41 anni di vita in agip di adriano pirocchi

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41 anni di vita in agip di adriano pirocchi
40 ANNI DI VITA IN AGIP DI ADRIANO PIROCCHI
LE PREMESSE
Nell’autunno del 1955 mio padre mi fece leggere un articolo sulla pagina abruzzese di Momento
Sera, quotidiano romano, ora scomparso. Nell’articolo si leggeva che, a seguito del ritrovamento del
petrolio ad Alanno, l’Istituto Tecnico Industriale dell’Aquila, d’accordo con l’Agip, organizzava un
corso post-diploma, riservato a periti industriali, di Tecnica della Perforazione Petrolifera. Il corso
era aperto a 20 periti industriali di cui almeno 5 diplomati all’Aquila. Mi ero diplomato Perito
Chimico Industriale presso l’Istituto Tecnico Industriale Eugenio di Savoia di Chieti nel 1954 ed
ero in attesa di partire per il servizio militare; feci domanda per partecipare e fui tra i pochi non
diplomati all’Aquila che avevano fatto domanda per cui fui accettato senza problemi. Il corso
consisteva in sei mesi di teoria e due di pratica in cantiere con esame di idoneità finale. Insegnanti,
oltre ad un paio di docenti interni, erano l’ing. Pepe per la Perforazione, il dott. Sogaro per la
Geologia, l’ing.Guidi per la Geofisica ed il dott.Capuani per Fanghi e Cementi. Alla fine del corso i
15 periti idonei vennero tutti assunti ed io entrai,il 29 novembre 1956, nella Sezione Fanghi e
Cementi del Servizio II° Perforazione, diretta dal dr.Gnisci.
IL PRATICANTATO
L’assunzione dei diplomati destinati a divenire tecnici veniva effettuata con l’istituto del
praticantato che prevedeva tre mesi da operaio comune, tre mesi da operaio qualificato e tre mesi da
operaio specializzato. Se, alla fine di questo percorso si riteneva che il praticante avesse le qualità
per essere un buon tecnico veniva assunto come impiegato di 3°A o 2°B, altrimenti veniva
rimandato a casa.
Il mio praticantato si svolse, per i primi sei mesi, in addestramento presso il laboratorio Fanghi e
Cementi di S.Donato Milanese con alcune brevi missioni presso cantieri in Nord Italia. Erano con
me in addestramento i periti chimici Garavini, De Luca, Giusepponi, Fratus e Bonora ed il dottor
Sala; alla fine dell’addestramento fummo tutti dispersi nei vari Settori Italiani ad eccezione del dott.
Sala e di Bonora che, nel frattempo, si era dimesso. Nei primi giorni del giugno 1957 approdai
quindi a Gela per restarvi un po’ meno di quattro anni.
I MIEI QUATTRO ANNI A GELA
A Gela era stato, da poco, scoperto un giacimento di olio pesante ed era ancora in corso di
perforazione il pozzo n.2; la Società che aveva operato, prevalentemente in pianura padana, con
pozzi senza particolari problemi ed a media profondità, si trovava ad operare su un giacimento ad
olio di media grandezza ad una profondità di oltre tremila metri e con difficoltà di perforazione
abbastanza notevoli per quegli anni. Prima di raggiungere gli strati produttivi in dolomia e con
gradiente normale si dovevano attraversare argille rigonfianti, strati di gesso ed argilloscisti che
potevano essere perforati solo con fango appesantito per evitare franamenti e conseguenti prese di
batteria; si entrava pertanto nelle dolomie produttive con fango pesante e conseguenti perdite di
circolazione con danneggiamento del reservoir e probabile presa di batteria. Era pertanto
indispensabile proteggere il foro con una colonna appena prima di entrare nelle dolomie. Con tutte
queste difficoltà e con personale giovane, inesperto ma curioso e pronto ad imparare e sperimentare,
la sfida era galvanizzante e non ci siamo assolutamente risparmiati passando in sonda giorni e notti.
La Società aveva trasferito sul campo di Gela i suoi impianti più potenti come il Massarenti R15
con caposonda Piacentini, il Cardwell 03 con caposonda Nanni, l’Ideco 1350 PR con caposonda
Mezzi, l’Ideco Super 7/11 con caposonda Grandi; Supervisore di Perforazione era il sig. Perugia
che faceva anche da “balia”per tutti quei giovani capisonda. La gara per chi perforava più
velocemente o trasportava l’impianto in meno giorni era anche favorita da un premio di
perforazione o trasporto per quegli equipaggi che battevano il record precedente; il fanghista ne
faceva le spese perché il perforatore pretendeva il fango sempre bello fluido e con caratteristiche
tali da far avanzare meglio lo scalpello. Debbo dire che di notti complete a letto ne ho passate ben
poche! Debbo però anche ammettere che un addestramento così veloce e completo sarebbe stato
difficile da fare in così breve tempo e con le difficoltà di perforazione che si incontravano. In quegli
anni, sul Campo di Gela sono stati sperimentati gli scalpelli diamantati della Christensen e della
Diamant Boart, le turbine francesi della Neyrfor e quelle russe, gli scalpelli a rulli con tutti gli
inserti possibili, i fanghi calcici ed al gesso, gli equipaggiamenti delle colonne, le cementazioni con
le colonne in movimento, i Cement Bond Log ecc.un “training on the job” di così alto livello forse
non c’è più stato!
Nella primavera del 1961 con ormai oltre 40 pozzi perforati e con l’esperienza acquisita si poteva
ben stare un po’ più tranquilli e riposare sugli allori ma si presentò la scadenza che non potevo più
rimandare come avevo fatto fino ad allora; dovevo partire per il servizio militare che avevo
rimandato con una iscrizione all’Università per quattro anni senza aver mai dato un esame e senza
mai aver varcato la soglia della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma. La
legge permetteva di rimandare la partenza per la “naia” fino al compimento del ventiseiesimo anno
di età se si era iscritti all’Università ed io avevo utilizzato questa possibilità ma ormai la scadenza
era vicina e non mi restò altro da fare che avvertire il dr. Sarchi, allora responsabile della Sezione
Fanghi e Cementi, della scadenza. Fui immediatamente posto in partenza per l’estero, altro modo di
evitare il servizio militare purchè si fosse rimasti in contratto estero fino ad almeno il compimento
del trentesimo anno di età; le possibilità erano Iran, Libia o Marocco per altrettanti fanghisti in
partenza ( Felegara, Sciamanna e Pirocchi)
I MIEI PRIMI TRE ANNI IN LIBIA
La scelta cadde sulla Libia ed il 17 maggio 1961 un Caravelle dell’Alitalia (mio primo volo in
assoluto) mi depositò a Bengasi; un paio di giorni dopo venni inviato in deserto dove, il 25 maggio
iniziò la perforazione del pozzo A1/82 con un impianto Super 7/11 con capo sonda Di Zenzo,
assistente Terrazzino e fanghista il sottoscritto, al quale Di Zenzo aveva anche assegnato il compito
di capo campo, il che voleva dire dare le razioni settimanali ai locali, ordinare a Bengasi il
necessario vettovagliamento, curarsi della gestione del campo base. Le operazioni di perforazione
erano iniziate con l’impianto non ancora completamente montato ed il campo base mancante delle
baracche dormitorio e vi garantisco che con le temperature di quel maggio riposare senza aria
condizionata e sotto una piccola tenda non rendeva la vita facile; bisognava però assolutamente
iniziare perché si era in scadenza contrattuale!
Il primo pozzo, comunque, risultò sterile e l’impianto fu spostato sulla seconda struttura identificata
ed il relativo pozzo B1/82 incontrò la formazione mineralizzata con un pay sottile ma che, provato,
dette un bel petrolio verdastro e paraffinico per cui si pensò, evidentemente, di essere agli inizi di
scoperte importanti ed altri impianti arrivarono dall’Italia per delineare il giacimento ed,
eventualmente, scoprirne altri.
Con tre impianti in perforazione, un gruppo sismico in attività e geologi in rilevamento il Settore
Libia assumeva una certa importanza ed io mi spostavo da un cantiere all’altro con frequenti visite a
Bengasi; nel frattempo era arrivato a dar man forte un collega (De Luca) ed il lavoro non ci
mancava certo con i problemi di perdite di circolazione, sovrappressioni e cementazione. Quelli che
mancavano erano, invece, i risultati minerari perché i successivi quattro pozzi sulla struttura B
erano risultati sterili ed anche gli altri pozzi sulle altre strutture non davano risultati positivi.
Fu deciso pertanto di inviare uno dei tre impianti in Tunisia dove, al primo pozzo, fu scoperto il
giacimento di El Borma, cosa che fece un po’ arrabbiare il nostro Capo Settore (ing. Pepe) a cui non
faceva molto piacere vedere che in Tunisia si trovava al primo pozzo mentre in Libia i risultati
erano mortificanti. Comunque alla fine dei primi due anni di contratto, nel giugno del 1963, mi
sposavo ed ottenevo un rinnovo contrattuale con base Bengasi e la possibilità, quindi, di portare la
moglie cosa che feci nel successivo settembre. Nel frattempo la Società aveva deciso di inviare un
Chimico di Settore (dr. Crippa) e col calare dell’attività si decise il mio rientro in Italia che avvenne
nel marzo del 1964. Si chiudeva così la mia prima avventura in Libia che mi aveva arricchito
professionalmente, mi aveva fatto viaggiare molto (oltre ai miei rientri trimestrali in Italia, numerosi
voli sui vecchi DC3 per gli spostamenti fra le sonde e Bengasi), mi aveva fatto apprezzare la
bellezza delle notti e dei tramonti nel deserto e soprattutto mi aveva permesso di apprezzare i
rapporti con tutti i colleghi delle attività collegate alla mia (mitiche le visite al campo sismico C3
soprattutto quando rientrava Torelli dall’Italia ed apriva le sue valigie con le ultime novità in fatto
di gadget!).
Ero quindi pronto per altri cimenti ma quello che mi attendeva andava oltre le mie aspettative ed
avrebbe contribuito in maniera determinante al mio sviluppo professionale. La mia ricollocazione in
Italia trovava difficoltà e mi fu chiesto di accettare un’offerta della Saipem che stava perforando in
India alcuni pozzi per conto del governo ed avevano bisogno di un chimico fanghista per affrontare
la perforazione di alcuni pozzi profondi.
1963 Libia – un nido su un albero ……….
di Natale
1963 Libia – un ospite alla postazione del
pozzo Struttura B
I MIEI DUE ANNI IN INDIA IN COMANDO A SAIPEM
Nel giugno del 1964 con volo Milano-Roma-Bombay-New Delhi arrivai in India con contratto città
ma senza la moglie che, in attesa del primo figlio, sarebbe rimasta in Italia per cui mi apprestavo a
trascorrere due anni in India senza famiglia e con la possibilità di rientri semestrali di pochi giorni.
Ad attendermi, all’aeroporto l’ing. Carretta, Responsabile della Commessa di perforazione India
che, informandomi di problemi di cementazione nel pozzo Raxaul 1 in perforazione nello Stato del
Bihar ai confini col Nepal, mi accompagnò in stazione dove prendemmo un treno per Patna,
attraversammo il Gange su un pirotecnico battello e con un altro treno arrivammo nei pressi del
cantiere di perforazione dove ci fermammo qualche giorno per risolvere i problemi di
cementazione. Rientrammo quindi a Dehra Dun, nello stato dell’Uttar Pradesh, sede della
Commessa di Perforazione ed anche della ONGC (Oil and Natural Gas Commission) la Holding
indiana degli Idrocarburi, dove avrei trascorso la maggior parte dei due anni di contratto. Come
inizio non c’era proprio male! Avevo, in pochi giorni, percorso migliaia di chilometri in aereo, treno
e macchina; era solo un piccolo anticipo di tutto quello che mi sarebbe capitato nel prosieguo
dell’attività che mi si prospettava.
La Saipem operava con un Ideco 1350 S sul pozzo di Raxaul e stava per ricevere un Ideco 2500
equipaggiato, per la prima volta, con motori FIAT. Aveva l’impegno di perforare pozzi profondi nel
bacino del Gange e ci si aspettava un impegno ancor più importante perché si stava discutendo di
iniziare la perforazione in mare con un Jack Up nel golfo di Bombay e la possibilità di sviluppare,
chiavi in mano, un campo ad olio a media profondità a Nawagam nello stato del Gujarat. Con
queste premesse la Saipem si proponeva come l’unico operatore occidentale impegnato dalla
ONGC nello sviluppo delle risorse petrolifere dello Stato Indiano perché l’industria estrattiva, fino
ad allora, era monopolio sovietico; erano infatti russi gli impianti di perforazione con le relative
attrezzature, russi i responsabili della perforazione e del drilling engineering e la cosa non era molto
gradita dagli esploratori della ONGC che avevano avuto modo di informarsi sulle differenze
esistenti fra la tecnologia russa e quella occidentale e la Saipem era stata, in un certo modo, scelta
come cavallo di Troia per rompere questo monopolio.
I nostri impianti e le attrezzature (avevamo anche una cementatrice Halliburton con i relativi silos)
erano di gran lunga superiori e questa differenza dava molto fastidio ad alcuni tecnici russi fra cui il
responsabile del drilling engineering, mr. Kulighin, un tecnico di vecchio stampo e di età contro il
quale mr. Desphande (responsabile indiano della esplorazione) mi usava per confutare i loro
metodi; rimangono indelebili nella mia mente i numerosi meetings fra i tecnici russi da una parte,
mr. Desphande in mezzo ed io dall’altra parte!
Per dimostrare che era, per noi, possibile perforare il campo di Nawagam più velocemente e meglio
di come stavano facendo un paio di impianti russi, fu chiesto alla ONGC di affidarci un impianto
rumeno (che era un po’ meglio di quelli russi) ed in quattro (Di Trani, Pirocchi, l’ex Halliburton
Boccalini ed il sorvegliante Agosti) ci trasferimmo ad Ahmedabad ed in un paio di mesi ottenemmo
la dimostrazione promessa. Peccato che, mentre sembrava che le cose stessero andando nella
direzione voluta, il jack up Paguro che doveva venire per perforare al largo di Bombay naufragava
nell’Adriatico e si bloccava tutto il programma che si stava discutendo con le autorità indiane.
Rimanevano quindi da perforare solo i pozzi profondi nella valle del Gange ed anche questi ci
diedero delle belle soddisfazioni perché fummo in grado di scendere oltre i 4000 metri con il pozzo
di Mohand nell’Uttar Pradesh ed oltre i 5000 metri nel pozzo Balh nel Punjab. In quest’ultimo
pozzo, a causa delle elevate pressioni di fondo fu usato, per la prima volta in India il fango calcico e
successivamente al gesso, cosa, a quei tempi ed in quelle condizioni, di notevole difficoltà tecnica.
Debbo dire che, anche se soffrivo per la lontananza della famiglia, sono stati due anni intensi di
successi tecnici, di esperienze di vita, di viaggi continui all’interno del Continente India (mitico
quello compiuto, insieme a Capra, alla ricerca di un fondale utile per il varo della template per il
Paguro in auto e treno dalle coste confinanti col Pakistan fino a Goa).
Nel giugno del 1966 rientravo in Italia con un notevole bagaglio di esperienze, con la padronanza
della lingua inglese parlata e scritta, con la convinzione di cavarmela bene negli incontri tecnici
dopo averli sostenuti con i russi e con la cosapevolezza di aver vissuto per due anni in una splendida
Nazione senza aver mai avuto la sensazione di insicurezza o di pericolo nel percorrerla in largo ed
in lungo.
1965 India – Pirocchi al campo base del pozzo Mohand
RITORNO A GELA E POI RAVENNA
Nel settembre del 1966 ripresi servizio nel Settore Sicilia in qualità di Chimico di Settore; la
situazione era molto diversa da quella che avevo lasciato cinque anni prima. Il campo di Gela era
stato completamente sviluppato e l’unica attività di mia pertinenza riguardava i workover mentre un
paio di impianti continuavano a perforare sul campo di Gagliano e su postazioni vicine senza
peraltro molta fortuna; l’attività era dunque in calo, cosa che indispettiva non poco il nostro Capo
Settore ing. Bignami che cercava di trattenere il personale legato alla perforazione senza molta
fortuna. Nella primavera del 1968 fui pertanto trasferito a Ravenna dove l’esplorazione in mare ed a
terra era in pieno sviluppo con notevoli ritrovamenti, soprattutto in mare. Trovai uno squadrone di
tecnici con Angelucci (responsabile della perforazione), Bazzana (capo commessa Saipem), Pastore
(responsabile trasporti) con i quali abbiamo portato a termine decine di pozzi esplorativi e di
coltivazione da impianti a terra (Porto Corsini terra), e da impianti Jackup o montati su piattaforme
(Ravenna mare, Porto Corsini Ovest, Cervia mare, Amelia, Barbara ed altri che non ricordo);
abbiamo perforato pozzi di coltivazione direzionati sui 3000 metri , cementati e pronti per essere
messi in produzione in 22-23 giorni, una performance veramente notevole in quegli anni.
Nel frattempo qualcosa cambiava nell’organizzazione della Società; la Sezione Fanghi e Cementi
veniva assorbita dal Servizio Perforazione ed io diventavo Assistente Tecnico alle dirette
dipendenze del Supervisore di Perforazione. Questo stava a significare che all’interno della
Perforazione cominciava a delinearsi la figura del Drilling Engineer destinato alla programmazione
dei pozzi ed al susseguente controllo dei parametri di perforazione, dell’idraulica, dei fanghi e delle
cementazioni. Il Drilling Engineering sarebbe stato il mio principale interesse fino al 1974 e poi dal
1985 al 1990.
Contemporaneamente alla mia crescita professionale comiciavo ad intravvedere un certo interesse
aziendale alla mia assunzione di maggiori responsabilità; il primo segnale fu la sostituzione del
Supervisore di Perforazione in Tunisia per il periodo delle sue ferie nell’estate del 1969. Il secondo
segnale fu la missione negli U.S.A. nel successivo novembre insieme a Moscato, Merluzzi, Sgubini
e Capuani.
Questa missione era stata concordata dal Capo Servizio Perforazione Baldassarri con il suo
corrispondente della Società americana Tenneco per osservare e studiare cosa si stesse facendo
negli States nel campo della perforazione profonda visto che stavamo per iniziare una serie di pozzi
profondi in Val Padana,il primo dei quali (Nonantola 1) era già in perforazione all’atto della nostra
partenza. Arrivammo a Houston e fummo alloggiati nell’hotel Sheraton Lincoln; il mattino
successivo il Capo della Perforazione della Tenneco, mr.Bullard, ci prelevò e ci condusse nell’aula
magna della Società dove, dopo la foto di rito, ci spiegò che aveva delegato i suoi Supervisori,
ognuno per la sua parte, ad istruirci sulla perforazione profonda! Subito dopo il primo di essi
cominciò il suo intervento spiegandoci la funzione dello scalpello, delle aste pesanti, delle aste di
perforazione e via andare! Cominciammo a scambiarci, noi cinque, degli sguardi smarriti e toccò a
me, in qualità di drilling engineer ed anche perché me la cavavo meglio con la lingua di
interrompere l’interlocutore e far presente quello che stavamo facendo noi in Italia e spiegai loro
tutto il programma del pozzo di Nonantola disegnando, alla lavagna, il diagramma
dell’avanzamento, il controllo delle pressioni, del gradiente di fratturazione, della programmazione
delle colonne, ecc.
Debbo dire che l’imbarazzo di mr. Bullard e dei suoi Supervisori fu molto grande; si profusero in
grandi scuse, ci condussero in albergo con l’impegno di rivederci, il giorno dopo, con il nuovo
programma che avrebbero ripreparato. Da quel momento in poi le cose andarono veramente bene;
visitammo tutte le Compagnie di Servizio, gli impianti nell’offshore del Golfo del Messico sempre
accompagnati dai tecnici della Tenneco che, alla fine del periodo di permanenza, ci confessarono
candidamente che, seguendoci, avevano fatto un bel “ training on the job”migliorando la loro
professionalità e ringraziandoci per questo. Avevamo scoperto cosa gli americani pensavano di noi
tecnici italiani ma abbiamo dovuto apprezzare come si siano ricreduti in fretta e mostrato tutto il
loro imbarazzo!
La mia permanenza a Ravenna ebbe fine all’inizio dell’estate del 1970; agli inizi di luglio arrivavo
in Nigeria (a Port Harcourt) come Drilling Manager della NAOC e con delega da District Manager
in attesa del titolare, Ferrari.
LA RIPRESA DELLE OPERAZIONI IN NIGERIA DOPO KWALE
Dopo la tragedia di Kwale, dove avevamo perso 11 tecnici uccisi dai ribelli Ibo a fine 1969, a cui
erano seguite discussioni sul perché non si fossero sospese le operazioni mentre la guerriglia
infuriava nell’area, avevamo ripreso le operazioni di perforazione, nella primavera del 1970,
essendo la pace tornata dopo la sconfitta della secessione Biafrana; rimaneva però un’area con
sacche di ribelli, infrastrutture semidistrutte, continui posti di blocco ed un diffuso senso di
insicurezza che si palpava nel territorio. I nostri tecnici sugli impianti (uno Saipem ed uno Forex)
avevano fatto presente questo stato di cose ma, al momento, non si era data eccessiva importanza a
questo malessere per cui cominciarono ad arrivare i tecnici che avrebbero dovuto occupare le
posizioni di responsabilità nel Distretto; i primi ad arrivare furono il sottoscritto, Prandi,
Pacchiarotti e Terenzi.
Trovammo una situazione disastrosa con i serbatoi del Centro Olio di Ebocha sforacchiati dai
proiettili, le flow lines rubacchiate dai locali, le Compagnie di Servizio non completamente
operative, un consulente(mr. Morrow) assunto come supervisore dell’area di Ebocha, cui l’unico
pensiero era di far controllare l’area da parte dei militari, cosa che faceva pensare ai tecnici sugli
impianti che ci fossero obiettivi motivi di pericolo per cui le preoccupazioni per la propria
incolumità aumentavano a scapito della necessità di operare in pace e tranquillità.
Comunque ci demmo da fare in condizioni veramente difficili e, verso la fine di settembre, quasi
tutto era stato riparato ed eravamo in condizioni di iniziare a produrre mentre i due impianti di
perforazione operavano sui campi di Mbede ed Ebocha; fu allora che accadde quello che non ci
aspettavamo, visto che non ne avevamo avuto nessuna avvisaglia. Intorno al 20 settembre ebbi una
comunicazione radio con il Direttore Tecnico, Ferrara, che pregandomi di non fare commenti mi
comunicò le date di rientro in Italia di noi quattro entro la fine di settembre e la sostituzione dello
Operatore Agip con la Phillips, nostro partner nelle operazioni nigeriane. Lasciammo Port Harcourt
proprio in concomitanza con il primo olio che entrava nei serbatoi del Centro Olio di Ebocha e
l’arrivo dell’elicottero che avrebbe dovuto sottrarci ai massacranti viaggi in 124 Fiat che avevamo
fatto fino ad allora; credo sia possibile immaginare la rabbia e lo sconcerto con il quale passai le
consegne al tecnico Phllips che mi sosituiva! Era successo che, in ambito Eni, le preoccupazioni che
si potesse ripetere quello che era accaduto mesi prima a Kwale aveva fatto (lentamente!) maturare
l’opportunità di cambiare l’Operatore; ce ne siamo andati quando gli altri Operatori tornavano a
Port Harcourt toccando un record imbattibile: siamo rimasti quando gli altri se ne erano andati e ce
ne siamo andati quando gli altri tornavano!
A S.DONATO FINO ALLA META’ DEL 1971
Rientrato dalla Nigeria venni assegnato al Servizio Perforazione dove mi interessavo del drilling
engineering insieme a Bellotti e D’Adda, senza un incarico preciso ma con l’intento di portare
avanti un programma di formazione dei drilling engineers; preparai da solo o con loro dei
manualetti, scritti a mano, cercando di rendere il più possibile semplice tutto quello che stava
maturando nel campo delle sovrapressioni, degli studi sulle argille, sui fanghi speciali, sull’idraulica
di pozzo.
Furono tenuti anche dei corsi per fanghisti ed assistenti contrari per introdurli a queste nuove
tecnologie;nel frattempo mi venivano proposte nuove possibilità di contratto estero, sempre come
drilling manager in Arabia Saudita od in Indonesia, da me rifiutate perché più adatte a chi non
aveva o non intendeva portare la famiglia al seguito; la terza proposta veniva da me accettata, sia
perché molto interessante dal punto di vista tecnico, sia perché già conoscevo il Paese, per cui
sottoscrissi il contratto per la Libia dove avrei sostituito Giuliani, come drilling manager.
A TRIPOLI PER TRE ANNI A SVILUPPARE BU ATTIFEL
Arrivo a Tripoli nel maggio del 1971; abbiamo tre impianti in perforazione su Bu Attifel e siamo al
diciassettesimo pozzo. Lascerò la Libia nel giugno del 1974 dopo che sono stati perforati 42 pozzi
sul campo di Bu Attifel e vari altri tra i quali A1LP4F con abbondanti tracce di petrolio. Sono stati
anche perforati diversi pozzi d’acqua per preparare la Water Injection del campo in vista del
recupero secondario. Ho dei validi collaboratori in Tripoli(D’Adda e Sciamanna come drilling
engineers) ed anche dei validi assistenti sugli impianti. Si può, pertanto, fare un buon lavoro per
rendere più sicura e più veloce la perforazione dei pozzi.
I problemi principali erano costituiti dalle perdite di circolazione nelle dolomie soprastanti la
copertura del giacimento e li abbiamo risolti utilizzando la tecnica dei DOB (diesel oil bentonite) o
dei DOBC (diesel oil bentonite cement) e posso assicurare che ognuno di questi interventi (e ne
abbiamo fatti tanti!) ci faceva tremare i polsi perché la possibilità di cementare le aste in pozzo non
era assolutamente da escludere!
Nel frattempo si costruiva il Centro Olio con il relativo Campo Base e ci si preparava ad iniziare la
messa in produzione del Campo. Anche in questo caso venivo coinvolto, in attesa dell’arrivo di tutti
i tecnici della produzione previsti per la gestione, per cui avevamo seguito i completamenti e ci si
preparava ad aprire il primo pozzo. I completamenti prevedevano la produzione da due livelli per
ogni pozzo con erogazione da tubing e da casing; mentre il tubing veniva controllato dalle valvole
di testa pozzo, il controllo del flusso dal casing era demandato ad una valvola, ancorata al casing di
produzione a circa 30 metri dalla testa pozzo, denominata CAV (casing annulus valve).
Il giorno della messa in produzione del primo pozzo eravamo tutti presenti, a partire dall’Operation
Manager, Ricco; si procedeva ad aprire il flusso dal tubing e tutto sembrava andare regolarmente,
l’olio fluiva nella condotta di supeficie e la temperatua a testa pozzo aumentava quando senza
nessuna avvisaglia si udiva una gran botta sulla testa pozzo tale da farci spaventare. Si provvedeva
immediatamente ad interrompere il flusso e ci si riunì per tentare di capire cosa fosse successo; ci
rendemmo conto di aver commesso un errore da principianti! Avevamo aperto il pozzo con la CAV
chiusa per cui l’olio che fluiva nel tubing aveva riscaldato il fluido nella intercapedine
aumentandone il volume e, di coseguenza, la pressione che era salita al punto tale da disancorare la
CAV e spingere il tubing con forza contro la testa pozzo provocando la botta che ci aveva
spaventato! Per fortuna nulla successe alla testa pozzo e noi facemmo tesoro dell’accaduto e
provvedemmo ad informare chi di dovere sul come gestire la CAV; successivamene fu tenuta
addirittura una riunione dedicata solo alla CAV e presieduta da Faverzani!
Nel giugno del 1974 rientravo in Italia; se si escludevano alcuni problemi legati alla politica locale
quali quelli collegati all’espulsione degli italiani da tempo residenti (erano stati espulsi nel 1970), la
pretesa di avere il passaporto in lingua araba (che in un fine anno aveva provocato la sospensione
del ritorno a Tripoli di familiari e personale per diversi giorni) ed alcune ripicche dei burocrati
locali avevo trascorso tre anni di lavoro appagante e di crescita professionale, soprattutto nel campo
gestionale delle operazioni; mi sarebbe stato molto utile nei succesivi incarichi!
10 MESI A S.DONATO E POI L’IRAN
Rientrato in Italia fui inserito nel Servizio Perforazione Estero occupandomi delle operazioni in
West Africa ma sempre tenuto nel limbo costituito dai tecnici in attesa di essere ricollocati in
qualche sede estera. Nella primavera del 1975 stavano per iniziare le operazioni di perforazione in
un permesso Iraniano situato in una zona semidesertica del Laristan; la Società si era impegnata ad
eseguire perforazioni esplorative alla ricerca di gas per un impegno di spesa di circa 20 milioni di
dollari. Fu costituita una Società mista Italo-Iraniana denominata AIPCO (Agip Iran Petroleum
Company) il cui manager era italiano (Giuliani) ed il vice iraniano, mentre l’Operation Manager era
iraniano ed il vice italiano; a me fu offerta quest’ultima posizione che accettai molto volentieri per
due motivi: il primo era costituito dall’evidente salto di carriera (si entrava nella gestione quindi
non più in un singolo campo ma si cominciava a spaziare su tutta l’attività operativa) ed il secondo
dal fascino che l’Iran aveva esercitato un po’ su tutti i tecnici che vi avevano operato.
Nel giugno iniziai la mia avventura iraniana facendo la conoscenza di tutto lo staff della piccola
Società e soprattutto del mio diretto superiore (Nabaie) che, dopo poche settimane, mi dava in
pratica assoluta libertà dimostrandomi la sua discrezione e pregandomi di tenerlo sempre informato
sui collegamenti esterni ed accompagnandomi sempre in tutte le riunioni con i tecnici di altre
compagnie, della NIOC in primis!
Furono perforati tre pozzi praticamente sterili avendo dato solo tracce di gas l’ultimo di essi ma ci si
erano presentati notevoli problemi sia nei lavori civili per raggiungere le postazioni prescelte sia
nella perforazione per risolvere i problemi di perdite di circolazione perforando le zone fratturate ed
a bassa profondità con stiff foam. Per la perforazione del secondo pozzo (Burk) fu costruita una
strada lunga diversi chilometri salendo dai 600 metri della piana di Anveh ai quasi 2000 metri della
cima della montagna sulla quale fu ubicato il pozzo perforato poi per centinaia di metri con stiff
foam; un bel risultato dal punto di vista tecnico anche se nullo dal punto di vista minerario.
Contemporaneamente avevo potuto apprezzare il Paese sia dal punto di vista turistico (Shiraz,
Persepolis, Isfahan, il Mar Caspio) sia dalla vivacità della capitale Tehran che dalla splendida gente
con la quale avevamo contatti (sia dal punto di vista della preparazione tecnica.che dalla civiltà,
dalla cultura ma soprattutto dalla libertà di comportamento, dalle frequentazioni e dai modi di vita
molto occidentali e laici); mai ho avuto il sospetto di quello che sarebbe successo di lì ad un paio di
anni!
Comunque, ultimata la perforazione dei tre pozzi ed assolti, quindi, gli obblighi di spesa e respinte
le tentazioni di SIRIP ed IMINOCO che cercavano di trattenermi presso di loro ma senza
prospettarmi inserimenti specifici, rientravo in Italia nel febbraio del 1977 tornando nel Servizio
Perforazione Estero che avevo lasciato 20 mesi prima.
1977 Iran – management AIPCO, si riconoscono: Giuliani, Duronio, Pirocchi, Felicetti
IN SAN DONATO PER CIRCA TRE ANNI
Nel marzo 1977 ritornavo alla scrivania che avevo lasciato per la breve parentesi iraniana tenendo i
contatti con le operazioni di perforazione in West Africa; in questo periodo ebbi modo di fare molte
missioni all’estero (in Egitto, in Congo, in Costa D’Avorio ed in Francia con frequenti contatti con
la ELF) e si cominciò a formare un gruppo di drilling engineers con l’intento di costituire un
Servizio di Tecnologie di Perforazione sganciato dai Servizi Perforazione Italia ed Estero ed
inglobante la Sezione Fanghi e Cementi; anima di questo gruppo era Bellotti che, purtroppo, ci
lasciò quando ormai si era in dirittura di arrivo. Nasceva il Servizio Tecniche e Tecnologie di
Perforazione ma io, che ne ero stato uno dei fondatori ed avrei dovuto essere il vice di Bellotti,
tornai ad essere stuzzicato per tornare all’estero. Nella primavera del 1980 fui chiamato dal
Direttore Generale Gastaldi che mi fece una proposta che non potevo assolutamente rifiutare per la
svolta che avrebbe dato alla mia carriera. Mi si proponeva di tornare in Nigeria in posizione di
Operation Manager per un anno per poi sostituire il District Manager Belotti per almeno un altro
paio di anni; questo significava,a meno di eventi non prevedibili, la promozione a dirigente e quindi
un salto di qualità assolutamente impensabile precedentemente. Accettai, dopo aver vinto le
comprensibili riluttanze familiari.
Dimenticavo di dire che nell’autunno del 1978 mi fu proposto,da parte del Direttore Generale della
Società Idro-Tecneco che si occupava di ricerche idriche all’estero,di assumere la posizione di
responsabile delle operazioni di perforazione e produzione; mi si prospettava una posizione
dirigenziale ma dovevo trasferirmi a S.Lorenzo in Campo, sede della Società. Feci una visita della
Sede accompagnato dal Direttore Generale della Società ed una escursione nelle cittadine vicine per
cercare possibilità abitative; chiesi al DG di formalizzare la sua richiesta all’Agip e rimasi in attesa
di notizie; dopo alcune settimane, lo stesso Direttore Generale mi comunicò che l’Agip non
accettava la proposta perché aveva, per me, altri programmi. Debbo però dire che, da parte Agip,
nessuno aveva chiesto il mio parere o mi aveva informato della richiesta della Idro-Tecneco!
IN NIGERIA DAL MAGGIO 1980 ALLA FINE DEL 1984
Nel maggio del 1980 arrivai a Port Harcourt, in missione precontrattuale, e subito ebbi l’assaggio
delle difficoltà connesse alle operazioni nelle aree di nostro interesse; vicino al villaggio di
Oyakama, a seguito di un sabotaggio del nostro oleodotto, erano fuoriusciti centinaia di metri cubi
di olio che avevano invaso un’area di decine di ettari di foresta. Le operazioni di recupero dell’olio
e della pulizia dell’area inquinata durarono molti mesi con una spesa di alcuni milioni di dollari e
per la felicità dei locali che furono lautamente compensati per i danni subiti! Quello di Oyakama fu
il primo di altri sabotaggi che seguirono e di cui parlerò più avanti.
In settembre arrivai in contratto con la famiglia sostituendo Pellei come Operation Manager del
Distretto NAOC di Port Harcourt.
Le Operazioni
Operavamo con alcuni impianti di perforazione a terra ed uno nell’area swamp; avevamo campi ad
olio in area swamp (Tebidaba ed Obama) ed a terra (Idu,Oshi, Ebocha, Mbede, Kwale, Okpai).
Tutto l’olio estratto veniva convogliato nei centri olio di Tebidaba, Obama, Ebocha e Kwale e poi al
terminale di Brass dal quale, dopo le necessarie misurazioni fiscali nei serbatoi, veniva pompato,
attraverso un sea- line alla piattaforma di attracco delle petroliere.
La Logistica
La Base di Port Harcourt era situata ad alcuni chilometri di distanza dal centro città e consisteva in
un grande edificio a due ali e tre piani adibito ad uffici, un grande piazzale con parco tubi e
stoccaggio materiali, due grandi capannoni adibiti a magazzino ed officina,un hangar per il
rimessaggio dei tre elicotteri, un jetty per l’attracco dei sea-track e dei battelli usati per rifornire
l’area swamp. A fianco e separata da una recinzione c’era la guest house composta da una ventina
di camere con bagno, sala da pranzo, salone ricreazione e cucina; adiacente una piccola costruzione
adibita a studio medico e laboratorio analisi.
La Base di Ebocha alloggiava tutto il personale adibito alle operazioni a terra mentre quella di Brass
ospitava tutto il personale adibito alla manutenzione dell’area di stoccaggio dell’olio ed alle
operazioni di pompaggio.
I tecnici italiani di stanza a Port Harcourt risiedevano in tre compound e due abitazioni singole per
ospitare, in totale, 22 famiglie.
Il personale operante nel Distretto, fra espatriati e locali, ammontava a circa 1250 persone.
La Sicurezza
La Base di Port Harcourt e l’adiacente guest house erano sorvegliate, notte e giorno, da un servizio
di sicurezza affidato ad una società esterna (la Manilla) mentre di notte erano presenti anche due
poliziotti locali. I tre compound e le due abitazioni singole di Port Harcourt erano circondati da
muri di cinta e gli ingressi sorvegliati da guardiani locali della stessa società Manilla. Le basi di
Ebocha e di Brass erano anch’esse sorvegliate da guardiani appartenenti a società esterne. Tutti gli
espatriati erano vivamente pregati di servirsi di automezzi guidati da autisti locali per gli
spostamenti mentre questo era assolutamente obbligatorio per gli spostamenti dei familiari ai quali
la Società forniva automezzi aziendali guidati da autisti locali dipendenti.
Tutte queste precauzioni davano la misura di quanto la sicurezza fosse importante e di come fosse
sentita e percepita la difficoltà di vivere in tranquillità in Port Harcourt; nel corso dei quasi cinque
anni ivi trascorsi ho avuto modo di rendermi conto di quanto questo fosse vero!
I rapporti con la popolazione locale
I rapporti con la popolazione locale, intendendo per popolazione locale quella dei villaggi e delle
cittadine nelle aree di nostro interesse, erano abbastanza conflittuali a causa delle differenze di
status sociale; noi avevamo i mezzi, le abitazioni, i servizi che loro semplicemente non avevano per
cui il nostro arrivo era visto come il mezzo per cercare di diminuire le differenze. Non appena i
nostri mezzi iniziavano a percorrere il loro territorio per la costruzione di strade, di postazioni o di
qualsiasi infrastruttura necessaria alle nostre operazioni venivamo subito bloccati e non si poteva
riprendere il lavoro se non si arrivava all’accordo di costruire qualche strada di loro interesse,
perforare qualche pozzo d’acqua potabile, fornire qualche piccolo generatore o soddisfare qualche
altra piccola necessità. A questo scopo il Distretto si era dotato di un reparto di “Community
Relations Officers” pronto a trattare con le comunità locali per permetterci di operare in tranquillità
dopo aver accettato di fare qualcosa per loro. Un altro sistema per ottenere compensi in denaro od in
natura era quello di procurarsi un po’ di inquinamento sabotando i nostri oleodotti o servendosi di
prelevamenti dai nostri vasconi dei rifiuti! Debbo però convenire che le trattative erano sempre
civili e mai si è arrivati a rotture insanabili.
I servizi accessori
Per servizi accessori intendo evidenziare tutti quei servizi, essenziali nel contesto nigeriano, ma non
proprio attinenti alle operazioni petrolifere. Parlo della scuola che, sponsorizzata principalmente
dall’ENI (che forniva anche insegnanti espatriati non reperibili in loco), partiva dalla materna per
proseguire con le elementarie, le medie per finire con il liceo scientifico; tutte scuole con “presa
d’atto” e quindi riconosciute dal Ministero della Pubblica Istruzione con la sola differenza che le
promozioni dovevano essere avvalorate a Lagos dove esisteva la scuola italiana ufficiale. Parlo
della piccola clinica con tre medici, uno dei quali italiano mentre gli altri due erano nigeriani ma
laureati in Italia, medici che, all’occorrenza, assistevano anche italiani appartenenti ad altre
compagnie operanti in Port Harcourt. Parlo della possibilità offerta alle famiglie di trascorrere
qualche giorno in spiaggia a Brass durante le festività natalizie o pasquali per offrire loro un piccolo
diversivo in un ambiente che non ne offriva alcuno. Parlo dell’organizzazione di tornei di calcio o
di tennis con il coinvolgimento della comunità italiana che era ben felice di accedere alle nostre
risorse per poter passare qualche giornata in allegria.
In questo contesto ho trascorso i miei quasi cinque anni a Port Harcourt, uno o poco più da
Operation Manager e gli altri da District Manager e quindi anche responsabile di quei servizi
accessori soprattutto quello della scuola che necessitava di molto tempo da dedicargli per il
reperimento delle risorse umane ed economiche necessarie per far funzionare una scuola con pochi
allievi e molti insegnanti! Abbiamo anche dovuto far fronte alle molte visite alle nostre attività;
abbiamo ricevuto molti Governatori locali, il Presidente nigeriano Shagari, una delegazione della
Unione Interparlamentare capeggiata dall’On.Andreotti, una delegazione dell’Eni capeggiata dal
Vicepresidente Grignaschi con i Direttori Sfligiotti, Dell’Orto ed Adami, i nostri Presidenti Moscato
e Muscarella,gli Ambasciatori Italiano e Svizzero ed abbiamo dato un’assistenza in mezzi ed
uomini in occasione della visita di Giovanni Paolo II.
Le operazioni intanto proseguivano con i soliti problemi ambientali, con la scoperta di altri
giacimenti (Clough Creek,Beniboye (il primo offshore), Obiafu Obrikom), con i sabotaggi ai nostri
oleodotti per lucrare compensazioni, con i soliti bloccaggi per ottenere miglioramenti delle
condizioni di vita. I sabotaggi ebbero fine solo dopo che ebbi il sospirato permesso di dimostrare al
Governatore del Rivers State, Okilo, che quelli che erano passati fino ad allora come perdite per
corrosione e quindi necessitanti di compensazione non erano altro che fori da trapano fatti dai
locali. Questa dimostrazione fu fatta prelevando (e mostrando al Governatore) un foro con la
tecnica dell’hot tapping ed ebbe come risultato alcune incursioni nei villaggi coinvolti da parte della
Mobil Police che aveva fama di essere molto convincente! Debbo dire che dopo queste incursioni i
sabotaggi cessarono di colpo!
Nei primi giorni dell’ottobre 1982 avemmo la dimostrazione di come il problema sicurezza fosse tra
i più importanti da affrontare. Nella notte del 2 ottobre la nostra guest house fu assaltata da un
numeroso gruppo di banditi che, dopo aver messo in fuga i guardiani (conniventi?), fracassarono
diverse porte d’ingresso nelle camere, bastonarono o ferirono alcuni nostri tecnici e professori della
scuola e rapinarono la maggior parte degli ospiti di parte dei loro averi; allarmato da parte di un
nostro dipendente che era riuscito ad arrivare negli uffici vicini si provvide ad inviare un certo
numero di poliziotti che, purtroppo, arrivarono a rapina conclusa e banditi fuggiti. Nei giorni
successivi si provvide alla blindatura di tutti gli appartamenti dei nostri espatriati e dopo poche
settimane avemmo la conferma che le precauzioni prese erano state sufficienti a proteggere le
famiglie; fu assaltata la casa del nostro dottore e le blindature resistettero per tutto il tempo che si
rese necessario per inviare un plotoncino di poliziotti che avevamo ottenuto di poter ospitare in una
piccola Police Station nella nostra guest house. Il tentativo di rapina si concluse con il ferimento e
cattura di un bandito; questo episodio mise praticamente fine a questi tentativi di assalti notturni che
avevano interessato anche altri italiani ed un nostro manager locale.
Nel frattempo venivano messi in cantiere e realizzati molti progetti per la manutenzione del
Terminale di Brass (riverniciatura di tutti i serbatoi, revisione completa delle turbine Sulzer) e la
linea per la fornitura di elettricità alla comunità di Brass, opera fra le prime di aiuto alla popolazione
locale a carico della Compagnia.
La scoperta del campo a condensato di Obiafu Obrikom portò alla progettazione e realizzazione del
primo impianto di iniezione di gas in giacimento della Nigeria facendo della NAOC la prima
Società che evitava la combustione di miliardi di metri cubi di gas; l’impianto costruito dalla Nuovo
Pignone fu ultimato nel 1984. Nel frattempo veniva iniziata anche la costruzione di un analogo
impianto per iniettare in giacimento anche il gas del campo di Kwale-Okpai.
Sono stati quattro anni e mezzo di duro lavoro, di attenzione continua alle situazioni locali, di fasi
alterne di buoni risultati e problemi di vario genere, di continuo monitoraggio delle problematiche
di sicurezza, di sostegno alle famiglie per le necessità contingenti, di tentativi continui per
coinvolgere anche la numerosa comunità italiana nella nostra attività; allo scadere del terzo anno,
anche un po’ inaspettata, mi arrivò, con telegramma del Presidente dell’Agip dottor Cimino,la
promozione a Dirigente, cosa che mi fece, ovviamente, molto piacere e che mi ripagava di tutto lo
stress che mi procurava quella vita sempre sul filo del rasoio!
Alla metà del 1984 comunicavo alla Direzione la mia intenzione di lasciare la Nigeria entro fine
anno, cosa che fu accettata ed il 21 dicembre, dopo aver dato le consegne al nuovo Capo Distretto
mr. Arinze, già responsabile degli acquisti e contratti, rientravo in Italia.
1982 Nigeria – visita a Brass dei governatori
Borno State (Ghoni) e River (Okilo)
1982 Nigeria – visita al governatore del River
State (Pirocchi, Iazzolino, Okilo)
1982 Nigeria – visita del Papa Giovanni
Paolo II ( il Santo Pdre, Pirocchi, Amaeci)
1983 Nigeria – visita del presidente federale
Shagari al centro olio Ebocha
1984 Nigeria – visita al terminale di Brass
(Titone, Angelucci, Cerrito, Pirocchi, Moscato)
1984 Nigeria – incontro con re locale Eze
Robinson di Pirocchi e Cerrito
A SAN DONATO DAL 1985 AL 1992
A fine gennaio del 1985 assumevo la posizione di Responsabile del Servizio di Tecniche e
Tecnologie di Perforazione nell’ambito della Direzione Perforazione e tornavo, quindi, ad
interessarmi dell’attività che più si confaceva alla professionalità che avevo maturato nel corso
degli anni passati. Il Servizio si interessava infatti di tutto quanto serviva alla Direzione
Perforazione per programmarla e seguirla dal punto di vista dei parametri, del tubaggio, dei fanghi e
dei cementi. Il Servizio aveva tecnici giovani e preparati che erano pronti ad interessarsi delle
tecniche informatiche che iniziavano timidamente ad essere collegate alle operazioni di
perforazione sotto la forma dei “sistemi esperti”. Si formava così, all’interno del Servizio, un
gruppo di tecnici che, ipotizzando di poter informatizzare il controllo delle operazioni di
perforazione attraverso l’uso di sistemi esperti creati ad hoc, poneva le basi di quello che sarebbe
diventato il gruppo di lavoro intersocietario per la realizzazione di un “Advanced Drilling
Information System” il cui acronimo ADIS sarà poi usato per definirlo. Partecipavano infatti al
progetto tecnici del Servizio, della Saipem, della Geoservices e della Enidata, società del Gruppo
ENI , attraverso una sua controllata che si occupava di informatica.
Io ero, con poche o nulle conoscenze informatiche, il Responsabile del progetto e questo, oltre ad
essere gratificante, mi portava ad incrementare le mie conoscenze attraverso missioni in tutta
l’Europa e negli Stati Uniti alla ricerca di informazioni ed anche di sistemi esperti da poter inserire
nell’ADIS. Trascorrevo così circa tre anni, divisi fra gli impegni di Responsabile del Servizio e del
Gruppo ADIS, molto intensi e gratificanti, con anche la partecipazione alle Associazioni di
categoria quali la DEA (Drilling Engineering Association) e la SPE (Society of Petroleum
Engineers) della quale ultima contribuivo, nelle veste di Publicity Chairman, alla costituzione della
Adriatic Section ed alla pubblicazione del relativo bollettino di cui diventavo il Direttore
(regolarmente iscritto all’Albo dei Giornalisti della Regione Lombardia).
All’inizio del 1988, nel corso di una riorganizzazione aziendale, il mio Servizio veniva smembrato
e, mentre una parte (le Tecniche di Perforazione) rimaneva nella Direzione Perforazione, l’altra ( le
Tecnologie ed i Laboratori) veniva inserita nella Direzione Servizi alla Produzione ed io rimanevo
nella Direzione Perforazione diventando l’Assistente del Direttore e conservando la Responsabilità
del progetto ADIS. Trascorrevo così tre anni interessandomi, oltre che dell’ADIS, di altri progetti
che mi venivano assegnati di volta in volta con frequenti missioni all’estero, ed anche della
partecipazione al reclutamento del personale da assegnare alle operazioni di perforazione.
Debbo francamente osservare che mi sentivo un po’ sottoutilizzato e di questo ne parlavo spesso
con i miei superiori; con loro si cercava anche di fare nuove ipotesi di inserimento ma senza che si
concretizzasse qualcosa di interessante. Nella primavera del 1991, improvvisamente e senza che mi
chiedessero cosa ne pensassi, il mio diretto Superiore mi informava che sarei stato nominato
Responsabile del servizio TESI (Tecnico Sicurezza) cosa che mi lasciò, come si suol dire, di sasso!
Il TESI non godeva di buona reputazione, era dedicato solo alla raccolta dei dati sugli infortuni,
aveva pochi tecnici esperti nella sicurezza ed era un po’ considerato il “cimitero degli elefanti”.
Protestai con il mio Capo, mi misi a rapporto con il Vice Presidente ma non ci fu nulla da fare! Mi
fu solo detto di provare ma alle mie rimostranze finalmente mi spiegarono che ero stato scelto
direttamente dal Presidente (al quale erano stati sottoposti diversi nominativi) per la mia conoscenza
di tutte le attività operative ed anche e soprattutto perché i tempi erano maturi per far fare un salto
di qualità alla Società nel campo della sicurezza, visto che il problema stava diventando molto
sentito nei rapporti con le altre realtà aziendali e con le organizzazioni sindacali. Mi veniva data, in
un certo senso, carta bianca per la ristrutturazione del Servizio e per modificarlo seguendo le
indicazioni ricevute.
Con mia sorpresa venivano accettate tutte le proposte da me elaborate insieme a diversi tecnici con i
quali mi ero consultato; nasceva così il nuovo Servizio SICI (Sicurezza Industriale) che, con
l’inserimento di alcuni giovani laureati e di alcuni tecnici interni e con un nuovo Ordine di Servizio
che modificava profondamente il precedente TESI, mi impegnava per un paio di anni in un nuovo
tipo di lavoro fatto di relazioni con le Unità interne aziendali, con le parti Sociali ed anche con la
Divisione del Ministero competente in materia di sicurezza del lavoro. Si accertò, senza ombra di
dubbio, che la percentuale degli infortuni nell’AGIP era ben superiore a quella di similari aziende
europee e che l’analisi di questa realtà portava a conclusioni non proprio edificanti! Oltre ad una
componente di lassismo e di scarsa cura per la manutenzione delle attrezzature accompagnata anche
da un uso non controllato e saltuario degli indumenti di sicurezza si poteva notare una certa facilità
di certificazione da parte dei medici ed una rassegnata accettazione di questo stato di cose.
Veniva pertanto fatto un accurato studio di tutto questo, le cui risultanze furono, da me, esposte nei
vari Distretti operativi italiani della Società con notevole stupore e preoccupazione da parte dei
diretti interessati. Fu poi preparata una proposta per coinvolgere il personale dei Distretti ad un più
attento controllo del comportamento proprio e dei colleghi in modo da ridurre il numero degli
infortuni e riportarlo ad una fisiologica percentuale compatibile con quella delle altre società.
L’idea era quella di dividere il personale in gruppi omogenei di 30-40 tecnici e di premiare i gruppi
che avevano zero infortuni in un tempo di alcuni mesi e di ulteriormente premiare quel gruppo che,
allo scadere dell’anno, risultava il migliore. I premi consistevano in buoni di benzina per quelli
intermedi e di oggettistica di valore come premio annuale.
1988 – comitato fondatore SPE Italia
1989 Albania – trasporti urbani
(Cesaroni, Pozzi, Colamasi, Paccaloni, Pirocchi)
1989 Ravenna – consegna tessera APVA di
Socio Onorario al Cardinale Tonini
ALLA SPI DI FORNOVO DAL 1993 AL 1996
Prima della fine dell’anno arriva, però, l’ennesima proposta; mi si prospetta di assumere la
Direzione Tecnica della Società Petrolifera Italiana, con sede in Fornovo Taro, società che, rilevata
qualche anno prima dal Gruppo Moratti, era attiva nella produzione e distribuzione del gas con
giacimenti in produzione e permessi da esplorare a piccola e media profondità. Cominciavo ad
avere una certa età e la componente familiare mi induceva a prendere in seria considerazione la
proposta. Nel dicembre del 1992 assumevo quindi la posizione di Responsabile dell’Esplorazione,
Produzione e Commercializzazione della SPI con il compito di sviluppare i nuovi giacimenti
(Policoro, Monte delle Vigne, Torrente Baganza), ricondurre la Società al “core business”
liberandosi di attività non in sintonia con le nostre (una tenuta agricola con relativa stalla, un paio di
impianti per la distribuzione di gas per auto, la chiusura mineraria di vecchi pozzi in aree non di
nostra competenza, ecc.), trovare la possibilità di utilizzare il gas a bassa pressione senza doverlo
ricomprimere per immetterlo in rete.
Un piccolo inciso; nella primavera del 1993, durante una delle mie frequenti visite a S.Donato
vengo avvicinato da una gentile signora della Direzione del Personale che mi consegna un orologio
da polso comunicandomi che era il premio annuale consegnato al gruppo vincente il concorso per la
riduzione degli infortuni; me lo consegnava perché si riteneva che, visto l’abbattimento del numero
degli infortuni nel 1992 del 50% circa, me lo fossi meritato! Lo porto, ancora oggi al polso con
orgoglio e compiacimento.
La Società, la più vecchia società petrolifera italiana (fondata dal cav.Scotti nel 1905) passata poi,
nel corso degli anni, prima sotto il controllo della Esso Standard, del Governo (durante l’ultima
guerra), della Phillips, del gruppo Moratti ed infine dell’Agip che ne aveva ceduto l’attività di
raffinazione all’Agip Petroli per mantenere solo quella di ricerca e produzione, aveva operazioni,
oltre che in Emilia-Romagna, in Basilicata, Puglia, Abruzzo e Marche. Al momento del mio arrivo
si stavano sviluppando il campo di Policoro e quello di Monte delle Vigne-Torrente Baganza, per il
quale ci si apprestava a costruire una centrale di separazione gas.gasolina con ricompressione del
gas per poterlo iniettare nella rete italiana. Nel corso di questi tre anni si è proceduto, quindi, oltre
che allo sviluppo dei campi in questione, alla chiusura mineraria di vecchi campi ormai depletati,
alla vendita delle due stazioni di servizio, alla chiusura dell’azienda agricola, alla installazione di
due impianti di cogenerazione (utilizzando gas a bassa pressione) in due aziende industriali nelle
Marche ed in Basilicata ed al tentativo, poi lasciato cadere per gli elevati costi, di creare un museo
del petrolio sul campo di Vallezza che aveva (ed è stato lasciato almeno fin quando ne sono stato a
conoscenza) un originale sistema centralizzato di estrazione per pompamento dell’olio con catene
collegate ad un grosso eccentrico che permetteva ai cavalletti di estrarre il poco olio rimasto dopo
una produzione protrattasi per diversi decenni.
A fine 1995 una nuova ristrutturazione prevedeva l’accorpamento alla SPI di due altre aziende che
svolgevano la stessa attività di ricerca e produzione di gas a bassa profondità; la posizione che
ricoprivo nella SPI veniva smembrata con tre responsabili per l’Esplorazione, la Produzione e la
Commercializzazione ed io mi ritrovavo nella condizione di dover, ancora una volta, aspettarmi
un’altra collocazione. Mi si prospettava anche la possibilità di negoziare una uscita dalla Società,
cosa che accettavo ed il 30 giugno 1996, dopo quasi quarant’anni di lavoro ed alla soglia dei 61
anni di età, lasciavo la Società per andare in pensione.
1994 Fornovo – inaugurazione centrale gas SPI campo Monte delle Vigne – Torrente Baganza (Cainer, Pirocchi)
CONCLUSIONI
Quando venni assunto, a fine 1956, l’Agip operava prevalentemente in Italia; all’estero era presente
solo in Iran con la sua consociata Sirip. Consequentemente mi aspettavo di svolgere il mio compito
di tecnico fanghi in uno dei Settori italiani e mai e poi mai avrei potuto immaginere che la crescita
della Società all’estero mi avrebbe così pesantemente coinvolto. La mia carriera si è sviluppata
attraverso continui trasferimenti per cui è come se nei 40 anni trascorsi in AGIP io abbia cambiato
ambiente e tipo di lavoro come facevano e fanno i dipendenti delle altre compagnie petrolifere;
ricordo ancora lo stupore dei miei colleghi americani quando apprendevano che avevo lavorato solo
nell’AGIP mentre loro salivano in carriera cambiando continuamente società!
Se ripercorro tutti gli spostamenti dai laboratori di S.Donato, al Settore Sicilia, alla CORI in Libia,
alla Filiale India della Saipem, di nuovo nel Settore Sicilia e poi nel Settore Nord per continuare di
nuovo in Libia, a S.Donato, in Nigeria e poi di nuovo a S.Donato per finire alla SPI di Fornovo
Taro sempre con la famiglia al seguito (fuorchè in India) mi domando come abbia fatto a resistere a
tutti questi movimenti ai quali dovrei aggiungere anche le missioni di breve o media durata in
Tunisia, Algeria, Costa d’Avorio, Congo, Egitto, Emirati Arabi, Stati Uniti e quasi tutta l’Europa.
Evidentemente oltre alle mie soddisfazioni personali quali i riconoscimenti e la carriera ci deve
essere stato anche un buon gradimento aziendale che, debbo dire con un po’ di rammarico, non mi è
quasi mai stato manifestato in modo evidente! Debbo averlo solo intuito e recepito da quanto mi
veniva proposto e dalle relative conseguenze.
Debbo, quindi, concludere queste note manifestando la mia gratitudine per quello che mi ha dato
questa Società che mi ha permesso di conoscere il mondo, di crescere professionalmente e
culturalmente ed infine di permettermi di trascorrere una buona terza età ricordando tutto quello che
ho cercato di riassumere in queste note. Alla domanda, che qualcuno mi ha posto, di specificare se
avessi qualcosa da eliminare o modificare da questo curriculum, ho risposto che lo rifarei, lo rifarei
così come l’ho fatto!
Adriano Pirocchi
CURRICULUM VITAE DI ADRIANO PIROCCHI
Nato il 12 novembre 1935 a Sesto S.Giovanni..
Coniugato con Violetta Maini il 15 giugno 1963.Due figli maschi nati nel 1964 e nel 1972
Diploma di perito chimico industriale conseguito nel 1954 presso l’I.T.I. di Chieti
Frequentato corso di Tecnologia di Perforazione presso l‘Istituto Indutriale dell’Aquila nel 1956
Assunto dall’AGIP il 29 novembre dell’anno 1956
11/56 - 05/57 Addestramento presso il laboratorio Fanghi e Cementi di S.Donato Milanese
06/57 - 04/61 Tecnico Fanghi e Cementi di cantiere a Gela
05/61 - 03/64 Tecnico Fanghi e Cementi in Libia
05/64 - 05/66 Chimico Fanghi e Cementi in India (in prestito a Saipem)
Durante un rientro per ferie, missione in Grecia di alcuni giorni per intervento sul
fango del pozzo Filiates 1.
08/66 - 04/68 Chimico di Settore a Gela
05/68 - 02/71 Chimico di Settore e poi Assistente Tecnico di Settore a Ravenna
Nell’estate del 1969 missione di un paio di mesi in Tunisia,
per sostituire il supervisore di perforazione in ferie.
Nel novembre 1969 missione di circa un mese in U.S.A,
insieme a Moscato, Merluzzi, Sgubini e Capuani per assumere informazioni
sui pozzi profondi.
Nel luglio del 1970 in contratto in Nigeria come drilling manager (con delega district
manager in attesa arrivo del designato Ferrari). Contratto cancellato nel settembre per
cessione dell’operatorship alla Phillips.
05/71 - 06/74 Drilling Manager in Libia in comando ad Agip NAME
07/74 - 05/75 Servizio Perforazione Estero in S.Donato Milanese
06/75 - 02/77 Deputy Operation Manager in comando ad Agip Petroleum Iran Company
03/77 - 04/80 Servizio Perforazione Estero in S.Donato Milanese
05/80 -12/84 Operation Manager fino al 10/81, indi District Manager in comando a Nigerian
Agip Operation Company in Nigeria (Port Harcourt)
02/85 - 12/87 Responsabile del Servizio Tecniche e Tecnologie di Perforazione in S.Donato
01/88 - 04/91 Assistente del Direttore della Perforazione. Responsabile del Progetto ADIS
(Advanced Drlling Information System)
05/91 - 12/92 Responsabile Servizio Sicurezza Industriale in S.Donato Milanese
Nel periodo trascorso in S.Donato sono state effettuate diverse missioni di lunghezza
variabile, da qualche giorno ad alcune settimane, negli U.S.A.(2), in Egitto(2), in
Algeria(2), in Congo(2), in Costa d’Avorio(1), negli U.A.E.(1), in Austria(2), in
Germania(2), in Danimarca(2), in Olanda(3), in Albania(2), in U.K.(diverse), in
Francia(diverse), in Belgio(1), in Norvegia (diverse).
12/92 - 06/96 Responsabile Esplorazione, Produzione e Commercializzazione della
Società Petrolifera Italiana in Fornovo di Taro