Verso una migliore governance economica nella zona euro
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Verso una migliore governance economica nella zona euro
Verso una migliore governance economica nella zona euro: preparativi per le prossime fasi Nota analitica Jean Claude Junker in stretta collaborazione con Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem e Mario Draghi Consiglio europeo informale 12 febbraio 2015 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 Verso una migliore governance economica nella zona euro: preparativi per le prossime fasi Nota analitica Introduzione Il Vertice euro del 24 ottobre 2014 ha concluso che “per assicurare il corretto funzionamento dell’Unione economica e monetaria è essenziale un coordinamento più stretto delle politiche economiche”, ha chiesto di proseguire i lavori intesi “a sviluppare meccanismi concreti per un coordinamento, una convergenza e una solidarietà più solidi tra le politiche economiche” e ha invitato il presidente della Commissione, in stretta collaborazione con il presidente del Vertice euro, il presidente dell’Eurogruppo e il presidente della Banca centrale europea, “a predisporre le prossime misure volte a migliorare la governance economica nella zona euro”. Il Consiglio europeo del 18 dicembre 2014 ha confermato il mandato conferito ai quattro presidenti, a cui è stato chiesto anzitutto di elaborare una nota analitica come base di discussione per il Consiglio europeo informale del 12 febbraio 2015. La presente nota analizza la situazione attuale dell’Unione economica e monetaria (UEM), individuando le principali lacune del quadro UEM messe in evidenza dalla crisi, descrivendo le misure adottate finora per porvi rimedio e preparando le discussioni sulle prossime fasi. Nessun elemento della presente nota pregiudica il contenuto definitivo della relazione dei quattro presidenti, che sarà redatta in funzione dell’esito delle discussioni del 12 febbraio tra i capi di Stato e di governo nonché degli ulteriori lavori e delle consultazioni svolte in previsione del Consiglio europeo di giugno. 1. La natura dell’Unione economica e monetaria L’euro è attualmente la moneta comune di 19 Stati membri dell’UE e di oltre 330 milioni di cittadini. Nonostante la crisi, l’euro è la seconda moneta al mondo per importanza, con una quota del 24,4% (18% nel 1999) delle riserve valutarie mondiali contro il 61,2% del dollaro statunitense. 59 paesi e territori di tutto il mondo hanno vincolato, direttamente o indirettamente, la loro moneta all’euro. L’euro non è solo una moneta, è anche un progetto politico. Gli Stati membri che aderiscono alla nostra Unione monetaria devono abbandonare definitivamente la moneta nazionale e condividere permanentemente la sovranità monetaria con gli altri paesi della zona euro. I 19 Stati membri la cui moneta è l’euro condividono quindi un “destino comune” che richiede solidarietà nei periodi di crisi e rispetto, da parte di tutti, delle regole stabilite di comune accordo. La zona euro ha un assetto istituzionale specifico. Mentre la politica monetaria viene decisa di comune accordo a livello europeo, le politiche economiche e di bilancio rimangono in larga misura di competenza degli Stati membri. Questo significa che le vulnerabilità di uno Stato membro possono estendersi all’intera zona euro. Il successo economico, quindi, è nell’interesse di tutti. Un’Unione monetaria può avere successo solo se, col passare del tempo, procura maggiori vantaggi ai paesi che vi aderiscono rispetto agli altri. Per questo motivo, tutti gli Stati membri devono partecipare 1 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 pienamente, considerando le loro politiche economiche e di bilancio una questione di interesse comune. I trattati definiscono obiettivi chiari (crescita inclusiva e sostenibile, stabilità dei prezzi, posizioni di bilancio solide e livelli di occupazione elevati) e il quadro dell’UEM contiene una serie di norme comuni per coordinare al massimo queste politiche. La crisi ha dimostrato che, se il quadro presenta lacune o non viene applicato in misura sufficiente, l’integrità dell’intera zona euro è a rischio e gli obiettivi enunciati nei trattati non possono essere raggiunti. Per questo motivo negli ultimi anni ci si è adoperati con il massimo impegno per cercare di garantire la piena compatibilità del quadro dell’UEM con i requisiti associati alla condivisione di una moneta comune, ma l’obiettivo non è stato ancora totalmente raggiunto. 2. Analisi retrospettiva: le molteplici cause della crisi La crisi che ha colpito la zona euro nell’estate del 2007, e che ancora oggi incide sullo sviluppo economico di diversi paesi che ne fanno parte, è dovuta a un gran numero di fattori, molti dei quali sono comuni a tutti i paesi industrializzati, mentre altri caratterizzano più specificamente la zona euro, dove hanno prolungato e accentuato gli effetti della crisi. La crisi, che all’inizio era di natura prevalentemente finanziaria, è partita dal mercato statunitense dei subprime per poi estendersi rapidamente al sistema finanziario interconnesso a livello mondiale, comprese le banche e gli altri enti finanziari europei, in particolare nei paesi della zona euro, dove il primo decennio d’oro dell’euro ha provocato bolle finanziarie e edilizie. La zona euro è stata caratterizzata, in particolare, da un circolo vizioso tra banche e debito sovrano: poiché le banche che erano diventate troppo sistemiche per fallire e che si trovavano in difficoltà finanziarie hanno chiesto aiuto allo Stato, la stabilità del sistema bancario ha potuto essere garantita solo a scapito delle finanze pubbliche dei paesi interessati e a prezzo di una maggiore frammentazione finanziaria (si veda il grafico 1). In questi paesi, quindi, la crisi delle banche è diventata rapidamente una crisi delle finanze pubbliche, con ripercussioni dirette sull’economia reale. Grafico 1: Tassi dei prestiti bancari Rendimento dei titoli di Stato della zona euro Prestiti alle imprese, percentuali annue Rendimento a 10 anni (%, media mensile) E Fonte: BCE, Reuters, calcoli degli esperti della BCE 2 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 La crisi si è poi trasformata in una crisi del debito sovrano. Il primo decennio di esistenza dell’euro non ha determinato una riduzione duratura dei debiti e dei disavanzi pubblici al di sotto dei valori di riferimento (3% e 60% del PIL) stabiliti dal trattato di Maastricht. Nel 2007 il debito pubblico nella zona euro, che nel 1998 era pari al 72,8% del PIL, è sceso in media solo al 66,2% del PIL, nonostante un contesto macroeconomico globalmente favorevole che avrebbe consentito un risanamento di bilancio più pronunciato. Nel periodo 1999-2007 i disavanzi nella zona euro si sono attestati in media all’1,9% del PIL, con un picco del 3,1% nel 2003. Non è stato possibile raggiungere l’obiettivo strategico comune, cioè il pareggio o l’avanzo dei bilanci nazionali, in modo da ridurre i livelli del debito pubblico. Spesso le norme di bilancio introdotte per contenere i disavanzi pubblici eccessivi (il cosiddetto “patto di stabilità e crescita”) non sono state né rispettate né applicate. Dal 1997 in poi, la maggior parte dei paesi della zona euro (tutti tranne l’Estonia e il Lussemburgo) sono stati oggetto di una o più procedure per i disavanzi eccessivi. Nel 2003 le norme del patto sono state in parte sospese da una maggioranza qualificata al Consiglio nel caso specifico delle procedure per i disavanzi eccessivi nei confronti della Germania e della Francia. Nel 2005 il patto è stato oggetto di una riforma che molti hanno visto come un indebolimento delle norme. Entrambe le iniziative hanno intaccato la credibilità del patto. Quando gli effetti della crisi hanno cominciato a farsi sentire nella zona euro, gli Stati membri sono intervenuti con consistenti pacchetti di incentivi e conferimenti di fondi pubblici nei rispettivi sistemi bancari. Pur essendo necessarie per preservare la stabilità finanziaria e attenuare l’impatto della crisi, in molti paesi queste misure hanno aumentato il debito e il disavanzo pubblico portandoli a livelli nettamente superiori ai valori di riferimento di Maastricht. Nel 2010 i disavanzi pubblici nella zona euro hanno raggiunto un picco del 6,2% del PIL prima di essere riportati al 2,6% del PIL nel 2014. Il debito pubblico, che continua ad aumentare per effetto delle misure adottate durante la crisi, ha raggiunto nel 2014 il 94,3% del PIL nella zona euro, superando di gran lunga i livelli pre-crisi (si veda il grafico 2). Grafico 2: Debito e disavanzo della zona euro 1995-2013, % del PIL Risanamento recente Debito Crisi Risanamento pre-UEM Primo decennio dell'UEM Disavanzo Fonte: Commissione europea, BCE La crisi che ha colpito la zona euro in seguito alle turbolenze finanziarie mondiali può essere definita anche una crisi di competitività, scoppiata in un contesto che presentava già numerosi punti deboli. Fino agli anni ‘90 si è registrato un progressivo avvicinamento ai livelli di produttività degli Stati Uniti, ma poi il processo si è interrotto. In diversi paesi della zona euro il periodo del boom non è stato utilizzato per ovviare alle rigidità esistenti nei mercati del lavoro e dei prodotti. 3 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 In questo contesto, nel decennio successivo all’introduzione dell’euro il costo del lavoro (espresso come costo unitario del lavoro) è notevolmente aumentato in diversi paesi della zona euro, il che ha reso i loro prodotti più cari determinando una perdita di competitività e una bilancia dei pagamenti negativa rispetto ad altri paesi della zona euro dove il costo del lavoro era rimasto stabile o era addirittura diminuito. Variazione del tasso di disoccupazione (2009-2013) Grafico 4: Variazioni del costo unitario del lavoro (2001-2009) e del tasso di disoccupazione (2009-2013) Variazione del CLUP (2001-2009) Fonte: Eurostat Nota: i dati riguardano i paesi della zona euro che hanno aderito all’UEM prima del 2002; i dati utilizzati per il tasso di disoccupazione sono quelli di settembre. Grafico 3: Rigidità dei mercati del lavoro e dei prodotti e variazioni del tasso di disoccupazione (2009-2013) Variazione del tasso di disoccupazione (2009-2013) Per contro, l’allineamento dell’offerta con la domanda è risultato impossibile a causa di vulnerabilità estremamente radicate. Le notevoli rigidità nominali e reali hanno inoltre impedito un’allocazione efficiente delle risorse, ivi compreso tra i settori dei beni e dei servizi scambiabili e non scambiabili, ostacolando quindi il funzionamento del canale della competitività (si veda il grafico 3). Rigidità dei mercati del lavoro e dei prodotti (2008) Fonte: Eurostat e OCSE Nota: rigidità dei mercati del lavoro e dei prodotti misurate come media degli indicatori OCSE relativi alla legislazione sulla tutela dell’occupazione e all’autorità di regolamentazione del mercato. Questo ha determinato un aumento dei tassi di disoccupazione durante la crisi (si veda il grafico 4). Nei primi anni di esistenza dell’euro, inoltre, le condizioni di finanziamento relativamente favorevoli hanno causato un’allocazione impropria delle risorse a favore di forme di investimento meno produttive come i beni immobili, una maggiore assunzione di rischi e un aumento dell’indebitamento di molti soggetti privati e pubblici. Nel momento in cui la crisi ha colpito la zona euro e i mercati hanno rivalutato il rischio e il potenziale di crescita dei singoli paesi, la perdita di competitività è diventata palese e ha provocato il deflusso di fonti di finanziamento essenziali per gli investimenti, accentuando quindi ulteriormente gli effetti della crisi in questi paesi. Sebbene diverse parti interessate a livello europeo avessero messo in guardia contro questi sviluppi, all’epoca il quadro di governance non prevedeva l’individuazione e la correzione sistematiche degli squilibri e quindi non poteva impedirne l’accumulo. La crisi, infine, può essere considerata anche una crisi dei mercati se ci si riferisce alla loro capacità di quantificare correttamente il rischio nazionale. Sebbene il trattato di Maastricht considerasse la disciplina di mercato un elemento fondamentale per evitare divergenze nello sviluppo delle economie della zona euro e delle posizioni di bilancio di questi paesi, evidenziate dall’aumento dei tassi di interesse dei titoli di Stato, nel periodo 1999-2008 le cose sono andate diversamente nella zona euro, che gli investitori hanno trattato come un tutto unico senza tener conto delle differenze 4 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 esistenti in termini di rischi economici e finanziari. Queste divergenze sono diventate ancora più palesi con la crisi e la conseguente rivalutazione dei rischi ha determinato un aumento dei tassi di interesse dei titoli di certi paesi della zona euro portandoli ad un livello nettamente superiore a quello di certi paesi in via di sviluppo (si veda il grafico 1). Tutti questi sviluppi evidenziano un notevole divario tra gli obiettivi perseguiti e i risultati effettivamente ottenuti dal quadro di governance pre-crisi dell’UEM, nonché la mancata osservanza e attuazione delle politiche stabilite di comune accordo. 3. Misure adottate dal 2010 per rafforzare la resilienza dell’Unione economica e monetaria La crisi ha dimostrato che la presenza di notevoli debolezze e rigidità strutturali e l’esistenza di politiche di bilancio ed economiche non sostenibili in alcuni Stati membri possono frenare lo sviluppo economico dell’intera zona euro mettendo quindi a repentaglio i vantaggi associati all’appartenenza all’UEM. La crisi ha inoltre evidenziato gravi lacune del quadro di governance, che non è stato in grado di scongiurare questi sviluppi. Per quanto riguarda la zona euro, dal 2010 sono state adottate importanti riforme per cercare di ovviare a queste lacune: è stato creato il meccanismo europeo di stabilità (MES), grazie al quale per la prima volta è disponibile un meccanismo permanente di risposta alle crisi; è stata istituita l’Unione bancaria, in cui la BCE ha assunto il ruolo del meccanismo di vigilanza unico, esercitando una vigilanza diretta su tutte le banche principali della zona euro a partire dal 1° novembre 2014. Grazie al meccanismo di risoluzione unico e alle nuove norme sul bail-in della direttiva UE sul risanamento e sulla risoluzione nel settore bancario è attualmente disponibile un quadro per la risoluzione ordinata delle crisi bancarie e la ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori. Combinate al Fondo di risoluzione unico, queste misure contribuiscono in misura considerevole ad allentare il collegamento deleterio tra debito sovrano e banche e a tutelare i depositanti integrando i sistemi nazionali armonizzati di garanzia dei depositi; la nuova procedura per gli squilibri macroeconomici permette di individuare tempestivamente le vulnerabilità macroeconomiche e fornisce gli strumenti necessari per porvi rimedio; la riforma del “patto di stabilità e crescita” attuata nel 2011-2013 e l’accordo sul “patto di bilancio” hanno potenziato il quadro di bilancio per evitare che in futuro si creino forti squilibri di bilancio. Il monitoraggio dell’andamento della spesa è diventato più intenso nell’ambito del braccio preventivo; le procedure sono state inoltre rafforzate sia per il braccio preventivo che per quello correttivo, anche attraverso l’introduzione di nuove sanzioni, applicate a uno stadio più precoce e aumentate in maniera progressiva. Uno dei principali insegnamenti tratti dalla crisi è stata l’esigenza di fissare un parametro numerico del debito per garantire la convergenza verso rapporti debito/PIL soddisfacenti, al di sotto del valore di riferimento del 60% del PIL. L’introduzione del voto a maggioranza qualificata inversa in sede di Consiglio per le decisioni adottate nel quadro della procedura per i disavanzi eccessivi mirava ad accentuare il carattere quasi automatico delle procedure; i poteri di Eurostat sono stati rafforzati nel 2011 per quanto riguarda i dati statistici utilizzati nell’ambito della procedura per i disavanzi eccessivi. Il regolamento modificato autorizza Eurostat a esaminare i conti pubblici degli Stati membri e a svolgere indagini nello Stato membro interessato. 5 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 Se fossero state già in vigore dieci anni fa, queste misure importanti avrebbero probabilmente migliorato in misura considerevole le prestazioni della zona euro, prima e durante la crisi. Per risultare efficaci, tuttavia, queste nuove strutture devono essere realizzate pienamente a livello dell’UE e degli Stati membri. 6 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 4. Situazione attuale Sebbene sia in corso un aggiustamento sostanziale degli squilibri economici e di bilancio, in particolare nei paesi beneficiari dell’assistenza finanziaria dell’UE/FMI e in altri paesi vulnerabili della zona euro, gli effetti deleteri degli squilibri accumulatisi sono ancora visibili: i tassi di disoccupazione sono aumentati vertiginosamente e l’indebitamento del settore privato ha registrato un forte aumento nel giro di pochi anni. Nella zona euro il tasso di disoccupazione si è attestato al di sopra del 10% dal 2009 e nel 2014 è salito all’11,6%, contro il 7,5% nel 2007. Il tasso di disoccupazione giovanile nella zona euro è addirittura del 23% (contro il 16,6% nel 2007). Il potenziale di crescita dei paesi risente degli elevati livelli di indebitamento e disoccupazione e dei notevoli ostacoli che ancora incidono sulla flessibilità dei mercati (si veda il grafico 5). A parte il fatto che di norma un debito elevato incide negativamente sulla crescita (si veda il grafico 6), i paesi caratterizzati da una crescita fiacca e da una bassa inflazione hanno difficoltà a ridurre l’indebitamento per rafforzare la resilienza e la sostenibilità. In questo contesto potrebbe risultare particolarmente difficile, per alcuni paesi della zona euro fortemente indebitati e con bassi tassi di crescita del prodotto potenziale, ridurre rapidamente il livello del debito. Per aumentare la resilienza agli shock e rafforzare la crescita del prodotto potenziale occorrono ulteriori interventi in termini di riforme strutturali nazionali. Grafico 5: PIL reale pro capite (crescita media) Stando agli indicatori internazionali relativi alla flessibilità dei mercati del lavoro e dei prodotti, i paesi della zona euro presentano ancora notevoli rigidità a cui occorre ovviare. I governi nazionali devono inoltre garantire un contesto favorevole alla creazione di nuove imprese o all’espansione di quelle esistenti. Secondo gli indicatori internazionali vi è un notevole margine di miglioramento nella zona euro: ora come ora, nella classifica mondiale la zona euro è in una posizione molto arretrata, in media, rispetto al Regno Unito e agli Stati Uniti. Grafico 6: Crescita potenziale media rispetto al debito pubblico e privato 2005-2014 5.0 4.0 3.0 2.0 1.0 0.0 -1.0 -2.0 DE EA FR IE PT ES IT GR Fonte: Commissione europea Crescita media del prodotto potenziale (2015-2019) Secondo l’indice della Banca mondiale sulla “facilità di fare impresa”, solo un paese della zona euro, la Finlandia, figura tra i primi dieci della classifica e molti altri non figurano neanche tra i primi 50. L’adozione di misure volte a migliorare la situazione non è solo nell’interesse dei singoli Stati membri, a causa dei forti legami esistenti tra le loro economie, ma anche dell’intera zona euro. 1995-2004 6.0 Debito pubblico e privato in % del PIL Fonte: Commissione europea, Eurostat Nota: l’ultima osservazione si riferisce al giugno 2014 per il settore pubblico e privato e al 2019 per il prodotto potenziale. 7 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 5. Prospettive future: verso un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita Visto il debole contesto economico attuale dell’intera zona euro e considerate le vulnerabilità e le rigidità che ancora permangono in determinati paesi, occorre sviluppare progressivamente “meccanismi concreti per un coordinamento, una convergenza e una solidarietà più solidi tra le politiche economiche”. Questi meccanismi dovrebbero tener conto della reale situazione economica, occupazionale e sociale degli Stati membri della zona euro, della natura della loro interdipendenza e della loro capacità di convergere progressivamente. A breve termine, sarà importante attuare una strategia coerente imperniata su un “triangolo virtuoso” di riforme strutturali, investimenti e responsabilità di bilancio assumendo in questo contesto impegni più efficaci in termini di riforme strutturali favorevoli alla crescita nella zona euro. Gli impegni politici in termini di riforme strutturali favorevoli alla crescita assunti, a titolo individuale o collettivo, dai paesi della zona euro non sono stati onorati in modo soddisfacente. I forti impegni assunti nei periodi di crisi vengono spesso indeboliti quando il clima economico migliora. In questo senso, l’effetto stabilizzatore della moneta unica risulta in qualche misura controproducente per quanto riguarda la volontà dei governi nazionali di avviare e attuare con determinazione riforme strutturali peraltro urgentemente necessarie. Serve un consenso rinnovato ai massimi livelli politici per portare avanti queste riforme strutturali, che dovrebbero essere considerate prioritarie in tutta la zona euro. Occorre inoltre migliorare il funzionamento del mercato unico, specialmente nei settori che sono indispensabili per rafforzare la capacità di aggiustamento delle economie della zona euro. A tal fine è di fondamentale importanza incentivare la mobilità dei lavoratori. Per completare l’Unione bancaria nonché diversificare e ampliare le fonti di finanziamento dell’economia europea, dobbiamo rimuovere gli ostacoli rimanenti agli investimenti e alla libera circolazione dei capitali e considerare l’integrazione dei mercati dei capitali una priorità politica, tenendo conto anche di aspetti quali la fiscalità, l’insolvenza e il diritto societario. La realizzazione di un sistema finanziario integrato attraverso l’Unione dei mercati dei capitali può rendere un’unione monetaria più resiliente agli shock, introducendo un elemento di condivisione dei rischi da parte del settore privato, e più efficiente in termini di occupazione, crescita e investimenti. Per migliorare le prospettive di crescita sono indispensabili ulteriori iniziative volte a completare il mercato unico, ad esempio nei settori dell’economia digitale e dell’energia. Il conseguimento di progressi tangibili a questi due livelli - riforme strutturali favorevoli alla crescita e approfondimento del mercato unico - contribuirà entro tempi brevi (nei prossimi 18 mesi) al buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria, purché vi sia un forte sostegno politico. Tuttavia, come già auspicato nella relazione dei quattro presidenti del 2012 e nel piano della Commissione, dovrà essere definita, nell’interesse dei cittadini e dei mercati, una prospettiva a lungo termine per l’evoluzione del quadro dell’UEM, individuando gli aspetti per i quali esso potrebbe essere considerato completo e quelli su cui si dovrà lavorare ulteriormente per rafforzare la governance comune. Il fatto che la zona euro non si sia ripresa dalla crisi allo stesso modo degli Stati Uniti potrebbe indicare che un’unione monetaria incompleta si adegua molto più lentamente di un’unione dotata di un assetto istituzionale più completo (si veda il grafico 7). 8 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 Grafico 7 PIL reale pro capite Tasso di disoccupazione 2008q1= 100 Variazione da gennaio 2008 (punti percentuali) zona euro Stati Uniti Stati Uniti zona euro Fonte: Eurostat In questo contesto, la presente nota analitica intende avviare una discussione su cui i quattro presidenti si baseranno per redigere, in stretta collaborazione con tutti gli Stati membri, una relazione prospettica1 che potrebbe affrontare, in particolare, le seguenti questioni: Come possiamo garantire posizioni economiche e di bilancio solide in tutti gli Stati membri della zona euro? In che modo si potrebbe garantire una migliore attuazione e applicazione del quadro di governance economica e di bilancio? Se applicato integralmente, l’attuale quadro di governance è sufficiente per rendere a lungo termine la zona euro resiliente agli shock e prospera? In che misura il quadro dell’UEM può basarsi prevalentemente su norme rigorose e in che misura occorrono anche istituzioni comuni forti? Quali strumenti sono necessari nel caso in cui, nonostante la sorveglianza esercitata nell’ambito del quadro di governance, le politiche nazionali continuino a seguire una direzione sbagliata e pericolosa? Si è lavorato a sufficienza sul collegamento tra bilancio e settore finanziario per evitare la creazione di un nuovo circolo vizioso fra banche e debito sovrano? Come si potrebbe rafforzare la condivisione dei rischi da parte del settore privato sui mercati finanziari della zona euro in modo da migliorare l’assorbimento degli shock asimmetrici? In che misura l’attuale condivisione della sovranità permette di rispettare i requisiti del quadro economico, finanziario e di bilancio associato alla moneta comune? È veramente auspicabile una maggior ripartizione dei rischi a livello di bilancio? Quali sarebbero i presupposti? 1 Il presidente della Commissione europea ha espresso l’intenzione di associare il presidente del Parlamento europeo alle sue riflessioni durante la preparazione della relazione. 9 Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015 A quali condizioni e in che forma si potrebbe prendere in considerazione un rafforzamento della governance comune applicato alle riforme strutturali? In che modo esso potrebbe promuovere una convergenza effettiva? Qual è il modo migliore per garantire responsabilità e legittimità in una struttura multilaterale come l’UEM? 10