“Guarire si puo`”

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“Guarire si puo`”
Regione Puglia
PSICHIATRIA
“Guarire si puo’”
L’esperienza del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di San Severo nell’ambito del progetto regionale
“Ciao 2000”
Domenico Tancredi *
Introduzione
Il SPDC (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) di San Marco in Lamis (trasferito nel maggio del 2011 a
San Severo in seguito al Piano di riordino Ospedaliero e quindi chiusura dei piccoli ospedali) nasce nel
1994 , epoca in cui le carenze strutturali dei Servizi Psichiatrici erano enormi.
L’organico dirigenziale era costituito da alcuni psichiatri, alcuni dei quali provenivano da valide
esperienze di psichiatria territoriale, altri erano giovani psichiatri alle prime esperienze lavorative, ma tutti
convinti sostenitori della legge di riforma psichiatrica n.180.
Insieme, abbiamo iniziato, ad adottare forme di cura basate innanzitutto sul rispetto dei diritti della
persona, dando molta importanza alle relazioni tra PZ. e PZ e tra operatori e PZ, che si sviluppavano
all’interno del sistema SPDC, cercando continuamente di mediare le fratture relazionali .
In quest’ottica abbiamo scelto di non praticare all’interno del SPDC qualsiasi forma di contenzione
meccanica, cioè la contenzione per mezzo di speciali apparecchiature, quali le camicie di forza, i letti di
contenzione, quelli muniti cioè di cinghie da applicare ai polsi e alle caviglie.
In questi casi , com’è evidente, la violenza sull’infermo non resta circoscritta ai pochi momenti necessari per
calmarlo o per somministrargli un farmaco. Prosegue nel tempo, tanto a lungo che l’azione umana non è più
adeguata allo scopo e si rende necessario uno speciale strumento che assicuri l’immobilità del paziente.
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Ci chiedevamo quale forma di relazione avremmo poi potuto avere con quella persona;
ritenevamo la contenzione meccanica un ostacolo molto serio allo sviluppo successivo dell’alleanza
terapeutica, andava quindi nella direzione diametralmente opposta a quelli che erano i nostri intenti .
E’ ovvio che tante volte si sia resa necessario una qualche forma di coercizione, di pressione
sul paziente per indurlo alla cura.
Vi sono situazioni in cui è consentito, anzi doveroso, intervenire su una persona anche usando la forza
fisica (coercizione o contenzione fisica), pur con tutti i limiti del caso.
La coercizione fisica può essere esercitata nell’ambito di un rapporto di diretto confronto con il paziente,
misurandosi con lui per fargli superare una situazione di crisi, riconoscendo in ogni caso la sua
soggettività, i suoi diritti e i suoi bisogni, anche se espressi in modo convulso e violento. Deve trattarsi però
soltanto di una forma di contenimento momentaneo, inserita in un trattamento terapeutico; non già
un’iniziativa fine a se stessa, bensì la premessa di interventi propriamente sanitari immediatamente
successivi.
E’ evidente che quanto si attua una contenzione fisica la relazione con il paziente (PZ) è conflittuale. Gli
operatori si sentono in pericolo per la loro integrità fisica, tutto ciò genera ansia, a volte paura o terrore. E’
necessario, quindi, che gli operatori siano in numero adeguato.
Gli operatori devono avere la netta impressione che qualora il PZ decidesse per l’aggressione fisica sarebbe
facilmente controllabile.
Ben venga quindi la presenza di guardia giurata, forze dell’ordine e così via. Maggiore è la possibilità di
neutralizzare fisicamente il PZ minore è l’ansia degli operatori e quindi gli stessi sono messi nella condizione
di operare più efficacemente, senza far ricorso alla contenzione meccanica come misura protettiva per la
propria incolumità .
Dall’altra parte la sola presenza di numerosi operatori e/o forze dell’ordine scoraggia lo stesso PZ a mettere
in atto comportamenti violenti .
Se deve essere fatta una contenzione fisica deve essere fatta nella maniera più rapida possibile e ovviamente
nella maniera meno traumatica possibile.
Nella nostra esperienza la contenzione fisica è sempre più rara e non è mai durata più di qualche minuto.
Da un punto di vista giuridico questa forma di coercizione, che in astratto potrebbe dar luogo a reati, può
essere giustificata dall’art. 51 del codice penale, che disciplina lo stato di necessità. Nel caso in cui il paziente
abbia tenuto comportamenti etero aggressivi potrà valere anche la scriminante della legittima difesa.
In genere, ma non necessariamente, questi interventi coercitivi sul paziente avvengono nell’ambito del
trattamento sanitario obbligatorio.
Nei primi anni di attività del SPDC l’aggressività fisica che i PZ manifestavano, nel corso del ricovero, era
veramente molto intensa. Oggi quel tipo di aggressività è quasi scomparsa .
Con il trascorrere degli anni, le metodologie adottate hanno inciso positivamente sulle aspettative che i PZ
stessi avevano del ricovero.
Rispetto a questo noi pensiamo che molta dell’aggressività sviluppata all’interno del SPDC fosse ed è di tipo
difensivo. Se il PZ si aspetta di subire facilmente, nel corso del ricovero, la contenzione meccanica, che avrà
scarso o nessun potere di contrattazione nel confronto con gli operatori, più facilmente può andare incontro a
episodi auto-etero aggressivi.
Si è avuto quindi come risultato, nel corso del tempo, un abbassamento dell’aggressività espressa all’interno
del SPDC.
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Passiamo ad analizzare le risorse e le metodologie adottate:
DATI STRUTTURALI.
I locali dove il SPDC è attualmente ubicato non sono assolutamente idonei e non sono in regola con i “
requisiti per autorizzazioni e accrediti strutture sanitarie “ (BURP suppl.n.7 dl 14/01/2005).
Sono indispensabili importanti lavori di ristrutturazione oltre che nuovi spazi.
Al momento attuale sono presenti complessivamente n.27 operatori con la seguente qualifica:
• n. 4 medici ( due a tempo determinato , 2 a tempo indeterminato);
• n. 15 infermieri professionali;
• n. 1 infermiere con funzioni di caposala;
• n. 1 psicologa;
• n. 1 assistente sociale;
• n. 5 ausiliari.
Nei casi “ difficili “ è possibile chiamare la Guardia Giurata di turno dell’Ospedale
•
•
•
DATI DI PROCESSO
All’interno del SPDC vi è la seguente organizzazione del lavoro:
Riunioni di equipe:
alle riunioni partecipano i medici presenti, la caposala, l’assistente sociale, la psicologa, altri operatori
eventualmente disponibili.
Si svolgono due tipi di riunione:
due volte la settimana, lunedì e giovedì si svolge una riunione che ha come finalità la discussione e
l’approfondimento dei casi; inizia alle ore 9.00 e termina alle ore 10. 30 circa ;
tutti gli altri giorni si svolge una riunione di organizzazione della giornata più snella che dura dalle ore 9.00 alle
ore 9.30;
Una volta al mese si svolge una riunione tra tutti gli operatori del SPDC della durata di tre ore circa.
Mancano protocolli di intesa con i vari CSM del Dipartimento al fine di garantire interventi integrati di
elaborazione dl programma terapeutico.
I collegamenti con i vari CSM avvengono sono prevalentemente via telefono.
Accoglienza per i nuovi ricoveri
I nuovi ricoveri sono effettuati in grandissima maggioranza su invio dei CSM, in misura molto minore
da
consulenze effettuate al pronto soccorso e da trasferimento da altri reparti o da altri SPDC.
Il primo contatto con il collega del CSM, avviene quasi sempre per via telefonica; il referente per il SPDC è il
medico di turno o il reperibile. Il collega recepisce le informazioni di invio; dopodiché, attraverso il sistema
informatico, si assumono informazioni circa eventuali ricoveri precedenti presso il nostro reparto, si procede
quindi al reperimento dall’archivio delle cartelle, ci si prepara quindi ad accogliere il PZ. .
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•
•
•
Per ricoveri ordinari in TSV l’accoglienza viene effettuata dallo psichiatra di guardia, dal personale
infermieristico e all’occorrenza dall’assistente sociale .
Quando il PZ giunge fisicamente in reparto riteniamo importante il modo come è accolto; viene usata la
massima cortesia e disponibilità verso domande e/o obiezioni che il PZ esprime, si invita lo stesso . a
conoscere i luoghi e gli spazi del SPDC, lo si informa sulle regole della struttura.
Si procede alla valutazione delle seguenti aree :
cura del sè e igiene personale ;
guardaroba ( quasi sempre carente);
ispezione congiunta delle cose portate dal PZ., ed eventuale deposito di oggetti di valore o che potrebbero
risultare pericolosi (ingenti somme di denaro, piccoli coltelli etc.) .
Dopodiché il PZ e/o i propri famigliari accedono al colloquio di valutazione medica e psicopatologica.
Il caso sarà discusso l’indomani mattina nella riunione di equipe. Nel corso del ricovero il PZ può accedere a
colloqui anche giornalieri con il medico di riferimento, a terapie di gruppo, a terapie occupazionali, a permessi
di uscita all’interno, a volte anche all’esterno dello stabilimento ospedaliero.
Per quanto riguarda i ricoveri in TSO il primo contatto con il PZ avviene al pronto soccorso.
Molto dipende a questo punto dalle condizioni di invio, le aree che nella nostra esperienza si sono rilevate
cruciali sono le seguenti:
• informazioni date al PZ sul ricovero in regime di TSO;
• eventuale terapia psicofarmacologica somministrata o non somministrata nelle ore precedenti il
ricovero;
Il caso peggiore è rappresentato da un PZ a cui non è stata fornita alcuna informazione ( gli si dice ad es.,
…..andiamo a fare alcuni esami in ospedale ……..) e/o non è stata somministrata alcuna terapia
farmacologica .
.
CASO CLINICO
M. è un ragazzo di 30 anni, alto 182 cm. - Peso 101 Kg.; lo psichiatra di riferimento del CSM riferisce
nella prima parte della mattinata al collega di guardia del SPDC, che vorrebbe ricoverarlo, non specifica
però i tempi e i modi. M. ha subito un precedente ricovero nel 2008, la cartella clinica recuperata in
archivio ci fornisce importanti informazioni, il PZ fu dimesso con diagnosi in asse I di ” disturbo ossessivo
compulsivo” e in asse II di “ disturbo border-line di personalità “. Sono riportati in cartella alcuni episodi di
aggressività verbale, ma non aggressività verso persone.
Giunge senza altre informazioni alle ore 14.15 al Pronto Soccorso accompagnato dai Vigili Urbani del
Comune di appartenenza e dagli operatori del CSM per ricovero in TSO. Non ha effettuato al momento
alcuna terapia farmacologica.
Al nostro arrivo al Pronto Soccorso M. parlava animatamente, non ci dava l’impressione però che i contenuti
di quanto sosteneva fossero influenzati da gravi disturbi ideativi e/o dispercettivi. Il suo tono era aggressivo, a
tratti minaccioso sia verso i Vigili, i quali assorbivano in silenzio ma mostravano una repressa voglia di reagire
anche fisicamente, sia verso gli operatori territoriali i quali apparivano abbastanza intimiditi dal tono e dalla
prestanza fisica del PZ. .
M . chiedeva delle spiegazioni sul ricovero, come e perché avevano deciso di ricoverarlo; in effetti non gli
era stata fornita alcuna informazione a riguardo.
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Solo in seguito furono chiarite le ragioni del ricovero, dettate soprattutto da disturbi del comportamento e da
un’alta emotività espressa all’interno del nucleo familiare.
Il nostro intervento è stato quello di informazione, di chiarificazione e di mediazione della relazione oltre
che con M., anche e con gli altri interlocutori; in particolare si è posta molta attenzione ad evitare escalation
simmetriche. A questo proposito va menzionato che il livello di provocazione messo in atto dal PZ., sia nei
confronti del personale sanitario sia nei confronti dei vigili era molto alto.
Si è andati avanti così per un paio d’ore dopodiché il PZ è salito su in reparto , dove , dopo altra trattativa si è
provveduto alla somministrazione della terapia farmacologica.
GESTIONE DEGLI EPISODI DI AGGRESSIVITA’ FISICA: CASO CLINICO
N. è ricoverato in regime di TSO da alcuni giorni; è noto per essere un PZ. minaccioso e violento. Violenza
che ha messo in atto sia a domicilio sia nel corso di precedenti ricoveri in altri SPDC. E’ già stato nel nostro
reparto, ma tutto sommato il suo comportamento è stato accettabile, senza episodi particolari. Questa volta
invece già all’ingresso è stato necessario chiamare i carabinieri per le minacce che metteva in atto, per il
rifiuto alla somministrazione della terapia farmacologica. Dopo l’intervento delle forze dell’Ordine accettava
nei giorni successivi la terapia prescritta, abbastanza sedativa, ma che comunque su di lui non produceva
effetti particolarmente rilevanti, aveva comunque smesso con le minacce e con i suoi atteggiamenti che
davano l’impressione del passaggio all’atto da un momento all’altro.
Quella mattina lo scrivente era l’unico medico in SPDC. Dopo una veloce riunione di equipe decide di valutare
lo stato psichico. Il colloquio si svolge nella stanza del medico; dopo poche battute in cui si invita il PZ. ad una
generica collaborazione. Non avendo risposte adeguate il colloquio è interrotto.
Si esce insieme dalla stanza, lui è dietro lo scrivente. Dopo pochi metri senza altro preavviso sferra un pugno
alla nuca. Chi scrive si ritrova seduto a terra con la schiena contro la parete ed il PZ. che cerca di completare
la sua opera sferrando dei calci. Vede il suo volto con un’espressione da vincitore, avendo appena il tempo di
organizzare una difesa. I rumori di quanto è accaduto, intanto, richiamano altri operatori, i quali intervengono
quando lui sta per avere la meglio.
È bloccato inizialmente da un infermiere, da un ausiliario e poi da altri sopraggiunti. Portato a letto, gli viene
somministrata una robusta terapia farmacologica e praticata la contenzione fisica per qualche minuto. A dire
la verità una volta a letto, e circondato da un buon numero di operatori, non dava più segni di aggressività.
Pareva aver scaricato la sua tensione.
Dopo un’oretta in camera passata a dialogare con gli operatori, riprendeva la sua normale attività con una
terapia farmacologica opportunamente adeguata.
Chi scrive, invece, passato il momento della crisi, si isola fuori dal reparto, fumando varie sigarette una
consecutiva all’altra.
Le emozioni provate erano le seguenti
• Forte tensione
• Invaso, calpestato, come se un nemico avesse devastato il mio territorio;
• rabbia nei confronti del PZ. ,
• Rabbia nei confronti della ASL.
I pensieri erano i seguenti :
• figlio di p…… sei stato capace di colpire da dietro perché non hai provato a farlo faccia a faccia poi
vedevamo come andava a finire ….
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• Chi scrive viene qui per lavorare, potrebbe anche fregarsene, invece si impegna tantissimo per
costruire qualcosa di buono per i PZ. e vedi come ti ripagano; ma chi glielo fa fare?
• Adesso c’è bisogno di un po’ di tempo per capire lo stato mentale; tra un po’ andrà meglio.
• Anche lo scrivente ha sbagliato qualcosa, probabilmente il colloquio in separata sede era prematuro.
Purtroppo si è in tre medici a reggere l’intero reparto; costretti a lavorare a mille all’ora e non si ha il
tempo per valutare bene, con calma queste faccende.
• Maledetta ASL che ci costringe a lavorare in queste condizioni.
Dopo circa mezz’ora il rientro in reparto per proseguire la giornata di lavoro che si conclude con altri due
ricoveri in TSO.
Il PZ. qualche giorno dopo veniva a chiedere scusa per l’episodio di aggressività che aveva messo in atto.
DATI DI ATTIVITA’
ANNO POSTI
LETTO
2009
2010
2011
2012
11+
1DH
11+
1DH
11+
1DH
1+1DH
NUMERO GIORNATE DEGENZA INDICE%
INTERV
RICOVER DEGENZA MEDIA
OCCUPAZ. ALLO
I
TURNO
VER
312
4132
13.24
102.91
0.38
PRESENZA
MEDIA
INDICE
ROTAZIONE
11.32
28.36
350
4022
11,49
100,17.
0.02
11.02
31.82
320
3739
11,68
93.13
0.86
10.24
29,09
208
3846
12.29
95.79
0.54
10.54
28.45
Progetto obiettivo “Ciao 2 -Miglioramento e valutazione della qualità dell’assistenza nei
Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura della Regione Puglia” DGR n. 1814 del 06.12.2005.
Dati Monitoraggio SPDC di SAN SEVERO Anno 2013
GEN
FEB
MAR
APR
MAG
GIU
LUG
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
TOT
Ammissioni (1)
32
24
21
31
27
31
30
31
19
25
25
28
324
TSO (2)
3
4
7
2
7
8
4
4
7
6
6
7
65
TSO revocati (3)
0
1
0
0
1
2
0
0
0
3
2
3
12
6
TSV > TSO (4)
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
1
Dimissioni
volontarie
6
4
1
4
1
6
5
2
0
0
0
3
34
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
1
2
Cadute
0
6
3
0
2
0
0
0
1
1
0
1
14
Allontanamenti
0
0
0
0
2
1
1
1
1
0
1
0
7
Decessi
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Aggressività (6)
5
4
6
2
10
1
0
5
6
6
5
1
51
Numero
Paz..Contenzioni
meccaniche
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
ore
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Num. Pz. cont.>24
ore
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Infortuni
operatori
1
0
1
0
0
0
0
2
0
0
0
0
4
Incontri operatori 11
territoriali (7)
10
9
9
4
4
8
8
5
6
7
2
83
Gruppi di attività (8)
24
25
23
25
27
26
26
27
27
25
22
25
302
Gruppi
(9)
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
10
16
16
10
13
13
13
12
12
13
12
13
----
1
4
4
0
1
3
3
3
0
4
1
0
----
11
10
9
9
11
10
10
11
10
11
10
11
---
Trasferimenti
altro reparto (5)
ad
Numero
contenzione
fisici
terapeutici
N° operatori (11)
N° medici (12)
Posti letto (13)
N.B. il monitoraggio è effettuato sulla base dei dati raccolti giornalmente nel registro di monitoraggio in uso negli
SPDC, aggregati mensilmente. L’invio dei dati è trimestrale, entro i trenta giorni successivi alla conclusione del
trimestre di riferimento.
NOTE
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(1) Numero di ricoveri nel mese, senza eventuali day hospital.
(2) Numero di ricoveri nel mese (casi trattati) in regime di trattamento sanitario obbligatorio.
(3) Numero TSO revocati prima della cessazione.
(4) Numero di trasformazioni, durante la degenza, di trattamenti sanitari volontari in TSO.
(5) Numero di trasferimenti ad altro reparto per necessità di trattamenti medico chirurgici
(6) Numero episodi di aggressività fisica.
(7) Numero di visite di operatori psichiatrici territoriali per pazienti ricoverati.
(8) Attività extra sanitarie strutturate: conteggiate con modalità dicotomica nella giornata (0
assente, 1 presente).
(9) Svolgimento di gruppi terapeutici strutturati: conteggiati con modalità dicotomica nella giornata
(vedi sopra).
(11) Numero complessivo di operatori (infermieri, compreso il coordinatore, OSS, OTA, …) addetti
alla cura, all’assistenza ed alla relazione col degente in organico attivo al primo giorno del mese di
riferimento.
(12) Numero complessivo di medici in organico attivo al primo giorno del mese di riferimento.
(13) Numero di posti letto attivi al primo del mese di riferimento.
RIFERIMENTI TEORICI
All’inizio non avevamo modelli teorici da seguire, oggi consideriamo il modello di “Modello di aggressione del
paziente ricoverato in reparto psichiatrico” proposto da H. L. I. Nijman abbastanza attinente al nostro modo
di operare .
Esso rappresenta un’interpretazione abbastanza isolata nella letteratura internazionale del fenomeno della
violenza in psichiatria. Isolata, perché gran parte degli studi sulle cause che determinano l’aggressione è
orientata sulle caratteristiche del paziente: la psicopatologia ed il contesto sociale della persona (vedi ciclo
dell’aggressività di Smith). Il modello di Nijman invece, amplia il panorama e mette in luce alcune variabili
ambientali, del contesto sanitario (variabili del reparto e dello staff) e l’interazione fra queste e quelle del
paziente.
L’autore ipotizza inoltre che il ripetersi delle aggressioni nei reparti psichiatrici sia il risultato di un circolo
vizioso: alla violenza del paziente spesso segue un aumento delle tensioni ambientali e comunicative con
il conseguente aumento del rischio di nuova violenza.
8
A conferma della teoria, gli studi sostengono che il paziente violento è normalmente recidivo. Sono infatti
una minoranza i pazienti responsabili di episodi di aggressività. In Inghilterra Hodginson e coll. (1985)
hanno costatato che il 5.3 % dei pazienti di un reparto per malati mentali era responsabile di circa il 50 %
del totale degli atti aggressivi registrati nel periodo di 2 anni.
Modello di H.L.I.Nijman
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stress ambientale
reparto
troppo
affollato, mancanza
di privacy/riposo,
organico carente.
variabili
reparto
variabili
psicopatologia
paziente
ricovero
(involontario)
es.
stress
percettivo
interpretazione
erronea
delle
attività di reparto:
mi rinchiudono per
sempre,
mi
avvelenano.
aggressione
variabili
stress comunicativo fini
del trattamento, regole
di reparto, distacco
dello staff, problemi
interpersonali
staff-paziente
staff
Commento dell’autore
Variabili del paziente: psicopatologia
Considerando le variabili del paziente, si ritiene che la psicopatologia grave (es. schizofrenia di tipo
paranoide) sia una delle più importanti cause dell’aggressione del paziente. La psicopatologia del paziente
conduce al ricovero involontario, ma questo introduce inevitabilmente un certo numero di fattori stressanti.
Variabili del reparto: stress ambientale
Dopo il ricovero in reparto psichiatrico entrano in gioco molti fattori di stress ambientale; per esempio, il
fatto che il paziente sia generalmente all’interno di un ambiente con porte e finestre chiuse a chiave e
goda di poca privacy; se il reparto è affollato, può essere esposto ad una sovra stimolazione. Inoltre, al
paziente può essere stabilita una terapia che non conosce e/o che non accetta. Tutto questo può dare
adito a frustrazione, rabbia e violenza.
Variabili dello staff: stress comunicativo
Contribuisce a provocare l’aggressione anche una difficile comunicazione fra staff e paziente. Per
prevenire questo, bisogna spiegare al paziente attentamente e ripetutamente le finalità del trattamento e le
regole di reparto. L’atteggiamento di chiusura dello staff e l’impossibilità per il paziente di ottenere
informazioni sul suo piano di cura possono indurre all’aggressività. Così come l’incoerenza del personale
nel delimitare i limiti del setting può agire come elemento comunicativo stressante.
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Variabili del paziente: distorsioni percettive
Nel centro del modello, al livello delle variabili del paziente, la percezione della situazione gioca un ruolo
chiave perché un paziente diventi aggressivo o no. Sotto l’influenza della psicopatologia, lo stress
ambientale e comunicativo può alimentare interpretazioni distorte delle attività del reparto. Esempi di
interpretazioni erronee: “Mi stanno rinchiudendo per sempre”. “Mi stanno avvelenando lentamente con le
medicine”.
Circolo vizioso
Dopo il primo eccesso aggressivo, può instaurarsi un circolo vizioso. Come reazione ai comportamenti
violenti del paziente, il livello di stress ambientale può aumentare per salvaguardare la sicurezza delle
persone: il paziente può subire un trattamento coercitivo, o gli si può impedire di lasciare il reparto. Queste
misure possono confermargli l’errata convinzione di essere in pericolo in reparto e renderlo più diffidente
nei confronti del team. I comportamenti aggressivi possono indurre nei membri dello staff reazioni
controtrasferali negative (es. rabbia, ansietà), creando ulteriori problemi comunicativi. Come conseguenza
dell’aumento di stress ambientale e comunicativo può instaurarsi un modello ripetitivo di comportamenti
violenti, seguito dall’uso di misure sempre più restrittive.
CONCLUSIONI
Come dicevo , all’inizio noi non avevamo alcuna procedura o linee guida o quant’altro che ci istruisse su
come fare per evitare la contenzione meccanica. Ci siamo basati su quella che era l’esperienza dei colleghi
più anziani, il resto è stato costruito e lo abbiamo imparato, episodio dopo episodio, coinvolgendo tutti gli
operatori a prescindere dal profilo professionale, con molte discussioni, a volte accese all’interno del gruppo,
ma sempre convinti nel considerare la contenzione meccanica un atto di violenza che ci avrebbe poi impedito
di svolgere un’azione più propriamente terapeutica. Pian pianino questo modo di operare, appreso più dalla
pratica che da nozioni teoriche imparate all’Università, si è consolidato, e diventato routine, oggi non ce ne
accorgiamo più, è automatico per ognuno di noi che lavora in SPDC, dai medici, che devono stare sempre in
prima linea, agli infermieri, agli ausiliari .
* SPDC San Severo – ASL FG
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