resistenza e lotta antifascista nello stabilimento di dalmine

Transcript

resistenza e lotta antifascista nello stabilimento di dalmine
RESISTENZA E LOTTA ANTIFASCISTA
NELLO STABILIMENTO DI DALMINE
La resistenza al fascismo all’interno dello stabilimento di Dalmine (*)
prima del 25 luglio si era manifestata senza riuscire ad assumere aspetti e
caratteri di massa; nè le posizioni individuali degli antifascisti, per altro
conosciuti e perseguitati, riescono a determinare orientamenti nuovi in sen­
so politico o a spingere a forme organizzative di lotta. Di più : alla Dalmine
si perde l’occasione della lotta anche nel marzo 1943 quando in molti com­
plessi industriali italiani scoppiano quei gloriosi scioperi che sono il primo,
chiaro, e per il fascismo allarmante, indice della maturazione di una situazio­
ne nuova. I lavoratori della Dalmine sono colti di sorpresa; in realtà in quel
momento i gruppi antifascisti si trovano isolati, senza legami, o con legami
sottilissimi, con Je organizzazioni clandestine nazionali; in carcere i dirigenti
comunisti, non ancora sorto il nucleo del Partito d’Azione, venne a mancare
nel momento della ripresa della lotta operaia quel gruppo di uomini che do­
veva guidare la battaglia e orientarla in obiettivi concreti. Tutto questo
però non impedisce che il 25 luglio l’offensiva sia portata dapprima
contro gli esponenti del fascismo e in seguito verso la direzione dell’azienda
con richieste salariali, economiche, sindacali e anche politiche.
(*) Esiguo e impreciso si presenta il materiale sul quale si possano ricostruire le
vicende e i fatti della lotta antifascista e della resistenza nello stabilimento di Dal­
mine, in provincia di Bergamo, dalla caduta del fascismo alla definitiva liberazione.
Uniche fonti attendibili scritte sono alcune relazioni del periodo di occupazione, e
perciò anonime, o stilate subito dopo la liberazione. Esse sono:
Relazione Sottocornola, su tutta l’attività antifascista alla Dalmine datata 23 lu­
glio 1945. Consta di otto fogli dattiloscritti e inizia con la prima attività antifascista
seguita all’armistizio dell’8 settembre, fino all’elezione della prima libera Commis­
sione interna di fabbrica.
Appunti per una storia della Resistenza alla Dalmine, stesi da Sottocornola, senza
data. Descrive sommariamente in poco più di tre cartelle dattiloscritte, lo stesso
periodo indicato nel documento precedente fermandosi però al gennaio 1945, epoca
in cui l’estensore passò completamente all’ attività del OLN provinciale di cui era
membro.
Dichiarazione Sottocornola sull'attività di sabotaggio esercitata sulla produzione
di guerra. Datata 5 settembre 1947.
Rapporto speciale N . 2 del Gruppo « Dante Paci » di Dalmine, senza data, ma
posteriore all’ottobre 1944. Consta di due cartelle e mezzo dattiloscritte con indica­
zioni delle squadre, numero di componenti e con la specificazione giorno per giorno,
dal 24 agosto 1944 al 20 ottobre 1944, delle azioni svolte sia all’interno che all’esterno
dello stabilimento.
Relazione SAP Dalmine della 171 Bgt. Garibaldi del 6 agosto 1945, che consta
di due fogli dattiloscritti con allegato elenco dei partigiani appartenenti alla forma­
zione di Dalmine e della squadra Verdello-Levate.
Copie dei documenti descritti si trovano presso l ’Archivio dell’Istituto nazionale
per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.
Resistenza a Dalmine
89
Contro i più noti « gerarchi » si avventa quindi la reazione popolare :
quei lavoratori non si limitano ad obbligare « con simpaticissimi sistemi
quegli elementi che per un ventennio hanno consumato ogni sorta di so­
prusi e prepotenze » (1) ad abbandonare la fabbrica, ma per di più quegli
elementi, hanno sgradite sorprese : si vedono capitare in casa delega­
zioni che intendono constatare de visu quale costume austero condu­
cessero questi uomini in tempo di guerra. In verità senza troppa sor­
presa, si constatò come alcuni fossero ben forniti di quei generi, per
pochi chili dei quali molti italiani ebbero a subire carcere e pagare
grosse contravvenzioni (2). Così mentre alcuni sono direttamente accompa­
gnati in carcere ed altri preferiscono per conto proprio abbandonare il do­
micilio, duecentotrentotto persone responsabili di atti di violenza e di per­
secuzione vengono costrette a lasciare il loro posto. Su questo punto le mae­
stranze sono irriducibili. Gli elementi allontanati rientreranno al lavoro, e
nemmeno tutti, dopo l’8 settembre, ma non soli; accompagnati dalle prime
squadre armate delle forze fasciste.
La reazione al fascismo è stata, sin qui, immediata ma spontanea, è
venuta dalla base e si è espressa senza una precisa direzione, senza che sia
stata creata un’organizzazione efficiente, senza ancora gli elementi per l’orientamento della lotta futura. Il movimento di massa mira a riprendere
un posto di lotta e mira sopratutto alla pace, ma quale sia stata l’iniziativa
(1) La Voce di Bergamo, 29 luglio 1943.
(2) Da La Voce di Bergamo del 30 luglio 1943: Il dott. Cito Prearo denunciato
per accaparramento e detenzione di armi. Ecco copia di una denuncia che sarà spedita
al Procuratore del Re di Bergamo per i provvedimenti relativi:
« 111. Sig. Procuratore del Re - Bergamo. 11 sottoscritto Mario Buttaro di Dalmine
segnala alla S. V . IH., a norma e per ogni effetto di legge, che avendo assistito, senza
poterlo impedire, nonostante i suoi maggiori sforzi, alla irruzione del popolo nella
casa del dr. Ciro Prearo di Dalmine, potè poi constatare che dalla casa stessa ven­
nero, da parte della folla, asportate ingenti quantità di viveri e di armi. Particolar­
mente, oltre a quanto può essere sfuggito, ricorda: a) due grossi sacchi di riso; b) tre
forme di formaggio; c) due salami (i soldati ne trovarono poi ancora una trentina
appesi al soffitto); d) una grossa damigiana di olio; e) un prosciutto appena tagliato,
f) notevoli quantità di marmellate, biscotti, pasta bianca all’uovo, ecc.; g) una dami­
giana di grappa; h) otto fucili mitragliatori con relative munizioni; i) sette fucili da
caccia con cartucce caricate a pailettoni (le cartucce si trovano presso il sig. Acquaroli
Giovanni di Dalmine, a disposizione della Giustizia, perchè ne verifichi le cariche);
1) otto rivoltelle automatiche, ecc.
« La presente denuncia viene presentata alla S. V . 111. da parte del sottoscritto
in rispondenza ad un diffuso sentimento della popolazione locale e soprattutto perchè
è veramente strabiliante che da parte di chi, in fatto, se non per diritto veniva
esercitata nella provincia di Bergamo la maggiore autorità di comando, e si sia infierito
crudelmente, per suo ordine, persino contro povere madri di famiglia che erano
riuscite ad ottenere, dopo lunghe e faticose ricerche, qualche chilo di patate, si sia
potuto fare della propria casa (e si noti che si trattava di uno scapolo), un vero e
proprio deposito di viveril Poiché le leggi in materia annonaria esistono tuttora, si
spera che per un esempio di vera e santa giustizia, la S. V . 111. vorrà provvedere con
l’urgenza che la gravità del caso richiede... F.to Mario Buttaro ».
Nel numero del 6 agosto dello stesso giornale, veniva pubblicata una lettera nella
quale si elencava il contenuto di una cassetta ritrovata nella casa dello stesso Prearo
contenente numerosa valuta pregiata, il che costituiva una grossa infrazione alle leggi
del tempo. Tale valuta veniva consegnata ai carabinieri che compilavano il verbale
di assunzione.
90
Adoljo Scalpelli
politica e organizzativa nelle sue origini per la conquista di quei fini, come
si sia articolata alPinterno dello stabilimento, è difficile stabilire; ma è certo
che inizia in questo momento l’attività febbrile che, con continuità storica,
porterà alla lotta armata. E si è costituito allora, e non solo tra uomini delle
stesse tendenze politiche e degli stessi partiti, ma con iniziative plurilate­
rali, il profondo legame che ha unito nella lotta i gruppi locali e provinciali
in difesa dello stabilimento. Mentre quindi si incrociano contatti e prende
avvio la vita politica e sindacale, inutilmente ostacolata dal governo Bado­
glio, contro il quale l’opposizione aumenta, non si rimane ad attendere
gli eventi, ma si prepara, pur con la modesta esperienza di una libertà non
del tutto raggiunta, la lotta che inevitabilmente dovrà venire. Così, se da
una parte si rivendicano aumenti salariali e maggiori razioni di alimenti,
dall’altra si fa incetta di armi che vengono nascoste nei rifugi antiaerei dello
stabilimento.
L ’8 settembre, se provoca un momento di speranza, comporta anche
immediatamente lo smascheramento dei piani hitleriani : l’occupazione mili­
tare tedesca del suolo italiano non può che spingere a lottare contro gli in­
vasori, e quindi, all’annuncio dell’armistizio, lo stabilimento si ferma e lo
sciopero riesce totale; i tedeschi rispondono presidiando la fabbrica e com­
piendo minuziose perquisizioni; il nove settembre scoprono nei rifugi antiae­
rei gli arsenali di armi, ma ancora non compiono arresti nè operano rappre­
saglie. Sono compiti lasciati volentieri ai corpi fascisti che non aspettano
dal canto loro a farsi vivi. Scoppiano infatti le prime rappresaglie all’allonta­
namento degli elementi fascisti operato durante i quarantacinque giorni;
otto persone, dipendenti dallo stabilimento sono tradotte alle carceri (3) do­
ve resteranno dai cinque ai quaranta giorni mentre i lavoratori, attraverso
loro delegazioni, cominceranno ad esercitare pressioni sulle autorità, mi­
nacciando lo sciopero, per la scarcerazione degli arrestati. Una di queste dele­
gazioni riesce a farsi ricevere dallo stesso capo della provincia.
Si costituiva nel frattempo all’interno della fabbrica una commissione
che avrà il compito di coordinare tutte le attività clandestine di natura poli­
tica, sindacale e assistenziale e nella quale sono confluiti uomini di vari
partiti, una specie di embrionale CLN , realizzata su base non partitica
ma da quegli uomini che più avevano partecipato ai movimenti di quei
giorni. Si incontrano così per la prima volta in un organismo di coordina­
mento della lotta, uomini che resteranno presenti nello schieramento antifa­
scista fino alla fine della guerra se non cadranno nella battaglia come Natale
Betelli (4). Guidati da questa commissione verso la fine di settembre gli ope­
rai della Dalmine conseguono una notevole vittoria sindacale ed economica.
Pochi giorni dopo lo sbarco delle truppe alleate a Salerno e considerando la
possibilità di una rapida avanzata che avrebbe potuto impedire il lavoro, la­
sciando nell’insicurezza economica i lavoratori, la commissione chiede alla di­
rezione dell’azienda che sia distribuita una certa somma prelevata dalla cassa
di previdenza interna, alla quale contribuiscono in parti uguali maestranze
(3) Facchinetti, Zanchi, Rossetti, V arrà, Piccardi, Zambeili, Lechner e Soldati.
(4) Facevano parte della commissione: Natale Betelli, Ernesto Frigerio, Carlo Re­
monti, Francesco Salerno, Pietro Sottocornola e Callisto Tosoni.
Resistenza a Dalmine
91
e imprenditori. Mentre però la direzione è disposta alla concessione della
somma agli impiegati, non intende riconoscere lo stesso diritto agli operai e
solo dopo vivaci trattative la delegazione strappa l’impegno alla direzione di
stanziare due milioni per i mesi di ottobre e novembre anche a favore degli
operai. Al di fuori del raggiungimento dell’obbiettivo economico, appare im­
portante in questa azione rivendicativa, nella prospettiva della lotta antifa­
scista, l'unità raggiunta tra operai, impiegati e tecnici. Per l’ultima volta pe­
rò direzione di fabbrica e delegati degli operai si incontrano senza la presen­
za di commissari fascisti; verso la fine di settembre infatti la direzione della
azienda veniva assunta da tecnici tedeschi e da un commissario del Consi­
glio nazionale fascista delle corporazioni, il dottor Massimino, i quali trova­
no uno stabilimento privo di materie prime e di commesse, tanto che quasi
più nulla viene prodotto (5). L ’obiettivo dei tecnici tedeschi è quello di
ridare un assetto alla produzione, sviluppandola esclusivamente per assecon­
dare lo sforzo della macchina da guerra. 11 compito lasciato ai fascisti è in­
vece quello di esercitare funzioni di polizia, di controllo e di spionaggio
con tutti i mezzi possibili. Ma senza riuscire ad arrestare l’avviato lavoro di
organizzazione clandestina. 1 legami con le direzioni dei partiti politici più
impegnati nella lotta si sono rinsaldati e particolarmente con i partiti Comu­
nista e d ’Azione che nello stabilimento assumono nelle loro mani la direzione
della battaglia. Con questi legami e con questi aiuti la Dalmine si inserisce
nel quadro generale della lotta contro fascisti e tedeschi : mantiene iniziative
a livello aziendale e partecipa alla battaglia generale; così quando le truppe
tedesche nel novembre bloccano un reparto dove si sarebbero svolte azioni
di sabotaggio, gli operai rispondono incrociando le braccia e sospendendo
il lavoro, ricorrendo allo sciopero bianco. Poi, quando in dicembre le fab­
briche milanesi si fermano, anche la Dalmine scende in campo (6), pur non
facendo registrare gli episodi di Sesto S. Giovanni. Sono prove di capacità
di una massa che reagisce all’occupante e al fascismo con tutti i mezzi a sua
disposizione e che porta le organizzazioni politiche della resistenza ad au­
mentare le proprie possibilità di influenza agganciando contatti nuovi; è
ad esempio il momento in cui il partito Comunista aumenta ed estende la
sua influenza con successo, reclutando uomini che operano sul terreno natu­
rale della lotta operaia. Il marzo 1944 segna il momento della prova di
forza della struttura clandestina della Dalmine. Proclamato lo sciopero ge­
nerale, la commissione clandestina di fabbrica, poiché il C. L. N. nàscerà
solo più tardi a Dalmine, è direttamente investita dei compiti della pre­
parazione. L ’apprestamento di questa grande prova rivela l'acquistata ca­
pacità di sapersi muovere in mezzo a decine di spie che restano isolate e
non avvertono o avvertono in parte i segni dell’agitazione. Il due marzo
alle dieci la sospensione del lavoro è totale : dietro le spalle della commissio­
ne che prende contatti con la direzione dello stabilimento c’e una forza che
spinge implacabile, che non dà possibilità di essere ignorata; le trattative
sulle richieste che vengono avanzate, richieste che sono alla base dello scio­
lsi N ei primi mesi del 1943 la produzione si aggirava, sotto forma di prodotto di
tubo finito, sulle diecimila tonnellate mensili.
(6) C fr. R . B attaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino 1953, pagg. 167 ss.
92
Adolfo Scalpelli
pero nazionale, a cui se ne aggiungono di aziendali, durano circa due ore,
poi, improvvisamente, calano sulla Dalmine, provenienti da Bergamo i re­
parti fascisti (7). Sparatorie d’intimidazione, percosse, una cinquantina di ar­
restati. Tra questi ultimi anche alcuni dirigenti del movimento clandestino
i quali, in un momento di punta, devono pure assumere posizioni più avan­
zate degli altri.
Insieme con la liberazione dei lavoratori della Dalmine si rivendica la
scarcerazione di Aristide Piccinini che fu durante i quarantacinque giorni
commissario dell’Unione dei lavoratori dell’Industria e da più tempo in car­
cere. Da uno sciopero con tono semisindacale si è passati così a colorire forte­
mente la lotta con motivi politici, con chiari indizi di opposizione al regime
fascista e di occupazione. Nè si può affermare che tale atteggiamento non fos­
se inteso nel suo vero significato, se si rispose, come si rispose, con la serrata
proclamata dagli industriali.
Questo gesto indica chiaramente l’orientamento assunto in quel caso
dalla direzione della Dalmine: prima le trattative, quindi, inconcluse le trat­
tative, l’arrivo dei reparti armati, che si lasciano andare a sparatorie tanto
provocatorie quanto inutili; successivamente gli arresti, le minacce di de­
portazione, le rappresaglie in uso. Davanti a tutto questo nessun cedimento,
nessun atteggiamento di rinuncia, nessun tentennamento da parte delle mae­
stranze. Allora la serrata, che avrebbe dovuto essere un colpo decisivo, ma
che non lo è per nulla; perchè la protesta arriva più in alto, fino a costringe­
re il capo della provincia a ricevere la delegazione dei lavoratori di Dalmine,
ad accettare la discussione sui punti rivendicativi posti dagli operai, a impe­
gnarsi per la soluzione della dura controversia. Gli industriali sono quindi
costretti a riaprire lo stabilimento, i fascisti e i tedeschi a rilasciare alla spic­
ciolata gli arrestati, anche se più tardi alcuni di essi saranno, sempre per
questo sciopero, di nuovo arrestati (8).
Tutto ciò è costato ai tedeschi, ai fascisti ed alla direzione, oltre al dan­
no economico, un’indubbia diminuzione di prestigio. Dall’altra parte, una
manifestazione di opposizione così massiccia non poteva non mostrare alcuni
lati negativi, e di conseguenza non insegnare qualcosa ai suoi protagonisti.
Ci si era preparati alla Dalmine alla lotta d’attacco, all’offesa, ma non
si era ancora pensato che fosse necessario predisporre anche le difese dagli
attacchi e le difese e la protezione dagli arresti e dalle puntate improvvise
della polizia fascista. Così si pensò all’utilizzazione delle gallerie costruite
sotto lo stabilimento, che vennero messe in comunicazione con l’esterno,
mentre per le offensive massicce delle forze tedesche e fasciste e in caso di
tentativi di deportazione in massa, si collocarono vedette e si pensò di utiliz­
zare la sirena per dare l’allarme generale.
In questo periodo un’altra forma di lotta viene vieppiù sviluppandosi e
acquistando, si potrebbe dire, un rigore scientifico: il sabotaggio alla pro­
duzione di guerra. Su queste forme di rallentamento del lavoro, di riduzione
(7) Cfr. B attaglia , op. cit., pag. 217.
(8) Frigerio, Sottocornola, Verzeni.
Resistenza a Dalmine
9
Ì
del rendimento delle macchine, di utilizzazione di lenti processi di lavora*
zione potrebbe essere scritto tutto un capitolo a parte. Accanto all’opera re*
golata e condotta in concomitanza tra tecnici ed operai, vi è l’iniziativa per­
sonale, occasionale, dettata dal momento, dall’incarico e dalla possibilità. Ac­
canto all’enorme produzione di chiodi a quattro punte, che servivano ma­
gnificamente a fermare intere autocolonne tedesche e a ritardare il traffico
sulle strade, c’è la colata d'acciaio da scartare perchè spuria: negli imbuti,
durante gli allarmi aerei, qualcuno si preoccupava di mettere terra. I tra­
sformatori dei forni non rendono più; la taratura è stata abbassata di mille
kilowatt; tutto lo stabilimento ne risente e il lavoro nell’acciaieria va a ri­
lento. Per due mesi gli stessi forni si fermano; si è trovata acqua nell’olio dei
trasformatori. La norma di otto saldature giornaliere d’una flangia a bom­
boline per mercurio viene apparentemente rispettata; in verità le otto sal­
dature si riducono a una; ma ogni operaio dimostra di aver raggiunto il
proprio limite di produzione riprelevando sette bomboline saldate nei giorni
precedenti. E naturalmente con questo sistema la retribuzione a cottimo è
rispettata. Tutto questo unito alla difficoltà di reperimento dei pezzi di ri­
cambio logorati o rotti, fece scendere paurosamente la produzione, talché a
distanza di un anno uscivano, si, ancora diecimila tonnellate mensili di ma­
teriale dallo stabilimento, ma non più finito, in stato grezzo, che doveva
essere nuovamente avviato ad altri stabilimenti per un altro ciclo di lavora­
zione.
Questa battaglia quotidiana, sotterranea, estremamente precisa, che
presupponeva la conoscenza anche teorica del funzionamento delle macchi­
ne, era accompagnata dalla lotta aperta, massiccia, mentre la polizia fasci­
sta continuava arresti indiscriminati e terroristici. Così il 5 maggio una
ventina di persone viene prelevata e tradotta alle carceri di Bergamo. L ’ac­
cusa? La solita: attività sovversiva. Ma la polizia è incapace di provare
certe accuse e non può che rilasciare una parte degli arrestati; ma nello
stesso tempo non può uscire completamente sconfitta dalla sua azione, e
poiché tutto viaggia neU’illegalità più assoluta, s’impone « l’esempio », la
dimostrazione di forza; così due dei lavoratori arrestati sono avviati alla
deportazione, sono messi nelle mani dell’alleato tedesco per l’assassinio.
Ad ogni offensiva fascista gli operai della Dalmine rispondono con
altre azioni; non danno più tregua al nemico; sospendono il lavoro in for­
me che in termini attuali diremmo a « singhiozzo », organizzando e par­
tecipando compatti a scioperi rivendicativi appena possono agganciare la
loro azione alle azioni delle fabbriche milanesi, avanzano richieste di aumen­
ti delle razioni alimentari, di adeguamenti salariali, ma in verità i loro scopi
sono, pur accanto a quelli più contingentemente sindacali, sempre politici:
mostrare al nemico la loro irriducibile avversione, e disturbarlo implacabil­
mente nella sua azione oppressiva. Tale, ad esempio, lo scopo dello sciope­
ro di maggio.
Se in tutto lo stabilimento la lotta continua, intensificandosi, anzi, nel­
la primavera del ’44, in tutte le maniere possibili pur di arrecare danno
alla produzione di guerra e alla compagine organizzativa fascista e tedesca,
94
Adolfo Scalpelli
non per questo gli operai della Dalmine desistono dalla lotta armata al di
fuori dello stabilimento, nella zona di influenza della Dalmine.
Con questo scopo si è costituito, dopo lo sciopero del marzo, un nueleo armato di giovani, aderente al Fronte della Gioventù, formato da ope­
rai dello stabilimento e da contadini della zona che, con una serie di azioni
armate fulminee e spericolate, se non importantissime ai fini militari, se­
minano il panico fra i presidi fascisti disseminati nelle vecchie caserme
dei carabinieri, nei centri della pianura attorno a Dalmine. Si tratta in par­
ticolare di un gruppo di una quarantina di giovani, articolato in varie
squadre, che riesce a tenere a bada i centri di Sforzatura, Dalmine, Treviolo,
Albegno, Sabbio, Levate e Verdello con disarmi continui, distribuzione di
volantini, affissione di manifesti, scritte murali, arrivando fino a bloccare
il cinema di Dalmine, durante una proiezione, per disarmare quanti, appar­
tenenti alle forze fasciste, stavano assistendo allo spettacolo cinematografico.
In particolare nei mesi estivi, e prevalentemente nel perimetro del comune
di Dalmine si distinguerà in queste azioni il gruppo « Dante Paci » con una
serie di azioni propagandistiche.
*
*
*
L ’estate segna però per Dalmine anche un tragico avvenimento, co­
stituito dal bombardamento alleato del 6 luglio. Alle n esatte aerei alleati
in due ondate successive scaricano tonnellate di esplosivo che provocano la
morte di 281 persone nel giro di pochi minuti (9),
Il bombardamento distrusse notevolmente l’apparato industriale e per
la produzione tedesca di guerra, fu uno dei colpi più duri, considerato, no­
nostante l’ostruzionismo e il sabotaggio, che lo stabilimento di Dalmine era
uno dei più attrezzati per un certo tipo di costruzioni pesanti. In quel perio­
do Dalmine era stato organizzato per la produzione in serie di teste di siluri,
di accessori per le V i e le V 2, di tubi per i « Panzerfaust ». La siderurgia
al servizio del Reich si trovava in questo modo privata di uno stabilimento
di indubbia importanza, almeno per il settore di sfruttamento economico
dell’Italia (io).
(9) Per le notizie sul bombardamento: secondo Bergamo repubblicana (io lu­
glio 1944) il totale sarebbe stato di 269, di cui: 231 operai, 17 impiegati, 21 per le
strade o nelle case. Invece secondo la lapide posta sulla porta della chiesa di Dalmine
il numero è di 281. Secondo invece il volume La Dalmine durante cinquantanni,
1906-1956, Torino 1956, i morti appartenenti allo stabilimento sono 257. Si seppe più
tardi, ma nessun documento lo prova, che il giorno del bombardamento il ministro
del Reich, Speer, era atteso a Dalmine per una visita che all’ ultimo momento venne
sospesa e rinviata. Altri bombardamenti subì lo stabilimento il 29 gennaio, il 12 e
14 aprile 1945.
(io) Una tabella della produzione in tonnellate di quegli anni :
Anni
Accaio
Tubi
1942
99.882
83.634
109.439
75.122
1943
1944
68.092
76.747
15.882
19.923
1945
[La Dalmine durante cinquantanni, cit.).
Resistenza a Dalmine
95
Ad approfittare però del bombardamento per mantenere aperte e al­
largare }e ferite subite dagli oppressori, penserà il movimento clandestino
che nella primavera si è dato un assetto migliore entrando in una fase di
sviluppo qualitativo del lavoro, valutando meglio le proprie possibilità,
aumentando anche le capacità di legame con i fatti politici nazionali. Nel
giugno infatti si è costituito definitivamente a Bergamo il CLN in cui
entrerà come rappresentante del Partito d’Azione il Sottocornola, rimasto
fino allora legato alla lotta clandestina nello stabilimento. Verso la metà
di agosto il CLN si costituisce anche alla Dalmine (11), con caratteristiche
extra aziendali, affrontando anche i problemi comuni allo stabilimento e
alle popolazioni della fascia limitrofa. L ’accentramento così operato poteva
permettere in quel determinato caso e in quel determinato momento una
più ampia possibilità di manovra delle forze di resistenza che la Dalmine
offriva e quindi tali forze avrebbero potuto essere impiegate con maggiore
celerità in determinate occasioni, non rimanendo isolate nel lavoro dello
stabilimento.
Ad ogni modo questo CLN prende immediate iniziative, che sono sem­
pre decise all’unanimità, e fissa un suo preciso programma che, accanto a
punti che in quella situazione avrebbero potuto essere considerati se non
superati, superflui, introduce per la prima volta un fatto nuovo: la difesa
dello stabilimento nel suo complesso, la salvezza degli impianti come
patrimonio comune del mondo de} lavoro. In una relazione del tempo sono
contenuti i seguenti punti: a) Propaganda politica tra elementi moral­
mente sani; b) fomentare il malcontento tra le masse; c) sabotaggio
della produzione; d) difesa degli impianti dello stabilimento di Dalmine;
e) studio dei provvedimenti da addottare per impedire la deportazione di
manodopera; f) organizzazione militare; g) riunioni tra i membri del CLN
e rapporti con CLN provinciale ».
Il piano di difesa dello stabilimento che doveva essere il punto di mag­
giore attenzione nella nuova fase di lotta fu concepito in due parti distinte :
in caso di evacuazione del macchinario e in caso di distruzione degli im­
pianti (12). Per il primo caso si predisposero tutti i necessari accorgimenti
per danneggiare la linea ferroviaria di raccordo fra Dalmine e Verdello che
immette sulla Bergamo-Milano e si diedero pure disposizioni per l’eventua­
le danneggiamento delle locomotive; se i tedeschi avessero invece tentato la
distruzione del macchinario in loco, si sarebbe provveduto all’allagamento
delle gallerie che forzatamente i tedeschi avrebbero dovuto utilizzare (13).
Per prevenire invece la deportazione in massa di operai in Germania,
vi furono accordi con la stessa direzione dello stabilimento, la quale si ina­
ili) Compongono i C LN di Dalmine: il Partito Comunista (Piero Frigeni), il
Partito d’Azione (Ernesto Frigerio), il Partito Democratico-cristiano (Elio Colleoni) e il
Partito Socialista Italiano di unità proletaria (Piero Galdini).
(12) Cfr. V ajana, Bergamo nel ventennio e nella resistenza, Bergamo 1957, pa­
gine 269-70.
(13) Il momento del passaggio dal sabotaggio della produzione tedesca, che pe­
raltro continua fino alla fine della lotta, alla difesa degli impianti e alla neutralizza­
zione di qualsiasi misura di annientamento degli impianti, avviene alla Dalmine paral­
lelamente con le altre fabbriche italiane. La preoccupazione che anche gli alleati
avevano di mantenere efficienti gli stabilimenti e documentata dal fatto che due
g6
Adolfo Scalpelli
pegnava ad avvisare tempestivamente del pericolo gli organismi operai in
modo da permettere l’allontanamento delle maestranze dal luogo di lavoro.
Molta attenzione venne anche prestata all’azione militare; nel giro di
poche settimane, furono effettuate diciassette azioni di disarmo; di questa
attività restò vittima anche un’intera pattuglia in perlustrazione. Ormai nello stabilimento si comincia a pensare ad una struttura organizzativa di tipo
militare, escludendo però qualsiasi tentativo di difesa nel caso di attacco
nemico con armi pesanti, tenendo in considerazione, invece, la difesa dello
stabilimento da attacchi di reparti sbandati in fuga o da guastatori tedeschi.
Così il totale degli appartenenti alle squadre armate nella fabbrica raggiunge
le 20 unità, considerando di poter contare in qualsiasi evenienza su 175 uo­
mini. Ognuna delle squadre fu libera di agire per conquistarsi le armi.
missioni militari vennero inviate, una a Milano e una nel Bergamasco, con precisi com­
piti di difesa degli impianti. Cfr. Rapporto sul controsabotaggio nell'Italia settentrionaie, del col. Hewitt, e pubblicato da Ferruccio Parri in Movimento di Liberazione
in Italia, N . 14, 19 51, pag. 20, sotto il titolo: Alleati e partigiani di fronte al problema
della difesa degli impianti. E ’ però da dire che, per quanto ricerche siano state fatte,
non vi è traccia di un intervento diretto di qualche esponente alleato per indicare ai
resistenti della Dalmine Ja linea da seguire per la difesa dello stabilimento.
Per la difesa degli impianti del Nord, che si trovavano nelle pianure fu indubbia­
mente di maggior peso la direttiva del C V L che più volte e con costante preoccupa­
zione tornò sull’argomento della salvezza del patrimonio industriale. Cfr. B attaglia ,
Storia ecc., pagg. 527 ss.; e L . L ongo, Un popolo alla macchia, Milano, 1947, pagi­
ne 398 ss.
Dal libro di V ajana (Bergamo ecc., pag. 267) togliamo questa curiosa pagina:
« ...a Bergamo si fecero parte dirigente Ldell’opera di difesa degli impianti] l’indu­
striale Giuseppe Martinelli del Partito d ’Azione, il ragionier Giacinto Gambirasio ed
il dottor Pietro Conti, i quali, malgrado la sorveglianza del maggiore Hude, promos­
sero una Unione industriali clandestina, mascherata sotto la veste giuridica di ” So­
cietà Industriale a responsabilità lim itata” avente per oggetto: ” La valorizzazione
dei prodotti industriali ed il loro commercio sia all’interno che all’estero ’ ’ . L a società
doveva nascondere le operazioni indispensabili per la protezione degli impianti; la
sua sede fu la società F .E .R .V .E .T . e fu amministrata dall'avvocato Soleri, direttore
dell’Unione industriali. Il pericolo della distruzione esisteva, e fu lo stesso questore
ad informare il dott. Pietro Conti che gli impianti erano in pericolo. Ma questi aveva
già preso i contatti con Giuseppe Martinelli. E poiché il comandante « Bassi », Mario
Buttaro, aveva affidato al Martinelli l ’incarico di provvedere ai fondi necessari per
garantire le operazioni militari, parve giusto a questi collegare quella richiesta con la
prestazione di assistenza agli impianti. Evidentemente i patrioti li avrebbero difesi
in ogni caso, ma il Martinelli pensò che un gesto di solidarietà con loro si imponesse,
di fronte alla propaganda nazifascista, che aveva fatto della categoria degli industriali
un'accolta di traditori: vedi socializzazione e conseguente invio di commissari nelle
aziende importanti. Martinelli, allora, propose al dottor Pietro Conti, quale rappre­
sentante degli industriali, di assumere moralmente l’impegno di coprire quelle somme
convenute, mentre il Martinelli le garantiva in proprio presso le banche Mutua popo­
lare e Piccolo Credito Bergamasco. La somma fu depositata su un libretto al portatore
e consegnato al dottor Mario Leidi, notaio, capo del servizio cassa delle formazioni
partigiane ».
In realtà di questa organizzazione, operazioni bancarie e rogiti notarili com­
presi, non rimane nulla. Per quante ricerche siano state fatte non è risultato
nè un documento, nè un atto di presenza nella lotta. N è, uno dei nominati dal
Vajana, interpellato, ricorda più molto di quella società. Il che fa davvero pensare
che, essendo vicini alla conclusione della lotta, conclusione ormai chiaramente deli­
neatasi, si sia tentato da parte di qualcuno, di compiere un’azione che ne cancellasse
altre. Dei rogiti notarili e dei libretti di banca, nessuna traccia nemmeno presso il
notaio dott. Leidi.
Resistenza a Dalmine
97
Il CLN , come si vede, entra nel pieno del suo funzionamento, articola
la lotta in varie direzioni, creando diversi organismi preposti alle nuove fun­
zioni: uno di questi è il Comitato di Agitazione, al quale venivano nel giu­
gno affidati precisi compiti di natura sindacale: porre le basi per rivendica­
zioni salariali, divenire l’organismo di difesa sindacale dei lavoratori, svuo­
tando e sempre più isolando la commissione fascista di fabbrica. Di questo
comitato faceva parte sin dal novembre 1943 Natale Betelli, comunista, una
delle figure più nobili della lotta antifascista della Dalmine, instancabile e
sempre presente, che catturato dalla polizia fascista muore pochi mesi prima
della fine della guerra fra torture inenarrabili. E a tanto dovettero arrivare
le sevizie che 1 fascisti credettero opportuno occultarne il cadavere invece
di dargli sepoltura o consegnarlo alla famiglia.
Nello stesso periodo un altro membro del comitato di agitazione viene
catturato e deportato. E ’ questo sicuramente il segno che la lotta non dà
tregua al nemico.
L ’arma dello sciopero, nel frattempo, non viene affatto abbandonata,
resta sempre la miglior dimostrazione della forza compatta e massiccia
e ogni fatto diventa elemento di protesta. Gli scioperi vengono pro­
clamati per motivi economici, ma non si dà mai agio alia direzione dello
stabilimento di sfuggire alle sue responsabilità e alle richieste dei dipenden­
ti (14).
Tra la fine del ’44 e l’aprile del ’45 la lotta contro l’oppressore non as­
sume fasi acute, ma continua senza soste in tutte le forme possibili. I legami
fra le forze della Resistenza si stringono a tutto vantaggio della lotta, la
stessa direzione dell’azienda, rimasta in bilico tra gli uni e gli altri, con
addentellati nell'uno e nell’altro campo, pare essersi definitivamente schie­
rata con le forze partigiane. La parte padronale ha però voluto costituire un
suo corpo armato, comandato da un suo uomo di fiducia, non certo per
prender parte alla lotta patriottica, ma semplicemente per difendere il pro­
prio patrimonio. Il fatto stesso che le forze antifasciste, al corrente della co­
stituzione delle squadre armate, debbano intervenire per depennare nomi
di elementi non fidi e invisi al movimento partigiano inseriti nelle liste, si­
gnifica che la direzione dell’azienda non aveva obiettivi o affetti patriottici
al di fuori del desiderio di avere un corpo armato per il « suo » stabilimento.
Il Comitato di Liberazione di fabbrica esercitava così, con il controllo sui
nomi degli armati della direzione, il potere che gli era stato demandato dal
CLN AI con una precisa disposizione del 9 agosto 1944 in materia di rap­
porti con l’ambiente degli industriali (15). 11 fatto che l’azienda passi sottoma­
n i « ...proprio il mese di novembre vedeva una ripresa degli scioperi fra i
lavoratori delle industrie lombarde, scioperi come al solito motivati in apparenza dal
disagio economico, ma che avevano pure ora un indubbio carattere politico. Agita­
zioni avvenivano alla Dalmine, alla Magneti M arelli... » F. C a talan o , Storia del
C .L .N .A .L , Bari 1956, pag. 322.
(15)
« La difesa delle fabbriche è questione di importanza politica nazionale e
come tale va risolta: non costituisce un problema di polizia interna degli stabilimenti.
Il Comitato è disposto a trattare con gli industriali solo a condizione che questi rico­
noscano esplicitamente l’autorità che a esso compete di organizzare e dirigere la difesa
delle fabbriche, impegnandosi formalmente a non prendere iniziative di altro genere.
98
Adolfo Scalpelli
no alle famiglie dei perseguitati, fossero essi in carcere o fossero alla mac­
chia, somme di denaro in torma di assistenza o di salario, o che la direzione
abbia aderito alla richiesta di segnalare eventuali azioni di arresti in massa
per deportazione, non può portare a stabilire con precisone una posizione,
ma semmai un’applicazione di comodo dei decreti emanati dal CLN lom­
bardo (16).
Certo, il gruppo dei dirigenti era sensibile alla situazione politica e mi­
litare che si evolveva a favore dell’antifascismo e delle forze patriottiche. La
costituzione di un corpo armato per la fabbrica non poteva che avvenire in
un momento giudicato di crisi per l’occupante, in una congiuntura favore­
vole a far passare inosservata l'azione ai tedeschi e ai fascisti, i quali non
potevano più garantire con le loro armi la difesa degli impianti. Non che il
corpo armato sia poi servito molto, tanto da prendere nelle sue mani tutto
il potere dello stabilimento, e sammai alcuni degli uomini del corpo organiz­
zato dalla direzione diedero una mano nell’insurrezione che a Dalmine ini­
ziò esattamente nella notte tra i} 24 e il 25 aprile, con l’assalto alla caserma
della G.N.R. di Dalmine e con l’occupazione dello stabilimento.
L ’azione venne condotta in collaborazione con i gruppi armati della
i ] i h Brigata Garibaldi, distaccamento Dalfmne, distaccamento Brembo, e
con le squadre dei giovani del Fronte della Gioventù, gruppo Dante Paci.
In verità l’azione militare era iniziata in grande stile il giorno 22 cioè ap­
pena conosciuto l’ordine di mobilitazione generale diramato per il 25 aprile.
Furono filtrate le strade e disarmati tutti i fascisti; ma furono perquisite
anche regolarmente tutte le case degli appartenenti ai gruppi fascisti e quasi
completamente presidiati i centri di Dalmine, Treviolo, Albegno, Sabbio e
Sforzatica. Un fascista venne ucciso per aver opposto resistenza. Così il 25
aprile venne disarmato completamente il presidio tedesco di Arcene costitui­
to da 47 soldati, mentre sulla strada tra Arcene e Verdello furono tolte le
armi a 14 fascisti. Il mattino successivo il comando tedesco di Verdello, che
non aveva ancora voluto cedere le armi, si arrese. Queste azioni ebbero il
compito importante di rastrellare il terreno attorno allo stabilimento per po­
ter concentrare la vigilanza sulle strade di comunicazione tra Bergamo e Mi­
lano, strada provinciale e autostrada, e per prevenire eventuali sorprese. Nes­
sun lavoro venne naturalmente iniziato nella fabbrica, ma armati, gli operai
si trasformarono in difensori del loro posto di lavoro. AH’interno dello sta­
bilimento le azioni di forza vennero iniziate nella notte del 25 aprile col
disarmo dei militi fascisti di presidio allo stabilimento e del corpo di vigilan­
za interno della direzione dell’azienda, con la requisizione di tutte le armi
in dotazione alle guardie. Ma la mattina del giorno 26 la notizia del rinvio
di un attacco delle squadre armate della città alle carceri di Bergamo e alla
Gli accordi concreti dovranno essere definiti caso per caso con i Comitati di fabbrica
che vengono a ciò delegati dal C LN A I ». Cfr. Documenti ufficiali del Comitato di
Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, Milano 1945, pp. 73-74; riportato in F. C ata­
lano, Storia del C .L .N .A .I., Bari 1956, pp. 238-259.
(16)
« Le aziende private e le amministrazioni pubbliche devono provvedere a
retribuire regolarmente i dipendenti costretti ad assentarsi dal lavoro perchè ricercati
o perseguitati dai fascisti o dai tedeschi ». Cfr. Decreti e atti del C .L .N . della Lom ­
bardia in periodo clandestino, Milano s. d.
R esistenza a Dalmme
99
prefettura, fece nascere nel gruppo dirigente insurrezionale di Daknine il
dubbio che potessero riversarsi a Dalmine le truppe fasciste non impegnate
in città, le quali avrebbero potuto disperdere le torze della Resistenza che
possedevano solo armamento leggero. Pertanto decisero di riconsegnare le
armi e permettere alia guardia interna di riprendere servizio. Fu indubbia­
mente una temporanea mancanza di collegamenti con gli organi provinciali;
fu una non esatta valutazione del momento critico in cui 1 fascisti erano ve­
nuti, quasi d’improvviso, a trovarsi per }o scoppio dell’insurrezione, a far
credere a Dalmine che i nazifascisti avessero potuto o voluto tentare un
qualsiasi movimento. Immediatamente il collegamento fu ripreso, la situa­
zione chiarita direttamente col CLN che diede l’ordine di rioccupare lo sta­
bilimento. Fatto avvenuto nelle prime ore del pomeriggio del giorno stesso.
Intervennero nell’azione di occupazione tutte le squadre armate dispo­
nibili nella zona. Nessun atto di sabotaggio, nessun tentativo di mettere
macchine fuori uso ebbe a determinarsi, nessun fatto di rilievo si manifestò
dopo l’occupazione dello stabilimento. I gruppi armati vennero disseminati
sulla strada a un raggio alquanto largo rispetto allo stabilimento, per poter
intercettare ad una certa distanza eventuali squadre nemiche di disturbo o
di sabotaggio; e qui si effettuarono i normali disarmi di fascisti isolati. A r­
resti furono effettuati tra i maggiori esponenti locali della repubblica, di Salò,
si dichiararono destituiti il podestà e tutti gli organismi imposti dal fascismo;
al loro posto vennero designati gli incaricati del CLN o delle forze insurre­
zionali. Tra gli altri decadde l’organismo fascista di rappresentanza operaia
e al suo posto venne insediato il comitato di agitazione clandestina che non
aveva desistito dai suoi compiti durante tutto il periodo dalla nomina alla
liberazione.
Si imponeva però immediatamente la revisione dei compiti del CLN,
delle sue attribuzioni e della sua sfera d’influenza. Finora il CLN nominato
nell’agosto del 1944 aveva continuato la sua funzione interessandosi sia dei
problemi dello stabilimento, sia dei problemi del Comune di Dalmine e di
riflesso di tutti quelli della zona che gravita nell’orbita della fabbrica. Ma
ora, a liberazione avvenuta, tali problemi si facevano gravosi e se ne presen­
tavano di quelli che uscivano dalla sfera delle competenze di un comitato di
fabbrica; fuori dai suoi compiti, erano, ad esempio, le nomine di commis­
sioni che riguardavano il comune di Dalmine, o i problemi dell’approvvi­
gionamento della popolazione che non aveva rapporti con lo stabilimento.
Si arrivò così contemporaneamente a una duplice decisione: sdoppia­
re il CLN , uno per l’azienda e uno per il Comune e inoltre invitare i partiti
a designare per il CLN aziendale un secondo rappresentante.
Così il CLN di azienda ha potuto dedicarsi interamente alla sua attivi­
tà inserendosi nel piano di ricostruzione dello stabilimento, anzi annullando
quasi ogni attività della direzione tecnica e ponendo come prima questione
assoluta, la necessità della ripresa del lavoro. Compito non facile per la man­
canza quasi totale di carbone, che non poteva essere fornito che direttamen­
te dal Governo militare alleato. Nel frattempo solo il cinquanta per cento
delle maestranze poteva riprendere il lavoro, a turni di quindici giorni per
quindici giorni, affinchè ognuno avesse la possibilità di mantenere il suo pò-
ìòò
Adolfo Scalpelli
sto. La ripresa dell’attività avveniva a non più di due settimane dalla data
dell’insurrezione. Altro compito di notevole portata affrontato dal CLN
aziendale, fu il problema dell’alimentazione e del quotidiano rifornimento, risolto in accordo col colonnello Buttaro (17), con l’invio di automezzi della
ditta ai posti di rifornimento nelle provincie limitrofe. Nello stesso tempo
il C LN partecipava attivamente alla vita sociale e sindacale dello stabilimento, ai problemi della ripresa economica, e diveniva il primo elemento di democrazia all’interno dell’azienda.
A d o lfo
Scalpelli
(17)
Già comandante insurrezionale della Piazza militare di Bergamo e quindi vice
commissario alla Dalmine per incarico del C .L .N .