Un villaggio dove far crescere i bambini

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Un villaggio dove far crescere i bambini
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“Un villaggio dove far crescere i bambini”
PRESSO L’AUDITORIUM DEL CENTRO AGGREGATIVO DI FARA GERA D’ADDA
in via Piazza Patrioti 1
IL 19 APRILE 2007
Alla ricerca dei significati delle parole….
Riprendendo dal titolo “Crescere nella responsabilità e reciprocità educativa” la
parola Responsabilità che è di uso comune, mi sono soffermata a pensarne il
significato nel senso etimologico parola ricercandola sul dizionario:
congruenza con un impegno assunto, in quanto importa e sottintende
l’accettazione di ogni conseguenza.
Nello specifico sono specificati anche dei registri dell’azione della responsabilità:
-
Assumersi responsabilità;
-
Addossarsi responsabilità;
-
Prendersi la responsabilità di un’azione;
-
Una grande responsabilità;
-
Non voglio alcuna responsabilità;
L’importanza della responsabilità per i bambini…
Se consideriamo l’insieme della parola Crescere nella responsabilità, la domanda che
emerge è: “come è possibile imparare e insegnare la responsabilità?”
Bruno Bettelheim ci ricorda che:
“…..Purtroppo non sì diventa responsabili solo perché qualcuno ci dice che abbiamo
delle responsabilità, e neppure se ce le fa effettivamente rispettare….”
“…..Questa convinzione rispetto all’essere responsabile, non è ubbidire agli ordine
ma invece è di fare una cosa di libera scelta per rafforzare il rispetto di sé. ……
…..Suggerisce che si assume la responsabilità quando siamo convinti che serve a sé,
alla propria crescita e soddisfazione personale….”
Se ripensiamo alle responsabilità che assumiamo noi adulti, quelle che ci danno
soddisfazione sono i compiti che sentiamo fortemente come investimento e spinta per
la nostra crescita. Quando percepiamo di fare un passo in avanti, e riteniamo il
compito come qualcosa che ci dà altre possibilità, nuove, mai considerate nella
propria vita, anche professionale.
Ognuno di noi ha bisogno di trovare nuovi stimoli per rimettersi in gioco, alla prova e
in questo caso assumiamo anche la fatica che il cambiamento della crescita ci chiede.
Questa situazione di assunzione di responsabilità è importante per noi adulti, lo è
anche per il bambino, che è una persona in crescita.
Noi adulti possiamo trovare dei compiti che possono far sentire i bambini e i ragazzi
che c’è bisogno di loro, che il loro apporto può contribuire al benessere familiare e
sociale.
Per questo se riteniamo importante far crescere i bambini nella responsabilità vanno
considerate oltre alle loro capacità effettive, anche le richieste che noi facciamo di
“far fatica, di affrontare le paure, di scegliere” e il nostro compito è quello di
sostenerli con fiduciosi che ce la possono fare. In questo modo possiamo prepararli al
gusto della crescita e della vita.
Questa possibilità di crescita è possibile quando c’è chiarezza di intenti tra gli adulti
che si occupano di loro. Vi propongo una storia accaduta al nido intitolata:
Dallo scontro al patto tra gli adulti ….
E’ la storia di una situazione difficile, successa qualche anno fa, emblematica di tante
storie conflittuali che possono accadere all’interno dei servizi, dalla quale ritengo che
abbiamo imparato molto come educatori.
Spesso come educatori all’interno dei nidi ci misuriamo con bambini che in fase di
crescita presentato difficoltà di relazione con gli altri. In effetti i bambini non
nascono già imparati e nel compito o mandato sociale del nido c’è anche di lavorare
sulla dimensione sociale dell’esistenza e sulla socializzazione.
Ma è sempre difficile trattare problemi che riguardano la difficoltà dei bambini di
controllare le pulsioni di rabbia, di espulsione, di vicinanza, nello stare in prossimità
ad altri.
Una delle pulsioni aggressive più forti con cui può misurarsi un educatore al nido è il
morso dei bambini tra di loro e con l’adulto. Nei piccoli esiste un’esplorazione del
mondo attraverso la bocca, e quando i bambini sono più grandi il morso è una forma
di comunicazione.
L’esperienza dell’essere morsicati è spiacevole, lascia anche una traccia profonda
sulla pelle, come un marchio indelebile, un segno dei denti a orologio.
Nella dimensione culturale, il MORSO può essere letto non come una forma di
comunicazione e di aggressione dovuta alle difficoltà di relazione ma è più facile
leggerla come comportamento negativo e come cattiva condotta: quel bambino è
proprio cattivo.
Ricordo la reazione di alcuni genitori di fronte alle difficoltà di un bambino appena
inserito al nido che per farsi strada in mezzo agli altri e comunicare il suo disagio ha
iniziato ad aggredire con il morso alcuni compagni. Dissero:
- Ma non potete mettergli la museruola,
- Allontanate questo bambino dal nido e lasciatelo a casa dai suoi genitori,
- Trovate qualcosa da fare per aiutare lui e gli altri bambini.
E’ una bomba a orologeria che può esplodere stare a contatto con queste forme di
disagio espresse durante la crescita. Questo dice quanto sia complesso trattare un
evento di questo tipo e che è necessario allenarsi per maneggiare anche queste
dimensioni distruttive per permettere all’educazione di fare il suo percorso, altro, da
quello culturale diffuso.
Di chi è la colpa? Del bambino che è cattivo. E’ lui il problema. Oppure è degli
educatori che non sono in grado di assolvere il loro compito. Oppure è dei genitori
del bambino che a casa chissà cosa gli permettono……. E’ come se esistesse un
modello di bambino a cui noi facciamo riferimento, che non è il bambino reale. E’ il
desiderio di un bambino così come noi lo vogliamo: adattato, integrato, socializzato,
simpatico, accattivante ecc
Nei momenti di difficoltà nell’occuparci della crescita di un altro, possono uscire a
noi operatori alcune frasi che hanno per risultato che nessuno individualmente
sembra avere la responsabilità delle proprie scelte.
Ricordo che Igor Salomone, in un incontro di formazione ci disse le seguenti parole.
A volte ci si difende dicendo “Quelli che sbagliano sono sempre gli altri”:
quelli che agiscono prima…
“ io faccio, faccio, ma chi gli toglie di dosso le abitudini che ha preso all’asilo?…
-
- quelli che agiscono durante
“è inutile che io insista tanto, se i genitori a casa gli fanno fare quello che vuole”…
- quelli che assolveranno nel futuro
“ con me ha imparato quel che doveva imparare, se poi alle medie l’ hanno
rovinato”…
Per noi operatori nella situazione del morso è stato significativo assumerci ognuna la
prima responsabilità dicendoci che quella situazione per noi adulti era dura e difficile,
che avevamo bisogno di aiuto. C’era qualcosa che ci sfuggiva e che dovevamo
imparare da qualcun’altro. In campo educativo voi sapete che chiedere aiuto è già un
passo avanti, è già assumersi una parte del problema. E’ già mettersi nella condizione
di apertura verso ciò che sta avvenendo e che chiede un cambiamento. Non sai in che
direzione.
Ma ti offre la possibilità di vedere vie e possibilità di capire e prendere in mano ciò
che accade.
Nel chiedere aiuto ognuna di noi ha espresso le proprie difficoltà: rispetto al
bambino, al gruppo di bambini, ai genitore del bambino che morsica e a tutti gli altri
genitori che si erano coalizzati contro il personale e i genitori del bambino.
Abbiamo deciso di condividere questa responsabilità per individuare la direzione da
prendere ed esplorare il senso educativo con la formatrice dello studio Dedalo di
Milano Irene Auletta che lavora con noi da 10 anni. Con lei abbiamo individuato
delle strategie di azione per essere d’aiuto ai bambini e ai genitori. E’ stato
fondamentale anche sentire la sua vicinanza e il suo sostegno per affrontare tutto ciò
che chiedeva l’assumersela in pieno quella responsabilità e superare barriere, paure,
risentimenti, incomprensioni che c’erano stati con i genitori e nel gruppo di lavoro tra
colleghe.
In effetti fermarsi…arrendersi e pensare che non c’è più niente da fare per degli
educatori è come cercarsi da soli la cassa integrazione. E io che sono un educatore
che ci sto a fare qui?
L’ottimismo, il credere che si può lanciare un sasso e arrivare là…questa è la
speranza di vita.
Riuscire ad andare oltre il pensiero dello sfigato che indica che non c’è più nulla da
fare.
Sai povero lui, è proprio così!
Mi ha colpito in quel periodo difficile di aiuto del bambino che morsicava, quello che
l’educatrice di sala ha imparato prendendosene carico attraverso una relazione
privilegiata:
- Sai ora riesco a fermare il bambino e a contenere la sua rabbia dicendogli:
vieni qui vicino a me che in questo momento sei troppo arrabbiato e non riesci
a giocare con i tuoi compagni.
- Ma cosa hai in questo momento degli sgrisoli ? E’ più forte di te vero, non
riesci a fermarti?
- Sai lo fermo perché per lui è un pericolo lasciarlo andare…è come se lui sta per
cadere dalle scale, tu cosa fai…lo lasci andare o lo fermi.
- Devo proteggerlo, se tu vedi come lo trattano gli altri quando lui si avvicina,
certo non li posso biasimare ma non posso lasciare che questo continui ad
accadere senza provare a fare qualcosa.
Ognuno di noi si è preso cura di una parte della situazione:
le educatrici:
- del bambino e del gruppo di bambini da una parte e
- dall’altra hanno raccontato ai genitori quali decisioni avevano preso e cosa
intendevano fare con il gruppo dei bambini per aiutarli;
la coordinatrice:
- dei genitori del bambino che morsicava rileggendo insieme la difficoltà e non
la cattiveria
- il gruppo dei genitori per i quali si è reso necessario un tempo lungo di
racconto di storie di difficoltà di crescere per riconoscerla anche in quel
bambino e nel gruppo.
E questa esperienza da esplosiva e distruttiva è diventata altro….
Un percorso di crescita, un patto tra noi adulti che ci ha consentito di assumerci
insieme una responsabilità collettiva per offrire una possibilità di crescita anche ai
bambini, oltre la punizione e la colpa. Una conquista culturale !
Dall’esperienza elaborata a livello pedagogico si impara:
Da questa esperienza abbiamo imparato:
- Che è difficile ammettere nel gruppo di lavoro le proprie mancanze: dire tra di
noi che il morso ci metteva in difficoltà, è stato importante per chiedere aiuto e
non nasconderci dietro ad un sapere generale non elaborato a livello emotivo;
- A conoscere la complessità del nido data anche dai punti di vista diversi che in
situazione di disagio vanno legittimati anche se lontani dalle nostre dimensioni
affettive ed emotive: quelle dei genitori, dei bambini e degli educatori ;
- Ad incontrare ognuno di loro tenendo conto del loro punto di vista e mostrare il
nostro elaborato ricercandone insieme il senso e il significati per i bambini
introducendo delle possibilità di crescita che suggeriva in sé la difficoltà;
- Di non darsi per definiti come adulti e che c’è bisogno di setting formativi per
svolgere il proprio ruolo educativo e affrontare delle sfide culturali;
- Ogni problema che sembra insormontabile e delicato, può avere molti sbocchi
impensabili che toccano le corde del cuore e non quelle del giudizio che di
primo impatto scatta in tutti noi;
- Che l’aiuto reciproco tra gli operatori nei momenti di difficoltà possono creare
dimensione di alleanza professionale e fiducia nell’andare avanti;
- Che è indispensabile un patto tra gli adulti per far crescere i bambini,
meccanismi di difesa fanno si che i bambini possono essere in mezzo a dei
conflitti dove il nido tira da una parte e la famiglia dall’altro dall’altra, con il
rischio di fare in due i bambini;
- Che le sfide culturali possono far parte del nostro ruolo e quindi legittimarci di
agirle anche se chiediamo agli altri, adulti e bambini, dei cambiamenti;
Arriviamo ora a conclusione al titolo della relazione:
Un Villaggio dove far crescere i bambini….
Credo che la sfida sta nel sostenere che:
Se si costruisce e si lavora come operatori in gruppo, per far fronte ai problemi
educativi che si presentano all’interno dei nostri servizi, andando anche a elaborare in
modo differente il pensiero culturalmente più diffuso, attraverso momenti di
supervisione e di formazione, mettendoli poi a disposizione di chi incontriamo,
genitori e bambini, allora si può dire che il servizio nido si trasforma in un luogo, un
villaggio dove far crescere i bambini permettendo anche a noi adulti di crescere
con loro.
Luigina Marone