L`alternativa pronominale nella relativa appositiva isolata dalla

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L`alternativa pronominale nella relativa appositiva isolata dalla
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol II, pp. 433-438
L’alternativa pronominale nella relativa appositiva isolata dalla punteggiatura
Letizia Lala
Università di Basilea e Università di Losanna
Abstract
Nei loro usi standard canonizzati dalla grammatica tradizionale, le relative appositive, nonostante la maggiore indipendenza ‘testuale’
che esse godono rispetto alle restrittive, non sono mai separate dall’antecedente da una pausa ‘forte’. Per queste relative, la norma
detterebbe l’utilizzo di che quando l’antecedente ‘relativizzato’ è un soggetto o un oggetto, e di (art.+) qual- o cui quando esso è
preceduto da preposizione (cfr. Cinque, 1988: 447). In realtà un’osservazione della lingua d’uso mostra che ci sono casi frequenti in
cui l’appositiva appartiene ad un Enunciato diverso da quello che contiene l’antecedente. Per questa costruzione ‘marcata’ la
grammatica ha coniato il termine di «giustapposta-parentetica» (Cinque, 1988: 448 sgg.) e stabilito che il pronome relativo impiegato
per soggetto e oggetto (oltre che per i complementi indiretti) dovrebbe essere (art.+) qual-. Nell’uso concreto però le scelte non sono
così nette, e gli introduttori relativi si alternano in base ad automatismi difficili da cogliere. Detto questo, ciò che mi propongo in
questa sede è di osservare l’alternativa che/(art.+) qual- all’interno della classe delle relative appositive isolate da una pausa ‘forte’
abbandonando l’ottica morfo-sintattica classica (cfr. Cinque, 1988) per arrivare a mostrare come la scelta pronominale sia in questi
casi regolata soprattutto da criteri di ordine informativo-testuale.
1. Introduzione
La distinzione tra relativa restrittiva e relativa
appositiva è nota, così come la possibilità della seconda di
manifestarsi autonomamente dal punto di vista testualeillocutivo rispetto alla frase che contiene l’antecedente.
Indizio di questa libertà è la sua realizzazione
intonativamente autonoma rispetto alla frase che la ospita
(Scarano, 2002: 140). Ora, se questo stacco prosodico
viene normalmente realizzato nello scritto grazie
all’introduzione di una virgola, talvolta la frattura
interpuntiva può farsi più marcata; come mostrano i
moltissimi esempi di relativa appositiva separata dalla
reggente da punto, da due punti o da punto e virgola. La
costruzione che ne deriva, considerata ‘marcata’ dalla
grammatica tradizionale, sarà l’ambito di studio della mia
analisi. Più in dettaglio, il mio contributo verterà
sull’osservazione dell’alternanza degli introduttori relativi
che1 e (art.+) qual-, e si porrà l’obiettivo di mostrare che
cosa influenzi la scelta tra le due forme e le conseguenze
che essa può arrecare a livello di testualità. Per ottenere
questo, partirò dall’osservazione della relativa appositiva
‘giustapposta’2 nella lingua parlata, per passare poi ad
analizzare quanto accade nello scritto.
2. L’alternativa (art.+) qual-/che nella lingua
orale
Un’indagine nell’ambito della lingua orale mostra per
la frase relativa una tendenza all’utilizzo quasi esclusivo
della forma invariabile che. In effetti, nell’italiano parlato
odierno la scelta del pronome (art.+) qual- non preceduto
1
Sulla scia degli studi di N. Chomsky (sull’inglese) e di R.
Kayne (sul francese), molti linguisti non considerano che un
pronome ma lo identificano con lo stesso elemento che introduce
altri tipi di subordinate marcate temporalmente attribuendogli lo
statuto di «complementatore» (cfr., tra gli altri: Benincà, in
Sombrero, 2003: 279-280 e Salvi e Vannelli, 2004: 289-290).
2
D’ora in avanti utilizzerò questo termine per intendere le
relative appositive separate dall’antecedente da una pausa
‘forte’, corrispondente a un confine di Enunciato. A fini di
chiarezza, ho selezionato esempi dove la visualizzazione del
confine è segnalata: nelle trascrizioni dall’orale, da una doppia
sbarra obliqua (in linea con Cresti, 2000); e nello scritto, dalla
presenza di un’interpunzione ‘forte’ (punto; due punti; punto e
virgola se non in funzione disambiguante).
da preposizione tende ad essere avvertita come ‘marcata’
– diastraticamente e diafasicamente – verso l’alto, ed è
perciò percepita come inadatta nei contesti più spontanei e
informali. Non è perciò difficile comprendere come nel
campionamento LABLITA (Cresti, 2000) delle 36
ricorrenze riscontrate di relativa posta dopo un confine di
Enunciato3, con introduttore in caso diretto, solo una volta
(1) la scelta sia ricaduta su il quale:
(1) // un giorno / nell’aprile del novantatré / mi mandò a
chiamare // tramite / un mio compaesano / un certo signor
Vito Colace / che io conoscevo // il quale mi disse /
guarda /’ c’è il Calabrò /’ che ti vuole parlare /’ vallo a
trovare //”[...]
(Cresti, 2000/II: 367)
Né stupisce che questa unica ricorrenza appartenga
alla trascrizione di un’udienza giudiziaria, uno degli
ambiti d’uso più formali dell’orale.
Nello stesso corpus, in tutte le altre situazioni, chi ha
parlato ha preferito la forma che – come ad esempio in (2)
e (3):
(2) <no / dunque> / ecco io mi occupo / appunto per
questo / mi occupo in particolare / della liquidazione //
mentre invece della pensione / devi andare dalla collega /
Monelli / o dal collega / Baldini meglio // che c’ha le idee
più chiare //
(Cresti, 2000/II: 63)
(3) *ART: col mastice // l’ingrandente principale è il
mastice // può essere / sia mastice / dato a mano / o sia con
quella [/] con quella macchinetta laggiù / vedi //
*DAN: ah //
3
In questa ricerca mi avvalgo del modello di strutturazione del
testo adottato in Ferrari (2003) e sviluppato in Ferrari (2004) e
(2005). Esso propone una classificazione delle unità minimali
costituenti il testo in unità funzionali, definite in base a
caratteristiche semantico-pragmatiche, e la cui designazione non
risulta da un unico, specifico aspetto della lingua, ma può
dipendere dall’interazione di indizi di vario carattere: lessicale,
sintattico, interpuntivo, semantico e contestuale. In linea con
questo modello teorico, considero l’Enunciato l’unità centrale
del testo (cfr. § 4.1).
Letizia Lala
*ART: laggiù dietro // che si chiama / latticiatrice //
perché / non è vero e proprio mastice // ma è lattice [!] di
gomma / quella / della Malesia ... insomma ...
(Cresti, 2000/II: 120)
Aggiungerei che nell’orale – come è noto – oltre alla
scelta preferenziale di che nei casi in cui è ammissibile
un’alternativa (casi diretti), è molto frequente, soprattutto
nelle varietà di registro poco controllato, l’utilizzo di che
indeclinabile anche per i casi indiretti.
Così, nella lingua parlata, esempi come (4) e (5) non
sono affatto rari:
(4) *MAU: però / la normativa è questa // solo che poi ci
sono delle deroghe // che [ = per le quali, in base alle
quali, in base a cui]/ appunto / per chi ha già / più di [/]
diciotto anni / di servizio / può andare / anche se non ha /
questi / requisiti / di cui ti dicevo prima //
(Cresti 2000/II: 62)
(5) *ELA: eh // bella / 'esta foto // che [ = dove, in cui]
l’hanno preso / mentre stava lavorando / lui // che [ =
dove, in cui] c’aveva + Liana / non te l’hanno mica data /
quella <foto bella> +
*LIA: [<] <eh / non so più &ce> [/] non l’ho più cercata //
(Cresti e Moneglia, 2005_ifamcv01)
Dunque, nell’orale, specie se si fa riferimento ai
registri più spontanei e informali (ma non soltanto), il che
viene utilizzato invariabilmente, per qualunque ruolo
sintattico.
In conclusione, se questa è la situazione per ciò che
concerne l’italiano parlato, sembrerebbe che l’ambito di
pertinenza del fenomeno di cui mi sto occupando sia
piuttosto lo scritto.
3. L’alternativa (art.+) qual-/che nello scritto
Se anche quella di semplificare il paradigma dei
pronomi relativi (e non solo) sembra essere una tendenza
diffusa in italiano per entrambi i mezzi comunicativi, nello
scritto – com’è logico per le caratteristiche pragmatiche
del mezzo – abbiamo un uso delle varie forme
pronominali più vicino alla norma, e il pronome variabile
(art.+) qual- e la forma invariabile che sono entrambi ben
rappresentati.
Scelte di utilizzo dell’uno o dell’altra forma possono
dipendere da un’esigenza di variatio; dalla volontà – per
desiderio di chiarezza, o, al contrario, di vaghezza – di
esplicitare genere e numero; da variazioni sugli assi
diamesico, diafasico e diastratico.
Per ciò che concerne le relative ‘giustapposte’, la
scelta tra le due forme implica anche un diverso livello di
‘marcatezza’ del costrutto. Inserire dopo una frattura
‘forte’ il che risulta infatti stilisticamente più ardito che
iniziare un nuovo Enunciato con (art.+) qual-. Questa
differenza di livello stilistico trova origine nella nostra
tradizione linguistica. Sappiamo che in latino, iniziare un
nuovo periodo con una connessione relativa – aggettivo o
pronome – era prassi corrente (Grassi e Cassese, 1980:
182). La cosiddetta coniunctio relativa obbligava
addirittura a sostituire l’anafora con un legame relativo
(qui per et ille), che permetteva di non appesantire il
periodo e di marcare la coesione con il co-testo precedente
(Durante, 1981: 12). Il legame via una forma relativa in
principio di frase rimase operante in fase romanza, e, sullo
stampo dal latino, nell’italiano antico divenne pratica
corrente aprire un periodo con (art.+) qual- senza che al
costrutto venisse attribuito alcun grado di ‘marcatezza’. Il
pronome pieno in apertura di Enunciato deve dunque
all’ipoteca di letterarietà derivatagli dalla tradizione
l’appartenenza a un registro stilistico più ‘alto’ della
forma indeclinabile osservata nella medesima situazione.
L’utilizzo del che per cominciare un periodo, avvertito
come più ‘marcato’, si presta quindi ad essere accolto
entro un numero più limitato di tipi testuali e registri
stilistici. Questo premesso, sono convinta che a monte
della scelta di utilizzare l’una o l’altra forma risiedano
nella maggior parte dei casi ragioni di ordine informativotestuale.
3.1.
Le relative appositive ‘giustapposte’ nella
lingua scritta
Avendo deciso di indagare sulla relativa appositiva
spezzata da un segno di punteggiatura ‘forte’, credo che
sia fondamentale cominciare la mia indagine osservando
le caratteristiche informativo-testuali di questo costrutto.
Come ho già detto, in italiano questa è una costruzione
piuttosto frequente. Vediamone due esempi in (6) e (7):
(6) Ma c’è un popolo – indovina quale – che ha un altro
nome per quella malattia devastante: proprio i francesi.
Che si vendicano definendola un male italiano, anzi un
“mal florentin”, da curare col medicamento al mercurio
che, chissà perché, è un “onguent napolitain”.
(LISUL_GIO_Corr)
(7) L’8 settembre i commissari hanno sentito Giorgio e
Luciana Alpi: i quali dall’incontro hanno ricavato solo
amarezza e delusione, due sentimenti che li
accompagnano, insieme al dolore, dalla morte della figlia,
la giornalista del Tg3 assassinata a Mogadiscio [...]
(CORIS_STAMPAPeri)
Nei due casi, la scelta interpuntiva ha effetti importanti
a livello testuale. Scegliere di inserire il punto e i due
punti equivale infatti a suggerire al lettore di leggere la
subordinata relativa come un Enunciato autonomo (cfr.
Lala, 2003 e 2005; Ferrari, 2003), permettendole così di
acquistare una maggiore salienza testuale. In questo modo,
lo scarto gerarchico tra essa e la principale può finire per
ridursi arrivando a divenire quasi impercettibile; come in
(8):
(8) Sullo sfondo, ci piace ricordare la triplice condizione
che Della Casa 1993: 11-12 pone alla grammatica
scolastica. La quale deve essere: “empirica (nel senso che
deve aderire ai fatti linguistici così come il soggetto li
pratica ed esperisce nella concretezza dell’uso
quotidiano[...]).
(LISUL_SAG_LIN)
L’alternativa pronominale nella relativa appositiva isolata dalla punteggiatura
dove, malgrado la forma di subordinata, la frase relativa
ha, dal punto di vista testuale, il peso gerarchico di una
frase indipendente. In situazioni come questa, la tendenza
è quella di scegliere il pronome pieno (art.+) qual-, che
risulta molto vicino a un dimostrativo; come mostra la
parafrasi (9):
(9) Sullo sfondo, ci piace ricordare la triplice condizione
che Della Casa 1993: 11-12 pone alla grammatica
scolastica. Questa deve essere: “empirica (nel senso che
deve aderire ai fatti linguistici così come il soggetto li
pratica […]).
Ci sono invece situazioni in cui il grado di
integrazione della subordinata è maggiore, e dunque il
livello di autonomia dall’antecedente minore. In questi
casi la tendenza generale è ad utilizzare la forma
invariabile che (10). Il tentativo di riformulare con un
dimostrativo dà allora spesso risultati meno soddisfacenti
da un punto di vista testuale (11):
(10) Rimane da dire della vicenda narrativa; che a mio
giudizio non è la cosa più importante.
(LISUL_REC_Ind)
(11)??Rimane da dire della vicenda narrativa; questo a
mio giudizio non è la cosa più importante.
L’impressione di inaccettabilità che si ottiene leggendo
(11) deriva dal fatto che con l’inserimento del
dimostrativo si modifica lo statuto di commento a latere
della relativa, che con la maggiore autonomia acquista
un’importanza testuale inadeguata, soprattutto se si
considera che il testo continui tematizzando la «vicenda
narrativa».
È interessante notare come sia possibile recuperare
pienamente l’accettabilità inserendo una congiunzione
come ma o e4 (12):
(12) Rimane da dire della vicenda narrativa; [ma/e]
questo a mio giudizio non è la cosa più importante.
Ciò, in quanto in (12), l’Enunciato è inserito, grazie al
connettivo, in un movimento logico-argomentativo che ne
giustifica la ‘pesantezza’ testuale. Via la congiunzione, si
recupera inoltre il legame subordinante, di forte
dipendenza, presente in origine (10) grazie al che.
Arrivata a questo punto, credo di poter cominciare a
trarre alcune conclusioni.
3.2.
Prime conclusioni
Sembrerebbe quindi che, data una struttura:
Reggente →
Segno
Interpuntivo →
‘forte’
Subordinata
Relativa
Appositiva
4
Del resto, questa è la procedura regolarmente consigliata nelle
scuole italiane per le traduzioni dal latino all’italiano (cfr., tra gli
altri, Grassi eCassese, 1980: 182-183).
si possano ipotizzare due configurazioni semanticotestuali diverse:
- una configurazione in cui la relativa appositiva ha un
comportamento da frase indipendente;
- una configurazione in cui l’appositiva si comporta come
una subordinata.
(i) La relativa appositiva che si comporta come una frase
indipendente
Nei casi in cui la relativa abbia un comportamento
semantico-testuale da frase autonoma, la scelta del
pronome sembra orientata verso il pronome (art.+) qual-.
Esso tende allora a comportarsi come un pronome
dimostrativo.
Perdendosi il legame sintattico, la scelta della
subordinazione relativa diviene un modo per mostrare i
passaggi testuali e dare coesione al testo.
(ii) La relativa appositiva che si comporta come una
subordinata
Dove invece la relativa appositiva continui a
comportarsi come una subordinata, essa crea un’unità
testuale posta sullo sfondo comunicativo dell’Enunciato.
La tendenza è allora all’utilizzo della forma che e
l’inserimento della punteggiatura ‘forte’ serve non tanto a
creare un confine di Enunciato quanto per imporre un
confine testuale di tipo informativo, consentendo un
aumento del dinamismo comunicativo rispetto alla
formula linearizzata.
3.3.
Scelta pronominale: sintomo o causa di
autonomia?
La questione che ci si può porre a questo punto è se la
scelta dell’introduttore relativo sia sintomo o causa
dell’appartenenza all’una o all’altra classe d’uso.
Cerchiamo di capirlo prendendo gli esempi seguenti:
(13) Ed è lì che vivono anche i bambini molestati: proprio
nella “tana del lupo”. Che di loro conosceva orari e
abitudini, giochi e nomi. Sapeva qual era la loro scuola,
quale il dolce preferito.
(CORIS_STAMPAQuot)
(14) “La lingua umana può essere una tromba di guerra e
di sedizioni” così, richiamandosi a Pericle, scriveva (alla
metà del Seicento) Thomas Hobbes. Il quale pensava che
tra le cause principali della decapitazione del re Carlo e
della rivoluzione inglese del 1649 ci fosse l’educazione
che avevano ricevuto quei molti gentiluomini che si erano
formati sui testi di Platone e Aristotele, Cicerone, Seneca
e Catone.
(LISUL_GIO_S24H_st)
Osservando gli esempi, ci accorgiamo che nei due casi
le relative sembrano avere un grado di integrazione nel
testo e un livello gerarchico-testuale diversi,
corrispondenti alle due differenti scelte di ripresa
pronominale (cfr. supra).
Con (15) e (16), ci accorgiamo però che le due forme
possono essere invertite:
Letizia Lala
(15) Ed è lì che vivono anche i bambini molestati: proprio
nella “tana del lupo”. Il quale di loro conosceva orari e
abitudini, giochi e nomi. Sapeva qual era la loro scuola,
quale il dolce preferito.
(16) “La lingua umana può essere una tromba di guerra e
di sedizioni” così, richiamandosi a Pericle, scriveva (alla
metà del Seicento) Thomas Hobbes. Che pensava che tra
le cause principali della decapitazione del re Carlo e della
rivoluzione inglese del 1649 ci fosse l’educazione che
avevano ricevuto quei molti gentiluomini che si erano
formati sui testi di Platone e Aristotele, Cicerone, Seneca
e Catone.
e che sostituire in (13) il che con il quale permette di
attribuire alla subordinata uno statuto che la rende simile a
una frase indipendente; mentre, riformulare (14) con che
fa sì che la relativa, nonostante l’arresto segnato dal punto,
riacquisti un ruolo testuale da subordinata.
Andando avanti nell’analisi, ci accorgiamo inoltre che
la scelta dell’una o dell’altra forma permette di attribuire
un grado di attenzione differente all’entità segnalata
dall’introduttore relativo, consentendo così di veicolare
l’informazione in maniera sottilmente diversa. La povertà
semantica del che spinge infatti al ‘compattamento’
informativo dell’unità testuale che esaurisce la relativa,
all’interno della quale l’informazione è linearizzata. Il che
consente quindi di introdurre una sequenza strettamente
ancorata al movimento precedente – in qualche modo
statica –, spingendo ad interpretarla sotto una luce di
‘attributività’.
La pesantezza fono-semantica del pronome pieno
assegna invece una maggiore forza comunicativa all’entità
segnalata dal pronome, e permette di inserire una
sequenza ‘eventiva’, aperta verso l’evoluzione del testo.
Osserviamo a riguardo gli esempi (17) e (18):
(17) Ora è vero che la povera glasnost ha avuto le gambe
corte, tuttavia ci sembra che la contraddizione fra la verità
e la bugia possa essere risolta soltanto con uno sforzo
perestroiko, che trasformi Benigni, da pezzo di legno, in
un personaggio post-sovietico, in un autentico figlio di
Putin: diciamo pure in una incarnazione russa del
personaggio collodiano; che si chiamerà inevitabilmente
Pinokkiov, mentre è ancora dubbia e diplomaticamente
controversa la trasformazione di Mastro Geppetto nello
Zio Vania (fosse un calciatore, ci sarebbero meno
problemi, passaporto falso e via).
(LISUL_GIO_S24H_contr)
(18) ??Ora è vero che la povera glasnost ha avuto le gambe
corte, tuttavia ci sembra che la contraddizione fra la verità
e la bugia possa essere risolta soltanto con uno sforzo
perestroiko, che trasformi Benigni, da pezzo di legno, in
un personaggio post-sovietico, in un autentico figlio di
Putin: diciamo pure in una incarnazione russa del
personaggio collodiano; il quale si chiamerà
inevitabilmente Pinokkiov, mentre è ancora dubbia e
diplomaticamente controversa la trasformazione di Mastro
Geppetto nello Zio Vania (fosse un calciatore, ci
sarebbero meno problemi, passaporto falso e via).
Mentre l’esempio originale (17) mostra come il che si
presti con facilità ad introdurre un’unità strettamente
agganciata al co-testo precedente, e di minimo sviluppo
verso quello destro; l’utilizzo in (18) del pronome il quale
spinge verso una lettura diversa e poco adeguata per
questo contesto. In effetti, l’attenzione posta sull’entità a
cui si lega il pronome e la forte autonomia dell’unità
saturata dalla relativa ottenuti con l’utilizzo di (art.+)
qual- in principio di Enunciato fanno in modo che il
lettore sia spinto a cercare nel co-testo di destra un logico
sviluppo del contenuto proposto dalla relativa. Così l’unità
introdotta da «mentre», che nell’originale si opponeva alla
«trasform[azione] [di] Benigni», finisce per sembrare
contrapposta al contenuto della relativa (l’attribuzione del
nomignolo «Pinokkiev»). Si modifica così l’architettura
logico-argomentativa originale e un’unità testuale che in
origine aveva un ruolo di esclusivo completamento di
quanto precedentemente espresso finisce per assumere una
funzione di primo piano nella prosecuzione del testo;
mentre il referente pronominale della relativa acquista
un’evidenza che poco gli si addice. Diverso il caso della
variante (19) in cui il pronome relativo introduce un
Enunciato caratterizzato da forte autonomia, che proietta
in avanti i propri contenuti e dove l’introduttore assume
un ruolo di primo piano utile in questo caso per creare la
contrapposizione con «Mastro Geppetto»:
(19) Ora è vero che la povera glasnost ha avuto le gambe
corte, tuttavia ci sembra che la contraddizione fra la verità
e la bugia possa essere risolta soltanto con uno sforzo
perestroiko, che trasformi Benigni, da pezzo di legno, in
un personaggio post-sovietico, in un autentico figlio di
Putin: diciamo pure in una incarnazione russa del
personaggio collodiano; il quale si chiamerà
inevitabilmente Pinokkiov, mentre Mastro Geppetto finirà
probabilmente per chiamarsi Zio Vania [...]
Dunque nella relativa ‘giustapposta’ la scelta
dell’introduttore porta con sé conseguenze importanti.
Essa è all’origine del diverso livello di integrazione del
contenuto della subordinata e quindi del differente ruolo
gerarchico acquistato all’interno del testo. Da essa deriva
un diverso grado di attenzione posto sull’entità
‘relativizzata’ e il conseguente orientamento sulla
tipologia della sequenza successiva. Sembrerebbe quindi
che la scelta tra (art.+) qual- e che orienti in maniera
inequivocabile la strategia linguistica; e che all’origine
delle diversità tra i due costrutti risiedano ragioni legate
alla dimensione informativa del testo. Arrivata a questo
punto credo quindi che sia importante occuparmi
dell’articolazione informativa degli Enunciati in esame.
Per procedere verso questa direzione partirò descrivendo
quali sono le unità che costituiscono l’Enunciato.
4. Lo statuto informativo della relativa
appositiva isolata dalla punteggiatura
4.1.
Le unità costitutive dell’Enunciato
All’interno del modello teorico in cui si colloca la mia
ricerca, il contenuto di un testo è strutturato in Enunciati
(cfr. nota 2). Essi rappresentano le unità centrali del testo
in quanto svolgono il ruolo cruciale di veicolare l’atto di
L’alternativa pronominale nella relativa appositiva isolata dalla punteggiatura
illocuzione e quello di composizione testuale effettuati dal
locutore al momento di generare l’atto linguistico.
L’Enunciato si articola al suo interno in unità testuali,
la più importante delle quali è l’unità di Nucleo, a cui
spetta di contenere l’obiettivo comunicativo relativo
all’intero Enunciato. Il Nucleo può essere accompagnato
da altre unità facoltative tra cui le più importanti sono il
Quadro e l’Appendice. Il Quadro ha la funzione di
esplicitare la cornice all’interno del quale si definisce la
pertinenza
comunicativa,
semantica
e
testuale
dell’interpretazione del Nucleo. L’Appendice, posta sullo
sfondo informativo dell’Enunciato, costituisce invece
un’integrazione di un’altra unità – Nucleo o Quadro – e ha
il compito di approfondire o correggere il contenuto che la
precede. In un testo costruito in maniera coerente ogni
Enunciato, oltre ad essere organizzato gerarchicamente nel
modo visto, articola i suoi contenuti in Topic e Comment.
I Topic sono le entità su cui vertono le predicazioni,
realizzate dai Comment. Ogni Enunciato contiene un
Comment e può contenere al suo interno anche un Topic.
Così in (20), la salienza propria dell’unità di Quadro viene
assegnata a un contenuto proposto come Topic del nuovo
Enunciato; mentre in (21) scegliere di linearizzare la
relativa all’interno dell’unità di Nucleo equivale ad
attribuire al referente del pronome una minore salienza
testuale e comunicativa.
Presentare un pronome come Quadro fa sì che questo,
«rinviando ad un referente già introdotto nel testo, ne
sottoline[i] l’importanza nei meccanismi compositivi»
(Zampese, 2005: 176). L’effetto che si ottiene in (20) è
quello di sottolineare la struttura in progress del testo,
grazie alla ripresa anaforica che marca il legame della
nuova unità con le precedenti; e, al tempo stesso, di
valorizzare questa operazione di costruzione graduale del
testo, grazie all’autonomia informativa realizzata
dall’unità di Quadro (cfr. Zampese, 2005: 176).
Scegliere l’una o l’altra formulazione permette inoltre
di optare tra una struttura che mette in risalto la relazione
tra due entità e una logica sequenziale che mira al legame
tra eventi.
4.1.1.
5. Conclusioni
Lo statuto informativo
‘giustapposta’
della
relativa
Si prendano gli esempi (20) e (21), due casi di relativa
‘giustapposta’ da me annotati informativamente:
(20)5 Pasolini? Un imbonitore. Così sostiene Angelo
Guglielmi.// Il quale(topic) /Quadro non s’è ancora slegato dal
dito il fatto che,/ quand’era un giovane di belle speranze
letterarie,/Appendice
il
gigante
non
lo
salutava
nemmeno.//Nucleo
(LISUL_GIO_S24H_contr)
(21) // Ceronetti/ è traduttore radicalmente anticlassico://
che non si arrende,/ facendo di necessità virtù,/Appendice
all’evidenza che ogni traduzione non può che sottrarre
espressività e musica all’originale,//Nucleo ma può [...]
(LISUL_REC_Ind)
Nelle mie ipotesi, la differenza che possiamo
riscontrare tra i due esempi è da cogliere soprattutto in
termini informativo-testuali. Per prima cosa, mentre in
(20) la scelta della forma il quale orienta il lettore a
interpretare il referente testuale indicato dal pronome
come Topic, in (21) l’utilizzo del che spinge alla
compattazione informativa. Inoltre, se nel caso del
pronome relativo pieno esso può essere linearizzato nel
Nucleo ma anche prendere posto all’interno di un’unità di
Quadro – inaugurando così una nuova unità informativa –,
la scelta del che orienta definitivamente verso la
linearizzazione all’interno del Nucleo dell’Enunciato.6
5
Questa lettura non esclude la possibilità di una seconda lettura
con Topic linearizzato nel Nucleo:
(20bis) Pasolini?// Un imbonitore.// Così sostiene Angelo
Guglielmi.// Il quale(topic) non s’è ancora slegato dal dito il fatto
che,/ quand’era un giovane di belle speranze letterarie,/Appendice il
gigante non lo salutava nemmeno.//Nucleo
(LISUL_GIO_S24H_contr)
6
In alcuni casi la relativa inserita nel Nucleo lo articola,
realizzando un’Appendice:
Partendo dall’osservazione di quelle che ho definito
relative ‘giustapposte’ (relative appositive spezzate da un
confine di Enunciato), ho deciso di concentrare la mia
analisi sugli utilizzi degli introduttori relativi, e in
particolare sull’alternanza, nella lingua contemporanea, tra
(art.+) qual- e che. Ho mostrato così come nell’orale,
nonostante la norma, la tendenza generale sia all’utilizzo
esclusivo della forma invariabile che per i casi diretti e,
nelle varietà meno formali, anche per i casi indiretti. L’uso
del pronome pieno sembra infatti limitato a varietà della
lingua poco spontanee.
Passando poi all’osservazione dello scritto si è potuto
vedere che entrambi gli introduttori sono ancora
ampiamente attestati, e che nella relativa ‘giustapposta’
talvolta compare la forma invariabile che, talaltra il
pronome variabile (art.+) qual-. Questo mi ha spinto a
cercare di stabilire che cosa nello scritto motivi
l’alternanza tra i due introduttori. Ho così indicato come
potenziali criteri di scelta tra le due forme ragioni di
ordine diverso, quali esigenze di variatio o il desiderio di
esplicitare genere grammaticale e numero. Il fatto poi che
l’italiano antico non attribuisse all’utilizzo della forma
relativa (art.+) qual- in principio di periodo alcuna ipoteca
di ‘marcatezza’ ha garantito a questo costrutto un prestigio
che pesa ancora oggi sui giudizi di accettabilità; così che il
quale in principio di Enunciato appare meno ‘marcato’
dell’alternativo che. Quindi, criteri di scelta anche di tipo
‘stilistico’ e legati all’ambito di utilizzo. Proseguendo
nell’analisi del costrutto, ho poi segnalato come le relative
‘giustapposte’ si prestino a una classificazione in due
categorie: proposizioni che testualmente tendono ad
acquisire un livello di autonomia che le avvicina a frasi
indipendenti; e proposizioni che, nonostante l’inserimento
di un segno di punteggiatura ‘forte’ (normalmente
all’origine di un confine di Enunciato), mantengono il loro
// Prefata magistralmente da Piero Boitani,/Quadro l’agenda
dantesca è una miniera di informazioni sul poeta e sul suo
mondo./ Nucleo Che a sette secoli di distanza è più che mai
vivo./Appendice //
(LISUL_GIO_S24H_ex_lib)
Letizia Lala
statuto di subordinate. Ho quindi mostrato come nel primo
caso sia tendenzialmente usata la forma (art.+) qual-; nel
secondo, il che. E come l’appartenenza all’una o all’altra
categoria trovi origine proprio nella natura della forma
pronominale selezionata. In effetti, la pesantezza fonosemantica della forma variabile (art.+) qual- pare
consentirle, in apertura di Enunciato, un ruolo del tutto
corrispondente a quello di una forma pronominale
dimostrativa o personale; cosa che non avviene per la
forma indeclinabile che. Così, (art.+) qual- tende ad
assumere il ruolo di referente centrale dell’Enunciato
inaugurato, che finisce per articolarsi in ‘entità di cui si
parla’ (Topic) e ‘predicazione che si intende veicolare’
(Comment); mentre il che apre un’unità che si compatta
all’interno dell’Enunciato di cui fa parte o di cui
rappresenta un’unità posta in secondo piano.
In conclusione, la forma (art.+) qual- incipitaria
consente d’introdurre Enunciati che malgrado la forma
subordinata si comportano come frasi indipendenti, e di
creare costruzioni in grado di far nascere forti effetti
informativi e testuali senza apparire troppo ‘marcate’,
risultando adatte ad essere ospitate in varie tipologie
testuali. Il maggior rilievo assunto dalla forma
pronominale permette inoltre costruzioni graduali del testo
nelle quali si dia risalto alle relazioni tra entità. Aprire con
che realizza invece costruzioni più integrate testualmente,
emarginate dal co-testo precedente tramite un intervento
della punteggiatura posto a operare sulla superficie del
testo (e non all’interno della sua struttura) allo scopo di
produrre dinamismo informativo. Le architetture
realizzate in questo modo si costruiscono sul concatenarsi
di legami tra eventi. L’estraneità della costruzione alla
tradizione linguistica partecipa alla comune percezione di
questo come di un costrutto ‘di rottura’, apprezzato da chi
voglia (e possa, in base al contesto) ‘osare’ una devianza
più ‘marcata’ rispetto alla norma.
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