Wuz.it - santo rocco e garrincha

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14.02.2012
Davide Enia - Così in terra
Mia madre smarrì l'equilibrio e urtò il tavolo, facendo rovesciare il bicchiere. Cadde, e sia il bicchiere che
mia madre andarono in frantumi. Negli anni, schegge continuavano a saltare fuori, scampate a tutte le
pulizie di prima, come se si fossero nascoste o si spostassero e poi, eccone un'altra, a ricordare che quel
momento c'era stato, aveva massacrato, lo si stava superando, in qualche modo, giorno dopo giorno.
Lasciate perdere tutti i discorsi sul fatto che si tratta di un esordiente (cosa, tra l'altro, vera a metà). Lasciate
perdere anche le bandelle sensazionalistiche che elencano le vendite dei diritti all'estero. Tutto questo
potrebbe inquinare non poco l'approccio del lettore al libro. Iniziate invece a leggere, senza alcuna
aspettativa, Così in terra, il romanzo di Davide Enia, pubblicato da Dalai editore. Scoprirete una scrittura
carnale, muscolare, un montaggio sapiente, personaggi che difficilmente dimenticherete, un energia narrativa
misurata e passionale allo stesso tempo. Misurata e passionale. Come un pugile. E la storia di Così in terra è
appunto una storia di pugili, a Palermo, dal 1942 al 1992. Sullo sfondo le bombe che cadono sulla città.
Prima la Seconda Guerra Mondiale e poi gli attentati mafiosi. Le bombe sono come pugni, sferrati a
tradimento, sulle case e sulle teste delle persone, che non indossano guantoni, non possono alzare la guardia,
sono pugili colpiti nel sonno. Davidù inizia a boxare da ragazzo come suo padre detto Il Paladino, morto in
un incidente stradale quando era ancora nel grembo della madre. Come suo zio Umbertino, che aveva
appreso l'arte del pugilato dal Negro, un soldato americano e poi ha messo in piedi una palestra a
Palermo. La narrazione si muove tra presente e passato, dentro le vite di questi pugili, con Rosario, il nonno
di Davidù partito per la guerra e fatto prigioniero, con Umbertino scapolo incallito sempre in cerca di nuovi
amori, e con Davidù, che vive i suoi primi turbamenti sentimentali e contemporaneamente rincorre il titolo
regionale. I pugili del romanzo, ognuno a suo modo, sono figure positive, forti, sempre pronte ad aiutare i
più deboli. Hanno coraggio, conoscono il senso dell'amicizia e dell'amore, sentono l'obbligo e il piacere della
trasmissione, dell'insegnamento. Davidù impara le coniugazioni latine dalla nonna Provvidenza, la boxe
dallo zio, la rettitudine morale dal nonno. Davidù è il riassunto, il ragazzo che si è nutrito di racconti, di
esempi, di insegnamenti. E sono proprio esempi quelli che Davide Enia mette in scena nel suo romanzo. Di
come si possa restare in piedi, con dignità, di come ci si possa allenare alla resistenza, ogni giorno, in una
terra da troppi anni in battaglia. Non ci sono note per le parole in dialetto siciliano che compaiono copiose
nella scrittura di Enia. Se ne assorbe il significato dal contesto. Il dialetto condensa tutto in un attimo, è
sferzante e veloce come un pugno, ma sa anche attraversare i tempi, come una cicatrice.