per fare un passo
in su, per toglierci da questa materia, guardare i
nostri simili come davvero nostri simili - gialli,
neri, musulmani - cattivi anche, ma simili. In
fondo siamo tutti uguali.
La mia concittadina (di cui non faccio il
nome) ha fatto un'operazione il cui diritto
riconosco, sacrosanto ma ignobile, perché in
ognuno di noi c'è il cane. Guardatemi bene: son
carino, con la barba bianca che sembro Babbo
Natale, sembro una persona per bene, parlo di
pace, dico che son sposato da 45 anni con la
stessa donna: io non sono un consumista, ne ho
sposato una sola! Però dentro di me c'è un
assassino, un ladro, un pedofilo, un adultero ....
però c'è la coscienza che dice a tutti: Fermati!
Dentro di me c'è un tale pronto a mordere tutti: i
negri, i gialli, quelli di Prato perché io sono di
Firenze... in ognuno di noi c'è la bestia. Io con
quel che dico, con quel che scrivo cerco di
mettergli la museruola, ma la mia concittadina
sguinzaglia il cane, per cui tutti quelli che
cercavano di tenerlo buono, sentendosi aizzare
da una voce così importante, si è lasciata
aizzare ed il cane va a mordere tutti. E' per
questo che la considero un'azione pericolosa,
perché il cane ce lo abbiamo tutti, se ci
vogliamo aizzare l'un l'altro possiamo farlo di
notte e di giorno; ma non è forse il momento di
mettergli il guinzaglio, di controllare questa
violenza ? E trovare che c'è un modo più bello
di affrontare le contraddizioni che non è quello
di uccidere ?
Siamo di fronte a grandi scelte.
Allora io dico: questo è un lavoro per gli
uomini. Non ne avremo per tanto. Siamo di
fronte a grandi scelte: la scelta di una
progressiva barbarie - e siamo già su questa
strada - gli americani che non vogliono
riconoscere la comunità internazionale, i
contratti internazionali che hanno firmato, come
le Nazioni Unite, che non vogliono riconoscere
la Corte internazionale di giustizia, che firmano
gli accordi di Kyoto e poi non li rispettano..... E'
una barbarie il crollo delle Torri Gemelle con i
tremila e più morti, ma è altrettanto barbarico
andare a bombardare con armi tecnologiche
l'Afganistan e non c'era un afghano tra i 19 che
hanno buttato giù le Torri; 14 attentatori erano
dell'Arabia Saudita. Perché non hanno buttato le
bombe sull'Arabia Saudita? La logica con cui
gli americani si sono mossi e con cui si
vorrebbero domani muoversi contro l'Iraq è
quella di dire che l'Iraq ha delle armi di
distruzione di massa per cui dobbiamo andare
ad eliminarle. Ma se c'è un paese che è pieno di
armi di distruzione di massa, quello è gli Stati
Uniti. i quali hanno arsenali enormi pieni di
armi di distruzione di massa, hanno 6 mila
testate nucleari, metà delle quali sono già
montate su dei sottomarini, pronte a
bombardare chi non è con loro. Ma loro sono
democratici, mentre Saddam Hussein non lo è.
C'è un altro paese che non è affatto
democratico: la Cina. Come mai non la
bombardano? Ah, ho capito, perché gli
vendiamo tutta la stoffa di Prato e poi loro ci
fanno i telefonini.....O rimettiamo ordine nel
modo in cui ci comportiamo nei rapporti
internazionali, oppure andiamo verso quella che
è la legge della giungla, la legge del più forte,
una forma di barbarie.
Ripeto: siamo oggi dinanzi ad una grande
scelta: o accettare di cadere in una nuova
9
barbarie. Barbarie dell'11 settembre, barbarie
dei bombardamenti in Afganistan. C'è un
grande professore che vive a New York e che
scrive sulla prima pagina dei giornali italiani, il
quale dice che la mia concittadina ha ragione
mentre io ho torto. Ma questi esperti in
definizioni mi vorranno spiegare una volta per
tutte la differenza tra la innocenza di una
segretaria uccisa nel Word Trade Center e
l'innocenza di un bambino di Kabul ? o quella
di dire: Ripensiamoci ! Ripensiamo a tutto,
rimettiamoci a riflettere su chi siamo, da dove
veniamo, dove vogliamo andare, che tipo di
rapporti vogliamo avere con i nostri vicini e
fare un passo di coscienza verso qualcosa che è
fuori della violenza, fuori dalla materia.
Dicevo a tavola a Don Silvano: in tutta la
mia vita - chi mi ha letto lo sa - non sono mai
stato membro di un partito, non ho mai avuto la
tessera di nessuna associazione, non ho mai
avuto una fede ed allora per tutta la vita ho
avuto ogni volta la difficoltà di dover decidere
da solo chi ha ragione, chi ha torto, con chi
stare. Non è facile, credetemi, preferirei avere
un testo sacro a cui ricorrere e in cui trovare le
risposte, la linea di un partito che mi dice le
ragioni per cui stare con questi o con quelli.
Ogni volta devo farmi le mie ragioni. In questo
caso le ragioni sono quelle del cuore; mi pare
che tutti abbiamo il cuore dalla stessa parte e, se
ci chiediamo se vogliamo fare la guerra, tutti
diciamo di no. Allora non facciamoci ingannare
da chi ci vuole portare dall'altra parte. Anche
noi siamo oggi in un sistema così e dobbiamo
prendere coscienza di che cosa vogliamo fare,
di che cosa non vogliamo fare.
Che fare? Ognuno ha un suo modo: chi sa
pregare, preghi, chi sa dimostrare, 'girotondi',
chi sa meditare, mediti. Ognuno di noi ha un
suo modo di fare delle cose e se ognuno di noi
fa con coscienza un piccolo passo, tutti assieme
faremo un grande cammino.
Adesso ponetemi le domande che volete,
anche quelle provocatorie. Vi dico proprio la
verità: non è che sono qui con delle soluzioni ai
problemi del mondo; ho solo delle domande da
porre, sollevo dei dubbi contro chi pare avere
certezze che non sono fondate. Io non ho la
formula per risolvere i problemi del mondo,
però sento che se ci parliamo la troveremo.
Dobbiamo avere il coraggio. Vi ringrazio.
10
_____________________________________
Domande del pubblico.
Ho un'amica che dal '62 è missionaria in
Asia. E' una insegnante laica, una cattolica
speciale. Ora conosco lei, Gino Strada, tanto
per citare qualche nome. Chiedo: cosa è che vi
accomuna?
Raccontavo a don Silvano come una volta,
viaggiando a nord della Birmania, arrivo in un
posto dove ero il primo straniero, perché quel
posto era stato chiuso dal '49, e trovo una
vecchissima suora di Cernusco, vicino a
Milano. Fu commovente! Non so cosa mi univa
a quella suora, neppure l'italiano che lei non
parlava più. Fu solo nella notte, quando mi
accompagnò alla porta del convento, dopo
avermi parlato per tutta la sera in una lingua che
io non capivo - la lingua shan che un'altra
monaca mi traduceva in inglese - mi prese per
mano e mi disse: "Ma Cernusco è sempre vicino
a Milano?"
Cosa abbiamo in comune? Ha a che fare con
l'età, credo. Io sono fiorentino; da giovane sono
scappato da Firenze, questa città che crede di
aver capito tutto cinquecento anni fa. Ero
curioso di andar fuori. Allora uno scappa. Di
professione non ne ho fatta che una: quella di
essere un evaso. L'unica cosa da cui non sono
evaso è il mio matrimonio, ma da tutto il resto
evado sempre. Questo andare sempre a cercare
l'altro, capire. Ho fatto il giornalista di guerra;
una delle cose importanti in questa professione
è capire le ragioni degli altri perché le guerre
nascono infatti perché gli uni non capiscono le
ragioni degli altri. Come giornalista cercavo
sempre di andare a capire gli altri. Quando uno
andava in Vietnam, andava dagli americani, ti
registravano, eri diventato un giornalista
accreditato con gli americani, andavi al fronte e
presto gli altri diventavano i nemici perché ti
sparavano addosso. La curiosità naturale era
quella di andare a vedere gli altri. E così ho
fatto tutta la vita. In Sri Lanka: andare a vedere
i Tigri Tamil, questi giovani che portano sempre
la fiala di cianuro, pronti a uccidersi se vengono
catturati. Cosa li spinge a fare così ? La mia
concittadina, di cui non faccio il nome, dice: I
kamikaze sono dei vanesi! Bisogna essere
proprio.... Io sono stato molto interessato ai
kamikaze, ho passato ore nel museo dei
kamikaze a Chiusciu per leggere le ultime
lettere che essi scrivevano segretamente alle
fidanzate o alle madri, dopo aver scritto poesie
o frasi fatte con le quali dicevano: " Ci
sacrifichiamo per l'imperatore ". Non volevano
mica morire, come tutti del resto! Per cui è
interessante la psicologia di un kamikaze.
La curiosità di capire gli altri è forse quello
che ci accomuna e poi l'età che addolcisce i
conflitti: uno nell'invecchiare acquista una sorta
di déjà vu. Tante guerre ho già visto e tutte
finiscono con massacri, non risolvono niente.
Pensate al Vietnam; io psicologicamente stavo
con i vietcong questi contadini pezzenti, con il
cappello di paglia, con un fucilino con cui
sparano ai B-52! Ma appena hanno vinto loro,
immediatamente sono stato con quegli altri
perché le carceri, dove avevo simpatizzato con i
prigionieri, si rovesciavano: i carcerieri
diventavano i prigionieri, i torturati diventavano
torturatori.
Anch'io ho viaggiato un po' dopo l'11
settembre; non la metterei come un conflitto tra
la civiltà occidentale e quella musulmana o
araba. Ho visto molta più resistenza verso le
popolazioni che compiono questi atti, in
particolare gli americani, da parte di persone
appartenenti al mondo occidentale - l'America
Latina ad esempio - e molta più
accondiscendenza in Asia dove invece
dovrebbero essere molto più lontani rispetto a
queste problematiche. Vorrei sapere da lei, che
vive tanto in Asia, dove c'è una grandissima
spiritualità a cui lei si richiama: non vede dei
segni di involuzione in questa spiritualità
orientale, involuzione che non è tanto quella di
seguire la civiltà occidentale. Stiamo attenti a
non confondere la civiltà occidentale con quello
che sta facendo l'America oggi...
Sono assolutamente d'accordo che questo
non sia un conflitto di religione. Questa è usata
come uno schermo, come una scintilla avevo
detto prima. Il problema che i terroristi siano
identificati con il mondo musulmano è una
componente di questa equazione.
Io sostengo - e credo di non sbagliarmi nel
fondo - che la fine del marxismo-leninismo ha
tolto un'arma a una serie di popoli o di
situazioni di ingiustizia per combattere contro
questo tipo di ingiustizia o per rivoltarsi, e ho
avuto l'impressione - me ne sono accorto
viaggiando la prima volta nell'Asia Centrale ex
sovietica, come ho scritto in Buona notte,
signor Lenin - che il vuoto lasciato dal
marxismo-leninismo veniva occupato da questa
forma di fondamentalismo islamico. Perché si
presta. L'Islam militante, il fondamentalismo ha
radici anche locali, per cui in certe situazioni in
cui l'occidente confronta e umilia con la sua
forza materiale antiche civiltà, la reazione è
quella di tornare alla purezza delle origini.
Anche per quanto riguarda l'Asia e
l'involuzione della sua spiritualità, sono
pienamente d'accordo con lei. In Lettere contro
la guerra c'è una lettera scritta da Delhi in cui
racconto come questa India che ho scelto come
mia seconda patria spirituale, mi stia in verità
deludendo terribilmente: questo paese, che è
segnato dalla non violenza, che deve la sua
indipendenza alla figura straordinaria di
Gandhi, rinuncia alla non violenza, rinuncia alle
sue radici più intime per comportarsi come un
qualsiasi paese. Io devo rendermi responsabile
della posizione che ho preso al tempo in cui
l'India ha esploso la sua prima bomba atomica.
Ho detto che da un lato l'India aveva tutto il
diritto di avere la bomba atomica, dal momento
che ce l'hanno gli americani o i cinesi o gli
israeliani, per cui non aveva senso che il mondo
occidentale, guidato dagli americani mettesse
un embargo all'India; però dicevo con lo stesso
fiato quanto era triste che questo grande paese,
con la sua storia di spiritualità, nato grazie
all'opera di Gandhi, dovesse accettare le regole
della convivenza internazionale e dovesse
vedere la propria rispettabilità nell'uso della
forza.
Non c'è dubbio che un paese come l'India sia
oggi in una fase di orribile involuzione. Mentre
stiamo parlando - e ci pare che il problema sia
solo il signor Bush che sta per attaccare
quell'assassino di Saddam - c'è un milione di
uomini schierati lungo la frontiera pakistanaindiana, con armi atomiche, pronti a tirarsele
l'uno sull'altro. Dirò di più: la logica con la
quale un anno fa il presidente Bush ha portato
l'occidente, per così dire, a bombardare
l'Afganistan, perché da lì venivano i terroristi,
quella stessa logica farebbe sì che gli indiani
11
avrebbero tutto il diritto di bombardare il
Pakistan, perché non c'è dubbio che quelli che
gli indiani chiamano terroristi, ma che i
pakistani chiamano freedom figthers, lottatori
della libertà per il Kashmir, vengono dal
Pakistan. A questo modo buttiamo a mare tutte
le regole che abbiamo stabilito per vivere un po'
più civilmente.
Sono d'accordo sull'involuzione della
spiritualità asiatica, devo dire però che a salvare
l'anima dell'India esiste ancora nella tradizione
indiana molto forte su questo aspetto della non
materialità. Nel libro parlo, ad esempio, dei
sanyasin, i rinunciatari, che a 60 anni, invece di
spendere i soldi della pensione per andare a
pescare o comprarsi una fidanzata, vestiti di
arancione, si mettono in pellegrinaggio di
tempio in tempio, vivendo di elemosina.
Permettetemi di aprire una parentesi: di
questi tempi sto facendo una grande réclame a
una parola che ho riscoperto recentemente e che
mi piace moltissimo. Essendo da un mese e
mezzo in Italia incontro tanta gente della mia
età - 65 anni ed alcuni anche più vecchi che
sapevo già sposati due volte, con nipoti ecc. che mi dicono:" O Tiziano, ti presento la mia
fidanzata". "Come la fidanzata?" Ai miei tempi
la fidanzata era una di 20 anni che uno si era
permesso di sposare, invece adesso a 70 anni
hanno la fidanzata, oppure la chiamano 'la mia
con-vivente' o 'la mia compagna' ( il che mi
ricorda il PCI). Perché non riscoprire una
vecchia, bella parola che indica tante cose? Io
capisco che molta gente rifiuti il matrimonio,
cosa che a me pare sacrilega perché il
matrimonio, in qualunque modo lo vogliate
fare, è un'istituzione, è un rito, è una
iniziazione, è una morte e una rinascita; c'è un
impegno davanti a qualcuno: con la fusciacca,
con i paramenti.... Uno si impegna e
quell'impegno poi è il tuo fuoco. Invece no!
L'impegno? Io sono libero, la porta sempre
aperta....passa un po' di vento, ma si può anche
scappare!
Io ce l'ho con questi che con-dividono, Ma
che con-dividete? Il letto e il conto del
telefono? Sì, ma poi litigano sempre, magari
proprio per il conto del telefono, perché uno lo
adopera più dell'altro.
Perché invece di con-dividere il conto del
telefono non con-dividono la sorte e parlano del
mio con-sorte. Ai miei tempi consorte indicava
12
tanto il marito che la moglie perché non si
immaginava altre formule di convivenza; visto
però che oggi ce ne sono tante, è meglio dire: Ti
presento il mio consorte, colui o colei con cui
divido la sorte.
Scusate questa parentesi di un vecchio che
crede nell'istituzione del matrimonio.
Lei propone come unica via d'uscita quella
di cambiare noi stessi. Non è una cosa tanto
semplice. Qualcuno ci ha già provato, Gandhi,
appunto, ma non è durato più di tanto.
Intanto scusatemi se sono vestito di bianco,
ma, arrivando 30 anni fa in Asia dove faceva
molto caldo, ho scoperto che il bianco attraeva
meno il sole ed ho cominciato a vestirmi di
bianco. Lo trovo stupendo, così la mattina non
ho il problema di coordinare i calzini con la
cravatta o i pantaloni. Questa è la ragione vera e
non indica niente di indiano. Lo stare seduto
così dipende dal mal di schiena; la barba perché
dove sto io non c'è né elettricità né acqua, né
luce né telefono. Così la barba mi cresce ed è
comodissima. A Kabul una notte tornavo in taxi
verso un albergo, dopo una conferenza stampa
con le Nazioni Unite; uno con un kalascsnikof
ha fermato il taxi per derubarmi; io che ho
imparato nella vita una sola lezione: sorridere
quando uno ti punta un fucile, ho aperto il
finestrino, ho sorriso e quello: "Musulman?" e
mi ha lasciato andare. Quindi la barba serve.
Voglio sia chiaro: io non sono indù, non
difendo l'India; ho detto Gandhi perché ammiro
moltissimo questa figura, come ne ammiro
molte altre, ma non sono qui a proporre Gandhi
come soluzione ai problemi. Da Gandhi però mi
voglio far prestare una bella frase che, secondo
me, è un bell'indice di quello che stiamo
dicendo. Lui diceva: Ma perché ripetere la
storia passata e non inventarsene una nuova?
Invece di dire: "E' difficile. Gandhi è fallito",
dobbiamo guardare avanti, dobbiamo inventarci
noi qualcosa di nuovo.
Come dicevo prima il consumismo mi
sembra una cosa pericolosa nella nostra vita, il
consumismo ci consumerà e se non vogliamo
farci consumare dal consumismo, dobbiamo
cominciare a reagire al consumismo. Come? Io
dico: "Facciamo il digiuno! Ma non quello di
Gandhi che non mangiava; cominciamo col non
comprare le cose inutili".
Lei ha ragione a dire che è difficile, che è
utopico, ma l'utopia è positiva: dobbiamo
sognare. E' per questo che mi piacciono i
giovani che non chiedono come si fa. Loro
vogliono sognare, sentono che c'è la possibilità.
Bisogna inventarsi un mondo nuovo.
E' molto difficile, perché siamo tutti
automatizzati; dinanzi ad ogni situazione
reagiamo per automatismi, per quello che
abbiamo visto fare prima, per quello che
sappiamo essere una regola che funziona.
Cerchiamo invece di reagire rispondendo
all'appello del cuore e vedremo che piano piano
si sposta tutto. E' un grande cammino e il fatto
che sia difficile non ci deve far disperare.
Andando avanti sulla strada in cui siamo
cadremo nell'abisso: la nostra vita diventa ogni
giorno più orribile. Tutti questi telefonini! E'
tutto un comunicare e non dirsi niente. Allora
un po' di silenzio, di calma per riflettere su chi
siamo e poi tagliare, tagliare, tagliare, sui
consumi, sulle inutilità, sulle banalità, sui modi
di essere, cambiare lentamente e rendersi conto
là dove si può sostituire la violenza con un
sorriso.
I giovani hanno molto il senso che il mondo è
di quelli che comandano, che parlano alla TV;
ma non è così: è anche loro e bisogna
incoraggiarli ad entrare. E' un gran cammino, ci
vorrà una vita, due vite... ma non dobbiamo
rinunciare.
Facciamo lavorare un po' la fantasia:,
Ascolto molto la radio; una volta c'erano le
"Interviste impossibili" in cui intervistavano
Napoleone, Giulio Cesare e così via. Anche la
mia è una domanda impossibile: se per ipotesi
Bush cambiasse idea e raggiungesse l'Iraq con
navi piene di medicinali, cibo, insomma
sospendesse l'embargo, quale sarebbe la
reazione di Saddam?
Considerando chi è Saddam Hussein, che è
un orribile personaggio, forse direbbe quello
che in situazioni simili è stato detto: che le
medicine sono avvelenate, che il pane di questi
imperialisti non va mangiato. Probabilmente
reagirebbe così, ma è bella l'ipotesi: sono
proprio questi colpi di fantasia che potrebbero
cambiare il mondo. Pensate quando qualcuno vi
sorpassa e poi vi si mette davanti, tu gli fai un
versaccio, quello minaccia di scendere dalla
macchina ecc. Se invece gli fai una risata o un
gesto conciliante, si smonta tutto.
Bisognerebbe che fosse così; nella
confusione delle notizie ci sfugge che gli
iracheni accettano la presenza degli ispettori
delle armi, ma in cambio chiedono che venga
tolto l'embargo che dura da 10 anni provocando
innumerevoli vittime perché impedisce l'arrivo
di medicinali. Secondo le statistiche delle
Nazioni Unite sono morti a causa dell'embargo
qualcosa come 500 mila bambini, ossia 50 mila
bambini l'anno. Gli americani non dovrebbero
meravigliarsi se sono odiati dalle persone.
Abbiamo saputo tanto su quello che è successo
l'11 settembre - senza in verità avere chiaro
l'idea di quel che è successo - ma nessuno,
specie in America, si è chiesto perché il mondo
è diventato così anti americano. In questo io
sono diventato molto asiatico: non c'è una
ragione che provoca una causa, una causa che
provoca un effetto, ma ci sono tante cause che
provocano tanti effetti e l'11 settembre è il
risultato di tante cause.
Si parla della grande diversità di
civiltà ma queste guerre non vengono anche
causate da queste civiltà che si scontrano sui
principi? Io vedo gli immigrati che vengono da
noi: probabilmente trovano difficoltà, ma anche
gli occidentali si trovano più o meno spiazzati
davanti ad altre civiltà. Come si può evitare
questi scontri, pur nel rispetto di diversità che
devono continuare ad esistere ma che portano a
grossi conflitti?
Ci sono due idee nate in America, che
influenzano molto il pensiero del mondo di
questi tempi; una è l'idea che la storia è finita,
l'altra che tutti i conflitti del futuro sono
conflitti di civiltà, per cui è comodo vedere
quello attuale come uno scontro tra la civiltà
occidentale - cristiana, in generale - contro la
civiltà musulmana. Secondo me sono due
grosse balle: la storia non è finita né c'è questo
scontro di civiltà.
La diversità delle civiltà, come quella delle
religioni, dicevo prima, viene usata come
copertura, come scintilla. Saddam Hussein ammesso che sia lui a star dietro a tutte queste
13
cose - non è che da musulmano combatte una
cosa cristiana; se avesse voluto fare questo
avrebbe scagliato gli aerei sul Vaticano. No.
Guardate bene le cose, impariamo assieme ad
analizzare le notizie.
L'11 settembre non è stato, come ci hanno
venduto, un attacco alla nostra democrazia e ai
nostri valori; è stato un attacco contro il World
Trade Center, il centro del commercio
internazionale! Più chiaro di così! Che poi
questo attacco contro il centro del commercio
internazionale, cioè contro la globalizzazione,
contro la prevaricazione delle multinazionali,
contro la prevaricazione del capitale che ormai
è senza bandiera e si muove dovunque facendo
disastri spaventosi, venga coperto con le
scimitarre da una parte e con le croci dall'altra,
questa è una copertura, non è la sostanza. Non
c'è dubbio che le civiltà hanno delle diversità e
lei ha ragione a dire che gli immigrati trovano
da noi delle difficoltà e noi le abbiamo con loro.
Una cosa che mi piace raccontare all'estero è
l'episodio della chiesa di San Petronio a
Bologna: una mattina i giornali ci hanno
svegliati con la notizia che 5 terroristi volevano
buttar giù San Petronio. E poi viene fuori che
sono quattro che, con un loro amico italiano,
andavano a vedere questo affresco in cui si
vede, nella rappresentazione dantesca, Allah
nell'inferno.
C'è una difficoltà innanzi tutto da parte di
chi considera irrapresentabile Dio; parliamo
sempre male dell'Islam e io stesso, se leggete i
miei libri, ho delle difficoltà dinanzi a questa
religione, però è grande civiltà anche quella.
Pensate:
l'irrapresentabilità
del
divino,
l'irrapresentabilità della vita: c'è qualcosa di
profondo in questa idea musulmana. Con il
permesso del mio ospite, l'idea che Dio ci ha
fatto a sua immagine è un po' discutibile, perché
vuol dire che noi facciamo Dio a nostra
immagine!
L'Islam, per evitare che l'uomo nella sua
necessità di sentire vicino Dio, gli metta ad
esempio la barba, lo rende irrapresentabile. E'
bella l'idea, no? E l'idea che Dio sia la vita, per
cui anche la vita è irrapresentabile è un'idea che
ci deve far riflettere sull'Islam, che non è solo i
cattivi che mettono il burqa alle donne, le
picchiano, lapidano quelle che tradiscono ecc.
ecc.; questa è roba che anche noi conosciamo
14
bene, perché anche la nostra chiesa ha
deformato il grande messaggio evangelico.
Allora se quattro musulmani, di fronte alla
rappresentazione irrapresentabile di Dio, per
giunta all'inferno, hanno detto:" Ma guarda cosa
si
permettono
questi
cristiani!",
è
comprensibile. Se in una moschea il nostro
crocifisso fosse usato per attaccarci i panni, ci
offenderebbe.
Queste difficoltà, dunque, sono epidermiche,
si può ragionarci sopra, e anzi prenderle come
occasione per riflettere sulla grandezza altrui.
Ogni occasione è buona per ragionare sulla
differenza; dobbiamo chiedere a loro di non
buttarci giù San Petronio e dobbiamo chiedere a
noi stessi di avere rispetto per il loro modo di
vedere. Non credo perciò che vi debba essere
uno scontro di civiltà, e per usare una bellissima
frase di un intellettuale arabo, palestinese,
diventato americano, Edward Said, dobbiamo
con la nostra coscienza e intelligenza aprire non
dei campi di battaglia, ma dei campi di
comprensione delle civiltà.
A nome di Emergency viene letto un appello
per la pace e viene proposto ai partecipanti che
lo condividono, di fermarsi dopo la conferenza
a firmarlo.
Io di solito non firmo appelli, ma questo sì
perché ne condivido ogni parola, specialmente
per quel che riguarda la responsabilità di non
alimentare la spirale di violenza.
Mi viene in mente un'altra cosa. A parte
l'urgenza di firmare, di contarsi, di farsi sentire
dai politici che devono fare i conti con quello
che pensiamo, ce n'è un'altra a più lunga
scadenza ed è quella di portare la cultura di
pace nelle scuole. Non si può continuare a
insegnare la storia come ai miei tempi, che era
tutta una storia di massacri. A me ci son volute
due lauree, varie lingue, viaggiare in tutto il
mondo e solo a 60 anni, in India, ho scoperto un
personaggio come l'imperatore Ashuqa che nel
III sec. a.C. divenne pacifista, dopo avere
massacrato mezza Asia centrale e che un giorno
emette un editto - ritrovato in Afganistan e che
ora si trova nel Museo Nazionale di Delhi - in
cui annunzia l'apertura di due ospedali in Siria,
uno per gli uomini e uno per gli animali. E
questo nel III sec. a.C. Vogliamo avere noi il
monopolio della civiltà? Perché nelle scuole
non insegnare la bellissima storia di Gandhi,
invece di quel massacratore di Alessandro
Magno? E perché non studiare la storia anche
dal punto di vista di quegli altri?
Vorrei portare una nota di non pessimismo,
di speranza. Faccio parte di un'associazione
che lavora per la pace: sono tante le persone normali, semplici - che testimoniano questo
valore: l'Operazione "Colomba" in Palestina, i
"Beati i costruttori di pace" ... tanti piccoli
granelli di cui i media non danno notizia,, ma
ci sono…
La ringrazio. Voglio solo dire una cosa; io
ho due figli, uno di 33 anni e una figlia di 31.
Quello di 33 anni, dopo aver studiato a
Cambridge e a Fin School, è andato a fare per
nove mesi il volontario da Madre Teresa sulla
quale ha fatto un piccolo film che ora circola
nelle parrocchie. Questo figlio, che con me ha
sempre problemi come tutti i figli con i padri,
un giorno è venuto fuori con questa idea: ha
scoperto che nel mondo (anche lui come me ha
viaggiato moltissimo, vivendo in famiglia)
esiste quella che lui chiama "l'organizzazione",
una roba informale ma che lega con dei fili
invisibili un numero incredibile di gente e chi è
dell'organizzazione sente un'assonanza con
qualcuno. Mio figlio dice che se sul treno, ad
esempio, uno dice una parola, lui avverte subito
che quello è dell'organizzazione; va ad una
festa, sente due persone che si parlano, vede il
modo con cui si comportano e capisce che sono
dell'organizzazione. Io trovo che questa
"organizzazione" è sempre più vasta. Alcuni
miei lettori hanno messo insieme un sito e vi
assicuro che ho ricevuto qualcosa come
sette/ottocento messaggi di gente che
sostanzialmente dice: "Io la ringrazio perché mi
sentivo solo, ora so che c'è qualcun altro".
L'organizzazione! Prendete coscienza che siamo
tanti a sentire che qualcuno da qualche parte ci
prende in giro e se facciamo altro possiamo
aiutarci a vicenda. Una serata come questa
anche a me non mi fa sentire solo. "Costruttori
di pace", "colombe", “girotondi”, tutto serve a
farci contare e far sapere che non vogliamo
essere inconsapevoli assassini.
Sono un indiano e sono davvero contento ed
orgoglioso che lei abbia scelto l'India come sua
seconda patria. Dalla sua esperienza in India
cosa può suggerire per la pace nel mondo?
Cosa può fare l'India per la pace nel mondo?
Lei conosce l'India meglio di me che sono un
indiano di adozione.
L'India ha nella sua tradizione questa cosa
che non conosciamo: la ahinza (a=privativo,
hinza= ferire), non ferire. Gli indiani hanno
dato origine ad una religione - il jainismo -che
sopravvive ancora, un gruppo religioso sia pure
minoritario vicino al buddismo in cui i monaci
portano, sulla bocca, addirittura una mascherina
perché non vogliono uccidere i moscerini che
potrebbero entrare loro in bocca, o camminano
spazzolando il terreno dinanzi ai loro piedi per
non pestare le formiche. Un po' come i monaci
zen, in Giappone, che camminano con i keta,
due pezzi di legno sotto, perché la pianta dei
piedi sia ridotta solo a questi due pezzetti per
ammazzare meno vita possibile. C'è questa
tradizione del rispetto della vita sotto ogni sua
forma, che a noi sfugge.
Ha ragione don Silvano a citare il papa il
quale ha avuto il coraggio di andare nell'Asia
Centrale, mentre gli americani preparavano
l'attacco all'Afganistan, e di urlare: "Pace,
pace!" E per questo papa c'è stato bisogno, il
giorno dopo, di un portavoce del Vaticano che
ha dovuto interpretarlo dicendo:" Sì, ha detto
pace, ma voleva dire però che il diritto
all'autodifesa è sacrosanto". Non aveva mica
detto questo, aveva detto "pace, pace", così
come il V comandamento dice "Non uccidere"
senza aggiungere: non uccidere i bipedi!
Nella nostra tradizione abbiamo
dimenticato questa originalità del non uccidere
la vita, non solo quelli come noi, cosa che in
India c'è. Gli animali, le piante, noi, siamo
tutt'uno, pensiamoci bene, e siamo tutti legati.
Thich Nhat Hand, il meraviglioso monaco
buddista che ora vive in Francia, a proposito del
tavolo dice che gli sta dinanzi dice: quel tavolo
di legno è lì per mille ragioni, perché un giorno
è piovuto nella foresta da cui è nato il seme,
l'albero è cresciuto, un tagliaboschi lo ha
tagliato, l'albero è stato portato in una segheria,
un falegname lo ha tagliato e ha messo insieme
le assi con dei chiodi che sono stati fatti da un
fabbro, con il ferro trovato in una miniera.....
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Mille storie per produrre un piccolo tavolo. E se
il nonno del falegname non fosse nato, non ci
sarebbe stato il tavolo. Noi siamo tutti legati,
non siamo 'noi' e 'gli altri', se realizziamo questo
forse capiamo di più su chi siamo e dove
andiamo. In questo senso l'India mi ha aiutato.
Trovo più difficoltà nelle persone
anziane ad accettare lo straniero, mentre trovo
molta più comprensione fra i miei coetanei;
però a volte è difficile anche per me, ci vuole
molto allenamento. Ad esempio andando a
Parigi nel mio scompartimento c'era un
ragazzo che con tutta serenità mi ha detto che
era pakistano. Io ho pensato: con tutto quel che
c'è nel mondo e nel suo paese, riesce a dire con
una tale serenità la sua provenienza. Poi ho
riflettuto: io lo dico tranquillamente che sono
italiana, perché lui dovrebbe vergognarsi a dire
di essere pakistano? A volte mi viene da
pensare che quando voi più anziani sarete tutti
morti e ci saremo solo noi ora giovani, forse
sarà meglio, ma mi domando se anche noi col
tempo ci stancheremo di avere questa
attenzione per gli altri.. Le chiedo: mi
stancherò?
Non è una domanda a cui posso rispondere
io, ma è vero che in tutte le generazioni si ripete
questa cosa: è il bello della vita. Una delle cose
belle dell'India è il senso ciclico del tempo. Non
vorrei di nuovo dare l'impressione che io sia
venuto qui a parlare dell'India; tante delle cose
che diciamo, anche noi le abbiamo nella nostra
tradizione, le nostre chiese sono piene di
immagini di cui non ci ricordiamo più l'origine,
ma tutto è lì, ce lo abbiamo a casa.
Non prendete me come esempio; se io per
mestiere ho fatto l'evaso, non è che tutti
debbano evadere, si può viaggiare tutti in sa
chambre, non occorre andare in capo al mondo
per viaggiare. La mia formula è stata questa,
perché sono vuoto dentro, non sono molto
intelligente, né molto colto per cui se mi chiudo
in una stanza non faccio nulla; io sono una
spugna: buttato nell'aceto riproduco aceto,
buttato nel sangue riproduco sangue, buttato in
mezzo ai musulmani, mi interessano i
musulmani. Ma riscoprite la tradizione, i
mistici, la storia della chiesa, S. Francesco, un
personaggio da riscoprire. Riscoprire Dante che
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è meraviglioso e che a scuola ce l'hanno
sciupato. Grattiamo nella nostra storia e
ritroviamo lì il senso di dove andare.
Il problema che la giovane amica propone lo
abbiamo avuto tutti; è sempre la solita storia.
Certo che anche lei si stancherà, oppure non si
stancherà come mi sembra di non essermi
stancato io.
Da alcuni anni io rifiuto i premi, perché
nella lista di quelli che lo hanno ricevuto prima
scopro che c'è sempre un bischero, ancora
peggio se uno guarda chi li dà questi premi. Un
giorno a Pisa, mentre parlavo all'Università, una
bella signora novantenne venne da me
dicendo:" Guardi, signor Terzani, abbiamo
deciso di darle un premio". Io a dire che non lo
volevo, che c'era sempre un bischero ecc. ecc.
finché qualcuno mi dice:" Ma stai attento, sai
chi è quella? " Era l'ultima della Costituente,
una ex partigiana, oggi presidente della lega
"Diritti dei bambini", la quale mi annunciava il
premio al 'bambino permanente' e questo l'ho
preso. Trovo che è un premio che mi sta bene,
anche se ho la barba. La motivazione è: "A
Tiziano Terzani che è diventato grande senza
andare a male".
Come vede ci sono vari modi di invecchiare.
Certo è che la vita ti porta a essere deluso, a
imparare dei meccanismi di reazione automatici
ecc., però c'è da consolarsi che ci sono quelli
che vengono dopo, come a me consola il suo
intervento.
Io voglio solo condividere una riflessione.
Per quel poco che so, sulle persone che hanno
testimoniato la pace, quello che mi ha sempre
colpito è che erano persone che non avevano
niente da perdere; esse anzi avevano scelto di
spogliarsi di tutto quello che noi consideriamo
'nostro', perché forse sentivano che potevano
solo così essere autentici testimoni della pace.
La mia riflessione è questa: se noi cerchiamo
una via, quella di spogliarsi, ogni giorno, di un
pezzettino, saremo uomini di pace. Si parlava
prima di "ambiti di comprensione", ma chi è
pieno non può comprendere. Nella logica
cristiana questa è la logica della croce ma
credo sia una logica che vada al di là dei
cristiani.
Certo, la ringrazio. Mentre lei parlava di
spogliamento, mi veniva in mente la bellissima
parabola del grande, pretenzioso professore che
va dal grande monaco zen per capire il
significato dello zen; il monaco lo invita a bere
del tè, gli mette davanti una tazzina, prende una
teiera e comincia a riempirla, riempirla,
riempirla. Il professore domanda perché fa così.
"Solo una tazzina vuota può imparare cosa è lo
zen", volendo fargli capire che lui era pieno di
pregiudizi. Soltanto il vuotarsi permette di
avere qualcosa, però anche il rinunciare non è
sempre facile. Tutte le tradizioni che cercano la
via della spiritualità hanno queste aspirazioni: il
buddismo ce l'ha nella rinuncia dei desideri, lei
parla della logica della croce con cui io non ho
familiarità, ma tutte hanno questo senso di
rinunciare al 'nostro', al 'mio', per capire quello
che è più vasto. Sulla cattedrale di Barga c'è
una bella cosa: i contadini che la fecero
dicevano: "Piccolo il mio, grande il nostro"; se
quel 'nostro' fosse quello dell'umanità avremmo
risolto il problema.
Due osservazioni: stasera lei ha
parlato spesso di pace, ma secondo me lei ha
fatto una grossa lezione sulla non violenza.
Pace, se vuol dire non guerra, potrebbe essere
un termine riduttivo; non violenza vuol dire
invece lotta contro la violenza, violenza contro
le persone, contro la natura, contro gli animali.
Poi i giovani. I giovani hanno il sogno
dentro, però il sogno prima o poi si infrange di
fronte ad una realtà forte: i soldi, il potere, il
lusso ecc.. Tutto questo è violenza e va indicata.
Credo che le persone vecchie, come dice lei,
abbiano questo compito. Io la ringrazio perché
stasera lei ha dato una grossa lezione di non
violenza.
Sono imbarazzato dalla generosità delle sue
parole, ma sono anche imbarazzato da questo
'dare lezione'. Mi creda, non mi sento di
insegnare niente. Se dovessi cercare una parola
nella quale mi trovo più a mio agio, non è certo
quella di essere un maestro che insegna, ma di
essere un testimone. Ho visto tante guerre che
non ne posso più; ho visto tanta violenza che
non ne posso più. Non ho niente da insegnare.
Anch'io mi agito; la mattina mi chiedo cosa si
può fare, ma non ho formule; come ho detto
prima, anch'io sono vuoto - forse nel senso
positivo per cui mi posso far riempire con delle
cose, compreso le sue parole. Credo però che
tutti assieme ce la faremo. Stasera potevamo
star tutti a vedere una partita di calcio, invece
siamo qui che cerchiamo di capirci, di toccarci.
Sicuramente ce la faremo. Vi ringrazio. Buona
notte.
Note.
Questo testo è liberamente distribuibile sulla
rete. Potete scaricare la copia in formato .doc al
seguente indirizzo:
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no/terzani.doc
Oppure potete contattare Don Silvano Nistri alla
seguente e-mail: [email protected]
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