“SE NON RITORNERETE COME BAMBINI”

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“SE NON RITORNERETE COME BAMBINI”
“SE NON RITORNERETE COME BAMBINI”
Incontro con il Dott. Luigi Campagner
Scuola Primaria La Traccia – Arlate, 16 marzo 2010
“Se non ritornerete come bambini”. E’ questo il tema scelto per questa sera.
Non fatevi illusioni, questa è una frase tagliente. Avere il coraggio di percepirla così come è stata
detta, è uno schiaffone. Uno si dovrebbe svegliare. Non è una frase da zucchero filato. Non è facile
capire questa frase, come non illudetevi sia facile sintonizzarsi con quegli “uomini” che chiamiamo
bambini (di cui un esemplare è ciascuno di noi, che non si ricorda, ma ha avuto una madre, è
andato alle elementari ... e se l’è cavata benissimo ...).
Quando il Signore, autore della frase stessa, la proferì, questa frase era una “sanzione”, una lama a
doppio taglio, una doppia sanzione. Era una sanzione per gli adulti che non capivano niente di
quello che facevano quei bambini, non capivano il modo, un po’ irruento, di guardare, toccare,
capire.
“Lasciate che i bambini vengano a me”.
Era sicuramente una sanzione per quegli adulti che non capivano il modo di muoversi dei bambini.
Era invece una sanzione premiale (l’altra parte della lama) per il modo con cui si muovevano questi
bambini. Questa frase allora riferita ai bambini va bene, va bene come si muovono loro, non va
bene come si muovono gli adulti.
Certe frasi non si devono dare per già capite. Provare a paragonarsi con queste frasi (se uno
davvero le ha capite) una volta nella vita, può far vedere il significato profondo che esse hanno.
Comunque la frase è sanzionante il comportamento irritato degli adulti nei confronti dei bambini
ed è premiale verso l’atteggiamento dei bambini, se volete un po’ irruento, un po’ maleducato,
irrispettoso della regola costituita.
Un tizio che era tutt’altro che religioso, lo psicanalista francese Lacan, dice in una sua conferenza
questa cosa nei confronti dei bambini. Io la collego strettamente a quello che abbiamo detto
prima, ritroviamo qui uno dei punti che vi interesseranno maggiormente. “Per il bambino gli adulti
sono trascendenti, in quanto sono iniziati (cioè sono fuori dalla possibilità di comprensione) sono
trascendenti, al di là. I bambini guardano gli adulti” (cercano di capire come fanno, cosa non
fanno, cercano di capire perché fanno così o fanno cosà) , ma la cosa curiosa è che i bambini non
sono meno trascendenti per gli adulti”. Lacan ci dice che l’adulto per il bambino è, per certi
aspetti, un altro mondo, un mondo che impara a conoscere stando insieme all’adulto. La stessa
cosa per un adulto, soprattutto per un adulto che abbia censurato, per certi aspetti, questa sua
dimensione di essere stato a sua volta bambino: qualcuno che oggi è padre, ma non ha mai avuto
un padre e non ha tutt’oggi un padre, è padre soltanto lui; qualcuno che oggi è madre, ma non ha
mai avuto una madre e non ha tutt’oggi una madre.
Questa sera io ero tavola e Margherita diceva scherzosamente che io e il preside avremmo potuto
essere i suoi figli. Io sono onorato, sarei onorato di avere una seconda madre, soprattutto come
Margherita. Poi non so se ai tempi dei suoi figli, sarei stato così contento di avere Margherita
come madre, perché i suoi figli potrebbero aver qualcosa da dire a proposito. Ma oggi come oggi,
io sono onorato di contraddire il famoso detto latino che di madre ce n’è una sola. No, io ne voglio
più di una, voglio di più, se ne trovo una che merita, io me la adotto. Perché no. Per altro, questo è
quello che fanno i vostri figli, lo fanno con le maestre, perché le “maestre” saranno mica solo
“maestre”, per i figli, le maestre sono molto di più delle maestre. Non avete mai sentito un
bambino chiamare la maestra, mamma? Soltanto un’ insegnante con una scarsissima sensibilità
può pensare di doverlo correggere. Bisognerebbe rispondergli: “Sono onorata se tu mi chiami
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mamma invece di maestra, sono onorata. Magari mi fai fare la mamma solo per mezz’ora, però
per questa mezz’ora cercherò di essere all’altezza del compito”.
Mi sono fatto venire in mente una frase di Leopardi, una frase dello Zibaldone che non sono
riuscito a trovare e che perciò cito a senso, dice: “Non sappiamo di cosa potrebbe essere capace
un uomo se fosse messo nelle condizioni più favorevoli.”
Usciamo dallo Zibaldone e prendiamo questo uomo (bambino, figlio, alunno) con il quale siamo in
rapporto quotidiano, noi con lui giochiamo tutti i giorni la partita di cui parla Leopardi, perché
spetta a noi adulti e non certo al bambino, metterlo nelle condizioni più favorevoli. Questa è una
responsabilità specifica dell’adulto: metterlo nelle condizioni a lui più favorevoli, non a lui più
svantaggiose.
Proviamo a leggere la prima domanda che è sulla “regressione”.
Domanda: Quando non leggere come regressione un cambiamento in negativo del
comportamento del bambino?
Per rispondere andrò a “pescare” degli esempi vissuti nella mia pratica professionale, nella
consulenza nelle scuole. Regressione. Intanto, come fa a venirci in mente una parola del genere?
Uno dovrebbe esaminare le parole che dice, dicendo certe parole dovrebbe chiedersi “cosa sto
dicendo mai?”. Cosa vuole dire questa parola? “Regressione”.
Vi faccio un esempio, parto da un ragazzo di seconda media. (Fate conto che per me l’idea di
parlare di un ragazzo delle elementari o delle medie, della materna o delle superiori è la stessa
cosa. Nessuno di noi ha le fotografie dei figli, noi abbiamo i figli, i figli crescono, quindi abbiamo
una dimensione temporale che si allunga. Alcuni di voi avranno figli grandi e figli piccoli, quindi
questa cosa di parlare dei bambini di una certa età diciamo che lascia il tempo che trova.)
Questo ragazzino “riempie” un certo tema di una manciata di errori piuttosto grossolani, diciamo
una quindicina di errori. Se non che questo ragazzino ha fatto le scuole elementari molto bene e il
primo anno delle medie in modo brillante, è simpatico, un po’ impertinente, sempre con la mano
alzata, con la lingua un po’ troppo tagliente. L’insegnante preoccupata, o meglio,preoccupante,
che cosa pensa di fare? Chiama la madre e, siccome esiste la tecnologia, alla madre che sta
lavorando, arriva un messaggio, un sms che dice: “Ho urgenza di parlarle di suo figlio”. Cosa
succede alla madre che riceve l’sms dall’insegnante? Me lo dite voi senza essere psicanalisti : una
botta di angoscia, paralizzante. La madre chiama il marito, i carabinieri …!! Appena esce
dall’ufficio, la signora, per prima cosa, trafelata, chiama l’insegnante e l’insegnante: “Sono un po’
preoccupata, (diciamo come stanno le cose: un po’ “preoccupante” che fa preoccupare altri) per
questo risultato di suo figlio, ma non sarà mica dislessico?” A quel punto la madre con l’ultima
forza che ha, chiama il 118! Questo è un attentato alla salute psichica di questo bambino, nonché
della madre, tra l'altro le due cose vanno in circolo perché se tu vuoi che il bambino stia bene devi
far star bene anche sua madre. Se tu questa madre la fai angosciare, angoscerà anche il bambino.
Qui siete sia genitori che insegnanti e guardate che non potete prendervela l’uno con l’altro
perché questa è una tentazione in cui casca sia l’uno che l'altro. Il meglio sarebbe non cascarci e
cogliere la genesi di questo sospetto rivolto al bambino. Parliamo di un bambino che ha una
carriera scolastica linearissima, addirittura brillante, e che piazza 15 errori in un lavoro di italiano.
Questo, ovviamente, non è affatto sufficiente per far nascere il sospetto che il bambino sia
addirittura dislessico.
Ora confrontiamoci con la situazione di prima: noi non sappiamo di cosa sarebbe capace un
“bambino-uomo” messo in una condizione favorevole, però sappiamo cosa può succedere ad un
bambino che non è posto in una situazione favorevole. Mettere in circolo immotivatamente
“questo sospetto” equivale a mettere due bambini a giocare a pallone sul balconcino del sesto
piano, avendo abbassato la ringhiera . Può darsi che non cadano, ma può darsi anche che cadano.
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Quando porti un bambino, che semplicemente ti fa una valanga di errori, a sospettare di dislessia,
se non cade, incrocia le dita. Se non è caduto dentro, puoi ringraziare qualche santo perché la
probabilità che lui ci caschi, con l’ aiuto della madre che hai messo sullo stesso cornicione, è
altamente probabile. Ora questo crollo di performance del bambino è una remissione (non una
regressione),questo è un bambino che questi errori non li faceva e ad un certo punto ce li ha
cacciati dentro. Allora ci si può comportare in due modi diversi: “Ti posso rimettere in una
condizione di miglior favore” (Come quando uno chiede uno sconto. Se uno di voi ha un’attività
commerciale e ha un buon cliente gli fa delle condizioni di miglior favore, gli fa lo sconto: siccome
tu vieni sempre qui, siccome compri tante cose, io ti faccio una condizione di miglior favore). Il
bambino, maestra, mamma, è il tuo miglior cliente, trattalo bene, fagli delle condizioni di miglior
favore.
Qualcun altro invece potrebbe dire: “Mandalo da un neuropsichiatra infantile, mandalo dalla
logopedista, fallo vedere da uno specialista”. Questa sarebbe una condizione di miglior favore? Gli
state costruendo la pietra tombale sopra la testa, come poi vi dimostrerò con altri esempi.
Dargli una condizione di migliore favore è richiamarlo alla maggior serietà, se avete capito che c è
stato un crollo di attenzione, c’è stata disattenzione nello studio. Fornirgli magari anche
quell’elemento che serve a lui per passare da 15 errori a 10, da 10 a 7, da 7 a 3, fino a poter dire
“Urrà! Neanche uno!”. Perchè il successo tuo ,caro mio, è anche il successo mio. E’ chiaro che io
gioisco come insegnante se tu vai bene, ho motivo per gioire, soprattutto se ho contribuito
anch’io.
Cosa succede ancora se questo bambino ha la fortuna di avere qualcuno di intelligente intorno?
Uno che passa di lì (potrebbe essere la madre, come la parabola del samaritano), si occupa di lui e
gli dice: “Senti, sto leggendo questo libro, ora ti detto un brano”. Il bambino va a prendere il
portatile e: “Va bene, detta”. Senza guardare neanche la tastiera, scrive il brano di dieci righe che
gli viene dettato, poi un altro brano diverso. Scrive come una segretaria, senza neanche guardare,
con pochissimi errori avendo disattivato il correttore automatico. Scrive al computer meglio di
come scrive la sua insegnante di italiano, che si permette di dire che forse è dislessico. (La dislessia
sembra l’ unica difesa possibile che abbiamo da questo potenziale ammalamento). Letti i brani,
qualche errore di ortografia lo possiamo trovare dentro. Dice il suggeritore, cioè il suo samaritano:
“Ma hai provato a leggerlo al contrario? No? Non lo sai che se leggi al contrario trovi meglio gli
errori?”
Adesso ditemi voi perché? Perchè ciascuno di noi, con un filo di narcisismo, si butta
completamente nel senso di quello che scrive, è tutto preoccupato di confezionare qualcosa che
sia gradito all’insegnante, piuttosto che dalla costruzione della frase, del racconto.
Quando si legge all’ incontrario, si leggono le frasi tutte spezzettate, il senso allora si disfa
completamente ed è molto più facile identificare l’errore in ogni singola parola. Dice il bambino:
“Ho fatto come hai detto tu, ho trovato gli errori “. Che già comunque erano pochi .
In pochissimo tempo, (stiamo parlando di una settimana ,una decina di giorni) lo stesso bambino
che è stato minacciato ,diciamo, di dislessia, prende 8 in una verifica di grammatica, di analisi
logica, di italiano e 9 in inglese .Ora si può buttare lì un sospetto così pesante, gratuitamente?
Queste sono due situazioni che ho seguito.
Prima vi dicevo dell’irritazione a cui possono portare i bambini. E’ ingenuo pensare che i bambini
suscitino soltanto buoni sentimenti: Che bel bambino! Ma che bel bambino! E’ un’ illusione. Da
quando li mettiamo al mondo, non dormono come dovrebbero, non mangiano quando vorremmo.
Quando cominciano a parlare dicono quello che pensano loro e non quello che vorremmo noi,
quando incominciano a vestirsi ….Ma di cosa stiamo parlando: “Che bel bambino”, che favola ci
stiamo raccontando. E’ un rapporto, non è un cioccolatino, e come ogni rapporto richiede
impegno e strategia, richiede pazienza e coraggio, richiede investimento e correzione, richiede,
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richiede, richiede: è un rapporto non è un cioccolatino, è una cosa che va continuamente
costruita. Non bisogna censurare. Al cospetto di un bambino, un adulto prova tutta una gamma di
sentimenti, sia col segno + davanti, che col segno – davanti, compresa la rabbia, compreso il
sentimento di vendetta, compreso il rancore, compresa l’insoddisfazione, compreso il pensiero
“prima o poi te la faccio pagare”. Se una maestra sapesse scoprire dentro di sé questo sentimento,
potrebbe avere il premio Nobel. Dice: “Io ti ho sospettato di dislessia, perché avevo un conto in
sospeso”. Una che fa questo pensiero onestamente è da premio Nobel, perché l’ha capito, c’ è
arrivata. I bambini, bisogna metterlo nel conto, muovono tutta la gamma dei nostri sentimenti sia
quelli positivi che quelli negativi. Se qualcuno si rende conto che ha degli attacchi d’ira nei
confronti di un bambino, ha la possibilità di correggersi e può diventare più pacifico. Se uno non si
rende conto che l’attacco d’ira è suo, ma crede che sia motivato “completamente” dal
comportamento del bambino, finirà per giustificare i suoi attacchi d’ira con dei motivi di carattere
educativo. Non c’è niente di più ipocrita e di più fastidioso.
Una situazione diversa: una signora, questa mattina, con un figlio molto difficile. Una signora
molto, molto provata e ne ha motivo. Quasi disperata, dice: “… ma non è il caso di dargli dei
farmaci a questo bambino?”. Io le dico: “E’ tutto da vedere, se è disposto a prenderli. Io non
somministro farmaci, ma conosco qualcuno che li può somministrare.” Se avete un bambino che
ha mal di pancia lo portate dal dottore, lui viene volentieri perché vuole stare bene,si sente curato.
Il dottore gli dà qualcosa e anche se non c è il gusto che vuole lui, la prende per star bene, perché
col farmaco si deve collaborare, il farmaco non è magico. Se si pensa di poter somministrare un
farmaco perché il bambino sia più tranquillo e meno agitato bisogna tenere conto del suo
desiderio di essere aiutato. Allora viene volentieri dal neurologo e prende volentieri quelle quattro
goccine che gli dà .Ma se lo si porta con il tortocollo, si ribella, si ribella con tutte le sue forze, con
tutto il suo organismo. Di per sé la soluzione non è magica. Io ho detto semplicemente a questa
signora: “Dipende da come la prende lui, se è una domanda che ha oppure no”.E lei mi dice: “Eh,
come la dislessia , che ce l’ha giocata contro”. Perchè questo bambino,che era un po’ in ritardo,
ma non era dislessico, al fine di fargli avere un sostegno scolastico (che voi sapete ha bisogno di un
certo numero di timbri) è stato diagnosticato “dislessico”, in modo piuttosto approssimativo.
Soltanto che questo bambino ha “mangiato la foglia” e l’ha giocata contro. L’ha giocata contro i
genitori: “Questo io non lo posso fare, non lo posso capire, non lo posso leggere, perché io sono
dislessico”. L’ha giocata contro gli insegnanti. Ha usato questo argomento, che avrebbe dovuto
essere a suo vantaggio, contro i genitori e contro gli insegnanti. “Io sono dislessico, allora io non
posso fare niente” e questo ha paralizzato tutto quello che girava attorno a lui. E siamo al punto di
prima, noi giochiamo sempre una partita che richiede il coinvolgimento della nostra intelligenza,
della nostra capacità di leggere le situazioni. La partita che noi possiamo indirizzare ad una
situazione di maggior favore oppure ad una situazione svantaggiosa: dobbiamo saper leggere le
cose come stanno.
Stessa situazione di qualche giorno fa. (Non vi sto parlando di cose di centinaia di anni, ma
andando indietro con la memoria di due o tre mesi ). Una signora con un figlio di prima superiore
(che mi ricordò essere venuta anche quando il figlio era alle scuole elementari e io non me ne
ricordavo neanche più: era venuta una volta sola). Il figlio fa la prima scientifico, consegnano le
pagelle, ha due insufficienze: matematica e latino; però è molto lento nel leggere, questione che
aveva già in sospeso dalle elementari e dalle medie. Qualche insegnante compassionevole
suggerisce che lui utilizzi degli ausili per la lettura (quelli che si ascoltano invece di leggere). Il
ragazzo, con un filo di orgoglio, si rifiuta. Gli insegnanti convocano la madre: dovrebbe andare da
qualcuno, da qualche psicologo, che lo convinca che lui è dislessico e quindi ad avvalersi di questi
aiuti.
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Io, questo ragazzino, non l’ho visto, ma mi hanno detto che fa dei bei temi, che legge
correttamente e che, nell’ultima prova di latino, ha preso un voto alto. Il problema è che le sue
performance sono molto oscillanti, vanno a livelli molto alti, per poi scendere a livelli molto bassi.
Il vero problema di questo ragazzino è che effettivamente ci mette molto tempo nell’eseguire i
lavori, ma è cocciuto, sta su anche di notte (cosa che fa angosciare la madre), piuttosto che
utilizzare il libro che si legge da solo, sta su di notte e si prepara le cose come fanno tutti gli altri.
Allora qui bisogna stabilire che cos’è compassionevole nei confronti di questo ragazzo:
sicuramente sostenerlo nel suo impeto e nel suo rifiuto di entrare nella casella “io non sono
dislessico e non mi convincerete del contrario”.
Io alla madre ho detto che, se il ragazzo era disponibile, lo ricevevo subito, perché io stimo la sua
difesa ad essere inserito in una casella. Certamente la madre era estremamente angosciata tant’è
che ho dovuto darle l’appuntamento il giorno dopo. E’ chiaro che, quando una signora è così
angosciata, ci si può aspettare di tutto e di più, compreso il pellegrinaggio da uno specialista
all’altro. L’angoscia crea pressione, mentre noi dobbiamo creare situazioni di alleggerimento. Voi
pensate che far ascoltare la frase: “Può darsi che tu sia dislessico”,per il ragazzo sia come ascoltare
“Domani nevica!”? Il ragazzo di cui parlavo prima, che fa la prima superiore, mentre parlava, ad un
certo punto ha detto: “Ma in tutta la scuola i dislessici siamo soltanto io e Caio?” Fa parte di una
identità, uno la porta dentro come dubbio su di sé e questo è un macigno da portare, crea peso.
Del resto un certo numero di errori grammaticali che sono ingenuamente attribuiti ad una
mancanza di conoscenza, a un‘insufficiente interiorizzazione della regola, in realtà sono degli
eccessi di zelo. Sono compiuti, cioè, da coloro i quali le regole le sanno ma le applicano con un
eccesso di zelo. Quando vi trovate, a volte, davanti a errori come parole con la doppia sbagliata
per eccesso cioè con la tripla, siete di fronte ad un eccesso di zelo. Quando vi trovate con
“abbiamo” con la “h”, non siete di fronte ad una insufficienza di conoscenza, ma siete di fronte ad
un eccesso di zelo. L’idea cioè che questa “h”, questa regola sia così importante da essere
pesantemente ricordata, e ad un certo punto, pur di rispettare la regola, la si mette una volta in
più. E’ come quello che dice grazie tutte le volte “grazie, grazie, grazie” oppure “mi scusi, mi scusi,
mi scusi”. Diventa un eccesso di zelo. In questi casi, è ovvio che metterci più peso non serve
assolutamente a niente, bisogna alleggerire, cosa di cui in pochi sono capaci. Sono tutti capaci ad
appesantire, a dire che devi fare di più, un controllo in più, un esame in più, una visita specialistica
in più … ma, qualcuno capace di togliere peso, di alleggerire, di rendere di nuovo possibile un
“movimento” che ad un certo punto andrà a meta, lo dovete cercare con il lanternino.
Credo che conosciate il libro di Pennac “Il diario di scuola”?! Comunque, almeno tutte le
insegnanti lo devono leggere e lo leggano ripensando a sé stesse, a quanto ci hanno messo loro ad
imparare certe cose che adesso sembrano completamente consolidate e che per essere acquisite
hanno avuto bisogno di un percorso fatto anche di qualche incertezza.
Comunque, Pennac racconta in questo romanzo di sé. Francese, di una famiglia ebraica con una
notevole attenzione per tutto ciò che era il libro, con dei fratelli più grandi già molto in gamba.
Racconta della sua fatica ad imparare, a memorizzare l’alfabeto, che oltre tutto è un pochino più
lungo del nostro. Di lui si occupava soprattutto la madre, ma anche il padre s’interessava dei suoi
progressi e di lui ricorda una frase: “Daniel per il tuo 18esimo compleanno ci arriverai”. Stava
parlando dell’alfabeto che lui avrebbe dovuto imparare alle elementari: “Anche tu per il tuo
18esimo compleanno questa cosa qua la porti a casa”.
Riuscire ad alleggerire è qualcosa del genere, è qualcosa che toglie il peso, toglie quell’ansietà che
fa dire “Siamo in prima elementare, se non impari l’alfabeto siamo finiti! Non ce la caveremo mai”.
Tutta questa ansietà può avere cinquantamila motivi. La madre può essere ansiosa per certi
aspetti ,ma anche l’ insegnante può andare in ansia. “Io ho una classe da portare avanti e tu non
sei ancora arrivato qui. Come faccio a prendere te e tirarti con tutti gli altri? C’è un programma da
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svolgere, tu non hai imparato questo e io non riuscirò a svolgere quello”. Il motivo di ansia è
sempre lì, incombente, e questa cosa pensate che faciliti?.No, ovviamente no.
Ho trovato, in giro in una scuola in cui ero presente qualche giorno fa,un’insegnante che doveva
spiegare la forma passiva e attiva dei verbi (Davide mostra l’olio/ l’olio è mostrato da Davide). Lei
si è messa al lavoro su questa cosa e si è presentata in classe con delle diapositive che ritraggono,
nella prima, Davide in primo piano che mostra l’olio (è lui il soggetto che ha in mano il boccetto
dell’olio) e, nella seconda, c’è l’olio in primo piano: è l’olio il soggetto. Tutti i suoi giovani alunni
hanno capito la regola in un secondo. Questa signora ha lavorato per metterli nella condizione più
favorevole. Questi hanno imparato una cosa, non si sono accorti che era una cosa difficile, la
difficoltà l’hanno saltata a piè pari. Si sono impossessati di una cosa che presentata in altra
maniera poteva essere difficile. Che sia favorito l’accesso alla conoscenza o alzata l’asticella perché
sia resa difficile non è, come si pensa solitamente, intrinseca alla difficoltà da affrontare, ma al
modo con cui l’asticella viene alzata piuttosto che abbassata. Occam diceva che “si fa inutilmente
con molto quello che si potrebbe fare con poco”. Le cose migliori sono quelle che sono state rese
semplici (non semplificate). Non è un genio quello che presenta in modo difficile le cose difficili.
Se mi presenti una cosa difficile in modo facile sei un genio. Me la devi fare facile, perché sei tu
che mi devi mettere nella condizione favorevole.
Se io mentre spiego un’eccezione grammaticale, mi ricordo di dire “ragazzi non sapete quante
volte anch’io l‘ho sbagliato, non mi stava in testa e la mia mamma mi tirava anche le orecchie”.
Questi tirano un respiro di sollievo, non hanno l’idea che immediatamente devono essere allo
stesso livello dell’insegnante! O in altre situazioni, allo stesso livello dei genitori.
Domanda: Da dove nasce la fragilità e l’insicurezza dei bambini?
Detta proprio brutalmente: “Nasce dalla paura di perdere l’altro, che l’altro non gli voglia più
bene”.
Un bambino non è insicuro del contenuto della grammatica, della matematica, della geografia. E’
insicuro perché pensa che non riuscendo a fare come l’altro si aspetta, perderà l’affetto del padre,
della madre, del fratello. Questo lo ha imparato dal cambio di umore dei suoi più prossimi, che gli
danno l’amore, ma se lo possono riprendere. Glielo danno e glielo tolgono, glielo danno e glielo
tolgono, a seconda dell’umore che hanno. Questo crea paura.
“Se io non faccio bene questa cosa qui, mi gioco l’affetto, la stima il gradimento, la piacevolezza
dell’altro che per me conta”. L’unico motivo di fragilità è questo, non ce ne sono altri. Poi scusate è
lo stesso motivo di fragilità dell’adulto che teme di perdere la stima di una persona che conta,
della moglie, del marito, che sia più interessato/a a qualcuno più in gamba di lei, di lui. Stiamo
parlando di questa identica cosa, di perdere l’amore, l’affetto di un altro: è tutto qua.
Ancora, la questione della prospettiva,di guardare i bambini in prospettiva. Noi siamo in occidente.
Giotto ha inventato la prospettiva, anche se la sua prospettiva era ancora approssimativa. Prima le
immagini dei mosaici Bizantini erano senza prospettiva, immobili. Noi che siamo degli occidentali e
moderni dobbiamo dotarci di una “prospettiva” se no rischiamo di inchiodare i nostri alunni alle
loro difficoltà momentanee, come quel ragazzino di cui dicevo prima che ha fatto 15 errori nel
tema. Abbiamo capito che non è un incompetente grammaticale, ma che ha solo bisogno di una
registrata. Sono due partite completamente diverse e due prospettive diverse.
E’ una questione di prospettiva. Quando tu vedi i limiti o le difficoltà momentanee di qualcuno hai
da scegliere: se metterlo nelle condizioni di maggior favore o se lo vuoi inchiodare a quelle stesse
difficoltà.
Vi faccio ancora un piccolo esempio, un esempio in parallelo: una che c’è cascata e una che non c’è
cascata. Vi dico subito quella che non c’è cascata: una ragazza che fa il liceo classico ma che non ci
piglia con la matematica. Siccome è cocciuta chiede ai genitori “posso farmi aiutare da qualcuno?”.
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Dopo un po’ dice che non ha più bisogno di essere aiutata. Lei che era partita con una matematica
molto, molto sgangherata, si trova alla fine del liceo con 8, 9 in matematica. Non c’è cascata: la
competenza che mi serve per imparare la grammatica greca è la stessa che mi serve per la
matematica: vuoi che non sappia fare la matematica? “Aspetta un attimo che ti faccio vedere io.”
L’altra: mentre incontravo dei genitori di bambini dell’asilo nido, incontro una dottoressa in legge
che sta preparando un concorso per diventare notaio. Sentendo la frase che dicevo prima “se uno
ha la capacità di imparare l’analisi logica della grammatica latina, indubbiamente può fare
matematica senza nessun problema”, d’acchito questa dottoressa ha obiettato che non è vero. Lei
aveva fatto il classico, in greco e latino andava come un treno, ma la matematica non l’ha mai
capita, non era portata. Quale è la differenza fra le due situazioni che vi ho presentato? La
seconda, per quanto intelligente, c’è cascata: “Non sei portata, ma non fa niente perché è una
questione secondaria, tu devi fare altro, c’è altro che è più importante, che è più bello, questa cosa
qui non ti servirà”. La prima invece non c’è cascata. “Vuoi metter che io, che ho capito la
grammatica greca, non riesca a fare matematica? Dammi una pausa e ti faccio vedere io cosa
faccio con la matematica.”
Una ci casca perché non è messa nella condizione favorevole, l’altra non ci casca perché è messa in
una condizione più favorevole.
Domanda: Questa è solo una questione di volontà personale ?
No, è una questione di… è una rinuncia e come ogni rinuncia ha un primo dato di sollievo: puoi
rinunciare a questa cosa, non fa niente se non la fai. Domani mattina puoi startene a letto invece
di andare a scuola a fare la prova di inglese che tanto ti preoccupa! “Che bello sto a letto!” Quando
però mi sveglio, io ho il pensiero che avevo questa prova e che io non l’ho fatta .La soddisfazione
che io ho nello stare sotto le coperte è una soddisfazione secondaria, che non ha nulla a che fare
con l’essermi presentata alla prova e averla portata a casa da cocciuto. Quest’ultima è
soddisfazione reale.
La prima soddisfazione è una soddisfazione secondaria, compromissoria, un compromesso che noi
diciamo nevrotico, nel senso “a svantaggio”. Ogni rinuncia ha una soddisfazione secondaria se no
non si rinuncerebbe.
“Cascarci o non cascarci è solo una questione di volontà?” No nel senso che non si gioca mai da
soli, si casca in un inganno che qualcuno può averci fatto.Se qualcuno l’inganno me lo confeziona
molto bene ,ci casco per bene e me ne posso accorgere molto dopo: “Sono stato stupido quella
volta a stare a quell’inganno. Me ne rendo conto magari 20 anni dopo. Questo gap dei 20 anni non
me lo recupera nessuno.Io ho visto persone lasciare l’università, perché trovavano qualche
difficoltà e piuttosto che soffrire era meglio lasciare …. sì, ma dopo le unghie non ce le avevano
più”. Stai male, curati, appena stai bene ti rimetti a fare l’università.
Volevo aggiungere che è evidente l’influenza del contesto, dei genitori, degli insegnanti: è quello
che fa dire sì o no, è proprio l’aver fiducia nel fatto che lui può farcela, che fa dire di sì al bambino
e lo fa provare. Spesso mi capitava, la sera, di tornare a casa per mangiare di corsa un boccone e
poi uscire di nuovo, un po’ provato dalla giornata. Dicevo ai miei figli che ero un po’ stanco “E
allora papà perché esci? Perché non stai a casa?”. “Esco perché mi piace di più”. Sì è vero ero
stanco ma, come dice un mio amico, “Soddisfazione batte stanchezza”. Ero stanco, non potevo
negarlo, ma l’ invito mi piaceva di più, non assecondavo la mia stanchezza, ma la soddisfazione.
Allora quando poi tu hai un figlio che diventa grande e magari protettivamente gli dici : “Senti ma
non è già stata pesante la tua giornata? Perché adesso esci ancora ad un incontro ecc ecc?”
“Soddisfazione batte stanchezza”. “Sì sono stanco, ma ho un’opportunità per cui vale la pena”.
Questo è un insegnamento che si da indirettamente; questo i figli lo imparano.
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Ultima cosa sul togliere i pesi più che aggiungerli. Una madre, anche psicologa, con un figlio alle
elementari, condiziona in qualche modo le insegnanti. Al colloquio, il team di insegnanti sceglie di
mandare quella di inglese, quella che ha meno ore. Caso vuole che quel ragazzino lì la settimana
prima dei colloqui ha avuto una nota dagli insegnanti, non da quella di inglese. La mamma
psicologa si presenta compita al colloquio e dice: “Sa perché per noi, quando lui torna con una
nota, è un lutto” e l’insegnante di inglese: “Ma santo cielo, se dovesse veramente succedere un
lutto, che cosa fa?” L’insegnante di inglese si tormenta per un paio di giorni sull’ aver fatto bene o
male. Il bambino, nei giorni successivi, la raggiunge e le dice: “La mia mamma mi ha detto che è
venuta a parlare con te ed era contenta. Ha detto che sei stata carina.”
Le ha tolto un peso. Il lutto di cosa? Il lutto dell’immagine del figlio. Con questa battuta molto
bonaria le ha tolto un peso dal cuore e, attraverso il bambino, indirettamente l’ha ringraziata. Ora,
questa insegnante è stata brava e anche il bambino era contento.
Appunti non rivisti dal relatore
“SE NON RITORNERETE COME BAMBINI”
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