Una cattiva Popolare è un danno al sistema

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Una cattiva Popolare è un danno al sistema
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19 giugno 2011
Una cattiva Popolare è un danno al sistema
di Luigi Zingales
Winston Churchill diceva che la democrazia è il peggior sistema di Governo, fatta eccezione per tutti gli altri. Lo
stesso si può dire dell'economia di mercato. Gli imprenditori e i manager spesso non pianificano a lungo
termine, ancora più spesso sbagliano.
Ciò che rende l'economia di mercato superiore a ogni alternativa non è la saggezza e la lungimiranza delle
persone in posizione di potere, ma la flessibilità che il sistema possiede nel correggere gli errori, cambiando i
vertici aziendali o deprivandoli delle risorse per continuare. La genialità dell'economia di mercato è proprio
quella di trasformare una comunità di persone con limitate capacità in un sistema con un'intelligenza superiore.
Per funzionare, questo meccanismo di trial and error si basa sulla competizione e sulla buona corporate
governance. La competizione depriva di risorse le imprese inefficienti, costringendole a cambiare o morire. La
buona corporate governance aiuta le imprese inefficienti a cambiare, evitando loro di morire. Troppo spesso la
buona corporate governance viene identificata come il rispetto di regole formali. Ma queste regole sono
funzionali a una migliore gestione dell'impresa. In particolar modo, dovrebbero facilitare la sostituzione
tempestiva di manager inefficienti.
Secondo Henry Hansmman, professore di legge a Yale, il vantaggio delle società di capitali rispetto alle
cooperative consiste proprio nella rapidità ed efficienza del processo decisionale. In una società di capitali, gli
azionisti hanno interessi relativamente omogeneei e quindi il processo decisionale è più efficiente, come sono
più efficienti le democrazie in Paesi etnicamente ed economicamente omogenei come la Svezia e la Norvegia.
Nelle cooperative, invece, gli interessi sono molto divisi: ci sono i lavoratori contro i clienti, i pensionati contro i
neoassunti, i dirigenti contro i dipendenti. A meno di rare eccezioni, l'efficienza decisionale delle cooperative è
pari a quella delle democrazie con forti divisioni etniche ed economiche: ovvero molto scarsa. Il problema non è
solo delle cooperative (i patti di sindacato nostrani sono riusciti a importare nelle società di capitali le inefficienze
del sistema cooperativo) ma è particolarmente pronunciato nelle cooperative.
In settori altamente competitivi, l'inefficienza della governance è un problema limitato. La pressione competitiva
forza le imprese all'efficienza. Quelle inefficienti o cambiano rapidamente o perdono clienti e finanziatori e
muoiono. Ma in settori poco competitivi, il problema è serio. Le imprese inefficienti possono sopravvivere a
lungo, sperperando la rendita di posizione di cui godono sul mercato, come i rampolli di buona famiglia che
continuano a vivere nell'ozio vendendo i gioielli di famiglia. Così facendo, le imprese danneggiano il sistema tre
volte: sprecano risorse, servono male i clienti e impediscono a nuove imprese innovatrici di entrare sul mercato.
Se c'è un settore in cui questo problema è molto grave è quello bancario. È un settore estremamente
regolamentato e protetto in cui è difficilissimo entrare (la Banca d'Italia è molto riluttante a concedere nuove
licenze) e da cui è pressoché impossibile uscire involontariamente (raramente le grosse banche sono lasciate
fallire). In questo settore, il problema decisionale delle cooperative diventa particolarmente severo. Una
cooperativa bancaria inefficiente può sopravvivere molto a lungo. Paradossalmente, il settore bancario è anche
quello in cui le cooperative sono molto presenti. In parte si tratta di un retaggio storico, che precede l'introduzione
della regolamentazione bancaria, ma non solo. Le banche popolari rappresentano un modo alternativo di gestire
il rapporto di credito e questa diversità è utile alla flessibilità del sistema e non va eliminata.
Banca d'Italia, però, deve avere la consapevolezza dell'inefficienza decisionale che caratterizza le banche
popolari, soprattutto quando non sono gestite al meglio. Senza la pressione del mercato, una Popolare può
rimanere inefficiente danneggiando tutti tranne che i suoi dirigenti. In questo caso Banca d'Italia non si deve
limitare a intervenire suggerendo aumenti di capitale (che non fanno altro che allungare l'agonia), ma deve
intervenire sul gruppo dirigente. Sono l'ultima persona al mondo che vorrebbe concedere questo potere a Banca
d'Italia in un mercato deregolamentato e competitivo. Ma date le condizioni del mercato bancario non vedo
alternative.
La manifestazione più eclatante di questo problema è la Banca Popolare di Milano. Come ampiamente riportato
da molti giornali, l'ispezione della Banca d'Italia ha messo in luce pesanti problemi gestionali. Sono stati
contestati fidi eccessivi ad alcuni imprenditori, a mancanza di controlli nell'erogazione di credito a imprese non
immuni dall'attenzione della criminalità organizzata, fino ad arrivare a errori e incongruenze nel sistema di
gestione dei clienti, diffuso disordine organizzativo e inadeguatezza nel sistema informatico. La Banca d'Italia
ritiene di aver trovato perfino errori nel modo in cui i mutui venivano conteggiati. Come se non bastasse, Consob
ha sanzionato tre dirigenti di Bpm, tra cui il nuovo direttore generale, per irregolarità accertate agli sportelli e
prassi commerciali non corrette. In altre parole, alcuni dipendenti avrebbero modificato il profilo di rischio dei
clienti per collocare l'obbligazione della banca presso i correntisti, contribuendo a far sopravvivere la banca.
Queste «condotte illecite», secondo la Consob, sono di «gravità estremamente elevata».
Di fronte a questi eventi, se essi venissero confermati anche da un giudice terzo, nel caso in cui Bpm ne
contestasse l'esistenza, mi domando cosa aspetti il governatore Draghi. Una banca che non segue sempre
rigidamente le regole nel concedere i prestiti, sbaglia a conteggiare i mutui e rifila i propri titoli (rischiosi) ai
clienti inconsapevoli deve essere fermata. In un mercato competitivo sarebbe spazzata via dalla concorrenza. In
un mercato protetto, come quello bancario, deve essere commissariata. Richiedere l'aumento delle deleghe di
voto da tre a cinque è come cercare di curare con l'aspirina un malato di cancro. Richiedere l'aumento di capitale
protegge la solidità del sistema, ma allunga l'agonia e contribuisce a sprecare ulteriori risorse. Draghi non può
lasciare questa eredità al prossimo governatore, deve agire subito, suggellando così un buon quinquennio, che
ci ha fatto dimenticare gli anni bui di Fazio.
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19 giugno 2011
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