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Primo classificato
" LA GOCCIA"
Autore: Paolo Pajer (Siena)
LA GOCCIA
Ho attraversato il tempo e lo spazio, ho visto guerre e splendori, ho ascoltato musiche e
lamenti, ma non sono ancora riuscita a trovare il momento iniziale, la mia origine, le mie radici.
Sono una goccia di pioggia, caduta un mattino di novembre assieme ad altre miliardi di
gocce. Abbiamo riempito una piccola pianura che non era pronta per accoglierci improvvisamente
tutte assieme. Stiamo diventando un fiume che raccoglierà granelli di polvere e terra e diventerà un
gigantesco serpente di fango che si infilerà dappertutto, portando distruzione, morte e disperazione.
Poi andremo verso il mare, o verso il centro della terra, non saprei dire.
Ma prima di essere goccia di pioggia sono stata parte di una nuvola, vapore che ha viaggiato
nel cielo spinto dai venti più capricciosi. Sono saltata nel vento un caldo pomeriggio, in mezzo al
mare, scaldata da un sole che picchiava su tutto quello che esisteva. Quel vento umido mi ha fatto
attraversare migliaia di chilometri, per non so quanti giorni, prima di farmi diventare pesante e
cadere.
Ma prima di essere vapore sono stata goccia del mare, ho fatto tre volte il giro del mondo,
ho fatto parte di correnti calde, poi fredde, a volte freddissime. Sono stata molte volte sul punto di
congelare, poi sono tornata in acque tiepide. Ma un giorno sono congelata per davvero. Sono
rimasta imprigionata così per molto tempo, non potrei dire se anni o secoli, poi è tornato il caldo e
sono tornata ad essere goccia del mare. Ho accarezzato la chiglia di decine di navi, di ferro e di
legno, ho visto pesci di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, ho brancolato nel buio più assoluto e
toccato le profondità più estreme.
Ma prima di essere goccia del mare sono stata goccia di fiume, che scorreva dalla montagna
sfociando nel mare. Con quel fiume ho saltato dalle cascate, gorgogliando poco prima in un giovane
ruscello. Mi sono appesa molte volte a fili d’erba che toccavano l’acqua come dita, ondeggiando.
Ho gocciolato da quei fili d’erba ed ogni volta mi sono rituffata nella corrente, trascinata in quel
pendio costante verso la pianura.
Ma prima di essere goccia di fiume sono stata candida neve che ha coperto la montagna nel
silenzioso precipitare che fanno i fiocchi, in un freddo asciutto che a volte riesce a proteggere dalla
tristezza. Ero neve ovattata, poi farinosa, poi gelata, poi bagnata: neve in tutte le forme. Sono stata
in una palla di neve lanciata da un bambino, sono stata nella neve che ha composto un pupazzo,
nella neve calpestata da caprioli e che ha visto il fumo dei camini. Neve che una primavera si è
sciolta ed è scappata via.
Ma prima di essere neve sono stato lacrima, di un uomo innamorato che soffriva per amore e
che cercava conforto nel suono del vento in mezzo ad un prato. Lacrima che è caduta assieme ad un
petalo di margherita, abbracciati e dissolti in quel prato. Ero il petalo che gli ha ridato la gioia, il
petalo che ha confermato l’amore, in un gioco casuale dove in palio c’erano emozioni effimere ma
che danno senso a molte vite. Ero il petalo dispari di una margherita in mezzo ad un prato, in una
primavera di un anno lontano che non saprei.
Ma prima di essere stato petalo ero linfa, nel corpo di quel fiore che ondeggiava al vento e
sorrideva al sole, in attesa di essere colto. Sono stato linfa in un gambo, linfa che ha distribuito la
vita in quel corpo così esile ed elementare. Linfa che traeva dal basso il suo alimento e lo portava
con sé, ignara e primitiva.
Ma prima di essere linfa ero terra. La terra dalla quale le piccole radici succhiavano il
nettare. Terra scura di montagna, terra umida e fumante negli inverni, terra calda e asciutta nelle
estati. Sono stata terra smossa dal vento, dalla vanga dell’uomo, terra aperta dallo sbocciare del
fiore, terra femmina. Sono stata terra che ha riposato per tanti anni, prima di essere abbracciata dalle
radici.
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Ma prima di essere terra ero nella polpa di una mela. Sono cresciuta al sole una calda estate,
sono stata amata, assaporata, desiderata. Ho nutrito, sfamato, soddisfatto e poi sono diventata terra,
gettata da un bambino dopo avermi colto e mangiato di ritorno dal pascolo delle mucche.
Ma prima di essere torsolo di mela ero saliva, nella bocca del bambino. Sono stata nel morso
di quel cucciolo d’uomo affamato, fra quei denti giovani che vedevano spesso il sole, perché era un
bambino che amava sorridere. Le gioie che provano i bambini sono senza tempo, perché nella mia
vita di goccia ne ho attraversate tante ed erano tutte pure come l’aria tersa del mattino.
Ma prima di essere saliva ero sangue, nel corpo di quel piccolo uomo di altri tempi, ignaro
di tante cose e curioso del mondo che lo circondava. Ho vagato per quel corpo innumerevoli volte,
passando per quel giovane e forte cuore che mi spingeva veloce e mi faceva fare un altro giro. Ho
colorato le guance di quel piccolo nei pomeriggi freddi, gli ho infuso coraggio nelle notti insonni,
gli ho chiuso le sbucciature che si procurava giocando.
Ma prima di essere sangue ero latte materno, succhiato da quel bambino nei suoi primi
giorni di vita. Latte di una madre che gli scopriva il seno in un rituale antico di millenni. Sono
entrato nel corpo del bambino attraverso un gesto carico di un amore immutato nel tempo.
Ma prima di essere latte materno ero un pezzo di pane, fatto da vecchie mani nodose. Una
pagnotta rudimentale che venne scaldata in un forno a legna, un febbraio di tanti, troppi per contarli,
tanti anni fa. Una focaccia preparata da una madre e mangiata da un’altra madre per farsi forza nei
pesanti lavori che la donna ha sempre dovuto sostenere nel corso della storia.
Ma prima di essere pane ero farina, macinata con una pietra e raccolta in un vaso. Farina che
venne scambiata con del latte di capra, perchè gli uomini di quel tempo non conoscevano altro
modo, tranne la guerra, per avere le cose che non riuscivano a produrre.
Ma prima di essere farina ero grano in un campo, cresciuto in una stagione calda al frinire
delle cicale, seminato e poi raccolto in liturgie sempre uguali da uomini antichi. Sono stato grano
cotto dal sole, chiamato con nomi ormai dimenticati, grano raccolto chicco per chicco da
innumerevoli mani per non perderne alcuno.
Ma prima di essere grano sono stata nuovamente goccia di pioggia, caduta dallo stesso cielo
dal quale sono caduta oggi. Sono stata l’acqua che ha nutrito quel filo di grano, l’acqua che ha
composto quel fiume, riempito quel mare. L’acqua di una nuvola che vaga nel cielo.
Ero goccia di pioggia e torno ad essere goccia di pioggia.
Ho attraversato il tempo e lo spazio ma non ho trovato risposte perché tornando troppo
indietro non si trovano risposte: si dimenticano le domande.
Tornando verso l’origine si ha l’impressione di diventare sempre più piccoli, ma non si
scompare mai: la solitudine non ha dimensione.
La mia origine inizia con lo scoccare del primo secondo, dalla semplicità assoluta e un po’
assurda che porta con sè il fatto di esistere.
La mia origine non ha origine perché più indietro cerco di andare più mi perdo nel tempo,
così mi devo ancorare al compromesso, ed accetto di essere goccia e basta, perché prima o poi
tornerei di nuovo ad esserlo una, due, dieci, mille volte.
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