Introduzione - Tiziano Terzani
Transcript
Introduzione - Tiziano Terzani
Una testimonianza di pace TIZIANO TERZANI nel cortile della Pieve a Sesto Fiorentino la sera del 19 settembre 2002 ___________________________________________________________ Introduzione di Don Silvano Nistri, parroco di Pieve di San Martino (FI) Tiziano Terzani venne a Sesto Fiorentino la sera del 19 settembre 2002. L’avevo incontrato nel cinema di Sesto qualche mese prima quando aveva parlato ai ragazzi delle scuole superiori e gli avevo chiesto di venire in Pieve: "La faccio parlare in chiesa", gli dissi. Così un paio di giorni prima, non ricordo bene se il 16 o il 17 settembre mi comunicò, tramite il comune amico Paolo Pecile, la sua disponibilità. Il tempo era molto stretto ma si riuscì a passare la voce. Il cortile della nostra Pieve era gremito di gente, molti anche a sedere per terra sul selciato. A occhio e croce almeno quattrocento persone. Tiziano stette a cena con noi in canonica con la moglie Angela, Paolo e Dina Pecile: cena rigorosamente vegetariana che apprezzò moltissimo. Dopo cena la conversazione sotto le stelle. Avevamo preparato un tavolo sotto il colonnato del cortile, ma Tiziano ci saltò sopra con una mossa che mi parve giovanile, certo acrobatica. Così, seduto sul tavolo, le gambe incrociate, iniziò la conversazione. Registrammo tutto. Purtroppo non si fecero fotografie e me ne dispiace. Mi arrivò poi, una ventina di giorni dopo, una sua cartolina entusiasta: "Una serata indimenticabile. Ci s’era messa anche la luna a riscaldare il panorama umano! Grazie della sua generosità e per l’accoglienza e il libro che ho ripercorso come un cammino nella nostalgia di quella Firenze anche mia. A presto suo, Tiziano Terzani." Don Silvano Nistri Note: per ricordare Tiziano Terzani e la serata indimenticabile passata con lui nel cortile della Pieve la sera del 19 settembre 2002, abbiamo voluto dare alle stampe il testo del suo intervento di cui esisteva una registrazione. La conversazione, trascritta fedelmente da Franca Righini, è stata pubblicata dopo la scomparsa di Terzani e ovviamente non è stata rivista dall'autore. Il testo integrale in formato .doc è scaricabile al seguente indirizzo: http://www.parrocchie.it/sestofiorentino/sanmartino/terzani.doc Per contattare il sito della parrocchia di Pieve di San Martino digitare questo indirizzo: http://www.parrocchie.it/sestofiorentino/sanmartino/ 1 Il mio pellegrinaggio di pace. Per un mese e mezzo - tra febbraio e marzo sono stato a giro per l'Italia, soprattutto nelle scuole. Avevo promesso, quando sono partito per questo mio personalissimo pellegrinaggio di pace, di non andare ai vari show televisivi. Non volevo farmi vedere da Costanzo, né da Vespa, né da "mosconi" o da mosche cocchiere del potere.....Volevo evitare tutto questo; perciò sono andato nelle scuole ed è stato bellissimo perché ho visto un'Italia piena di speranza, gente che ha ancora il cuore nella parte giusta, che è disposta a sperare, che vuole sperare. Stasera non voglio ripetere le cose che ho detto altrove; mi piacerebbe, se fosse possibile, dopo che mi presento, per quelli che tra di voi non mi conoscono, se ci potessimo parlare: serve anche a me seguire le cose, che cosa succede nel cuore degli altri. La mia storia è molto semplice: io ho fatto per 30 anni il corrispondente di guerra come diceva don Silvano a cui debbo questo invito e di cui gli sono grato. Kamikaze della pace. Per 30 anni ho fatto il corrispondente di guerra, sono stato a giro per l'Asia a coprire tutte le guerre, tutte le rivoluzioni, tutte le cose che sono avvenute e che stanno nelle prime pagine dei giornali. L'ho fatto da giornalista tedesco, perché quando ho cercato lavoro in Italia non riuscivo a trovarlo ed allora sono diventato un emigrante, come quelli che ai tempi miei, quando ero giovane, andavano in Germania a lavorare alla Wolksvagen, con la valigia legata con lo spago e mangiando il salame nella seconda classe. Anch'io ho fatto la stessa cosa andando a fare il giornalista. Per 30 anni ho fatto questo lavoro in una lingua che non è la mia. Per questo poi ho cominciato a scrivere dei libri perché volevo sfogarmi in qualcosa che mi era più familiare che il tedesco. Ricordo che il 2 primo libro che ho scritto si chiamava "Pelle di leopardo. Diario di un corrispondente di guerra". Il libro cominciava con queste parole ( mi vengono i bordoni a ripensarci): 1972: il mio primo giorno in Vietnam. Io avevo fatto la Scuola Normale a Pisa, avevo tentato di fare tante cose, avevo lavorato all'Olivetti... e poi, così, perché non riuscivo a fare nessun vero mestiere mi sono messo a fare questo che non è un mestiere ma un modo di vivere, mi sono trovato alla guerra. Non l'avevo cercata, cercavo qualcos'altro, cercavo qualcosa che avesse senso nella vita: volevo fare giustizia, quella sociale, quella umana; per questo ero finito in Vietnam e mi sono trovato al fronte. Nel mio diario le prime righe - che poi furono le prime di quel primo libro - erano: "la guerra è una cosa triste, l'abitudine". E dicevo: "il primo morto, quando l'ho visto rovesciato lungo la strada, giallo in faccia, con la bocca piena di mosche, mi ha shockato; gli altri poi ho imparato per mestiere a contarli, come quantità". Per 30 anni ho contato morti ed ora non riesco più a fare il corrispondente di guerra e in qualche modo mi rendo conto che non ci ho fatto l'abitudine alla guerra. Ora mi sembra di diventare quello che una televisione svizzera ha detto in un video, che uscirà in occasione del mio libro "Lettere contro la guerra", in cui mi chiamano " kamikaze per la pace". Sì, forse mi sento un kamikaze: ho voglia di parlare di pace, di andarla a raccontare: ai giovani specialmente. I vecchi, quelli come me, in fondo ragionano in base a quella che credono la loro sapienza, l'esperienza del passato, e l'esperienza del passato ripete dei modi di essere, dei modi di pensare, ma secondo me il mondo è così cambiato recentemente che dobbiamo cambiare noi: non possiamo reagire secondo gli schemi del passato. Ed è questa una grande sfida che specialmente i giovani sono pronti ad accettare per inventare un nuovo futuro, perché il futuro che noi ci eravamo immaginati non c'è più. Io ho simpatia, ho compassione per i giovani! Avevamo promesso ai giovani la nuova era, il terzo millennio, l'età dell'acquario. Il terzo millennio! Ci sarebbe stata ricchezza ovunque, avremmo potuto spartire la nostra felicità, ci sarebbe stato da mangiare per tutti e chi non era felice bastava che prendesse una pasticchina di ecstasy per essere lo stesso felice! Abbiamo tolto ai nostri giovani, da sotto il naso, la minestra prima ancora che ci mettessero il cucchiaio dentro. Viviamo ormai in un mondo terribilmente insicuro, abbiamo sempre più paura, non ci fidiamo più di niente. L'altro giorno, tornando da Parigi, ero alla stazione con la mia bella borsettina e stavo aspettando. Siccome mi pesava l'ho posata ed è rimasta lì per un minuto. La gente ha cominciato a dire:" Ma di chi è quella valigia? E' sua?", come se in ogni valigia ci fosse una bomba. Ormai viviamo così! Inventare il futuro. Questo futuro dobbiamo inventarlo ed è forse questa, dell'11 settembre - come io l'ho chiamata - una grande occasione, perché l'11 settembre ci ha messo dinanzi a questa incredibile novità, dinanzi alla quale noi dobbiamo diventare nuovi. L'11 settembre in sé non è stato una grande novità; la grande novità, secondo me, nella storia dell'umanità è avvenuta nell'agosto del 1945 con lo scoppio di due bombe a Hiroshima e Nagasaki, due bombe atomiche, che, non con cattiveria ma che ci tengo a ricordarlo, sono due bombe americane, buttate su due città civili. Né Hiroshima né Nagasaki erano obiettivi militari e tutti i morti - qualcosa come trecentomila , a conti fatti - erano tutti civili. Bombe americane su due città civili! Forse anche il concetto di terrorismo andrebbe ristudiato, forse dovremmo relativizzare tutte queste cose che ogni giorno ci vengono raccontate. La bomba atomica. Secondo me la grande novità è l'energia atomica: questo uomo che ha preso nelle sue mani la forza di Dio, che è la forza di quei quattro elementi che costituiscono il fondo di tutte le vite - l'acqua, la terra, l'aria, il fuoco l'uomo che ha preso questo e lo usa a suo fine con questa forza che lui quasi non è più in grado di controllare. Questa è la grande novità, secondo me la bomba atomica è stata una grande svolta nella storia dell'umanità. Però quelle due bombe non le abbiamo vissute. La nostra coscienza non le ha recepite, perché erano lontane; perché non c'era questa cosa perversa della televisione 24 ore su 24; perché - in fondo - erano state buttate su dei giapponesi brutti, gialli, cattivi ! I giapponesi avevano commesso cose orribili nella seconda guerra mondiale, per cui in qualche modo era quasi giustificato che gli americani gettassero queste bombe per accorciare la guerra si dice. In verità quelle bombe non le abbiamo sentite, le abbiamo studiate a scuola, abbiamo visto le foto dei bambini accartocciati. Io che ho vissuto in Giappone per cinque anni, andando al museo di Hiroshima e Nagasaki, ho visto i bambini che ancora oggi nascono con le teste quadre, con sette dita invece che cinque per le degenerazioni genetiche avvenute a causa di quelle bombe. Ma quelle bombe non le abbiamo vissute, mentre l'11 settembre tutto il mondo, dai lapponi ai bantu agli eschimesi ai cinesi ai burundi, tutta l'umanità ha visto questo orrore ( dimenticatevi per un attimo i fondamentalisti, gli arabi, i musulmani, i cristiani, quelli con la pelle gialla...) che è il risultato dell'uomo, quello che l'uomo è capace di fare. Tutti abbiamo visto le due Torri che cadevano ... e poi? E poi l'orrore della nostra violenza, della nostra cultura, della nostra civiltà; quelle bombe sono nostre, sono il prodotto del nostro cercare, di possedere la natura, forse quelle bombe ideologicamente nascono nella mia bella Firenze del Rinascimento, quando l'uomo vuol conquistare la natura; quelle bombe sono cadute nell'Afganistan con superiore violenza e quelle bombe che cadranno forse tra qualche settimana, tra qualche giorno su Baghdad... Non siamo più capaci di indignarci. Tutti ci rendiamo conto di questo, tutti lo sappiamo, ma non siamo più capace di indignarsi, non ci facciamo più contare, non diciamo più no. 3 Per trent'anni ho lavorato per i tedeschi, in una lingua che non è la mia. Un paese strano la Germania. Io ne ho sposato una figlia, una delle poche nate a Firenze per cui sono fortunatissimo. Questo Paese per 50 anni è stato messo tra i paria dell'Europa, è vissuto con un grande complesso di colpa per quello che è successo nella II guerra mondiale (sei milioni di ebrei morti nelle camere a gas o bruciati nei forni crematori), questo Paese che per 50 anni si è portato dietro questo complesso di colpa, passato dai nonni ai padri ai figli e ai nipoti, questo Paese ha trovato, attraverso questo strano personaggio che - magari l'ha fatto per essere eletto alle elezioni di domenica (ma la gente che voterà per lui lo ha impegnato a quel discorso) - ha dovuto ascoltare la voce del suo popolo che ha avuto il coraggio di dire agli americani: No, la guerra non la vogliamo. Ed io trovo molto bello questo. Dopo domani parto per la Germania dove è uscito il mio libro e mi posso permettere, da italiano, di dire ai tedeschi: "Avete coraggio, forza, continuiamo così." E faccio un'altra politica personale: cerco di dire ai francesi che ho occasione di incontrare: Usate questo veto vostro a nome dell'Europa. I francesi infatti hanno l'unico diritto di veto al Consiglio di Sicurezza, perché il voto inglese non è europeo. Non voglio arrivare a dire la brutta frase: 'che Dio stramaledica gli inglesi', però gli inglesi fanno bene a non usare l'euro e a dire che se c'è l'alta marea nella Manica sono isolati dal continente, perché questo signor Blair a casa sua, in un cassetto segreto, probabilmente ha un passaporto americano, perché tutto quello che dice è più americano di quello che dicono gli americani. Quindi l'unica vera voce che ancora l' Europa può far sentire è attraverso quella della Francia, che sarà di nuovo per un attimo la Francia che De Gaulle sognava, con un ruolo particolare, contro la posizione, ad esempio, che ha preso il nostro Governo o quello di Aznar, che è quella di non riflettere, ma semplicemente dire: Noi dobbiamo essere con gli americani perché siamo amici e siamo grati per il fatto che ci hanno salvato dalla II guerra mondiale, E questo ci basta per andare a fare la guerra ad un popolo diretto da un orribile dittatore, assassino, tutto quello che volete? Certo, ma se vogliamo andar dietro a tutti quelli che sono 4 assassini avremo una guerra permanente e non ci sarà mai la pace. E' un momento molto particolare. Io ho 64 anni; quando gli americani bombardavano il Vietnam ricordo che c'erano migliaia di persone che scendevano per le strade ad urlare: " O Chi Min! Basta con i bombardamenti! ". C'era una mobilitazione generale delle anime che non sopportavano questa ingiustizia, questa violenza che faceva morti. Ora nessuno si muove. Come è possibile? Siccome gli americani si preparano a fare la guerra all'Iraq, qualunque cosa le Nazioni Unite si apprestino a fare, stanno ritirando le loro truppe speciali dall'Afganistan e il nostro governo ha già deciso che manderà forse mille dei nostri soldati in Afganistan, con pallottole nostre, ad uccidere gente a nome nostro. Ma noi lo vogliamo? Non dobbiamo riflettere su questo? Non voglio farne una questione politica. Non voglio farne una questione di politica, anzi! E se mi chiedete di politica non rispondo: ormai sono troppo vecchio per occuparmi di queste cose. Quasi non leggo più i giornali; mi pare che la risposta del nostro futuro non verrà dalla politica. Dirò delle cose orribili, vi prego di capirmi: parlo col cuore. Non ho nessuna agenda personale, non voglio essere eletto a niente, non voglio ricevere nessun premio, dico quello che il cuore mi dice: i sistemi politici nei quali oggi viviamo non sono in grado di dare soluzioni - compresa la democrazia per come noi la esercitiamo. La democrazia mi piaceva ai tempi dei greci quando, tutti in piazza, con la spada, decidevano se fare la guerra a Sparta, ma bisognava grattarsi la testa perché se si diceva sì, si andava alla guerra e si moriva. Oggi ogni 4 anni si va in un baracchino e si vota per chi ci vuol far felici, ma sono tutti uguali. Io l'ho visto in Cambogia quando le Nazioni Unite hanno riportato la democrazia; c'erano tutti questi segni: uno ci aveva il serpente, l'altro la vacca, un altro il montone... Le donnine che non avevano mai visto niente di scritto, giravano questo foglio... Infatti il partito comunista cambogiano aveva cercato di farsi mettere al numero uno nelle liste, ma sapete quanti voti sono andati all'ultimo partito, perché giravano la lista alla rovescia? Questa non è democrazia. La democrazia è partecipazione, la democrazia è -dinanzi ad ogni grande decisione- riporsi il problema senza farsi intrappolare dagli opinions shops che sarebbero il correttivo della democrazia: si chiede: "Lei vuole la guerra all'Iraq? ": magari quello sta portando il bambino a scuola, sta spingendo il carrello della spesa.... "Sì, sì, io voglio la guerra" risponde senza neanche pensare ed ecco la conclusione: il 60% vuole la guerra. Io dico che la risposta non ci viene data dalla politica, ma ci verrà in altro modo: ci verrà dai pulpiti in cui forse nuove generazioni di credenti e di portatori di parola di verità sapranno parlare al cuore della gente; ci verrà dai giovani, ci verrà da qualcun altro, ci verrà da un nuovo Gandhi che verrà da qualche parte con un altro nome, ma la politica non la vedo risolvere questi problemi. Rifondare le istituzioni. Pensate un po', ormai operiamo con sistemi come quello delle Nazioni Unite, nel quale ormai siamo intrappolati, in cui ci sono i paesi vincitori della II guerra mondiale che hanno ancora il diritto di morte e di vita sul mondo! Un paese come l'India, che ha un miliardo di persone, non è rappresentata al Consiglio di Sicurezza! Eppure l'India ha oggi le bombe atomiche con cui può buttare di sotto il Pakistan. Tutto questo non ha senso. L'Asia non è rappresentata che dalla Cina. Tutte le istituzioni sulle quali fondiamo la nostra convivenza non sono più all'altezza, vanno riviste, occorre coraggio, occorre riinventarsi il futuro. Allora il mio appello, che porto là dove qualcuno mi dà la possibilità, è questo: dobbiamo riflettere, dobbiamo prendere seriamente quello che è successo l'11 settembre e quello che ci sta succedendo, come un'occasione di riflessione. Ripensiamoci! Siamo tutti diventati degli automi. Tutto è automatico, come la sveglia la mattina, il telegiornale ... uno ti sorpassa: "Dove va lei?".... Tutto è automatico nella nostra vita, non abbiamo più un momento di vuoto, un momento in cui pregare, meditare, riflettere, guardare chi ci sta attorno. Tutto è automatico e in questi automatismi abbiamo perso l'anima, abbiamo perso la voce del cuore, non la stiamo più a sentire, siamo così assordati dai rumori che non stiamo più a sentire l'unica voce a cui dovremo dare ascolto. Allora io dico: fermiamoci, fermiamoci! E' un momento straordinariamente importante e straordinariamente pericoloso. Pensate un po': se questa amministrazione americana fa la guerra all'Iraq - ed è probabile che la farà al di là di quello che le Nazioni Unite decidono, perché ormai c'è questo senso di una missione storica dinanzi alla quale niente è più grande, neppure la legge... Qualcuno mi chiedeva cosa penso della guerra preventiva. La guerra preventiva?! Ma diamo i numeri ? E la nostra Costituzione? Vogliamo fare qualcosa per la pace ? Allora rispettiamo le regole che ci siamo dati. Rileggete la Costituzione italiana e diciamoglielo: la Costituzione italiana dice che l'Italia si impegna a non usare la guerra come mezzo per la risoluzione di conflitti internazionali. E' semplice poesia ? Questi grandi vecchi che ci han dato questo bel Paese ci hanno pensato bene: l'Italia rinuncia alla guerra come strumento di conflitti internazionali! Perché allora mandiamo i soldati in Iraq e in Afganistan? Non è guerra mandarli con i fucili a sparare alla gente? E le Nazioni Unite cosa dicono? Dicono la stessa cosa. Dunque, se l'amministrazione americana porterà il mondo verso l'abisso che è quello di attaccare l'Iraq, con l'illusione che tutto finirà in pochi giorni, a questo punto andiamo anche a risolvere il problema dell'Iran perché anche lì c'è l'asse del male e poi la Libia, la Giordania...... Se questo succede ci troveremo confrontati quotidianamente con la paura, perché ad una azione c'è una reazione, ad una violenza non c'è che un'altra violenza. E voi vi aspettate che tutto questo passi perché noi soprattutto l'uomo occidentale -siamo capaci con questa grande tecnologia di stare su a trentamila piedi, pigiare un bottone e ...bum! Si ammazzano i bambini, le donne, tanto non ci acchiappano mica lassù! Ma è giusta questa asimmetria? Vi prego, capite questo: è giusta questa asimmetria del potere tecnologico che gli occidentali possiedono a così alto livello nei confronti di chi non può difendersi? Contro questo avviene il terrorismo. Come vi spiegate il terrorismo in Nigeria di cui si è parlato oggi? E' questa asimmetria. Non si può 5 in una situazione di guerra - perché guerra è da un lato avere gli elicotteri, i carri armati più incredibili, i bulldozer che buttano giù le case e dall'altra parte i ragazzini con i sassi. L'unica arma sono allora i kamikaze. Non possiamo immaginarci che sarà possibile bombardare l'Iraq e poi l'Iran e chi altro venga, da altezze irraggiungibili senza che poi sotto non succeda qualcosa. Vogliamo parlare di terrorismo? Intanto dobbiamo metterci d'accordo, se è possibile, su cosa è il terrorismo. Ve l'ho accennato prima ma posso fare molti altri esempi. La mia collega indiana Arundhati Roy, quando gli americani volevano che mullah Omar consegnasse Osama Bin Laden, senza fra l'altro dare le prove che Osama Bin Laden era responsabile dell'attacco al Word Trade Center, la mia collega indiana diceva agli americani: Noi abbiamo le prove che il presidente americano della Union Carbide, è responsabile della morte di 16/17 mila indiani nell'esplosione della fabbrica chimica di Bhopal in India. Perché non ce lo estradate? Perché la Union Carbide ha fatto in India una fabbrica che mai avrebbe potuto fare nel Primo Mondo, dove avrebbe dovuto rispettare certe regole di sicurezza e di controllo dei prodotti chimici. In India invece..... e, guarda caso, un bel giorno: bum! Nel giro di pochi secondi 15 mila persone muoiono ed altre migliaia rimangono ciechi. Non è anche questa una forma di terrorismo? Ma ora parliamo del terrorismo delle bombe dei kamikaze. Se vogliamo combattere il terrorismo non lo potremo mai fare uccidendo i terroristi, perché creeremo nuovi terroristi. L'unico modo per combattere il terrorismo è uccidere le ragioni che fanno di una persona come noi, più giovane di noi, nato per vivere felice, un terrorista. In questo ultimo anno abbiamo letto le cose più incredibili su quello che sarebbe successo, perché - fra l'altro - voi siete ancora convinti di sapere cosa è successo nel mese di settembre? Ogni giorno ce n'è una nuova; ora viene fuori che gli americani sapevano che sarebbe stato possibile un attacco così. Io non sono di quelli che pensano che se la sono inventata loro, non sono neppure uno di 6 quelli che credono che il Pentagono non è stato colpito da un aereo. Certamente noi sappiamo con esattezza cosa è successo l'11 settembre, però da quel giorno ad oggi ci sono state raccontate tante storie. Io lo ripeto tante volte: questa guerra non è stata una guerra di bombe, di missili intelligenti, è stata soprattutto una guerra di bugie e la guerra continua. Noi siamo già in guerra, ogni giorno quando accendete la televisione c'è la guerra, una guerra psicologica. Il modo con cui vi vengono poste le notizie, il modo con cui vi viene raccontato chi è Saddam Hussein: un assassino che gassa i suoi, come dice Bush. Nessuno si alza per chiedergli chi ha dato a Saddam il gas. Glielo hanno dato gli americani, perché Saddam Hussein è in parte un'invenzione degli americani, quando serviva a colpire l'Iran; e l'antrace che ha fatto così spavento dopo l'11 settembre, proveniva dai laboratori americani; eppure ogni giorno ci vengono raccontate queste storie senza che nessuno si alzi e dica:" Ma è il contrario!" "Il signor Saddam Hussein è un notorio assassino che non ha rispettato le deliberazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e tutti, ora, gridano allo scandalo". E Israele allora? E poi c'è il petrolio e tanti altri interessi. Guardate la carta del mondo come è cambiata: gli americani hanno oggi una grande base militare in Pakistan, in Tagikistan, in Uzbekistan; il petrolio dell'Asia Centrale passa attraverso l'Afganistan...... E perché l'Iraq? Perché il petrolio dell'Arabia Saudita è incerto, perché l'Arabia Saudita, paese tenuto in piedi con questa formula dall'appoggio occidentale, traballa, perché non si capisce bene fino a che punto Osama Bin Laden è legato ad una certa parte del potere saudita che tenta di rovesciare la casa reale. Perché il principe Burqui a capo dei servizi segreti sauditi è stato rimpiazzato due anni fa? Allora, se il petrolio saudita è in dubbio, meglio accaparrarsi quello iracheno! Dobbiamo renderci conto che ogni giorno siamo vittime di una cattiva informazione, di una informazione parziale. Dobbiamo prendere coscienza! La pace nasce dal perdono. Tutti mi dicono:" Tu parli sempre di pace, ma se te l'11 settembre fossi stato il presidente Bush cosa avresti fatto?" Intanto l'11 settembre io non potevo essere il presidente Bush perché mio fratello non è il governatore della Florida che conta i voti.... Ma anche se fossi stato il presidente Bush c'erano tanti altri modi di reagire che quello di mandare gli aerei, di usare violenza! E' bello il messaggio del papa che parla del perdono. "La pace nasce dal perdono". Un amico indiano mi diceva: "Sino a che gli israeliani non avranno perdonato Hitler e i tedeschi, in Israele non ci sarà mai la pace". E' un bel pensiero: gli ebrei dovranno perdonare Hitler e i tedeschi e allora, forse, anche Israele avrà pace. Il perdono è una grande cosa e le parole del papa sono belle. Sembra un'assurdità invece...Il presidente Bush avrebbe potuto andare in televisione e dire: "Siamo stati vittime di un orrore spaventoso. La nostra ferita non guarirà". Perdonare forse era troppo, però poteva dire: "Non ci abbassiamo a questo livello, non reagiremo con questa violenza". Gli avrei permesso persino di dire: "Siamo una grande, superiore, civiltà". E non reagire allo stesso modo; il mondo sarebbe molto diverso, l'America sarebbe di esempio ad altri paesi, invece di essere oggetto di un odio che aumenta pericolosamente. E' pericoloso anche per noi che aumenti questo odio per l'America. Togliere la violenza dalla nostra vita. Allora il mio appello è di riflettere: la violenza non provoca che violenza, l'odio non crea che odio. L'ha detto un indiano di 2500 anni fa che si chiamava Budda: l'odio si combatte solo con l'amore. L'ha detto Cristo 500 anni dopo: ama il prossimo tuo come te stesso. Lo dicono tutti, ma in qualche modo ci sentiamo incapaci di farlo. Guardate stasera questa luna stupenda, guardate queste colonne che hanno una grandissima storia....! Questi potrebbero essere gli ultimi giorni della nostra vita, perché la catena di violenza ormai è fuori dai nostri controlli; non sono più i massacri di un tempo: il potere tecnologico che l'uomo si è preso in mano è tale che si scombina il fondamento della natura. Siamo in grado, oggi, di rovinare il mondo che ci dà la vita. L'11 settembre, e quello che ci sta accadendo, deve essere un'occasione per riflettere, farci contare, farci sentire: vogliamo la pace. Dobbiamo togliere la violenza dalla nostra vita. Rifletteteci bene: la violenza aumenta enormemente; magari non ce ne accorgiamo perché non abbiamo visto la guerra in casa nostra, ma basta accendere la televisione e non si vede che violenza. Qualcuno in America ha fatto uno studio a questo riguardo: un bambino americano che sta davanti alla TV un certo numero di ore, in un anno vede 2420 assassinii, 30 stupri ecc. ecc. Continuamente violenza; il guidare fa violenza, ogni cosa che facciamo ha una carica di violenza. L’armonia dei contrasti. Alla fine di una vita - ho 64 anni - dopo 30 di questo mestiere, tutte le violenze che ho visto fuori erano il risultato di una rivoluzione. Io sono sempre stato affascinato dalle rivoluzioni. Nasco in una famiglia metà cattolica e metà comunista; al tempo delle elezioni il babbo comunista – diceva alla mamma: "Te per chi tu voti?". "Il voto è segreto", rispondeva mia madre (cattolica). Forse già questo, dicevo, ha preparato la mia vita in Asia: l' equilibrio, l'armonia di questa contraddizione familiare mi ha preparato forse a questo mio vivere in Asia dove mi pare di aver capito che il bello della vita è l'armonia dei contrasti, l'uno contro l'altro, ma tutte e due devono esistere. Non c'è uomo senza donna, non c'è acqua senza fuoco, non c'è giorno senza notte. Invece l'idea orribile di tutti i fondamentalismi è quella di eliminare il male; Osama Bin Laden dice che Bush è il male, per Bush il male è Osama Bin Laden: tutti e due invocano i loro dii... e i loro passati non sono più divini... Ma poi, ci credete davvero che si possa eliminare il male? Forse il male deve esistere perché esiste il bene ed è la loro contraddizione che fa la vita. E' così bella la nostra vita fatta di diversità. Se noi vogliamo sempre eliminare il diverso, 7 finiremo con il non sapere più chi siamo noi, perché l'esistenza del diverso determina la nostra identità. Si tratta solo di intendersi, di rispettarsi reciprocamente, anche il male e il bene potrebbero andare a cena insieme. Se Bush riuscisse ad eliminare il male, cosa farebbe il bene tutto solo? Dovrebbe dividersi in due ! Forse hanno ragione gli asiatici con il loro simbolo dello ying e dello yang: all'interno dello yang c'è un punto di ying, all'interno della luce c'è un punto d'ombra, all'interno dell'ombra c'è un punto di luce, perché questo è l'equilibrio della vita. Se cominciamo a ragionare così, ad accettare che il diverso è necessario - perché se è vero che alla biodiversità nella natura si affidano gli ecologisti e anche a noi piace, perché eliminare tante specie ci dà noia: muoiono gli uccellini, muoiono certi tipi di animali....- perché anche l'uomo non deve accettare il diverso? E' qui che la globalizzazione è sacrilega: dobbiamo diventare tutti uguali, tutti consumatori, tutti fatti sulla stessa misura, così ci possono rifilare gli stessi prodotti. E' bello invece essere diversi anche nelle religioni, nel modo di essere; io lo ripeto ogni volta che mi viene data l'occasione, come adesso. Nella vita io non ho fatto che una cosa: viaggiare. Oggi, vi devo dire, che ci sono nel mondo milioni e milioni di persone - molte nel mondo musulmano - che non vogliono vivere come noi, che non vogliono sognare come noi, che non vogliono avere i nostri desideri, che non vogliono trattare le donne come le trattiamo noi. Attaccatemi pure! Ho detto che del burqa abbiamo fatto una storia un po' più grossa di quella che è. Noi, in occidente, non abbiamo il monopolio di nulla, dobbiamo rendersene conto; non credete al nostro primo ministro che dice che noi siamo una civiltà superiore. Noi non abbiamo il monopolio di superiorità di nulla, non abbiamo il monopolio della cultura, della civiltà, della saggezza, della bellezza, non abbiamo certo il monopolio della dignità della donna. Credete che noi rispettiamo le donne molto più dei musulmani? Ma chi ve lo ha detto? Quella mia concittadina di cui non voglio fare il nome? Se date retta a lei, a Bologna, prima dell'11 settembre, sarebbe apparso un volantino musulmano in cui si diceva: "Domani 8 ne vedrete delle belle!", facendoci intendere che a Bologna c'era un gruppo di musulmani che sapevano che Osama Bin Laden - o chi per lui avrebbe l'indomani buttato giù le Torri Gemelle. Sì, il volantino c'era, ma del mese dopo. La violenza nasce dentro di noi. E' il momento di riflettere, è il momento di rendersi conto che tutta la violenza che spesso è fuori, nasce da noi. Dicevo prima che io sono sempre stato affascinato dalle rivoluzioni. Sono andato in America a studiare il cinese, perché volevo andare in Cina a vedere cosa era questo sogno maoista; ero incuriosito di vedere un paese che riesce a liberarsi dal giogo del colonialismo, dall'imperialismo occidentale, da tutti i pasticci fatti dall'occidente nell'Ottocento, che segue Mao che nel '49 dice:" E ora stiamo in piedi da noi!. E' affascinante e volevo vedere. Mi sono studiato il cinese - un rompimento di scatole su cui ci ho perso gli occhi - per andare in Cina a vedere la rivoluzione. Sono stato in Vietnam per vedere la rivoluzione di questi contadini che si ribellavano all'imposizione occidentale di dividere il loro paese in due. Dopo tante rivoluzioni di cui sono stato testimone, ho concluso una cosa molto semplice e banale: le rivoluzioni non servono a nulla, sono dei grandi massacri, pieni di morti, sono una grande tristezza, sempre gente che piange. Forse c'è un'altra rivoluzione da fare, ma non è fuori, è dentro di noi, perché le radici vere di ogni violenza sono là; non sono nell'economia, nel nazionalismo, nel colonialismo, nelle bandiere, nelle religioni: queste sono scintille che servono ad attizzare un fuoco, ma le vere radici del fuoco sono dentro, sono nelle nostre passioni, nei nostri desideri, nella nostra cupidigia, nell'arroganza. E' lì che nasce la violenza. "Lei non sa chi sono io!" " E chi sei?". Nessuno sa chi siamo. Facciamo buchi in questa terra e nell'ozono, ammazziamo gli animali, mangiamo, siamo amici di quelli che bombardano.... Ma se ci fermiamo un attimo e riflettiamo su quello che sta succedendo ci accorgiamo che è tutto assurdo, ci creiamo una vita spaventosa. Dico una cosa e poi taccio perché vorrei che mi faceste domande. Non siamo solo corpi. L'uomo è il risultato di cinque miliardi dalla scimmia: abbiamo fatto una grande evoluzione per diventare quelli che siamo! Tra cinque milioni di anni cosa saremo? E' chiaro che l'uomo che noi siamo non è il progetto definitivo, siamo in una fase di transizione. Cosa vogliamo diventare, una scimmia elettronica o qualcosa di meno legato alla materia? Non siamo solo corpi; gli ultimi cinquant'anni ci hanno distrutto, la ricchezza ci ha fatto diventare poveri: non siamo mai stati così spiritualmente poveri da quando siamo diventati ricchi. Siamo solo corpi, corpi da rimpinzare di vitamine, di boccette, di carne; corpi da rivestire con abiti firmati che costano l'ira di Dio, corpi lucidati, da tenere in vita fino a cent'anni. Si spende più soldi per questi corpi che per qualsiasi altra cosa. Ma siamo solo corpo? Non c'è qualcosa dietro? Ricordiamocelo: facciamo questo salto. Prendiamo coscienza. Ce l'abbiamo questa coscienza che è così bella; è uno strumento straordinario che, tra gli esseri viventi, pochi hanno. Non ce l'ha di certo la mucca o la pecora. Usiamo la coscienza per fare un passo in su, per toglierci da questa materia, guardare i nostri simili come davvero nostri simili - gialli, neri, musulmani - cattivi anche, ma simili. In fondo siamo tutti uguali. La mia concittadina (di cui non faccio il nome) ha fatto un'operazione il cui diritto riconosco, sacrosanto ma ignobile, perché in ognuno di noi c'è il cane. Guardatemi bene: son carino, con la barba bianca che sembro Babbo Natale, sembro una persona per bene, parlo di pace, dico che son sposato da 45 anni con la stessa donna: io non sono un consumista, ne ho sposato una sola! Però dentro di me c'è un assassino, un ladro, un pedofilo, un adultero .... però c'è la coscienza che dice a tutti: Fermati! Dentro di me c'è un tale pronto a mordere tutti: i negri, i gialli, quelli di Prato perché io sono di Firenze... in ognuno di noi c'è la bestia. Io con quel che dico, con quel che scrivo cerco di mettergli la museruola, ma la mia concittadina sguinzaglia il cane, per cui tutti quelli che cercavano di tenerlo buono, sentendosi aizzare da una voce così importante, si è lasciata aizzare ed il cane va a mordere tutti. E' per questo che la considero un'azione pericolosa, perché il cane ce lo abbiamo tutti, se ci vogliamo aizzare l'un l'altro possiamo farlo di notte e di giorno; ma non è forse il momento di mettergli il guinzaglio, di controllare questa violenza ? E trovare che c'è un modo più bello di affrontare le contraddizioni che non è quello di uccidere ? Siamo di fronte a grandi scelte. Allora io dico: questo è un lavoro per gli uomini. Non ne avremo per tanto. Siamo di fronte a grandi scelte: la scelta di una progressiva barbarie - e siamo già su questa strada - gli americani che non vogliono riconoscere la comunità internazionale, i contratti internazionali che hanno firmato, come le Nazioni Unite, che non vogliono riconoscere la Corte internazionale di giustizia, che firmano gli accordi di Kyoto e poi non li rispettano..... E' una barbarie il crollo delle Torri Gemelle con i tremila e più morti, ma è altrettanto barbarico andare a bombardare con armi tecnologiche l'Afganistan e non c'era un afghano tra i 19 che hanno buttato giù le Torri; 14 attentatori erano dell'Arabia Saudita. Perché non hanno buttato le bombe sull'Arabia Saudita? La logica con cui gli americani si sono mossi e con cui si vorrebbero domani muoversi contro l'Iraq è quella di dire che l'Iraq ha delle armi di distruzione di massa per cui dobbiamo andare ad eliminarle. Ma se c'è un paese che è pieno di armi di distruzione di massa, quello è gli Stati Uniti. i quali hanno arsenali enormi pieni di armi di distruzione di massa, hanno 6 mila testate nucleari, metà delle quali sono già montate su dei sottomarini, pronte a bombardare chi non è con loro. Ma loro sono democratici, mentre Saddam Hussein non lo è. C'è un altro paese che non è affatto democratico: la Cina. Come mai non la bombardano? Ah, ho capito, perché gli vendiamo tutta la stoffa di Prato e poi loro ci fanno i telefonini.....O rimettiamo ordine nel modo in cui ci comportiamo nei rapporti internazionali, oppure andiamo verso quella che è la legge della giungla, la legge del più forte, una forma di barbarie. Ripeto: siamo oggi dinanzi ad una grande scelta: o accettare di cadere in una nuova 9 barbarie. Barbarie dell'11 settembre, barbarie dei bombardamenti in Afganistan. C'è un grande professore che vive a New York e che scrive sulla prima pagina dei giornali italiani, il quale dice che la mia concittadina ha ragione mentre io ho torto. Ma questi esperti in definizioni mi vorranno spiegare una volta per tutte la differenza tra la innocenza di una segretaria uccisa nel Word Trade Center e l'innocenza di un bambino di Kabul ? o quella di dire: Ripensiamoci ! Ripensiamo a tutto, rimettiamoci a riflettere su chi siamo, da dove veniamo, dove vogliamo andare, che tipo di rapporti vogliamo avere con i nostri vicini e fare un passo di coscienza verso qualcosa che è fuori della violenza, fuori dalla materia. Dicevo a tavola a Don Silvano: in tutta la mia vita - chi mi ha letto lo sa - non sono mai stato membro di un partito, non ho mai avuto la tessera di nessuna associazione, non ho mai avuto una fede ed allora per tutta la vita ho avuto ogni volta la difficoltà di dover decidere da solo chi ha ragione, chi ha torto, con chi stare. Non è facile, credetemi, preferirei avere un testo sacro a cui ricorrere e in cui trovare le risposte, la linea di un partito che mi dice le ragioni per cui stare con questi o con quelli. Ogni volta devo farmi le mie ragioni. In questo caso le ragioni sono quelle del cuore; mi pare che tutti abbiamo il cuore dalla stessa parte e, se ci chiediamo se vogliamo fare la guerra, tutti diciamo di no. Allora non facciamoci ingannare da chi ci vuole portare dall'altra parte. Anche noi siamo oggi in un sistema così e dobbiamo prendere coscienza di che cosa vogliamo fare, di che cosa non vogliamo fare. Che fare? Ognuno ha un suo modo: chi sa pregare, preghi, chi sa dimostrare, 'girotondi', chi sa meditare, mediti. Ognuno di noi ha un suo modo di fare delle cose e se ognuno di noi fa con coscienza un piccolo passo, tutti assieme faremo un grande cammino. Adesso ponetemi le domande che volete, anche quelle provocatorie. Vi dico proprio la verità: non è che sono qui con delle soluzioni ai problemi del mondo; ho solo delle domande da porre, sollevo dei dubbi contro chi pare avere certezze che non sono fondate. Io non ho la formula per risolvere i problemi del mondo, però sento che se ci parliamo la troveremo. Dobbiamo avere il coraggio. Vi ringrazio. 10 _____________________________________ Domande del pubblico. Ho un'amica che dal '62 è missionaria in Asia. E' una insegnante laica, una cattolica speciale. Ora conosco lei, Gino Strada, tanto per citare qualche nome. Chiedo: cosa è che vi accomuna? Raccontavo a don Silvano come una volta, viaggiando a nord della Birmania, arrivo in un posto dove ero il primo straniero, perché quel posto era stato chiuso dal '49, e trovo una vecchissima suora di Cernusco, vicino a Milano. Fu commovente! Non so cosa mi univa a quella suora, neppure l'italiano che lei non parlava più. Fu solo nella notte, quando mi accompagnò alla porta del convento, dopo avermi parlato per tutta la sera in una lingua che io non capivo - la lingua shan che un'altra monaca mi traduceva in inglese - mi prese per mano e mi disse: "Ma Cernusco è sempre vicino a Milano?" Cosa abbiamo in comune? Ha a che fare con l'età, credo. Io sono fiorentino; da giovane sono scappato da Firenze, questa città che crede di aver capito tutto cinquecento anni fa. Ero curioso di andar fuori. Allora uno scappa. Di professione non ne ho fatta che una: quella di essere un evaso. L'unica cosa da cui non sono evaso è il mio matrimonio, ma da tutto il resto evado sempre. Questo andare sempre a cercare l'altro, capire. Ho fatto il giornalista di guerra; una delle cose importanti in questa professione è capire le ragioni degli altri perché le guerre nascono infatti perché gli uni non capiscono le ragioni degli altri. Come giornalista cercavo sempre di andare a capire gli altri. Quando uno andava in Vietnam, andava dagli americani, ti registravano, eri diventato un giornalista accreditato con gli americani, andavi al fronte e presto gli altri diventavano i nemici perché ti sparavano addosso. La curiosità naturale era quella di andare a vedere gli altri. E così ho fatto tutta la vita. In Sri Lanka: andare a vedere i Tigri Tamil, questi giovani che portano sempre la fiala di cianuro, pronti a uccidersi se vengono catturati. Cosa li spinge a fare così ? La mia concittadina, di cui non faccio il nome, dice: I kamikaze sono dei vanesi! Bisogna essere proprio.... Io sono stato molto interessato ai kamikaze, ho passato ore nel museo dei kamikaze a Chiusciu per leggere le ultime lettere che essi scrivevano segretamente alle fidanzate o alle madri, dopo aver scritto poesie o frasi fatte con le quali dicevano: " Ci sacrifichiamo per l'imperatore ". Non volevano mica morire, come tutti del resto! Per cui è interessante la psicologia di un kamikaze. La curiosità di capire gli altri è forse quello che ci accomuna e poi l'età che addolcisce i conflitti: uno nell'invecchiare acquista una sorta di déjà vu. Tante guerre ho già visto e tutte finiscono con massacri, non risolvono niente. Pensate al Vietnam; io psicologicamente stavo con i vietcong questi contadini pezzenti, con il cappello di paglia, con un fucilino con cui sparano ai B-52! Ma appena hanno vinto loro, immediatamente sono stato con quegli altri perché le carceri, dove avevo simpatizzato con i prigionieri, si rovesciavano: i carcerieri diventavano i prigionieri, i torturati diventavano torturatori. Anch'io ho viaggiato un po' dopo l'11 settembre; non la metterei come un conflitto tra la civiltà occidentale e quella musulmana o araba. Ho visto molta più resistenza verso le popolazioni che compiono questi atti, in particolare gli americani, da parte di persone appartenenti al mondo occidentale - l'America Latina ad esempio - e molta più accondiscendenza in Asia dove invece dovrebbero essere molto più lontani rispetto a queste problematiche. Vorrei sapere da lei, che vive tanto in Asia, dove c'è una grandissima spiritualità a cui lei si richiama: non vede dei segni di involuzione in questa spiritualità orientale, involuzione che non è tanto quella di seguire la civiltà occidentale. Stiamo attenti a non confondere la civiltà occidentale con quello che sta facendo l'America oggi... Sono assolutamente d'accordo che questo non sia un conflitto di religione. Questa è usata come uno schermo, come una scintilla avevo detto prima. Il problema che i terroristi siano identificati con il mondo musulmano è una componente di questa equazione. Io sostengo - e credo di non sbagliarmi nel fondo - che la fine del marxismo-leninismo ha tolto un'arma a una serie di popoli o di situazioni di ingiustizia per combattere contro questo tipo di ingiustizia o per rivoltarsi, e ho avuto l'impressione - me ne sono accorto viaggiando la prima volta nell'Asia Centrale ex sovietica, come ho scritto in Buona notte, signor Lenin - che il vuoto lasciato dal marxismo-leninismo veniva occupato da questa forma di fondamentalismo islamico. Perché si presta. L'Islam militante, il fondamentalismo ha radici anche locali, per cui in certe situazioni in cui l'occidente confronta e umilia con la sua forza materiale antiche civiltà, la reazione è quella di tornare alla purezza delle origini. Anche per quanto riguarda l'Asia e l'involuzione della sua spiritualità, sono pienamente d'accordo con lei. In Lettere contro la guerra c'è una lettera scritta da Delhi in cui racconto come questa India che ho scelto come mia seconda patria spirituale, mi stia in verità deludendo terribilmente: questo paese, che è segnato dalla non violenza, che deve la sua indipendenza alla figura straordinaria di Gandhi, rinuncia alla non violenza, rinuncia alle sue radici più intime per comportarsi come un qualsiasi paese. Io devo rendermi responsabile della posizione che ho preso al tempo in cui l'India ha esploso la sua prima bomba atomica. Ho detto che da un lato l'India aveva tutto il diritto di avere la bomba atomica, dal momento che ce l'hanno gli americani o i cinesi o gli israeliani, per cui non aveva senso che il mondo occidentale, guidato dagli americani mettesse un embargo all'India; però dicevo con lo stesso fiato quanto era triste che questo grande paese, con la sua storia di spiritualità, nato grazie all'opera di Gandhi, dovesse accettare le regole della convivenza internazionale e dovesse vedere la propria rispettabilità nell'uso della forza. Non c'è dubbio che un paese come l'India sia oggi in una fase di orribile involuzione. Mentre stiamo parlando - e ci pare che il problema sia solo il signor Bush che sta per attaccare quell'assassino di Saddam - c'è un milione di uomini schierati lungo la frontiera pakistanaindiana, con armi atomiche, pronti a tirarsele l'uno sull'altro. Dirò di più: la logica con la quale un anno fa il presidente Bush ha portato l'occidente, per così dire, a bombardare l'Afganistan, perché da lì venivano i terroristi, quella stessa logica farebbe sì che gli indiani 11 avrebbero tutto il diritto di bombardare il Pakistan, perché non c'è dubbio che quelli che gli indiani chiamano terroristi, ma che i pakistani chiamano freedom figthers, lottatori della libertà per il Kashmir, vengono dal Pakistan. A questo modo buttiamo a mare tutte le regole che abbiamo stabilito per vivere un po' più civilmente. Sono d'accordo sull'involuzione della spiritualità asiatica, devo dire però che a salvare l'anima dell'India esiste ancora nella tradizione indiana molto forte su questo aspetto della non materialità. Nel libro parlo, ad esempio, dei sanyasin, i rinunciatari, che a 60 anni, invece di spendere i soldi della pensione per andare a pescare o comprarsi una fidanzata, vestiti di arancione, si mettono in pellegrinaggio di tempio in tempio, vivendo di elemosina. Permettetemi di aprire una parentesi: di questi tempi sto facendo una grande réclame a una parola che ho riscoperto recentemente e che mi piace moltissimo. Essendo da un mese e mezzo in Italia incontro tanta gente della mia età - 65 anni ed alcuni anche più vecchi che sapevo già sposati due volte, con nipoti ecc. che mi dicono:" O Tiziano, ti presento la mia fidanzata". "Come la fidanzata?" Ai miei tempi la fidanzata era una di 20 anni che uno si era permesso di sposare, invece adesso a 70 anni hanno la fidanzata, oppure la chiamano 'la mia con-vivente' o 'la mia compagna' ( il che mi ricorda il PCI). Perché non riscoprire una vecchia, bella parola che indica tante cose? Io capisco che molta gente rifiuti il matrimonio, cosa che a me pare sacrilega perché il matrimonio, in qualunque modo lo vogliate fare, è un'istituzione, è un rito, è una iniziazione, è una morte e una rinascita; c'è un impegno davanti a qualcuno: con la fusciacca, con i paramenti.... Uno si impegna e quell'impegno poi è il tuo fuoco. Invece no! L'impegno? Io sono libero, la porta sempre aperta....passa un po' di vento, ma si può anche scappare! Io ce l'ho con questi che con-dividono, Ma che con-dividete? Il letto e il conto del telefono? Sì, ma poi litigano sempre, magari proprio per il conto del telefono, perché uno lo adopera più dell'altro. Perché invece di con-dividere il conto del telefono non con-dividono la sorte e parlano del mio con-sorte. Ai miei tempi consorte indicava 12 tanto il marito che la moglie perché non si immaginava altre formule di convivenza; visto però che oggi ce ne sono tante, è meglio dire: Ti presento il mio consorte, colui o colei con cui divido la sorte. Scusate questa parentesi di un vecchio che crede nell'istituzione del matrimonio. Lei propone come unica via d'uscita quella di cambiare noi stessi. Non è una cosa tanto semplice. Qualcuno ci ha già provato, Gandhi, appunto, ma non è durato più di tanto. Intanto scusatemi se sono vestito di bianco, ma, arrivando 30 anni fa in Asia dove faceva molto caldo, ho scoperto che il bianco attraeva meno il sole ed ho cominciato a vestirmi di bianco. Lo trovo stupendo, così la mattina non ho il problema di coordinare i calzini con la cravatta o i pantaloni. Questa è la ragione vera e non indica niente di indiano. Lo stare seduto così dipende dal mal di schiena; la barba perché dove sto io non c'è né elettricità né acqua, né luce né telefono. Così la barba mi cresce ed è comodissima. A Kabul una notte tornavo in taxi verso un albergo, dopo una conferenza stampa con le Nazioni Unite; uno con un kalascsnikof ha fermato il taxi per derubarmi; io che ho imparato nella vita una sola lezione: sorridere quando uno ti punta un fucile, ho aperto il finestrino, ho sorriso e quello: "Musulman?" e mi ha lasciato andare. Quindi la barba serve. Voglio sia chiaro: io non sono indù, non difendo l'India; ho detto Gandhi perché ammiro moltissimo questa figura, come ne ammiro molte altre, ma non sono qui a proporre Gandhi come soluzione ai problemi. Da Gandhi però mi voglio far prestare una bella frase che, secondo me, è un bell'indice di quello che stiamo dicendo. Lui diceva: Ma perché ripetere la storia passata e non inventarsene una nuova? Invece di dire: "E' difficile. Gandhi è fallito", dobbiamo guardare avanti, dobbiamo inventarci noi qualcosa di nuovo. Come dicevo prima il consumismo mi sembra una cosa pericolosa nella nostra vita, il consumismo ci consumerà e se non vogliamo farci consumare dal consumismo, dobbiamo cominciare a reagire al consumismo. Come? Io dico: "Facciamo il digiuno! Ma non quello di Gandhi che non mangiava; cominciamo col non comprare le cose inutili". Lei ha ragione a dire che è difficile, che è utopico, ma l'utopia è positiva: dobbiamo sognare. E' per questo che mi piacciono i giovani che non chiedono come si fa. Loro vogliono sognare, sentono che c'è la possibilità. Bisogna inventarsi un mondo nuovo. E' molto difficile, perché siamo tutti automatizzati; dinanzi ad ogni situazione reagiamo per automatismi, per quello che abbiamo visto fare prima, per quello che sappiamo essere una regola che funziona. Cerchiamo invece di reagire rispondendo all'appello del cuore e vedremo che piano piano si sposta tutto. E' un grande cammino e il fatto che sia difficile non ci deve far disperare. Andando avanti sulla strada in cui siamo cadremo nell'abisso: la nostra vita diventa ogni giorno più orribile. Tutti questi telefonini! E' tutto un comunicare e non dirsi niente. Allora un po' di silenzio, di calma per riflettere su chi siamo e poi tagliare, tagliare, tagliare, sui consumi, sulle inutilità, sulle banalità, sui modi di essere, cambiare lentamente e rendersi conto là dove si può sostituire la violenza con un sorriso. I giovani hanno molto il senso che il mondo è di quelli che comandano, che parlano alla TV; ma non è così: è anche loro e bisogna incoraggiarli ad entrare. E' un gran cammino, ci vorrà una vita, due vite... ma non dobbiamo rinunciare. Facciamo lavorare un po' la fantasia:, Ascolto molto la radio; una volta c'erano le "Interviste impossibili" in cui intervistavano Napoleone, Giulio Cesare e così via. Anche la mia è una domanda impossibile: se per ipotesi Bush cambiasse idea e raggiungesse l'Iraq con navi piene di medicinali, cibo, insomma sospendesse l'embargo, quale sarebbe la reazione di Saddam? Considerando chi è Saddam Hussein, che è un orribile personaggio, forse direbbe quello che in situazioni simili è stato detto: che le medicine sono avvelenate, che il pane di questi imperialisti non va mangiato. Probabilmente reagirebbe così, ma è bella l'ipotesi: sono proprio questi colpi di fantasia che potrebbero cambiare il mondo. Pensate quando qualcuno vi sorpassa e poi vi si mette davanti, tu gli fai un versaccio, quello minaccia di scendere dalla macchina ecc. Se invece gli fai una risata o un gesto conciliante, si smonta tutto. Bisognerebbe che fosse così; nella confusione delle notizie ci sfugge che gli iracheni accettano la presenza degli ispettori delle armi, ma in cambio chiedono che venga tolto l'embargo che dura da 10 anni provocando innumerevoli vittime perché impedisce l'arrivo di medicinali. Secondo le statistiche delle Nazioni Unite sono morti a causa dell'embargo qualcosa come 500 mila bambini, ossia 50 mila bambini l'anno. Gli americani non dovrebbero meravigliarsi se sono odiati dalle persone. Abbiamo saputo tanto su quello che è successo l'11 settembre - senza in verità avere chiaro l'idea di quel che è successo - ma nessuno, specie in America, si è chiesto perché il mondo è diventato così anti americano. In questo io sono diventato molto asiatico: non c'è una ragione che provoca una causa, una causa che provoca un effetto, ma ci sono tante cause che provocano tanti effetti e l'11 settembre è il risultato di tante cause. Si parla della grande diversità di civiltà ma queste guerre non vengono anche causate da queste civiltà che si scontrano sui principi? Io vedo gli immigrati che vengono da noi: probabilmente trovano difficoltà, ma anche gli occidentali si trovano più o meno spiazzati davanti ad altre civiltà. Come si può evitare questi scontri, pur nel rispetto di diversità che devono continuare ad esistere ma che portano a grossi conflitti? Ci sono due idee nate in America, che influenzano molto il pensiero del mondo di questi tempi; una è l'idea che la storia è finita, l'altra che tutti i conflitti del futuro sono conflitti di civiltà, per cui è comodo vedere quello attuale come uno scontro tra la civiltà occidentale - cristiana, in generale - contro la civiltà musulmana. Secondo me sono due grosse balle: la storia non è finita né c'è questo scontro di civiltà. La diversità delle civiltà, come quella delle religioni, dicevo prima, viene usata come copertura, come scintilla. Saddam Hussein ammesso che sia lui a star dietro a tutte queste 13 cose - non è che da musulmano combatte una cosa cristiana; se avesse voluto fare questo avrebbe scagliato gli aerei sul Vaticano. No. Guardate bene le cose, impariamo assieme ad analizzare le notizie. L'11 settembre non è stato, come ci hanno venduto, un attacco alla nostra democrazia e ai nostri valori; è stato un attacco contro il World Trade Center, il centro del commercio internazionale! Più chiaro di così! Che poi questo attacco contro il centro del commercio internazionale, cioè contro la globalizzazione, contro la prevaricazione delle multinazionali, contro la prevaricazione del capitale che ormai è senza bandiera e si muove dovunque facendo disastri spaventosi, venga coperto con le scimitarre da una parte e con le croci dall'altra, questa è una copertura, non è la sostanza. Non c'è dubbio che le civiltà hanno delle diversità e lei ha ragione a dire che gli immigrati trovano da noi delle difficoltà e noi le abbiamo con loro. Una cosa che mi piace raccontare all'estero è l'episodio della chiesa di San Petronio a Bologna: una mattina i giornali ci hanno svegliati con la notizia che 5 terroristi volevano buttar giù San Petronio. E poi viene fuori che sono quattro che, con un loro amico italiano, andavano a vedere questo affresco in cui si vede, nella rappresentazione dantesca, Allah nell'inferno. C'è una difficoltà innanzi tutto da parte di chi considera irrapresentabile Dio; parliamo sempre male dell'Islam e io stesso, se leggete i miei libri, ho delle difficoltà dinanzi a questa religione, però è grande civiltà anche quella. Pensate: l'irrapresentabilità del divino, l'irrapresentabilità della vita: c'è qualcosa di profondo in questa idea musulmana. Con il permesso del mio ospite, l'idea che Dio ci ha fatto a sua immagine è un po' discutibile, perché vuol dire che noi facciamo Dio a nostra immagine! L'Islam, per evitare che l'uomo nella sua necessità di sentire vicino Dio, gli metta ad esempio la barba, lo rende irrapresentabile. E' bella l'idea, no? E l'idea che Dio sia la vita, per cui anche la vita è irrapresentabile è un'idea che ci deve far riflettere sull'Islam, che non è solo i cattivi che mettono il burqa alle donne, le picchiano, lapidano quelle che tradiscono ecc. ecc.; questa è roba che anche noi conosciamo 14 bene, perché anche la nostra chiesa ha deformato il grande messaggio evangelico. Allora se quattro musulmani, di fronte alla rappresentazione irrapresentabile di Dio, per giunta all'inferno, hanno detto:" Ma guarda cosa si permettono questi cristiani!", è comprensibile. Se in una moschea il nostro crocifisso fosse usato per attaccarci i panni, ci offenderebbe. Queste difficoltà, dunque, sono epidermiche, si può ragionarci sopra, e anzi prenderle come occasione per riflettere sulla grandezza altrui. Ogni occasione è buona per ragionare sulla differenza; dobbiamo chiedere a loro di non buttarci giù San Petronio e dobbiamo chiedere a noi stessi di avere rispetto per il loro modo di vedere. Non credo perciò che vi debba essere uno scontro di civiltà, e per usare una bellissima frase di un intellettuale arabo, palestinese, diventato americano, Edward Said, dobbiamo con la nostra coscienza e intelligenza aprire non dei campi di battaglia, ma dei campi di comprensione delle civiltà. A nome di Emergency viene letto un appello per la pace e viene proposto ai partecipanti che lo condividono, di fermarsi dopo la conferenza a firmarlo. Io di solito non firmo appelli, ma questo sì perché ne condivido ogni parola, specialmente per quel che riguarda la responsabilità di non alimentare la spirale di violenza. Mi viene in mente un'altra cosa. A parte l'urgenza di firmare, di contarsi, di farsi sentire dai politici che devono fare i conti con quello che pensiamo, ce n'è un'altra a più lunga scadenza ed è quella di portare la cultura di pace nelle scuole. Non si può continuare a insegnare la storia come ai miei tempi, che era tutta una storia di massacri. A me ci son volute due lauree, varie lingue, viaggiare in tutto il mondo e solo a 60 anni, in India, ho scoperto un personaggio come l'imperatore Ashuqa che nel III sec. a.C. divenne pacifista, dopo avere massacrato mezza Asia centrale e che un giorno emette un editto - ritrovato in Afganistan e che ora si trova nel Museo Nazionale di Delhi - in cui annunzia l'apertura di due ospedali in Siria, uno per gli uomini e uno per gli animali. E questo nel III sec. a.C. Vogliamo avere noi il monopolio della civiltà? Perché nelle scuole non insegnare la bellissima storia di Gandhi, invece di quel massacratore di Alessandro Magno? E perché non studiare la storia anche dal punto di vista di quegli altri? Vorrei portare una nota di non pessimismo, di speranza. Faccio parte di un'associazione che lavora per la pace: sono tante le persone normali, semplici - che testimoniano questo valore: l'Operazione "Colomba" in Palestina, i "Beati i costruttori di pace" ... tanti piccoli granelli di cui i media non danno notizia,, ma ci sono… La ringrazio. Voglio solo dire una cosa; io ho due figli, uno di 33 anni e una figlia di 31. Quello di 33 anni, dopo aver studiato a Cambridge e a Fin School, è andato a fare per nove mesi il volontario da Madre Teresa sulla quale ha fatto un piccolo film che ora circola nelle parrocchie. Questo figlio, che con me ha sempre problemi come tutti i figli con i padri, un giorno è venuto fuori con questa idea: ha scoperto che nel mondo (anche lui come me ha viaggiato moltissimo, vivendo in famiglia) esiste quella che lui chiama "l'organizzazione", una roba informale ma che lega con dei fili invisibili un numero incredibile di gente e chi è dell'organizzazione sente un'assonanza con qualcuno. Mio figlio dice che se sul treno, ad esempio, uno dice una parola, lui avverte subito che quello è dell'organizzazione; va ad una festa, sente due persone che si parlano, vede il modo con cui si comportano e capisce che sono dell'organizzazione. Io trovo che questa "organizzazione" è sempre più vasta. Alcuni miei lettori hanno messo insieme un sito e vi assicuro che ho ricevuto qualcosa come sette/ottocento messaggi di gente che sostanzialmente dice: "Io la ringrazio perché mi sentivo solo, ora so che c'è qualcun altro". L'organizzazione! Prendete coscienza che siamo tanti a sentire che qualcuno da qualche parte ci prende in giro e se facciamo altro possiamo aiutarci a vicenda. Una serata come questa anche a me non mi fa sentire solo. "Costruttori di pace", "colombe", “girotondi”, tutto serve a farci contare e far sapere che non vogliamo essere inconsapevoli assassini. Sono un indiano e sono davvero contento ed orgoglioso che lei abbia scelto l'India come sua seconda patria. Dalla sua esperienza in India cosa può suggerire per la pace nel mondo? Cosa può fare l'India per la pace nel mondo? Lei conosce l'India meglio di me che sono un indiano di adozione. L'India ha nella sua tradizione questa cosa che non conosciamo: la ahinza (a=privativo, hinza= ferire), non ferire. Gli indiani hanno dato origine ad una religione - il jainismo -che sopravvive ancora, un gruppo religioso sia pure minoritario vicino al buddismo in cui i monaci portano, sulla bocca, addirittura una mascherina perché non vogliono uccidere i moscerini che potrebbero entrare loro in bocca, o camminano spazzolando il terreno dinanzi ai loro piedi per non pestare le formiche. Un po' come i monaci zen, in Giappone, che camminano con i keta, due pezzi di legno sotto, perché la pianta dei piedi sia ridotta solo a questi due pezzetti per ammazzare meno vita possibile. C'è questa tradizione del rispetto della vita sotto ogni sua forma, che a noi sfugge. Ha ragione don Silvano a citare il papa il quale ha avuto il coraggio di andare nell'Asia Centrale, mentre gli americani preparavano l'attacco all'Afganistan, e di urlare: "Pace, pace!" E per questo papa c'è stato bisogno, il giorno dopo, di un portavoce del Vaticano che ha dovuto interpretarlo dicendo:" Sì, ha detto pace, ma voleva dire però che il diritto all'autodifesa è sacrosanto". Non aveva mica detto questo, aveva detto "pace, pace", così come il V comandamento dice "Non uccidere" senza aggiungere: non uccidere i bipedi! Nella nostra tradizione abbiamo dimenticato questa originalità del non uccidere la vita, non solo quelli come noi, cosa che in India c'è. Gli animali, le piante, noi, siamo tutt'uno, pensiamoci bene, e siamo tutti legati. Thich Nhat Hand, il meraviglioso monaco buddista che ora vive in Francia, a proposito del tavolo dice che gli sta dinanzi dice: quel tavolo di legno è lì per mille ragioni, perché un giorno è piovuto nella foresta da cui è nato il seme, l'albero è cresciuto, un tagliaboschi lo ha tagliato, l'albero è stato portato in una segheria, un falegname lo ha tagliato e ha messo insieme le assi con dei chiodi che sono stati fatti da un fabbro, con il ferro trovato in una miniera..... 15 Mille storie per produrre un piccolo tavolo. E se il nonno del falegname non fosse nato, non ci sarebbe stato il tavolo. Noi siamo tutti legati, non siamo 'noi' e 'gli altri', se realizziamo questo forse capiamo di più su chi siamo e dove andiamo. In questo senso l'India mi ha aiutato. Trovo più difficoltà nelle persone anziane ad accettare lo straniero, mentre trovo molta più comprensione fra i miei coetanei; però a volte è difficile anche per me, ci vuole molto allenamento. Ad esempio andando a Parigi nel mio scompartimento c'era un ragazzo che con tutta serenità mi ha detto che era pakistano. Io ho pensato: con tutto quel che c'è nel mondo e nel suo paese, riesce a dire con una tale serenità la sua provenienza. Poi ho riflettuto: io lo dico tranquillamente che sono italiana, perché lui dovrebbe vergognarsi a dire di essere pakistano? A volte mi viene da pensare che quando voi più anziani sarete tutti morti e ci saremo solo noi ora giovani, forse sarà meglio, ma mi domando se anche noi col tempo ci stancheremo di avere questa attenzione per gli altri.. Le chiedo: mi stancherò? Non è una domanda a cui posso rispondere io, ma è vero che in tutte le generazioni si ripete questa cosa: è il bello della vita. Una delle cose belle dell'India è il senso ciclico del tempo. Non vorrei di nuovo dare l'impressione che io sia venuto qui a parlare dell'India; tante delle cose che diciamo, anche noi le abbiamo nella nostra tradizione, le nostre chiese sono piene di immagini di cui non ci ricordiamo più l'origine, ma tutto è lì, ce lo abbiamo a casa. Non prendete me come esempio; se io per mestiere ho fatto l'evaso, non è che tutti debbano evadere, si può viaggiare tutti in sa chambre, non occorre andare in capo al mondo per viaggiare. La mia formula è stata questa, perché sono vuoto dentro, non sono molto intelligente, né molto colto per cui se mi chiudo in una stanza non faccio nulla; io sono una spugna: buttato nell'aceto riproduco aceto, buttato nel sangue riproduco sangue, buttato in mezzo ai musulmani, mi interessano i musulmani. Ma riscoprite la tradizione, i mistici, la storia della chiesa, S. Francesco, un personaggio da riscoprire. Riscoprire Dante che 16 è meraviglioso e che a scuola ce l'hanno sciupato. Grattiamo nella nostra storia e ritroviamo lì il senso di dove andare. Il problema che la giovane amica propone lo abbiamo avuto tutti; è sempre la solita storia. Certo che anche lei si stancherà, oppure non si stancherà come mi sembra di non essermi stancato io. Da alcuni anni io rifiuto i premi, perché nella lista di quelli che lo hanno ricevuto prima scopro che c'è sempre un bischero, ancora peggio se uno guarda chi li dà questi premi. Un giorno a Pisa, mentre parlavo all'Università, una bella signora novantenne venne da me dicendo:" Guardi, signor Terzani, abbiamo deciso di darle un premio". Io a dire che non lo volevo, che c'era sempre un bischero ecc. ecc. finché qualcuno mi dice:" Ma stai attento, sai chi è quella? " Era l'ultima della Costituente, una ex partigiana, oggi presidente della lega "Diritti dei bambini", la quale mi annunciava il premio al 'bambino permanente' e questo l'ho preso. Trovo che è un premio che mi sta bene, anche se ho la barba. La motivazione è: "A Tiziano Terzani che è diventato grande senza andare a male". Come vede ci sono vari modi di invecchiare. Certo è che la vita ti porta a essere deluso, a imparare dei meccanismi di reazione automatici ecc., però c'è da consolarsi che ci sono quelli che vengono dopo, come a me consola il suo intervento. Io voglio solo condividere una riflessione. Per quel poco che so, sulle persone che hanno testimoniato la pace, quello che mi ha sempre colpito è che erano persone che non avevano niente da perdere; esse anzi avevano scelto di spogliarsi di tutto quello che noi consideriamo 'nostro', perché forse sentivano che potevano solo così essere autentici testimoni della pace. La mia riflessione è questa: se noi cerchiamo una via, quella di spogliarsi, ogni giorno, di un pezzettino, saremo uomini di pace. Si parlava prima di "ambiti di comprensione", ma chi è pieno non può comprendere. Nella logica cristiana questa è la logica della croce ma credo sia una logica che vada al di là dei cristiani. Certo, la ringrazio. Mentre lei parlava di spogliamento, mi veniva in mente la bellissima parabola del grande, pretenzioso professore che va dal grande monaco zen per capire il significato dello zen; il monaco lo invita a bere del tè, gli mette davanti una tazzina, prende una teiera e comincia a riempirla, riempirla, riempirla. Il professore domanda perché fa così. "Solo una tazzina vuota può imparare cosa è lo zen", volendo fargli capire che lui era pieno di pregiudizi. Soltanto il vuotarsi permette di avere qualcosa, però anche il rinunciare non è sempre facile. Tutte le tradizioni che cercano la via della spiritualità hanno queste aspirazioni: il buddismo ce l'ha nella rinuncia dei desideri, lei parla della logica della croce con cui io non ho familiarità, ma tutte hanno questo senso di rinunciare al 'nostro', al 'mio', per capire quello che è più vasto. Sulla cattedrale di Barga c'è una bella cosa: i contadini che la fecero dicevano: "Piccolo il mio, grande il nostro"; se quel 'nostro' fosse quello dell'umanità avremmo risolto il problema. Due osservazioni: stasera lei ha parlato spesso di pace, ma secondo me lei ha fatto una grossa lezione sulla non violenza. Pace, se vuol dire non guerra, potrebbe essere un termine riduttivo; non violenza vuol dire invece lotta contro la violenza, violenza contro le persone, contro la natura, contro gli animali. Poi i giovani. I giovani hanno il sogno dentro, però il sogno prima o poi si infrange di fronte ad una realtà forte: i soldi, il potere, il lusso ecc.. Tutto questo è violenza e va indicata. Credo che le persone vecchie, come dice lei, abbiano questo compito. Io la ringrazio perché stasera lei ha dato una grossa lezione di non violenza. Sono imbarazzato dalla generosità delle sue parole, ma sono anche imbarazzato da questo 'dare lezione'. Mi creda, non mi sento di insegnare niente. Se dovessi cercare una parola nella quale mi trovo più a mio agio, non è certo quella di essere un maestro che insegna, ma di essere un testimone. Ho visto tante guerre che non ne posso più; ho visto tanta violenza che non ne posso più. Non ho niente da insegnare. Anch'io mi agito; la mattina mi chiedo cosa si può fare, ma non ho formule; come ho detto prima, anch'io sono vuoto - forse nel senso positivo per cui mi posso far riempire con delle cose, compreso le sue parole. Credo però che tutti assieme ce la faremo. Stasera potevamo star tutti a vedere una partita di calcio, invece siamo qui che cerchiamo di capirci, di toccarci. Sicuramente ce la faremo. Vi ringrazio. Buona notte. Note. Questo testo è liberamente distribuibile sulla rete. Potete scaricare la copia in formato .doc al seguente indirizzo: http://www.parrocchie.it/sestofiorentino/sanmarti no/terzani.doc Oppure potete contattare Don Silvano Nistri alla seguente e-mail: [email protected] 17