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LDB VincenzoRabito Terramatta AcuradiEvelina SantangeloeLuca Ricci Einaudi Notadell’editore. Vincenzo Rabito ha scritto la sua autobiografia, su una vecchia Olivetti, per sette annidellasuavita,trail1968 e il 1975. Il prodotto di questo lavoro è un’opera monumentale, forse la piú straordinaria fra le scritture popolarimaiapparseinItalia: si tratta di 1027 pagine a interlinea zero, senza un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, come si può vedere dalla prima pagina del manoscritto, che riportiamo inaperturadellibro.Dopola morte dell’autore, l’opera è rimasta in un cassetto fino al 1999, quando il figlio, Giovanni Rabito, l’ha inviata all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, presso cui è conservataeconsultabile.Nel 2000 ha vinto il «Premio Pieve - Banca Toscana» per diari, memorie, epistolari inediti. Può essere utile qui riportarelamotivazionedella giuria:«Vivace,irruenta,non addomesticabile, la vicenda umana di Rabito deborda dalle pagine della sua autobiografia. L’opera è scritta in una lingua orale impastata di “sicilianismi”, con il punto e virgola a dividere ogni parola dalla successiva. Rabito si arrampicasullascritturadisé per quasi tutto il Novecento, litigandoconlastoriad’Italia econlamacchinadascrivere, ma disegnando un affresco dellasuaSiciliacosídensoda poter essere paragonato a un Gattopardo popolare. L’asprezza di questa scrittura toglie la speranza di veder stampato, per la delizia dei linguisti, questo documento nella sua integralità. “Il capolavoro che non leggerete”, cosí un giurato propone di intitolare la notizia sull’improbabile pubblicazione di quest’opera». La presente edizione si cimenta proprio con la scommessa di poter far leggere il «capolavoro impossibile»: si tratta di una versione ridotta, ma restituisceconfedeltàiltesto dell’autore. Per arrivare a un simile risultato sono stati preziosi i contributi del ministero per i Beni e le Attività culturali, nell’ambito delle pubblicazioni di rilevanteinteresseculturale,e della Augustea, società sicilianadiattivitàmarittime, che hanno consentito la trascrizione e la prima fase dellacuracriticadeltesto. Quel che ci preme ancora aggiungere è che si è voluto rispettare in ogni modo lo stiledell’autore,cosícomelo spirito battagliero che anima le sue pagine dalla prima all’ultima: l’immediatezza espressiva e linguistica che caratterizzal’interotestoèun tratto peculiare e ineludibile, ma per tutelare le persone citate abbiamo deciso di modificare i nomi, e di eliminare gli elementi di riconoscibilità. Notadeicuratori. Il testo che qui si presenta èunasceltadalle1027pagine deldattiloscrittooriginale. I criteri cui ci siamo attenuti hanno inteso dar conto dell’intero percorso biografico dell’autore e della sequenza dei blocchi narrativi. Inoltre abbiamo voluto a ogni costo rispettare le scelte linguistiche dell’autore, conservandone quasi integralmente la peculiare grammatica. Nostra è invece la suddivisione in capitoli, paragrafi e capoversi, dove l’originale si presenta come un flusso continuo. Abbiamo operato alcune integrazioni solo nei casi in cui si rendevano necessarie per la comprensione di frasi o passaggi narrativi. Tali interventi sono limitati al minimo indispensabile e sempreindicaticonilcorsivo. I principali interventi si sono concentrati sull’ortografia e la punteggiatura. Nel primo caso si è cercata una mediazione tra leggibilità e caratteristiche espressive. In particolare, abbiamo inserito l’h nel verbo avere e i segni diacritici secondo l’uso corrente. In alcuni casi abbiamo scomposto le parole che Rabito scriveva abitualmente unite (diaiutarle,famorire), in casi sporadici abbiamo viceversa ricostruito unità lessicali che si presentavano graficamente scomposte (inafabeto per i nafabeto). La punteggiatura originale prevedeva un uso ipertrofico del punto e virgola, e un uso sostanzialmente casuale delle altreformedipunteggiatura. Il nostro criterio, finalizzato alla leggibilità, è stato di regolarizzare la punteggiatura cercando, nel contempo, di restituire l’oralità propria di questa scrittura. Le note a piè di pagina sono di contestualizzazione storicaegeograficaoppuredi tipo linguistico, per chiarire termini dialettali o l’idioletto dell’autore. Lospiritoconcuiabbiamo lavorato è stato quello di restare il piú fedeli possibile alle intenzioni dell’autore, al suo desiderio di raccontare con semplicità e a tutti le proprieesperienzedivita. Terramatta Capitoloprimo Comegarzonello Questa è la bella vita che hofattoilsottoscrittoRabito Vincenzo,natoinviaCorsica a Chiaramonte Qulfe 1, d’allora provincia di Siraqusa, figlio di fu Salvatore e di Qurriere Salvatrice, chilassa 2 31 marzo 1899, e per sventura domiciliato nella via Tommaso Chiavola. La sua vita fu molta maletratata e molto travagliata e molto desprezata.Ilpadremoría40 anne e mia madre restò vedova a 38 anne, e restò vedova con 7 figlie, 4 maschele e 3 femmine, e senza penzare piú alla bella vita che avesse fatto una donna con il marito, solo penzava che aveva li 7 figlie da campare e per darece ammanciare. Ilpiúcrantediquestefiglie si chiamava Ciovanni, ma Ciovanni di questa nomirosa famiglianonnivolevasentire per niente; se antava allavorare,quellepochesolde che quadagnava non bastavino neanche per lui, e quinte quella povera di mia madre era completamente abilita 3. Mio padre, con quelle tempe miserabile, per poterecampare7figlie,conil tantolavoro,nimoríconuna pormenita 4, per non antare arrobare e per volere camminare onestamente. Ma il Patreterno, quelle che voglino vivere onestamente, in vece di aiutarle li fa morire. Cosí, il seconto di questa nomerosa famiglia era io. Ed era io, Vincenzo, che cosí picolo sapeva che mia madre aveva molto bisogna dai figlie, perché era senza marito. Io non la voleva sentire lamentare perché non aveva niente per darece ammanciare ai suoi figlie. I tempe erino miserabile, li nostre parente erino miserabile come noie. E quinte, non zi poteva antare avanteinnesunomodo. Quinte,iofuinatoperfare una mala vita molto sacraficata e molto desprezata. Quinte, mia madre era con la stessa mintalità di mio padre, che non voleva antare arrobare per campare ai suoi figlie, e neanche mia madre voleva fare la butana, come tante famiglie che fanno tutte le porcarieie per potere sfamare ai suoi figlie, mentre mia madtrevolevaantarereavante onestaamente. Io era picolo ma era pieno di coraggio, con pure che invece di antare alla scuola sono antato allavorare da 7 anne, che restaie completamente inafabeto. Quinte io, che capiva che cosa voleva dai suoi figlie miamadtre,perfaresoldeimi n’antava magare 5 allavorare lontano di Chiaramonte, bastiche 6 io portava solde a miamadre.Perchémiamadre non dormeva alla notte, perché penzava che aveva 7 figlie:chelopiúcranteerada 14o15anne,ioVincenzoni aveva 11 o 12 anni, e la piú picolafiglianiaveva3mese. Quinte io solo penzava che per manciare ci volevino solde,pernonmoriredifame questa famiglia senza padre. Cosí, mia madre sempre diceva: «Menomale che c’ene 7 Vincenzo che porta qualche lira per dare aiuto alla famiglia». E deceva sempre che quanto portava solde «mio figlio Vincenzo sempre veneva cantanto e allecro», ma quanto non portava solde «veneva arrabiato e bestimianto, perché non poteva sentire lamentare alla sua madre perché non c’era niente che manciare». Che brutta vita che io faceva! Ciovanni neanche ci penzava,Vitoeradi9annee magare che faceva qualche cosafacevadasé,miasorella aveva 7 anne e antava alla scuola, ma, con quelle miserabile tempe, il desonesto coverno non dava neanche uno centesimo per potere comperare uno quaterno, perché voleva che tutte li povere fossemo inafabeto, cosí io questo lo capeva. Pure, poi, il desonesto coverno che comantava non dava maie asegne, e dovemmo stare per forza non inafabeto solo, ma magaremoltedifame. Ma io mi piaceva il manciare, ma mi piaceva magare di cercare il lavoro, perché era sempre pieno di coraggio e di cercare lavoro, compureche 8 aveva auto la sventura che restaie senza padre e mia madre senza maritoeipoveremieifratelle e li picole 3 sorelline restammo tutte senza quida e senza nesuno che ci comantava. Tutte comandammo e la pendola nonbollevamaie. Cosí, venne il mese di setembre. Io sapeva che a Vitoria 9 era tempo di ventemmia. Una matina alle ore 2 mi alzo con 4 mieie compagne piú crante di me e ci ne siammo antate a Vettoria di notte a piede. Cosí, alle 6 di matina, fuommo a Vittoria. Per strada, certo che avemmo manciato tanta racina 10 perché ni l’avemmo fotuto dorantelastrada. Cosí, a Vittoria, invece di cercare lavoro, con i mieie compagnecheavevino6anne impiú di me, mi hanno portatoalcasinodovec’erino li putane, che il prezzo di questeputaneeradi5soldee ioqueste5soldenonliaveva, solo che aveva il manciare per 4 ciorne, che mia madre mi aveva dato 4 pane di un chilo. E quella era la mia propietà. Quinte, li mieie compagne hanno fatto quello che ci ha piaciuto e poi amme mi hanno detto: – Vicienzo, e tu chefai,niente? Io aveva 12 anne, e certo che queste putane, per lecie, nonmidovevinofareentrare, masecomeiocihodettoche ni aveva 18 come li mieie compagni, ebbi la fortuna di entrare pure. Cosí, i miei compagni hanno messo un soldoperunoecihannodetto a queste putane che solde io nonniaveva:–Cosí,sevuoi che questo fa cosa, ti deve acordare con poco solde –. Ma la putana ha detto sí. E cosíio,permioconto,ebbela crantefortunadiconoscirela primavoltalidonne. Cosí manciammo, ciusto che il primo lavoro l’abiammofatto. E ci n’antiammo impiazza per vedere se c’era qualcuno che ni voleva portare allavorare. Ma io fui uno dei fortonate,conpurecheeralo piú picolo, che vedo a uno che erino amice con il mio padre, che sapeva che era morto, e mi ha detto: – Vicienzo, ci vuoi venire a straportare racina con uno cavallo, che il quadagno ene di70centesimealciorno? E io ci ho detto che erino poco. E lui mi ha detto: – Vicienzo, vede che tu sei picolo?Equantoaunocrante nonlopuoiquadagnare... Cosí, io ci ho detto che ci antava, perché diceva che 4 soldealciornomilimanciava di pane e 10 solde mi arrestavinoperportalleamia madre. Cosí, lascio perdire ai mieiecompagnieminesono antato con quello, che mi ha portato a Santa Tresa 11, vecino al paese de Adecate, che in quei tempe lo chiamammo «Bischere». Cosí, mi hanno dato un cavallo con 2 crosse canciedde 12, che d’ogni uno ci mitevino 100 chila di racina, e io la doveva trasportare con il cavallo al palmento 13.Quinte,illavoro era per me molto bello, sempreantavaacavallo. Ma si quadagnava poco. Perché quelle che erino crante, che avevino 20 anne, quadagnavino 2 lire, quente prentevino per 3 volte piú di me. Ed io penzava: «Che fosse bello se trovasse un lavoro per quadagnare lire 2 magare io, quanto portasse piú solde ammia madre». E daverotantolodicevacheha cascato malato uno dai 6 operaie che raccoglievino uva. E secome per forza dovevino essere 6 per fare pareepercarecareilcavallo, cosí penzareno che il figlio del padrone straportasse racina e io fare il lavoro che faceva quello ammalato. E tutte mi hanno detto che se eracapacedifareillavorodi quello io quadagnava lire 2, comelidavinoaquello. Cosí io, come mi l’hanno detto, pare che mi avessero dato una bella colomba di Pascua:lascioilcavalloemi metto con il cortello comisano, che io sempre lo portava, a coglire racina, che per coglire racina era miglio diquelle5uominecrante.Poi che queste conoscevino alla buon arma di mio padre e ci l’avevino tutte a piacere che io quadagnava quanto uno crante. Tanto che, quanto io butava l’uva sopra il cavallo, vedevino che io non ci la potevabutare,perchéeraalto il cavallo, e ci la butavino loro, e io racoglieva altra uva. Sempre cosí, ho fatto 15 ciorne di quello lavoro con una sola camicia e con uno solovestito.Perchénonc’era alltro, perché non ci poteva antare al Chiaramonte a campiareme, perché doveva antareapiede,eselasciavail lavoro, poi non lo trovava, perché c’erino tante acente checercavinolavoro,equinte doveva stare sempre con lo stesso vestito, che poi, nelle ultime2ciorne,dallacamicia nonc’erarestatonientepiú,e neanche delle pandalone, tutto aveva strapato, e tutto sporco era. Ma io a questo noncipenzava,solopenzava ammanciare e li lire 2 che al ciornoquadagnava. Cosí, sempre pieno di enercia, si ha fenito il lavoro e cianno dato a tutte 6, 10 chilediuvae4litredivinoe 50 cocia di salda salata 14, perché era una conzetutene antica. Cosí io prento quella uva, la metto in uno recepiente, che io lo chiamava «panaro» 15, che l’avevafattoiostesso,eli50 cociadisaldaelapagacheil padronemihafatto,a2lireal ciorno, quanto dava a quelle crante. Cosí mi ha liquitato lire 30, che il patrone mi la datto tutte spicile, che ho preso una carzetta e ci lo messo, e cosí li altre 5 si ne sono antate a Vittoria per vedere se trovavino ancora lavoro, ma io era tutto spaventato che aveva quadagnato lire 30 e lavoro non ni voleva cercare piú. Cosí parto con quello panaro diracinasopralispalle,vado chec’eralastradacheparteva de Bischire e antava a Chiaramonte, che c’erino piú di15chilomitre. Lalecriachecifuinquella casa, con quelle lire 30 e quellauva,lipiciriddenonsi lo potevino dementecare maie. Cosí, mia madre, poveretta, si arrechito con quelle solde. Che ebiche di meseria che erino nel 1911 e 1912, che c’era la querra a Tripole e mia madtre sempre lo diceva: «Figlio mio, se io non avesse a te, potesse morire, e il Dio te lo deve recompenzare». Cosí io, non potento trovarelavoroaChiaramonte, mi veneva magare la provedenza di furostiere, tanto che un ciorno si ha presentato uno amico di mio padre, e ammia madre ci ha detto: – Gnora 16, ciusto che siate in una brutta setovazione, – che questo sapeva il bisogno che c’era nellafamiglia,–quinte,c’ene uno amico mio di Rammichele 17 che ave di bisogno di umpiciotieddu come garzonello. Se ci lo voletemantareViciento,cilo potete mantare, che ene uno pagatore questo, figlie non ci ne ave, e sua moglie lo respetta.Cosí,cidàunamano di aiuto a suo marito a travagliarenelleterre. Io,chemitrovaiepresente, che per quello momento lavorononniaveva,subitoci ho detto: – Massaro Rosario, quantomidàognimese?–E luimihadettochemifaceva dare2tumila18dicranoelire 5d’ognimese.Eiosubitoci hodetto:–Civadovolentiere –.Mamiamadrenonvoleva, perché era lontano questo paesediCrammichele. Ma io, sempre pieno di anercia e di coraggio, ci deceva sempre che ci antava. Cosí, il massaro Rosario mi ha detto che mi dava magare da manciare. Io, che per manciare era molto bravo, ci ho detto che ci antava subito subito, però, prima voleva essere pagato anticipato, non con li lire 5, ma con li 2 tumila di crano, perché sapeva che mia madre farina dentracasanonniaveva. Cosí,daveropartiemmo,io a cavallo allo scecco 19 del padrone,eilmassaroRosario con il suo scecco. Cosí, di Chiaramonte a Crammichele c’erino piú di 30 chilomitre, ma per me che aveva 12, 13 anne, esento a cavallo all’asino, ce ne potevino essere magare 50, era lo stesso, tanto che io ho salotato a mia madre e partie cantanto. Erino li 2 di notte quanto partiemmo. Faceva freddo, ma io non lo senteva, perché era sempre allecro quanto li cose mi antavino bene e quadagnava. Io era desperato e bastemiava quanto non avevalavoro. Recordo che erino i prime ciorne di marzo del 1912 e alle ore 8 di mattina il massaro Rosario, il Picireditto, mi ha portato a Crammichele e mi ha presentato al padrone, che questosichiamavailmassaro MatteoAluzzo. Cosí, questo mi ha fatto parlare magare con sua moglie, che era una berava donna, che, compure che io era di 13 anne, li donne li conoscevacomeliconosceva uno crante. Ma, per dire la verità, lui, il padrone, amme mihaparssozaurdo20perché, come abiammo arrevato, mi hadetto:–Cometichiame?– Eiocihodetto:–Vicienzo.– Siete revate tardo! Oggie lavoronipotiemmofarepoco –.EilmassaroRosariociha dettochepartiemmoalle2,e perstradamagarehapiuuto. Che volete fare? Era ebica miserabile, che li padrone comantavino e l’operaie se dovevino mettere sempre solattente quanto parrava il padrone, e l’operaio non dovevaparlare,perchésubito lolicenziavino,perchéleggie noncin’era. Cosí,lasignoraRosamiha fatto 2 uova fritte subito subito, mi ha dato una bella pagnottadipanebellofresco, un fiasco di vino, un bel pezzo di formaggio. Con il massaro Rosario si hanno salutato,chequelloavevauna campagna vecino, e io quella crante pagnotta di pane di massaria, che era piú di 2 chile la stapeva consumanto, perché aveva una fame di un lupo. Il massaro Matteo quardavolapagnottaeilvino eilformaggioesihafattola croce, perché io aveva manciatoassaie.Esuamoglie restavo con la bocca aperta a vederememanciare. Cosí, il massaro Matteo avevamessopronte2animale con li valde 21, non piú sceche, ma 2 mule. Cosí, mi ha detto: – Vicento, ora che haie manciato antiammo allavorare –. Aveva tanta fretta per partire, mentre che sua moglie, compure che era una donna, gli diceva: – Matteo, questa matenata non ti conviene di partire, perché io ho quardato del barcone e sta per venire l’acqua, che, avante che arrevate sul lavoro, piove, e vi la pasate malavialtreemagarelimule. E cosí, il massaro Matteo ha fatto li prime chiachire di fronte amme con sua moglie, dicenduce che li donne, di campagna,nonnicapiscinoe sonostubite.Lasuamoglieci ha detto: – Bagnite come un maiale, che non importa nienteamme.Midespiaceper Vicenzo, lu caruso 22, che si bagna e per li mole –. E si n’antò. Cosí, ci abiammo messo uno capotto di campagna per uno, cravacammo 23 sopra li mule e partiemmo. Io non tinevapauracheeraacavallo allemule,mamifacevamalo il culo, perché aveva stato a cavallo 5 ore di Chiaramonte a Crammichele e il culo l’aveva tutto limato, ma non mi ne curava per niente, bastica era a cavallo alla mula. Cosí, partiemmo per la contradaversoMezzarone 24, che in quei tempe non era paesecomeora,c’eraqualche casaepoibasta. Cosí, camminammo per 3 oreesiammessoapiovere,e io diceva tra me: «Aveva racione sua moglie che ci ha detto: “Tu, nella tua vita, sei statosemprebestia”». AmMezarone c’era uno pagliaio e ni ci abiammo messo dentra, ma era lo stessodiesserefuore.Cosí,ci abiamo bene bagnato dalla testa alle piede, e il padrone mi ha detto: – Vicienzo, per oggi lavoro non ni potemmo fare, non ci abiammo quadagnato neanche il pane che ni abiammo manciato –. Cosí, ci abiammo messo a cavallo e partiemmo per Crammichele. Finarmente, revammo e suamogliecihadetto:–Che ti lo diceva che piuveva! – E lui, con la rabia che non avevaraggione,cihadetto:– Rosa, statte muta, perché prento la capezza 25 e ti do tante bastonate –. E sua mogliecidiceva:–Che,vuoi fare vedere che sei sperto 26, che c’ene Vicienzo lu chiaramontano? – E lui, arrabiato come un cane, la voleva aferrare 27, ma lei si n’antònelpianodisopera. Cosí, doppo che manciammo, potevino essere li 7 e menza di sera, che poteva avere una ora che aveva tramontato il sole, quanto ci sento dire a questo zamarro: – Vicenzo, fai presto ammanciare che dovemmo antare a dormire, perché oggie lavoro non zi n’ha fatto, e quinte speriammo che lo faciammo domane. Quinte, all’una questa notte partiemmo. Quinte,antantoadormirealle 8,sono5oredisuonnocheci faciammo. Io ho detto: – Come, massaro Matteo, io questa nottemisonoalzatoalleore2 e sono morto di sonno e ora vossia mi vole fare alzare all’una? E cosí io quanto devo dormire? – E allora mi hadetto:–Io,perchétipago? Tu, figlio mio, ancora sei piciriddo e non sai che il padrone ti paga e, come ti paga, tu ce deve dare il tuo lavoro. Per la prima sera, davero, come mi sono corcato nella stalla, mi sono dormintato subito. E sua moglie venne e mihadetto:–Sesientefredo, tiportoun’altracoperta–.Ma iocihodettochefredononni senteva. Cosí, davero, questo zaurdo, propia quanto io era nel miglio suonno, mi sento chiamare: – Vicienzo, alzite cheèl’una!–Iocertochedel letto non mi poteva specicare28,eluie,conlasua zaurdane che aveva, mi ha levato la robba di sopra e mi hotrovatoscoperto.Eluiche stava preparanto li mule per partire. E partiemmo, non piú per Mezzarone, ma partiemmo per un’altra contrada che si chiamava Ciurfo. Ma per Ciurfo, di Crammechele, ci volevino, come diceva lui, 4 ore. E quinte, partendo all’una, revammo alli ore 5. Quinte, secondo questa bestia, che cosa dovemmo fare alle ore 5, che aciornava alle6emenza? Cosíio,quantosonorevato a Ciurfo, lui lavorava con quelle 2 mule e io apresso apresso seminava li cece, ma iodinottenonvedevaniente. Cosí, venne la prima domineca; e alla domenica il massaroMatteovolevacheio doveva alzareme presto per antaremeasentiremelaprima messa, mentre la sua moglie ci antava verso li ore 8, a sentirese la messa. E mi avevatantafiduciaammeche io ci doveva antare di dietro alla sua moglie, senza che io mi facesse vedere di lei, per vedere se sua moglie, per strada, quanto antava alla messa,parlasseconqualcuno, e poi io ci lo doveva dire. E cosíiohoprovatochequesto era umpezzo di zaurdo, e cornuto, chi voleva sapere propia di uno ragazzo come me, per vedere chi parlava con zua moglie, e io ci doveva dire il punto dove se fermava. Che bestia che era! Che aveva feducia amme, che io, se lo poteva abruciare lo bruciava, perché mi faceva lavorare notte e ciorno, e 29 sparte sempre minazandome di bastunate... E io, invece di metereme di acordo con lui, mi sono messo di acordio con sua moglie, che mi respetava daverocomeunverofiglio,e sparte, quanto mi veneva a dire nella stalla: «Vicienzo, chevuoiqualchealtracoperta per il freddo?», vineva sopra il mio letto a stoziniareme, cheseiovolevafarecosa,era sempre pronto, questa bella padrona! E,finarmente,ioperquelle marito e moglie aveva deventato piú sicuro di uno figlio.EilmassaroMatteomi ha detto: – Vicienzo, vaie a compagnareallasignoraRosa alla messa –. Perché era il Ciovedí Santo, che messe ci n’erino piú assai. Quinte lui erarileciuso,comecapevaio, maconsuamogliaallamessa non ci voleva antare, perché era celuso, perché la moglie, esentoconilmarito,nondava compedenza annesuno e Matteo non poteva vedere niente, mentre, antantece io, quella sapeva che io era forostiereeparlavaconilsuo amico.Certocheiociaaveva capito tutto de che cosa se tratava: che lui era molto lavoratore, troppo zamarro, ma era troppo cornuto. E se per caso sapeva che io era dacordio con sua moglie, certo che qualche notte io antava a fenire butato nel fiumediCiurfobastonato. Cosí, piú ciorne passavino piú paura io teneva di questo zaurdo,poichelidonnesono tutte li stesse, che qualche volta, bisticianto con il marito, la signora ci poteva dire che era uno uomino inutele, perché gli diceva: «Tu haie feducia di uno caruso, vercogna!» E si potevinoscoprirelecarte. Cosí, penzava alla fuca. Tantolilire5mil’avevafatto dare. Cosí, una notte, io fece finta di dormire, ma doppo che passareno 2 ore, mi alzo piano piano e escio della porta che c’era nella stalla dove noi usciammo con li bestie.Vedoiltempocheera troppo bello, la luna c’era, l’ario era scoperto. Mi sono vestito di coraggio, acente 30 per le strade non ni passavino, non zi senteva nesuno romore. Escio fuore piano piano, chiudo la porta piano piano, e parto a Dio e alla fortuna. Io che aveva fattotuttelimaleserviziecon questa famiglia, io che doveva scopare macare la stalla, io che aveva a dare sodisfazione a sua moglie, io che la domenica aveva acompagnareallasuamoglie, io che mi doveva alzare sempreall’unaediceva:«Per questo che li piciotte non ci volenostare,perchésifaceva malavita», e questa malavita io non la volle fare piú, e alzaiel’incegnoescapaie. Cosí, senza vedereme nesuno,hotraversatoilpaese e ho preso la trazera 31 che antavaaCraniere32,cheiolo sapeva che poi caminanto, con la luce della luna, mi faceva capace dove era, che quellastradaportavaalfiume chiamato «il fiume di Mezzarone»33. Teneva paura che, come era l’olario che si alzava quella bestia di Aluzzo, antanto nella stalla e non vedento amme, avesse montatodifuriaeprentessela mula e partisse a cercare amme strade strade, e se mi avesse trovato mi avesse bastuniato. E io camminava quantopiúfortechepoteva. Cosí, finarmente ho passatoilfiume,pacienzache ponte non ci n’era e dovette passare con tutte li scarpe. E menomalecheacquacin’era poco. Camminava come un desperato a passo di bersagliere. E cosí, a mezzociorno, io fu a Chiaramonte. E mia madre, come mi ha visto, si ammesso a piancere, che aveva 20 ciorne che non mi vedevapiú,chesapevacheio eraarRammichele. Poi che era tutto sudato e una tosse fortisema che aveva, poi che il suo marito aveva morto con una pormonita, ci pareva che io avesseafarelafinechefeciil mio padre. Cosí, mi ha fatto corcare,mihafattounatazza di vino bollito zuccarato, e cosíiocihoracontatotutto. Poi, recordo una volta che non potiamo fare niente a Chiaramonte che lavoro non ci n’era. Io e Ciovanne sapemmo che arRadusa 34 c’era lavoro, che ni l’aveva dettounoamicodimiopadre. E io e Ciovanni partiemmo a piede. L’amico di nostro padre si chiamava Lavoria. Questo aveva umpezzo di terra simenata a fave e secome ci avemmo detto che cercammo lavoro ni ha detto: – Caruse, se volete lavorare, scepate 35 erbanellefave,cheiovipago aunaliraalciorno–.Quinte noi, che sentenno una lira al ciornoerinobuone,perchéni abiammo fatto il conto che, facento 15 ciorne, erino lire 15–l’ebicheerinomiserabile davero –, ci abiammo messo allavorare. Fupropiaquellotempoche si cominciava a sentire dire chelaCermania,laFranciae l’Ichilterra si dovevino antrare in querra propia nel 1914. E tutte li ciornale dicevinochedovevascopiare unaquerramontiale,chetutte li piciotte dovevino antare in querra. E mio fratello Giovanni mi deceva: – Per ora,conisoldimegliocheci adevertiemmo36perché,seci chiamono, delle solde non ni avemmochecosafarene. E io, che era piú picolo: – Poi, quanto li fenisci, li vuoi essereprestatedime... E per questa parola che io ci ho detto, ni abiammo aferrato 37,chepoivenniro2 a farene fare pace, e quanto hanno saputo che erimo fratelle (perché quello aveva preso ammio fratello per li spalleperbotalloaterra,eio inveceavevaaferratoaquello che ci stava facento un malo ammio fratello), mi ha detto: –Ahsí,fratellesiate?Perme, ora vi potete rompre l’ossa, ora che so che siete fratelle, perché che sparte ave la meglioparte38. Cosínihannodetto:–Fate come cazzo vi piace –. E ni hannolasciatofotere. Cosí, io ci ho mantato lire 15 ammia madre, ma Ciovanniniente. Io e mio fratello Ciovanni erimo inafabeto, perché alla scuolanonciavemmopotuto antare, però, con la boca che ci avemmo, nesuno si lo poteva credere che erimo inafabeto. Cosí, diciammo che solo con una crante querra potevino respetare ai lavoratori. Io e Ciovanni erimofortesocialiste,manon sapemmo né lleggire, né scrivere, e passava questa mincia 39. Solo la cente potiemmo sentire parlare e c’imparammo qualche cosa permezzodellacente. Cosí, davero il 24 maggio 1915, che a mia madre ci stavino crescento li figlie per quadagnare solde, scoppiò la querra. Io diceva che aveva 15anneemagare16,cheper arrevare a chiamare amme ci volevino 4 anne. E quinte, io erasicurochelaquerranonla faceva.MaCiovanni,cheera piúcrante,lapotevafare. Cosí io, quanto vedeva il librodimiasorellacheantava alla scuola, mi veneva la voglia di cominciare a fare «a, i, u». Quinte, cercava di ampararemequalchevocalee linumira.Ecosí,pianopiano, quanto una volta ho fatto un nume 40diummiocompagno di lavoro che si chiamava Vivera, e io, quanto sono stato capace affare «Vivera», mihaparssocheavessepreso il terno! E cosí, piano piano, senza esserre prodetto 41 di nesuno, fra poche mese mi sono imparato a capire cosa voldirelascuolaeconoscire linumira. Ecosí,lecevailciornale,e cosí cominciaie a capire quantosoldatemorevinonella querra, che piú va, piú aspra sifacevalaquerra. Matuttomipotevacredere, menocheiodovevaantarein querra. Cosí, un ciorno hanno chiamato a mio fratello Ciovanni, ma lo hanno fatto revedibile perché era troppo corto. Quinte, mia madre si ha fatto il cuore e dice: – I mieifigliesonotroppocortee soldatononnifanno. Cosí, con questa scopiata di querra, cominciareno a chiamare uomine per fare li soldate. E certo che il lavoro cominciava ad esere umpoco abondanteelamiafamigliasi stapeva comincianto a stare bene, perché c’era magare Vito che lavorava. Ma Vito, magare che lavorava, solde nonniportava,macomunque bastica faceva per quanto manciava. Io e Ciovanni antiammo forostiere, e magare che tante solde non portava, ma sempre non era come prima, che c’era piú miseria e noi che erimo piú picoleenonlavoravanesuno. C’era io che portava sempre, ma con quelle solde che portavaio,difrontea7figlie, chepotevafarequellapovera di mia madre? Ma ora che c’era questa crante querra il lavoro c’era e mia madre diceva: – Figlie mieie, come Vitosimetteallavorare,pure siete 3. Pavolo era nella 2 elimentare, e come fa la quarta viene allavorare con voi altre, e cosí siete 4. E io, con 4 che lavoreno, potiammo comperare una casa! E il conte del povero non resoltamaie42… Cosí,miamadre,quantoci portammo solde, poveretta, li salvava, propia perché penzavacheerasenzacasa,e poi che aveva 3 figlie femmene: una che aveva 11 anne che antava alla V elimentare, che era molto intellecente e mia madre la voleva mantare sempre alla scuola perché era donna; poi c’era Pipinedda che aveva 5 anne e Lucia che ni aveva 3 anne. E campammo discretamente perché mia madre ci aveva messo solde daparte. Si aveva trato il conto che in 2 anne, con li solde che portammo,potevafareladota alle 3 figlie femmine e magare qualche picola casa poteva comperare. Ma conte fatte che non puotino renesciremaie! Io era cacomioso 43 per natura,emiamadrelostesso, poicistapemmofannocrante, ni cominciava a piacere di ampararene aballare, ni cominciava a piacere il vestire biduzze, perché non erimo persone arretrate che stiammo sempre a Chiaramonte. Io avia cerato tante paese, aveva cirato Catanie,quintemipiacevadi quadagnare solde, ma mi piacevadivestirebene.Cosí, tutte diciammo che, se sequitammo allavorare, cosí la nostra famiglia si alza. Conte male trate! Che ci faciammo li conte senza il propietariodellataverna! E cosí, amme mi aveva venuto una chiamata per antare a fare uno mese di lavoro alla Contessa vecino traCela44eVittoria.Emine sono antato lontano apositamente per quadagnare lire 5 al ciorno. Che, fenento queste15ciorne,venevinole festediCarnevale. Che, in queie tempe miserabile, quanto veneva Carnevale, nelle famiglie povere era una festa crante e una festa di allecria e di aballare e festa di manciare, perché si manciaveno li macaroneeillardodimaiale, perché, per tutte li ciorne, della pastasciutta non zi ne poteva manciare, perché per le famiglie povere il Patre Eterno la crazia di manciare pastaasciutoilpoverononci l’aveva concesso, che ci l’aveva concesso solo il ciornodiCarnevale. Cosí, cominciammo allavorareeabiammofattola quindicina. Che al veneredí sera dovemmo antare al Chiaramonte, che la domenica doveva essere il maledetto ciorno di Carnevale, e quinte certo che c’erapreparatopastaasciutta, lardo di maiale, vino e fave atorrate45perultimo. Quanto allecria che c’era nella famiglia nostra con quellapendolacrantepienadi macarrona con il suco di lardo di maiale! Ricordo sempre quello momento che erailciornodidominicail18 febraio. Erimo tutte i figlie a tavola che era mezzo ciorno. Tutte rediammo, tutte contiente e allecre, e stavimo penzanto che dovemmo fare magareunafestaperaballare tra noi ciovenotte, perché contente come questo Carnevale,consoldeassaiee con manciare assaie, non ci avemmostatomaie.Epoiche la nostra famiglia erimo tutte a tavola senza che nesuno mancava. E mia madre che tuttasepriava46perchéaveva li suoi figlie tutte presente. E quanto abbiammo inteso abossare alla porta e mia madre va a vedere chi è, e vede uno appontato dai carrabiniere che dice: – Non si spaventasse, signora, che non c’è niente di male. Chi staquiRabitoVincenzo? E mia madre responte: – Sí,èmiofiglio. E cosí l’appuntato dice che:–Ogginiabiammo18,e il20febraio,alleore10, suo figlio se deve trovare a Siraqusa perché il coverno, per resistere affare la querra, ave di bisogno dei piciotte della chilassa del 1899 dei prime4mese,equestaenela cartolina precetto –. Mentre hanno chiamato amme e l’appuntatomihadetto:–Tu, ciovenotto, fatte coraggio, che deve antare a fare la querra. Quinte lunedí de sera dovete essere tutte pronte. E che non parte, deve partire conicarrabiniere! Eccomo come antavo a fenire tutto il devertemento e tutta l’allecria di pianto... Cosí,tuttelibellepenzateche aveva fatto Vincenzo si hannobruciatotutte. Cosí, restammo tutte spaventate. Io che sempre diceva che per antare soldato civolevinoancora3anne! Cosí, nel paese assocesso una rebeglione, perché tutte erimo 35 che dovemmo partire, e a Chiaramonte ci n’abitammo10elialtreerino in campagna. Quinte, il maresciallo e il sindaco hanno chiamato a un certo Fortonato Paolo e un certo PaololoCavallaro–chetutte 2questePaole,unoeraquello che vanniava li sceche 47 quanto erino messe all’asta conilpugniramento(chetutte li domeniche, con lire 5, si poteva uno liberare uno scecco di queste fallite padrone), l’altro era che vanniava li pescie e il tampuro sonava paese paese quanto c’erino fallenzie 48 di picole nicozie. Cosí, il maresciallo e il sindaco presero a queste 2 Paole con il tampurino e partiero per tutte li campagne di Chiaramonte per direce che tutte li piciotte che erino dai prime 4 mese della chilassa 1899 che domane devino partire, e se non partino, partenoconicarrabiniere. Cosí,intuttoilterretoriodi Chiaramonte, ci ha stato un casodeldiavolo.Parterecosí allampo49! Cosí, tutte ni preparammo. Chepianceva,pianceva… Certochesidovevapartere perché era tempo di querra e se uno non parteva certo che lo potevino magare fucelare. Cosí, di queste partente, ci n’enecheavevinolimulecon licarrette,elihannomessoa desposezione. 1 Chiaramonte Gulfi, oggi in provinciadiRagusa. 2 chilassa:classe. 3 abilita:avvilita. 4 Il padre Salvatore morí di polmonitenel1908. 5 magareomacare:persino,pure. 6 bastiche o bastica:purché,basta che. 7 c’ene:c’è. 8 compureche:benché. 9 Vittoria, oggi in provincia di Ragusa. 10 racina:uva. 11 Santa Teresa, frazione del comune di Acate, che prima si chiamava Biscari. Oggi in provincia di Ragusa. 12 canciedde:canestri,gerle. 13 palmento: grande vasca per la pigiatura dell’uva e la fermentazione delmosto. 14 50 cocia di salda salata: 50 sardesalate. 15 panaro:cesto. 16 gnoraogna:signora. 17 Grammichele, in provincia di Catania. 18 tumila:tomoli. 19 scecco:asino. 20 zaurdo:zotico. 21 valde:bisaccechesiappendono aifianchidelmulopertrasportarecibo esementi. 22 caruso:ragazzo. 23 cravacammo:montammo. 24 Mazzarrone, un tempo frazione delcomunediCaltagirone,inprovincia diCatania. 25 capezza:redini. 26 sperto:furbo,ingamba. 27 aferrare:colpire,picchiare. 28 specicare:staccare,spiccicare. 29 esparte:epergiunta. 30 acente:gente. 31 trazera:stradasterrata. 32 Granieri,frazionedelcomunedi Caltagirone. 33 Il fiume Dirillo, che segna il confine tra le province di Catania e Ragusa. 34 Raddusa, in provincia di Catania. 35 scepate:strappate. 36 ciadevertiemmo: ci divertiamo, ciscialiamo. 37 ni abiammo aferrato: ci siamo azzuffati,siamovenutiallemani. 38 che sparte ave la meglio parte: chifaleporzionihapersélamigliore. 39 epassavaquestamincia: e non servivaaunaminchia. 40 unnume:unnome. 41 prodetto:protetto,allievo. 42 Eilcontedelpoverononresolta maie: e il conto del povero non torna mai. 43 cacomioso:pocospendaccione. 44 Gela. 45 atorrate:tostate. 46 sepriava:sicompiaceva. 47 vanniava li sceche: bandiva, urlando,gliasini. 48 fallenzie:fallimenti. 49 all’istante. allampo: all’improvviso, Capitolosecondo Caruse,ilsoldatopassa! Edaveroillunedí,alleore 11,erimotuttenellapiazzadi Chiaramonte con 8 carrette, che tutte ci abiammo messo tutto il manciare che ni avevino preparato li nostre mamme.Cosí,recordochela piazza di Chiaramonte quella nottedel19febraioerapiena come fosse la festa della Madonna, perché tutte li famiglie, picole e crante, erinonellapiazza. Iociavevaammiamadree i mieie fratelline e sorelline chepiancevino,manonc’era niente che fare, si doveva partire per forzza, perché li carabinierel’avemmosempre a tuorno a tuorno, che erino nella piazza per vedere chi è chenonvolevapartire. E poi, dovemmo antare a raciuncere Modica con li carretta,chiapiede,chisopra li carretta, perché Modeca in quei tempe era il cercontario di Seraqusa. Che poi da Modecadovemmoprentereil treno che ne portava deretamente a Siraqusa, che, in quelle brutte momente, trene ce n’erino poco, e magare che c’erino, camminaveno quanto un cavallo con la carrozza, perché sempre se fermaveno, che sempre mancava il carbone. Io penzava che per chiamare amme chiamavino magare a Ciovanne, perché era piú crante di me, e penzava che mia madre ancora che diceva che ci avevino cresciuto li prime 2 figlie, che poteveno dare aiuto a quelle picole, e, per causa a questa querra, non potenodareaiuto,cheinvece di portare solde ammia madre, li doveva mandare lei annoie, che il ladro coverno ni ha chiamato per antare a fareneammazare. Alleore7diserarevammo a Siraqusa. Che bello Carnevale! Che bello devertimento che abiammo fatto! Che belle conte che io miavevatratocheconquelle 2 mese di lavoro che io dovevafaremidovevavestire polito, mi doveva fare fidanzato per la festa della Madonna! Che conte sbagliatechehofatto! Cosí, io a Siraqusa non ci aveva stato maie. Cosí, ci hannoportatoatuttedentraa unachiesa,cihannodatouna scatoletta di carne e una pagnotta. Che ni avessero potuto fare ammeno, perché ci avemmo tanto manciare checil’avevinodatolinostre mamme. Ma noi non volemmo niente, ma volemmo uscire fuore. E invece niente. Nella porta ci hannomessolisentenellecon il fucile, soldate di quelle anziane, che, se parlammo di uscire, queste ni decevino: – Povere capelle, ora cià vi la speciate... 1. Avete voglia di piancere! Questa volta vi hanno capitato qua, qui non siete piú a casa vostra, che c’ene la mamma che vi conforta,quisietesoldate. Quinte, queste anziane soldatenispotevino 2,invece di farece coraggio. E restammo dentra quella chiesa come li salde, strette strette, con poco di paglia, senza materazzo e senza niente – e questa paglia era pagliadegliealtresoldateche avevino venuto prima di noi. E poi ci hanno dato una picola coperta da campo, che non si poteva neanche comigliare 3unametàdinoi, compurecheerimopiciridde. Che bella festa di Carnevale cheabiammofatto! Alle ore 7 sonavo la sbeglia e vennero 5 soldate a portareceilcafè.Madelcafè non ni avemmo di bisogno, perché erimo tutte morte di sonnoetuttearrabiate,perché ni avevino messo dentra quella chiesa strette, che come noi non c’erino messe neanche quelle della cella. Qualemaloavemmofatto? Cosí, preso il cafè, venne un capitano a compiarece 4 perlaprimavoltalicoglione, facendoce capire: «Ragazze, non siete piú borchesi ma sietesoldate». Cosí, per tutta la ciornata di Carnevale, che era il martedí,nonfacevinoaltrodi domantarece di dove erimo, quanto anne avemmo, di chi erimo figlie. Per tutta la ciornata ci hanno rotto li coglione, invece di farece uscire,evedereSiraqusa. Mentre si hanno fatto li 6 disera,ecihannodestrebuito il vestito di soldato a tutte, senzasaperecheeraluoncoe chieracorto,senzasaperechi eracrossoechieramacro.Il necesario era che ci vestievinodisoldato.Quente, in quella chiesa socesse una crante composione: che c’erino ragazze che la ciacca non ci antava, e invece ce n’erino che li pandalone ci n’antavino 2 di noi. Che uno diquestoerapropiaio,cheli mieiepantaloneerinoperuno che era ummetro e 90, e quinte io poteva essere ummetro e 50, quinte, quelle altre 40 centimetre, dove li dovevaprendere? Cosí, cominciammo a scampiare tutte uno con l’altro. E per 2 ore dentra quella chiesa menomale che sante non ci n’erino, perché, con le tante bestemie, certo chelifaciammosperire. Poiliscarpe,tuttedi44.A tutte stavino lareche. Poi c’erinolichiode,comequelle che metevino quanto ci campiavono li scarpe alle scecche, che apena erimo nella strada non potiemmo camminare perché cascammo per terra. E cosí, ci abiammo fatto subeto persovaso 5, che dinascostoconlabaionettaci abiammo terato li chiode. E cosí fommo sicuro di camminare. Cosí,cihannodato2liredi trasferta, un’altra pagnotta e un’altra scatoletta e il zaino conilcorreto,chenoiancora non sapemmo che cosa era questo correto. Comunque ci hanno riempito lo zaino, ci hanno dato il fucile, il tasco dapanepienodicarrecatoree altrecosechecivoglionoper uno soldato, che noi ancora nonlosapiammo. Come tutte fuommo fuore della chiesa, il capetano ci a dette: – Attente! Avante, marcia! – E ci hanno portato allastanzionediSeraqusa. Cosí, potevino essere li 11 di sera, propia nello stesso ciornodimarte,allastanzione c’era la tradotta pronto, che erafattapropiapernoi.Cosí, d’ognivaconecimetevino40 di noi, mentre che, quanto questevacuneportavinomole o cavalle o asene, ci ne metevino 8. Quinte, nel vacone stesso c’era scritto: «mule o cavalle 8 e soldate 40». Quinte ci hanno ratato moltobene! Poi non c’erino neanche sedile, quinte tutte allempiede, quinte fuommo ancorapiústrettemessedella chiesa. E cosí, il nostro confortoeralabestemia. Poi, per tutte le vacone, c’erano2soldateanziane,che ci decevino: – Non fate bordello perché alla prima stanzione, come se ferma il treno, io haio ordene di refedello al capitano e antate afenirealtrebonalemiletare, e quinte fate meglio che fate selenzio! Cosí, il treno partio e fu terza notte che non abiammo dormito. Che descraziata vita checihadatoilPatreEterno! Cosí, allindomane arrevammo a Palermo. Cosí io, Palermo, non lo conosceva. Ci hanno portato nella caserma Basso. Non tutte, ma una cinquantina di noi, mentre li altre l’hanno portato a altre caserme. Quinte, ci hanno asegnato un letto e ci hanno detto che ce dovemmo spedire li robe di borcheseallenostrefamiglie. Chequestoful’ultimodolore per noi, perché spedianno li robbe non c’era speranza piú di vestirene di borchese. E noi,conlilacrimealleochie, abiammo spedito li robe, che per le nostre famiglie era un dolorelostesso.Poi,cihanno datol’intrizzocheeraquesto: al soldato Rabito Vincenzo, 310 bataglione, caserma Basso,Palermo. Che poi ci hanno dato 2 ciorne di reposo e un ciorno di libera uscita per cerare Palermo. E poi noi, Palermo Palermo, con quelle robe di soldato che avemmo messe, che non erino ammisura per noi, e carose che erimo, ci atocava6difarecostionecon li palermitane, che di dove passammo ci facevino la frinza7,ciprentevinoinciro, specielipalermitane,cheper naturasonostomacose 8, che quanto parlavino facevono cerare li coglione con quello parlarestubitocheavevino. Ma pacienza per i prime ciorne, che non erimo forbe. Ma, piano piano, abiammo fatto coraggio, poi che ni stiammo dementecanto alle nostre mamme e li nostre famiglie, e cominciammo a fare strincere li robe e fare vedere che erimo soldate, ed essire magare spereduse 9 comelisoldate. Cosí, cominciammo a cerare tutte li casine che c’erino a Palermo. Ma io soldenonniaveva,perchémi avevaportatolire10,cheper fortuna mia madre ci l’aveva salvate. Ma con lire 10, che cosapotevafare?ASeraqusa miavevinodatolire2,edera padronedilire12.Cidaveno 2 solde al ciorno. Menomale che non fumava, perché ancora non mi aveva imparato a fumare! Li donne del casino volevino lire 0.50. Quinte, d’ogni 5 ciorne ci davino10solde,machecosa potiammo fare? Io con lire 5 mi aveva fatto aciustare la ciacca e i pantalone e mi hannorestatolire7. Poi, certo che passavino li ciorne, e piú va, piú furbo io mi faceva. Che c’erino soldate anziane dentra la caserma con noi che ni potevinovenirepadre,perché noi avevamo 17 anne e loro ni avevino 42 (perché il coverno per la querra aveva chiamato sutto li arme 25 chilasse, dal 1875 al 1899). Quinte, c’erimo padre e figlie, tanto che in quella caserma c’erino 2 chiaramontane soldate vechie che mi decevano: – Qui, soldato, se non zi arrancia 10 nonpuòandareavante. Quinte, io ho cominciato a capire che cosa voleva dire «arranciare»echevolevadire fottere qualche paio di pandalone a quelle soldate sacie 11 e irasenne 12, uscire della porta con 2 para di bandalone–cheeral’inverno esiportavailcapotto... E cosí, cominciaie a ranciareme, perché senza solde non poteva camminare. Perchéiomiavevacastiato13, che una sera ho fatto una brutta comparsa 14: che mi n’avevaantatoalcasino,cosí io, che non aveva solde, mi stava seduto dentra il casino. Poi, li donne si sedevino di sopra di me, ma io non mi voleva smovere, perché sapeva che solde non ni aveva. E la donna si arrabiava. Cosí,aunacihannopreso li nerve, si ha preso il berretto, si l’ha portato in camira, si ha corcato, si ammesso nuda facendome vederetutto.Io,checiantava apresso per fareme dare il berretto,ecomehovestoche eracontuttofuore,nonciho dettochesoldenonniaveva, mi ci ho messo di sopra, e come io fece quello che mi piacevadifare,mihopresoil berretto. Ma quella donna volevaesserepagata.Iosolde non ni aveva, e la dovette pagare con 2 tempolone 15 che mi ha dato lei, e sparte selensio dovette fare, perché lí dentra c’era l’ordene che chi non pagava veneva denonziato. E mi ha detto: – Figlio mio, quanto uno è picciriddo e non have solde, nellecasenoncideveantare. Ma io il piacere mi l’ho passato,e2tempolonediuna donna non mi hanno fatto niente, e diceva: «Magare d’ogni sera mi potesse fenire cosí, che con 2 tempolate io mi passasse questo crante piacere!» Ma, comunque, io senza solde non poteva camminare e cercava sempre come poteva fare solde. Poi io non ene che era stato un tipo colleggiale,ioerauntipoche aveva stato campagniolo, e nella campagna sempre il contadinosiarrancia. Ma poi abiammo fatto il ciuramento, siammo deventate anziane, e tutte li lavore li facevino fare annoi. Ecosí,pernoi,hacominciato unavitadacane. Il manciare era poco, istrozione tutte li ciorne, marcie tutte li ciorne, tire di fucileedimitragliatricetutte liciorne,tiredibombetutteli ciorne, e magare c’era qualche ferito, perché certi volte le bombe non scopiavino bene e scopiavino sopra di noi stesse. Quinte, non vedevimo l’ora che ci amparavino a sparare e ci portavinoalfronte. Un ciorno, non ho potuto capire il perché una mattina nella nostra camerata socesse l’iferno, che tutte quelle che dormemmo in quella camerata non ci hanno fatto uscire neanche per antare a fare la marcia, ci hanno lasciato dentra, e sparte ci hanno messe li sentenelle davante la porta per non fare uscire annesuno. Che poi ni hanno fatto capire che c’erimo 35 soldate in quella caserma e tutti e 35 dicevino lemedececheavemmiiltifo e una specia di tifo che magare mischiava alle altre. Cosí, noi fuommo piantonate tutte, che non potemmo parlare con li altre, ma io però, per conto mio, non mi sentevaniente. Cosí, partiemmo per portarene allo spedale, ma quantorevammoallospedale, mi recordo bene che non c’erino puoste e hammo telefonato per dove c’erino puoste libere per noie. E ci hanno portato allo spedale di Trapone16. Io a Trapene non ci aveva statomaie,maeratuttocirato dimare,elitrampe17c’erino, e ho visto che era una cità bellissima. Cosí, ci hanno portato allo spedale e ci hanno fatto l’analese, e io e altre5nelsanquietifononni abiammo.Cosí,noirestammo umpoco libre, che potiammo uscirefuore. E ci facevino fare i serviente, che ci mantavino a fare la spesa a tutte 6 per comperareilmanciareatutte li ammalate, non quelle che avevino venuto di Palermo sole, ma a tutte li ammalate, che ci n’erino piú di 400 cento. Cosí, stesimo 20 ciorne, ma 20 ciorne di parariso. Che bella vita di Traponecheioelialtre5che abiammo fatto! Pecato che fenemmo, perché il tifo quario a tutte e dovettemo reantrare a Palermo un’altra volta... Poi, un ciorno venne l’ordene di partire e lasciare Palermo, dandoce, come quandoabiammovenuto,una pagnota e una scatoletta. E dovevamo partere per la stanzione, prentere la stessa tredotta con le vacone che c’era scritto: «cavalle 8 e uomine40». «IlFante» 18 l’aveva detto tante volte, per fina che 19 daveropartiemmo. Cosí, revammo a Siraqusa e perdavero ci hanno portato al destretto, che c’erino tante medice. Ci hanno fatto spogliaretuttinude,echiera abile per la fanteria lo lasciavinostareinfanteria–e ni hanno portato nella solita crante chiesa –, ma chi era abile per i bersagliere li mantavino alla stanzione per antare a raciuncere il suo recemento.Poi,magare,cine foreno 2, che erino di Auqusta 20, che erino tutte 2 piú di 2 metre – che a Palermo, quanto marciavino, erino una mereviglia di quant’erino lunche, e li meteva il capitano sempre davante–,equesti2lihanno mantatoaRoma. E cosí, tutte ci abiammo deviso, e restammo tutte quelle che dovemmo fare la fanteria. Cosí: «Adio Palermo,–iodisse.–Nonci vediammo piú. Adio soldate, –cheaveva4mesicheerimo amice, che avemmo fatto l’istrozione anziemme. – Chi losasecivediammopiúcon questa querra! Che lo sa quanto ni potemmo restare vive!» Cosí, ci hanno messo dentraaquellachiesa,sempre con lo stesso sestema di umpocodipaglia,semprecon quella sola coperta. Solo che 4 mese prima faceva molto freddo, che era febraio, e ora famoltocaldo,cheerinoli19 ciugno. Quinte nella chiesa con il tanto caldo, e poi che erimoassaie,nonzicipoteva stare. Però, come si deceva, erimo lasciate libere, senza fare né strozione e né niente. C’era la sbeglia per il cafè, c’eraladonataperilrancio,e poi c’era la donata per la retirata alla sera alle ore 9, perché c’era la pello per vederecheèche21eraasente, che non veneva a dormire, che veneva dichiarato «deserture» e mandato al carceredoppolaquerra. Però, si deceva, che dovemmo stare 5, 6 ciorne e poi dovemmo partere da Seraqusa per una ingnota distinazione, che c’era scritto nelle ordene del ciorno. E certo che tutte diciammo che questa distenazione ingnota era che ci dovevino portare allaquerra! Poi, c’era l’ordine che quelle che erino vicine delle paese di Siraqusa c’erino premie di permesse, ma quelle che erimo di Modica, Vitoria, perfina a Pozallo, queste premie di permesse non c’erino, perché erino lontano,checivolevino2o3 ciornediviaggio. Cosí io, che era di Chiaramonte, speranza di avere permesso non ci n’era. Quinte, da parte mia, diceva che, partenno di Siraqusa, se partevaperfareceammazzare e la mia famiglia non la vedevapiú. Cosí, per la prima sera, corcatodentraaquellachiesa strette strette, e il caldo che faceva, penzava che voleva tagliare la corda per antare a Chiaramonte. E cercava uno buono compagno che avesse auto la stessa edea mia di scappare,perchéallaseraalla pello cenn’ereno 30 e 40 che scapavino, tutte soldate dei paese vicine, che poi, come vedevino la sua famiglia, venevino e li mitevino impreciune, ma li suoi famigliel’avevinovisto,però. «Quinte io, – pensai, – se trovo umpaisano che ave la stessa mia testa, scapammo e ci n’antiammo a Chiaramonte,ecomefeniscie feniscie, tanto la mia vita eni fenita che, se partiemmo di qui, ci portino in querra, e non c’ene speranza di restare vive, quinte ammeno 22 scappoevedoammiamadree imieifratelle». Cosí, passai una notata di penzareacheèchel’avevaa dire per scapare, di tutte li paisane che c’erino. Quinte, io penzai di dillo a un certo Panasia Vito, che era lu piú saggio e lu piú amico di me. Perché Vito Panasia tutto quello che diceva io lui faceva, e di notte era capace di camminare, e malavita ni avevafattopiúassaidime,e poi che era campagniolo come me, e poi sempre era apressodime,chetantepasse facevaioRabitoetantepasse faceva Panasia, solo che io era con uno puoco di chiachira e Panasia non parlava tanto. Quinte io, come aciornava, non c’era tempo di perdere di direce a Panasia: «Vito, n’aie coraggio?Lovuoifarequello che dico io, di partire per Chiaramonte e antiamo a vederelinostrefamidie?» Cosí,ciabiammofattouna camminata, e racontatece se voleva scapare, e lui non si l’hafattodire2volte,chemi ha ditto: – Vicienzo, come dicetu,partiemmo. E io ci ho detto: – Questa serastessa. Cosí,allaserastessa,piano piano preparammo li zaine nella chiesa, che non c’erino tante soldate, perché tutte se neantavinofuorescapate,ma non quelle lontano di paese comenoi,maquellecheerino di Noto e del cercontario di Noto; poi quelle di Vittoria, Modica e Raqusa niente, e stavinocirantoSiraqusa,epoi qualcuno che stava bene di famiglia,chemagareerinodi Chiaramonte, ci venevino li propia famiglie a trovare alle figlie. Ma per me, Vincenzu Rabito, non ci veneva nessuno a trovallo, perché miamadtrenonpotevavenire a Siragusa a trovaremi, perchécivolevinosolde. Poi che, propia in quello mese,avevapartitomagareil mio fratello Ciovanni per soldato e mia madre aveva perso li 2 figlie piú crante, che ci dovevino dare ammanciare. Cosí, io preparai lo zaino bello pieno di quanto piú assaie robba ci pote mettere, magare ci ho messo 20 cocchiaia, che amme una mi l’avevino robato e io per ventecazione mi ne ho preso 20, perché aveva deventato unolazzarone. Ci abiammo carrecato lo zaino, il fucile, l’irmetto, ci abiammo calato il sottocola come per fare capire che erimocomandateperantarea fare la sentenella alla stanzione,checosíilpiantune della porta ni avesse fatto uscire. Cosí,ioaVitocihodetto: –Tuvieneapressodime,non dire niente, lascia parlare ammesolo. Cosí,arrevammoallaporta della chiesa, mi ha detto il piantone(cheerimoamice):– Doveantate,Rabito? Rispondo io e ci dico: – Non mi fare bestimiare magare tu, perché in questa vitaiosonosfortenato,perché ciusto ciusto che aspetava domane la mia famiglia mi hanno messo di quardia alla stanzione, amme e a questo poveroPanasia. E bistimiava, e diceva: – Maledetto di quanno fu che mi hanno fatto abile per fare ilsoldato! E usciammo bestimianto. Ma Vito era come il cucuzune23,chenonparlava, e parlava io solo. Cosí, usciammo e partiemmo con quelle zaine e il fucile, che tante oficiale che c’erino e tante ronte di soldate che c’erinopiedepiede,nesunoni hadettoniente. Cosí, alla stanzione revammo verso li undice, le ore 11 di sera, che non c’era tanta composione. Ma, secome ni vedevino armate e con il zaino pasare, li carabiniere che erino che facevino servizio, tutti dicevino che, esento soldate che avevino il zaino e il focile, non si potevino crederechestavimoscapanto. Cosí, domantaie se c’erino trenicheantavinoaCataniae mi hanno detto che ce n’era unopronte. Cosí,presemoquellotreno mercio.Eiltrenopartio. Cosí, il treno merccie camminava piano e verso li ore una e menza il capostanzione diceva: – Lintine24! Cosí, io e Vito, sentento il nome Lintine, scentemmo non della parte della stanzione, ma, a forma di fessa25,scentiammodell’altra parte, che non c’era nesuno checichiedevadovestavamo andando, lo stesso che alla stanzionediSiracusa, perché erimoconlizainaeilfucile. Cosí, avante che il treno partio, io e Vito presemo per li campagne e non ci hanno vistopiú. Io di quelle luoche era molto prateco, perché ci aveva stato a travagliare. Lí c’era, a quei tempe, il biviere26diLintine. Era il mese di ciugno e di notte veneva il piacere a camminare, perché faceva fresco. Cosí,ioeVitoammopreso una trazera che portava al biviere, e cosí revammo all’Agnune27,cheiociaveva magaredormito,eioavevala sfaciatacine di domantare al capostanzione di l’Agnune di quanto passava il treno per Caltacirone 28, e il crante calantuomo mi ha detto alle 4, 4 e menza, che parteva di Catania, e invece se avesse stato un altro desonesto diceva: «Ma come va che di soldate sieta qui?» E poteva avesare anche ai carabiniere, ma secome era uno che si facevalicazzesui,nonniha detto niente. Quinte, c’era di farese 3 ore di suonno. E ci allontanammodellastanzione eciabiammomessoadormire inunaapertagampagna. Cosí, subito presemo suonno e secome lí c’erano tantezanzareemuschitte 29– chec’eraunafortemalariain quei tempe, che chi dormeva fuore se lo manciavino e ci prenteva subito la malaria –, doppo tre ore, davero ci siammosbegliate. Cosí,aspettammoiltrenoe finarmente venne, questo treno! E chi sa quale santo ci ha fatto questo miracolo, arrevammo alla stanzione di Vezzine30-campagna. Cosí, con quello zaino a spalla, dovemmo passare del mulinodisotta,vicinecheio sapeva che c’erino magare albere di cilieggie, che era propia il suo tempo delle cilieggieperpoteremanciare. E io voleva vedere se li albere, di queste cilieggie, ni avevino, perché, se ni avevino, ci le manciammo e poi ci arreposammo, perché malaria lí non ci n’era, che eramoltomontagna. E davero cosí abiammo fatto, che antiammo sotto a quelle albere. E delle cilieggie ci n’erino tante che avemmo voglia di manciare, che ciliaggie sopra di quelle albere ci n’erino piú assaie dellepampene31! Cosí, senza passare permesso annessuno, abiammoscarecatolizaine,il fucile l’abiammo messo a pesoall’albero,eciabiammo messo ammanciare cirase 32 con Vito, frutto tanto piacevole. E poi che erino bellematureefrescheelibere (cheerinopiúmegliodinoi), perché non c’era nessuno – senza pensare che erimo soldate scapate che potemmo antareallotrebunalemiletare, e magare potiemmo essere fucilate, se per caso mancassemo 48 ore, perché era tiempo di querra e partiemmo senza nessuno auterezazione–,manciammo, pacifeche, cirase, e senza pericolodiessereviste. Vitosaleval’albero,perché non ci parevino buone quelle che si potevino manciare di interra–poicheerapiúcorto di me, Vito Panasia –, e io manciava con quelle che si potevinocoglierediterra. Io aveva 4 mese che non vedeva alla mia famiglia e Vito lo stesso, quinte tutte 2 diciammo: – Faciammo presto arriempire la pancia, che poi ci arreposammo 2, 3 ore e partiemmo per Chiaramonte –. Senza prendere maie la strada, sempre per la campagna, per paura che ci avesse stato una batugliadicarabiniere. Emanciammo. E con la contentezza che erimo libere, io non mi corava tanto che aveva portato quello crosso zaino pesante ed era tuttu sodato, e mi aveva messo al fresco ammanciare cirasa, perché c’era magare acqua fresca e mi l’aveva beuto senza penzare che poteva prentere una pormonita. Ma secome eracarusoenoncapeva… Cosí, sopra di dove erimo noie, c’era un sentiero, e questo sentiero era alto circa 4, 5 metre, ed era al paro delle cime dell’albere delle ciliaggie,chepoic’eralacasa dove c’era il molino, e dal molino se vedevino li cime dell’alberochesinagavino33, perché c’era Vito sopra l’albero, e io che cià era pronto per salire. Perché quelle che erino basse cilieggie si avevino fenito. E io stava per salire ancora piú in alto, e Vito si arrestò 34 nelle rame piú basse. Erimo molto felice che manciammo cilieggie. Ma questa felicetà durò 7, 8 minute, che abiammo sentitoabaiareuncrossocane dimasseriaeilmolinaroche, sentento al cane abaiare, hanno venuto sobito a faciaresenelsentieroehanno visto amme che era sopra l’alberochemanciavacerasa. Cosí,conilcaneèarrivato ilmolinaro,chesiammessoa terarepietresopradime,eil cane con la bocca aperta ha cerato sotto dove cera Vito, chelovolevamuzecare. Restammo spaventate, io con li pietre e Vito con il cane. E diciammo: – Maledettalapancia! Ma non era questo lo spavento. Che non venne il solo molenaro, che venne magare la molenara a terare pietre e fare tanto bortello, arrabbiate tutte piú forte del cane, e tiranno pietre e dicento:–Descraziate,stanno venento li carabiniere e cosí vi porteranno in calera, e ora vi ammazammo a corpe di pietra! E poi che loro erino di sopra, e noi di sotta – ma la donnaccia era piú che una iena di come era arrabiata –, iocheeradisopraall’albero, e aveva preso un bello colpo di pietra sulla testa, mi sono confuso, perché non mi davino il tempo di scentere, perché le pietre erino assaie che travino, e io non sapeva come fare, aveva voglia di direce: – Avete racione, ve li pagammo! A Vito il cane lo stava muzicanto. E quinte, ci fu ummumento di uscire pazze con queste molenare e con questocane,senzaaverepietà pernoi,questedescraziate. Ma poi la molenara, che erapiúdiavolodesuomarito, si n’antò alla parte de sotta dove c’era il cane, perché se lo ficorava che, scentento io dell’albero, potevamo scapare.Equantolamolinara arrevavo sotta quell’albero dove c’era il cane che si lotava con Vito e ha visto li zaine con li lermette 35 e conoscio che noi 2 erimo soldate, invece di trare pietre e dirime: «Latre, vi miritereste ammazate!» – come ni l’avevino detto –, si hanno messo a piancere. Perché prima non ni avevino visto, poveraggie, che erimo 2 soldate. E cosí, piancento piancento, ni hanno detto: – Figlie mieie, manciateve magarel’arbiro! EioeVitorestammosenza parola. Cosí,hannoatacatoalcane e ci hanno portato al molino, dicendoce: – Figli mieie, perdonatoce, perché noi magare ci avemmo 2 figlie come siete voialtre soldate –. E piancevino, facendoce vederelifatocrafieiedeisuoi 2figlie. Cosí, ci hanno fatto la pasta asciuto con uno bello coniglioaspezatinoevino,e abiammomanciatotantobene che io e Vito cosí non ci avemmomanciatomaie. Cosí,ciabiammofattouna bellissema parlata, che ci hanno inteso tanto piacere. E poi ci abiammo detto che dovemmoantarearraciuncere Chiaramonte. Alla vista di Chiaramonte, impaziemmo vedento il paese. Edidiscesa,in10minute, fuommo nella chiesa della Madonna delle Crazie, che abiammo fatto la prechiera doppo tante bestemie che avemmo fatto con quelle molenare che ci stapevino ammazando a petrade e con quello cane che ci ha dato ummuzeconeaVitocheciha strapatolipandalone,eiouna pitradanellatestahopreso.E perché?Perlacerasa! Cosí, prese l’acorciatoio perantarealcemitero,eVito Panasia vedeva che di fronte al cemetero, propia sopra la beveratoia, che c’era il suo padre che stava beveranto la ciomenta. E Vito dice: – Vicienzo, lo voi vedere che quelloeneilmiopadre? Cosí,daveroerailpadredi Vito. Cosí ci abiammo baciato. Il massaro Peppe piancevavedentoasuofiglio. Poi il massaro Peppe ni portò nel posto che ci aveva umpezetinoditerrachestava mitento 36 e ci ha dato ammanciare. Ma noi erimo molto piene di manciare, perché quella ciornata avemmo manciato assaie. Cosí, il padre di Vito disse subito: – Partiemmo per la casa. Ma io non mi piaceva che cin’antassemosubito,perché ancora il sole non era tramontato, e diceva al massaro Peppe che, se prima nonfacevabuio,alpaesenon mi presentava. Perché io stapeva vicino alla piazza e doveva scentere per forza dalla descesa di San Ciovanni, che ciusto ciusto era la sera del ciorno 23 ciugno, che aciornava il 24, che era la festa di san Ciovanne. Che propia delle strade di dove io doveva passare c’era tanta lominazione e tante e tanta cente – che a Chiaramonte venevino dalle campagne per vederese questa crante festa –, e io che era vestuto di soldato, con il zaino afardellato, il fucile, il lirmetto...CheaChiaramonte ci n’erino soldate tante, perché venevino alla licenza, ma non come me, che era vestitocontuttoilcorretoche pare che stapeva antando in querra! Avemmo magare il pognale e li baionette e li carrecatorenellicerbenne37e il lermetto nella testa. E con quello zaino pesante e con quellescapponedimontagna, che con quelle chiode non erinoscarpepercamminarea Chiaramonte, perché si scevolava e se poteva rompereilcollo! Cosí, ho stato una ura nascotto in una cgrotta nelle terredellemonicediCesú.E poi, carrecaie lo zaino e partie, a Dio a la fortuna. E mi misi a studiare come non mi doveva fare vedere dalla cente. E cosí, prese dal piano di San Ciovanni, penzanno che tuttelacentedelladescesadi SanCiovanneaquelloorario erino nella piazza perché c’era la musica e la strada avesse stato diserta. Io il conto mi l’aveva trato per conto mio perfetto, ma non miarrenesciuto38.Che,come passaie dal piano di San Ciovanni, ciraie dal castello per non passare davante la chiesa, per paura che mi vedevino. Ma quanto uno è sfortenato e deve ed è natto sempre per bestimiare, sempredevebestimiare... Cosí, il diavelo voglia che nella discesa c’erino una filotta di 20 caruse che ciocavino a muciarella 39. Hanno visto amme e tutte hanno credato forte: – Il soldatopassa,chevienedella querra! E queste piciridde, che potevino avere 8, 9 anne per uno, non li potte lifare 40 di vecino amme, sempre credatto 41: «Carose, il soldato sta pasanto! Corriemmoevediammodove va!» Ah,cherabiacheioaveva! Ma piú turnare indietro non poteva, perché era quase quase all’acquo 42 della Nonziataequinteunamitàdi strada era cià fatta. Ma quardanto intietro amme c’erino piú di 40 carose che vanniaveno «il soldato passa!» E mi ho dovuto fincerisoldo,chetuttoquello chemidicevinolicarusenon ciresponteva. E mentre caminava di corsa, io ni aveva 2 paure: una perché se c’erino carabiniereocuardie,vedento quella folla, venevino e volevino sapere tante cose, e l’altra paura era che poteva prentereunoscivolone. Efinarmentesonoarrevato alla strada del cafè, che doppo10metrec’erailcoltile dove stapeva io. Cosí, io disse: «Finarmente sono sarbo».Chequartantointietro non erino li sole caruse apressoamme,macen’erino magare crante. E cosí, nel cortile non ci hanno venuto, perchéilcoltilenonspontava. Elicarusemihannovistoche iomihovoltatoeconilfucile ci ho detto: – Avicenate, figlie di cramputana, che se entratenelcortilevisparo! Io era arrabiato come un cane, della mala comparsa che aveva fatto, e menomale chenonhocascatoconquelle scarpona, perché altremente, chi lo sa come mi antava a fenirequellaseraamme! E cosí, entro nel coltile, vedochec’eralaportaaperta, mitraso,etuttequellecaruse sinesonoantate. Il cortile pareva deserto. Mi traso dentra, e nella casa non c’era nesuno, che neanche mia madre c’era. Senteva la museca sonare nellapiazza. E cosí, dopo un poco, venne mia madre. Io stava scarrecannolozainoaterrae cihodetto,aimieifratelli:– Non piancete, che sogno Vinciento. Cosí, mi hanno venuto a baciare tutte, che poi tutte, prima piancevino per paura, ma ora piancevino per allecria. Quinte, ci ha stato una natata 43 di allecria e di pianto. Io ci ho racontato tutto quello che avemmo fatto. Ci ho racontato che aveva scapato di Siraqusa, che li pregava di fare silenzio, che io aveva venuto per vedere soltanto la famiglia e poi mi ne doveva antare subito a Seraqusa, perché, passanto li 40 ore, mi potevino fucilare. E mia madre pianceva. Cosí, cihodetto:–Vedetechecosa vi ho portato dentra quello crosso zaino, che è tutto di vialtre. CosíPaolo,Turiddaetutte, prima se lo volevino carrecare 44 e non zi l’hanno potuto carrecare, e poi non sapevino come l’avevino a sciogliere. Cosí, io lo scioglie. E mia madre, come havistotanterobe,sihafatto il cuore, e mi ha detto: – Mi haie recheto 45 con tutte questerobe! Cosí, ci ho detto: – Ora vi n’antate a busare alla Patte, che vi fanno 2 tumina di pane,scacie 46epastiere,che io il zaino mi lo porto pieno di pane e pastiere e la roba che c’era dentra quello zaino lalascioqui. Cosí io, da parte mia, non sono uscito di casa quello ciorno, perché teneva paura, perché erimo desarture di tempodiquerra.Eio,alleore 11 prima di mezza notte del ciorno25,minesonoantatoa trovare a Vito Panasia, che alle ore 4 fosse bello di partire. E cosí, verso li ore 4, mia madreavevareimpitoilzaino di manciare, di scaccie di recotta.Ioincampiociaveva lasciato:2camicie,2coperte, li 20 cuchiaia, un paio di scarpe,cheVito,miofratello, mi ha detto: – Queste, per pestare racina, quanto viene la vendemia, sono buone –. Ci aveva lasciato 4 maglie, 6 paia di calzette, e tante panciere e tante altre cose, e magare la cavetta e la burracia. Cosí, i miei fratelli Vito e Paolo mi hanno venuto a compagnare per fina al cimitero, e cosí ci abiammo baciato con Vito e Paolo, ni abiammo messo a piancere uno con l’altro. E io e Vito Panasia presemo deritto derittoperCostaprena47. Revammo sudate alla stanzione,ched’alloraancora trenononcin’era,epresemo la strada per Raqusa, sempre con lo zaino a spalla, che paremmo soldate di servizio. Ma però piú paura non n’abiammo, perché li famiglie li abiammo visto. Quinte, magare che ci avessero pescato li carabiniere, ci avessero potutoportareaSiraqusa,ma noi cià ci stapemmo antanto. Quinteerimoaposto. Vito Panasia dentra lo zaino ci aveva 2 butiglie di vino di quello della Fondanazza 48, bello forte. Vicino Carpentiere 49 ci arreposammo, manciammo scacce,pastiereeunabutiglia di quello bello vino ci abiammobeuto,eciabiammo messoinmarcia. Poi c’era un carretiere che antavaaRaqusaenihadetto: – Io vi posso portare propia alla stanzione, che prentete il trenoperSiraqusa. E alla sera, verso li 9, ci abiammo presentato alla chiesa di dove avemmo partuto. Cosí, abiammo quardato dove c’erino fessate li ordene del ciorne e ci notavavino li 48 ore della nostra asenza. Però, doppo una mezza ora, hanno chiamato l’apello. Lo zaino l’avemmopienomaerapieno di pane. All’apello avemmo resposto, quinte non forino piú 48 ore di assenza, ma forenosole24. Alla notte, io e Vito non abiammo potuto dormire, perché ci avevino detto che per forza doviammo essere ponite. Cosí, all’endomane spetammolanostracondanna checidovevinodare. E invece, verso mezzo giorno, invece di sapere la ponizione che dovevino dare annoi, ha venuto una bellissema ponizione per tutte. Che ha venoto un folecramme orcente, che la chilassa del 99 – voldire il 310 che aveva venuto di Palermo – dovemmo partire subito subito per antare alla stanzione e cosí prendere il treno e antare a EmpoleCampagna 50, che dovemmo fare 20 ciorne di campo e di tatiche di querra. E questa fu la ponizione, non per mia e Vito Panasia, ma fu una ponizione per tutte. Che non c’era remedio. Si doveva antare a fare crante manobre diquerra. Cosí si ha fenito la nostra babiata51diquestaponizione chedovevinodareaRabitoe Panasia, che li cose stavino per improgliarese. E cosí, tra noi diciammo sempre: «Ci portino a farene ammazare», piano piano. E quella paura che avemmo auto con Vito, quanto avemmo scapato, ni avevafenito,maquestapaura chedovemmoantareafareli crante manovre di querra, questa paura non poteva passare, e diciammo: «Menomale che avemmo visto li nostre famiglie!» E tutte unite diciammo: «Come vuole Dio faciammo». Mentre che non ci veneva il penzierodibestimiare. E cosí, davero, alla sera partiemmo della chiesa. Ci hanno portato alla stanzione con il zaino affaldellato, ma io,ilmiozaino,nonciaveva niente. Però, per fare vedere lo zaino che era compio, il manciare che aveva, li ommesso nel tascapane, e poi, mentre che nesuno si avesse accolto di quello che io faceva, ci ho messo umpoco di paglia, nello zaino, per fallo deventare compio. Edicevaframe:semaisia fanno una revista nel zaino, cheammemimancavatuttoil coreto, e mi lo debitavino, ci volevino 4 anne per fenire li debite. Ma mi ne foteva. Io l’aveva lasiato tutta a mia madre, che mi aveva detto che era io che sempre la recheva. Arrevammo a Salerno e scintiammoecihannoportate aEmpoli-Campagna,chelíci hannodetto:–Fatevelitente perogni6,chequidovemmo fare il campo e li crante manovre di querra –. Che questo campo fu la nostra rovina, che tra struzione di querra e ordene e passo e marcie si stava pegio di quantoerimoaPalermo. Un giorno, quanto hanno deviso la posta, per me posta non ci ne fu. Ma ci fu per 5 paesane, che uno di questo paesanochereceviounalettra era un certo Vituzzo Scaghiola, che tanto sperto non era, questo Vituzzo Scaghiola, che era fesso. E quella lettera ci l’aveva mantato un certo soldato Pipino Arabito che era chiaramontano, e questo chiaramontanosapivachecon questo Vituzzo Scaghiola c’era io, che facciamo li zoldate inziemme. Io non zo come questa lettra non passò dallacinzura. Cosí, questo stubito di Vituzzo Scaghiola liceva questa lettera, e Peppino Arabito ci deceva che in uno compatemento amMonte Cavallo, sopra Gurizia, per uno miracolo aveva restato vivo. E poi ci faceva capire che con lui c’erino Ciovanni Paolo Cianninoto e Rabito Ciovanne, che remasero ferite. Ciovanni Paolo fu ferito liggiero, ma Ciovanni Rabito è ferito cravamente, e cidiceva: «Ti preco, non la fare sapire a Vincenzo, che ene conte,locaruso,perchécerto che si farà qualche pianciuta». Ma Vituzzo Scaghiola, per natura stubito, la lettera la leceva forte per faramillo sentire. Cosí io, sentento questa lettera, mi ho messo a piancere, e Vituzzo mi ha detto: – Non è vero, lo stavo facentoperfaretearrabiare. Mentreiovolevaleggirela lettra e questo fesso la lettra l’ha fatto sparire. E secomi sempre questo babiava, che era fesso per davero, restaie con quello penziero, poi che lettredimiofratelloiononni aveva receuto, e bistimiava, perchéquellocretinolalettra nonmilavolevafarevedere. Ma io tanto fece, che alla notte, piano piano, dentra la sua tenta entraie. Lui era il primo.Vedodoveciavevala ciaccaehopresolalettera,e daverolalettradiceva: «CaroVituzzo,iosochetu sei con Vincenzo, che mi lo ha detto Ciovanni Rabito. Non ci lo fare capire quello chec’eneinquestalettera.Ti faccio sapere che il mio reggemento ha fatto una vanzata a Monte Cavallo, sopra di Curizia, e ha stato destrutto». Cosí,ioebbilasfortunadi capitare questa brutta lettera, che sebbe che mio fratello Ciovanni era ferito cravamente,emihofattouna pianciutachecascaieinterra, chemiavevaacubato52. Epoi,doppo10cionne,io recevetti una lettra di Ciovannicheeraall’ospedale di Pistoia, cià fuora pericolo di non murire. Però la lettra diceva che quanto quareva doveva camminare con li stampelle, perché forse ci dovevino levare una campa. Cosí,iomisonocompiaciuto e disse: «Menomale non muoreCiovanni». Poi, da mia madre ni ha fenito 53 un’altra notizia:che Lucia, la mia sorellina piú picola, stava molto male. Mentre io aveva saputo da altri compaesani che era morta. E cosí, di ciorno e ciorno, mivenevalapacienza,perché ammazare non mi poteva. Penzava ai carzerate, quanto erinocondannateinnociente. Poicheiononerasoloche faceva questa malavita, ma erimo tante. Quinte, se bestimiavatutteinziemme. Epoi,quantomipassavino larivista,chevolevinovedere tuttalarobbacheavemmoin consegna, e io non ni aveva, come doveva fare? Quale bucia ci doveva dire io, che nel zaino mio non aveva niente? Quinte io mi la spetava, questa ponezione. Quinte io, quanto andiammo a fare qualche marcia e li nostre comantante volevino che ci dovemmoantareconlozaino pieno, io lo riempia di paglia e il zaino mio compareva cometantezainecheavevino lialtre. Cosí, finarmente, venne l’ordene che dovemmo passare una revista cenerale per tutte li compagnieie, per vedere la robba che ci mancava. Che in quello campo avemmo deventate tantedelinquente... Ecomemisentochiamare: – Rabito! E tu perché non ci haie niente? – con una forte voce del capitano. – La roba tua dove l’haie versata? – Cosí,ommintatosubitosubito una fortissima bucia, che ci ho detto: – Io, segnore capitano, a Palermmo ho cascato ammalato con una malatia infetia che si chiama «il tifo» ed erimo 35 soldate. E, per non ci essere posto a Palermo, ci hanno mantato allo spedale di Trapone, e lo zaino e tutte le nostre robe che ci avevino dato in consegna ci l’avevino fatto versareallaforariadiPalermo –. Io, questo, ci lo diceva bello sfaciato. – Poi, quanto abiammo quarito e ci hanno portato un’altra volta a Palermo, ci hanno dato 10 ciornedireposo,maiononci l’ha chiesto, il mio zaino. Cosí, doppo che ho fenoto il reposo, all’endomane venne la chiamata per antare a Siraqusa.Mihannochiamato: «Rabito,portatequestozaino, che non fa niente se ene vuoto, tanto, vialtre che ancora siete arreposo, a Siraqusavidannotutto». Cosí, i superiori hanno scritto a Palermo, e io non potette sapere quello che ci hannorespostoperintanto. Cosí, senza correto soldate non ci n’erino, e un soldato senza correto non poteva stare,emihannodatotuttoil correta bello nuovo nuovo, e io diceva che: «Se potesse scapare, lo portereie un’altra voltaammiamadre...» Una matina, 5 tente vicino ai cabinette – che in uno di queste tente ci dormeva io – abiammo cascate malate di una brutta malatia che li medece la chiamavino «il parratito» 54, che ni hanno compiato a tutte quelle che dormiammo li canarozza 55, che paremmo tutte con il gozzo nel collo e non puotimo ignutere 56 piú il manciare, e questa malatia magareerainfetiva. Cosí, subito subito, ci hannomantatoallospedale,e la paglia e tutte li zaine che erono di noi che avemmo questamalatia,tutto,comene antiammo noi, forene tutte bruciate. E magare li tele da tenteforenobruciate. Cosí li mieie robbe tutte nuovehannovenutobruciate, equinteilmiocorreto,cheio l’avevadebitato... Cosí,cihannomessosopra l’auto bulanze e ci hanno portato allo spedale di Cava dei Terrene 57, che era un paeseciratodimare,vicinoa Salerno e al paese crosso di Nocera, che questo paese di Cava dei Terrene era quase un’isolatottociratodimare. E quinte, erimo 25 soldatine tutte con la stessa malatia, e magari avemmo fame e non potemmo masticare e neanche ignutire, che il collo l’avemmo compio, e quase quase non potemmoneancheparlare.Io, tra me, deceva che, se maie sia che perdeva la parola senzaantareinquerra,erapiú arrovenato di mio fratello Ciovanni. E poi, se lo avesse saputo quella povera di mia madre,chelosachespavento avessepreso... Cosí, tutte 30, o pure 25 che erimo, che non recordo bene,cihannoportatoinuno castello che fonzionava di spedale, e nelle mura di questocastellociabatevinoli onte del mare, quinte erimo isolateditutte. Cosí, c’erino li croce rossine per serbere 58 annoi, che facevino di sorelle e di infermiere. E li medice alla prima matina ci hanno ordenato 4 rosse di uova per ogni uno di noi soldatine al ciorno, e 2 litra di latte al ciorno e poi 4 inezione al ciornoantitoleriche59. E la cura la faciemmo esalta, però sempre erimo caruse e sempre faciammo parte di caruse e di delenquente caruse. Perché, quanto venevino queste signorine crocerossine tutte infaciolate e desompetate 60 per farene l’infasciatore nel collo, noie, che sapemmo l’olario quanto venevino affare l’ampasciatura, ni faciemmo trovare tutte corcate nel letto. Non perché non potemmo stare all’empiede, perché febbre non ci n’avemmo, ma ni corcammo tutte per essere lazarone, perché, venento nel letto,noifaciammofindache avemmo la smania e li tocammo, mentre che ci facevino l’ampasciatura nel collo. E alloro, che potevino avere20anne,tuttesignorine figlie di centa ricca, volentarieecommoltascuola, ci piaceva lo scherzo, e poi magareciperdonavinoperché avemmo quella bruttissima malatiaesilasavinotocare.E noi, di malate che erimo, ni pareva un devertemento quellospedale. Quando uscimmo, li ciornale portavino che al fronte ci dovevino portare alle ragazze del 99, perché c’ereno molto di bisogno e dovevino partire subito subito. Cosí, al campo, alla sera, ha socesso il caso del l’inferno. Tutte li soldate si faceva bordello. Erimo tutte 6.000 soldate, che avemmo ocupatounfevito61,diquante tentec’erinostatefatte,etutte li condatine di quello fevito avevinoautofattotantomale, perchénonerimosoldateche ci avemmo stato, ma erimo state 6.000 diavole! Quanto albere ci avemmo rotto! E tutta la prodezione aveva stata destrutta per quello anno. Tutte quelle che erino vicino, nella stessa notata, si ne sono antate assalutare alle loro famiglie. Ma i soldate che non avevino famiglie vicine se ne sono antate a cercare dove c’erono frutta permanciareefarecompiare li coglione a tutte li condadine.Ecosí,erailmese di acusto e si hanno cerato tutte li campagne che erino a 4 e 5 chilomitre di destanza. Cosí, quella ultima notte, ci ha stato tante sparatorie tra condadine e soldate, che ci foreno magare ferite, quella notte. E poi, magare li frutte che non erino mature foreno prese e poi butate. E li padronechepiancevino!Che, alla matina, come si ha fatto ciorno, si hanno presentato tutte all’acampamento, ma annoi non ci ha importato niente, perché dovemmo antare sicuro ammorire, e avevinovogliadipiancere... E con tutte quelle stracie che avemmo fatto nelle campagne a quelle povere borchese – che quante volte avevino venuto a recramare senza che nesuno ci dava raggione,eanzibrutteparole ci avemmo detto... – e compure, quanto ni hanno visto che stavimo per partire, queste povere condadine si hannomessotutteapiangere, e poi ci dicevino: – Povere picirillivoglioincelle62,come listannoportantoalmacello! Povere ragazze! – Perché ci l’avevinomagarelorolifiglie inquerra,efratelleemarite... Ecosí,venneilcomantante del campo, zaino a spalla e partenza per antare ad Avellino, che il nostro reggementoperquellociorno era il 32 Fanteria e il nostro depositociavevinodesegnato Avellino, e di tutte le 6.000 soldate che eravamo, hanno fatto tante spartezione e ci hannodiveso. Doppo2ciornedistaread Avellino, ci hanno asegnato al 69 reggemento Fanteria, brecataAncona. Cosí, presemo il treno a Salerno e partiemmo per una ingnotadestinazione. PoirecordocheaNapoleci hannofattofare3oredisosta eiohovistoNapole,chenon l’avevavistomaie. ANapoleerailcomantodi tappa. Ci hanno dato ammanciare. E poi partiemmo e ci fermammo a Ferenze, che il nostro deposeto era a Ferenze, e ci hanno desegnato al 2 reparto Zappatore. E dietro alle nostre domante che noi ci avemmo fatto, ci hanno passato una visita. E amme mi hanno detto: – Tu, Rabito, è propia il tuo mistiere di fare il zapatore, e sei abile per fare trencieie, e quinte è inutele che marche visita, e poi che quellechesietedesegnatenel reparto Zapatore quadagnate 11 solde al ciorno, mentre li altre soldate, che non sono zapatore, ni quadagnino 10 soldealciorno. Io era tanto contente che antavaafaretrencieieenona combattere, e poi che mi avevenodittochequadagnava un soldo in piú, che con quelle ebiche miserabile un soldo era qualche cosa. E mi ho trato il conto che, esento zapatore, ci potevino fare lavorare e pagare affare callerieie e, forse forse, che con li austriece non ci vediammo. 1 Povere capelle, ora cià vi la speciate...: povere reclute, ce ne vorrà ditempoprimachevenetiriatefuori... 2 spotevino:sfottevano. 3 comigliare:coprire. 4 compiarece:gonfiarci. 5 ci abiammo fatto subeto persovaso:abbiamosubitocapitocome funzionavalacosa. 6 ciatocava:eravamocostretti. 7 ci facevino la frinza: ci sfottevano. 8 sono stomacose: sono di palato fine. 9 spereduse:spiritosi. 10 nonziarrancia:noncisidàda fare. 11 sacie:anziani. 12 irasenne:andarsene. 13 io mi aveva castiato: io ero rimastoscottato. 14 bruttacomparsa:bruttafigura. 15 tempolone:schiaffi. 16 Trapani. 17 trampe:tram. 18 Bollettino d’informazione diffusofraletruppe. 19 perfinache:finoache. 20 Augusta, in provincia di Siracusa. 21 cheèche:chièche. 22 ammeno:almeno. 23 cucuzune:zuccone. 24 Lentini. 25 aformadifessa:facendoifessi. 26 biviere:stagno. 27 Agnone,frazionediAugusta. 28 Caltagirone. 29 muschitte:moscerini. 30 Vizzini. 31 pampene: pampini, e foglie in genere. 32 cirase:ciliegie. 33 nagavino:dondolavano. 34 siarrestò:rimase. 35 lermette:elmetti. 36 mitento:mietendo. 37 cerbenne:giberne. 38 non mi arrenesciuto: non mi è riuscito. 39 muciarella:nascondino. 40 lifare:levare,allontanare. 41 credatto:gridandomi. 42 all’acquo:all’arco. 43 natata:nottata. 44 carrecare:prendereinspalla. 45 Mi haie recheto: mi hai arricchito,mihaifattodiventarericca. 46 scacie:tipodifocaccia. 47 Una scorciatoia che porta dal cimiteroallastazionediChiaramonte. 48 Fontanazza, contrada di Chiaramonte. 49 Carpentieri. 50 EbolieCampagna. 51 babiata:scherzo,sciocchezza. 52 acubato:soffocato. 53 nihafenito:cièarrivata. 54 parratito:paratifo. 55 licanarozza:lagola. 56 ignutere:inghiottire. 57 CavadeiTirreni. 58 serbere:servire. 59 antitoleriche:anticoleriche. 60 infaciolate e desompetate: fasciate (con una mascherina sulla faccia)edisinfettate. 61 fevito:feudo. 62 voglioincelle:guaglioncelli. Capitoloterzo Trenceia Cosí,cihannoportatonella provinciadiVerona.Recordo che erino li prime ciorne del settempre. E cosí, i nostre comandante ni hanno detto comeerailnostrointrizzoper scrivere alli famiglie. Ed era cosí: al soldato Rabito Vincenzo, 69 reggemento Fanteria di marcia, 2 battaglione, 2 reparto Zappatore,zonadiquerra,per dovesitrova. E tutte noi ci abiammo quardate in faccia sentento che erimo nella «zona di querra». Ni ha cominciato la paura. E comincianto da me, diceva:«Maallorasiammoin querra!?» E io diceva: «Ma come lo sente mia madre “zona di querra”, sapendo sentere che Ciovanni era allo spedale a Pistoia, chi lo sa quanto pianto deve fare questamiamadre!» Cosí, passareno 15 ciorne, sempre ciranto tutte li provincie del Venito, sempre zaino a spalla, facento teniche 1 di querra e tire di fucileedibombeammano,e semprecamminarecurbeeda carpone, e sempre caminanto a piede, senza che una sera avessemo dormito come li cristiane, sempre dormire sedute, opure mentre che camminammo aderetura, che tutte, se ni avessero pesato, avemmodemacrito5chiledi ognuno di noie. Che poi ci facevino camminare macare conlapanciaastrescioneper terraeparemmotantemaiale, esemprefacentotantecorsee senzalevareneliscarpemaie maie, e senza campiarece maielabiancheria. E come passareno li 15 ciorne, ci hanno portato a Scio 2, vicino al fronte, dove dinottesevedevinolimonte dell’altopianodiAseaco 3. E il ciorno ci facevino saltare tante fosse e di notte si vedevino li monte, che annoi ni pareva che doveva fare malotempo, e invece erino li cannonatechelampeciavinoe sisentevinolituone. Iodicevaetuttediciammo: «Se ci porteranno lí, siammo sicurochemoremmoeconla famiglia non ci vediammo piú!» Tanto lettere macare che scrivemmo, non ne arreciviammo, e magare che qualche letra la reciviammo, eratuttascancellata,perchéla cenzura, se vedeva che c’era scrito: «Figlie mieie, state atento! quardatete!», non potevaesserediscrivilloelo scancellavino. Solo non scancillavino quanto la famiglia scriveva: «Bisogna di morire per la Madre Padria!» E noi ci potemmo mandareadire:«Caramadre, io faccio il soldato per defentere la Madre Padria!» Che io e tutte, nel nostro penziero, diciammo: «Maledetta la Padria, che ci stanno fanno morire prima cheantassemointrencieia...» Perché, per 15 ciorne, non ci hanno fatto dormire neanche unanotte! Cosí, una matina ci hanno fatto la revista uno per uno. Cihannodatounpugnaleper uno, 8 bombe ammano, altre carrecature, altra robba, coperte, maglie di lana, un bello capotto, 2 scatolette, 4 callette, una maschera. Ci hanno armato come se fossemodifrontealnemicoe questa era la nostra conzolazione. Poi, annoi ci hannodatooltre,unapalettae unamazottaimpiúdellealtre, perché erimo zapatore. Ci hanno carrecato come li bestie, perché erimo del reparto Zappatore. Poi, come ci hanno carrecato come li mule, ci hanno fatto fare una tonata, che ci doveva parlare il comantante della bricata Ancona, che ci hanno fatto capire che noi apartenemmo allabricataAncona. Ecosí,ilbravoceneraledi bricatacihadetto:–Ragazze del 99, fate attenzione che questa notte si parte per la primalinia.Equantosiammo lí, non ci antiammo per stare bene o pure per lavorare e stare bene, ma ci antiammo per un solo scopo, per defentere la nostra Madre Padria.Poi,partemodaquie passammo quelle montagni. Questanotteciàsiammosotto il tiro delli austriece. Quinte dobiammo camminare sempreordenateeinselenzio. Io lo so che siate picole soldate tutte, ma, comme reverete in trenceia, vi metteranno immienzo alle soldateanziane. E poi ni ha detto, questo bravo cenerale, che: – Tutte quelle che siete state ponite per desezione perché si n’antato a casa, perché ha fatto il delenquente, che ave debite da pagare, sarete tutte perdonate. Perché io sono securo che vialtre ciovene, la Padria, la defentete come defentessevo li vostre madre, sesetrovasseroimpericolo.E lo so che il 99 la defente la Padria, perché ha stato chiamato propia per quello motivo. Io, sentento che tutte li debite che aveva non li pagava – perché non lo diceva uno oficiale qualunqui, ma lo diceva il cenerale –, io ci ho creduto che non pagava niente. E poi hadetto:–Questodonovilo fa il nostro comantante cenerale della 3 Armata, e verranno pagate magare li arreterate e li tratenute che aveteavutofatte,evipacherà ilforiere,eoggistesso. Cosí io desse a voce forte: – Menomale, che cosí se moremmo, moremmo contente, perché moremmo senza lasciare debite, quelle cheavemmodebite! Mentre vicino amme c’erinotanteamicemieieche hanno detto: – Quanto parla Rabito, per forza si deve redere. Cosí,ilcenerale,primache si n’avesse antato, ci ha fatto dire la messa al capillano, e poi il foriere ha stato chiamato per farece subito la cinquina. E ci hanno dato perdavero tutte li tratenute di 2 mese, che a quelle che ci avemmo debite ci ha pagatto tutto. Io aveva che non prenteva solde di quanto fuie a Siraqusa, cosí mi hanno datoquaselire30! Cosí, li solde fanno venire la vista alle cieche. Io mi ho preso di coraggio e mi ha passatolastanchezza.Tutele lire 20 li ho dato a uno che eraalcomantodibattaglione, che era addetto alla posta, a fare vaglie, e ci ommantato lire 10 al mio fratello Ciovanni a Pestoia allo spedale, e lire 10 li ommantatoallapoveradimia madre,cheiomifecoravache mantarecelire10perleieera unabuonanotizia. E come il cenerale si ne antò, ci abiammo messo il cuore impace e spetammo il momento che dovemmo aprentere il posto dove potemmomorire. Alla sera, cominciammo a camminare verso dove c’era la querra e cominciavo a piovire, e camminammo con la strada tutta infancata, poi che erimo carrecate come li vero mule ed erimo sempre stanche e bagnate, con la bocca aperta coma li cane arrabiate,ebestimiammo,che d’ognunobestemiavaalsanto prodettoredelsuopaese. Cosí,passareno3ciorne,e mentre che camminammo, venneunoportaordene,tutto sudato,chebestimiavaedera arrabiatopiúdinoie.Equesto ordene era propia l’ordene chedovemmoantareimprima linia,cheerimolondanocirca 20chilomitre.Equestastrada nonerastradacarrozabile,ma era una strada che potevino camminare solo li animale perilpascolo. Cosí, camminammo tutte per forza, come quanto ni avesserodatotantebastonate. E, per quella brutta notte, ci hanno fatto fare 10 chilomitre, e poi ci hanno fatto reposare. E con queste ultime chilomitre di salita, cominciammo a vedere qualchebarellacheportavino feriteeun’autobulanza–che c’eraunastradacarrozabile– che queste ferite di queste barelle, li prenteva e li portavino allo spedale verso Vicenza.Epernoicheancora ferite non ni avemmo visto tante,chemacarecheferiteni avemmo visto non piú di il massemo2,nihaparsomolto impressionanteavederetante ferite. Poi io, che era piaciruso 4, ci domantava a queste ferite di dove venevino,equalchedunoche potevaparlaremidecevache erinostateferiteaValbella.E unmiocompagnocihadetto: – Che ene lontano di qui questopuntoValbella?Cheè unpaese,opureunmonte? E il ferito ha detto che era una crante collina e ni ha detto che ci volevino 8, 10 chilomitretuttadisalita. E infatte, alla seconda notte, venne un altro ordene, che il nostro reggemento doveva antare arraciuncere la Collina dai 7 comune 5, che questa collina era propia sopral’altopianodiAseacu. E mentre camminammo e avemmofatto8,9chilomitre, che stavimo atraversanto umpezzodipineta,checosísi camminava nascosto, ma da una tratto, senza che nessuno ci avesse avisato, li austriace cihannofattounascarrecadi cannonatechepernoihastato il primo crante spavento, che di noi all’impiede non ci ne siammo restati neanche uno, tutte piancento e sbampazate a terra 6. E queste corpe di cannone erino state sparate propia per noi: che sa che ci avesse stato qualche spia... Ma li cannonate menomale chenonhannofattobersaglio, perchédinoicifuunmuorto e una 10 ferite, ma noi abiammo cascato tutte per terra piancento. E cosí, il maggiore Tordo disse: – Che cosa ci porteno affare queste racaciazze che mi pareno soldate di paglia, che quanto hanno veduto e hanno inteso 4 cannonate tutte piancino. Che soldate vercognose che mistaioportannoaValbella! Quinte, il maggiore Tordo ci ha fatto prentere un’altra strada, perché colla nostra venuta ci aveva stato per davero la spia e per questo hanno fatto fuoco, li austriece.Epoisebimocheli muorteerinostato2eliferite 15. Cosí, piene di paura, camminammo. Cosí, recordo che pioveva, e piano piano, sempre stanche, siammo revati nella seconta linia verso le ore 4 doppo mezzanotte, tutte tremante. Cosí, c’erono li ordene pracise. Cosí, ci hanno fatto fermare sempre in silenzio e ci hanno destriboito tante 20 soldate 7 e ci hanno fatto prentere tante caminamente per destribuirese per dove dovemmo essere distenate delleposteavanzate. Io tremava come la foglia, per conto mio. E dicevo tra me: «Ma dove ci voglino portare queste, all’enferno?» C’eraunanebiacheparemmo dentra a una calleria senza luce, e poi macare piuveva, poi che erino li prime momentecheerimoinquelle brutte luoche ed erimo tutte spaventate, e poi che di querra ancora non ni capiemmo,epoicheneanche loro, li sercente, lo sapevino dovenidovevinoportare,che era magare per loro la prima volta che venevino in quella posezione... E cosí, prima di arrevare nelpostoavanzato,sempreal buio, la sentenella ci ha questolaparolad’ordine,che io questo ancora non lo sapeva. E comme c’era un sercente e un caporale, e mi hanno detto: – Tu, Rabito, prente la tua robba e viene comme. E mi hanno portato dove prima quello del posto avanzato montato di sentenellacihadetto:«Parolo d’ordene».Che,conlapaura, non penzaie che cosa ci ha detto prima. Cosí, entrammo in quello posto, che c’erino sachette piene di terra e poi c’era uno raficello 8 con una crotecella che l’avevino scavato i soldate. Cosí, il sercente mi ha detto piano piano:–Rabito,prentesoloil fucile, il pognale e li bombe, eilzainolomettelí,dentraa quello picolo nascontiglio, chepoiloprente. Io, tutto tremanto, faceva come diceva lui. Cosí, mi ha conzegnato a uno vechio soldato che era di vedetta, e solo ho inteso dire: – Ti arrancie tu, Ciampietro! Questoèiltuocompagno. E il sercente e il caporale senesonoantate.Eiorestaie con quello. Che poi, secome erino li ore 5, che non era ancora ciorno e la nebia che c’era, io pareva che non era io, dacomestavoinsilenzio, perché, se prima non faceva ciorno,nonconoscevachiera il mio compagno. Cosí, era messo li lato, con il fucile carreco, il tasco da pane pienodibombeammano,che se avessero scopiato io m’avese bruciato. E mi sento mettere li mano sopra li spalle: – Coraggio, piciotto mio,nontiprenteredipaura, che solo una volta si può morire,mannaiaasanNicola! Cheseisiciliano? Epianopianoiocihodetto disí. –Eoratudevefarecometi dicoio,perchéioave6mese che sono in queste monte di Asiaco e mi saggio bene recolare, mentre tu seie venuto ora, quinte seie impaurito. Io sono calabrise. E la Sicilia e la Calabria, mannaia alla Madonna, ci capiemmosubito. Mentre cominciava a poteresevedere.Emideceva: –Ioho30anni. E io, tutto pieno di spavento, ci ho detto che ci n’aveva18anne.Eluimiha detto: – Sí, lo so, perché ci hanno messo uno di voialtre, che siete picoli, e uno anziano,chesiammoprateche diquerra. E cosí, io vedeva che questo era un vechio con la barba lonca e ni demostrava non 30 anne, ma mi pareva cheniaveva60anne,dicome eraredutto,poverocalabrese. Eio,demiopenziero,diceva che cosí, se non moreva, dovevadeventareio. E cosí, quello mi cominciava a dire che non si dovevaparlareforte,perchéli austriece erino vicine e ci sentevino e ci ammazzavino. Equestoparlavasenzapaura, che pare che era nella Calabria, tanto era pacifico. Però,miparevaunobrecante con quella lunca barba e li capelle che non si l’aveva aciustato maie. E poi mi ha dettochedoveerimonoieera uno posto buono: – Perché li austriece sono di sotta e noi di sopra, quente non puono venire qui a prentirece, solo che ci posseno sparare se sentonobacano. Cosí, io cominciaie a prentere coraggio e cominciaieaquardaretutteli posezione delle firetoie, e Ciampietro mi mollava qualchecozata 9. Mi deceva: – Stai fermo, non essire semprecomelicarusacci! Poi, mi ha fatto vedere dovec’erailpaesediAseacu, che mi ha detto che non era né nostro né dell’austriece. Poi, mi ha detto: – Ora manciammo. Che cosa hai portatodibello? E io ci ho detto: – Pane e formaggio–.Epoiciavevali scatolette. E lui mi ha detto che li scatolette e li callette non zi devino manciare perchésichiamino«viveredi reserba». Cosí io, che mi pareva mio padre con quella barba, lo voleva chiamare «zio Pietro», e lui mi arremproveratoperlaseconta volta, che mi ha detto: – Qui ci dobiammo chiamare tutte di tu, per fina al sercente maggiore, perché li anni qui nonpasseno. Cosí, si ha cominciato a fare bello ciorno. Manciammo. E Ciampietro pareva nelle suoi terre di come era pacifico. E cosí passavo la prima ciornata di trenceia. Per me, cosí, mi cominciaie assecurare, e fermo non ci poteva stare, sempre che voleva uscire dalla trincieia. E Ciampietro ci cominciaro a compiare li coglione e mi ha dato una tempolata e mi ha detto: – Figlio mio, siammo state questacompagnia,chenonci siete state vialtre capellone soldate, e non ci ha socesso niente, e ora che siete venute vualtre, li austriece ci potessero ammazare, perché nonvistatealvostroposto!E siancorafaiecosí,chenonti staiealtuoposto,chevienela spezione, ti faccio dare il campio e comme ci viene un altro! Cosí, di quello ciorno, io faceva come diceva lui. E cosí, alla notte che venne, verso mezzanotte, ci hanno portatoilrancio,cheioaveva ciorne 10 che non manciava. Poi che io e Ciampietro, quello picolo recovero, l’avemmo larecato 10, per quanto, a uno alla volta, ci potessemo fare 2, 3 ore di sognio. Perché il cambio, Ciampietro, non lo voleva maie, perché quello posto avanzato era lo piú meglio postochec’eraneidetorne.E davero se stava bene, e compattemente non ci n’erino. Se sentevano tante cannonate, ma non erino per noie, che nelle posezione nostre c’era la carma. E Ciampietro diceva: – Vede quello monte dove spareno sempre? Si chiama Monte Fiore –. Ed era umposto avanzato per li austriece. E secome era molto alto, per questo che non potiammo avanzare,l’italiane,acausadi questoMonteFiore. E neanche potiemmo antarealpaesediAseaco,che c’eratantolavorodifare,che ad Aseiaco c’era un crante diposetodifilospenatoenon sipotevaantareaprentereper fare li ratecolate, perché li austriececisparavino,cheera tutto alla vista di questo MonteFiore. – Ma qualche volta, Rabito, – mi deceva Ciampietro, – se vedrà qualche spavento, che li taliane, tra qualche ciorno, vedraiechevienel’ordenedel comando cenerale, e lo prenteranno sicuro. E tu vetraie quanto morte e ferite che ci devino essere... – Che poi mi racontava, questo Ciampietro, che questo Monte Fiore l’avevino preso li austriece da un anno. E cosí, tutto quello che diceva Ciampietroeravero. E cosí, venne il porta ordene, che gli faceva capire – non derettaminte ai soldati, ma l’ordine lo portava al comando di battaglione, che noi lo abiammo saputo lo stesso–chefra4,5ciorneci doveva essere l’ofenziva per prentere Monte Fiore, e la nostra bricata doveva fare questosacrafizio. Cosí, di Vecenza hanno fatto venire 2 battaglione dellacompagniadimorte,che questi battaglione di morte erino tutte Ardite, e tutte delinquente, tutte fatte uscire a posetamente della galera propia per queste deficile imprese. E poi, d’ogni battaglione di queste, erino 1.000 soldate di queste soldate delenquente, quinte erono3battaglione.Elistessi oficialeerinodelinquente.Poi queste, quanto davino l’asalto, quello che dovevino fare l’avevino a fare in 3, 4 ore, e in queste 3 o 4 ore la posezione vero che la conquistavono,enipartevino 3.000 di queste malantrine soldate vive, ma ne potevino retornare 300, perché totte li mazzavino, perché certo che uno che va nella casa del’altro sempre ci aveno la peccio. E poi che, queste Ardite, dell’austriece erino prese di mira, perché portavino il destentivo della morte.Equantoliprentevino pricioniere,primacifacevino tante sfrecie, che magare ci bruciavino li coglione, e doppo che si passavino tante piacere, non li prentevino pricioniere,malimazavinolo stesso,perchéquellocheloro facevino lo facevino volentarie, mentre annoi, se niprentevinopricioniere,non niammazavano,nilasciavino vive. Cosí,questeerinoilveleno dell’austriece. Cosí,quellamattina,hanno venuto queste fanatice soldate, senza portare né zaino e coperte e né niente, neanche manciare, solo una ciaccachedidietroallespalle c’era una crante tasca, la riempevino di bombe, il pugnale nella bocca e il moschetto con la baionetta incastata 11 e partevino come tante cane arrabiate. E poi, prima che partevino, si bevevino mezzo litro di licuore, e magare se umpriagavino. Manciavino bene,lamosecaavevino,una bamdieraitalianaportavino,e partievino con tutto il coraggiocheavevino. E quella matina, verso le ore5,hannodatolasaltoalla fortezza di Monte Fiore all’improviso,butantobombe in quelle trencieie come li diavole, che hanno fatto una carnificina; li artigliarie che sparavino, sia li nostre e chelle suoi, che il Monte Fiore era deventato una vampa. E cosí, alle ore 10, MonteFioreeraun’altravolta italiano. E compuro che c’era la nebia si vedeva che il monte erarosso.Etantoromoreche se senteva di bombe e di cannonate,epoichelicridee il pianto si senteva di dove eraioeilcalabrise.Elaterra tutta tremava, e io e Ciampietro tremammo come tremava la terra, perché avemmotroppopaura.Amme mi pareva una festa, a quardare quel monte, perché aveva visto tante fuoche alte uficiale 12. Ma Ciampietro, che ci aveva stato nelli bataglie, si vedeva che ci stavino scapando li lacrime, perché sapeva che, quanto li Arditeprentevinoquelmonte, poi tocava annoi antarece e starece per adefenterlo, perché le vero quaie erono doppoconquistato.Chepoili Ardite – quelle che restavino vive – si n’antavino, e noi dovemmostarelí,anonnilo fare levare un’altra volta, perchéliaustriacefacevinola contra afenziva e noi la dovemmoreparare. Cosí, venne l’ordene di avanzare anche noi, e antare in quello Monte Fiore pieno di catavore. Povere descraziate, quanto ni morevino! Cosí, tutta la bricata Ancona antiammo lí per fare la resestenza, che li austriecehannocontraatacato e li nostre comantante credavino: «Avante Savoia!» E noi, tutte con bombe ammanoebaionettaincastata e pugnale e bombe, che li Arditelistapevimofannonoi, che prima di arrevare al monte, caminanto caminanto, di quanto morte e ferite che c’erino, non avemmo dove metterelipiede. Questa fu la prima battagliacheiohofatto.Che, della nostra bricata Ancona, ni hanno ammazato, li austriece, piú della mità, che poi pianto e lacrime ci ne forenotante... Cosí, Monte Fiore restavo ammano annoi e li austriece sinedovetteroantare.Ecosí, anoizapatore,cihannodetto che vedetta non ci ne facevino fare piú, e ci facevino fare di sepolire muorte,faretrenceieefareil soldatozapatore.Cosí,ebimo iltempodisepolireunametà di catavere, e facendoce li buche nella terra, metendoce una delle suoi coperte e levandoce il piastrino di reconoscimento per vedere comesichiamava.Poi,doppo seppellito, ci metiemmo una crocetta. E cosí, amme, tutta la paura che aveva, mi ha passato, che antava cercanto li morte magare di notte, che deventaie un carnifece. Impochi ciorne sparava e ammazava come uno brecante, no io solo, ma erimo tutte li ragazze del 99, che avemmo revato piancento, perché avemmo il cuore di picole, ma, con questa carnifecina che ci ha stato, deventammo tutte macellaiedicarneumana. Cosí, avemmo visto milliaia di ferite che credavinoecorrevinocomeli pazze,coniltandodoloreche sentevino, poverette, e ce n’erano che moreva nella barellaementrechecorreva. Cosí, quelle che restammo vivi cercammo li amice, e li amice non si potevino trovare, perché chi era morto e chi era ferito e chi era pricioniere.Ilfattostacheio, aCiampietro,nonl’hopotuto vederepiú. Epoicheliaustrieceper2 ciorne non ci l’hanno voluto fenirepiúditerarecannonate sopra Monte Fiore. E per tre ciorne fuommo abandunate del Padre Eterno, senza rancio e senza dormire, perché li mule che dovevino portare la spesa erino morte pure, e poi che la strada era tuttavoltatasottaesopracon li cannonate. Ed erimo tutte strapateepienedifanco.Eil nostro elimento era la bestemia, tutte l’ore e tutte li momente, d’ognuno con il suo dialetto: che butava besteme alla siciliana, che li botava venite, che le butava lompardo,echeerafiorentino bestemiava fiorentino, ma la bestemia per noie era il vero conforto. E menomale che in certe taschedellemorteaustriececi trovammo una scatola di trenciato per fare segarette e fumare, e magare qualche scatoladicarne,matenemmo paura che avesse potuto essere macare avvelenata e tiniemmo paura di manciaranilla e moremmo di fame. Che brutta vita che ha passato, questo Rabito Vincenzo! Cosí, tutte quelle che restammo vive del 2conto reparto Zapatore, tutte fuommo chiamate per vedere quanto ni avemmo restato vive. E cosí, vennero altre soldate e hanno di nuovo remporzato il reparto, che erimoun’altravolta70. Tutte erimo redotte senza penziero, erimo tutte inrecanoscibile, erimo tutte abandonatedelmonto. Poi,iohaparlatodiunodei portaferite che volevo sapere se dorante questa sanquinosa bataglia se avesse carrecato nella barella un certo Ciampietro Francesco, che l’avessero portato per caso all’ospedale. E responte un altrochemihadetto:–Sí,ci l’ho portato propia io all’ospedaletto da campo, e però era ferito cravemente e nonsisasecampa,perchéera ferito di una schecia di cranata. E cosí, io disse: «Poveraggio,chefacevatanto coraggioamme,eavevastato 2volteferito,ela3,forse,ci ha tocato di morire. Povero zio Pietro, come mi voleva bene,comeseavessestatoun suofratellopicolo...» Per 2 ciorne si ammesso a cascareneve,emuortenonzi ne potteno cercare piú. Quinte, per sepolire muorte, doveva venire la primavera. Ma li muorte che restareno sutta la neve, certo che non puzavino. E quinte, venne l’ordene di lascialle stare. E quinte,dissemocheinaprile, se siammo vive e siammo ancora qui, reprentiammo il lavoro e siquitammo a fare li bechine. E quinte, tutte li ciorne cascavaneveefacevafreddo da morire, ma non zi compateva, però. Quinte, quelle soldate delle compagnie facevino li vedette, e li zappatore antiammo allavorare tutte li ciorne. Ammenzanotte veneva il rancio e manciammo il rancio. Lo portavino con li mule. Certo che noi dovemmo fare magare la manotenzioneallastradache portavino il rancio, che certe volte li altigliaria austrieca rompevino la strada, e noi zapatore subito, di notte, la dovemmo reparare, perché altremente il manciare non veneva. Semorevadelfortefreddo, che tutto chiachiava 13. Li piede ci achiachiavono tanto che c’era una scuadra di portaferite a posetamente per incrasare 14 li piede, per non ni concelare. E poi pasavino magare i comantante per vedere se li piede l’abiammo incrasate. E se non ci le volemmo incrasare, non ci davino da manciare per ponezione. E con tutto che li piedeliincrassammosempre, 4, 5 al ciorno partevino per l’ospedale con li piede concilate, poi che soldate ce n’erinotantedelinquenteche, perfareseconcedare,lipiede, prima si le facevino incrassare e poi si lavaveno con la neve, e poi ci li mettevino aposta immienzo alla neve, per non fare la querra. Ma io questo non lo faceva, perché uno male sopra la mia persona non l’aveva il coraggio di faramillo. Cosí, una notata io mi senteva che mi stava comincianto a concelare il ditocrantedelpiededestroe, subito subito, lu ho detto al capitano medico e mi hanno mandatoall’impermaria.Eio miavevafattoilcontochemi lo dovevino curare, e invece, senza che io mi ne sono alcolto15,commehannofatto, mihannofattomettereafacie abucone16sopraunletto,mi hanno detto che mi incrasavino li piede, e invece questo lazzarone capitano medecoprentelaforbiceemi ha tagliato mità del dito, quella mità che stava concidanto, che mi ha fatto sentere un dolore di morire e iohobutatounauce 17chea tutte li ammalate li ho fatto sbegliare.Eilcapitanomiha detto: – Hai fatto bene a venire al tempo ciusto, perché, se ancora non venevito,ticoncelavatuttala camba. Mapropiaquellanotte,non zipottecapirecomehastato, selasentenelladormeva,seli contecentehannosbagliatola strada, opure c’era qualche spiata piede piede (perché con noi c’erino che facevino li soldate magare citadine di Aseaco), il fatto sta che li contecente, invece di portare il rancio annoi, lo hanno portato alli austriece. E io, quella notte, dovette sobire il dolore, e il manciare non venne. E, quella notte, neanche li sentenelleaustriecesinesono acolte che nella linia entravino li contecente italiane che portavino il rancio. Cosí, li austriece, tantecentile,sihannopresoil manciare. Li condecente neanchesinesonoacorteche erino con il nemico, perché erino vestite di bianco, e l’italiane erimo vestite di bianco pure. E li austriece si hannodevisoilrancio. Mailcaporaleitaliano,che come consegnava il rancio ci dovevinofermareilraportino, ehavistocheerinoimmienzo alliaustriece,sihannomesso a piancere, li nostre contecente, che poi questo fatto mi l’hanno racontato loro. E mi decivino che quanto li hanno mantato intietro, e li vedevino che piancevino, li austriece ci decevino:–Nonpiancete,che non vi prentiemmo pricioniere e non vi sparammo, anzi, ci dovete direaivostrecomandanteche domane notte lo dovete portarepiúprestoilmanciare –.Eciavenodettomagare:– BuonefestediNatale. E quelle sbenturate contecente, compreso il comantante, si ha presentato nelle nostre linie senza portarene manciare. E tutte, con la rabia che avemmo, perché restammo senza manciare, alli condecente li voliammoammazare. Recordopoicheerapropia il ciorno di Natale, e propia quella notata si aveva presentato alle nostre posezione un soldato austriecocheparlavaitaliano, e forse era di Trieste, e disse che si voleva rentere come pricioniere, e cosí la sentenella non ci ha sparato. Eiolotenevainconsegna. Propia quella ciornata era di dominica e il prete ci ha portato sotto li albere per farenesentirelamessa,come tantedomeniche.Ecosí,ciha venutoilpricionierepure,alla messa. Cosí,quantoilpreteaveva fenito di dire la messa, e cometantevolterepetevache ilDionidovevadarelacrazia di vincere questa sanquinosa querra e scacciare il nostro potente nimico, che come il pricioniere intese quella parola del prete, che «il Dio ni doveva fare la crazia di scacciare il propotente nimico»,siammessoaridere e senza tremare ha detto: – Qualdachesonotuttelistesse li prete, che la domenica passata il nostro prete ci ha detto,quantocihannoportato allamessa,cihadettopropia li stesse parole, che il Dio ci aveva a fare una crazia, che l’Austriadoveva«scacciareil suopotentenemico»,cheene l’Italia, e «vincere questa sanquinosa querra»… – E il triestino redeva, e non sapiammoperchéredevaeni parevacheerapazzo,epoini ha detto perché rideva e ha dettocheforsecisono2Patre Eterne, uno è in Italia, e uno ene in Austria, e non ci capeva niennte, e rideva e feceredereatutte,cheilprete siavevacompiatolicoglione e ni ha detto: – Che ci l’ha portatoaquestochevacontra la relicione? Portatolo fuore dellamessa! Cosí,iominesonoantato, perché il prete si aveva innervosito. E poi lo hanno portato al campo di concentramento, ma era uno chedicevalaveretà. Quinte, se senteva molto freddo,manonsecombateva. E poi che la neve aveva celato, faciammo recovere propiasottalaneve,perchéil chiaccio era piú forte della pietra, e poi, dentra queste picole recovere, magare faceva caldo, e quanto pioveva e cascava neve stiammo dentra a queste recovere e ciocammo alle carte. E cosí passammo quello maledetto tempo. Per noie queste recovere fatte di neve e chiaccio pare che fossemodentralicafè! Poi,quantononnevecavae non piuveva, faciammo trenceie. Poi, noi zapatore avemmoilcompitodimettere li trapole nei poste avanzate, propia vicino alle retecolate nemice, che queste trapole erino come li trapole dello celle 18. Però, quelle dello celle erino picole, perché servevino per incagliare ucelle, mentre quelle trapole chemitiammonoi,dilàdella prima linia, erino trapole crante, per incagliare soldate, con un circolo e spontune crosse,chequantounsoldato camminava a strescione per terra, basta tocarlle ammalapena con una mano, macare liciera 19, e quelle sparavino 20, e il soldato restava impecicato, che se ci incagliava il collo, quanto camminavaconlapanciaper terra, poteva sofogare e morire, e invece, se lo prenteva per una campa, remanevaferitocravamentee nonpotevacombatterepiú. Poi, noi zapatore, avemmo il compito pure di fare cavallette di Frisa 21, e poi, doppo fatte, li dovemmo antare a tacare 22 nei reticolate. E sempre questo lavorosidovevafaredinotte tempo. Quinte, come li facemmo, li carrecammo e li portammo dove ce volevino, perché li austriece, certe notate, con li pinze li tagliavono, allo scopo di farese dei passacie. E cosí noi, queste rotte, li sostotoveremo. E cosí, portammo sempre cavallette, equestecavallettediFrisadi filo spenato venevino fatte dentraaunacrantecrotta,che l’avemmo fatto noi stesse, lontano dalle poste avanzate. Poi, alla notte, li antiammo a tacare ai retecolate, propia a 50metredeliaustriece. Con la trasuta dell’anno nuovo,pernoifuunafortuna, che lí, amMonte Fiore, ci hannoportatounobattaglione diamirecanecheconfenavino conlanostrabricataAncona. E cosí, il manciare annoi in trenceia ci n’arrevava piú assaie,perchénoi,conladata delprimodell’annodel1918, ci l’abiammo passata meglio, perché c’erino allato di noi l’amirecanechecombatevino. Poièche,conquellapresa di Monte Fiore, si poteva lavorare magare alle porte di Aseaco, mentre prima non si ci poteva lavorare, perché Aseaco non era né italiano e neanche austrieco, e quinte solo li patuglie ci potevino antare, sia li patuglie austriece e sia le patuglie italiane, alla notte. E co’ ’sta presadiMonteFioreerimoa posto. Pacienza che avevino morto 8 mila soldate dei 3 battaglione della compagnia di morte, che quase quase stavino morento tutte in tre ore di combattemento, e 12 milaforenoiferite! E magare il tenente Sparpaglia era antato allospedale, emmacare io aveva auto ferito un crante amico mio che si chiamava Strano Ciovanni, che era di Ciarre 23, vicino Catania. E Sparpaglia mi ha detto: – Rabito, tu non antavito di acordio con quello che portavitolicavallettediFrisa nellenostreretecolate,maora ti viene il compagno, che io oggi sono stato allo spedale, pervederesenelbraciocisia qualchepallotela,ehovistoa Strano, che sta reantranno qui,epertequelloeneilvero compagno, che io so che antatediacordio. E cosí, alla sera, davero venni Strano Ciovanni. E, come venne, subito ci abiammo baciato, e mi ha detto:–CaroVincenzo,sono sfortenato,cheperforzadevo morire. Io, alla mia famiglia, ciavevascrittocheeraferito ed era fortenato che, come quareva,midavinolalicenza, e la mia famiglia mi aspetavino per questo maledetto Capo danno, e invece mi hanno portato qui –. E bestimiava come un zeracino 24, perché aveva 10 mise che non vedeva la famiglia. E io ci diceva: – Pacienza faciammo, Strano... – e ci comportammo uno con l’altro 25. E una volta bestimiava io, e una volta bestimiavalui. E se faceva una vita che non la fanno nessuno dei pecciocondannatedelmonto: stare immienzo alla neve e il chiaccio, a 17, 18 anne, e anze, menomale che abiammo al bravo tenente Sparpaglia, che per noi 2 era unveropadre. Cosí, io e questo Strano Ciovanne erimo come li coglione, che sempre erimo inziemme. Cosí,ioeStranoCiovanni, questo cavalletto, di matina alla sera lo preparammo, e poi, quanto era fatto, stapiemmo dentra alla crotta. Ecomevenevalanotte,nilo carrecammo sopra li spalle e via. E piano piano, senza farere romore, andavamo a posizionarlo. Io, la strada, la sapeva, perché ci aveva antato prima. Però, la strada nonerastrada,maeraterreno pieno pieno di pietre, e terreno pieno di scatolette vuote, che prima in questo punto c’erino li cucine, che un anno prima, voldire nel 1916, ci ha statto una forte sconfitta per l’italiane, che li austriece hanno avanzato circa 10 chilomitre, che fu propia cuanto hanno preso pricioniere a Cesare Batista, che ci ha stato una crante perdetaperl’italianeche–ci lo decevino quelle che ci avevinostato–sichiamavala «retradadelTrentino»26. Cosí, li terre restareno piene di latte vuote. E se camminava, speciramente di notte, carrecato, non sapeva dovemetterelipiede.Esele metteva sopra queste latte e faceva sentire al nemico, il nemico, come senteva, sparava.Emagareunodinoi, conlipiede,siimprogliavae cascava per terra, e cosí li austriece ci ammazzavino. E poi magare, cascanto, se poteva rompere la faccia e il nemico poteva sentire il romore. Epoichenonc’eranesuno che ci dava aiuto, perché erimo sole, io e Strano, e quinte, quanto ci socedeva unadescrazia,lopiúassaiche poteva fare era che uno si doveva carrecare all’altro senzafaresesentire,perchéil puntodovedovemmoatacare questecavalletteeraalleporte del paese di Aseaco, che il paese era diserto e nella citatella d’Aseaco era stata bombardata diverse volte, e tutte li case erino rotte, e qualche soldato che conoscevaAseacodicevache ci potevino essere una cinquantina di persone paesane, ma paesane stubite, perché se non erino stubite non ci stapevino, perché si moreva sicuro. Ma queste erino acente molto vechie e non avevino paura della morte, e poi perché non volevinolasciarelasuacasa. Poi del paese non avevino scapato solo li acente, ma avevino scapato tutte li animale volante, voldire li colompe e li ocelle tutte, e avevino scapato li gatte, e hannorestatosololitope,che letopesenzadellegatteerino deventate come tante coniglie. Quinte, io e Ciovanni, quanto faciammo il viaggio perportareilcavallettoopure li trapole, erimo perecolose sempre, perché queste tope il manciare l’avevino, prima di tuttoperchéc’erinouncrosso concimaio di osse, come una specie di crante fosso, che l’anno prima, quanto c’erino li cucine, tutte li osse della carne li portavino in quello deposito, e li tope camminavino a 100, a 150 tutte inziemmo, e apena sentevinoromure,liaustriece ci pare che erimo l’italiane che volevino entrare, con quelloromorechefacevinoli tope, e sparavino, e stapemmo, io e Ciovanni, tanta piene di paura sempre. E poi, certe volte, quanto se smovevino tutte un corpo, queste crosse surcie, ni parevachestavinoentrantoli austrieceadAseaco. E cosí, questa vita si ha fatto di antare immienzo alla neve per fina al mese di l’urtime di marzo. E lavorantoconunopuntiglio... neanchefossemoinunaditta. Senza che nesuno ci pagava. Era la butana Madre Patria che ci doveva pagare con 12 soldealciornoesenzadarece un soldo alle famiglie che morevino di fame, comincianto di mia madre, che aveva 2 figlie, uno allo spedaleferitoeiochedauno momente all’altro poteva morire. Che descraziata vita passata!Quantotempeamare io ho passato in questa mia descraziata vita! Quanto doloreiohosentitonellamia vita! Cosí,lapagachecidavino era solo che, d’ogni 15 ciorne,cifacciammolire8.E questa era la paga del lavoro perecoloso che faciammo! E di ogni mese potiammo quadagnare lire 15 o 16, e d’ogni tanto receviammo qualche lettera della famiglia... e tutte li parole scritte erino scancellate. E quelle che scrivemmo noie, quelle che dicevino: «Cara madre, stiammo bene e servemmolaPadriacontutto ilcuore»,lacenzuralilassava passare, queste lettere, e lassava passare piú presto quelle che scrivevino: «Cara madre,iovogliomorireperla Padria». E ora, questa desonesta Padria, doppo 50 annediaspetarequestorecalo che ci ha promeso di una fedenzia di lire 5 al mese, quelledesonestepiúdiprima non ci li vogliono dare, descraziateecornute! E ancora hanno la sfaciataginedidire:«Padria», chesonodelenquente,cheio, semuoro,quellochel’ultima parola che io ce devo dire è: «Sputatece a questa Padria, perché non hanno coscenza pericombatentedellaquerra 15-18!» Ognitanto, recordo che se prenteva qualche pricioniere che se presentava alle nostre linie perché con li austriece piú non voleva combatere, e poi che queste che se rentevino non erino vero austriece,maerinoquelleche dovevino essere italiane, voldirediTrento,diTrieste. E poi ni decevino, questi prigionieri, che li austriece e li tedesche stavino per fenire il manciare. E secome di questecin’erinocheavevino molta scuola, e ni facevino capire che verso maggiociugno li austriece e li tedeschesistavinopreparanto per fare una crante ofenziva, che volevino a trapassare il Piave e volevino conquistare tutto il Venito e dovevino portarel’ItaliaperfinaalPo, che cosí prentevino tutto il manciare che c’era nelle 7 provincie del Venito, che volevino fare un’altra avanzata lo stesso di quella cheavevinofattoaCaporetto. E questo lo dicevino li pricioniere che prentiemmo, che li austriece stavino morentedifame. Quinte,sivedevacheerino piúdescraziatedinoiitaliane, queste povere soldate austriece,perché,provanisia che, quanto c’era ummourto austriaco e ci volemmo quardare che cosa ci avevino nelletasche,noncitrovammo mai cose per manciare, solo ci trovammo fomare e cartuccie e bombe ammano. Sempre avevino cose per ammazare,nonpermanciare. Quinte stavino piú male di noe. Poi, come dicevino l’antiche,cheilprovebionon sbaglia: «Quanto scuaglia la neve, si dovevino vedere li portusa 27». E si aspetava propio questa discrazia della primavera di scuagliare la neve. Da quando c’era stata quella crante e sanquinosa batagliadiMonteFiore,tutte li catavere che non avemmo potuto sepelire li zapatore, perché si erino sepellito di neve,ora,scuagliantolaneve, cià si cominciavino a vedere. E siccome avemmo l’ordine di cercalle e usciemmo fuore della trinceia, li austriece sparavino. E ni stavimo rovenanto, con il tempo buono... Ed era meglio l’inverno che, magare che c’erino tempeste, si cercava direparare,manonsimoreva come si muore ora, con questebelleciornate. E annoi ci avevino pure abisatocheliaustriececiàse stapevino preparanto per butare casse 28 e farene morire piú presto. E noi aspetavimo propia questo bellaprimavera! Cosí, noi cominciammo a riempiretantesachedipaglia fraceta e bagnata, e meterle dentra alle trinceie, e quanto sonava la larme, che li prime che lo sentevino decevino: «Gasse! Casse!», tutte li soldate dovemmo dare fuoco a quelle sachie bagnate di paglia, immaniera che facevino fumo e il casso si n’antavaperl’ario,ecomese n’antava il fomo, si n’antava il gas. Cosí, non si moreva. Ma se, percaso, non ci ne acorceva nesuno, di questo casse che abutavino, in 5 minute potiemmo morire sofocate tutte, perché la maschera non c’era tempo di poterlla mettere. E quinte, li coseantavinopecioranto. E recordo un ciorno, che stavimo facento un crante fosso per sepelirece una ventina tutte in una volta di catavere, che il capellano venne aposetamente per derece la santa messa e sepelille tutte inziemme, per non fare tante fosse. E poi, come li abiammo sepellito, il tenenteSparpaglianihadetti: – Rabito, ora fatemi il faore che ci sono 2 mule muorte che fanno puzza, con queste belleciornate. Cosí, li abiammo sepellito di notte, facento una fossa prefonta,epoi,conlacetta29, ciabiammotagliatolicampi, perché non li potemmo sepelire. Ed era di notte, e forsecheilcechinohainteso remore ha cominciato a sparare,perchésicredeviche stavimocostruentounfortino, e cominciavo a trare cannonate propia in quello fosso che avemmo fatto. E c’erino 3 che stavino livanto la terra, e io e Strano erimo messe dentra il recovero per fomarene una sicaretta, e intantoquellibutavinoconle pale la terra fuore, che ci dovemmometterelimuleche puzavino. Venne una cannonata austrieca di crosso calibero, che per mezza ora cascavino terra e pietre dell’ario, ma annoi non ci ha fattoniente. Quelle3poveredescraziate che levavino terra invece foreno sbatute per l’ario, con quella micidiale cannonata, e icorpidellemoleforenototte spezate, che non ni abiammo fatto capace piú dove era antata la carne delle mule. E li 3 morerino e il fosso si ha fatto per 20 volte piú lareco diquellochestavimofacento noi. E cosí, quello fosso non serbevo piú per li sole mule, ma servio magare per li 3 soldate, che li dovettemo sepelire tutte in quello crante fossa, inziemme alle mule, che non sapiemmo se era carne di mole o carne di soldato. Ormai aveva 6 mese che erimo nella trinceia, e il comantante della bricata Anconaforseforsecheaveva fattoladomantadifaredareil campio. E davero passareno 10 ciorneesisebelanotiziavera che ci ne dovemmo antare, chelabricataAncona,doppo 6mesedistareimmienzoalla neve e immienzo al chiaccio, finarmente si n’antava a reposo, che ci dovevino dare il cambio 2 reggemente francese,che,comesideceva, li francese con li Alpe e con la neve c’erino piú abitovate dell’etaliane. Io diceva: «Ma allora questa querra deve durare ancora un altro anno, perdirecechelifrancesecon laneveerinopiúcapace…» E cosí, per il primo, abiammopartitonoizapatore. Tutte in zelenzio. E ci abiammo portato tutta la robba che avemmo, che uno dinoilopiúpococheportava di peso portava 50 chile. E poi l’altra robba l’hanno carrecato sopra li mule del battaglione e per tutte quella notte ci ha stato una crante cioia,checiallontanammode quelle brutte posezione. Non potiemmo cantare, perché li austriece ci sparavino, e ’sta partenza fu fatta senza dire unaparola. Pare che avemmo state 30 anne in carcere e fuommo acraziate, di come erimo contiente. E cosí, di notte sempre, incontriammo una fila di soldate francese che salevino piano piano, pare che staveno antanto alla forca.Maquantopassareno2 ore,chepotevinoessereliore 3, che noie ci abiammo allontanato 8 chilomitre dalle posezione, si ha aperto un forte bombardamento. E questo ha stato perché di quelle posezione ci avevino levato all’italiane e ci hanno portato alle francese, che ci forenotantemigliaiadimorte di taliane che stapevino smontando e di francese che stapevino montando. Quinte li austriece sapevino tutto. E il nostro reparto Zapatore presemo il solo spavento, ma nonhamorutonesuno,perché fuommo fortenate che abiammopartitodaiprime. Non ci deceva nesuno la veretà dove ci portavino, ma cantammo, compure che erimo stanche, perché ni avemmo levato di quelle monte, che li francese, a li austrieche, come ci n’antiammo noi, ci l’hanno levato. Ma poi, doppo 3 ciorna di camminare con le zainapienedirobeecontutte quelle atrezze di zapatore, non ci la faciammo piú, e invece di cantare bestimiammo e dicemmo tutte: «Ma perché non ci dovevino fare morire ad Aseaco che ci stanno fanno morirestradestrade?» Li oficiale quardavino e ni lasciavinoparlare,maperòlo dicevino che avemmo raggione, ma loro però zaino non ni portavino, e poi come ni sentevino, ni decevino: – Fate silenzio! Non parlate assaie,chestiammorevanto. 1 teniche:esercitazioni. 2 Schio. 3 Asiago. 4 piaciruso:curioso. 5 L’altopianodeiSetteComuni. 6 sbampazate a terra: buttati per terra. 7 tante 20 soldate: in gruppi da venti. 8 raficello:interstizio. 9 cozata: botta scapaccione. 10 larecato:allargato. 11 incastata:incanna. sulla nuca, 12 fuoche alte uficiale: fuochi artificiali. 13 chiachiava:ghiacciava. 14 incrasare:mettereilgrasso. 15 alcolto:accorto. 16 afacieabucone:conlafacciaa bocconi. 17 hobutatounauce:hogridato. 18 dellocelle:degliuccelli. 19 macare liciera: anche leggermente. 20 sparavino:scattavano. 21 cavallette di Frisa: cavalli di Frisia. 22 atacare:adattaccare. 23 Giarre. 24 zeracino:saraceno,turco. 25 ci comportammo uno con l’altro:ciconsolavamoavicenda. 26 La cosiddetta Strafexpedition austriaca, iniziata il 14 maggio 1916 e conclusasiil2giugno. 27 liportusa:ibuchi. 28 casse:gas. 29 lacetta:l’accetta. Capitoloquarto AtuornodelPiave Fenarmente, doppo 4 ciorne di marcia, sempre caminantoapiedeecarrecate, e non in una strada, ma camminare montagne montagne, dove li strade erino rotte delle cannonate e bombardate, e ci hanno portato nella provincia di Venezia, vecino umpaisetto chiamato Fornacie, e vicino MeviloeFossaAlta,evecino SantaDonatodelPiave1. Avemmo fatto piú di 70 chilometre! Erimo lontano 10, 12 chilomitre del Piave, voldire 12chilomitredellaliniadove c’era il nostro nemico. E abiammo fatto li tente, compurecheerimostanche,e ci abiammo messo a dormire impace. E questa fu la prima notte che abiammo passata tranquilla. Allamatina,sbeglianonci ne fu, solo che ci hanno destrebuito il cafè, ma senza direce: «Alzatevi». E cosí, doppo preso il cafè, ci siammo dormentate un’altra volta, poi che erimo racazze che, facento una buona dormitaeunabuonareposata di 15, 16 ore, cià erimo a postoun’altravolta. Io, con Strano, cominciammo a vedere borchese fimmene e uomine, chespeciarmentecheaveva6 mese che avemmo deventato tutte impotente, che non avemmo auto contatto con donne. Poi, cercammo dove c’era ilpostodovefareneilbagno, che c’era una crante stanza con una bellissima vasca a pacamento,conacquacaldae fredda. Cosí, uno con l’altro, ci abiammo zaponato, che aveva venuto una spedezione di 4 persone con uno tenente di ogni compagnia, e poi volevinosapereseciavemmo lavato bene. Poi, ci hanno campiatotuttalabiancheria,e cosí, davero, ci abiammo sentitodiessereimparariso. Per 3 ciorne nesuno ci ha comandato; ci hanno tenuto libere; magare nella libra uscitanoncifuappelloper3 ciorne, che quanto vogliammo rientrare, rientrammo. E cosí, povere borchese che hanno capitato immienzo annoie,poveredonne,povere signorine! Tutte voliemmo essere fidanzate, tutte volemmo avere una innamorata per conto propia, tutte scrivemmo lettere d’amore alle donne, magare cheerinomaretate. Poi che ci avevino fatto tante pache nell’alto piano di Aseaco, e solde non l’avemmo speso, perché non c’era stato maie niente di comperare – ma io però, li solde, l’aveva mantato a mia madre, ma ce n’erino tante chel’avevinonelletaschie.E cosí, hanno cominciato a comperare butiglie di licuore e butiglie di profumo e fare recale a queste ragazze, allo scopo di farese amice e poterlle fottere. E cosí, con questalibertàcheavemmoha dorato poco, perché ha socesso un bordello, e si ha fenuto presto questa libertà, che ci foreno migliaia de recrame, perché noi non lasciammo impace alle borchesi. Edoppo5ciornediquesta vita di mascalsone, cominciarenoun’altravoltali marcie, li sofrenze, il lavoro, lo zaino a spalla. E per tutte le strade del Venito ci facevino marciare. E per le strade,quantosiincontraveno femmene,tuttelidiciammola nostrae,povereragazze,non li lasciammo camminare impace.Epoie,magarec’era qualche soldato di quelle delinquente che erino capace didareceunobacioperforza, e venevino stuzicate tutte, e magarepizicunaerinocapace di darece, e quelle ragazze erino tante scantalizate che magareprentemmotempolate nellafaciaelioficialesempre scrivevino bigliette di pricione. Una volta, amme personalmente,mihacapitato propiamme che io mi aveva fattoamicoconunafamiglia, che in questa famiglia erino umpadre,unamadree4figlie femmene,epoiciavevinoun figlio mascolo. E queste 4 figlie fimmene erino signorine,etutte4facevinoli saltepervestitemiletare.Non erinosaltediquellebrave,ma si chiamavino salte lo stesso, emagaresteravinoelavavino biancheria. E quinte, dentra quella famiglia, alla sera sempre c’era trafico di soldate. E uno di queste era io, che sempre ci antava a passareme il tempo e poi portarece della roba per faramillalavare,perchéaveva io la fortuna di faramici amico,perchécommec’erail fratello di queste signorine chefacevailsoldato,maperò non era zapatore, era della 5 compagnia, sempre dello stessoreggimento. Cosíio,quantociantavaa passareme umpoco di tempo, non ci antava maie con amice, e neanche a Strano Ciovanni ci portava, perché quanto uno porta amice dove cisonodonneciportanimice, perchéc’enesempreciolisiae disoldene. E quinte, io ci antavasempresolo. Cosí, una sera, io ci aveva portato umparo di mie pantalone per fareamille aciustareepoiperpassareme umpoco di tempo, e poie che questa famiglia ci avevino una machina parlante e una chitarra, sempre c’era di devertirese, paura non ci n’era,chelaliniadifuocoera molto lontano. E poi che si potevadevertire,perchéc’era uno acordo per tutte li nazione che erino in querra, che non potevino sparare dove abitavono popolazione civile, non si poteva bombardare, e quinte si potevinodevertireassonare,e tutte li voce che se potevino fare, si potevino fare, che bombenonnibotavano,néli austrieceeneanchel’italiane, equintenonc’erapaura. E quinte, io ci ho portato queste pandalone per aciustare e poi prenteremille all’indomane sera. Con questotraficochec’eradentra a questa casa, certo che li stubiti soldate ci pareva che c’era bordello. E tante soldate, che vedevino soldate lí dentra, penzavino che si facevacosa,esifacevapilo2 dentra a quella casa. Specialmente quelle soldate che erino della terra matta di Sicilia penzavino che in quella casa ci fosse il casino con quelle 4 sorelle, mentre nonc’eranientediquelloche penzavino queste stubite soldate. Ma io era sempre solbegliato di un mio stubito paesano che voleva sapere tutte le sere dove io antava, perché ci faceva rabia; che questo cretino paesano era che si credeva che era piú bello di me e amme questa famigliamidavacompedenza e lui niente. Ci aveva una rabia e una ciolizia 3 incredibele, che per forza volevaentraredoveantavaio, ed era per questo che mi faceva la posta, per vedere il perché io aveva questa amicizia. Questo si chiamava Tano Saponaro, che erimo amice d’infanzia, ma io, alla sera,commenoncilovoleva, perché era una bestia nello raggionare, speciarmente quanto c’erino femmene: lui, magare che vedeva una cane 4, sempre la faceva fenire a bastonate. Era per questo che io ci antava semprenascosto,eluisempre si arrabiava con me, perché lui da solo non era capace di cercarese una famiglia alla sera di passarese il tempo, e voleva che io mi avesse portatoallui. Cosí, io mi ho trovato ad antareaprenterelipandalone, e questo pezzo di zamarro sapevacheioantavainquella famiglia, allora partio prima ecihadetto,questozamarro, aquestafamiglia:–Chièqui Rabito,ilsoldato?–Chepoi, questo stubito si credeva che ci avessero detto: «Sedite e aspettacheviene». E invece non fu cosí. Che quelle signorine lo hanno remproverato e ci hanno detto: – Perché lo venite a cercarequi?–Eduediqueste signorine usciero fuore e ci hanno detto: – Maleducato, vatenediqua!–Esecomeera bestia, quanto si l’ha visto vecino,cihadatounamanata nel petto, credendose di farece una carezza. Cosí, questa, vedentese tocare il petto, ci ammesso a darece tempolone e fare voce, mentredentrac’erailfratello che non sapeva niente, ma come sente che sua sorella e tutte2sorelleavevinodafare conunosoldatochesistavino prentento a bastunate, cosí il fratello prente un forcale 5, l’altre 2 sorelle si armareno conilbastoneelascopa,eil suo padtre prente il fucile, e quello zamarro di Tano dovette scapare, e tutte 7 ci antareno apresso, che lo volevino ammazare se lo prentevino. Mentre stava venento, io vedeva a Tano con la testa rotta che aveva auto bastonate. Io non sapeva niente, stav’antanto per trovare all’amico, per prendereme li pandalone, e invece sentiva de quella famiglia: «Descraziate, sicilianeterramatta,venitequi se avete coraggio, che a vialtre desoneste siciliane siammo capace di ammazareve,noi!venite!edi spotarevenellafacia!» Io, che stapeva antanno in quella casa, e vedo a Sapunaru che correva, che queste ci teravino magare pietre e piezze di ferra, capii che se ancora mi avicenava c’eralaprobabiletàcheunadi quelle pietrate la poteva prentere io, come uno colpo di pietra cià lo presi, e menomalechefunellespalle, ma se mi prentevono la testa potevamagaremorire,opure antareallospedale,poicheci senteva dire: «Siete tutte descraziate li seciliane!» E poi che una di queste segnorine ci aveva lovato il cappello a Tano, che c’era il numerodel69reggimento. Con il tanto correre, c’era unfossopienodiacquaeuna crada6–chel’abiammorotto con la testa e ci abiammo rotto la testa, che magare nellacradac’eraciratoilfilo spenato – e ni abiammo botatto in quello fosso pieno di acqua sporca, che per uno miracolo restammo vive, quella brutta sera, causa a questo cretino. Sempre perché? Per cercare delle donne! Tutte bagnate e con la faccia rotta, verso mezza notte reantrammo nella acampamento. Sempre in selenzio ci abiammo corcato, bagnate,conlafaciapienadi sanquie, e non ni potemmo dire niente perché potemmo antareincaleraseparlammo. Tano,però,tenevapaura,che non ci aveva il berretto, e all’endumane, se antavino a recramare,lopotevinopunire perchénonavevailberretto. Ma, alla matina, non ha venuto nessuno arrecramare. EcosíioaTanocihodetto:– Lovedeperchéiononvoglio camminare compaesane? Chi cazzo te l’ha fatto fare di antare in quella famiglia a direce: «Che c’è Rabito qui?», che ti stavino ammazanto e stapevito fanno ammazaremagareamme? E io ciuraie che compaesane non ci devo camminarepiúecideceva,a questo zaurdo di Tano: – Io per questo non volle antare a Chiaramontecontequantoho scapato di Siraqusa, e me ne sono scapato con Vito Panasia, perché Vito Panasia tutto quello che dico io lo faceva,etuinveceno,cheio ti aveva detto che prima che antavitoinquellafamiglia,se prima non ti lo diceva io, tu noncidovevitoantare!Eora io come devo fare per poterece antare, che con suo fratello siammo amice? Speriammochenonmihanno reconosciuto iere notte. Io questaseracivado. E Tano mi pregava di non faresaperenienteannesuno. E cosí, alla sera, alla libra uscita, vaddo in quella famiglia senza che io avesse saputo niente del fatto. – Buonasera. – Buonasera –. E ho trovato l’amico mio soldato arrabiato come un cane e mi ha detto: – Caro Rabito, che tu ti arrabie quanto ti diciammo «tirun» a vialtresiciliane…–Eiocerto che faceva il fesso di non sapere niente, e io ci deceva: – Che fa, mi vuoie sfottere questa sera, che mi staie cominciantoadiretirun?–E cosí li suoi sorelle si hanno messoarridereeiofecefinta di arrabiareme. E lui mi ha detto: – Non ti arrabiare, che li siciliane siete tutti terun e avete il coraggio di volereve fare fedanzate –. E io mi arrabiava.Epoiemihadetto: – Sai che cosa hanno fatto iereseralituoiepaesane,che hanno preso per butane alle mieie sorelle? Ma le mieie sorelle alle tuoi paesane siciliano ci hanno rotto la facia!Epoi,avevavenutoun altro siciliano piú zaurdo di quello, che una delle mieie sorelle ci ha levato magare il berretto, e quello che aveva venutoperaiutohapresouna petratanellespalle.Efortuna dilorochehannoatrapassato il fosso, che io e tutte noi quellofossoloconosciammo, che ene molto precolosa, e cosí li abiammo spersso, ma senonarrevavenoapassareil fossoliavessemopreso… Io ci faceva capire che hanno sbagliato, che non erino seciliane. E cosí mi hannofattovedereilberretto, ecosífenioababiata. Quellaseraiocihodetto:– Questo berretto lo meterete nel fuoco, non ni facete parola piú, perché poi questo fattolosannotanteedenepiú peggio per vialtre. Cosa ci puoi fare? Eni tempo di querra... E poi, li siciliane, vedento alle tuoi sorelle che sono molto belle, e ci volesserofarel’amore,quinte non hanno venuto per arrobare… Cosí, padre e figlio si hanno messo a ridere. 2 butiglie di vermuto abiammo comprato, e passavo tutto. E ci abiammo fatto una bella seratadidevertemanto. Nei prime ciorne che avemmo venuto di Valbella, chesolde,cominciantodime – compure che io li aveva mantato a mia madre e ammio fratello Ciovanni a Pistoia –, mi n’avevino restato sempre assaie; e quintetutteisoldateavemmo solde. Ma ora tutte avemmo spesolisolde,ecertoche,se non avemmo solde, li donne piú non davino compedenza, speciarmente a quelle che erimodellabass’Etalia. Perché li donne che facevino questo faore volevino essere pagate assai. Lisoldatequestesoldenonli avevino, ed era per questo che socideva sempre costione, poi che c’erino soldate amirecane, francese e inchilise, e queste quadagnavino lire 8, mentre noi lire 0.55, e li donne preferevino alle soldate straniere perché pagavino meglio.Ederaperquestoche c’ereno tutte queste recrame al comanto di battaglione, perché li solde, alle soldate italiane, non ci abastavino neancheperscrivereacasa. Cosí, il comanto di bricata penzarenodiaprireuncasino per asfamare a tutte queste soldate,cheerinoprezzofisse militare.Ecosí,sonoantatea prentere 20 ragazze di mistieropropiabutane,propia di un casino di Bologna o di Milano, che io non recordo bene di dove sono venute, e doveva servire propia per quelle soldate lebetesose 7, che senza donna non ci potevino stare, che cuanto vedevino donne erino come tantecane. Inquellopicolopaesec’era unconventochec’eronotante picole stanze e uno corretoio e2entratec’erino.Cosí,c’era uno impresario che era prateco del mistiere, che prima aveva l’alberco a Utene 8, e per causa della querra di Utene aveva abandunato tutto. E questo borchese, li solde, li aveva e magare era molto sperto. Ci antavo propia lui a prentere queste putane, e magare una bella patrona di casa. Questo borcheseavevatanteamicizie contantedonnedimalafaree li conosceva bene dove doveva antare. Cosí, nel ciro di una settemana era tutto prontochefonzionava,questo bordello. Però, queste donne, prima che siano messo in servizio, ci hanno passato una visita meglio di quella che passeno ai soldate quanto deveno partireperfareilsoldato,per verificare di essere di sana e robusta costutuzione, perché avevino a sfamare 6.000 soldate. Poi,diunaentratacihanno messo 3 soldate e uno caporalecomeseavessestato una porta di caserma, c’era unastanzettacon2infermiere e tutte li medicenale che c’erino di bisogno, che cosí d’ogni soldato che entrava in questo casino doveva essere desempetato, e un sotta tenente midico c’era, di maniera che d’ogni soldato che entrava, se era malato di malatia di donne, non lo facevinoentrare. Cosí, una volta dentra, si n’antava nel corretoio che c’erono tutte belle esposte li fatograficidiquesteputane,e quanto ci faceva sempatia una, lo decevino alla patrona della casa e ci dava lire 0.50 centesimeelamarchetta,che lí, chi entrava, non doveva entrare per babiare, ma dovevaentrareperpagare,se volevafarecosa. Cosí, questo soldato, con questa marchetta, si n’antava al numero ichese, dove c’era la ragazza da lui scerta, e l’antavaatrovarenelnumero dove era esposta. Cosí, in 2 minute,quellosoldatofaceva tutto e subito doveva uscire fuora di quella ragazza, che c’eral’altrosoldatofuoreche spetava. Cosí, questo soldato uscievadell’altraentrada,che c’era lo stesso servizio di doveavevaentrado,chec’era la visita passata, e veniva desompetato e via. E cosí, non c’era pericolo che li soldatecascavinoammalate. E cosí, tutte noi soldate, tutte 6.000, queste 20 belle donne ci hanno sodisfatto a tutte, che queste belle donne erino capace di farese piú di 80 marchette per uno a ciorno. Poiioreceveieunalittradi mia madre, che aveva l’altra figlia malata cravamente, e mi deciva, mia madre, che aveva un anno che non vedeva amme e Ciovanni. Io mi sono fatto mezza ciornata di pianto assentire che l’altra sorella Pipinedda era malata cravamente, e tanto io penzava che poteva essere morta. E davero fu. E io diceva: «Quardate che desastrio di famiglia che siammo… Prima il padre morto, poi 7 figlie, che li 2 crante, che potevino dare aiuto,parterepersoldate,poi mio fratello con li stampelle, poi 2 sorelle morte. Che descraziata famiglia che siammo...» Cosí, si ha fenuto il mese di maggio e solde non ni poteva avere e, col tanto cardo che faceva, io era deventato umpoco discreto nella faccia, perché con lo stare bene mi aveva rafinato umpoco e magare ero diventato un ciovenotto elicante, e aveva il penziero divolereantareallicenza,che c’era un decreto che al soldato in querra, passato un anno, ci atocavano 30 ciorne di licenza – 15 di viaggio, e 15, 16 di stare a casa –, e questalicenzalachiamammo «licenza straordenaria», che tocava a tutte li soldate della chilassa 1899. Però, tocava a quelle dei prime 4 mese, che uno di queste soldate era io, cheavemmofatto16mesedi soldato e ancora licenza non niavevinodato. Ma non potte avere il piacere di avere la licenza, che, a colpo, venne nell’ordene del ciorno che avevino sospeso tutte li licenze e tutte li permesse. Ah, che colpo moltale che abiammo receuto tutte quelle cheavemmoautolasperanza dellalicenzaeoral’abiammo perduta.Ah,chebestemieche ciforeno!Pertutteparecheci avessero dato un colpo di legnosopralatesta. Epoi,3ciornedopo,venne nell’ordene del ciorno che li licenze si avevino aperto. E noifessechecicredemmo!E cosí, un’altra volta ci ha venutol’allecria. E intanto ci facevino fare marcie lunche, e carrecate, tutte i ciorne, e ni voglievino di cantare tutte a core 9 dorantelimarcie.Emagareci davino un premio alla compagnia che cantavano miglio. Cosí, ci facevino cirare le strade sempre vecino, a tuorno a tuorno del Piave, e sempre 15, 20 chilomitre lontano del Piave, e cantanto sempre li canzone di querra. Però, fuore di cantare «La canzune del Piave», perché ancora questa canzone non aveva uscito, perché li austriece,ilPiave,ancoranon l’avevino passato e perché la battaglia del Piave non ci avevastato.E,liaustriece,la sua prima linea era il Piave, della parte sua, e la nostra primalinia,dellapartenostra, era pure il Piave, e si stava sempre ferme. Però, il ciornale dicevino che in ciugno ci doveva essere una crante offenziva, e magare ci l’avevino detto li pricioniere. E questa offenziva la dovevinofareliaustriece,che dovevino passare il Piave. E magare li ciornale austriece dicevino che l’Austria aveva preparate 24 divesione con mezze li piú migliore che avevino l’Austria e la Cermania,cheerinol’impero tutte 2: Cicco Peppe, l’imperatore dell’Austria, e l’imperatoreColliermodiuna crante Cermania, che facevino tremare il mondo intero. «Altro che licenza!», io diceva. E quinte, lo dicevino tutte cheinquestomesediciugno liaustrieceperforzavolevino prentere tutto il Venito, perché avevino fenito il manciare. E quello pesce crosso che comandava le 24 devizione che per forza dovevinoprentereilVenitoci hadettoattuttol’esercitoche, se volevino il manciare, dovevino conquestare tutto il Venito. Perché, secome avevino fatto quella avanzata di Caporetto, se credevino che sempre vincevino. Ma questa volta l’Italia aveva campiato magare il comanto sopremo, che al posto di Cadorna, per comantare, ci hanno messo al cenerale Diazzi10. Cosí, davero tutto quello che si diceva cià era tutto vero.Cheil15ciugno1918li austrieci hanno passato il Piave alle ore 4 di mattina riempento tutto il fiume di barche, e nelle prime linie nostre ci hanno butato li casse 11 e quelle soldate che c’erino dovetteno morire. E poi tante ciovene austriece erinovenutedelfronterusso, che la Rossia non volle compattere perché fece la revoluzione. E cosí, con li gasse e con li lanciafiammi, tutte li soldate italiane che erino schierate lunco la linia foreno tutte bruciate e qualcono, per salvarese, dovettero scappare. E cosí, queste austriece e tedesche avanzarenocirca8chilomitre dellapartenostradelPiave. Cosí,revarinoperfinadove c’era la popolazione borchese, e facevino straggie atutteeammazavinoatuttee abruciavano tutto di dove passavino.Cosí,eradiciorno, quardanto verso il Piave era tutto rosso di fuoco, speciarmente Montello e Monte Crappa era tutto una crantefiamma. Quinte, tutte li soldate italiane ci abiammo trovato immenzoalfuoco.Lisoldate cascavono per terra, senza chenesunoavemmotempodi vedire se era vivo o morto, opure ferito. Perché d’ongnunodovemmopenzare per noie. Morte per terra ci n’erino tante che, con lo spavento che avemmo, non zapiammo dove mettere li piedeemagarecascammoper terra, e certe volte magare mitemmo li piede sopra li morte e sopra li ferite. Cosí, tuttenonsihapenzatoaltro– quelli che erimo vive –: «Questa volta, si muore», perchénonc’eraaltroscampo che la morte, perché non se combateva con il fucile a sparare,masetravinobombe ammanoditutteliparte. Poi, c’erino soldate con li pombe 12 messe sopra li spalle, come quelli che si pompiono li vegnite, che quelle butavino acqua per la malattiadellaprenostica13.E invece,lepompecheavevino i soldati del Piave, butavino fuoco per fina 10, 12 metre lontano, e di dove passavino questefiammebruciavatutto, macare l’irva delle campe 14. Quente, tutte restammo immienzo al fuoco. E poi, immienzo a questo fuoco, si ce trofavino magare li borchese, poverette, con tutte li piceridde e con tutte li massirizze: mule, cane, piecore,maiala,etuttolesuoi misererechezze... Cosí, a tutte ci hanno botatoamienzoquellacrante vampa verso il Piave. Cosí, tutte li altigliarieie sparavino tutte nello alcine del Piave per non fare passare altre forze nuove della parte di dove c’erimo noie. Cosí, socesse un vero macello. E cosí, come dice la Storia, si hanno destinto li ragazze del 99,checihannoportatotutte nel Piave cridanto: «Di qui non zi passa!» Perché noi ciovene del 99 erimo piú sencere per fare la querra, perché l’abiammo defeso per davero la padria, perché quelle che avevino fatto 2 annediquerraerinopiúfurbe per scapare per non si fare ammazare, come hanno scapato nella retrata di Caporetto. Cosí, per fare fermare a queste 24 divesione – li piú meglioreesercitocheavevino queste 2 crante impere –, ci havolutolabuonacoraggiosa volentà delle ragazze del 1899,perchélaprovachepoi cifuèche,diquestevalerose ciovene,nellacrantebattaglia del Piave, ni hanno morto il 50percento,eil75percento forino ferite e pricioniere, e quente fummo pochi quelle che restammo, che uno è questo Rabito Vincenzo, che, per racontare queste fatte, quello che scrivo non sono bucie,masonofattevere. Poi, con lo tanto spavento che avemmo tutte, non sapemmo la nostra linia di defesa dove era, e sparammo e trammo bombe verso il punto da dove venevamo prima.Ebasticheerinovestiti conlirobeaustriece,ovestiti ditedesche,perchécen’erino che si avevino dato pricioniere,enoilimazammo lo stesso. Piú non erimo soldate crestiane, ma erimo deventate come li carnifice, erimo tutte deventate pazze. Che magare certe volte ni sparammotranoi,perchénon sapiammodoveerailnemico, perché c’erino tante spieie austrieche e tedesche che sapevino parlare italiano: ci lovavino li robbe alli soldate italiane morte e facevino capire che erino italiane. È per questo che ci ammazammo tra noi, perché non sapemmo che era il nemico nostro. Poi, li ferite non venevino curate, né quelle italiane, e né quelle nemice, perché non c’era tempo di medicarle. Perché umpezzoditerraunaciornata era delli austriece e una ciornata era nostra. Si faceva di una trenceia una volta per uno. E quinte c’erino centenaiadimigliaiadiferite senza che nesuno aveva tempo di mirecalle 15, queste povereferite,eabramaveno16 e butavino voce forte e piancevino con il tanto dolore, piancevino, e che era capace di bestimiare bestimiava,senzachenesuno cidavaaiuto. Erino momente che nessuno uomo al monto si avesse potuto fare capace. Poi, non c’era un mitro di terra, in quelle ciorne sanquinose,senzadiersece17 un soldato morto o pure un ferito, sia nella terra che avevinoliaustrieceesianella terra che avevino l’italiane. Quinte, non si dormeva, non si manciava, solo che se fomava, e con la scuma 18 della bocca se sparava, e che erimospaventatetutte. Poi, io e un’altre 4, ci aveva stato un nostro capitano ferito e chiamava aiuto, e secome era stato un bravo padre di famiglia, ci volemmo dare aiuto. E come lo volemmo portare dietro ummuro per vedere se lo potemmo salvare e passavo uno maggiore midico e ni ha detto: – Lasciatolo stare, che io lo conoscio a questo capitano. Ecosí,lohavesetatobene. E noi quardammo. E poi volsesaperetantecose,enoi fesse che ci abiammo detto tante cose. Cosí, il maggiore nihadetto:–Lasciatolostare, che io comanto a quelle con labarellaecipenzoio. Equando,doppo5minute, lo abiammo visto immienzo all’austriece, che questo dilenquente era una spia austrieca, che l’abiammo visto con una mitragliatrice chesparavaversodinoie(che diquellecheerimo,restaieio solovivopercompenazione), io mi muzicava li mane, che mai, maie, mi poteva crede che questo lazzaro era maggiore austrieco, che lo potemmo ammazare benissemo e una decorazione cepotevenodare... In tutte li parte c’erino austriece e tedesche che sparavino,esidovevamorire per forza. E c’era vicino ammeun’altracompagniache si stapevino trenciranno per fareseunatrenceiadidefesae per sparare nelle arcene del Piave. E io, che aveva a Strano vicino, ci deceva: – Ciovanne, che fosse bello, mentre che ci trovassemo dietro questo bello reparo e c’è questa altra compagnia chespareno,checipotessemo fare un’ora di suonno… – E Strano,lamiaproposta,ciha piaciuto. E io aveva 4 ciorne chenonmilevavalescarpee aveva li piede impicecate. Volemmo profettare che a vista non c’erino oficiale, perché poi propia in quelle brutteciornelioficiale–non tutte – camminavino senza crade,perché,seliprentevino li austriece, vive non li lasciavino, e quinte avevino paura e facevino capire che erinosoldatesemplici. Cosí, io e Strano ci abiammo messo a dormire, perché altrimenti dormemmo mentre che sparammo. E mi sono levato le scarpe, perché licarzetteerinociàfracete.E come mi ho levato li scarpe pare che avesse entrato nel paradiso e, subito subito, mi homessoarrompare19.Epoi, con quello sogno che faceva, io sparava che pareva umpazzo, che nel sogno faceva voce forte e sparava, perché mi sognava. Ma non era io solo che faceva questo nel sogno, ma erimo tutte li soldate che, quanto dormemmo,sparrammocome li pazze, perché erimo prese di spavento e di paura, e piancemmo quanto dormiammo. E cosí, in queste momento che io e Strano dormiammo, passava uno uficiale d’ispezione. Il primo vede amme che dormeva, mi ha visto con il piede di fuore e mi ha dato una bachetata nel piede senza calzetta e mi ha fatto sentire un forte dolore, cheiohofattounavoceforte epoiiohodettoforte:–Che èstatoquestodescraziatoche hafattoquesto?–Eioaveva preso un coraggio, come che mi ha sbegliato a colpo, che hodetto:–Oratiammazzo–. Ementrevedoall’oficialecon la pestola puntata che mi ha detto: – Non ti smovere perché ti ammazzo –. E io, vedento che era uno oficiale cihodetto:–Scusa,perdono, segnore capitano. Aveva 4 ciorne che mi stapevino impracitento 20 li piede e mi sonolevatolescarpe–.Emi hadetto:–Tiperdunoperché seiragazzoeteconoscio. E cosí, se io non ci ademantava perdono, non mi avevino ammazato li austriece e mi ammazava questo capitano! Perché, in quelle momente, c’era l’ordene che chi dormeva li oficiale ci sparavino, e magare li soldate potevino sparare allo feciale. Poi c’erino tante carabiniere che magare avevino l’ordene di sparareachedormevaeachi non voleva antare avante. E quinte, c’era una lotta sanquinosaunoconl’altro. Cosí, il ciorno 19, con il ciorno20ciugno,recordoche versomezzociorno–ciornata maie che non posso dementecare –, che erimo lunco una saia 21 piena d’acqua, io era sempre con Strano, erimo messe dentra questa saia, che per noie era una trinceia nemica, che era profontaummetroemenzo.E circa 2.000 soldate erimo messe contra a quella saia, che l’acqua ci arrevava alla fine delle campe. E li austriece, arrabiate come li cane, che per forza ni volevino livare questa trenceia piena di acqua, e noie che non ne la volemmo farelivare,elloroperforzasi volevinoavecinareannoi. E cosí, lo stesso nostro comantante non si sono messe di acordio: c’erino quelle che volevino uscire fuore del fosso e mettersi a cridare: «Avante Savoia!», e c’era chi diceva di aspetarle qui, a queste arrabiate austriece. Ma non zi poteno mettere di acordo, tanto che uno tenente e uno sercente maggiore, che comantavino una compagnia di lancia fiammi, composta di 30 soldate, che li altre avevino morto, lui, questo nervoso e mafiosotenente,hannouscito fore credanto: «Avante Savoia!», che ci ha detto la testazza di volere fermare li austriece che erino cerca 2.000. E cosí, li austriece, vedevino a queste sfortenate soldate, per essere cretine sercente e tenente, che si hanno fatto ammazare tutte, che, per il primo, hanno morto il nervoso sercente. E questo forte numero di nemice hanno fracellatto a tutte. E quinte quelli sono state eroie… ma eroi fessa! Mentre il nostro reparto, che erimo circa 70, li abiammo aspetato nella trincea, gli austriaci, e la morte di fessa l’hanno fatto loro, che tutte queste austriece morerino, e se si ha salbato qualcono, si ha salvato perché non zi ha vecinato annoie. E, con l’ordene dato ciusto, sí, ni moremmo, ma ni moremmo poco. E poi, propia in quella ciornata, abiammo visto dare una carreca uno scuatrone di cavalleria austrieca con uno nostro scuatrone di cavalleria pesante italiana. Che non se vede neanche nelle cinima di come si hanno fracellato tra cavallaria e cavallaria! Che, dellecavalle,siaitalianeesia austrieche, non ni sono restato neanche uno libiro di non essere ferito o morto. Perché d’ogni cavallo aveva preso una trentina di pallotole, perché al cavallo non li sbagliava nesuno, perché avevino un bello bersagliosopradiloro. C’erino tante albere di celse 22, che li campagne erino tutte vegnite, e c’erino tanteprievole 23 con uva che ancoranoneramatura,etutte lilerme24cheavevinoquelle fanti sulla testa restarino apese su quelle albere. E li cavallemuorteeferite,chesi ne potte salvare solo uno, di quellecrossecavalle. Poi ci fu ummomento che c’era la carma, perché li austriece erino abatute. Io e Strano dissemo: – Cà, come dobiammo fare, che della famenonpotiemmostare? Poi, perché avemmo stato ammienzo quell’acqua, magare che c’era chi aveva una calletta, con l’acqua non sepotevamanciare. Cosí, io e l’amico Strano penzammo che c’era una strada e c’era una casa. E secomeeraa12,13metredi distanza, calate 25, ci antiammo,perché,sepercaso avessemospintolatestainsú, di quante pallotole che c’erino in ciro, qualcuno l’avessimopresonellatesta. Cosí,ioeStranoentrammo inquellacasa. Davero dentra un cammarone c’erino tante sachedipagnote,cheforseci l’avevino portato un giorno prima e non li potero destribuire perché c’era tutto quello inferno. Ma non c’erino li sole pagnotte, ma c’erino pure una trentina di ferite che piancevino, con il tanto dolore che avevino. E quanto noi volemmo mettere il piede dentra, dove era questolamento,unodiqueste feritemihapresoperipiede emihafattocascaresopradi lui. Ciovanni, che mi voleva dareaiutopersollevaremi,un altro ferito ci ha detto: – Vigliacche, perché non ci date aiuto che stiammo morento? – E piancevino. E noi ci abiammo messo a piancere magare, e ci abiammo detto: – Lo sapiammo che cosa vialtre volete, ma non c’è tempo di poterive dare aiuto –. Perché poi non erino tutte italiane, questeferite,maerinomacare austriece. Cosí, ci abiammo detto:–Piúassaiediunsacco di quelle pagnotte non vi potemmodare,perché,senon se fenesce questo inferno, li ferite non li potiemmo medecare –. Cosí, disse uno di queste ferite: – Stammo morento e non cercammo manciare! Cosí,ioeStrano,diquella casa ci n’antiammo. Ci presemo 2 pagnote per uno. Ma chi l’aveva ammanciare, contuttoquellolamento… Li austriece, quelle che restareno vive, si arretraveno verso il Piave, di dove avevino fatto lo sbarco. Che la battaglia l’avevino perduto e renfuorzze non ci ne potevinovenirepiú. E cosí, il tenente Sparpaglia – che ancora era vivo, come erimo vive io e Strano – si ha fatto il conto che del nostro reparto, di 70 che erimo, ni avemmo remasto 30, e 40 non zi sapeva se erino muorte. E cosí, in continuazione venevino rempuorze. E cosí, ci abiammo fatto un’altra volta 70 zapatore. E cosí, il tenente Sparpaglia ni ha detto: – Ragazze, da domane impoie, il nostro reparto non zichiama«Zappatore»,chesi chiama«repartodiArdite»–. Matuttenoidiciammoche,o Arditeofanteria,mipareche citoccadimorireatutte. Noi erimo, tutte l’italiane, inrecanoscibile. Tutte piene di fanco, perché stapemmo tutte li ciorne immienzo alle fosse dell’acqua, perché le terre del Venito sono tutte con molta acqua. Erimo tutte strapate, perché aveva 5 ciorna che si sparava. Ma li povere austriece erino piú inrecanoscibile di noi, che non potevino stare all’empiedeesedavenotante pricioniere e dicevino: «Abiammopersolabattaglia. E l’Austria non la puole sostenire, senza manciare, questaquerra…» Ed erimo sempre allo stesso posto: una volta antiammo avante e una volta antiammo intietro, di questa maledetta terra vicino al Piave. Una casa, un ciorno era sua e un ciorno era dalle italiane. Non ze poteva stare piú all’empiere. Che propia erino li ciorne che abiammo lasciatounaStoria,liragazze del99,cheerimoincenove26, e dove ci dicevino di antare, antiammo. Epoi,iltenenteSparpaglia ci ha detto: – Racazze, ha venuto un folecramma che la vittoriaèdell’italiane,perché li austriece non posseno piú avereremporze.Quinte,resta soltanto che queste che ci sonolidobiammofareantare dilàdelPiave. Cosí, il bravo tenente Sparpaglia,dinoidelreparto, ni ha fatto 4 scuadre per antareasolbegliareilPiavee fare servizio di patuglia. Erimo armate, con tutte li previsione, con bombe, pognale, fucile a baionetta in canna. Io cercaie di potereme nascontere con l’amico Strano, che con questo sempre diciammo che dovemmo morire inziemme, opure essere uno ferito e l’altropoterllosalvare. Erecordochequellanotte, potevino essere li 11 prima della mezzanotte – che maie io posso dementecare queste brutte momente –, certo che la luce che c’era era quella chefacevenolicannonateeli lanciafiammi,olirefretoia 27 elibombechebutavinosiali austrieceesial’italiane.Cosí, io e Strano ci abiammo nascostoinunatrenceiaecon la scuadra non ci volemmo antare, perché non potemmo stare all’empiede. E cosí, ni abiammo antato per questa trinceia, a Dio e la fortuna. Madoppofatte10passe,allo scopo di allontanarene della strada, perché ci potevino pescare, vicino senteiammo un crante lamento, e io a Strano ci ho detto: – Noi antiammo cercanto la morte con la lanterna, che cerchiammodinascontereper starebene,maquisesenteun forte lamento e non potiammo stare –. Quinte, avanzammoaltre2passe. E lí c’era botato per terra unsoldatocheeravestitocon li vestite di tedesco, ma però parlava beni italiano. Ma questoeramoltocrosso,epoi non era soldato, ma era uno maresciallo tedesco, che se volemmo passare ci dovemmo mettere li piede di sopra, perché la trinceia la occupavatuttaluie. Equestopezzodicristiano, alla vista nostra, faceva piú voce. Quinte, li austriece erino vicine e ci potevino ammazare. E diceva: – Per faure, datemi aiuto! – E cosí cercammo di farece fare selenzio, perché era peggio per noie. E cosí, abiammo detto: «Vediammo come poteddemo fare, per non ci fare fare uce 28». E cosí, abiammo costatato che lui, con li suoi mane, ha preso li mieie mano e mi ha detto: – Vedete cosa ci ho, che staio morento. Cosí, io e Strano abiammo vistochenellacosciaciaveva umpezzo di cranata, e quinte stavadesanquanto,econforte dolore stava morento, e diceva:–Datemeaiuto!–Ma che aiuto ci potemmo dare noi, che lo volemmo noie, l’aiuto? Che avemmo preso quello refuccio per salvarese e invece c’era questo che facevauce! Cosí,conpocodipacienza, ci abiammo levato quello pezzodiferrocheavevanella coscia, ci abiammo messo umpoco di tentura di voglio 29, perché ni aveva fatto compasione, che ni avevadettocheeradiTrieste ed era di razza italiana come erimo noie, e poi ni aveva detto magare che li austriece sonoa15metrediqua. Cosí, abiammo detto a quellochenoicin’antiammo, che vediammo se potemmo trovare una barella che ni lo portassemo.Eaquestopezzo di uomo ci ha piaciuto il nostro fare, di antare a prentereunabarella.Forselui sehatratoilcontoche,come ci allontanammo, lui, con il frico 30,opureconilsegnale, facevaavanzarealliaustriece, equandonoiretornammocon la barella, davero ni prentevino pricioniere, con tutta la barella che noi portammo. Mentre, io e Ciovanni, nel nostro penziero, diciammo chel’unicacosafosse,senon volemmo morire, che dovemmoscaparedilí,senza farece capire niente al maresciallo. E davero, basse basse, partiemmo,perchéliaustriece erino a 5, 6 metre lontano di dove erimo noie, perché li sentemmoparlareeperchéla trenceia era fatta con tante curve. E poi la descrazia era chenonzisapevadoveerala nostra linia, e neanche se sapevalaliniacheavevinoli austriece, perché si combatevacasapercasa. E cosí, partiammo e antiammo nella strada, che trovammoaVitoPanasia,che con la patuglia non ci aveva antato,perchéciavevalicalle nelle piede e non poteva camminare. E il sercente lo sapevacheVitoavevalicalle enonpotevacaminare. Cosí, io e Ciovanni abiammo deciso di antare apresso alla patuglia. E uno dei2sercentesihaavicenato amme e mi ha detto: – State atente, Rabito, che qui a una ventina di metre ci sono li austriecepropiadentraquella trenceia –. E poi ni ha detto che oggie, qui dove siammo, versomezzociorno,erastato ocupato dell’austriece. E io e Strano ci abiammo detto che noi, propia 10 minute fa, siammo state in questa trenceianascosteetrovammo un maresciallo tedesco che pianceva e parlava italiano e annoi ci pareva italiano, e questocredavacheeraferito. E il sercente ni ha detto: – Vialtre siate ancora troppo sencere,perchéaquellarazza maledetta ancora non la conosciete, e bene non zi ci nefa–.Eiocihodetto:–Ma come, sercente, se quello parlavaitalianoenihadetto: «Per favore che io staio morento!» – E il sercente mi ha repituto: – Ancora vialtre siate caruse e non sapete che cosa voldire nimice, perché quelle, come se vedeno, subitosiammazzino! E diceva ciusto, quello sercente, che con Strano, comeilsercentesin’antò,per puracoriosetà,siammoantato in quello punto, e il maresciallononc’era... E il bravo tenente Sparpaglia:–Fatepresto,che la vostra patuglia ene a 10 o 15metrediqui! Ederalastratatuttaalbere e tutta sacchette di sabbia e retecolate,epoinonzipoteva fare neanche una vuci e non zi poteva dire una parola, perché queste movemente si facevinosenzaparola. IntuttelistradedelVeneto ci sono dai late li capecanala 31, e queste capicanala, nelle strade del Venito, erino piene di acqua, poiché li campagni, lí, sono senza pennienza e l’acqua non caminava tanto e restavino sempre piene. E tuttointorno,erbacranteera, perché nesuno l’aveva potuto metre 32, perché c’era la querra, e questa erba era alta quasequasecomelisoldate. E caminammo. La nostra patuglia era composta di 17. Io aveva una sicaretta messa nelle dita per fareme una fomata, e li cerine mieie non volevino adumare 33 perché erino bagnate, e ci stapeva dicento: «Strano, damme li cerine» che, dalle tutte 2 li latedeicapocanale,daquella crante quantetà di erba, abiammo inteso: «Urra! urra!», che ci abiammo visto acchiappate da piú di 100 austrieche, che erino lí per defesa del Piave. E noi non abiammo fatto altro di mettereneconlimaneinalto tuttalapatuglia,cheerimo17 e con uno maresciallo diciotto, di non dire neanche una parola, che ni hanno strapato tutto, comincianto della ciacca e la camicia. Abiamo cetato li arme come li stunate 34 e li fessa. E queste meserabile, senza che noi ci avemmo fatto niente, perate e calce e quolpe di fucile...niabiammopreseche non puotimo stare all’impiede, e ci hanno fatto cascaretutteperterra. Cosí, vedento che io e Strano erimo cetate per terra, quelle 5 bestia che davino bastonate annoie si hanno voltato nella parte di tutte li altre, forse che tra loro non sapevino dove ni dovevino portare. Io ho profetato che erino voltate, mi alzo e scappo come una lepre quanto si trova in mienzo a tante cane caciatore. Che, in un momento cosí difecile, di scapare io neanche se mi l’avessesognato.Cosí,corro; e mentre che correva, mi hanno sparato tante colpe di fucile.Masecomelastradadi questo paesetto tutto bombardiato,chesichiamava Fossa Alta - Fornace, corbava, mentre li pallotele camminavino diritte, per fortuna non mi ne ha cuciato neancheuna 35.Ecosí,mine sonoscapato,contuttequelle bastunate, che era pieno di sanquie e di paura, e con la scumanellabocca. E poi, mentre che correva tuttostrapato,chenonpareva soldato, che pareva uno scapato del carcere con 20 carabbiniere che lo volevino pigliare, nella strada c’era un filo di telefono che l’atraversava, propia messo alla mia alterza, che mi ha sbatutonellafacia.Cascoper terraemiarrottoilmusso.Ed ecco che mi ha spacato la fronte, e mentre c’erino li austriece che sparavino e li pallottele che mi passavino vicini... Voldere che non aveva venuto l’ura di morire... Cosí, mi alzo con tutta la fronterotta,conlatestapiena disanquie,mialzoeprentola corsa. Non ho passato piú dalla strada che aveva fatto prima. Io non mi faceva capace di dove passava, perché era cià pazzo, e poi cheerastonato,epoicheera di notte, ed a un tratto mi sento dire: – Chi va là! Altolà!–Esubitouncolpodi fucile è sparato, che la palotela mi ha passato nella mano, ma non mi ha fatto niente, solo che intese un picolo dolore, che ancora ci ho una tricacrice. Ma io non ci ha dato tempo di trare ancora colpe, perché subito respose: – Butana dell’infierno! – colla scuma nella boca. – Che? Non lo vedetechesonoitaliano?–E subitocihodetto:–Nonsolo quelle che mi hanno fatto li cechine, macare vialtri ci state stonanto li cugliuna 36, che mi state ammazanto cosí!? Ementrecheiopiancevae correva,econquellafucelata sparata che mi stresciava dellamano,certochemisono fermato, e con il dolore e lo spavento mi sono per forza botatoaterra. Cosí, subito venne un capitano, che io al buio non conosceva che era capitano del 25 Fanteria, che mi ha preso per uno pazzo di come io raggionava e di come era strapato e tutto insanquinato. Non solo che aveva sanqui nellespalleperlabastonatadi focile, ma anche perché era senzacamicia,epoiavevala fronte rotta, e poi la mano... Cosí, prese una lampadina tascabile, il capitano, e cosí mi ha fatto alzare, perché io non mi poteva alzare. Mi ha detto: – Che cosa seie? Che seie soldato o sei borchese? Saie che io sono un capitano del25Fanteria? Ecosínonpottescapare,e quello volle sapire il perché correvaeperchéioerasenza fiato, e il cuore che mi battevacomeunascattioladel Ciovedí Santo 37, quanto portavino al Cesú Critto al Calvanio sulla crocie, inchiuvato e tutto insanquinato, e cosí era Vincenzo Rabito, che il capitano ci domantava e lui non poteva parlare. Solo una o 2 parole ci ha potuto dire, che io era di patuglia come Ardite, che erimo 18, e li austriechecihannoacerchiato perchéerinopiúassaidi100, ehannopresopricioniere. E il bravo capitano mi ha detto: – Ora ti alze e piano piano ti ne vaie nelle intietro vieie 38, che lí ci sono li portaferite e ti porteranno al postodimedicazione–.Epoi mihadetto:–Voglioprentere apuntamentochiseieecome tichiama–.Ecosí,cihodato ilmiointrizzo,epoisequitaie lamiacorssa. E questo capitano subito desel’allarmepertuttalasua compagnia, e poi a tutto il reggimento del 25 Fanteria, che era venuto fresco fresco, e antareno alla salto al nemico,cheeraquellocheci avevadettoio,che,senonera per me, quelle austriece, che ancora volevino avanzare, se avanzavino, prentevino pricioniere a tutto questo reggemento.Emenomaleche aquestelihovisatoio... Per fina che fu ciorno, in quella zona di Fossa Alta e Fornace ci ha stato l’inferno. Hanno preso parte tutta la divisione,tuttapercausamia. E cosí, la matina del 24 ciugno hanno recaciato il nemico di là del Piave, e la bataglia per li austriece fu compiletamentepersa. 1 Fornaci,Meolo,FossaltadiPiave eSanDonàdiPiave. 2 sifacevapilo:siscopava. 3 ciolizia:gelosia. 4 magare che vedeva una cane: anchesevedevaunacagna. 5 forcale:forcone. 6 crada:grata. 7 lebetesose:libidinosi. 8 Udine. 9 acore:incoro. 10 ArmandoDiaz. 11 licasse:igas. 12 pombe:pompe. 13 come quelli che si pompiono… dellaprenostica:comequelliconcuisi spruzzano d’acqua i vigneti, contro la malattiadellaperonospora. 14 l’irva delle campe: l’erba dei campi. 15 mirecalle:medicarli. 16 abramaveno: smaniavano, si dimenavano. 17 diersece:checifosse. 18 scuma:schiuma. 19 arrompare:aronfare. 20 mi stapevino impracitento: stavanodiventandofradici. 21 saia:canaleperl’irrigazionedei campi. 22 celse:gelsi. 23 prievole:pergole. 24 lilerme:glielmetti. 25 calate:chini. 26 incenove:ingenui. 27 refretoia:riflettori. 28 non ci fare fare uce: non farlo gridare. 29 tentura di voglio: tintura di iodio. 30 frico:fischio. 31 capecanala:canalidiscolo. 32 metre:mietere. 33 adumare:accendersi. 34 stunate: rimbambiti, rincoglioniti. 35 non mi ne ha cuciato neanche una:nonnehopresaneancheuna. 36 stonantolicugliuna:rompendoi coglioni. 37 scattiola del Ciovedí Santo: battola o raganella usata in molti paesi per annunziare le funzioni religiose durante la settimana precedente la Pasqua. 38 intietrovieie:retrovie. Capitoloquinto Lafebrespagnola Per 20 ciorne fuommo mobiletate per borrecare 1 muorte, perché annoi ci facevino lavorare magare di notte, che, con la puzza che sentiemmo, come non presemo una maletia fu uno miracolo. E nella contabilità che facevino l’incarecate, li morte piú assaie erino quelle racazze del 99, che ni abiammomessoacompattere piúsencere,epoivolentariea defentereilPiave,chedavero l’avemmo detto: «Di qui non si passa», e per davero li austriece non hanno passato. E fatto il conto che ci hanno stato in quelle battaglia piú assaie delle muorte che avevono muorto di quant’ave che si aveva cominciato la querra... E cosí, il soldato italiano presemo coraggio. Perché un anno prima ci aveva stato la retrada di Caporetto e il soldato italiano aveva deventato una schefezza e li austriececonitedescheerino li soldate li piú forte del monto, mentre questa battagliafututtaalcontrario. Cosí, doppo un mese di questo lavoro immienzo a tanta puzza di vorrecare tutte queste sbenturate muorte, ci hanno portato arreposo a circa20chilomitredelPiave, sempre però nello provincia diVenezia. Mapiúdoveniportavinoe portavino pareca querra nel Piave non ci n’era piú, non c’era quello bordello di prima,checiornoenottenon sipotevadormire. Cosí, passareno queste maledette ciorne di questa battaglia e hanno cominciato ammandare li notizie alle famiglie: che era stato ferito, che era stato morto. E questa consolante notizia di chi era mortocilaportavinoperfina acasalicarabiniere. E cosí, mia madtre sempre domantava al postino, per vedere se c’era una mia lettera, che aveva ummese che non arreceveva mieie notizie. Invece, nel coltile dove abitava mia madre, un ciorno, invece di avecinari il postino per portarece una lettera, si ha vesto avecinare unoapuntatodeicarrabiniere, e domantò a mia madre, che era seduta fuora con mia sorella: – Che sta qui Rabito Vincenzo? – Mia matre, che sapeva che antantoci il carrabiniere era una morte secura, come avevino stato sicure tante famiglie che ci avevino antato li carabiniere, si ammesso a cridare e piancere, dicento: – Ecco perché io non ho receuto lettere!Miofiglioenemorto! –Esistavapercominciarea sceparese li capille, quella povira di mia madre, mentre il carabiniere ci deceva: – Signora, il vostro figlio non ene morto, e io sono venuto qui per direve che vostro figlio ha fatto uno atto di valore e il comantante di reggemento, alla mamma di questo Rabito Vincenzo, ci manta come premio lire 150. Cosí, dovete antare nel maresciallo per fermareci la receutadiquestesolde.Epoi, signora,antateallaPostaevi antate a prentere queste lire 150. Cosí, mia madre ora non pianceva per dispiacere, ma pianceva perché era troppo contente. In quella povira mia casa, con quelle lire 150, pareca la bataglia del Piave l’aveva vinto mia madre, che quelle soldeforinountresoro. Intanto questa licenza non veneva mai. E invece della licenza ho provato un dispiacere crante, che ci hanno besognato 20 soldate zapatore per antare a fare servizio dentra a una chiesa perunadicinadiciorne. Questoserviziomipiaceva tanto, che dovemmo fare la quardia a un campanile, che c’erino4mitragliepiazateper l’ario, che se per caso passavino apareche nemice noicidovemmosparare. E una sera abiammo fatto una fessaria, che potemmo antare sotto processo, che menomale che li ofeciale ci perdonavino, ma di quello checomminammoerimocosa diantareincalera. Quinte 2 soldate erino di sentenella nel campanile per dare la larme se se vedevino apareche, uno faceva la sentenella alla porta con il focile, con la baionetta incastata, che, quanto veneva li specione, voldire il capitano, la sentenella ci doveva fare il presenta d’arme, e 7 soldate stavimo presente sedute, e poi c’era un sercente e un caporale e uno caporale maggiore, e avemmol’ordenechea3alla volta ci potemmo fare umpocodisogno. C’erino tante casse. E, cercanto cercanto, abiammo trovato che dentra a una di queste casse crante ci n’era una che era inciovata, e noi, coriose, ci abiammo levato li chiode per vedere che cosa c’era,etutte7diciammo:«Se ci sono solde, ni le fotiammo». I tre cratovate 2, perfortuna,dormevino. E cosí, in quella cassa, invece di trovare solde, abiammo trovato a sant’Antonioconunacrocee uno bambino nel braccio, ed era bello intatto, che tutte li cose che c’erino lí ancora erino senza tocate, compure che ci avevino stato li austriece. Si vede che questa statova l’avevino messa in questa cassa per non essere destrutta. Ma noi fante, secome non avemmochefareecercammo sempre di farece ponire, lu abiammo preso, a questo sant’Antonio, lo abiammo portatoallaporta,loabiammo messo impiede, ci abiammo messo il lermetto di uno di noie, ci abiammo calato il sottocola,ciabiammomesso il focile umpostrano, poi che l’artezza era quella di uno soldato, e ci abiammo fatto fare la quardia, e tutte noi vicinochequadammo.Quinte abiammo fatto cose che solo le ragazze di 10, 13 anne l’avesseno potuto fare... E abiammo fatto questo: di farece fare la sentenella assantaAntonio! Cosí, si ha trovato che venne uno oficiale di specione. E certo che era di notte e come entrava l’oficiale il soldato di sentenella ci doveva fare il saluto. Noi non ni avemmo acorto che veneva l’oficiale. Quinte l’oficiale entravo e la sentenella non ci ha fatto il saluto, e l’oficiale ci ha messounamanonellaspalla, decentoce: – Bestia, che faie dorme!? E sant’Antonio cascavo, e quellocihadetto:–Animale, io l’ho detto che davero duorme! Cosí, responte uno napolitanocheintialettociha detto:–Che,nonlovedeche quello eni sant’Antonio, e lei cihadetto«animale»? E cosí, socesse la fine del monto, quella notte, che l’oficiale ni voleva sparare. Poi si alza il sercente, il caporale e il caporale maggiore... E menomale che ciperdonareno... All’indomane mi hanno chiamato in forreria e mi hanno detto che mi teneva pronto, che si avevino aperte lilecenzeeioeradaiprimea essere chiamato. E quinte io, conl’emuzionecheprese,mi hanno scapato li lacrime, ma però non ci credeva se prima questa benedetta licenza non l’aveva nella tasca, perché io ciavevacapitatoaltrevolte,e poipenzavacheeratiempodi querra, che di ummumento all’altro sospentevino, e io restavadifessa. Ma poi, alla sera, verso li ore 6, il foriere mi ha chiamato e mi ha detto: – Ecome qui la licenza, che tu non ci credevi, perché sei testa dura di Monte Rosso 3! – (che questo fuoriere forse che era di Vezzine). E mi ha fattometterelafirmaemiha pagato la trasferta, e lo scontrino mi ha dato. Io ero tanto contente che aballava solo,senzamusica,diquanto eracontente... Io aveva piú di 15 ciorne che cercava qualche cosa di robbaperportaramillaacasa. E cosí, mi ho portato 2 maglie,2paiadipandalone,2 paiadimotantee2cammicie, etantecalzedilanaeunbello paio di scarpe. E tante altre cose che facevino di bisogno alla mia famiglia. Aveva una bellisema cassetina, che durante il mese che avemmo sepelito muorte mi l’aveva precorato, e quinte l’aveva piena di tante cose, e servevino per antare allavorare i mieie fratelle in campagna. Io, queste robbe, mi le poteva portare, perché tanta disciplina non c’era, né permeenéancheperlialtre, perché penzavino, li comantante, che nel Venito robi di soldato non si ne comperava nesuno, perché li borchese,robbedisoldato,ni avevino tante, perché nella batagliadelPiavetuttequelle che hanno restato vivi si avevinoprecuratoqualcosa. Allastazione, c’erino tante soldatechespetavinoiltreno, che dovevino antare allicenza. E questo treno che doveva venire era propia il trenochepartevadiMevilo 4 e antava deretto a Villa San Ciovanne. E io quardava la licenza.Elalicenzaeradi15 ciorne, piú 15 di viaggio, ed erino un bellissemo mese di starelontanodellamorte. Cosí, venne il treno e partiemmo. E avante che fureno li ore 9 del mattino forimo a Ferenze, doppo che avemmo camminato con il treno2nottee2ciorne.Ein tutte li cettà, comincianto da Padova, sentemmo cantare questa canzone del «Piave mormerava», speciarmente quanto passavino soldate che venevino con il treno del fronte. E antammo con il treno. Sempre sentemmo questa canzone, «Il Piave mormerava», di tutte li ragazze, speciarmente nel passare di Roma e Napole. E in 5 ciorne fuommo amMesina, che poi per Catania ci volle un altro ciorno. Quinte penzaie che per potere quadagnare un ciorno miconvenivaprentereiltreno che antava a Caltagirone, e poi scentere a Vizzinecampagna, e poi doveva cercareuncarrettocheantava a Chiaramonte, o pure mi la dovevafareapiede. Eperstradadaveroc’erino tante carrettiere che antavino verso la casa cantoniere del Filo Zincoro 5. E menomale che uno mi ammesso la cassettasulsuocarro,perché io cià mi aveva stancato. E certo che piú assaie che poteva arrevare era a Licordia6. E io diceva tra me: «Macare lo dico io al carretiere che mi carica la cassetta sul carro». Ma non ce ne fu bisogno, che aveva stato fortenato. E cosí, io aveva secarette, lui era un bravo fumature, e ci ne sono recalato uno pachetto e ci siammomessoaparlare. Ecosí,miracontavache:– Qui, in tutte li paese, c’eni una febre spagnola, che a cente ni stanno morento piú assaiedellaquerra–.Eciho detto che lo sapeva che c’era questa febri spagnola, perché l’avevasentitodireaNapole, amMissinaeaCatania.Maio della spagnuola non mi impresionava, perché veneva dell’inferno, e poi che penzava che doveva antare a vedereatuttalafamigliamia, perché aveva 18 mese che nonvedevaammiamadre. Cosí,revaieaChiaramonte esonoentratonelcoltile,che c’era un lampione aceso che sipotevavedireperforzzala portadoveiociavevaabitato di quanto era nato, e vedeva che c’era uno seduto davante la porta. Era propia il mio fratello Ciovanni, culli stampelle.Iomisonomessoa camminare piano piano, senza fareme sentire, poi che aveva quelle crante scarpone e stava scivolanto, che mio fratellosièalzatoedisse:–E questo soldato che è, Vincenzo? – E con la prescia 7 stava cascanto lui, che se cadeva era un quaio. Cosí, con lo forte spavento, venne mia madre che era ni una vecina. Mia sorella non c’era, che era colle suoi compagni. E cosí, ci abiammo baciato tutte, mentre vinevino li mieie fratelleemiasorella. Cosí, quella sera che io sonoarrevatoacasa,ioaveva una fame di un lupo, e mia madre subito se n’antò a cercarza uova nelli vecine. E cosí, mi ha fritto 4 uova. Il panel’avevinofattofresco,il vino ce n’era tanto perché c’era la febre spagnuola e ci volevavinopernoncivenire la febre. E mio fratello Ciovanni e Vito, per cercare vino buono, erino brave molto. E per non prentere la febre si doveva bere vino e mettere caucina 8 squagliata con l’acqua davante la porta, per ammazare a tutte l’inzerte. E il mio fratello Ciovanni per questo lavoro eraottimo.Mailmiofratello, delle inzerte, non zi faceva muzicare, perché fomava e bevevavino. E cosí, con quella mia venuta, nella mia casa non zi potte dormire, perché stava per farese ciorno e ancora si parlava di querra: lui racontava li suoi e io racontava li mieie. E li mieie fratelle e mia madre piancevino di allecria, e mia sorella pure, delle cose che noiracontammo.Epoiilmio fratello mi ha detto: – Ora ti ne vaie adormire, e poi deve stare atente che qui a Chiaramonte, con la spagnola, ni moreno magare 20 o 24 al ciorno. Tu ti deve stare nascosto come ti faie fermarelalicenza,perchéqui il maresciallo ave l’ordene che tutte li soldate che vencono allicenza, che li vedevino li carrabiniere in ciro, per 3 ore al ciorno dovevino antare a cimetero perfarefossepermuorte. Cosí io disse: «Che bella cuoppiladimincia,chevenne quiperfarelobechino!» E cosí, mi ha fatto 10 ore di dormire, e poi venne mia madre a sbegliareme. E mia madre mi ha detto: – Figlio mio, io non ho dormito per nienteasentirearromparete,e quanto discorse brutti haie sognato.Mihaifattopiancere di quello che haie detto nel sogno. Come sei retornato vivo ha stato uno miracolo! Che ave di quanto ti sei corcato che sparre 9 nel sogno, sempre che ti haie sognatodisparare. Io, certo che come sono revato, io e Ciovanni abiamo racontato fatte di querra, e certochemil’avevasognato, e del letto magare aveva cascato. Cosí, mi sono alzato e subito mi ne antaie nel maresciallo per fareme fermare la licenza, e il maresciallo me ha detto: – Rabito,quic’enel’ordeneche li militare che vencono illicenza, per 3 ore al ciorno, devonoantarealcimiteroper farefosseperimorte,perché noncisonouomine,equinte tudevefaretreoremagare. Responto io a colpo, perché era stato avisato di Ciovanni, e ci ho detto: – Signore maresciallo, che per domane io non ci posso antare perché subito subito devo antare amMezzarrone, che quella poveretta di mia madre sta spetanno propiamme per ventegnarlla 10, perché ci doveva antare il mio fratello Ciovanni, che ci ave li stampelle e non ci pole antare,equente,senonvado io a coglire questa racina, si perdetutta. E il maresciallo ci ha scritto la licenza e mi ha detto: – Va bene, poi mi porteraie umpoco di uva di tavola. E poi il maresciallo mi ha detto: – Tu seie Rabito, il figlio di quella signora che il recemento ci ammantato lire 150 di premio per i fatte di querra?–Eiocihodettoche erapropiaio,eilmaresciallo m’hadetto:–Vateneenonti farevederedaicarabiniere. E cosí, mi ne sono antato con il permesso del maresciallo, che lo hanno inteso magare altre carabiniere che erino dentra alla caserma. E io pare che avevapresoilterno.Maperò penzava che ci aveva a portare l’uva. Ma poi, alla sera, mi ammantato a chiamarepropiaperdiremedi non portare l’uva, perché come li suoi figli vedevino l’uva si la manciavino, che c’era questa maledetta spagnula, e lui teneva paura che ci morevino. Che erino propia li frutte che hanno fattovenirequestaspagnola. E cosí non antaie a fare fossa. Io,pernatura,stavasempre arrabiato, perché li solde, quellecheavevinodatoamia madre, non ci n’erino piú. Cosí, io voleva fare solde. Poi,domandaieamiofratello Vito, e ci ho detto: – Ma tu dove vaie a travagliare? – E mi ha detto: – Mi ne sto antanto a Vettoria –. Perché per racoglire l’uva si quadagnava 25 lire al ciorno, perché non c’erino uomine a racoglira, perché tutte li uommine erino soldate. C’erino li sole femmene che potevinoracoglirequestauva, malaspagnolafacevamorire alle donne, propia quelle che avevinodi18a30anne. Cosí, ammio fratello Vito, ci ho detto che ci antava magareio,perchéio,sentento lire25alciornodiquadagno, impazie e disse: «Di la spagnolanontencopaura».E daveropartie.Perchéiodisse che se faceva 4 ciorne quadagnava lire 100, e lire 100 io non l’aveva visto maie... Che, con quelle solde che ioavevaquadagnatoacoglire racina, mia madre si ha comperato 5 tummina di farina e tante altre cose per manciare, e vino che quanto piú assaie si ne poteva bere quantopiúmeglioera. E poi, gli altri giorni, io dovevastaredentracomeuno recercato, per non mi fare vediredaicarabinierecheera inciro. Ma li ulteme 3 ciorne mi ha vestuto di coraggio e, caminanto, queste ultime 3 ciorne, mi sono acorto che a Chiaramonte con la spagnola ni morevino piú di 20 al ciorno: li carrecavino con li carrette, e poi la cascia ci la facevinocon4pezziditavola qualunquie, bastiche li portavinoalcimetero.Perché limuortenellifamiglie,come morevino, subito li quardie stavino pronte, e li carabiniere ci li facevino portare subito al cimitero, perché con la puzza facevino morireaquellevive.Equelle chenonavevinoparentecile portavailcomune,aspesedel comune. E poi il comune ci sventeva quello che il morto lasciava, e cosí il comune si pagava con la propietà che il mortoaveva. Poi, a Chiaramonte, c’ereno 40 pricioniere austrieche,chelitenevinoper fare pulizia nelle strade del paese, e magare vurrecavino muorte. E certo che queste pricioniere, un ciorno che facevinopulizianelcortile,io mi trovava seduto davante la portadicasaconmiofratello Ciovanni, cosí, comincianto dimiamadre,aquestepovere descraziatepricioniere,tutteli vecine s’intresavino per darece ammanciare, metento unacosaperognunavicina,e ci daveno magare il bichiere del vino, perché ci facevino piatà, perché poleziavono le strade. Maquestestubitefemmene perché lo facevino? Perché nonavevinofattolaquerra! Ma mio fratello Ciovanni, che quardava che queste vicine avevino tutto questo puntiglio di darece ammanciare, si arrabiava, perchépotevinoesserequelle propiacheciavevinorottola campa.Ehapresoperbutane a tutte li vecine, e magare la stampella trava alli pricioniere che manciavino, con il tanto nervoso che aveva... E io mi recordo che ci deceva: – Vannuzzu, hai raggione, ma quelle sono state comantate per fare la querra come fommo comantatenoie! Cosíio,perarracionallo11, mi l’ho portato con li stampelle a camminata, e sempre dicentoce: – Che ci puoi fare? E allora io che prese tante bastunate e mi hanno lasciato perché ci pareva morto? E, poverette, queste pricioniere sono state comantate per sparareme magare amme e dareme bastunate.Epurechecosase cepolefare? E mio fratello pianceva e mi deceva: – Tu haie preso tante bastunate, ma camine come prima, mentre io sono rovenatopertuttalavita! Certo che aveva raggione, Ciovanni, che a 22 anne camminare con li stampelle eraunafortedescrazia! E io fenie questa devertente licenza, e doveva partire,eliciornaleportavino che si doveva fare una forte offenziva per tuttu il fronte italiano, che era la resposta che l’esercito italiano doveva dareallasercitoaustrieco. Esapevachecomeparteva diChiaramonteun’altravolta doveva antare ammorire come le brutte ciornate del Piave. Iopenzavachemiofratello pianceva che camminava con listampelle,peròcidiceva:– Ma tu sei vivo e alla fine della querra prenteraie umposto come mutelato, e la penzione te la danno, ma io non sono securo di venire a Chiaramonte… I mieie fratelle, mia madre e mia sorella, vedenteme antare nel maresciallo per fareme mettere il visto di partenza, piancevino, tra la spagnola che c’era e io che avevafenitolalicenza. Poimenesunoantatodalla mamma di Tano Sapunaru (cheeranelmioreparto),per direcesecivolesseromantare qualche cosa di manciare. Cosí, la gnura Immacolata conli2figliefemmine–che avevino sempre in campagna ammazatoilmaiale,epoiche madreefiglieavevino6mese cheaspetavinoaTanuzzuper venire allicenza e non era licenza che ci davino, e il maialecheavevinoammazato la salsiccia era ancora apesa –,quintelagnuraImmacolata e i suoi figlie, come hanno capito che io parteva, subito mi hanno fatto umpacco per portalloaTanoSapunaru. E cosí io, tra me, diceva chequestopaccoperforzami lo doveva manciare, perché da Chiaramonte al reggementocivolevino7o8 ciorne,eliprimedisetembre cheerinoefacevacaldoicibi se scontizionavino. E poi, quantoioarrevavaaBassano ci volevino altre 4 ciorne per trovare il reparto, e poi che erino in trinceia bisugnava camminaredinotte,eilpacco che pesava 10, 12 chila... C’erino bescotte, c’era salsicia, c’erino noci, c’erino mandole e tante cosi, e poi c’era una butiglia di vino vechio, e poi che io ci aveva detto:basticheerinocosaper manciare,tuttomiportava. ArRaqusa arrevammo con uncarrettoehopresoiltreno per Catania, Napole e Padova, perché il comanto di tutte li forze compatente era tutto a Padova, e lí mi sapevino dire dove era il reggemento. Quintecihannodettocheil 69 reggemento Fanteria, bricata Ancona, si trovava a Bassano del Crappa, e treno non ci n’era, che besognava difarlaapiede. C’erino altre 3 soldate che dovevino venire pure, ma io in compagnia non ci voleva camminare se prima non li conosceva.Epartiesoloperli strade del Venito, quase che io li sapeva a memoria, perché marcie ci n’avevimo fatto tante, e quente non mi poteva sbagliare per antare a Bassano del Crappa. Poi che mi trava il conto che li soldate quanto manciare aveva io non l’avevino, e quinte, magare che io manciava, senza volere, per forza, qualche cosa ci la doveva dare. E quinte, era meglio che mi n’antava solo, perché la salsiccia che mi avevino dato per Tano mi la voleva fenire di manciare solo.Epoi,tantodesederiodi arrevare presto non l’aveva, perché piú tardo revava al reggemento piú meglio era, tantoilvisto«arrevare»nella licenzamicil’avevinomesso aPadova,ederaciàaposto. E sono revato a Bassano e mi cercaie umposto per arreposareme e fareme umpezzo di suonno propia allato del ponte di Bassano, cheeratuttobombardato,che intuttelimarciecheavemmo fatto nel Venito sempre se cantava questa canzune «Sol ponte di Bassano», senza sapere cosa era il ponte. E cosí, per questa compinazione, ho visto questo sempre cantato «Il ponte di Bassano» di tutte li soldate. Io non ci aveva stato mai, maeraumpontecometutteli altre ponte, solo che la bellezzaerachequestoponte atraversavailpaese.Intempo di pace tante paesane, e magare fuorestiere, si ce facevino la passegiata, di sopra il ponte, ed era mereviglioso perché, di sotta lí, passava il fiume Brenta chevenevadiTrento.Maora, conquestaquerra,liaustriece l’avevinodistruttoenonc’era niente di bello, anze, si doveva stare atente che ci sparavino sempre, e uno che voleva vedere il ponte ci potevaapezzarelapelle12. Poi, mi sono seduto e mi sono messo ammanciare, e mentre che manciava hanno venuto 4 racazzette per vedereilponte.Iomanciavae queste ragazze mi quardavino. Alloracihofattosegnalee hannovenuto. Io mi pareva che erino come li picciridde della Sicilia, che ci piaceno li fave attorrateelicicere 13atorrate e le nocidde mirecane attorrate. Io ni aveva portato tante di Chiaramonte per passareme il tempo emmanciare, perché era piú picolo dei picole per queste cose. Cosí, questi ragazocci vennero e io ho preso umpugno di queste cose attorrate e l’ho dato a queste ragazzediBassano,ecomeci l’ho dato non si l’hanno voluto prentere e mi hanno detto: – Queste li deve dare alliarmale,nonannoi–.Emi hanno remproverato. Cosí, io mioffattoilcontochequeste ragazze non fanno per noi, perchésonoaustriecheesono cosa14dimanciarepolenta… Come unscie Bassano e fece 400 metre, vedo che c’era un bel palazzo con una velletta. Cosí, io mi sono fermato alla vista di questo crante caseciato e vedo nell’entrata che c’era una tabella che la lesse, menomale che senza antare alla scuola qualche cosa la sapeva, che tutte li mieie rechezze erino queste: di essere curiuso a lezzicire 15 tutto quello che vedeva. E cosí,pianopianolessequella tabella, e c’era scritto: «Comanto della bricata Ancona.69e70Fantaria». Iomisonopresodiallecria che alleggere quella tabella pare che avesse liciute l’intrizzodicasamia.Ecosí, disse: «Ecco che cià ci siammo!»,compurechestava per raggiuncere la trinceia e trovareilreggemento. E cosí, mi sono presentato al comando della bricata per direcedoveerail69,chepoi doveva antare a trovare il reparto Zapatore. Cosí, l’oficiale de servizio mi ha detto che: – Al momento parteno li contecente che portino il manciare alla Valsocana 16 e ti ne va con loro,chetiporterannopropia al2battaglione,dovetudeve antare, che lí c’ene il comandodibattaglionechelo comanta il maggiore Tordo, che tu, come lo vede, lo conoscie, perché ene catanese, questo bravo capitano. Poi, mi ha domandato: – Che se ne dice di questa spagnolainSecilia?–Eioci ho detto: – Signore capitano, ammiopaese,aChiaramonte, nella provincia di Siraqusa, mentre che io sono stato allicenza, ni moreno dai 20, 24 al ciorno. E certe paese, che sono vecino ai fiume, stannomorentotuttelidonne ciovine con questa malatia –. E il capitano mi ha detto: – Figlio mio, è sempre causa della querra, che c’ene la destruzione per tutte! – E io ci ho detto: – Signore capitano, questa malatia che la chiamino «spagnola» che non feniscie maie!? – E recordochemihadetto:–Tu ancora sei ragazzo e non lo puoi capire, perché d’ogni cosadevefareilsuocorso–. Emihadetto:–Racazzomio, fatte coraggio, che la spagnolaèquasefenita,efra 2 mese feniscie magare questamaledettaquerra. 1 borrecare o vorrecare: seppellire. 2 cratovate:graduati. 3 MonterossoAlmo. 4 Meolo. 5 Filo Zingaro, una località sulla strada che conduce da Vizzini a MonterossoAlmo. 6 LicodiaEubea. 7 prescia:fretta. 8 caucina:calce. 9 sparre: straparli o piú probabilmente,inquestocaso,spari. 10 ventegnarlla:vendemmiare. 11 arracionallo: farlo ragionare, calmarlo. 12 apezzare la pelle: lasciare la pelle. 13 cicere:ceci. 14 sonocosa:sonocapacisolo. 15 lezzicire:andarealeggere. 16 ValSugana. Capitolosesto Vintalaguerrapersoil manciare Mapoiilcapitanorestavo, e io sequitaie a camminare con li contecente. Ma, arrevanno a uncerto punto, il sercente che comandava questa corbe di mule 1 ni ha detto a tutte: – Permammice umpoco, che prima che passammo questa collina, dobiammo fare con questa bantiera a lampo di colore il segnale alla vedetta di quello monte di fronte, e vediammo che cosa ci arrespondono –. Che là ci avevino l’altra bantiera allampo di colore, comel’avevailsercente. Eiocheormaieeraprateco dellaquerra,ecapevamagare che voleva essere questo signale, disse tra me: «Ecco chesiammopronteperpotere morireun’altravolta». Perchéammemipiacevadi farelaquerraemagaresofrire assai,marestarevivo,chepoi quanto si n’antava concerato racontava queste fatte di querra. Ma quanto uno muore, certo muore de fessa! Cosí io diceva: «Mi piacesse di essere ferito come Ciovanni, e cosí, alla fine, contasse tante cose di querra». E cosí, il sercente fece il segnale e di quella parte ci hanno resposto con la bantiera che potemmo passare. Al comanto di battaglione trovammo il maggiore Tordo cheprimaeracapitano,econ lavittoriadelPiavel’avevino fatto maggiore, e il tenente Sparpaglia fu proposto capitano. Mi sono presentato a questo catanese e mi ha detto:–Tucheseie?aRabito? –Eiocihoresposto:–Sí–. E mi ha detto: – Ti sei devertito allicenza? – E io ci ho detto: – Che bello devertemento, che il maresciallo ci ha detto alla carabiniere: «Tutte i soldate che vedete passeggiare portatavelle al cimitero per farefossadimuorte!»–Cosí, il maggiore si ammesso a redire. Quinte, mi ha dato tutto il correto che aveva di bisogno il soldato che era in querra, piúmihadato2scatolettee4 callette, e mi ha detto: – Rabito,nonmancialle,perché tilefannopagare,chequesta reserba si deve manciare quanto non viene il rancio –. E dovevino stare conzalbate bene, e servevino, questa reserba, magare per quanto passavaqualchepezzocrosso e li voleva vedire, e se non avevimo li scatolette e li callette,daveroniponevino. Ecosí,quantoiomiaveva preso tutto, che era bene armato, sento parlare al tenente, il patornise 2 che, come sebbe che io aveva arrevatodellalicenza,emiha inteso parlare, spontaniamente ha venuto e mihadatounobacio,chenon l’averebbe fatto – questo di dareme uno bacio – neanche unofratello. Che bravo tenente che era questoperme! E il maggiore e il tenente poi si hanno messo a babiare comme, e macare mi hanno dato una cozata per uno. E poi, mi hanno lasciato e io li senteva arraggionare tra loro edicevinochealpiúprestosi doveva fare l’ofenziva, mentre veneva umporta ordene, e queste oficiale ci hanno detto: – Portate a questo soldato Rabito nella prima linia, che non sape dovedeveantare–.Ecosíio, eradinottechemilorecordo di preciso, mi carrecaie lo zainoeminesonoantatocon quello porta ordene, che mi ha portato propia imprima linia. Lí, mi ha consegnato a un sercente, che io maie l’aveva veduto. E il sercente nonfecealtrochemihafatto montare di vedetta in uno postoavanzato. Io, per la prima notte, non conosceva annesuno, perché erino tutte quase nuove arrevate,enonpottetrovarea uno che conosceva prima di antare illicenza. E poi di notte, che c’erino tante soldate piede piede e non sapeva come se chiamavino, nonsapevasevicinodoveera io c’erino soldate che io avesse conosciuto. Tutte erino soldate venute nuove. Menomale che aveva trovato alle 2 oficiale che si avevino messo magare a babiare comme,masennòpoi,quella notte, mi pareva che fosse pricionieroconliaustriece... Cosí, fenie di fare questo ciorno di vedetta e mi volle informaredoveerinoantatea fenire tutte li zapatore che aveva lasciato, e antaie a cercare al tenente Sparpaglia – che piú non si chiamava «tenente», ma si chiamava «capitano»–,el’hotrovato,e cihodetto:–Madoveantaro afeniretutteizapatorecheio conosceva, e ora non conoscio annesuno? – E il capitanomihadetto:–Tutto ene campiato, tutte hanno partito per la licenza. Io e il catanese, il magiore, non ci hanno mantato a casa perché abiammo avanzato, quinte, invece di mantarece illicenza ci hanno fatto a Tordo maciore e amme mi hanno fatto capitano. E secome oficiale ci n’erino poco, annoienoncihannomandato illicenza... Mi hanno mantato tuttesoldatenuove,eiomiho fatto mareviglia come a te ti hanno mantato qui un’altra volta comme. Ma ora faciammo un’altra volta il reparto Zapatore, ci orcanizammo come prima –. E io diceva: «Magare lo facessino!»Perchéiosenzail capitano patornise non mi piacevadifareilsoldato. E cosí, magare Tano Sapunaru si ne era antato, e per quello che io non lo poteva trovare, e ho fatto bene a manciareme tutto il paccocheciavevaportato. Edavero,doppo10ciorne, si aveva orcanizato il reparto Zappatore, e il capitano Sparpaglia aveva un’altra volta il comando. Ma dei vechie soldate, quase che c’eraiosolo. E cosí, cominciammo a fare caminamente e trenceie, e se lavorava come se fossemo a conto di una ditta in Italia. E finarmente abiammo fatto una bellisema strada, per quanto li mule ci potesseroportareilmanciare. Poi,unanotte,versoli2o l’una che poteva essere, venneilrancioecistapemmo preparantolicavette,eancora c’eraunomulo,carrecoconli casse, che aspetava che li cuciniere scarecavino li altre mule e poi scarrecavino a questo mulo, che era lo piú tristo mulo di tutte li mule, per non fare bordello, che erimoinunopuntoprecoloso. Ma queste cechine austriaci, non si sa di unne 3 ni ha venuto questo tradimento, o pure sapevino l’olario precisa, ci hanno butato il refreturio e si hanno messo a sparare,cheinunominutoci hannofattosperdireatuttedi quellapiazola,cheerimotutte prontepermanciare.Enoini abiammo visto – che dalla nebbia che c’era non ci vediammo uno con l’altro – trovate in una luce come fossemo in una piazza prencepalediumpaesequanto c’eneunafesta. Cosí, una cannonata scoppiò propia allato di quello mulo tristo e si hanno rozelato4limarmitte.Ilmulo si ha rozelato magare con tutte li marmitte. E tutto il rancio antavo a fenire nel fiume.Ecosí,socesselafine del monto, che per 2 ore questecanesihannomessoa sparare.Poicheilterrenoera comelapinetadellaCrazia 5 aChiaramonte,tuttelimulee li marmitte antareno a fenire nel fiume Brenta, e senza poterene vedere uno con l’altro. E quella notte fu la notte piúdesonestadituttelinotte, che tutto quello lavoro che avemmo fatto fu destrutto. E senzamanciarerestammo. Io, per pura compinazione, ho trovato umpicolo refucio, quantocihoinfelato6latesta e li spalle, e per fortuna non ho preso nessuna sassata e nessuna pallotela, perché il mio destino era di vedire tante sofremente e non morire. Come si ha smuzato il fuoco e il refretorio hanno levato, secome era a 4 metre lontano di dove avevino scarrecato il rancio, vedeva una marmitta da campo, che era la marmitta dove le cuciniere portavino la carne. E, per mia fortuna, questa marmitta, causa che c’era antata una pietra crossa di lato,erestavaferma,eio,con quello refiletorio che c’era, l’aveva ochiata. Cosí, piano piano,prentolamarmitta.Ma c’era un altro soldato nascosto come era io, che lo sapeva macare di questa carne. E tutte 2 dissemo: «Muorte che muorte, ora manciammo, che cosí, se ancora spareno e ci ammazino, per lo meno moremmo co’ la pancia piena!» Poi, c’era magare un varrelotto di vino, che era in una fossa che avevino fatto una di quelle cannonate, e c’eraunaltrosoldatovicino, che si chiamava Orlanto Mario, che era siciliano. Ed erimo 3. E con tutta quella paura che avemmo, avemmo tanta fame. Cosí ci abiammo messo ammanciare come li lupe afamate. Io mi aveva fatto pieno di carne il lermetto.Mariomihadetto:– Tu, Rabito, come cazzo combine,tilavedetu,checi hai il lermetto pieno di carne7... E manciammo, senza penzareallamorte.Epoitutte dissemo che come ni passa questa paura antiammo a cercare acqua per bere. Perché poi, carne che ni avemmomanciatotanta,vino che con quella carne ni avemmo beuto uno litro per uno,quintedellasetestavimo morento. Io ne lirmetto ci aveva10razionedicarneela doveva lecare, perché il lermetto era la salvezza della nostra testa, e quinte mi lo doveva mettere. E ci deceva: – Vediammo se ci la potemmo manciare e poi vediammo come potiemmo fareperbereacqua–.Ecosí, davero reprentemmo ammanciare, che la nostra panciaeratuttapienadicarne e vino, e senza pane. E ci ha venuto una sete di come li canecaciatore,cheportenola linqua di fora quanto non hanno acqua. E cosí, ci ha cominciato a farene male la pancia, che non avemmo mortoperpuracompinazione. IoeMariodoviemmomorire con il tanto manciare... mentre il 3 di noi davero forse che morio, perché si ha rozelato nel fiume e non l’abiammovistopiú. Mentre il cechino, per la sua bontà, ancora sparavino. E non potiemmo antare a cercareacqua.EMariomiha detto: – Maledetto noi che abiammo manciato tutta quella carne e tutto quello vino –. E tutte 2, io e Mario, dopo che avemmo auto la fortuna di manciare, bestimiammo, perché avemmo una forte sete e il dolorefortedipancia,mentre quellealtrechecominciavino a uscire fuore dalle loro nascontiglie stavino morento difame. Cosí,iodisseamMarioche sapeva uno sentiero che quanto pioveva l’acqua sculavaausounastizana8.E cosí, ci antiammo. Lí c’era macare una picola crotta che non ci potiemmo entrare all’impiede, ma comunque erimosalve. Ci abiammo messi la cavetta in quella stizana e aspetammochesiavessefatta piena. E spetammo che poi, quanto si riempeva, con uno sorsone ni passava la sete, cheavemmolaboccaasciutta che magare ci ammancava il respiro. Ed erimo messe a quardare quella cavetta come quarda il caciatore che mette laferetta 9 dentra la tana per far uscire il coniglio. E cosí erimomessenoie,ioeMario. Ma il diavolo non voleva chenoidovemmobere,quella brutta notte! Bello che la cavettaeraquasepiena,chela stapemmo prentento, passareno 3 soldate di corsa, e con li piede, senza volerlo fareapposta,fannocascarela cavetta,cheparecheavessero datounapedataaumpallone. E la cavetta, rozzolanto e facento bordello, si n’antò pure nel fiume. E cosí li austriece hanno fatto un’altra sparatoria. Ecosí,ioeMario,ilnostro conforto era bestimiare. Manco di fare acqua ci veneva, perché altremente ci avessemo beuto macare la nostra orina, per vedere se ci avessemo potuto bagnare li labra. Io,aquellechehannofatto cadere la cavetta ci ho detto tante volte «descraziate». E uno mi ha detto: – Poi, Rabito, ti faccio vedere che siammo li descraziate, tu o noi!–Ecorrevinoconquella barella. Fucile e bombe ce n’erino tantepiedepiede.Eioteneva tutto pronte, che, se retornavino, era diciso che io moreva per la site e loro dovevino morire con un corpo di baionetta. Tanto era arrabiato quella descraziata notte! Che menomale che non turnareno piú, perché, poverette, con una cranata che sparareno li austriece morerino... E macare il ferito morio! E quinte, sempre al buio, cercammo un altro pezzo di latta,tuttasporcaditerra.Ma la terra non faceva male. L’abiammo messo da nuovo sotta la stizana, e un’altra volta aspetammo che potissemo bere. Cosí, io e Mario stiesimo di quardia a quardarequellopezzodilatta tutta sporca di terra. E chi ci avecinava, magare erimo pronte per spararece. Magare che avesse venuto mio fratello, ci avessemo sparato... E finarmente, butanadel’inferno,sihafatto piena, quel pezzo di latta, e con tutta la terra l’abiammo beuto, che ci abiammo preso tanto piacere a bere quell’acquasporca,epareche avessimo entrato nel paradiso... Poi, venne il mese di otobre e venne il vero inverno. E ho visto un’altra notata che, questa, non la possodementecare.Cheioho visto che un caro amico mio ha ammazato a uno sercente, perché, per essere malacarne, questo sercente lo era davvero, sennò non moreva ammazato. Ed ecco come sonoiverofatte. Questo amico mio, che si chiamavaGramignaederadi Salerno, ci ha venuto uno telecramme, dove diceva che il padre e la madre ci stapevino morento. E quinte, questo telecrammo aveva venuto del comando della bricata Ancona, che era di resedenza a Basano. E il telecrammo diceva che il soldato Gramigna doveva antareillicenza. E secome tutte queste ordene venevino sempre di notte, li crosse comandante nonlosapevino,equelleche lo sapevino erino li sercente. Quente,questotelecrammelo ha preso questo desonesto sercente,cheerailsercentedi Gramigna. E secome, propia quella notte, il Gramigna era comandato di vedetta, il descraziato sercente voleva che per forza non doveva partireperlalicenza,seprima nonfacevalasentenella. Cosí, tutte 2, che sempre erino apicecate 10, dopo a questa discussione che ci fu, si hanno odiato piú assaie. Gramigna voleva partire. Il sercente voleva che prima facevailservizio.Enonc’era acordiochesipotevafare. Cosí, tutte 2, parterino per il posto avanzato. Ma il Gramigna, quanto si ha visto che il sercente per forza lo stava portanto nel posto, propia di fronte all’austriece, cheeraumpostopricoloso,e, prima di arrevare nel posto, precava al sercente – che stavamorentosuopadreesua madre – di non fare questo servizio, facendoce sapere che ci trovava un altro soldatoperquellanotte.Mail sercente:–No!–cihadetto. – Deve essere tu, e tu per forza! – E si hanno messo a farebacano. Maliaustriece,cheerinoa poche passe, ci hanno fatto unascarrecadimitragliatrice. Cosí, il salernetano, profetanto di quella sparatoria, non ci ha penzato 2 volte: ci ha terato un colpo di fucile al sercente. Tanto si n’avevino sentito tante colpe difucile... Come ha ammazato al sercente, Gramigna partio, che c’erino 18 chilomitre di strada. E, avante che aciornavo,fualcomanto.Eil comanto ci ha dato la votorezazione 11 di antare a Salerno. Tutto perfetto li contefattediGramigna...Ma fu fessa, Gramigna, perché, invece di avere la volentà di partire subito, poteva vedire seeraancoravivo,ilsergente, che poteva parlare, cosí ci dava un altro colpo e lo liquitavapreciso. Il capitano Sparpaglia, vedento che il sercente non veneva, che doveva antare a dare il campio a un’altra sentenella – cosí era l’una di notte, che non lo posso dementecare – il capitano vedeammeeunaltro,edice: – Rabito, antate per questo caminamento. EioeBasilepartiemmo.E doppo che avemmo fatto 15 metre, sempre basse basse – perché sempre pallotele ce n’erino in ciro che poteva morire sicuro –, io e Basile abiammo sentito uno mormerio di un soldato morente, che aveva l’ulteme respire. Cosí, fecimo altre 2 passi e ni l’abiammo ammatito 12 colle piede, e quanto l’abiammo quardato bene, abiammo visto con Basile che questo era il sercente, propia quello che cercava Sparpaglia. Cosí, subito retornammo e lo antammo a dire al capitano, cheilsercenteeramorto. Ma, però, non sapemmo che l’aveva ammazato Gramigna e neanche sapemmo del telecrammo. Perché io e Basile, se sapemmo che l’aveva ammazato Gramigna, tanto era morto lo stesso, io al capitano non ci lo deceva subito che era morto. Ci lo potemmo dire magare passanto un’altra menz’ura, che lo lasciammo morire per quanto non poteva parlare e direchel’avevaammazato. E cosí, arrivo nel capitano e gli dico che il capitano era morto, non d’una parola in piú. E il capitano subito venne a vedillo, perché doveva dare li ordene a un altro sercente che doveva dare il campio alle altre vedette. E cosí, il capitano, comelovede,livollemettere uno stromento nel cuore per vedere se era morto davvero. Eilcuoreancoraciabatevae per morire ci volevono poco minute. E in queste poco minute ebe il tempo di dire questaparola:–FuGramigna che mi ha ammazato! – E come ha fenito di dire: «Fu Gramigna…», cettò l’ultimo respiroemorio. E cosí, il capitano dovette fare il raporto che il soldato Gramignaavevaammazatoal sercente. Gramigna aveva preso il treno per Salerno. E cosí, il comantomantailtelecrammo alli carabiniere di Salerno, e Gramigna non potette arrevare a vedire la sua famigliachefusubitopresoe portato a Bologna, che doveva essere fucilato subito subito. Ma secome il soldato Gramignaeraverocheaveva il padre e la madre morebonte, tutte 2 con la spagnola, e il telecrammo l’avevanelletasche,epoiche descenteva di cente che avevino assaie solde, sobito partiero 4 avocate, li piú bravediSalerno,eotenneche prima di focilallo di farece il processo. E cosí, Gramigna non fu fucilato, che si ha scanzato la morte, e neanche piúalfrontefuportato. Cosí,quellanotte,alposto che ci doveva antare Gramignaperdareilcampio, ci siamo andati noi. Il capitano ci ha messo a un altrosercente,equestovenne beduzzo beduzzo a pregare amme e a Basile. E ni ha detto: – Per favore, Rabito e Basile,questemezzanotataci volete dare il campio alla sentenella? E cosí, io e Basile, dovettemo fare, colle dolce parole, la sentenella. Che li austriece erino lontano 50 metre. Poi, un ciorno del 16 ottobre del 1918, abiammo visto arrevare tante soldate belle fresce fresche. E lo scopo certo c’era perché arrevavino, perché l’avemmo intesodirechesidovevafare questa crante ofenziva, ma nonsisapevalaciornata.Ma ora se vedevino tante remporze e tanta monizione cheportavino. E finarmente fu davero. Che il 16 ottobre del 1918 il bolletino «Fante» diceva che l’italiane avevino atacato il Piave e Monte Tompa 13, e poi il 27 ottobre, nella stessa ciornata e nella stessa notata, l’italiane atacareno Monte Crappa e Monte Corno, che erino vicino annoie, e se sentevino li cannone come che ci fosse un terremoto continio. Li altepiane di Aseaco e Montello, tutto il fronte, aveva deventato una fiamma. Sololinostreposezionese stavino ferme, perché se trovavino piú avante di tutte. Ma erimo messe pronte per dare l’asalto a quelle posezionecheaveinostatola nostraspiaeilnostroveleno. Poi,ilcapitanonihadetto: – Ragazze, di questo momento impuie il nostro reparto Zappatore non si chiama piú «Zappatore», ma si chiama «Cruppo di Ardite Reggimentale»–.Equinte,ci hanno dato uno tascapane di bombe petarde, umpugnale, razze, e tante pistole a razzo che infiammavino di dove passammo. E poi, ci hanno dato li pompe come quelle che li condadine pompieno li vegnite,solochelipompedei contadine escino acqua con pietra cileste 14, e invece, quella che hanno dato annoi, butavino fuoco. E totte li atrezze dei zapature l’abiammolasciato. Quinte, tutte li nostre oficiale erino con uno benochiloperunoeunacarta ciocraficaperuno,pervedere i movemente che faceva il nemico. Erino momente di paura e di morte. Tutte tremammo, perché come li ofeciale dicevino: «Avante Savoia!»,certochesidoveva partire. E aspetammo quella infame e desonesta parola: «AvanteSavoia!» La notata del 27, che doveva aciornare il 28 ottobre, erimo morte di suonno e morte di fame, perché,causaquestoaspetare, rancio non ni veneva. Cosí, verso li 4 o le 5 di mattina, allato di noi c’era una compagnia di mitragliatrice cheerinopiúintietro.Quinte, prima atocava alloro di dare l’asalto. Queste erino piú di 500 soldate, tutte mitragliere dellaSantatiene 15,eavevino 10 mitragliatrice. E quanto abiammo intesa un colpo di trompa e migliaia di voce in tutte li monte che erino a tuorno annoi che credavino: «AvanteSavoia!»,noiancora spetiammo quella crante e desonesta parola. E non la dicevino, perché la nostra posezioneeraavanta. Passareno 10 menute e venne umporta vordene dicendo che dovemmo dare l’assalto pure noie. E cosí, il nome dai zapatore, il nostro capitano non lu ha detto: «Avante Zapatore». Cosí, ci hannodetto:«AvanteSavoia, Ardite!» E noi andammo all’assaltoconilpugnalealle manoeiltascoapanepienodi petarde e li pompe che butavinofuoco. C’erino tante oficiale, ma non erino oficiale che noi li conosciammo, erino oficiale venute da lontano. E c’erino oficiale con li fiamme nere, quellecheerinovereArditee nelle berette ci avevino il destentivodellacompagniadi morte. E diedro di noi c’eri un battaglione di carabiniere con li mitre belle pontante che stavino atento: che se qualcuno di noi si avesse refiutato di avanzare, queste avevino l’ordene di spararene. E cosí partiemmo, che paremmo uscite del manicomio, perché erimo deventate tutte pazze. E cosí, arrevammo alla prima linia austrieca, che allinea d’aria c’erino 25 metri. E se avemmo ammisorare la destanza, che prima dovemmo fare la discesa e poi passare il fiume e fare la salita, c’erino piú di 200 metre di corsa, avante che arrevammo ner fiume, con quello terreno bagnato e pietre e tanto filo spenato e tante trapole che c’erono messevorrecate.D’ognunodi noiavevacascato20volte,di quellecheancoraerimovive. Poi, stavamo con la paura, ché li austriece ci attaccavano con bompe ammano e fuoco di mitragliatrice,ched’ogni5di noi ni moreri 3. E quinte, quanto passammo il fiume, che poi veneva la salita, a li austriececivenivacommitoa butare bompe, e magare rozelavino crosse pietre. Quinte, per forzza, tutte dobiammomorire. E finarmente, doppo tante soldate morte, che erino tutte morte e ferite nel fiume, abiammo conquistato la posezione. E cosí, tutte li bompe che avemmo nel tascapane, tutte ci l’abiammo scarrecato dentra la triceia. Che forino molto forbe, che prima che revammo noie, si ne sono scapate, queste cechine! Perché noi, quelle che per fortuna ancora erimo vive, arrevammo nella sua posizione con la scuma nella boccacomecanearrabiate.E tutte quelle che trovammo l’abiammo scannate come li agnellenellafestadiPascuae come li maiala. Perché in quello momento descraziato nonerimocristiane,maerimo deventate tante macillaie, tanteboia,eiostessodiceva: «Ma come maie Vincenzo Rabito può essere diventato cosí carnifece in quella matenata del 28 ottobre?» Cheio,durantetuttalaquerra che aveva fatto, quanto vedeva a qualche poviro cechino ferito, se ci poteva dare aiuto, ci lo dava. Ma in questa matina del 28 ottobre era deventato un vero cane vasto 16, che non conosci il padrone, che fu propia in queste sanquinose ciorne che mi hanno proposto una midagliaavaloremiletare... Ma poi, in quello ciorno, per il nostro reggemento fu una vettoria sencolare. Ma non fu per noi solo, questa crantevittoria,maunacrante vittoria per tutte i fronte: che l’italiane avevino passato il Piave e li austrieche non facevino piú resestenza e scapavino, e l’italiane avevino riaquistato Udine. Quinte, la crante offenziva era reuscita bene, che si diceva che questa volta l’italianesidovevinofermare aVienna! Cosí,revammoaunopaese che si chiamava Terze 17. E questo fu il primo paese che abiammo conquistato. Ma popolazione non ci n’era, perché era stato preso dagli austrieceunannoprimanella retradadiCaporetto,equinte, tutte li abitante che erino italiane,tutteavevinosfollato ed erino nel Venito. Ma il paeseeratuttodestruttodelle cannonate. Lí, c’era una bella sorciva 18 di acqua e tutte ci abiammo riempito li borracie perchétimiammochel’acqua che scenteva del fiume – che questo fiume veneva delle montagni di Trento – ci avessero messo veleno e potessemo morire. E quinte, con la sorciva erimo piú sicuro. Cosí, il seconto paese che librammo si chiamava Primolanno19.Equestopaese era un bel paese crante e li abitante c’erino. Ma, però, questeabitanteavevaunanno che erino state prese pricioniere, e queste, se noi all’austriece li cercammo per prentelle pricioniere, loro li cercavino per ammazzalle, tante sfreccie ci n’avevino fattopermentrecheerinocon loro... E tutte li racazze di Pimolanno, quanto hanno visto arrevare a noi Ardite, che fuommo i primi ad arevarece, ni hanno baciato come avessemo arrevato li suoifratelle. E poi lí, a Primolanno, propia nella stanzione, c’erino 4 vacone di cavole capucci, che li austriece non l’avevino potuto manciaraselle, e neanche ebiro il tempo di potelle devedere alla popolazione. Perché, questa popolazione, gli austriece la facevino lavorareepoipiúassaiediun cavolocapuciononcidavino per paga, che ci aveno fatto fare tutte li trenceie di quella zona. E gli abitanti di Primolano ni parlavino piú maledinoi,degliaustriaci,e quanto ni vedevino passare dellastradatuttelazzariate20, che facevino magare annoi pena – che speciarmente io aveva auto tante bastonate checidovevaspotare,epure mi facevino pena –, ci portavino tutte quelle caule capucci, che erino ormai scafferoto 21 e fracite, e ci li butavino in facie, e magare petrate ci travino, tanto malo ci avevino fatto queste maleducateaustriece... E cosí, antiammo alleberare Feltre, che era vicinoBelluno,cheFeltreera un bel paese e Belluno era una provincia. E aveva lo stesso di Primolanno, che avevano state sotto li austriece pricioniere, e tutte neparlavinomale. Poi, noi soldate che vedemmo a queste ragazze che ci acoglievino tanto festante, speciarmente noi piciottecheerimoArdite,eni babiavino come se fossemo suoi parente fratelle, con quellacompuzionecranteche c’era, certo profetammo e tocammodonne,emagare,se c’era l’ocasione, ni facevino passaretantepiacere. E magare lo decevino li nostre comantante che l’italiane avevano reconquestatoilTagliamento, etraoggeedomaneliberono magare Gurizia. E quinte tante soldate e ofeciale anziane dicevino che, con questa crante vettoria, la querrafenisciepresto! Cosí, il ciorno 30, noi Arditeerimonellaperiferiadi uno paese chiamato Butrio, che la popolazione era mità austriecaemitàitaliana.Non eracomeFeltreePrimolanno o Belluno, che avevino stato sempreitaliane,inveceButrio era al confine tra l’Italia e l’Austria. Abiammo fatto l’entrata a Butrio, che abiammo trovato tutte li barcuna con bantiere bianche, senza sparare un colpodifucile.Enellapiazza dove sicuro che c’era il monicipio c’era una crante bantiera italiana, e noi tante orcogliose, perché vediammo questa bello trecolore che sbendulava in questo prima paeseaustrieco. Recordo ancora, di queste maledette ciorne, che io mi trovavaapociatoalmuro,che stava mancianto ed era stanco, mentre passa uno degliaustriecechesiavevino arreso,sihapresentatoconli mano aperte, come un puveredune 22, per volere un bocone di pane, che io ni aveva assaie pane, e stapeva fantolamossaperdaricillo,e macare avesse voluto una fumata, che stava morento di fame e di fumare. Questo parlava italiano, ma io non sapeva che questo era austrieco e aveva fatto tanto male lí, a Butrio. E stapeva prentento umpò di fumare e uno pizitino di pane e ci lo stava dando, e mi ho visto aferrareilbracciodi2donne, che con una bastunata mi stapevinofacendocascaredel muro, e mi hanno detto magare:–Descraziato,perché ci daie ammanciare a questo descraziato?–Eiosubito,per non mi fare ammazare di queste 2 donne, ci ho detto chemiapparsoitaliano,mail bracciodell’austreico,chelui avevapresentatoperprentese ilpaneeiltabacco,li2donne con una bastunata ci l’hanno rotto, tante erino arrabiate, quella mità di popolazione che erino italiane, che avevino stato pricioniere un anno. C’era una lotta fortissima tra li cevile e gli austriece in quellopaese.Poichenoinon li potemmo conoscire chi erino li nimice e chi erino li amice, quinte si conoscevino tra loro e tra loro si ammazavino. Poi recordo che era la matina del 2 novembre. Il bulletene di querra non parlavino altro che di una crante vittoria per l’italiane. Io sempre diceva fra me: «Che fosse brutto morire l’ulteme ciorne della querra...» Perché sempre ni morevinosoldate. Cosí, quel giorno, antiammo sopra li montagno delpicolopaesediRoceni 23, e tutte li abitante delle campagni erino secure nostre nimice, e li oficiale ni dicevino:«Stateatentequanto entratenellicase,chemacare l’acquavipuonoavvelinare». Ecosípasammolanotatadel 2 novembre. E come aciornavo quella benedetta ciornata del 3 novembre, che magareneanchenebiac’era,e c’eramagareilsole,dall’aria abiammo visto passare tante apareche basse basse, che si vedievino magare li pilote, chebutavinomanefestineche c’era scritto: «L’Austria e la Cermania hanno perso la querra. La Francia valerosa, conliarmatefrancese,hanno desfattoliarmatetedesche.Il Bercio e l’Olanta si avevino librato». E noi tutte, vedento queste manesfestine, la faciammo a botte per poterene prentere piú assai e bacialle e salvalle de portafoglio per recordo. E presemo coraggio e alecria e cantammo canzune e aballammo pietre pietre, immienzoaquellemonte. Mentre piú tarde, verso mezzociorno, hanno passato altre apareche che botavino altre manefestine, piú belle ancora di quelle che avevino butato di matina, che dicevino: «Da oggi, il ciorno 3novembrealleore3,soldate di tutte li corpe e di tutte li specie,eneproibitodisparare al nemico per fatte di querra, perché li austriece hanno abandunato tutte li arme e la 3 Armata ha ocupato Trieste, e Trento si allebrato da sola, perché li austriece hanno deposetatoliarme»24. E cosí, recordo che quella ciornata, verso li ore 3, ci trovammo nel paese di Rocegni,eciabiammopreso, doppo tante pene che avemmo visto, questa crante cioia!Che,conlacontentezza e l’allicria, tutte piancemmo, penzanno che la querra era termenata, penzanno che restammo vive con questa sanquinosaquerra! Cosí, alla notte, tutte li soldate che erimo su quelle monte, tutte tagliammo albere, tutte cercammo legna per fare fuoco, che tante di noi non avemmo potuto acentere un cerino, perché ci sparavino. E se dovemmo acentere una sicaretta, ni dovemmo mettere sempre a faccia a terra per non fare vederelaluce. E cosí, si vedevino tutte i monte allominate, che d’ogni 2, 3, 4 soldate bruciaveno legna tutta la notata per protesta, perché per 40 mese non avevino potuto adumare uncerino. E poi, tutta la monezione che avemmo la sparammo in aria,sempreperprotesta.Per l’allecriacheavemmo,tuttili lanciafiammiforenoadumate, e li oficiale redevino. E tutte li bombe che avemmo delle tascapaneliabiammosparato quella notte, che fu la prima che potemmo cantare e dare fuoco come piaceva annoi, speciarmente a quelle che avemmo 18, 19 anne, che erimo ancora caruse che queste devertemente ci piacevino. Poi c’eri che penzammo alle mamme, alle moglie, chi penzava alle figlie, chi penzava alle fidanzate, chi penzava che, fenenno la querra, lo dovevino concedare. Quinte, quella notte,sihapenzatoatutto.Io penzava magare a quanto era a Valbella, che portammo li cavallette, e con li piede, di notte, tocava una latta, e li austriece d’ogni minemo romore sparavino. E invece questa notte, per tutte li montagni, si sentevino canzone e tanto bacano e tanto fuoco, e nesuno ci sparava. E neanche se avessemo automanciare,avessemoauto ilpiaceredimanciare,perché manciammo allecria e contentezza. Mentre si vedevino li raggie del sole e si cominciavaafareciorno.Che erimo state tutte come quelle antinate, che per raloggio 25 conoscevino li stelle. E cosí erimo noi, perché avemmo fattotantenottefuore.Perché noi erimo deventate tante boscaiole che vanno arrobare lalignadinotte.Solocheora che se stava fanno ciorno si vedeva qualche aucidazzo 26, che potevino essere li cuorbe 27 che volavino. Poi cheaRoncegnequerranonci n’aveva stato, e per questo li armale volante c’erino, perché, nei monte dove ci avevino stato bombardamente, io, in 18 mesi, non aveva visto una moscavolare. Cosí, ci ha fatto ciorno. E ebimol’ordenediscentiredai monteeantarealfiumedove c’erino 2 strade, una a destra eunaasenistradelfiume,che vediammo lí centenaia e cente 28, e migliaia di pricioniere che venevino di Borzano e Terento, e magare avevino passato il Brenniro. Che c’era una crante confusione che uno che voleva atraversare la strada nonlapotevaatraversare.Era lo stesso di quanto c’ene una procisione che ci sono i carrabiniere e dicono: «Non sipuòpassare!» Poi,tuttequestepricioniere parevino tante arme piancente29.Scentevinoverso Basano con la testa per terra, e magare ci n’erino che piancevino, mentre noi rompescatole cantammo e, per falli arrabiare, ci abatiemmo li mano e ci diciammo:«Bravelicechine, che bella fine che avette fatto!» Echeavevaautofattomale perstradadavacolpadifucile per ventetta, e macare ci sputavinoinfaccia... Cosí, recordo che il 4 novembre,ciornatachenonla dementecheranno nesuno de li uomine che sono nate e quellechedevinonascire,che verso li ore 10, prima di mezzo ciorno, hanno passato tante aparechi basse basse, che butavino un’altra collazione di menefesti, piú segnificativediquellediiere, che dicevi che immidiatamente si doveva scomprareunadelle2strade, quella a destra che viene di Bassano, che devino passare una colonna di machene con tutto lo Stato maggiore, che dovevino antare a Trento a fermarel’ommistizio. Che bella parola «fermare la pace del monto»! Perché questa querra il nome che aveva era «la Querra montiale». E dovevino passare di quella strada li oficialedituttelinazioneche avevino preso parte a questa dannataquerra. Cosí, la strada subito fu scomprada. E li colonne dai pricioniere, se volevino camminare, dovevino camminareterraterra,voldire campagnecampagni. Efinarmentecominciavoa passarequestanobilicolonna. Però, prima passareno tante machene bentate 30 e tante puliziotte armate, di tutte li nazione. Li tarche delle machene erino di Roma, Parici, State Unite, Austria, Cermania, Francia, insomma, tuttelimachenedellenazione che avevino fatto la querra. Cosí, io ho conosciuto al maresciallo d’Italia Diezi 31, cheavevastatoquellocaalla fine aveva comantato questa vittoriosaquerra. Tutte li cenerali se vedeva che erino sodisfatte, ma li ofecialetedeschieaustriecesi vedeva che pare che erino in lutto, che erino le stesse dai soldate32:chenoirediemmo, e li austriece camminavino conlatestabassa. QuellastradadaBassanoa Trentoerapienadibamtirine trecoloreetantefiorebutatee tante borchese che batievino limane,etuttenoisoldatecol presenda darme, perché passavinoquestepezzecrosse che antavino al castello di SanCiustoaTrento–doveli austriece hanno imporcato a Cesare Batista –, per fermare lapace33. Cosí, ci hanno fatto l’adunata, sempre senza rancio, e hanno chiamato l’apello per vedire che era asente. Poi, ci hanno detto che chi ave li callette e li scatolette si li mancia, e quelle che non ci n’abiammo manciammo questa mincia, e ci dovemmo contantare che avemmo vinto la querra. E tutte ci abiammo quardate in faccia e tutte diciammo: «Ancora manciare per noi noncin’è.Abiammovintola querra e abiammo perso il manciare!» 1 corbedimule:filadimulilegati l’unl’altroconuncapestro. 2 patornise:paternese,diPaternò. 3 diunne:dadove. 4 si hanno rozelato: si sono rovesciate. 5 La pineta della Madonna delle Grazie. 6 quanto ci ho infelato: cosí da poterciinfilare. 7 come cazzo… pieno di carne: lo sai solo tu che cazzo stai combinando, conquell’elmettopienodicarne. 8 sculava a uso una stizana: filtravacomedaunafessura. 9 feretta:furetto. 10 apicecate:inlitigiotradiloro. 11 votorezazione:autorizzazione. 12 ni l’abiammo ammatito: ci abbiamoinciampato. 13 MonteTomba. 14 pietracileste:solfatodirame. 15 LabrigataSaint-Étienne. 16 vasto:guasto. 17 Tezze. 18 sorciva:sorgente. 19 Primolano. 20 lazzariate:pienidiferite. 21 scafferoto:appassiti,marci. 22 puveredune:poveretto. 23 Roncegno. 24 Ilcessateilfuocofufissatoper leore15del4novembre. 25 raloggio:orologio. 26 aucidazzo:uccellaccio. 27 cuorbe:corvi. 28 ecente:digente,dipersone. 29 arme piancente: anime in lacrime. 30 bentate:blindate. 31 ArmandoDiaz. 32 che erino le stesse dai soldate: cheeranougualiaisoldati. 33 SanGiustositrovaaTrieste.A Trento si trova invece il Castello del Buonconsiglio dove fu impiccato Cesare Battisti. L’armistizio tra Italia e Austria fu firmato il 3 novembre 1918 nellacittàdiPadova,aVillaGiusti. Capitolosettimo Alliconfini Ilciorno7o8novembreci hanno fatto la sbeglia prestissimo e ci hanno detto chealabricataAnconaaveva revato un ordine che doveva antare a Trieste. E cosí, il conto che ni avemmo fatto non fu ciusto. Che invece di concedarece ci portavino a Trieste, che lí c’erino li slavenne 1 che erino tutte rebelle, e quinte ci portavino un’altra volta nel pericolo. E abiammovintostamincia! La sera dell’11 novembre, verso li ore 6, la nostranave entrava nel porto di Trieste. Recordo che il tempo era malissemo. C’era vento, acquafortechepioveva,c’era la bora, che io a Trieste non ci aveva stato, e questa bora ci lo dicevino li marenare pratiche che c’era il malo tempo, e questo malo tempo sichiamava«bora». Come se fermò la nave, quase tutte i soldate si hanno messo a dormire. Ma io non volle dormire, perché voleva quardare Trieste. Perché in vita mia aveva stato sempre cosirietuso 2 per vedere tutto didovepassava. Recordochenellepereferie di Trieste, dove noi erimo acampate, c’erino tante rebelle che volevino essere italiane, ma ce n’erino piú assaie che volevino essere ancora austriece. E quinte, quelle poco ciorne che fuommoaTrieste,ilfucilelo tenemmo sempre carrico, perchétuttilinottesisparava. E poi, una notte, che fu l’ultimanotte,cihastatouna sparatoria tra noi e li rebelle, che ci foreno 4 morte e 27 ferite.Ecosí,iodisse:«Nonè verochepermesihafenitola querra». E tutte diciammo: «Altro che ci concedeno, c’è il tempo ancora per potere morire…» E poi al sesto ciorno ci hanno radunato a tutte e ci hanno detto: – Ragazze, è revato un ordene che quelle della chilassa del 1899, di questo reggemento, che vole faredomantaperl’Arbania,e lafaccia.Chesipartesubito! E cosí, tutte li siciliane, quase tutte, hanno fatto domanta perché tenevino paura con queste rebelle. E cosí, diceva io: «Che bella notiziacheabiammoreceuto, che invece di mantarene a casa ci vuonno fare antare ammorire in Arbania! Ma io, percontomio,micontentodi morire qui e fare pacienza con i rebelle, e se muoro muoro». E cosí, quelle che hanno fattoladomanta,partierino,e quelle che restammo ci armareno come ci hanno armato quanto dovemmo antare a compatere: bombe, fucile e pugnale. Ci hanno portato alla stanzione di Trieste,cihannomessosopra la tredotta, e via! Senza saperedoveantiammo... Per tutta la notata sopra il treno ci l’abiammo fatta bestimianno, perché non sapiammodoveantiammo. E, finarmente, ci hanno portato a Gurizia. Ci hanno fatto scentere. Gurizia era tutto bombardiato. Non c’era neanche una casa senza che aveva receuto un corpo di cannone. C’era soltanto qualche famiglia che avevino retornato là. Li case erino tutte inabitabile. Solo che la città era tutta piena di bantiere trecolore. Però Gurizia aveva stato tante volte preso dalle italiane, e tante volte li austriece ci l’hannolevato. Propia nella città, rebelle non ci n’erino, ma nella montagni ci n’erino tante, quinte ancora erimo in stato di querra, poco manciare e poco dormire. E cosí, io diceva: «Altro che concedo! Chi lo sa quanto doviammo sofrireancora...» Poi,hannoformatoun’altra volta il reparto Zapatore e ci hanno mantato a Monte Santo.Elíc’eraunconvento di monice sloveni. Che durante la querra, questo convento, aveva stato abandunato perché l’italiane l’avevino conquistato e poi, quantocihastatolaretradadi Caporetto, li monice hanno retornato. Lí, c’erino statte tante morte,inquelloMonteSanto: muorte di questa ultima ofenziva che si ha fenito la querra. E non ci aveva stato tempo per sepilirlle, e aspetavinopropiaannoi.Non erino sistimate e sepolite come si dovevino sepellire, erino uno qua e uno là. E quinte si dovevino portare tutte a una parte e fare comparere 3 che ci fosse un cemitero. Cosí, il capitano Sparpaglia, che sapeva che tutte avemmo li scarpe compie 4, e magare compie l’aveva lui (perché non era oficiale di carriera, che quanto piú presto si concedavameglioeraperlui, perché a Paternò lui ci aveva un ciardino di arancie e, senza moglie che era, si ne volevaantareacasamegliodi noi), ed era molto furbo, perché era siciliano, e ni ha chiamatoatutteenihadetto: – Ragazze, lo so che siete arrabiate, ma per 3, 4 ciorne bisognadifarepacienza. Io, che con il capitano ci aveva auto tanta confedenza, ci ho detto: – Segnure capitano,noifuommofateper la pacienza, per la querra e per fare magare li bechine, e quinte, quanta pacienza dovemmo avere? – E il capitano mi ha detto: – Tu, Rabito,seisemprequelloche parle e ti lamente piú assaie. Non lo saie che basta che restammo vive e abiammo resoltotutto? E veramente quello che diceva il capitano era ciusto, che se arrestammo vive tutto era resolto. Ma il capitano non ci corpava 5 che ci portarenoafarelibecchine. E cosí, davero abiammo fatto vicino al convento una lunca trinceia, e poi, a uno a uno, presemo i morti con il tilo da tenta 6 e li abbiamo portate tutte in quella lunca trenceiaesepelite. Poi,perlapuzza,ilnasoci l’avemmo tapato con cotone desempetante. E abiammo fatto 4 ciorne di lavoro, e davero fu come se avessemo lavorato a cotimo. E feniammo. E cosí, alla matina sequente, zaino a spalla e lasciammo il convento che avemmo manciato bene 6 ciorne, e scentemmo da MonteSanto. Recordo che c’era una vallata che di lato c’era Monte San Crabiele 7 e, caminanto caminanto, antiammo a Monte Cavallo. Lí, li terre erino state tutte abruciate un anno prima, voldire quanto l’italiane avevino perso tutto, voldire nellaretradadiCaporetto,che avevino perso Gurizia, Udene, Belluno, quinte avemmo perso mità del Venito, e tutte quelle terre erinopiene,tutte,dicimitere. Cosí, abiammo fatto 2 ciorneapiede,conlamidiadi 35chilomitrealciorno,econ 35, 40 chila che pisava lo zaino, e poco manciare e poco dormire. Mi pareva che ancorra c’era la querra, di comeerimostanche. E cosí, camminammo e siammo arrevate in uno picolo paese che si chiamava Pilanina 8.EquestoPilanina, per quella popolazione, era uno paese crosso perché era di 3.000 mila abitante. Lí ci abiammo fermato. Lí c’era una piazzetta e una bella chiesa, che tutte li picolisseme borcate che c’erino a tuorno a tuorno ai monte,alladomenica,tutteli donnescentevinodeimontee si sentevino la messa. Che la popolazione slavenna e austrieca erino piú releciuse di totte i popole, perché, quantoc’enemortarelecione, c’enemortamiseria. E cosí, ci hanno fatto fare «zaino a terra», e il nostro comantante di battaglione ci hafattounaparlataperdirice che siammo arrevate e il nostro bataglione ha stato destinatoqui,inquestopaese chesichiamaPilanina.Epoi, ci ha detto che caminassemo tutte armate, che non lasciassimo maie il focile, perché Pilanina eni umpaese pieno di rebelle. Non che stanno nel paese, queste rebelle,mastannoneimonte. Poi, il capitano mi ha chiamato e mi ha detto: – Rabito, tu che sempre vaie ceranto, staie atento che qui nonziammocomeintempodi querra. Quitrinceianoncin’era,e ilnemicosipotevapresentare macare dentra a una amica casa. E poi, noi zapatore ci hanno fatto fare 2 belle baracchecrante.Poi,cihanno fatto fare tante villette per ciocare li bambine, perché queste 2 crante barache ce servevino per fare 2 scuole, unaperleragazinechea7,8 annedevinoantareallascuola e una per quelle ragazze crante che se volevino imparare la linqua italiana. E ci abiammo fatto una bellessima cucina per dare ammanciareatuttequelleche antavino alla scuola. Hanno mantato a chiamare a 5 maestrefemmene.Ecosí,poi, per cuciniere, per devidere il manciare, ci hanno messo amme. Ciusto quello che mi aveva promesso quello bravo capitano Sparpaglia, che mi hadetto:–Rabito,avanteche mi concedo, ti devo mettere in uno puosto buono, vediammo se ti lamente ancora… E l’importanza che aveva io, distribuento il rancio alli scolare,nonl’avevanesuno. Poi,iomisonocercatouna casa vicino alla cucina, che c’era una stanza che io ci meteva tutta la ruba che mi restava e tutti li atrezze di cucina. La padrona di questa stanzacin’avevatantecasee teneva dentro una ragazza cheerasignorina.Nonpoteva capire se ci veneva nipote o pure l’avevino per cammarierra, il fatto sta che ci faceva tutte li servizie che avevino di bisogno, perché figlie non ne aveva e faceva tuttecosequestasignorina. Aveva22anne,nonerané bella,eneanchebrutta. Io,inquellafamiglia,prese tanta amicizia che pareva a casa mia. La stessa signorina che aveva 22 anne paremmo fratelle e sorelle. La padrona mi tratava come uno figlio. Quinte, poi, venne assapere che questa signorina, che di nome si chiamava Francesca, era figlia di una sorella della padrona. Con la tanta amicizia che presemo con questa, mi lavava magare li robbe e magare si lasciava tocare comeiovoleva.Però,aveva3 o4annepiúdime,esposare non mi la poteva una che anne ni aveva 22, 23, e poi che ni demostrava 30 e magare 35. E poi che con la querra, che lo sa se aveva magare fatto qualche figlio! Quinte, io, con questa Francesca,erimomoltoamice deventate, perché ci portava arancie, mandarine e tante altrecose. Ma questa stretta amicizia non durò tanto: che tante volte io, alla sera, vineva per corcareme, questa nipote veneva nel letto, mi faceva tante stuzie, e io la voleva fare mia, e questa nipote semprem’inzortava9manon sivolevadare,chemifaceva capire la patrona, voldire la sua zia, che prima vi sposate epoivicorcateinziemme. Poi, io, dentra a quella casa, ci portava sempre cose per manciare. Ci portava li fontedelcafè,epoiquestelo remacinavino e facevino caffè, poi portava panine e conserba e tante altre cose cheliborchesenonl’avevino, e magare per questo mi volevinobene. Il penziero mio era per potereme sodisfare, e lei, avisata delle suoi zie, mi stapeva facento impazire. E quinte, questa Francesca era capace che certe momente io con questa non raggionava piú. Ma,unavolta,inuna casa vecina aballavino e lei mi portavo a ballare, ma non ci hauscitonientelostesso.Lí, c’erino tante signorine mieglio di leie che vinievino allascuolaecen’eraunache si chiamava Francesca come leie. Quanto ni facemmo una parlatina, io e lei, si vedeva chepotevastareallatodime, perché mi lo facevino capire li altre soldate, perché aveva 4annimenodime. Cosí,penzaiedipassareme il tempo con questa seconta signorina Francesca, che faceva la salta e non era del paese di Pilanina ma era di Scalascire 10,umpaesieddodi 500abitante,equestaveneva a Pilanina tutte li matine per farese sarta e per impararese l’italiano. E cosí, veneva sempre a prenterese il manciare e anze ci aveva un’altrasorellina,chesempre camminavino inziemme. Cosí,iocihopresoamiciziae quinte, quanto ci poteva recalare qualche mandarino e qualchearancio,cilodava. Cosí, un giorno, durante una distrubuzione di rancio, la prima Francesca mi ha solbegliato. E, ciusto ciusto quella volta, mi ho visto presentare quella bella ragazzacheiolavolevabene perdavero,cheeralaseconta Francesca di Scalascire e faceva la salta. E io, come vennecheusciodallascuolaa prentere il manciare, ci ho datoarancieemandarine. QuestaprimaFrancescaha vistotuttoecihannopresoli nerve e se n’antò arrabiata comeunacane.Pecciodiuna donnadellaSiciliadicomesi haciulisiato... Io, a questa seconda Francesca, l’aveva conosciuto per mezzo di uno amico mio soldato che era illetricista al comanto di bataglioneederadelpaesedi Feltre, paese della provincia di Belluno. E questo amico soldato, a queste acente, non li poteva vedere, perché avevino compatuto con l’austriece, e li austriece ci avevino fatto tanto male, perchéavevaautolafamiglia unannopricioniereaFeltre,e mi racontava: – Caro Rabito, io non lo posso capire come tu ti annamore di queste agente servaggie. Io, se trovasse una ocasione, mi ventecasse di questa razza maledetta. Poi, un ciorno che io non potteantareadormire,perché dovette antare a Gurizia per prellovare cose di manciare, non si sa se sono nasciute tutte pazze 11, la padrona di casa e sua nipote, hanno busato12cheiononvenneper dormire, hanno profetato che io non era presente, hanno presotuttelimieierobeemi l’hanno butato tutte fuore immienzolastradaelihanno schifiato 13 tutte, e signefecava che non mi volevino che io mi corcava piúinquellacasa. Iocihoracontatoilfattoal mioamicoelettricista.Ecosí l’aletricista,adirecequestoe parlare male, pare che ci avesse fatto un crante recalo. Subito subito mi ha detto: – Tante crazie, Rabito. Io vado cercantoquesto,oralivadoa denunziare al comando di bataglione che queste sono rebelle, e poi verso li ore 4 aspetta amme che ci antiammo a cercalle per fina alla sua casa, e ti faccio vederechecosafaccioiocon quellarazzamaledetta! E cosí, prima antiammo a denunzialle come rebelle, a questafamiglia.E,alleore4, davero ci n’antiammo, e davero abiammo trovato propia a quella che io ci avevadatotantacompedenza, e tante cose ci aveva dato, e leie mi aveva butato li mieie robestradastrada. Io mi aveva portato per compagnia uno mio paesano chesichiamavaChiaramonte Ciorcieefacevailcaporale.E cosí, erimo 3: io, Chiaramonte e quello di Feltre. E l’alatricista sempre, quantocamminava,portavala borza con l’atrezze dell’aletricista. E senza passarece permesso entrammoinquellacasa,eci abiammotrovatoaquellasola che mi aveva butato li mieie robbestradastrada. Eilprimoatraserefuiiodi tutte 3, ma l’echise amica, come vede me, mi ha detto tante volte: «Bescie, bescie!» E io queste parole non li capeva, ma l’aletricista li capeva che cosa voleva dire «bescie», voleva dire «via, via dalla mia casa». Macare initalianosignificava«nonci rompeteliscatole». E cosí, come entrammo, tutte 3 l’abiammo preso, l’abiammo messa sopra, che c’erauncrantetavilo,apanza all’aria, ci abiammo levato li motantine, il mio paisano Chiaramonte ci ha fatto chiudere la bocca per non farece fare voce, io ci ollarecatolicampe14,sempre con li ordene che ci dava il l’etricesta, perché quello li capeva. Poi, lui, l’eletricesta, avevaunapilachesiprenteva la scorsa 15 come la luceletrica, e ci l’anfilato immienzo alle campe e ci ha fatto prentere la corrente. E quellaFranciscachemiaveva butato li robbe strada strada hacetatounavocecheioeil mio paesano Chiaramonte dissemo:«Maria,morio!» E io ci deceva: – Per favore,basta.Nonlafarepiú sofrire che sta morento –. E lui mi ha detto: – Tu, caro Rabito, a questa razza maledetta non li conoscie, e non deve essere piatuso con questecane,efortonatamente che ti hanno butato solo li robe fuorre e non ti hanno fatto altro, ma, mentre che ti hannofattodormireconloro, ti avessero potuto magare avelenare. E sei stato molto fortenato, che ti ha fenito buona...–Epoi,midiceva:– Saie che cosa ci hanno fatto allamiafamiglia,questecane descraziate? Che la mia famiglia,alFeltre,ciavemmo una bellissima casa e mio padre ci aveva l’osteria che facevadamanciare.Poi,cifu la reterata di Caporetto e il mio paese ha stato preso pricioniere. E della bella mia casa, lo saie che cosa hanno fatto, queste cane? Che, per sfreggio,nellacasadovemio padre faceva di resturante, ci hannomessoicavalle,edove noie ci teniemmo i cavalle ci hanno fatto dormire la mia famiglia. E poi, alla mia famiglialafacevinomoriredi fame, e 2 mieie fratelle li hanno fatto morire di fame e di desprezze, che ammia mammaeilmiopadrequella crante pena non ci pole maie passare. E quinte, queste sfrecie che hanno fatto alla miafamigliaio,semidassero carta bianca, io a queste li brocereie tutte. E tu, caro Rabito, ti stanno fanno piatà, e faie male ad avere il cuore cosí tenero con questa razza maledetta! Eiocihodetto:–Maora, come venchino li suoi parente, qui potessemo fare unasparatoria! Ma prima che venessero i suoi parente, come l’abiammo fenito di schifiare tutta, l’abiammo lasciato sopraillettotuttascancarata. Certo che erimo state 3 iene. E poi, ci abiammo fatto ciorare che doveva dire sempre: «Viva l’Italia». E come l’abiammo lasciata, prima che venissero li suoi parente,questa,conlilacrime alle ochie e tutta scancarata, si n’antò a recramare al comanto di battaglione, per vedere se potesse avere ragione e per denonziarece a tutte3. Ma al comanto, questa echise amica mia ci ha trovatoall’aletricista.E,come arrevava, si ammesso tutta piancento nel maggiore e ci ha fatto vedere li coscie di come era insanquinata. E al comando, che erino stati abisati dell’aletricista, ci hanno detto: – Via di qua, perché altremente viene butata dal barcone! – E cosí, ci hanno detto che li prentevino come rebelle e li facevino fucelare: – A te e tutta l’intiera razza! – E questa racazza, piancento piancento,sin’antòacasa. Io comunque lí ci stava bene. Alla sera antava a compagnare alla ragazza, la seconda Francesca: da Pilanina la portava a Scalascire, che c’erino 2 chilomitre. Sua madre mi recevevacomeunsuoparente e come un amico sencero. Suo padre aveva fatto la querraeammemiparevache non era tanto contente che io voleva a sua figlia. Ma poi, piano piano, si ha fatto convinto, perché, per requardo al madrimonio dai figlie femmene, sempre comandalamamma. Quinte, ecco che cominciaie a fare malavita: scentereesalirediPilaninaa Scalascire.Mapermeerauna buonavita,perchémipiaceva la ragazza e, se per caso non ci poteva antare a compagnalla un ciorno, per me la vita mi pareva un trademento. Ma, sapentolo ummio paesano di questa malavita che io faceva per questa ragazza, sempre mi diceva: «Vicenzuzzo, con queste acente che sono descraziate per natura un malo sempre ti lo faranno, perché sono sempre austriece, sempre sononostrenemice!» Intanto, il capitano patornese, Sparpaglia, propia in quelle ciornate, si ha congedato. E io, a perdere a questo capitano, pare che mi hanno tagliato il braccio diritto. Mi sono rovenato! E quantociabiammospartito16 per me fu una ciornata di lutto. Ci abiammo baciato come 2soldatee,doppo30mesedi stare inziemme, non ci abiammovistopiú. Poi, pare che ci fu il diavolounamatina,inquello paesediPilanina…Chetutto in uno colpo venne uno ordinecomeunformene,che diceva che uno dei 2 battaglione dovevino partire subito per Curizzia e dovemmolasciarePilanina,e noncifuiltempodipotermi neanche salutare con la fidanzata, che era la mia vita diquantomivolevabeneedi quantoiovolevabenealleie. E quanto uno è soldato, non zi può maie rifiutare, perché lo porteno sobito al trebunale militare. E quinte, per forzza, dovette lasciare Pilanina, che provaie un crante dispiacire che ni ho cascatoammalato. Equellecheavemmostato bene ebimo tutte tanto dispeacere. Nella stessa ciornata fuommo a Gurizia. Lí, il lavoro era un altro che dobiammo fare. Piú non lo faceva il cuciniere, di essere padtrone di carne e pasta, pane e vino, di come era a Pilanina... A Gurizia hanno chiamato l’apello per vedere che ammancava. E quelle che erimo nei zapatore ci hanno detto che ora dovemmo lavorare con una compagnia del Cenio miletare: – Che dovete lavorare e vi pacheno come lavoratore, e invece di 11 solde ve devino dare 22 soldealciorno. Quinte, la nostra paga era di una lira e 10 centesime al ciorno. Però, ci hanno detto chesidovevalavorare,certo, cheGuriziaeratuttadestrutta: e 6 puonte avevino fatto in tempodiquerrae6puonteli austriece avevino fatto cascare con li cannonate. E cosí, si doveva refare tutto, e tutte li case erino destrutte, e questo lavoro lo dovevino farelisoldateciovene,perché li anziane li dovevino concedare.Maio,sententodi quadagnare solde, era molto contente. Cosí, io la prima cosa che penzaie fu di scrivere alla bella Francesca, e cosí Francesca mi scrivesse subito,perchéciommantatola miaderezione17. E cosí, la prima matina antiammo allavorare, e il nostro lavoro non era di aiutare a fare li puonte destruttedaibombardamente. Noi zapatore ci hanno mandato a cercare muorte nelle campagne di Gurizia e nelfiumediLisonzo18... E ci n’erino tante ancora, muorte, compure che aveva uno anno che aveva fenito la querra! Un giorno, fenarmente, ho receuto una lettera di Francesca che io la desederava tanto, ma era scritta slavenna e io non la poteva capire. Certo che Francesca, quanto ci ha arrevato la mia lettera, era lo stesso,chenoncapevailmio scritto.Econquellaletteraio camminava per trovare una famiglia che doveva sapere leggere e scrivere italiano, e leggiereescrivereslavenno. E entrai inni una osteria, mi sono messo ammanciare, che mi ho fatto portare umpiatto di pasta, e alla padrona che parlava italiana cihodeto:–Signora,mifail faore di fareme capire questa lettera? – E la signora si ha fatto una mereviglia come io era fidanzato senza sapere parlare. E cosí, quella brava donna mi ha spiacato tutto e poileiestessaciarresposto. E la lettera di Francesca diceva che lei con la mia partenzacosí,senzavederene, ni ha cascato malata, propia come aveva cascato malato io,emifacevasaperechetra GuriziaePilaninac’erinopiú di 50 chilomitre di distanza: «Come dobbiamo fare per vederene?» Perché treno non cin’era,autobussecomeora nonniasistevino,lipermesse per i soldate erino sospese, perché per lo meno ci avessero voluto per antarla a trovare3ciornedepermesso. Intanto, il tempo passava. Lilettere,unaniscrivevaioe una lettra mi scriveva leie. Che queste lettere che mi mantava Francesca li faceva leggere a tante dei borchese di Gurizia, che stapevino rientranno e si stapevino aciustanno la casa, ed erino tutte che sapevino leggire e scrivere slava e tante capevino l’italiano. E io ci faceva leggire queste lettere e,nelmedesimotempo,prese tantebelleamiciziecontante, e magare mi n’antava amparantoqualchecosaio,di slavenno. E per mezo di queste lettire io trovava donne per divertireme io, e mi stava facento prateco di Gurizia. Poi, un giorno, hanno venuto 2 mieie paesane, che uno era Michele Principato – che avemmo stato allavorare inziemme da picole, ma poi lui a 15 anne si n’antò in Arcentina,eoracheciaveva stato la querra dovette venire per fare la querra –, e l’altro paesano era Ciovanni Bachietta. Passareno 3 mese di devertemento e di lavoro, e poi a Ciovanne Bachetta lo hannoportatoaun’altraparte, e restiammo io e Michele Principato, che il vero suo nome si chiamava Michele Diavulune; che poi questo, come barbiere, faceva la barba e li capelle al mio maggiore,etutte2antiammo pienamente di acordio, e sempre mi deceva: «Caro Vincenzo, lo devo precare tanto al maciore mentre ci facciolabarbacheatutte2ni deve fare antare illicenza a Chiaramonteinziemme». Cosí, tanto Michele ci l’ha detto, a questo maggiore, per finachedaverociammantato illicenza inziemme. Però, secome era a turno, questa licenza ordinaria ancora annoienoncitocava,eallora il maggiore, per farene contente,cihadatounabreve licenza, che si chiamava «licenza premia di lavoro». Quinte, ci ha datto una licenza di 15 ciorne, che potemmostare5ciorneacasa e 10 ciorne di viaggio. Cosí, subito subito, ci abiammo fattolivaliceepartiemmo. Era l’anno del 1919, che tutte i soldate del 1895 l’avevinocongedateec’erino 4 chilasse ancora a concedarece. Quinte, avevino congedato 20 chilasse, che erino tutte senza lavoro e cominciavino in tutta l’Italia scioperetutteliciorne,ec’era laprobabilitàcheunosoldato che antava illicenza, la licenza, la feneva per il viaggio, perché li ferraviere facevino sciopiro e a casa, il soldato che antava illicenza, nonarrevavamaie. E io e Michele partiemmo con il treno e quanto arrevammo arrevammo... Io, per solde, stava bene, che ci avevinofattolapagaeaveva piú di lire 100, e a quelle ebeche uno che possedeva lire 100 era ricco. Michele, che faceva il barbiere, ci n’avevapiúdime,maionon ci deceva che aveva solde, checosíspentevalui,cheera troppo splenteto, assaie vanetuso, perché aveva stato in America e spenteva a uso Merica. Ecosí,contuttelisciopere che c’erino, arrevammo a Chiaramonte e ni potemmo chiamare fortenate. Ed io arrevaie con lire 100 nella miatasca! Mia madre, che non aveva statoabisatacheioveneva,e mi ha visto entrare dentra, ci ha parsso che la Madonna di Qulfe ci aveva fatto uno miracolo, a vedere amme. Tanto che, come si ha fatto ciorno, ci ha fatto subito il viaggio,allaMadonna,antata e ritorno a piede, perché aveva venuto il suo figlio Vincenzo. Io mi ho fatto 10 ore di suonno, che aveva tanto tempo che non dormeva, perché nel viaggio sapemmo tutte che non zi dorme. Cosí, come mi sono alzato, mi ne sono antato nel maresciallo a metirece il visto e poi mi ne sono antato a cercare a Michele Principato, che l’ho trovato ancora corcato, che avevastatoancheluichenon avevadormito. E chi lo sa che cosa ci ha fatto capire alla sua famiglia di quello che avemmo ragionatoperilviaggio19...Il fatto sta che, come io ho tapuliato20laportaesihanno assecurato che era io, mi hanno fatto entrare, hanno chiuso la porta e mi hanno abraciato, tutte quanto erino, come avesse venuto un altro figlio suo. Bace e carezze mi ne hanno fatto tante che io, senza aspetare tutte queste abrazuna,tramediceva:«Ma che sono pazze, questa famiglia di Michele, che, senzasaperechisono,stanno facento tante belle cose per me?» Cosí, hanno fatto alzare a Michele, preso 4 uova, umpezzo di lardo e fave verde, che era il mese di maggio, e hanno fatto un bello pisceduovo 21 e tante altre cose per manciare. Io cheafrontuso22permanciare non sono stato mai, anzi ha statosemprebravo,cominciai aberevino,emanciammo. E ci abiammo fatto una crantissema manciata, che tutte 6 – 4 femmene e io e Michele – ci abiammo beuto 5 litra di vino, che ci abiammo umpriacato, che non erimo capace di raggiunare piú, e neanche di poterestareall’impiede,tanto chelamammadellesignorine – c’era uno cammerino – mi hanno carrecato e mi hanno portato in uno letto. E io neanche ci penzava chi mi ci avevaportato. Con la tanta allecria che avemmo tutte, mi avevino portato a Gnazina nel letto per corcarese comme e mi hanno chiuso la porta, e la racazza cià era pronta per potere fare tutto, che volevanocheiomil’avessea sposare; e io mi ce sono voltato umpo’ brutto. E cosí, uomino che era, e cosí umpiriaco che era, ci ho detto: – Parlateme di tutto, maioquestecosecosí,senza lamiavolentà,nonlofaccio; che, quanto ci dobiammo sposare,primaiolodevodire a mia madre e ci vole il conziento di mia madre, che ancora non ha fatto io neanche20anne. Mentreparlavo,suamadre, che era la capa di questo fatto, mi ha detto: – Che paresevobiduzzecorcatetutte 223!Paretemaritoemoglie–. E io, a forma di uomino che era, ci ho detto: – Signora, cosí li vostre figlie femmene livoleterovenare?–Emiha detto: – Questo io lo faccio solo con te, che so di co si figlio24. E, per questa tracica cosa che voleva fare sua madre, Michele Principato, che si ha vergognato, ci ha detto: – Mamma,iononvogliovenire piú dentra questa casa –. Ma poi io, che il cuore l’haio buono,cihodettoatutte:–Io lo sa che l’avete fatto perché mi volete troppo bene –. E, per lascialle a tutte contente, ci ho detto che quanto mi concedava mi la sposava, e quinte, per ora, faciammo il contochesiammofedanzate. Ma,perquellapartechemi avevino fatto e quello trucco che mi avevino fatto, io non la voleva piú, Ignazina, neanche se era carrecato di oro, perché mi faceva schifo perquellastubitaazione. Cosí, ossalutato tante amice, baciaie alla mia famiglia e la famiglia di Michele, che l’abiamo lasciato a tutte piancento, e partiemmo. Causa delle sciopere delle ferraviere,ciabiammostato9 ciorne per il viaggio, e poi che c’era ummuvemento di propaganta di cioventú fascista che era quidata di questo ciovene Benito Mussuline – un certo ciornalista che aveva fatto la querra con il crado di caporalemaggiore. E secome tutte quelle che avevino fatto questa maledetta querra che si avevinocongedatoerinotutte senzalavoro–cheerameglio che la querra l’avessemo perso, perché manciare e lavoro non ci n’era –, quinte stammo deventanto tutte socciale comuniste come nellaRussiae,perdestrucere queste sociale comuniste e fare fenire questa quantetà di sciopere, ci volevino propia questo movemento fascista quidata di questo Benito Musseline. E con tante sciopere portammo tanto retardo, però ci lo faciammo ciustificare d’ogni stanzione; ma per noi era buono, che piú tardo revammomeglioera. Cosí, revammo a Gurizia. Io subito mi sono intresato per vedere se c’erino lettere di Francesca, e davero ci n’erino 2. E io l’ho fatto vedere a Michele, e piano piano li abiammo lette. Michele, che aveva stato pricioniere, poco poco li capeva. E io che ci aveva fatto vedere una fatocrafia, Michele si ha merevigliato: che Francesca era per 20 volte piú bella della tapinara25disuasorella. Cosí, io ci aveva detto: – Michele,iononsoquantomi marito,quinteioscrivoatutte 2–.MaMicheledicevadino. E cosí, a causa di queste 2 lettere, che per forza li ha voluto vedere, con Michele abiammo perso completamente la bella amicizia. Ma poi venne un ordene che di Gurizia dovemmo spostare, e tutto il reparto Zapatore dovemmo antare vicinoalPiaveinniunopaese che io aveva visto tante spavente. E questo paese si chiamava Fossa Alta. E io diceva: «Avoglia che io questa luoche non li posso vederepiú,masempre,votae forria 26, mi porteno qui, semprevecinoalPiave,prima per combattere e poi per fare lobechine!» Non si moreva certocome quanto c’era la querra. Solo che c’era qualche descrazia, che d’ogni tanto poteva scopiare qualche pitardo e ci potemmo macare ammazare. Ma questo non capitava tutte li ciorne, capitava una volta ognitanto. Cosí, qualcono magare moreva per la «crantezza della nostra Padria!» Che «la Padria ancora aveva bisogno di noie!» E quinte, «se se moreva per la Padrie, non zi moreva!Echemorevaperla Patria moreva di un bravo soldato». Quinte, erino belle parole «morire di aroie», ma erino parole che facevino compiare li coglione, se tutte lapenzavinocomelapenzava io. Che aveva 14 mese che avevafenitolaquerra! E cosí, un ciorno, per non ci fare parlare piú, ci ha venuto questo comando de divesioneafareneunabuona parlata. Venne magare il comantante di recemento. E questo comantante di devesione ci ha fatto fare il cuore, che ci ha fatto sapere che,alpiúpresto,tuttequelle che avemmo fatto la querra dovemmo rientrare alle loro deposete.Eiopenzavacheil nostro deposeto era inni una citta bellissima, che era la cittadiFerenze… 1 slavenne:sloveni. 2 cosirietuso:curioso. 3 comparere:sembrare. 4 scarpecompie:scatolegonfie. 5 noncicorpava:nonavevacolpa. 6 tilodatenta:telodatenda. 7 MonteSanGabriele. 8 Planina, nella Slovenia occidentale. 9 m’inzortava: mi stuzzicava, mi provocava. 10 Scalascir. 11 non si sa se sono nasciute tutte pazze:nonsisasesonodiventatetutte pazze. 12 hanno busato: hanno approfittato. 13 li hanno schifiato: le hanno sparpagliate. 14 ci ollarecato li campe: le ho allargatolegambe. 15 scorsa:scossa. 16 ci abiammo spartito: ci siamo divisi,separati. 17 derezione:indirizzo. 18 Isonzo. 19 diquellocheavemmoragionato per il viaggio: circa quello di cui avevamodiscussoduranteilviaggio. 20 tapuliato:bussato. 21 pisceduovo:frittata. 22 afrontuso:timido. 23 Che paresevo biduzze corcate tutte 2: come sembrate fatti l’uno per l’altra,cosícoricati. 24 dicosifiglio:dichiseifiglio. 25 tapinara:puttana. 26 votaeforria:giraerigira. Capitoloottavo Revolozione E cosí, con tanta cioia, doppo 2 ciorne siammo revate a Ferenze, nella bellissima città artistica d’Italia. E, quanto scentiemmo e presemo le strade di Ferenze, tutte li barcona di dove passammo c’era esposta una bantiera trecolore. Poi, c’erino tutte li museche che c’erino a Ferenze,checihannovenuto a prenterene alla stanzione, e tutte li crosse auturità di Ferenze. Cosí, di dove passammo, ci abatievino li mane, mentre paremmo tante stracione, e ci hanno portato alla caserma San Ciorcie. Perché il deposito del 69 reggemento Fanteria aveva che il suo deposito era lí, di quanto aveva che si aveva formatol’Italia. Io, a Ferenze, l’aveva sempre vista della stanzione manondentralacità,quinte, solo che l’aveva inteso dire che era bellissima. E quinte io, vedento Ferenze, era megliodelcongedo,emeglio di stare a Chiaramonte. Perché io aveva stato abitovato a dormire fuora, senza maie conoscire che cosa era un letto, che cosa erino li linzuola e il materazzo,eoraavevoinvece una bellissema rite di ferro e una lampadina, nella cammerata, che con la luceletrica si poteva lecere il ciornale.Epoiannesunaparte ni aveva luce cosí, perché a Chiaramonte luce ancora non cin’era.Eio,etutte,sempre avemmostatoper30meseal buio e ni ha parso che ci hannoportatoimparadiso. Ecosí,ciavevinofattofare il bagno; che erimo tutte incrasciate 1, piene di terra e di sudure. E io, alla prima notata, disse: «Non voglio penzarepiúannesuno,perché mitrovonellefelicetà». Per 3 ciorne ci hanno portatoilcafèinbrantasenza direce:«Alzative!»Allasera, per3ciorne,quantovolemmo riantrare, riantrammo. Apello per noi, per 3 ciorne, non ci n’era. Quinte, alla sera tutte liciammo il ciornale e ci quardammo in faccia e diciammo che erimo dalla stalla alle stelle, e tutte diciammo la stessa cosa: «Questo paradiso, di dove ni ha venuto?» E tutte diciammo: «Questa ene la verabellavita…» E cosí, in uno mese di questabellavita,antiammoa caminata tutte li sere ceranto Ferenze Ferenze, che tutte li casine di Ferenze ni li stapemmo imparanto, che io ni aveva cirato tante: a Catania, a Palermo, a Siraqusa,etantealtre,ma,de fronte alli casine di Ferenze, tutte facevino schifo. C’era tanta pulezia, li parete, voldiredentralicasine,erino tutte di toletta, che quanto ni vedeva una ragazza pare che ne guardava 6, con quelle spechiechec’erino. La prima ciornata che io prese servizio in compagnia, di quantave che 2 avemmo venuto a Ferenze, mi hanno mantato di quardia fissa per 20 ciorne al carcere delle Morate 3.Chequestocarcero sitrovainmienzoallacittà,e laconsegnadiquestocarcero era che tutte i passante di quellastradadoveiofacevaa la quardia era che non zi dovevino fermare. Perché tutte queste detenute di questo carcero erino detenute politece e tutte quelle che passavino dovevino passare senza fermarese, perché la leggie–cheerimoisoldate– teniemmo paura che scrivessero qualche beglieto, e poteva socedere una revolozione. Quinte, recordo che era aprele del 1920. Ferenze era tutta la cità socialista e comunista 4. Solo li ricche non erino socialiste, e quelle che non avevino fatto la querra. Ma poi tutte erino revolozienarie, perché la Russia aveva fatto la revolozionedoppolaquerrae l’Italialavolevafaremagare. Quinte, a Firenze di mese e mese si aspetava che nel munecipio si ci doveva metterelabantierarossa. Io certo, a fare per 20 ciorne la quardia, alle borchese che erino vicino dovefacevalaquardiaio(che erino tutte socialiste, femmene e uomine) mi ci avevafattoamico,perchéera piú socialista di loro. Perché io e mio padre e mio nonno erimodirazzaedinaturacon ilcuoredisocialista,equinte io, a forma di soldato, mi piacevino che avessero acopato il munecipio e io mi ciavessetrovatoapresso. Io aveva 21 anno, piú meglio di me per scherzare con le segnorine del popolo basso, che erino socialiste, c’eramagareio. Poi,permantenirel’ordene publico, invece di custura 5, avevino fatto il colpo della ReggiaQuardia6,chel’aveva fatto il coverno propia per potere fermare i sociale comuniste. E li borchese, quantopassavinodellastrada, li babiavino a questa Reggia Quardia, perché era contraria a queste che da un ciorno all’altro dovevino ocupare il monicipio. E quinte, quanto queste borchese vedevino passare li soldatedellaReggiaQuardia, si metevino a ridere, e io, a forma di soldato che li doveva remproverare, invece mi ci miteva a ridere, perché li piú assaie erino donne che erinoacaniteeveresocialiste, piúdelleuomine,eammemi piacevino sempre queste scenateequesteresatecheci facevino a queste Reggia Quardia. E i borghesi se ne priaveno,cheiociavevadato a capire che era socialista come erino loro; solo che io era soldato e non poteva cantare «Bantiera rossa». Ma loro erino una camurria 7, sempre cantanno «Bantiera rossa»... Io era soldato, e mi diverteva a mettere fuoco dicento: «Quanto mi piace il socialista…» Poicheeratempodiprima vera, che tutte stavino sedute fuore, e io era felice, sempre parlanno con donne e con signorine. Perché io era caruso,equantounoècaruso tutte ci danno compedenza, però sempre quelle del popolino. E io, quella quardia, mi pareva un cioco. Ma io cercava sempre una ocasione per fareme ponire, perché li cazzemieienonmilefaceva maie... Che, questa, l’ho voluto io, per essere umpoco strafotente, che propia davante alla callitta dove io facevailserviziodisentenella si ha trovato a passare un maresciallo della Reggia Quardia con la sua fidanzata, tantomafiusoechesicredeva un cenerale, perché era a fiancoallasuaragazza. Equestomaresciallo,sotta li fenestre dei detenute, si ha fermato e cominciavo a fare segnaleconlemano,doveio era costretto a direce che qui non si poteva stare. E il maresciallo mi quardavo e forse mi voleva dire: «Che, non lo vedi che sono unmaresciallo?» E poi che c’era la ragazza ci ha parso brutto, e piano piano si n’antò. E all’altra fenestra, un’altra volta si ha fermato, che io con una resata e una babiata (era tra la luce e il buio, che il sole cià era tramontato)cihodetto:–Ou! Provessore, vedete ca lí non zipolestare. Cosí, a quella parola di smarco, «provessore», si ofese maledettamente e... parte di corsa, va al colpo di quardia, che c’era il maresciallo che comantava questesentenelle.Cosí,subito subito, viene il maresciallo checomantavaammeemiha detto:–Rabito,smonta,dacie la conzegna a questo e tu vienealcorpodiquardia. Ecosí,mihannoportatodi fronte al maresciallo della Quardia, che era pieno di veleno contra di me, che era iosoldatoeluimaresciallo(e untenentedellacusturac’era, perché ci aveva lue telefonato). Certo che, di frontealtenentedellacustura e di fronte al maresciallo, io era niente, però era bene preparato, che paura non ni aveva. Iltenentedellaquisturami ha messo sol’atente e mi ha detto: – Quanto haie che faie lu soldato? – E io ci ho respostocheeradel99. E cosí, parlavo il maresciallo de fronte al tenente: – Ora ti arrancio io. Ti faccio fare lo revolezionario inziemme con i tuoie amice borchese a sfotterealtuosoperaiure!che ti dovesseto vercognare a dessere italiano! lo faccio conoscire bene al tuo soperaiure! ti faccio dire «provisure»! ti faccio vedere semidevesfottereinziemme ai tuoi compagni comuniste! iolosocheseisiciliano,che li siciliane, quanto vogliono sfotere, basta a dire: «Provesore, baciammo li mano»! (Mentre il tenente rideva). Perché io lo so, che ho fatto il pricatiere dai carabiniere8anneinSicilia,a Palermo,eliconosciobeneai siciliane!–Cosí,mihadetto: –Oratimanteròincalera! E io ci deceva: – Maresciallo, lei si sbaglia. Io ci ho detto «provessore» per usarece piú cortesia, non per sfottere,comedicileie. Ma lui sempre diceva che mi doveva mantare in calera. Cosí, io mi sono rabiato e ci hodetto:–Quellochevuole, fa. Io, esento in servizio, esentodisentenella,esentodi notte,nonconoscioneanchea uno che macare fosse cenerale!Io,perdespettarela mia consegna, non conoscio annesuno. Magare ci posso sparare, perché mi sento uno soldato e voglio respettare l’ordenechemidannoimieie superaiure. Quinte io, alleie, maresciallo,cipotevamagare sparare,perché,didoppoche tramontailsole,nonconoscio annesono. E quinte, anze, a direce «provessore, si n’antasse», perché mi pareva chefosseunocrossoborchese conlasuadonnaapasseggio, mi deve rencraziare che non ci sparaie. Perché io ho stato imprima linia montato di vedetta e capiscio che cosa voli dire il dovere che devo fare il soldato in querra, mentre leie querra non ha fatto, perché campagna di querranelpettononcin’ave, eio,invece,cil’ho...Cheleie dicechefacioschifoaessere nell’esercitoitaliane! E cosí, il maresciallo e il tenentesin’antaroeilpovero RabitoVincenzo,quellasera, passaieallapricione. Ma, all’endomane, mi recordo beni l’attema che venne il mio sercente e mi dice: – Rabito, deve antare nel nostro comantante di recemento che ti vuole parlare. E mi sono apresentato al mio colonello, che, come mi ha visto, m’ha conosciuto subito. Cosí, io ci ho detto: – Signore colonello, se mi dovessero fare fare servizio un’altra volta, la consegna non la respettasse piú, dato che un soldato come me, per fareilsuodovere,lomanteno incalera. Cosí, come mi ha intesa parlare,mihabatutolaspalla, il bravo colonello. Cosí, mi ha detto: – Coraggio, Rabito, chetilastaicavantobene! E quinte, fui molto fortonatissimo,perchépoteva fenire in calera, se il mio foglio matricolare non era a posto e se il bravo colonello nonmiaiutava... Manefestazione di revolozione ci n’erino tutte i ciorne.Equinte,tuttiisoldate erimotuttelinottedipechetto armato; speciarmente noi ciovene, il fucile, non lo lasciammomaie. Poi, facemmo sempre servizio nel centro della cità, sempre a Palazzo Vechio, sempre a piazza Signoria, sempreilfucilecarrecocome tiempo di querra, perché li comunistevolevinoacupareil palazzo, che lí c’erino tutte l’oficiedelcoverno.Perchéli QuardieRosseerinopiúforte della Reggia Quardia, e queste Cuardie Rosse erino quidate dello onorevole Ciacomo Mattiotte, che in tutta la Romagna aveva stato capace di ocupare piú di 60 comune, che ci aveva fatto metterelabantierarossa. Poie, recordo che tutte li ciornaleportavinocheinuno paese della Romagna c’era stato il ciovene ciornaliste Benito Mossoline che antava ciranto, che nei comune invece ci voleva fare mettere la bantiera nera fascista; quinte antava ciranto con i ciovene fasciste e di dove passavino bruciavino tutto e facevino propaganta contra a Matiotte. Quinte, la revolozioneeravicino. Poi,unanotteamMosolina l’avevinofiliato 8doveera,e cià lo stavino prentento per ammazarlo, ma non l’hanno pututoprentere,perchégrazie al capo stanzione di quello paese, a un certo Farenaccie, che l’ha nascosto dentra il bagagliaio, e non l’hanno pututo prentere, li sociale cumuneste9. E poi, Mussoline, quanto fecelarevolozioneedeventò capo del coverno, per recompenzo l’ha fatto menistro, a questo capo stanzionechecihasalvatola vita. E cosí, Ferenze, di uno momento al’altro, si poteva trovare tutto con li bantiere rosse ed eremo pericolose lo stesso come quanto doveva scopiare una querra. E cosí, noi soldate stiammo dentra il Palazzo Vechio, che dovemmo defentere questo palazzo, che se venevino li comuniste a metterece la bantiera rossa ci dobiammo sparare, e se venevino li ciovenefascisteameterecela bantiera nera fascista ci dobiammo sparare pure. Quinte, erimo imienzo 2 revolozione. Ma a Ferenze questo non poteva venire maie, di acupare il municipio, perché, compure che tutta la popolazioneerasocialista–e magare soldate ci n’erimo tante socialista, comincianto di me e che era capace di antare in favore ai demostrante –, ma non si poteva fare niente, perché forza publica ci n’era assai assaie, perché nelle crante oficie e speciarmente nel palazzo del coverno c’erino migliaiaemigliaiadiQuardie Reggie con mitragliatrice messepiazatenellebarconee pontatecontraidemostrante. E inzamaie 10 davero queste sociale comuniste volessero prentere il municipio, che lo sa quanto muorte e ferite ci dovevino essere! Ma per noi soldate potevino acupare quello che volevino, perché avemmo fattolaquerraeatuttequelle cheerinostatecongedatenon ci avevino dato niente, e desocopateerino,equelleche nonavevinofattonéquerrae niente erino tutte messe aposto, perché la lecie desonesta che facevino era quella: tutte avevino rechito, chenonavevafattolaquerra, e li fessa erimo noie che abiammofattolaquerra. Una notte, mi recordo che erimo di pechezzo dentra il Palazzo Vechio e dovemmo stare sempre con li cermenne11messe,eliscarpe neanchenipotemmolevare,e neanche potemmo dormire. Cosí, avemmo precorato un mazzodicarteecipassammo il tempo, per non dormire, e ciocammo al Sette e menzo. Ec’eraunsercentecheprima ni faceva mettere li carte sul tavolo, poi tutte mettemmo fuore li solde per ciucare, e questo mulo bastarddo veneva e si prenteva tutte li solde,elicartecistrapava. Cosí,alla3volta,presemo 2 coperte, allo scopo che, se avesse venuto un’altra volta, tutte di acordio ci metiemmo queste 2 coperte sopera la testa, lo butammo per terra e lo prentemmo a bastunate, a questo desonesto sercente, che era una specolazione che annoicistapevafotennotutte lisolde! E davero cosí fu, che tutto quellocheavemmoprocetato ci arioscio. Che venne il sercente e lo presemo a pedate, che lo lasciammo mitàmortoemitàvivo.Cosí, nonzihapututoalzare. Poi che c’era tanta confosione, e poi che in quello momento propia assonatomagarelalarme,che per noi fu una crante fortuna... E il sercente che cridava... E subito hanno venuto tante di quelle QuardieReggiechenonsiha pututo capire che ene che avevadatotantepedate,tante pugna e tante muzicuna al sercente! Poi hanno venuto magaretanteoficialediquelle del nostro reggemento e volevino sapere come aveva stato,enesunosapevaniente. Etantacomposionechec’era, ci abiammo fatto credere che avevino stato li sociale comuniste che avevino dato tante bastunate al sercente... Che, con quello allarme che ci ha stato, per paura, avemmo uscito fuore e quanto siammo entrate abiammo visto il povero sercentebastonato... Cosí, venne una barella e l’hanno portato allo spedale impricolo di vita, e noi ni l’abiammo carrecato, e tutte tante dispiaciute e diciammo: «Pecato, che bravo sercente, come l’hanno bastonato queste desoneste Quardie Rosse!» E poi, secome tutte li famiglie recona di Ferenze, con questo movemento revolozionario che c’era, tenevino paura che di ummomento all’altro entravino queste Quardie Rosse nelle suoi palazze per devastarece tutto e robarece tutto,perpaura,antavinoalla caserma San Ciorcie e precavino al colonello per darece 4 o 5 soldate bene armate e macare una mitragliatrice per defesa del palazzo. Il colonello ci le dava,peròapagamento,epoi a queste 5 soldate ci dovevano dare ammanciare e tutto quello che ci atocava a uno soldato. Quinte, uno di queste,perfortuna,eraio. E cosí, in quello palazzo, abiammo trovato il paradiso. Che, facento servizio in quellafamiglia,simanciavaa tavola, si beveva bene, si fomavinosicarettedilusso,se dormeva bene. E abiammo fatto 40 ciorne di buona e felicissema vita. Poi c’era la cammirieracheaveva8anne piúdime,cheseavessestato di 21 anne, quanto ni aveva io, di quanto era amorosa e bella,mil’avessesposato. E cosí, io fece queste 40 ciorne di buona vita e non ni ho fatto piú, e in queste 40 ciorne mi aveva dementecato a Francesca che ci scriviammo, e non ci ho scrittopiú. Poi,cihannomantatoaun altre4soldate,emihaparso molto brutto allasciare quello bello servizio e quella bella cammeriera. E ci hanno fatto antare in caserma e, doppo tanto servizio che avemmo fatto,ammeeali2soldatee il caporale ci hanno dato per recompenzo 24 ore di permesso. E quente, doppo che unsciemmo alla matina, con quello permesso potiemmo rientrare alla sera alle ore 24 e magare all’una. Quinte per me fu una rechezza, perché questo permesso lo avevino fatto cominciare dalla mezzanotte e finire alla menzanotte, e ci avevino dato magare per piremio un beglietto franco per il teatro, magare. E recordo che il teatro era il TeatroLaPercola 12, che era lo piú meglio teatro di Ferenze. E io disse: «Che bella sodisfacione antare nel piúbelloteatrodiFerenze». E poi, alle ore 12, si fenio lospetacoloeunsciammoper riantrareincasermaeantarea dormire, e poi che il permessochesiavevafenito. Cosí, strada facento, c’erino unaventinadiciovenotteche cantavino e facevino bordello, che erino tutte comuniste e cantavino «Bantiera rossa», e io, per compenazione, mi ce sono trovato nel mezzo, e magare li altre 3 soldate, e ni ci abiammotrovatonelmenzoe cantammo. Magare, per comincianto da me, mi piaceva di cantare «Bamtiere rossa». E cosí, cantammo e caminammo. Io mi ho trovato che camminava di un lato della banchina, dove c’erino tante sedutefuorechecipiacevail fresco, perché era il mese di aqusto. Tutte erino con li ciacchielevate,chesentevino caldo. Cosí, io cantava, e mi hovistoachiapparepertutte2 li braccie, decendomi: – Ora ti faccio antare in calere –. Mentre li altre che cantavino e camminavino, come hanno visto che amme mi hanno afferratoemmihannoportato in una casa vicino, tutte si ni hanno scapato, perché hanno auto paura che amme mi avevino preso qualche capitanodellacustura.Eioci ho detto: – Che cosa vi ho fatto che mi state facento tanto male a li braccia? – E unodiquelle2mihadetto:– Malelebracenientefosse!E che deve antare in calera, perché seie tu, da suldato, revolozionerio! Vercogna, chesoldatoitaliano! Cosí, mi hanno portato nell’altra stanza piú dentra. Cosí,vadoperquartareauno di queste che mi aveva afferato: era il tenente colonello di cavallaria. E il suoatendente,forseperchéio era soldato, cosí mi ha detto: –Oramidicechisonolituoi compagni che cantavino «Bantiera rossa» o che altremente ti arrancie. Che prima ti faccio mentere in galera del tuo comantante e poi, tutte queste soldate che siate comuniste, io vi farò spedire per la Cerenaica, che lí avete da fare con i rebelle nechire. Cosí, questo tenente colonello, vedente che stava cominciantoapiangere,miha detto: – Rabito, se te vuoi librare di questa crante ponezione,losaietuchecosa deve fare, se sei furbo... Mi dice che erino li altre che cantavino«Bantierarossa». E io ci repeteva sempre che: – Se io l’avesse conosciuto, io a quest’ora ci l’avesse detto. Io sono stato conmoltadesceplinaversoai superariore, perché, come lei mi ha chiamato, sobito sono venuto, altremente io avesse scapato come hanno scapato li altre. Quinte, leie mi potesse lasciare stare, perché io sono innocente e non cantava. Cosí, mi ha tenuto una ora emihadetto:–Domanetila vede con il tuo colonello. Se tivuoleperdonare,tiperdona. Io devo fare il mio raporto che tu cantavi. Lo devo fare –. E mi ammantato fuore a pedatenelculo. IlcolonelloValentinovolle sapere tutto il fatto socesso e non mi ammantato neanche imprecione, ma poi doppo 8 ciorne mi ammantato a chiamareemihadetto:–Tu sei un vechio mio soldato, e seiestatosemprefurbacionee per questa volta saraie perdonato, ma quarda che ti conoscio da 3 anne e non voglio che vaie a fenire in calera,perchétucantavitode securo «Bantiera rossa», perché il colonello di cavalleria non ene uno buciardo –. Poi mi ha batuto la spalla e mi ha detto: – Coraggio Rabito, che la chilassa del 1899 quanto piú prestolaconcedeno–.Eio,a questo colonello Valentine chehadettoquestaparola,mi pare che l’avesse detto un santo, tanto era stuffo di fare ilsoldato.Cheavevapiúdi4 anne e mezzo che faceva il soldato e aveva fatto tanto servizio che non aveva fatto nesunacongesione 13,nonmi aveva imparato nessuno mistiere. Io aveva una abitutene in tutte li forrarieie di fareme chiamare non con il nome di Rabito, che era il cognome propia, ma mi faceva chiamare Arrabito. E il motivo era questo: che, quanto in compagnia devedevino manciare opure davino la cinquina, prentevino sempre comencianto della «a», e io che era della «erre» sempre prenteva all’ultimo. Tanto fecechemihofattochiamare Arrabito, e mi chiamavino tutte quase Arrabito Vincenzo. Tanto che nella midagliac’eneilmionomee cognome «Arrabito Vincenzo». E quanto devedevino sigarette e cenquinaetantealtrecose,io, che era della prima lettera, sempreprentevadaiprime. Ma questa volta mi ho trovatofrecato… E quinte, venne un ordene che nella città di Ancona ha scoppiato una revolta, e in tutte li cetà d’Italia c’era l’inferno.Ma,però,nellacittà di Ancona ci fu una vera revolozione, perché si hanno messodiacordioisoldatecon li borchese. Ed ecco come forino i fatte: che ad Ancona c’era uno reggemento di bersegliere,quasetuttedel99 (della stessa mia età) e tutte che avevino fatto la querra e avevino fatto 4 anne di soldato, e certo che aspetavino il congedo! E invece del concedo li stavino imparcantoperantareafareil soldato in Arbenia. E queste brave e malantrine soldate bersegliere non ci volevino antare, poi che sapevino che lanaveeraprontonelportodi Ancona.Equinte,tuttehanno dettocomedesseronelPiave: «Di qui non si passa» alli austriece, e non passareno. E cosí hanno detto ad Ancona questebersaglieretradiloro: «Noi non antiammo in Arbenia, che c’ene la malaria». E alla sera quardavino il mare,elanaveerapronteper partire. E quinte, hanno preparato il piano come dovevinofarepernonpartire. Cosí,allasera,comesene sunoantateallalibrauscita,si hanno portato fuore tutte i vestite di bersagliere impiú che avevino, perché d’ogni soldatobersagliereavevano2 vestite.Ecosí,antavinodalle borchese revolozinarie e ci davino uno vestito per vestirese bersagliere, e li soldate se vestevino di borchese e li borchese deventavino bersagliere. E cosí, quanto revavo l’orario della retrada, invece di entrare i vero bersagliere, rientravinolifarsebersagliere borchese. E cosí, quella sera, lacasermasiarreimpitopiena direvolozinarie. E quinte, li soldate che dovevino partire erino piú di 1.500, ma li borchese non erino 1.500, erino radopiate. Quinte, erino 3.000, tutte armate. E cosí, verso li ore 10, quanto il tenente di servizio doveva chiamare la pello per vedere che ancora non zi aveva retrado, queste revolozinarie, per il primo, hanno preso al tenente e il sercente e tutte li soldate che facevino li sentenelle, ci hanno tapato la bocca, li hanno portato imprecione e hanno fatto uscire a tutte li pricioniere.Ecosí,laquardia, la facevino li borchese che erino i finte bersegliere, mentre i vero bersagliere erinofuoreconlasuadonna. E cosí, nella caserma, tutte li demostrante si hanno armato come meglio potevino: perché, nella caserma, arme ce n’erino tante, e assaie mitraglie, magare c’erino tanta monezione della querra epoichec’erinotutteliarme che si dovevino portare in Arbania. E queste arme l’hannoportatofuore. E cosí, Ancona si ha trovato tutta ammano dei sociale comuniste. Che il coverno italiano non era piú padronedellacitàdiAncona. Magare tutte li nave che c’erino nel porto erino tutte con li bantiere rosse. Il municipio era tutto rosso. Certo che tutte queste finte bersagliere erino tutte echise soldata che avevino fatto la querra e sapevino bene sparare. E quinte, soldate e borcheseerinotutteuno14. Ecosí,l’ordenechevenne, non a Ferenze solo, ma per tuttelicitàvicinoAncona,fu per antarece soldate a compattere in questa città di Ancona. E quinte, queste soldate che ci dovevino antare, li prentevinodellaprimalettera dell’ordine alfabetico e fenevino nella lettra della «emme». Quinte io, per mia mala sfortuna, mi hanno chiamatoilprimo! Ed era per questo che la mia brutta vita era sempre arrabiata, perché sempre penzava di fareme bello e invece mi faceva tanto male, perchéeranatoperbistimiare sempre. E come arrevammo ad Ancona, davvero abiammo trovato una querra: certo che tutte li bersagliere erino tutte armate, e li borchese erino armate... Cosí, abiammo dato l’assaltonellacitàdiAncona, senza sapere che erino i nostre nimice e chi erino i nostreamice. Poi, antiammo per vedere se se poteva prentere la caserma, ma la caserma era tutta piena di mitraglieatrice chesparavinoannoi,emuorte e ferite ci n’erino come fossemo nella querra. E cosí, a forzza di sparare, e magare dovettero venire aparechie per butare bombe sopra quella caserma, e al porto abutanto manefestine, facendocesaperealleciovene bersagliere che il comanto suprema della querra li perdonava e all’Arbania piú noncilimantava,cheinvece limantavaatutteincongedo, si cominciò a sedare la rivolta. E cosí, la caserma fu cercontata e il porto cercontato per 3 ciorne. Mentre hanno fenito il manciare e li monisione, e li soldate hanno cominciato ad arrenterese. Perché poi, per farle arrentere, ci hanno tagliato il tubbo dell’acqua, per falle morire di site. E se entra24oreliborchesestesse nonmitevinobantierabianca, c’era l’ordene che li aparecche dovevino bombardiarelacaserma,echi non si presentava dei soldate intra24orevenevafucilato,e chi se presentava subito veneva craziato. E questo lo portavinomagareiciornaledi tuttal’Italia. E poi i ciornale magare ci facevino capire, sempre con l’ordene dato del coverno, chelacorpadiquestarevolta non aveva stato dai ciovene bersagliere, per levare quella bercogna al soldato italiana, ma la corpa la facevino cascare tutta sopra ai borchese,perchévolevinoper forzza la revolozione come nella Russia. E poi la «vera corpa» la davino a chi aveva dato l’ordene di volere fare partire questo reggemento di bersagliereinArbenia. E cosí, mi recordo bene che in 8 ciorne tutte li ciovene bersagliere si hanno presentato. E per non lo fare sapere alle altre nazione, il coverno italiannoatuttelihacraziate. E noi, che avemmo partito da Ferenze piú di 500 per fermare questa revolta, 10 soldateremaseromuortee70 foreno i ferite. E io ho preso un corpo di bastone nella spalla che per 15 ciorne mi faceva male. Però, in questa composionechec’erastatoad Ancona, delle donne ci n’avemmo auto quanto ni avemmo voluto, e piacere immienzo a quella revolta ni n’avemmo passate tante. Però, quanto siammo reantrateaFerenze,piúdi70 erimo malate di malatia di femmene di Ancona. E quinte, quelle che avemmo auto la fortuna di non essere ferite, avemmo auto la fortuna di avere la maletia delle donne di Ancona; e io dovette antare all’infermaria. E quinte, abiammo rientrato malateemortedifame. E menomale che ho quarito, e menomale che mi hafenitobuona... Io,aFerenze,noncipoteva piú stare, tanto mi aveva presodimalenconia,perchéli sciopere erino notte e ciorne, e poi che li amice vere li avevapersetutte.Perché,con liborchese,dellesciopereche c’erino, non si poteva prentere piú nessuna amicizia. E poi, con quella marciasuRomachesiaveva fatto, i soldate non valevino piú, e fare il soldato era peccio di fare il fachino. Avevinopiúvalorequelleche avevino fatto la marcia su Roma, voldire i fasciste, che noi, che avemmo fatto la querra. E quinte, i fasciste avevino piú valore dei soldate. E quinte, per prodezione, i crosse propetarie si prentevino ai fasciste e non i soldate. Quinte noi piú non avemmo nessunovalore. Nella nostra famiglia il padre l’avemmo morto. Il capofamiglialofacevailmio fratello Ciovanni, ma Ciovanni era mutelato, e quinte, come capo famiglia aparteneva amme di farlo. Cosí, senza saperlo io, mia madre e mio fratello ci l’hanno detto al sindaco di Chiaramonte, hanno fatto il recramo e io sono passato comecapodifamiglia. Ecosí,c’eraludecretoche tutte i figlie piú crante di madre vedova c’era l’ordene di concedalle. E cosí, senza che io lo sapesse, mi ha venutoilconcedo. Conquestapartenzasubito, non mi ho potuto portare neancheunaspilla. Poi che c’erino partenze per antare nella Libia a compattere con li rebelle, io, cheeradellaprimalettera,mi aveva preso di paura e non vedeva l’ora che mi fermavino la licenza e levaremediquellabruttavita. Quinte, non ebbe il tempo di salutare annesuno, perché doveva partire alla stessa sera. Io aveva 14 mese che era a Ferenze, che qualc’ameco l’aveva, ma il soldato sempre ha stato cosí, checomecidannoilcongedo non volle conoscire annesuno. Cosí,prentosubitoiltreno che pare che stapeva antanto in paradiso, di quanto era contento antanto a Chiaramonte, che, se non c’era mia madre e i mieie fratelle, io non ci doveva antare, perché umpaese piú miserabile di Chiaramonte nonc’è,perquellechenonci avemmo nesuno pezzo di terraeneancheaverecasaper abitazione. Come sono arrevato a Napole, ho trovato a uno soldato che con questo avemmo stato da picolo allavorare inziemme. E come ni abiammo visto, ci abiammo baciato, poi che aveva 4 anne che non ci vediammo. Questo si chiamavaTureConsalbo. E cosí, siammo revate a Chiaramonte insieme. E se ancora c’era strada da fare, non l’avessemo potuto fare, perché ci avesse tocato di camminare scalze, perché li scarpe io, della mia parte, li aveva rotte. E per avere servito questa maledetta Padria, io e compare Ture Consalbo fuommo costrette adantrareaChiaramontecon liscarperotteesenzasolde… Recordo che a Chiaramonte arrevammo verso l’una di notte. Cosí, entro nel cortiglio 15. Certo che tutte si avevino corcato. Tapolio la porta, ma alla prima a respontereme fu la mia sorella Turidda, che subito disse a voce forte: – Maria! Vincenzo venne congedato! Cosí, lo sente mia madre. Che socesse una sbeglia per tutte e una crante cioia per tutte, che io aveva venuto concedato. La povera mia madre sempre con le solete frase che doveva antare alla Madonna a piede scalze con Turiddaafarecelorencreazio alla Madonna di Qulfe, perché aveva venuto il suo figlioVincenzo. E cosí, per tutta la notte, con la mia venuta, nesuno antavoadormire. Poi, io aveva portato una scatola di carne amirecana, che era una scatola di un chilo di carne in conserba. E manciammo. Ma solo mia madre non ni ha voluto manciare, perché era troppo contenta perché vedeva alle suoi figlie, doppo tanto tempo, manciare tutte inziemme. Poi, come per natura di famiglia, lo stomico l’avemmo tutte buono e per manciareerimotuttebrave.E con quella allecria che aveva venutoio,abiammomanciato tutta quella scatola di carne cheeraunbelchilo,e4pane e 3 litre di vino ci abiammo manciato e beuto, che fu una notte che maie io posso dementegare. E, parlanto parlanto, si hanno fatto li ore 5 e si ha fattociorno.Cosí,miamadre e mia sorella partierino per fare il viaggio alla Madonna. E io mi sono corcato perché eramoltostanco. E cosí fenio la desonesta vita mia di miletare, e ora comincia la desonesta vita di VincenzoRabitodiborchese, che ene piú disonesta di quella che io aveva fatto militare. 1 incrasciate:sporchi,luridi. 2 diquantaveche:daquando. 3 L’excarceredelleMurate. 4 Il congresso di Livorno, con cui nasce il Partito comunista d’Italia, si terrànelgennaiodel1921. 5 custura:questura. 6 IlcorpodellaGuardiaRegia. 7 camurria:seccatura. 8 filiato:seguito. 9 Probabilmente,l’episodioacuisi riferisce Rabito risale al 5 dicembre 1920 quando Mussolini presiedette a Cremona l’assemblea dei Fasci della Lombardia, eludendo i blocchi stradali deisocialistigrazieall’aiutodiRoberto Farinacci. 10 inzamaie:semalauguratamente. 11 cermenne:giberne. 12 LaPergola. 13 non aveva fatto nesuna congesione:nonavevoconclusoniente. 14 L’episodio cui fa riferimento Rabito accadde il 26 giugno 1920, quandoibersaglieridell’XIreggimento si ammutinarono rifiutandosi di partire per l’Albania, mentre anarchici, socialistierepubblicanisaccheggiarono alcunearmeriedellacittà. 15 cortiglio:cortile. Capitolonono Chitarreemandoline E poi che aveva venuto quella maledetta dettatura fascista, che aveva proibito a tutte e lavoratore di amicrare nelle altre nazione, perché dovemmo morire sofocate tutte, d’ongnuno ai suoi paese, e neanche si poteva antare allavorare in Francia, perché Mussuline si aveva sciarriato1contutte.Equinte restaie senza lavoro e senza niente, e non aveva imparato niente con 5 anne di soldato, solochemiavevaimparatoa bestimiare.Equinte,lavitadi borchese per me era una vita peggio di quella che fece miletare. E cosí, penzaie di lasciare Chiaramonte, che l’aveva tanto desederato di venire a Chiaramonte, e ora era desposto ad antarammenne all’inferno allavorare, bastica faceva solde e mantarle ammia madre. E cosí, mi ne sono antato come un vero desperato a Catania per fare qualche soldoecomperaremequalche vestito,perchéconquelloche io aveva, piú non poteva comparire con i mieie compagni. E cosí, sono partito. Cosí, al solito, dovevo partire a mezzanotte, a piede per fina alLicodia, poi alla stanzione di Vezine-campagna, che poi con lire 2 prenteva il treno perCatania. E doppo tanto cirare, finarmente, ho trovato una picola pinzione tra il Piano Fortino e la discesa della via Acquicella, che era propia vicino alla stanzione dell’Acquicella. Cosí, la padrona mi ha detto che facevapagare0.50centeseme allasera. Alla matina presto, la signora mi ha sbegliato e ci abiammo messo a parlare, e ci cominciava a dere che io cercasseunlavoroe,setrovo illavoro,cifacevacapireche sempre mi corcava nella sua picola penzione. Io a questa la quardava e leie tutta si stichiava2.Ioaveva22anne, leie ni aveva 32 anne. Io vedevacheeratuttoplorito3, tuttachesivolevafarevedere cheerabella. Io cercava propia quella compenazione per farimela amice:vedevachecipiaceva la mia chiachira e si lasciava tocare. Cosí, io disse: «Questaenesicuropocopoco butana, vediammo che posso fare…» E subito cominciammo a prentere amicizia. E cosí, mi hadetto:–Cometichiame?– E io ci ho detto: – Vincenzo –.Emihadettocheseioera educato, che alla sera non veniva a notte fonda, mi lo cercava leie uno lavoro. E cosí io, come mi ha detto questo, ci ho detto: – Se vosia, signora, è capace di trovaremeunlavoro,iofaccio come dice lei sempre e la vogliobenecomeunasorella. Cosí, davero l’ha detto e l’ha fatto, che mi ha detto: – Oratifacciounobiglietto,eti manto qui vecino nella via Tistulla, che c’ene il stabilimento del signore Nicotra, che ene il padrone dello stabilimento di pumedoro, che lí fanno la conserba, e uperaie ci ni ave tante, uomine e femmene. E cosí, con una mia racomantazione, tu vaie allavoraresicuro. E cosí, il segnore Nicotra, come vede il bilietto, mi ha detto: – Va bene, domane vienealleore7e30,chesona laserenaeentrinotuttequelle che lavoreno, che ti faccio lavorare–.Poi,iocihodetto: – Quanto si quadagna al ciorno?–Eluimihadetto:– Quanto quadagnino li altre, che quadagnino lire 9 al ciorno,etantoquadagnitu.E poi perché seie racomantato della signora, vediammo quello che faie, che ti posso daremagarelire10. E cosí, tanto contente, alla matina la signora mi ha chiamato alli ore 7, sempre con il sorriso, venento nel letto, che amme questo mi piaceva tanto. Cosí io, per mia abitutene, mi piaceva di arrevare uno dai prime nello stabilimento per fareme benvulire. Come sono arrevato nello stabilimento, aspetaie10minute,hasonato lacampanaetutteentrammo, che erimo cerca 150 lavorante, tra uomine e donne. E 30 piciotte c’erino, che facevino lí dentra, li caruse, tutte i lavori di fachenaggio che c’erino: carriare 4 casse pienedibuvatte5distrattodi conserba 6. Poi, c’erino 30 caruse di 10 a 12 anne, tutte delenquente, che sempre si prentevino a bastunate, tutte caruse che alla sere frecoentavino l’Opera dai pupe e stampagno sempre 7 pupe dentro li mura dello stabilimento. E c’era uno uomoconunaluncabachetta e magare un bello nerbo per darece corpe, per quanto lavoravino, queste piciotte, e non mascheravino li mura 8 dello stabilimento. E, compure che quello dava bastunate tutte l’ure e tutte i momente, sempre lo prentevinoperfessalostesso, che erino racazze che comantavinoidiavole. Poi che ni hanno pagato, e con tanto stravordenario che fecimo, io nella prima busta cihotrovatolire235lire,che mi ha parso che io avesse presoilterno,cheiounapaga cosícrantenonl’avevapreso maienellamiavita. Quinte, cominciava a quardare qualche piciotedda bellina, figlia di quelle donacciechelavoravinonello stabilemento, perché poi mi sonocominciatoabistireme9 bene:piúnonparevadesceso dalla montagna, come dicevino nei prime ciorne, e parevaunverocatanese. Cosí, mi ho fatto amico stretto con una donnaccia di quelle, perché ci aveva una bellessimafiglia. Io, sempre, quanto usciemmo del lavoro, con questa donnaccia che aveva questa bella signorina che si stapeva imparanto salta, per forza doveva passare della suacasaperfaremevederela dota di sua figlia, che segnifecava direme: «Vicienzo, te deve prentere alla mia figlia per forza», e voleva che per forza mi ci facevazito10. Maio,checonoscevaasua madre,checommeerapeggio di una cane, che mi ne dava quanto ni voleva, e quinte io penzava e diceva: io, prententeme a questa, mi prenteva una figlia di una butana, che mi poteva reuscire come la sua madre. Perché penzava che, esento putanalamamma,eraputana la figlia. Ma, intanto, io lo dicevaconlabocca,dinonci dare compedenza, e sempre eralí. Mi ho fatto prentere tanto dibuonochecivolevapocoa fareme corcare magare nella sua casa… Perché io, tanto forbo mi senteva, arevanno a donne 11, tanto cretino mi faceva, che mi lasciava comantare di questa dopia putana, come volevino mammaefiglia. E cosí, io non mi ho fatto capace a chi aveva a volere piúbeneditutte2donneche mi facevino contente amme: unaeraquelladellapensione dove mi corcava e l’altra era questa che lavorava comme, cheavevaquestafigliachesi stapevaimparantosalta. Passanto 2 mese, io mi cominciaie a sentireme male percausaallastrettaamicizia che aveva con queste putane, sia con questa che aveva la figlia femmina saltina e sia con quella donna dove mi corcava alla sera. E cominciava a camminare zuoppo, perché mi facevino malelicoglione,senzasapere che diavilo io aveva. Mi avevino uscito 2 froncole 12 immienzoallecampe.Piúva, piú assaie mi facevino male, ma non le voleva dire annesunodai2putanedonne. Perché, se lo diceva a quella dove mi corcava: «Vedete cosa haio?», e mi potevinodire:«Mascerato 13, disonesto, questa maletia di donna dove l’haie preso? al casino?», e mi poteva dire che io l’aveva rovenata. E se lo diceva a quella che lavorava comme: «Vede che cosahaio?»,mipotevadirelo stesso: «Maleducato, ti seie rovenato». Mentre io ci doveva sparare a tutte 2, perchéforsechetutte2erino impestate e hanno rovenato amme,cheioaveva22anne, e magare che ni aveva 23, sempre era caruso, e la sua malattia mi l’hanno dato amme, cosí loro si hanno polito li sanquie e io mi l’ho sporcato.Ecosí,iolosapeva che questa maletia si chiamavino«bombona». Dire, non ci lo poteva, sia all’unaesiaal’altra,chemi avevino rovenato, perché mi potevino denonziare. Quinte, mi conveneva di antare nel signore Nicodra, fareme fare lapaga,eantareacercareun dottoreefaremecurare. E cosí, ni ho trovato uno che, quanto ci sono domantato all’infermiere, subito volle una lira per potere aspetare al dottore. E finarmente doppo 2 ore ha venuto il dottore e, come mi ha vesetato, mi ha detto: – Queste bummuna vogliono essere tagliate per forza, ma allospitalequiaCatanianon ticonviene,perchésicuroche ti costerà lire 500, ma, se te nevaieaChiaramonte,questa operazionetilapuoiefare. Io ci aveva detto: – Dottore, che ci vorrebbe per farlescattare14?–Eildottore mi ha detto che: – La vera mirecina ene, per queste, il cortello, che, una volta tagliate,nonescinopiú. Cosí, io aveva una rabbia che mi stapeva mettento a piangere, che per forza volevino essere tagliate, e io diceva: «Come, nella querra nonmiavevinomaietagliato e ura, de borchese, per forza civoleilcortello?»Ediceva: «Come sono sportenato, che io da Chiaramonte aveva scapatoperpazzo,perchénon aveva lavoro, e ora aveva trovattoillavoroelodovette lasciare, e magare malato di unamalatiadibutana!» E mi ne sono antato nello stabilimento del signore Nicotra e ci ho detto che per faore mi liquetasse tutte li ciornate che io aveva fatto, che mi ne doveva antare subito subito a Chiaramonte checihounasorellachedeve partire per l’America, e quinteladovevasalotareela doveva acompagnare a Ceniva15. Cosí, il calantuomo, sempre per respetto di quella putana che mi aveva fatto racomantare, mi ha fatto pagare per fina all’ultimo soldo. Ossalutato a tutte l’amice che mi aveva fatto, e non hanno saputo niente di questa malatia che io aveva preso. Cosí, mi socideva come la tartaruca, che stava arrevanto al traquardo e all’ultimo scalone16cascavo! Io sapeva che il dottore Cutello era lauriato di poche ciorne ed era il megliore dottore di tutte quelle altre dottore, che forse aveva 2, 3 ciorne che aveva venuto a Chiaramonte, e ancora lo studio non zi l’aveva aperto. Ma, però, io penzava che, se lo chiamava io, sicuro che ci veneva, perché il dottore Cotello mi voleva troppo bene. Io, con questo dottore, cieraamicodipiceriddo. E cosí, mi ha detto: – Avante Vincenzo, tu sei il primo mio chiliente –. Era tuttoresolente 17, e rideva, e tuttosiarrecriava 18.Emiha detto: – Vincenzo, chi haie? Chefa?Haiecapitatoqualche buonoraloggino 19 catanese? E mi lo ficuro che potesse esserelatuabellamalatia…– Luiredevaeiobestimiava. Perciò, mi ha detto, il bravo dottore, che domane, alle ore 8, prenteva la borsa con l’atrezze di dottore belle nuove nuove: – Senza che nesuno malato l’aveva doperato prima di te… E venco sicuro. Che con uno picolo taglio, caro Vincenzo, tutto va bene, e in 7, otto ciorne ti ne puoi antare a travagliare a Catania, e puoi portare un altro bello recalo…–Luisidevertevaa babiare e io bastimiava, e dalla rabbia mi muzecava li mane, non per il dolore che doveva sentre, ma per la vercognacheiosenteva. Mia madre, come intese «taglio»,piancevacherestava defettuso 20. E io, non solo che doveva sentre il dolore, magareavevaasentireamia madre che pianceva per tutta la notte. E poi, doveva macare sentere a mia sorella, che voleva sapere perché io mi doveva fare questa operazione. Poi, mia madre sempre mi diceva a bassa voce: «Figlio mio, tu sempre parte per circare fimmenazze». E recordo che sempre mi deceva che: «Con questa malatia, magare li figlie nascino defetuse, se ti marite etinascinofiglie».Emil’ha detto tante volte, perché non dormeva, come non dormeva io, che mi aveva fatto venere ilnervosoche,senonerache era sicuro che veneva il dottore Cutello, mi stapeva alzanto e voleva antare a Vittoria, che c’era un amico mio che era solo nella casa e l’operazione mi la feceva a Vittoria, o pure parteva per Cataniaun’altravolta. Cosí,finarmentesihafatto ciorno.Miamadre,poveretta, verso li ore 5, ha fatto alzare alla mia sorella che aveva un’ora che si aveva dormentato. Cosí, ammia sorella, mia madre ci aveva dettochesinedovevaantare ni donna Vituzza, che erimo vicine, che doveva antare a fare uno retapunto 21, perché venevaalleore8ildottore.E miasorellasin’antò. Cosí, alle ore 9, recordo che venne il dottore. Cosí, ci ha detto a mia madre di preparare una pegnata di acquacaldaeunavacila22e2 tovaglie. Il duttore, che era troppo furiosu nel suo lavoro, che quantopiúprestopotevafare faceva, c’era uno tavulino, mette la borsa sopra il tavolino, prente tutte quelle atrezze belle nuove nuovi, e erino lucite come il colore dell’oro. E io li quardava. Cosí,mihadetto:–Questaè la mia profesione, Vincenzo –. Cosí, mi ha detto: – Mettete il pannizzo 23 della camicia nella bocca e con li dente la tiene stretta, che il dolorelosentepiúpoco. E cosí davero feci io. Mia madre pianceva, e il dottore ci ha detto: – Signora, se piancete uscite fuore magare voie, e restammo io e Vincenzo –. E cosí, mi ho statofermo,ein5minutemi ha levato il male. Io, dolore, ni aveva inteso tanto ma, costione di 5 minute, ho resestito,cheildottoremiha detto: – Bravo Vincenzo, comeseieforte. Cosí, ha fenuto l’operazione, il doture, che era la prima operazione che fece a Chiaramonte, e mi ha detto:–Setuttequellechese devono operare fosseno tutte come te, io fosse ricco, perché non sono tutte coraggiose come te, li paziente. Cosí, mia madre ci ha detto: – Dottore, domane che viene alla stessa ura? – E il dottore ci ha detto: – Piú Vicienzo non ave niente, piú non c’è bisugno di duttore –. Mi allasciato una butiglia di acqua asecinata 24 e mi ha detto: – Ci la mette d’ogni matina e non c’è bisogno di me. Emiamadre,alsolitosua, parteva sempre per antare a fare il viaggio alla Madonna diQulfe. Cosí, recordo che ho stato 3 ciorne corcato e poi mi sonoalzatoevenneildottore, tantoperfaremeunavisita,e mi ha vesetato, e arrestato sodesfatto. Come si n’antò il bravo dottore,iomialzaieeprovaie di fareme 4 passe per la strada del caffè, per potere vedere se poteva camminare. Ma recordo che la testa mi ceriavaeperforzamidovette reterare, perché magare non poteva stare all’impiede, perchésanquiniavevabutato assaieederamoltodebole.E cosí, lo hanno saputo tante che aveva preso quella malatia, perché il paese è molto corioso. Poi lo sebbe Bastiano Parrino e, una uce passa all’altro, lo hanno saputo tante, ma amme non mi ha importato niente, perchétuttopassa,perché,se all’uomoinquestavitanonci incontro aventure, non ave nientedarracontare. Ormai comantavino li scuatriste in tutte i poste di lavoro, e tutte quelle che cercammo lavoro, se non avemmo la tessere fascista, non potemmo antare allavorare. Quinte, bisognava difarenelatesserefascista. Cosí, un giorno, don VettorioRecottami ha detto: –Vincenzo,orac’enecheper antare allavorare te deve fare latesserefascista,chepertee tuo fretello Ciovanni, perché siate vere compatente, Mossoline vi la darà cratese 25. Quinte, tutte per avere la tessere fascista dovevinopagarelire15enoi, peressereunomutelatoeuno decorato, ci l’hanno dato franca,questatesserefascista. Nella mia vita aveva stato unoacanitosocialisteequase quaserestaiemaleacampiare partito, ma poi tra me disse: «Non paganto niente…» E cosí, mi l’ho preso e sono deventatofascista. Recordochemihotrovato fascista con la data del 15 dicembre 1922, e dal 1923, dal 27 marzo, passato alla Melizia di securizia nazionale 26, senza che io avesse saputo niente, tutta opera del dottore Cotello, perché questo era capitano dellaMilizia. Però, io aveva fatto parte sempre delle Quardie Rosse di Chiaramonte, ma, a Chiaramonte, fino ad allora, non si aveva fatto niente, né nei Quardie Rosse e neanche nelle squatre fasciste, perché non era paese di farese portare respetto! Ma, nei crante centre, certo che con questo campiamento di coverno ci foreno tante muorte e tante ferite! Quinte, Milano, Cheniva, Napole, Torino, Palermo, Bare hanno fattotantemesedisacrifiziee tantemigliaiadiarreste,gente portate a confine, al carcere. Eatantecheavevinomiletato nelle Quardie Rosse, che avevino li poste covernative, come venne la dettatura fascista, ci hanno levato il posto e l’hanno butato immienzoaunastrada,senza lavoroesenzaniente.Ecosí, cominciareno a bestimiare amMossoline. Che, della stessa prima ciornata che venne questa maledetta dittatura fascista, si ha cominciato a stare male, che non c’era lavoro e c’era di scapare di Chiaramonte uno che non aveva lavoro, non aveva terre. E uno di queste era propia io, che, per quadagnare solde, mi ne doveva antare allavorare forostiere. Però, una volta, magare a Chiaramonte ha socesso una ciornata di casa del diavolo. Che questa ciornata nesono l’ha pututo dementecare, di quelle che ci abiammo trovato presente. Che, una domineca matino, si hanno presentato n. 50 scuatrista commisane, tutte ciovene di 22a24anne,tutte50ciovene delenquente, pagate del scuatrisemo, che ci hanno dato lire 100 per uno per venire a Chiaramonte a bruciare la bantiera della sezione socialista – che Chiaramonte, come socialisemo, era umpaese piú forte della provincia, perché c’erino esponente buone, che il capo di queste esponente era l’avocato don Pipino Rosso,edonNittoRosso,che poteva avere di 18 anne di aità, che aparteneva della corrente socialista pure. E questa secione di socialista eravicinoalloSalvatore 27e, speciealciornodidomenica, questa bantiera era esposta fuore e sventolava, e li fascisteperforzaladovevino bruciare. E secome li scuatristediChiaramontenon erino capace di brucialla, hanno fatto venire queste 50 delenquente del paese di Comiso. Ma queste, alla domenica, non ebero il coraggio di abrucialla e penzareno di abrucialla alla ciornata del lonedí, perché tutte li socie condadine si n’antavino in campagna, e cosí ci veneva piú meglio, che c’era solo il cammariere. Ma il conto, queste fascista scuadiste, non ciharevoscito,perchétutteli socie vere socialiste hanno capito che c’erino queste cumesane che ci volevino bruciarelabantierarossa,che per loro era uno cioiello, e allavorare per la ciornata del lunedí non ci sono antate. Cosí, i fascisti a malapena hannofattosegnodibruciare labantierachesihannovisto tutte li soccie unite, che sentevino dire: «Questa bantiera rossa fa schifo, questa bantiera rossa deve essere bruciata». E non si l’hanno fatto dire 2 volte: escino fuore con bastone e roncheefalcie,ehannopreso a bastunate a quelle 50 ciovene. Cosí, questa bantiera rossa chiaramontana,ladefentevino magaretuttelidonne.Ecosí, ci ha stato una lotta acanita, che tutte quelle 50 fanatice commisane2morerinoe48si ne sono scapate tutte bastunate e ferite, con li bracia magare rotte, che li socialiste chiaramontane li hanno percorso 28 a petrate per fina alle 4 Capelle 29. Cosí, li comisane non ci hanno venuto piú a Chiaramonte a dire che la bantierarossafacevaschifo,e liscuatristadiChiaramontesi hanno nascosto. E lo stesso provessoreSceverioNicastro, cheeraumprincipiantedifare il secretario politico di Chiaramonte, per dodice ore, si annascosto nel una cascia della cira 30, per la paura di prenterebastunate. Poi, tutte i fasciste, la bantiera rossa, non l’hanno tocato piú, perché li socialiste, a i fasciste, li facevinotremare. Io aveva la tessere dai fasciste e non parlava, ma però l’edeia l’aveva sempre socialista. Poi,intuttelicrantecentre diventarenotuttefasciste,poi che venne un oredene che quello che dovevino fare i socialistelofacevinoisindeci fasciste, unite con il maresciallo dai carabiniere. Cosí, con l’ordene delle prefetture, ci hanno improgliato che ci dovevino spartereliterreaicontadine. E fu per levarene l’edeia socialista e farese tutte fasciste, poi che a quelle che non zi volevino fare fasciste cifacevinoprentereperforza mezzolitrodiogliodiricine. Cosí, quella conquistata di terre fu una presa per fessa, chepoivennesubitounaltro oldene, che quelle terre si dovevinolasciareechenonli lasciavavenevadenunziato. Poi ci avevino improgliato che ci spartevino li terre ai compatente,eneanchequello fu vero. Quinte, con il fascisemo ci hanno preso ancorapiúinciro,eiodisse: «Checosapossofare?» Ora, di Catania aveva portato una chitarra e ummandolino. Paolo e Ciovanni si volevino imparare buone per forzza, ma Ciovanni non ci poteva maie reuscire, mentre Paolo, che aveva 14 anne, si stava imparannomoltobene. Io ci aveva molta pasione si mi imparava qualche cosa, ma tanto per passareme il tempo, perché poi io sempre penzava di cercare lavoro e nonmipotevaimpararebene maie. Poi Ciovanne, prima della querra, era un bravo lavoratore ma ora travaglio non ni voleva per niente. E secome era sballato lui, che era lu piú crante, ci ha fatto sballare a tutte. Però, amme nonmihafattosballare,maa Vito e Paolo non ci ha dato unastradaciusta. Una sera, sapeva che doveva venire uno apartatore per portarece l’acqua a Chiaramonte, perché acqua potabile non ci n’era. E questo apartatore cercava operaie speratiche di mistiere31,perchépoimagare a questo, a Chiaramonte, ci paremmo tutte stubite e, per ciunta, ci paremmo tutte condadine. Io, con l’aiuto di un amico, mi l’ha fatto conoscire, a questo carrapipano 32, e ci ho detto se questo lavoro mi l’avesse datoacotimo. Io penzava che erimo 4 fratelle,equintepermefosse una buona penzata a prentereme quello lavoro, perché tutte li scave della condratamileprentesseioei mieiefratelle. E cosí, doppo avere fatto una descursione cià, io con questo apartatore incegniere, tutto bene, e ci abiammo messo di acordio per questo crante lavoro e per questo cammio 33 pieno di atrezze, che mi l’ho fatto consegnare tutte,facendocecapirecheio aveva uno crante locale per metirece tutto questo camio di atrezze di lavoro, e ci ho improgliato che io aveva tante caseciate, mentre se sapeva che io non aveva neanchecasaperdormire... Cosí che, verso le ore 5 di mattina, ene arrevato questo camio di atrezze con tante piconeetantemazetteetante paleetantepalanchine 34per fare buche nella pietra e poi metterecelaporbereesparare per rompere la pietra dello scavochefaciammo. Eio,conquelleatrezze,ho chiamatoaimieie3fratelle,li abiammo portato dentra il cortiglio, sempre di notte, e cosí, li abiammo messo dentra a una casa e, alla matina, io e i mieie fratelle siammoantatoallavorareeci abiammo messo a fare lo scavo. E poi, se c’era pietra forte, ci dobiammo fare li mine. E cosí, a forza di porbere, sparammo e scepammo 35 pietra, e come non ci abiammo ammazato, tutte 4 i fratelle, era un bero meracolo. Cosí, piano piano, ci abiammo fatto la tessere di piconiere e, piano piano, ci abiammo fatto dare la qualifica di minatore all’oficio di collecamento, e cosí siammo deventate operaie,nonpiúcondadine,e deventammo operaie specializate.Ecosí,magareci abiammo fatto socie nella SocitàVittorioEmanovele36. Cosí, quanto abiammo fattoilprimomesedilavoro, questo desonesto incegniere non veneva maie per pacarece. E quinte, avemmo fattotantespesedicomperare porbere, di portare li atrezze spontate nel ferraio, debite avemmo nei tabachine e debite avemmo dove prentemmoilmanciare. Però, avemmo 2 chitarre e 2 mandoline, che con quelle strumente ci adevertemmo, poi che Paolo era lo piú picolo e sapeva sonare molto bene, ed era consederato lo piú meglio sonatore del paese.Io,recordochesonava biduzzo 37. Ciovanni e Vito erinolipiúscasseditutte.Ma Paolocoprevaatutte. Equinte,recordocheerail 1924ederinoliprimeciorne del mese di febraio, e non c’era una notte che non antiammoabballare.Etuttoil quartiere di Santo Vito, quanto si faceva festa da ballo, sempre c’erimo la famiglia Rabito, e in tutte li sponzalizie c’erimo noi, poi che a tutte ci veneva piú facile di invetare annoi, perché noi avemmo fatto i campagniole.Equelleebiche erinotempemiserabile,cheli mascie 38facevinolifesteda ballo tra loro mascie, li contadine facevino feste di aballo tra loro, li pecoraie facevino feste da ballo tra loro, ma noi, però, erimo amicecontutte,conpicoraie, conoperaieeconcontatine.E quinte, perché sapiemmo sonare,ciamitiavino 39 tutte. E cosí ni pasava la vita, sempresenzasolde,mapiene sempredidevertemente. E recordo che quella povera di mia madre non la faciammo dormire maie, e in quello damoso 40 dove noie stapiemmo sempre c’erino festedaballo.Cosí,abiammo preso la «dorci vita» e non penzammoaltrocheafestedi aballo. E tutte li mattine sempre c’erino chiachire, perché li mieie fratelle, il divertemento, ci piaceva, ma a ura di alzarese per antare allavorare non zi volevino alzare. E secome li tempe erino miserabile, tempe di dittatura fascista, poi che era il 1924, chec’eraunafamepertutte,e li apartatore e li propietarie erino li piú vegliache di tutte e profetavino dalle povere e quanto uno operaio recramava il suo deritto veneva subito malatratato, e cosí, doppo che avemmo lavorato tanto tempo, avemmo lavorato solo per quanto manciammo. E cosí, ci avemmo devertito a Chiaramonte, ma però restammo senza lavoro e senzasolde. E poi che è fenito quello lavoro dello scavo, altro lavoro non cenn’era piú. Il lavoro di campagna per noie era vercugnuso, perché avemmocampiatalaqualifica e il contadino piú non lo volemmo fare. Quinte, li proposte erino 2: una che ce stapiammo a Chiaramonte a ballareeatastarelafame41,e l’altraeraquelladiscaparedi Chiaramonte per potere fare solde. E quinte, era meglio chescapammo. E presemo la strada a piede,tutte4fratelle. Cosí, stava per venire il mese di ciugno ed era una bellaannataperlicampagne, e sentiammo dire che a metere crano uno operaio, se era capace di resistere a mietre, poteva quadagnare magare lire 25 al ciorno. E cosí, tutte 4 fratelle – e un certo Turi Cucuzzuni c’era con noie – ci abiammo reunito tutte 5, ci abiammo comperato una falce per uno, antiammo alla stanzione, presomoiltrenoepartiemmo per Castraciovanni, che ancoraMussolinenonl’aveva fatto provincia, che poi ci ha messoilnomediEnna. Ma, però, quanto siammo revato a Catena Nuova, nella stanzionec’eraunopropitario cheavevatantocranoametre e ci ha detto se voliammo mietre a Catena Nuova, per lire 25 al ciorno e manciare. Io,PaoloeTuriCucuzzunini ha piaciuto e scentiammo, mentre mio fratello Vito e Ciovanni non hanno voluto remanire e hanno antato per Castraciovanni. Cosí, io, Turi Cucuzzuni e Paolo, ci ha piaciuto di remanire a mietere a Catena Nuova, ma veramente il lavoro era troppo pesante, speciarmente nel mese di ciugno e luglio, che con il cardo si moreva, poi che alle ore 4.30 spondava il sole, e prima di spontare il sole il padrone ci faceva alzare e, subitosubito,cifacevametre il crano, e perfina alle ore 6 allaseracifacevalavorare.E poi, con quello cardo forte, dovemmo resistere, e quelle lire 25 ci le dobiammo bagnare di sudura, prima che ci le davino. Ma li lire 25 al ciorno,chenoinonl’avemmo visto maie, facevino passare la stanchetutene, e poi che ci davinoammanciare.Equinte, li lire 25 che ci davino era sicuro che ci restavino franche. E cosí, abiammo fatto la primaciornatadilavorotutte stanche e bruciate del sole. Cosí, usciemmo in questo picolopaessello,ciantiammo afarelabarba,chetrovammo il barbiere vecino, e ci siammoseduteperaspetareil nostro turno, mentre io, che nella mia vita sono stato sempre sfaciato, e Paolo afrontoso, vedo una chitarra apisa dentra alle parete del salone e li ho domantato il permessoesepotessemofare una sonata. E il barbiere ha detto: – Tanto piacere –. Ma tuttequellecheerinolídentra si hanno messo a ridere, perché mai maie si avessero potutocrederechelimiteture avessero sapere sonare chitarraemandolino. E cosí, io ho dato il mandolino a Paolo e ci ho detto: – Te sona, non ti afrontare –. E cosí, Paolo si ammesso assonare, che tutte quelle che erino lí dentro si hannomerevigliato. E per quella sera, perfina alla mezza notte, abiammo ciratotuttelistradedelpaese! Ci hanno fatto tanto anore! Però, io e Paolo non ci paremmo condadine, perché erimo vestite beduzze, e magare Turi Cucuzzuni era vestito buono, poi che ci avemmo improgliato che di mistiere erimo scarpeline. E cosí, in questo paese di CatenaNuovaabiammopreso una forte amicizia con tante piciotte, e tutte ci hanno ofrito ammanciare e bere, sempre però per sapere sonare! E,aCatinanuova,ioeTuri Cucuzzuni ci abiammo fatto magarefidanzate,mentreTuri Cucuzzuni era maretato e magareavevaunofiglio... Quanto se feneva il tempo dellamitetura,partiemmoper Enna, perché era piú mondagna. Cosí, a Enna abiammofattoaltre10ciorne di metre e a Enna abiammo fatto lo stesso di Catena Nuova, che tutte li sere ci mitiemmo a sonare, e presemo altre amicizie. E nesuno credevino che erimo condadine, poi che alla sera impiazza ci vestiammo bene, poi che di dove passammo a tuttelasciammocontente. EaEnnaabiammotrovato a Ciovanne e Vito, ma solde quanto ni avemmo fatto noi, lorononl’avevinofatto. Cosí, sempre a piede, da Enna antiammo a Calascibette 42, e lavoro non ni trovammo. E cosí, sempre a piede, antiammo in uno piccolopaesechesichiamava Passarello, o pure Villadoro 43,eabiammofatto altre 10 ciorne di metre, sempreconlostessosestema, che alla sera antiammo al salone per farene vedere che sapiammosonare. Quello paese era tutto pieno di brecante, tanto che io, una sera che vineva di metere, ci fu una patuglia di carabiniere,chec’eralaliggie del profetto More 44 che chi portava un cortello subito lo portavinoincalera,esecome io,inquelleebiche,tesseredi reconoscimento non mi n’aveva fatto, perché ancora non ni aveva nessuno, io mi ho trovato solo che camminava e queste carabiniere mi hanno fatto perquisezione e mi hanno trovato uno cortello, che l’aveva comprato dai comisaneaChiaramonte. Cosí, mi hanno portato in caserma e, strada facendo, io ci ho detto a queste carabiniere: – Ma come, restate amme che venco di lavorare, e quelle che sono brecanteperdaverolilasciate antare? Forse che con questa parolocihannopresolinerve e mi hanno fatto uno raporto come ante fascista. E, alla stessa sera, mi hanno trasferito al carcere di Nicosia, che mi hanno fatto fare 12 chilomitre sopra uno carretto. Cosí, hanno revato subito, in 24 ore, li mieie informazione di Chiaramonte e mi ho trovato subito fuore, che all’endomane lasciaie il carcero. E quardava, caminanto caminanto, il carcere di Necosia e mi veneva di piancere, ma non pianceva per non fare piancere ammio fratello,ediceva:«Menomale che mio padre e i fratelle di mio padre in calera non ci avevino stato nesuno e mi hanno fatto uscire subito, ma se la famiglia avessemo auto licartemachiate,questavolta io,comediciavinolidetenute che erino lí dentre, poteva stare magare ummese nel carcero, e tutte li solde che avevafattocontantasuduraa metre, securo che si l’ave ammanciare qualche avocato». E cosí, abiammo detto: «Ora fosse miglio che ci n’antiassemo a Catania e ni lovassimo di queste brutte paese». Cosí, sapemmo che per antare a Catania dovemmo antare prima a Passarieddo, che c’erino 12 chilomitre a piede, poi dovemmo antare a Calascibette,chec’erinoaltre 20 chilomitre per Enna, e quente 32 chilomitre erino assaie. Cosí, penzammo che, prentento deritto di Nicosia, campagniecampagni,sempre di notte, passanto per l’Artesina 45 – che erino monte molto precolose, che carabiniere non ci ne passavino maie – saremmo arrivatiprima. Perché questa contrada che si chiamava Altesina era sempre stato lo refuciodellamalavita.Lí,ci abitavino sempre latetante, perché c’erino tante refucie. Che ancora la liggie del profetto More non l’aveva potuto destrucere la malavita elalatetanzadiquelleluoche. Cosí, io, Paolo e Turi Cucuzzuni, per non fare 32 chilomitre, come ha tramontatoilsole,partiemmo con molto coraggio, campagnie campagnie, che poi dovemmo arrevare a Liomporte46,checosítuttala strada era 20 chilomitre, ma precolosa.Io,dapartemia,li solde che aveva mi l’ho messo lecate nelle carzette, e lire 10 nelle tasche, che cosí, se ci incontravino, ci avesse dato quelle lire 10. Paolo ci ho fatto mettere lire 20 macare nelle tasche, Turi Cucuzzuni ci ne ammesso altre 20 pure. E partiemmo, conlachitarraeilmandolino e li falcie e la ciacca sopra li spalle. E camminammo per tutta lanotata,maebimolafortuna di non incontrare annesuno. Abiammo visto solo a 4 armate con fucile. Ci hanno domandato dove antammo e didoveveniammo,ecihanno recordato di dire che, a chi è che ni avesse domandato che avessemo visto a qualcuno, sempre farece capire che noi veniammo di lavorare di metreenonsapiemmoniente, voldire che ni sentevino dire 47:«Fativeifattevostre, sevoletecampare». Cosí, ci abiammo preso tantapaurae,comefuciorno, ci abiammo trovato alLiomporte,chemanciammo epresemoiltrenocheantava a Catania. E ni abiammo levato di tante paese precolose. E cosí, abiammo fatto 3 ciorne di deverterene a Catania. Abiammo salutato a tante amice e davero abiammo preso al solito il treno per Caltacirone. E a Vezzine-campagna scentiammo. E quanto abiammo visto che cià c’era magareiltrenocheviaggiava Vezzine-Bochiere-CiarratanaMonterosso-ChiaramonteRaqusa 48, che aveva poche ciorne che fonzionava, io, Paolo e Vito erimo tutte priate che c’era il treno magare a Chiaramonte. Perché questo treno cominciavo a fonzionare nel 1924equestotrenofuchiuso nel 1949. Pacienza che camminavaquantounabuona carrozza con uno buono cavallo, ma era una buona commitetà per quelle che antammo a Catania allavorare.Ecosí,fenarmente io ho fenito di fare sempre questa lunca strada a piede: Vizzine - Licordia - Filo Zinchero - Tichiara Chiaramonte49. E cosí, alla sera, arrevammoaChiaramonte.E quanto ni ha vesto venire, la nostra mamma ni ha detto: – Figlie mieie, sono contente che siate venuto in sarvamento 50 e con una buonasalute,maoracontutte queste chitare e queste mandolinechediavolovolete fare? Cosí, figlie mieie, perché non penzate a comprareme una casa? E poi che avemmo una figlia di maretare, che vi facete critecaredellacente… E cosí un ciorno si ha presentato un certo Angelo Castagna, che aveva fatto 3 annedicarabiniereesiaveva congedato, che poi si voleva maretare. Io, con questo, erimo compare d’infanzia e tutte li sere veneva a ballare nella mia casa come ci ne venevino tante e portavino d’ognuno li suoie sorelle, comepurecevenevauncerto ciovene di 20 anne che si chiamava Paolo Malasorte. Cosí,questocompareAngelo Castagna voleva per forza farese fidanzato con mia sorella e questo Paolo Malasorte voleva pure magare ammia sorella, però sempreconlostessosestema siciliano… Che compare Ancelo Castagna era un bel ciovene prodente che voleva ammia sorella sempre con le buone parole, mentre quello Paolo Malasorte si la voleva sposareconlamalantrinaria. Cosí,questoPaolo,quando sebbe questo, tutte li sere prenteva a quello Angelo Castagnadicendocecheselo vedeva abballare con mia sorella lo chiamava, si lo portavaallalarica 51,epoici deceva: – Se tu aballe colla sorella delle piciotte, ti do unacoltellatanellafaccia. Cosí, questo poveretto di compare Ancelo lu ha fatto prentere di paura, che compare Angelo Castagna, compure che aveva fatto 4 anneilcarabiniere,sihafatto il passaporto e se n’antò in America, senza saperlo io, che lo ho saputo all’ultimo, che questo Paolo Malasorte hafattoquesto. Cosí,nellamiacasanonsi antava di acordio per questo matrimonio: Ciovanni e Vito non voleva che Malasorte si avesse preso a mia sorella, mentre io ci la voleva fare maritare, ma mi sono sbagliato. E questo fu lo piú crante primo sbaglio che ho fattoinvitamia. Cosí, si ha puntato la ciornata per maretarese. Io aveva lire 1.000 alla Posta, altre lire 500 l’avemmo io e Paolo, e un’altre lire 500 io mi l’ho fatto imprestare, perché mia madre sempre mi deceva: «Non abiammo niente!» E io ci faceva coraggio. Cosí, mi ne sono antato ni don Pipino Comitine,chefacevacilate52, e mi ne sono antato dalla Miruzza,chefacevadorcie53. Io aveva una fortuna, che mi avevinotantafiducia. Cosí, tutto questo matrimonio che l’abiammo fatto di lusso, che amice ni abiammo tante. Ebimo pure l’onore di venirece il commentatore Nicastro, che erailsindaco;cihavenutoil barone Recotta, che era il vicie sindaco; e tante amicie, che io, delle spese che ho fatto, per anne non l’aveva ancora finito di pagare, e l’hanno fatto pagare tutte amme, perché la feducia l’avevinosoloamme. Cosí, ci abiammo dato a questoPaolo2.000lire,dove miavevadettochesidoveva comperare uno cavallo e uno carretto nuovo, che il condadino piú non lo voleva fare. Certochel’abiletàniaveva tanta, ma era maledetto di Dio. Dove si metteva e meteva era discraziato: si ha comperato il carretto e il cavallo, e ciusto ciusto, doppo 20 ciorne, stava facento un viaggio per Cerratana 54cheilcavalloha tropicato 55 e l’asta del carretto ci ha antrato nella pancia, e ci ha morto il cavallo. Cosí, il carretto si lo dovette ventere e restavo senza niente, e si ne dovette antareafareilcondadino,che poi non l’ha voluto fare perché si ha fercognato. E mia sorella cominciò a stare senzamanciare... Ederastatoiocheciaveva dettoamiasorellachePaolo Malasorte era bravo... Che ci poteva fare che io aveva sbagliato! Perché l’uomo primadimaretareseenecome aunomilone:nonsipòsapire si ene rosso o fracito di dentra. Ecosí,iopenzavasemine potesse scapare di l’Etalia quanto non zinteva dire piú: «Tu haie consumato 56 a Turidda!» Ma era tempo di dittaturra fascista e non si poteva scapare per antare all’astre 57, poi che io solde noncin’aveva. Un ciorno, mio fratello Ciovanne, finarmente, si ha fattofidanzato.E,finarmente, fu il primo che si n’andò di questa casa. Che si aveva maretatoesiavevaimpiagato come mutelato a Raqusa, in una ditta. Cosí restammo 3, i fratelle. Mentre poi ci fu uno concorso per postino e Ciovannisin’andòallaPosta di Chiaramonte. Ma non ebe fortuna, questo Ciovanne... che prese il posto e la sua moglie partorio e ha fatto un bambino morto, e leie cascavo malata. E poi, alla Posta ci davino lire 250, che non ci bastavino neanche per midecinale. Era meglio che nonsiavessepresoilposto,e meglio che non zi avesse maretato, tanto manciava sempreacasanostra.Ec’era anche mia sorella che manciava connoie. E quinte, sempre erimo in mienzo la miseria, e il povero di Vincenzo sempre bestimiava esemprepagava. Cosí, io mi ne sono antato a Catania, e Vito e Paolo restarino a Chiaramonte. Cosí, a Catania, vado a cercare un certo don Ignazio LoRusso,chequestoerauno coltevatoredicarciofole58. Cosí, mi ha detto: – Caro Vicenzo,quilavoroiocin’ho tanto e haie voglia di lavorare! Cosí, mi sono messo a cogliere pomedore con li donnechec’erinodiLintene. Ioquardavachequestodon Ignazio ci aveva uno tratore chelavoravaliterreemagare trebiava, e magare, quanto c’era bisogno di terare acqua per abeverare li cacorcile, lo faceva questo trattore. E io quardava che c’era uno miserabole lintenesi che lavoravaconquestotrattore,e questostronzosisenteva,con quellotratorechequidava,un crantescinziato. Poi che don Ignazio mi aveva detto che invece di lavorare a coglire pomedoro doveva fare il manovale a questo stronzo lintenese, per portarece l’acqua quanto c’era di bisogno, e quinte questo miserabile mi tratava come uno fachino, perché lui sapeva maniciare il tratore e io niente. Lui mi deceva che aveva fatto una scuola per ampararese, ma io oggiorato che mi lo doveva imparare magare, perché questo stronzo amme mi desprezava troppo. Cosí, io, alla dominica, quanto lui si n’antava alLentine per reposarese, no luisolosen’antavamatutteli donne che racoglievino lo pumedoro,iomirestavanella masseria aposetamente per vederesemipotesseimparare a quidare questo tratore. E cosí, io, restanto solo, non penzava altro di stodiare come poteva fare per fare partire e come poteva farlo fermare, questo trattore, e come potello portare allavorare la terra. E cosí, piano piano, io mi aveva comprato uno manovale 59, che mi l’aveva venduto uno micanico. Cosí, piano piano, in 2 domeniche mi sono poco poco imparato a quidare. Pacienza che una volta mi aveva butato dentra il puzzo con tutto il tratore, perché, invecedifaremarciaintietro, ho fatto marcia avante, che mi stava ammazanto. E menomale che il tratore era piú crosso della larechezza delpozzoenonpotteentrare nel pozzo, ma se poteva entrare nel pozo, quella dominecaiomoreva!Cheioe il tratore ci botammo dentra quelloprofontopozzo,edera una morte sicura, e non avesse sapote niente nesono dicomeavessevenutoquesta descrazia... Cosí,illentinese,unciorno checihafattomalelapancia, si n’antò a corcarese per 2 ore. Io vedo che c’era il tratorefermo.Ciustociustosi ci ha trovato in giro il padtrone, e ci ho detto: – Permette che lavoro io con il tratore?–ElodonIgnaziomi hadetto:–Bravolavoratore! Cosí, io mi ho messo allavorare, che come mi ha vestolui,illentinese,cascavo piú malato. Cosí questo, per larabiaelasopebia,epoiche sebe che io sapeva fare in tutte li cose meglio di luie, quanto venne lo don Ignazio, ci ha detto: – Vosia mi facesse li conte, che me ne devo antare, perché il prezzo chemidàenipoco. Cosí, il padrone, che era sicurodime,nonzil’hafatto dire2volte,checihafattola paga, e io mi l’ho levato davantelicoglione. Ora io era deventato uno segnore.Stavasedutoafareil lavoro di uno macanico, e lo donIgnazioLoRusso,quanto vineva e subito non mi trovava, per fareme priare, ci diceva a quelle che erino lí: «DoveeneilmioVincenzo,il mecanico?» Mailrespettononeramio, perché il respetto era perché io ci lavorava notte e ciorno, perchéillavorochefacevaio ci volevino tre operaie per farlo. La padrona poi mi diceva: – Vincenzo, per ora faie pacienza che lavore notte e ciorno perché non piove, perché vede che brutta condezionechecitrovammo, che,setunonfaielavorareil tratore, li 8 sarme di terra piena di carciofole tutte secono. Io recordo che era il mese di novembre, e tutto il mese di ottobre ancorra aveva piuuvutounasolavolta. Ma,unanotata,sihaaperto il cielo con lampe e trona, pare che avesse scopiato una querra. Cosí, si ha scatenato unotemporale. Quinte, mi pareva che quanto io ci avesse portato questa conzolante notizia mi avessero detto, queste desoneste marito e moglie: «Ora, Vincezo, qui c’ene la stanza. Corchete e duorme e areposete per una ventina di ciorne, che ti pagammo lo stesso», ciusto che mi l’avevino promesso tante volte. E invece li ho trovate che redevino e mi hanno detto: – Ma ora, caro Vincenzino, che cosa ti potiemmofarefare? E io sempre ce deceva: «Questa mala parte non mi l’avete fatto vialtre, ma questamalapartemil’hafatto il Patre Eterno, perché ha piuuto». E io, tra de me, diceva sempre: «Avoglia di fareme bello e di amparareme il tratore, ma sempre mi trovo cercantolavoro...» Ecosí,ioavevaintesodire cheaPaternò,nellaprovincia di Catania, c’era uno lavoro di strada ferrata, che dovevonoportareiltrenoper Recalbuto 60, e questa impresa si chiamava Di Mavoro Benedetto, e poi sapeva che ci lavorava uno chiaramontano amico mio, chesichiamavaVitoTantino. E cosí, io e i miei fratelle decisemo di antarece, per vederesenidavinolavoro. Fortenatamente, trovammo a questo capo cantiere che facevamagarel’asestenteeni ci abiammo presentato, e ni ha detto: – Che mistiere facete? – E noi ci abiammo presentato li lebrette di lavoro. E si ha preso li lebrette di lavoro e ci ha detto: – Vialtre tutte 3 siate fratelle? – E ci abiammo detto: – Sí –. E cosí ni ha detto:–Voialtresiateciovene e, con questa qualifica che avete,inquestaimpresaavete voglia di lavorare! Perché l’impresa richiede propia a voiechesapetefareminatore, piconiere, spacapietra e terrazziere. – Però, racazze, – ni ha detto,–ilprimotronco,cheè questo: Patarnò - Ponte di Aracona-Carchece 61,sesta fenento,eilcantieresesposta questasettemana,edovemmo antareaRecalbutoadaprireil nuovo cantiere. Quinte, dovete avere pacienza, ciovenotte,cheiomiprentoli vostre librette di lavoro, ma però il lavoro, per vialtre, comincia a Recalbuto con almeno 10, 15 ciorne. E dovete venire a Recalbuto, che io, con queste vostre docomente che mi porto, vi metto imprima lista, e cosí sieteliprimeallavorare. Cosí, ci ha fatto mettere una firma per uno, poi ci ha domantato se avemmo la tesserefascista,eciabiammo detto che l’abiammo, e ci ha detto: – Bravo, siate a posto! – E l’abiammo salutato, e arrevederce a Recalbuto fra 10o12ciorne. Cosí, tutte 3 contiente, la strada l’abiammo fatto con una buona allecria, perché avemmo trovato il lavoro in questa crante impresa, che aveva il nome Compagnia Cenerale. Lavoro benedetto, poi che abiammo saputo che con questa crante inmpresa c’erino operaie che lavoravino magare per 30 anne! 1 siavevasciarriato:avevalitigato. 2 sistichiava:siarrapava. 3 plorito:prurito,incalore. 4 carriare:trasportare. 5 buvatte:scatoledilatta. 6 stratto di conserba: estratto di pomodoro. 7 stampagno sempre: passavano il tempoadisegnare. 8 per quanto lavoravino, queste piciotte, e non mascheravino li mura: perfarlilavorare,questiragazzi,invece discarabocchiareimuri. 9 bistireme:vestirmi. 10 zito:fidanzato. 11 arevannoadonne:riguardoalle donne. 12 froncole:foruncoli. 13 Mascerato:mascalzone. 14 scattare:scoppiare. 15 Genova. 16 scalone:gradino. 17 resolente:sorridente. 18 siarrecriava:sidivertiva. 19 raloggino: orologino da donna. Inquestocaso,ricordino. 20 defettuso:menomato. 21 retapunto:lavorodicucito. 22 vacila:bacinella. 23 pannizzo:lembo. 24 asecinata:ossigenata. 25 cratese:gratis. 26 Milizia volontaria di sicurezza nazionale(Mvsn). 27 La piazzetta del Santissimo Salvatore. 28 percorso:rincorso. 29 Un piccolo altare sulla provincialeperComiso. 30 nelunacasciadellacira:inuna cassadiceri. 31 speratiche di mistiere: non praticidelmestiere. 32 carrapipano:furbastro. 33 cammioocamio:camion. 34 palanchine:leve. 35 scepammo:togliemmoaforza. 36 Società Vittorio Emanuele II, associazione chiaramontana di mastri muratori e operai. Pecorai e contadini, invece, non avevano una società di riferimento. 37 biduzzo:abbastanzabene. 38 mascie:mastrimuratori. 39 amitiavino:invitavano. 40 damoso: dammuso, piccolo localeapianoterracoltettoavolta. 41 tastarelafame:provarelafame. 42 Calascibetta. 43 Villadoro, chiamato anche VilladoroPassarello. 44 Il prefetto di Palermo, Cesare Mori. 45 MonteAltesina. 46 Leonforte. 47 ni sentevino dire: intendevano dire. 48 Vizzini-Buccheri-Giarratana- Monterosso Almo - Chiaramonte Gulfi -Ragusa. 49 Vizzini - Licodia Eubea - Filo Zingaro - Dicchiara - Chiaramonte Gulfi. 50 chesiatevenutoinsarvamento: chesietetornatisaniesalvi. 51 allalarica:allalarga,lontanoda orecchieindiscrete. 52 cilate:gelati. 53 dorcie:dolci. 54 Giarratana. 55 hatropicato:èinciampato. 56 consumato:rovinato. 57 all’astre:all’estero. 58 carciofoleocacorcile:carciofi. 59 manovale:manuale. 60 Regalbuto. 61 Paternò - Ponte d’Aragona Carcaci. Capitolodecimo Camicianera A Recalbuto ci afetammo una casa con 2 stanze. E menomale che l’abiammo trovato! Perché in quello miserabile paese tutte sapevino che se stava comincianto questo lavoro e che c’aveva una miserabile casa,chilosapequantosolde volevino... Ma noi fuommo vere fortenate che la trovammo,questapicolacasa con2stanze,eunacucinedda c’era, e poi che era magare vicinoallapiazza. Cosí, alla padrona, ci abiammo dato lire 30 per 2 mesediafitto. Sempre io stava vecino all’oficio della Compagnia Cenerale per vedere se c’era qualche impiagato che mi sapeva dire tutto. E cosí, davero venne uno impiagato. E questo ni ha preso tutte li ceneralità e ni ha detto che, comincianto di domane, potiammoantareallavorare. Il nostro capo scuadra si chiamava Mauciere. E cosí, alla matina, partiemmo verso le ore 6. Cosí, revammo sul lavoro e ci abiammo presentatoaquestoMauciere, che non era recalbutano ma era del paese di Scordia, provinciaCatania.Ecosí,luie avevareceutol’ordineeciha fatto sapere quello che dovemmo fare. Questo ni capevabenedilavoro,perché aScordiafacevailmoratore. E cosí, abiammo fatto la prima ciornata di lavoro e restammo felice e sodisfatte. Tutto avemmo: la casa, il lavoro e la putiara 1 per fare laspesa. In quella picola casa, tutte liseresifacevafestadaballo, senza che noi 3 fratelle spentemmo una lira. Tutto quello che ci voleva lo spentevino li piciotte recalbutane. Poi, quanto si faceva uno sponzalizio, quanto si feceva un bastiterio 2, e quanto c’era una contentezza in quello picolo paese, subito chiamavinoaifratelleRabite. E quinte, paremmo recalbutane. Tutte ni chiamavino di tu e tu. Erimo meglio conosciute di Chiaramonte. La luce l’avemmo a forfè. Avemmofattoilcontrattoper lire 5 ammese, quanto ni conzimammo conzimammo. Però, sempre ci dovemmo mettere una lampadina di 25, ma noie, per essere troppo amice di quello che solbegliavalilampadine,cila metemmo magare di 50 una lampadina. Ma, però, dovemmo stare atento di non ci fare pescare, perché, se ci facemmo piscare, ci la tagliavino e dovemmo stare con il lume, perché non potiemmo avere la luce piú. Ma sempre abusammo dell’amicizia, perché uno di questeimpiagatedellasocietà della luce ci piaceva il devertemento e, magare che lo sapeva, chiudeva uno occhio. Erimo tante felice, erimo tantepreseperbraveeonesta cente... Aveva 2 anne che stapiemmoinquestacasa. Ma questa bella condutta non dorò. Che ni ha detto la testazza di campiare casa perchéerastretta,perchénon potemmo recevire assaie amice,enicercammounapiú cranteel’abiammotrovato.E niabiammorovenato. Cosí, l’abiammo trovato, una casa, all’altra parte del paese, che era con 4 stanziecedde, che prima lí c’eral’alberico.Epoi,líc’era il cortile, e come se antrava nel cortile c’erino tante altre stanzie, che l’avevino afetate a altre 3 patornise ciovene come noie, anze piú ciovene di noie, che lavoravino in questo lavoro. E queste erino di mistiere morature ed erino maretate di poco mese, e li moglie l’avevino lí, magare con loro. E poi, lí dentra a quello coltile, c’erino 2 famiglie che avevino la casa, e di inciuria 3 a queste famiglie li chiamavino «li Banbinedde», ma erino delinquente. E invece li patornise erino piciotte bedde e ci piaceva il devertimento. E come hanno inteso sonare, si hanno avicenato e hanno preso subito amicizia con noie, che impoche ciorne deventammo fratelle e sorelle. Invece, quelle zamarre dai Banbinedde non sapevino direaltrochemaleparolaggie e non ci piaceva il devertemento, sulo che sapevino dire butane a tutte, mentre li butane erino loro e li cornute erino li suoie marite. Cosí,aquesteBanbinedde, quanto noi nella nostra casa presemo una stretta amicizia con queste patornise, non ci ha pututo pace piú 4, che cominciaro a dire che quelle patornise erino: butane li 3 piciotte donne, e li suie marite erino cornute, e li corna ci li faciemmo noie. E cosí,noiavemmodeventatoli piú debosciate del paese e li piú desoneste di tutte i forostiere che lavoravino della linia. Perché Paolo e macare io e Vito, vedendole cosí fitiente, non ci abiammo voluto dare piú compedenza. E ci abiammo messo a casa del diavolo 5 tutte li ciorne, sia noie e sia li patornese, dallamatinaallasera! Un ciorno venne una levatrice ad abitare nel cortile. E quanto lo hanno saputo quelle descraziate Banbinedde, il bordello invece di fenirese si ha duplicato. Stavino uscento pazze! Che queste Banbinedde cominciavio, dallamatinaallasera,decento sempre: «Erino 3 li putane e orasono4». Quinte, tanto hanno studiato che un giorno, quantopassavinolitremarite di quelle patornise nelle scalone per salire sopra li stanze duve abitavino, ci hanno messo tante beglietine come quanto si fanno l’ilezione,chequestebiglitine dicevino: «Vedete che li vostre belle moglie hanno la levatrice per farese abortire, perché li 3 fratelle Rabito li hanno fatto uscire incinte e vialtresiatetutte3cornute». Cosí,lipatornise,dinottee notte,senedivetteroantaree hanno abandonato la casa, perché altremente c’era di fare una querra, in quello cortile. Cosí queste, per non zi volere mettere in una crante tracedia con noie, che 3 erino loro e 3 erimo noie, che poteva fenire magare a bastonate e macare a coltellate, ma secome erino ciovene con molto sentemento,primasenesono antate in una casa di amice a Recalbuto. La signorina levatrice restava molto contenta che si n’avevinoantatoipatornisee non ci importava che ci dicevino «butana», li Banbinedde.Ma,però,ioche penzava quello che poteva socidereconquestasignorina dentra,contrefratelle…Vero era che ci preparava il manciare, ci faceva tutto, ci lavava la biancheria, passava lerobbedifierro,malacente certo che cominciavino a parlare. E li Banbinedde, dellasuabruttabocca,nonsi saquellocheusceva... Certocheio,cheeralopiú crante, la chiamava alle buono e ci deceva: – Signorena, ora leie, se se vuolemantenirepolita,diqui senedeveantare.Iocicerco un’altra casa, li robe ci le portoio,tuttoilcampiamento lofaccioio,leienonlafaccio strapazare per niente, quell’altracasacheiociafitto ci la pago io, e cosí la cente non parleno che leie stape a servire annoie. E cosí, ci fa una comparsa 6 di una vera signorina e di una con il depromadilevatrice.Eio,ni leie, ci venco ogni sera, perché la voglio bene assaie, e magare i mieie fratelle ci vencono.Elabiancheriacila facemolavarelostesso,seni lavolelavare. E inutile! Non si voleva sentirepiúdiantarasenne,che voleva stare per forza connoie,questacretina... E cosí, questa levatrice, quanto io veneva, che per forza doveva passare davante questa maledetta stanza, lei saleva e io per forza ci dovevadareconto,pernonla fareparlare.Poi,iosemprela voleva prentere alli buono, per falla partire, perché per leie era una onore, ma leie questo non lo senteva e sempre si abicenava. Certo chepoiioeraunouomoeper forzacidovevadareconto... Io lo sapeva che questa di me voleva a qualunque costo essere sposata, ma io non la poteva vedere piú, perché mi faceva schifo di quanto intipatia mi faceva, poi che mi aveva improgliato, questa butanazza, che maie in veta sua ci avevino messo una mano, mentre che io sapeva che aveva magare parturito, chel’avevamessoincintauno bricatieredaicarabiniere. E, parlanno parlanno, una sera mi hanno detto: – Stia atento, Rabito, che quella signorinaenecomplimetente. Cosí, una sera li mieie fratelle si ne sono antate a sonare e io non ci ho voluto antare, sempre per vedere se poteva persovadere a questa maleducata di antarasenne di vicinoannoie. E cosí, io ho intrato e la vedo che era corcata che, comevedeme,sihamessoa piancere, dove mi faceva capirecheeraincintaediceva che aveva stato propia io. Cosí, voleva sapere di me come doveva fare per fare morirequellocheavevanella pancia. Cosí io, di una mano 7,menevolevaantare, ma secome teneva paura che avesse fatto uce, perché vicino li Banbinedde lo sentevino, piano piano, ci ho detto:–Signorina,ecome,lo diceamme«chedevofare?», che leie ene tanta sperta del mistiere?Chisaquantoniha fattodiquesteimproglie…E lo vole sapere di me come deve fare, che sono uno uomo? Queste cose li sanno quelleprefisionistecomeleie. Io non posso fare altro che vado a fare una machena 8, tutte le spese li pago io, la porto a Catania, e lí, a Catania, lei, che si ha diplomataaCatania,chilosa quanti ni conosci di queste che fanno aburtire a signorine… Maquestabutanahacapito che io non mi la voleva sposare, e mi ha detto: – Aspetta uno momento che ci penzo io, bastica tu non mi lascie maie, che staio penzanto una bella cosa. Vede, prenteme quella borsetta, certo che siammo sole e quello che faciammo nonzedevesapere. Cosí, io ci ho preso la borsetta, che ci aveva una serinca. – Ti preco di fare come ti dicoio. Io quardava come uno stonato.Cosí,leisihamesso conlafacciainarto,lecampe aperte quanto piú assaie larechechelipotevamettere. Cosí,ionondovevafarealtro che prentere quella serinca, che leie ci aveva messo un liquitocheiononsapevache cosaera,ecosíio,conlimiei mane, doveva mettere il becucio di questa pomba dentralasuabutananatura,e cosí doveva premire questa picola pomba, e cosí mi faceva capire, questa butanazza, che si abortia e si lovava questo penziero di essereincintadime. Io, a prima parola, ci ho dettodisí,chelofaceva;poi penzava che, una volta, un certo Caetano Nicosia di Chiaramonte, per fare questo lavoro con una donna amica sua, propia lo stessa sestema chefacevaio,ladonnaamica di Caetano Nicosia stapeva morento e lo hanno condannato 5 anne. E cosí, penzavacheiodovevaantare a fenire in calera, poi che, come io ci stapeva mettento quello becucio dentra quella schefosa natura, tanta bella questa butana (che non era forse che si ha fatto male, opure lo faceva a posta per farese male) per fareme impresionareamme,vedoche comincia a piancere. E mi hanno preso li nerve. E dissi tra me: «Lascio strafottere quello lavoro». Mi sono misso a bestimiare. Lei, che era troppo releciosa, che non volevacheiobestimiava,siè arrabbiata. Allora, mi ne vado là sopra, nella mia casa, e non nevollisaperepiúniente. Io aveva fatto una domanda di candoniere all’amministrazione provenciale di Raqusa, e mi l’aveva fatto fare il barone Recotta, che luie era conzigliere provinciale e mi aveva assecurato che, ammano suoi, tutto riosciva. E con questo barone sempre io era a contatto, perché mi scriveva. Cosí, parto e vado a Chiaramonte. E, come revaie a Chiaramonte, vado alla ministrazione provenciale a Raqusa e mi hanno detto che per docomente ci voleva di mandare il certificato di 5 elimentare, che io non ci aveva neanche quello di la primaelementare. Cosí, vado a cercare al professore Sceverio Nicastro, e mi ha detto: – Citadino Vincenzo, ora vediammo che cosa potiammo fare, ma tu che fa, non ni saie di niente lecire e scrive? – E io ci ho detto che sapeva qualche cosa,tuttascuolafattadame. E lui mi ha detto: – Quale libirohaieletto?–Eiociho detto:–Illibrodell’Operadei pupe della storia dei palatine di Francia, e il libro del QuerinoilMeschino9. Cosí, mi ha detto che questo mi bastava quanto era ora di fare l’esame: – Che ci vogliono 10 ciorne, che ci sono altre 4 ciovenotte che hanno fatto domanda per i carabiniere. Cosí, la faie anche tu, non ti pricupare, citadino Vincenzo (poi che sapeva che io era un fascista della prima ora), che fra 10 ciornetucihaieilcertifecato della 5 elimentare sicuro, basticastudie. Cosí, luie mi ha dato uno libiro di mitemedica 10, e io, per 10 ciorne, facento nomera, che stavo tutte li 10 ciorne dentra a fare moltiplicazione, divisione e adezione... Cosí,alle10ciorne,fuura di fare l’esame, e fui stato promosso. E cosí, Vincenzo Rabito a 30 anne, senza antare alla scuola, ebi la fortuna di avere le 5 elimentare, che mi ha parso unsogno. E cosí, con tutte li docomente, li ho presentato all’amminestrazione provinciale.Ma,conlileccie di Mossoline, uno che era senza maretato era lo stesso di essere procirecato 11: non aveva nesuno deretto a uno posto. Io non mi aveva voluto maretare perché non aveva auto maie solde e per non ci tare li mieie figlie alla miseria, come ci l’aveva butato il bon’arma di mio padre, 7 figlie alla miseria, prima di morire. Ma Mossuline, della miseria, ci codeva, perché piú figlie nascevino,luiedicevachepiú fortedeventaval’Italia. Cosí, ci n’antiammo con il barone Recotta dal generale D’Ancilo, per fareme magare arracomantare, e 4 coniglie mi ci ha fatto portare. E con tante racomandazione che ebbe, non ebbe fortuna, perché li puoste erino per quellecheavevino4figlie.E io, con una racomandazione di uno cenerale e di uno barone e 4 coniglie, e tante viaggiedistradaapiedeciho fatto da Chiaramonte a Raqusa,nonfecieniente. Il monto era contrario amme. Con tante prevelegge che io aveva... che magare nella domanda c’era il doproma di compatente e decorato, e non valevo uncazzo! Cosí, un’altra volta mi sono trovato a Recalbuto al lavoro nella linia, e aveva ciurato che non ci doveva retornarepiúpernonvederea quelladescraziatalevatrice.E aveva voglia di dareme la testa mura mura per allontanareme perché mi faceva intipatia, ma sempre l’avevadavantealicoglione! A Recalbuto, propia di frontedellanostracasa,aveva venuto un crante personaccio senticalistascuatristafascista; chemaritoemoglieerinodel paese di Mussoline e poi marito e moglie erino orfene di querra. Ed erino un Patre Eterno per la provincia di EnnaeabitavinoarRecalbuto, perché quanto ci n’erino operaie a Recalbuto, perché c’eraillavorodellalinia,non ci n’erino neanche in tutta la provincia; e il duce l’aveva mantato a Recalbuto per fare propaganta lui e sua moglie, perché stava per scopiare la querrainAbisinia. Cosí, queste romagniole sono acente allecrie, ci piace il vino, ci piaceno li devertemente,esecomenella nostra casa tutte li sere c’erino tante piciotte che sonavino,conquestemaritoe moglie, ci ho cominciato a prentere amicizia, io che era fascista della prima ora. Quinte, ci chiamammo «camerate». Poi che lui sempre portava la camicia nera, io alla domineca mi la meteva sempre, perché, in quei tempe, se uno voleva essere respetato, bastica alla domineca usceva con la camicianera. E cosí, io ho profetato dell’amicizia e ci ho detto: – Cavaliere Isola, – che il suo nome era quello, – ci voglio racontare una inciustizia. Ho fatto una domanta di candoniere provenciale e mi ha stato respinta, mentre che li mieie docomente avevino piúvaloredellealtreeinvece iononfuamesso. Cosí, questo cavaliere Isola, che era molto intellecente e capeva tanto, mi ha prese li docomente, li haletteemihadetto:–Ora, caro Rabito, ti faccio vedere quello che sape fare il cavaliere Isola. Scrivo una lettra alli mane propia del nostro duce e ci dammo una bella lezione al profetto di Raqusa. Malamogliehadetto:–Ci lo voglio fare io questo piacere a don Vincenzo. Invecedimandallaalduce,la mantiammoasuafigliaEdda, che noie siammo amice di infanzia, che mi responte piú subitodisuopadre… Cosí, una sera, io mi trovava nella sezione del fascio, che liceva il ciornale cosí bello serio, senza penzareaquestalettera,emi sento chiamare di uno apontato dai carabiniere. E secome erimo 3 lí dentra quella socità del fascio, e mi hadetto:–Cheenedivialtre 3 che si chiama Rabito Vincenzo? – E responto subito: – Io –. E mi ha chiamato di parte. E quinte, mi ha detto: – Lei che fa, lavora o non lavora qui? – Sempre con una autoretà spaventusa.Comefannotutte livedane 12 che senne vanno neicarabiniere.Io,perdirela veretà, ci ho detto: – Io, apuntato,lavorotutteiciorne, e magare faccio stravordinarioalladominica. Cosí, l’apuntato mi ha detto: – Va bene, mi mette per faore 2 firme che leie lavora? – E si n’antò. E con quello apontato non ci abiammovistopiú. Io ci aveva deto di sí, sempre per questa paura che io aveva per quella brutta donna della levatrice che ni avesse potuto denonziare come io fosse ummagnaccio che manciasse senza lavorare e campasse alle spalle de le donne. Poi,hannopassato3ciorne e penzaie di quella lettra, poi chelasignoraIsolamifaceva segnale del barcone, che voleva sapere se mi aveva revatoqualcheletra,perchéla sua amica ci aveva resposto chel’avevaacontentata. Cosí,io,percoresetà,vado alla caserma a cercare all’apuntato per direce che cosa era quella chiamata. E c’era il bricatiere che mi conosceva, e mi ha detto: – Nente, Rabito, era una chiamata del minestero. Volevinosapereseleielavora oenedesocopato–.Epoi,mi ha detto: – Che ha fatto qualche domanda per lavoro, leie? – E io sobito mi sono recordato che aveva fatto il recorso all’amministrazione per il fatto di cantoniere. Cosí,mihadettoilbricatiere: – Noi ci abiammo mantato a direcomehafermatoleie,che lavora tutte li ciorne, e magarealladomenica–.Etra medisse:«Misonorovinato! ’Stacopiladimincia!» E quello ciorno, il dispiacere che io ho provato hocascatomalato.Ecosí,mi voleva avelinare, dello sbaglio che io ho fatto a direce all’apuntato che io lavorava magare alla domenica. Mi miretava una bastonatanellatesta!Etrame diceva:«Avogliadivolereme fare bello, ma quanto l’uomo nonavefortuna,comenonci n’ho io, curchite e duorme13!» Ma il cavaliere Isola si aveva informato come avevino stato li fatte e mi ha detto: – Caro Rabito, ora l’Italia prente l’Impero, e tutte l’italiane avoglia di lavorare14! E io, tra di me, diceva: «Cosísolominepossoantare diquestamaledettaterra…» Perché tutte li ciornale portavino che chi voleva partire volentario, parteva camicia nera. Ma io penzava che soldato nella querra del 15,18niavevafatto5annee, separteva,nondovevapartire perfareilsoldato,chemoglie e figlie non ni aveva, perché c’erinotanteasegne,equente solo a quelle sposati conveneva. Io, se faceva domanda, la faceva solo per antare allavorare. Perché di camicianerasiquadagnavino lire 5 al ciorno, mentre per lavorare si ne quadagnavino 40. Io penzava che aveva 35 anneenonavevaneancheun soldo messo da parte, penzavacheaveva4anneche era a Recalbuto che lavorava nella linia e non aveva fatto un cazzo, e quinte penzava che la bellissema vita di ciovenotto sta per fenirese e non aveva conciuso niente, e aspetava questa partenza per potereme salvare o pure potere farla fenire ancora piú peggiodellavitacheioaveva passato. Cosí,unamattina, vado in piazzaperentrarealcomando del fascio, quanto vedo che entra a quello comando quello commendatore bastardo di Castrenze Nascarossa di Chiaramonte. Iosapevacheeraunaspiadel Crante Conziglio del nostro amatissimo Doce. E cosí, io sapeva che se ci domantava unfavorelofacevalostesso, e anzi miglio del cavaliere Isola, perché Mussoline era attorniato di tutte queste mascanzona. E cosí, mi ce sono presentato, e mi ha detto:–OVincenzo,chitice porta qui? – E io ci ho detto chelavoroinquestalinia,ma ora si sta fenento questo lavoro–.Cosí,mihadetto:– Che haie bisogno cosa, Vincenzo? Sono a tua completadisposezione. Tutte la cente mi quardavino che io aveva compedenza con questo crante personaggio e si merevigliavinotanto.Cosí,ci hodetto:–Commentatore,io volesse antare all’Africa come lavoratore, che qui ave 4 anne che lavoro e sono sempre senza solde –. E luie mi ha detto: – Ora, caro Vincenzo,tinevienecomme in machena, che ti porto a Ennaetifacciopartirefra4, 5ciorne. Cosí, subito subito, antammo a Enna, mi ha fatto parlare con quello che ci aveva queste desposezione che faceva partere per l’Africa. – E cosí, ti assecure che parte. Io certo lo sapeva che questo era importante con il fascismo, ma non sapeva che macareilprofettosihamesso sol’atente di fronte a questo CastrenzeNascarossa. Cosí, mi ha portato in questo oficio, mi ha fatto mettere 2 o 3 che forino firme, e mi ha portato alla stessa sera a Recalbuto. Ci abiammosalutato,conquesto crante mulo: lui partio per Catania e io mi ne sono antato a cercare al mio fratello Paolo a portarece questa bella sopresa, che io miavevafattoracomantaredi questoNascarossaperfareme partireperl’Africa. Io, alla matina, quanto antava allavoro, tutte avemmolobommolillo15con l’acqua, ognuno di noie. Recordo che faceva cardo, tutte si n’antavino sotta li albere, tutte mitevino l’acqua al fresco, ma io niente, per allenareme. E io, Vincenzo Rabito, cominciava a fare sacrifizie, perché da uno momente e l’altro mi veneva la chiamata per antare all’Africa allavorare e fare solde. E tutte si metevino il capellopernonziabruciarela testa e Vincenzo Rabito niente, e camminava scucuzone 16 sempre, per allenarese per quanto lavoravaall’Africa. E in 8 ciorne davero ho partito, che lasciaie a mio fratellopiancento. Cosí, revaie a Enna, come per partire per lavoratore, e invecec’eraunbattaglionedi camice nere che dovevino partere per l’Africa, tutte volentarie. E io, come mi ho intesochiamare:–Lacamicia nera Rabito Vincenzo, qui eneiltuozaino,iltuofucile, –mihaparsochemiavessero dato una pugnalata nella schiena. Io non potte parlare, perché mi avevino fatto mettere 3 firme con li mieie propiamane. Cosí, in quello momento, se io avesse visto a quello mulo di Castrenze, ci avesse sputato in facia, magare davante al prefetto, perché io aveva magare il testimone cheioavevafattoladomanta perlavorare. Poi che era tempo di dettatura e doveva obidire e combattere, e poi che tutte li comantante ci facevino coraggio che ci dicevino: «Per ora partiemmo, e poi quanto siammo all’Abissinia cigongedammo»,cosí,io,per forza, mi dovette fare convinto, perché altremente venevadenonziatocomeante fascista. Aveva tanta rabia che mi sono muzicato le mane che erino li mano che ci avevino messo la firma, e quinte mi aveva pognalato con li mieie mane. Cosí,mihannodestenatoa uno battaglione che il comantante era un maggiore di Palermo. Che questo maggiore, quanto l’abiammo visto per la prima volta con quella lonca barba e quelle occgie crante, per me mi apparso non uno maggiore padre di famiglia, ma per contomiomiapparsounodei piú potente brecante della delenquenza della nostra delequenteSicilia. E queste battaglione è che erimo scerte, e dovemmo antare a conquistare Adissa Bebba. E provesoriamente dovemmo antare a raggioncerePalermo. Cosí, ci hanno portato alla stanzione di Enna con una bellissima manefestazione e con una crante folla di acompagnamento di tutte li cagliadette di tutte le ciovine fascistemaschileefiminiledi tutta la provincia, e tutte li auturetà della provincia, e tutte li professore e maistre; poi ci ha venuto il profetto e la moglie, il costure e la moglie del custure. Cosí, d’ognunocihannofattoilsuo dono.Tuttecihannorecalato pachette di dolce, pachette di sicarette, borse di polizia, magare solde ci hanno recalato,emagare,perfarene partire allecre, ci hanno baciato, tutte quelle ragazze, perl’amorediPatria. Ecosí,inciornatafuommo a Palermo, che a Palermo trovammo la stanzione piena di bantiere e cagliadette di tante paese, che spetavino cammicenereditutteipaese dellaSicilia. Io era remasto molto contento di questa bellissema manefestazione, perché in vita mia tante recale non li aveva visto maie, neanche quanto avemmo venciuto la querradel1915,cheavemmo destrotto li 2 crante impere del monto, Austria e Cermania, che ci hanno tratato, alla fine, peccio dai pricioniere austriece. Mentre oggi li tempe sono campiate: era una propaganta troppo patriottica che, di dove si passavaepasava,cibatevino limane. Quinte, noi camice nere partente avemmo tante prevaleggie: camminammo fascisticamente con un bellissemo pognale, con una bellisema tenuta coliniale, il casco con un paio di uchiale, che erimo per quattro volte d’atoritate della polezia. Annoie non ci deceva nessuno niente, faciammo bordellopertutteliparte:nei cine, nei tiatre, nei casine, e per tutte li parte avemmo fatto raggione, perché dovemmo antare all’Africa a combatere e prentere la capitale abesinia, e perché erimoefaciammopartedella devesione Starace, che, questa divesione, ci facevino capirecheeralapiúvalorosa devesione di tutta la Milizia di sicurezza nazionale del nostro amatissemo Mussolino. Poi che erimo armate come tempo delli Ardite della prima querra, quaiechecidicevacosa!Noi, magare che erimo dalla parte del torto, con quella devisa, sempre avemmo raggione; avemmo il pognale e la pistola. Infatte, una sera volevamo andare in uno cinimo che c’eraunapellicolabellissima, e, in quello cinima, per i borchese che pagavino non c’era neanche un posto all’impiede, perché era pieno quel cinima tutto di camice nere, che il padrone del cinima per quella sera non potevaincassareneancheuna lira. Cosí,arrevannoaunodato momento,dinoimilitenonci ne voleva fare entrare piú, perché voleva fare entrare a qualche borchese per fare solde.Equellaseracihastato una crante manefestazione di protesta, tutte contra quello padrone, che stava fenento magare a bastonate e a pugnalate.Chepoimenomale che si ha trovato a passare una signora che forse era qualche prencipessa fascista, mogliediqualchedubitato 17 fascista scuatrista, recona, ha vistotantobordello,hacapito che erino camice nere fuore, che il padrone voleva fare trasere alle borchese, tanto per prentere li solde per potere pagare la luce quella sera. Cosí, questa grande signora si ha fatto lareco, ha chiamato al padrone del cinema,apreilborselinoeha pagato tutto, non per quella serasolo,mamagarepertutte le ciornate che noi partente dovemmo stare a Palermo, voldire per ciorne 10. E poi, comehapagato,alpadroneci ha detto: – Vercogna, siete contrarieallanostraPatria! Poi, tutto il battaglione ci hanno messo sopra a una naveelasciammoPalermo,e il battaglione partio per Napole. Come revammo anNapole, cihannofattopiúfestaancora della Sicilia. C’era un altro battaglione napoletano che dovevavenirepureall’Africa orientale. Cosí, ci hanno destribuitounaltrotessereno, che c’era scritto: «devisione Starace». E questo tesserino eralostessocomequelloche ci hanno dato a Palermo: cinemafranche,teatrefranche e l’autobosse e tirampe tutte franche,epotemmoviaggiare senza solde, e magare che prentemmoiltranfepotemmo antare per 15 e 20 chilomitre dilontananzasenzapagare. Cosí, io mi ne sono antato a cercare al mio amico Ciorcie Nobile, che era all’infermaria, e ciusto che avemmoiltesserinochedove volemmo antare antiammo senza pagare, e dissemo: «Ora ci faciammo una cerata perleperefarieiediNapole». Ci abiammo allontanato unaventinadichilomitre,eil trampe si ha fermato propia allapiazzadovec’eralaCasa del fascio. E cosí, avecenammo alla Casa del fascio, ma erimo molto impresionante con quella divisa di coloniale che avemmo,cheancorainquello picolopaesieddovestitecome noie non ni avevino visto. Cosí, ci cominciaveno ad atorniare speciarmente li ciovene fasciste. E cosí, sfaciatamente, io e Ciorcie ci abiammo improgliato con molta serietà e sfaciatacine che noie erimo venute anNapole con una nave carreca di ferite, che veniemmodell’Abissinia,che avemmo stato a compattere nella presa di Machelle 18. E ilsecretariopolitecodiquello vellaggio, sentento che noi avemmo stato alla presa di Machelle, non si l’ha fatto dire 2 volte e ni ha fatto afaciare del barcone del munecipio, che di sutta c’era la Casa del fascio, che per forza ci dovette fare dire 4 parole a tutte quelle ch’erino li presente: che cosa era lo «bello Impero» che l’Italia fascistastapevaconquistanto, che cosa era la «nostra Padria» e che cosa stava deventantol’ItaliadelDuce. Cosí, quelle acente, tante impresionate, hanno cominciato a comperare sicaretteetantebellerecale! Io ci deceva a Ciorcie: – Fosse meglio che ci n’antassemo –. Quardava lo raloggio e non vedeva l’ora che venisse il trampe, per quanto ni lovassemo di tutte quellapopolazione,cheerimo atorniate di piú di 100 persone, tutte che ni quardavino con uno speriddo diPadria.Cheioerapresodi paura... Che ci miretammo una feschiata e umpaio di tempolune sulla faccia, che l’avemmopresoperfessa... Cosí,lanavepartio. Io sempre mi la faceva sopra coperta per quardare il mare: e come revammo alla derezione di Trapone e io quardava, e come revammo nella derezione di Cela io vedevamagarelimontagnedi Chiaramonte, che c’era la visabilitàdi50,70chilomitre, e diceva: «Addio Chiaramonte, chi lo sa se ci vediammo». Perché la querra iol’avevafattoenellaquerra ci sarà il 60 per cento di potereretornare. Cosí, sempre in ciornata, hovistoSiraqusa,epoinonsi ha veduto niente terra piú, tutto acqua. Ma, quanto passavino 4 ciorne, li marenaie dicevino che dovemmo arrevare al Porto Saite 19, ma chi diceva 8 ciorne, chi diceva 7 ciorne, per arrivare al canale di Suvezzo20. Ma io non so, tutte non sapemmo che fommo tradite, perché a la nave ci hanno fatto campiare rotta, e invece di antare all’Africa orientale, ci hanno portato nel porto di Tobruch, che non aveva niente che fare con l’Abissinia. Cosí, tante sperte, che ci avevino stato a Tobruche, dicevino:«Chebellacosache cihannofatto,chetradimento che ci hanno fatto, che avemmofattoladomantaper l’Africa orientale, e inveci ci hanno portato nella piú abruciata terra che aveva l’Italia...» Perché era uno miserabiledeserto. Poi, piano piano, ha salito ilcomantantedelladevesione Cirene – che noie piú non facemmopartealladevesione Starace, ma faciammo parte alla devesione Cerene – e ci ha detto: – Camicenere! Vialtre, perché siete partite dall’Italia, certo che siete partite per defentere la Padria!ElaPadriasidefente ovunque il soldato si trova! Quinte, il Duce ci ha voluto qui e dovemmo obidire di starequi! E tutte cridammo: – Siate desoneste, che ci avete portato qui! – Magare che diciammo«desoneste»nonci decevino niente, perché li superiore lo sapevino che avemmoraggione.Cosí,tutte abiammo fatto la volentà di Dio, e io, da parte mia, ho detto: «Ormaie fui condannato innucente e devo bestimiaresempre». Cosí, c’erino pronte 50 camie,ecihannocarrecatoe ci hanno portato 50 chilomitre lontano di Tobruche, nel deserto marmarico. Tobruche era pieno di soldate di tutte li corpa, si vedeva che c’era uno prencipio di una querra. Machenipotevacapire21? Cosí, nel deserto marmareco c’era uno campo di aviazione, tutte li terre erinosabia,tuttestavinomale chi è che antava lí, ma pacienza. Ci hanno fatto fare li tente, l’acqua ci la portavonoconlibotte.C’era, nell’acqua, uno pechetto armato di 10 milite, e poi c’era l’olario quanto si doveva destribuire l’acqua, che ci ne tocava 4 litra al ciornoperlavareeperbire,e quello era tutto il bene che noie avemmo. Poi, c’erino tante moschie, che sempre l’avemmo adosso, pare che noie fossemo tutte vontate 22 dizuchero. Cosí, il nostro crante mascanzone maggiore di Palermo ci ha fatto una parlata, dove ci ha detto che fra una ventina di ciorne al massemo, uno mese, ci chiamano e antiammo in Abisinia.Poicihadetto:–Io minevatodiqua,chetuttein una posezione non potemmo stare, ma quanto reconoscite che vi maletrateno, facitamillo sapere, che io a questechenonvirespetonoli mettoaposto! Equestocrasto23sin’antò, si n’antò e ci ha preso per fessa... Il deserto marmarico era unaterrasenzaacquaesenza albere.Epoie,quantoc’erail chilbbe 24era ancora peggio. E questo chlibe era un vento caloroso, che tutta la sabia antavaperarioeper8ciorne nonsipotevacamminareesi dovevastaresottalitenteeli ocheneanchelipotevaaprire, e poi quanto si manciava doveva manciare per forza sabia. E poi li desoneste nostre comantante, tuttu quello che ci davano per manciare, prima si dovevino abuffare loroepoilodavinoannoie. E questa era la vita desonesta del fascisemo: che lavoravamorevadiseteeche non faceva niente beveva acquaassaie,fresca,emacare lipallesilavava. Noi che avemmo inteso dire che ci doveva fare una revista questo cornuto maggiore, aspetammo con uno endusiasticità... Cosí, davero, un ciorno venne il portaordine edisse che verso li ore 4 doveva venire il maggiore. Tutte noie aspetammo che questo malacarne ni avesse datoragione,einvecenonfu cosí, tutto al contrario. Che, questo,liprimeparolecheha dettofurono:–Cammicenere volentarie, che avete fatto domanta per venire a compatere! Non voglio sentiremaiemaierecramarea una camicianera del 3 Battaglione, che sono io il comantante! Non voglio sentire assolitamente una camicianerechedice:«Ilmio rancio è poco»! Non voglio sentire dire: «Il mio caffè è poco e amaro»! La camicianera, si è vero camicianere, deve cantare sempre! Cosí, tutte noie, invece di baterecelimano,cineforeno tante di dietro che ci fischiavino,emagarequalche scorrecciacihannofatto. E cosí, il nostro battaglione,chequantoaveva partito di Palermo era chiamatounodeipiúvaleroso battaglione delle camicinere d’Italia, era deventato uno battaglione di scapistrate e dilenquente d’Italia. E per questo il partito fascista ha cominciato a fare schifo, per certe oficiale che facevino camurra, non per il duce. Perché tante erino oficiale senzafarel’Academiaesenza fare li soldate, educazione non ni potevino avere e non ni potevino imparare, perché erino state fatte oficiale nella solamarciasoRoma. Cosí, venne un ordine di fare un’altra linia di difesa nella stessa zona marmareca, con crante ante carre e piazole di mitragliatrice e di cannone.Cosí,mihannofatto camicia nera scerta per anzianetà, che questo crado nell’esercito voleva dire «caporalemaggiore». E mi hanno dato una scuadra per fare questo lavoro.Maammeillavoromi piaceva.Epoichemiavevino detto che lo pagavino benee poie che il Cenio ci aveva dettochemagarec’eranolire 500, che lo davino al capo scuadtra che lavorava piú asaie di tutte li scuadre, e cosí, io fu il piú contente di tutte li capo scuadre, e diceva: «Menomale che ci pagono, e menomale che c’ene questa leggie». E cosí, potevaprenteresolde. Recordocheoffatto4mese dilavoro,ealtri10meseche io aveva fatto in Libia, e si parlavacheilnostrocompito cià di noie camice nere era fatto, che di lí ci avevino a portareoconcedateinItaliao in Africa orientale come cammicenere. E poi, un ciorno, venne il cenerale che comandava la nostra devesione. E con la venuta di questo cenerale si dovevasapereachidavinoil primio di lire 500 e ci dovevino magare pagare, perchéquestolavoroerastato sotta la derezione del Cenio militare.Ecertocheioaveva tante tistemone che dicevino che io aveva lavorato piú assaieditutteliscuadtre,che c’erino 2 capitane che lo conformavino. E il primo premio lo doveva a prentere io, e il primo ad essere chiamato dovevaessereio. E il cenerale cominciavo a chiamareilprimo,eilprimo, invece di chiamare amme, chiamareno a uno palermetano, e io cominciai arrabiareme, chiamareno il 2, ederaunaltropalermetano.E propia quelle che hanno chiamatoperdareceilpremio erino propia li 2 camice nere che lavoro non avevino voluto maie, sempre avevino marcato visita, sempre nell’acampamento avevino fatto bordello, che non solo che non antavino allavorare loro, ma non facevino lavorare alle altre; poi erino sempre umpriache, e perché erino paesane del maggiore noncirecevino25niente. Ma poi, io venne a sapire che queste apartenevino alla delinquenzadiPalermo,eper questoilmaggiorecihadato il premio, perché il maggiore stesso teneva paura di queste 2palermitane... Cosí, aspetammo il congedo. Poi c’era uno capitano che sempreavevailpiacerecheio mi n’antasse all’Africa orientale con luie, come camicia nera. Ma io scandalizzato della prima partuta di Enna, quanto mi avevino assecurato che io, partento per camicia nera all’Africa,micongedavaemi n’antava allavorare, e mi hanno fotuto 2 volte, e cercavadinonmifarefottere un’altra volta. Ma il capitano sempre mi lo repeteva: «Rabito,ascoltaamme,viene inAfricacomme,chepoiioti faccio congedare». Ma io semprecidicevadino.Epoi sempre mi diceva: «Mi carentiscio 26 io, che ci ho umparentenelCeniocivile,e subito ti faccio antare allavorare». Ed io sempre dicenduce di no. Ma questo figlio di butana capitano, la firma nello recistro dei partente, ci l’ha messo luie, facendo ficurare che ci l’aveva messo io, questa firmma,perchéc’eral’ordine che li oficiale, che ene che voleva antare in Africa dell’oficiale, prima dovevino avere il numero delle camici nere,perpartire. Cosí,iohodettotradime, senza che non lo sapesse nesuno, di carrecareme tutta la mia robba di notte e scappare a piede e antare a Tobruche – che c’era uno amicomiosicilianochecome borcheselavoravaaTobruch, che ci aveva magare la famiglia –, e io pensava di 27 scaparaminne e nascontereme in uno casino dibutane,equantopartevala naveperl’Africaorientale,io usceva... senza penzare però che io, quanto mi n’antava, segnifecava che mi davino desalture,chepotevaantarea fenire in calera. E cosí, davero,fece. Cosí, hanno passato 5 ciorne e io uscie da quella butana che mi ha salbato, e partie. E mi ne sono antato dal siciliano a prentereme li robe e mi ne sono antato al porto per imparcareme per Palermo. Ecosí,aPalermorevammo alla fine di acosto, con il primedisetembredel1936. 1 putiara:bottegaia. 2 bastiterio:battesimo. 3 inciuria:soprannome. 4 non ci ha pututo pace piú: non l’hannomandatagiú. 5 ci abiammo messo a casa del diavolo: abbiamo cominciato a litigare dicontinuo. 6 comparsa:bellafigura. 7 di una mano: tanto per cominciare. 8 vado a fare una machena: vado adaffittareunamacchina. 9 GuerinMeschino. 10 mitemedica:matematica. 11 procirecato:pregiudicato. 12 livedane:glizoticoni. 13 curchite e duorme: coricati e dormi. 14 avogliadilavorare:neavranno dilavoro. 15 bommolillo:borraccia. 16 scucuzone:conlatestascoperta. 17 dubitato:deputato. 18 Macallè. 19 PortoSaid. 20 CanalediSuez. 21 In seguito alle mire espansionistiche di Mussolini nei confrontidell’Etiopia,laGranBretagna aveva inviato nel Mediterraneo la sua Home Fleet, minacciando direttamente il territorio italiano della Libia. Mussolini aveva cosí dovuto rinforzarneladifesa. 22 vontate:pieni. 23 crasto:cornuto. 24 chilbbe:ghibli. 25 recevino:dicevano. 26 carentiscio:garantisco. 27 scaparaminne:scapparmene. Capitoloundicesimo Licantieredell’Ogadenne Io, che aveva quella testa di antare affare solde all’Africa, non lo perdeva maiequellopenzierod’antare all’Africa.Macarecheantava a morire di fame, era tanto impresionatto di questa Abissinia che per forza volevapartire.Cosí,offattola domanda e mi ha venuto subitoaccetata. E tutte mi decevino che io antava cercanto la morte con la lainterna. E poi, tutte mi decevino che aveva stato a Tobruch e aveva dimacrito 6 chile: «E ora che ti staie remetento, ti vuoie rovenare un’altravolta?»Maiosempre ci deceva che: «Voaltre coraggio non ni avete di antare, se bisogno c’è, magare a casa del diavolo, bastica si fanno solde». Poi, mi dicevino che ancora all’Abisiniac’eralaquerra,e io questo non lo voleva sentire. Mentre,inqueieciorneche io aspetava la domanta, mi recordochedormiemmotutte inquellodammoso,perchélo Malasorte non era stato capacediaffettareseunacasa e abitava con noie. E nascio Vannino. E cosí, mia sorella, inveci di averine 2 figlie, ni ave3figlie,eavevinovoglia dimoriretuttedifame! Quanto ho partito, mia madremihachiamato«figlio perso», perché si credevino cheiodil’Africanonturnava piú, perché se senteva dire che all’Africa si moreva. Ma io non mi ne corava, perché diceva che la terra di l’Abissinia non poteva essere piú miserabile di quella di Tobruch, e pure io ci sono stato piú di uno anno e retornaie vivo. Cosí, ho baciatoatutteepartie. AnNapole c’era li nave pronte, e abbiammo imparcato. E recordo che era il primo febraio, che il Carnevalequelloannoveneva il ciorno 8. E abiammo imparcato in una nave crante che portava piú di 6.000 passaggiere, tra operaie che antavino all’Africa per lavorare e tante donne che antavino all’Africa che avevino stato chiamate delle loro marite, e tante soldate e tanto matriale di querra e tantemule,cavalleescechie, etantemezeetantomanciare cheservevaall’Africa. Quinte, questa crante nave mifacevailcontocheportava lapopolazionediumpaesedi Chiaramonte. E io diceva tra me che questa volta era vero chestavaantantoall’Africa. E cosí, doppo 25 ciorne di navicazione, eremo revate a vedereliterrediMocadiscio. Ed era il ciorno 25 febraio. Amme mi pareva un sogno. Cosí,tuttecredavinocantanto «Facettanera,bellaabissina». La nave si ha fermato quase 15 chilomitre o a 10 chilomitre di Mogadiscio di lontananza, perché la nave non poteva avicenarese, perchéportononcin’eraeli crosse nave sempre dovevino restarelontanodelporto10o 15chilomitre. E cosí, tutta quella roba che portava questa nave di l’Italia, ci voleva 15 ciorne per scarrecalla con tante operaieesoldatenere,aforza di crosse barche. Ma noie, però, in una ciornata, li nere cihannoportatotutteaterra. Ecosí,ioeralaprimavolta che ho visto Mogadiscio. Ma Mogadiscio non era tanto crante come io aveva capito, ma era picolo. Ma era piú crante dove c’era la popolazione somila di dove stavalapopolazioneitaliana. Cosí,cihannofattostare2 ciorne, per farece reposare, e poi dovemmo partire per la nostra distenazione. Cosí, doppo li 2 ciorne, ci hanno fatto salire sopra li camie e partiemmo, che dove antammononlosapemmo. Passato il villaggio Duca degliAbruzzi1,stradanonci n’era, perché c’era una pista. E davero non si poteva stare sopra il camio, perché si doveva camminare con li stradecheavevinofattoconni carrearmate,perchéciaveva stato la querra, e ancora li strade non l’avevino fatto bene. Cosí, ci abiammo fermato alvillaggiodiBellotuvenne2. Cosí, scentiemmo e presemo acqua. Tutte li borraggie che c’erino li abiammo fatto piene. Ma, in questo villaggio, tutta popolazione somila, stavino facento una festatuttelinere,enoi,checi hanno detto di reposare, abiammo assestito a questa festa tutta a fantasia: che c’erino nere che aballavino ammuoro sua 3, con questa fantesia ce n’erino tante che morevino con la scuma alla bocca.Tuttenoiequardammo questa bella fantesia, che per loro significava ballo, con una musica servaggia fatta ammuoro sua. Io aveva visto atanteservaggiequantoeraa Tobruche, ma queste mi parevinopiúservaggie. Doppo 5 ciorne di strapazzo, che erimo tutte rotte, finarmente revammo in uno vellaggio che si chiamava Cabredarre 4, villaggio tutte di nere, senza esserce nesuno bianco, solo che c’erino soldate nere che facevino servizio come li carrabiniere,chequesteerino fedele all’italiane, che si chiamavino colu bascie 5. E queste erino li vechie soldate che aveva fatto il cenerale Craziane 6, che per 20, 30 anne Craziane li teneva, li pagava, e loro facevino servizio, con li moglie e con li loro famiglie sempre apresso, che erino piú fedele dellesoldateitaliane. Ci hanno fatto fare li tente lontano 300 metre della popolazione somila, ci avevinodatounotilodatenta per uno. Li c’era un capitano del Cenio, e ci ha detto: – Ora, racazzie, que c’ene uno cascione di atrezze di lavoro, quicesonotuttelialbereche volete e potete tailiare e serrareefaremagaretavole. Quinte, potemmo tagliare tuttoperpoterenefaremagare barrache, perché padrona questealberenonniavevino. Il capitano del Cenio ci aveva detto che per 3 ciorne non si lavorava, poi ci ha detto che quelle strate erino fatte dai carrearmate durante l’avanzata:–Enonsonofatte bene. Ma ora vialtre li facete bene, magare con il tempo verrannotuttecelintrate7. Cosí, io, doppo che ci avevino fatto reposare, ho fattounapicolabarrachettadi 3 metre quatrate con tutte i commite 8: la portina ci ho fatto, con tavole e ligna a misura.Poiminesonoantato nelvillaggio,cheunnechiro, di queste che facevino servizio, mi aveva detto che luiciaveva4fustedibenzina vuotechemiledava.Cosí,io mil’hopreso,lihotagliato,li hostirado,epoicil’homesso per tetto, che quanto pioveva non ci pioveva piú lí dentra. Cihofattomagareiltavolino con 4 sedile per ciocare alle carte. E tutto questo lavoro era con ramoscelle belle tessute,cheparevaunacasina bellissima,cheilcapitanodel Cenio mi ha detto: – Bravo Rabito, se vede che tu sei stato sempre allavorare nelle ditte e nelle colonie, e capiscie assaie di fare barrache. Nei prime tempe del cantiere c’era magare acqua poco, che con 2 litra duvemmo fare tutto. Però, quanto avemmo bisogno di carne, bastica se prenteva il fucile,magarechenonsapeva sparare,sempre2tichiteche9 li ammazava. Che queste tichitecheerinocomelilepere e come li coniglie. Ma sempre carne non si poteva manciare, poi che c’era una malariafortissimaemuschitte ci n’erino tante. E quante zanzarechec’erino! Infatte, d’ogni ciorno antavino operaie amMogadiscioall’ospedale,e di quelle che partevino non retornavino piú. Ma io ci aveva stato immienzo alla malaria e quanto piú poco potevadormire,dormeva.Ma tante, come venevino del lavoro, non avevino che fare e dormevino, ed era per questochecascavonomalate. Ma io sempre il lavoro lo trovava per non dormire, poi cheioavevailtavolinoconi sedile, avemmo un mazzo di carte,eciocammo. Io certo che daie paesane sempre ci stava lontano, perché li piú nemice erino i paesane.Solocommerestavo Pitruzzo Scorcia, che poi lasciaie fottere. Perché un ciorno c’era uno di queste nere maretate che faceva servizio come carrabiniere a conto di l’Italia e portava la moglie apresso. E certo che quanto faceva servizio, la moglie la lasciava sotta alle albere con i picole riavolette, certo che queste povere donne nere erino una parte coperta e 5 parte nuda. Cosí, questo animale di Petruzzo Scorcia,vedentoaquellacon il culo di fuore, questa bestia si arrescardato e si ce stava metento di sopera, e quella, chenonsihavolutofarefare, cihadatounomuzecuneesi ha messo a cridare. E cosí, il suo marito che la senteva piancere, e senteva piancere aisuoi2picolenere,ècorso lí, e il nero, se non era per me, che io ci ho fatto capire che Pitruzzo Scorcia era pazzochelodovevinoportare almanicomio,quellol’avesse ammazato! Ed era per questo che io non volle piú paesane vicino amme, perché facevino azione di stronza ed erino propia quelle che non si facevinolicazzisuoie. Io mi aveva fatto pratico, perché il sole piú non lo senteva, anze neie prime mese mi compiavino li campe, con il cardo, ma ora camminava senza casco e macarescucuzune. Il capo cantiere mi voleva bene. Ma quanto la solte non vuole, non zi ci pole fare niente... Perché aveva una mala praneta supra di me, che, doppo che aveva fatto tanto per mettereme a posto, aveva lavorato tanto per faremeunabarrachettaalmio piacere, mi hanno fatta campiarecantiereemihanno dettocheillavorosihafinito lontanodiDecaburro 10,però sempre con il Cenio. Ma chi tardo arriva, malo si alloggia... Ma come sono revato in questo nuovo cantiere, cià dalla prima ciornata, il capo cantierelohavistosubitoche io sapeva lavorare, e mi ha fatto lasciare la carriola, emmi faceva fare spianamento, che io era pratico, perché aveva stato allavorare 5 anne nella linia diRecalbuto. Iosempreerasecretosopra di me. Io ci diceva che era maretato e li solde, d’ogni mese, ci diceva che li mantavaallamoglieeifiglie, mentre che non era vero niente, che ci mantava lire 200 al mese a mia madre, e poi il resto mi li nasconteva della tasca fatta mia nelle motante intietro al culo, perchétenevapaurachemile fricavino. Ma sicome l’italiane debono fare schifo dove vannoevanno,lisoldenonli potemmospentere,perchénel cantiere non c’era imprencipiounospaccio,una revintetadicenereelimentare, equintelisoldechecidavino quanto ci fecevino la paga passava uno raggioniere, che non era con noie nel cantiere ma era del cantiere centrale, e, d’ogni mese, questo ni diceva: chi aveva ammantare solde alli famiglie, lui li portavaaMogadiscio,faceva il vaglio e li mandava alle nostrefamiglie. E questo raggioniere, sempre di pieno acordio con il capo crante centrale, che poi c’era di acordio magare uno tenente del Cenio miletare, non era vero che questesoldicilispedievino,e invecelicommerciavino:che a Mogadiscio, con queste solde, compravino carne di manciare di tutte li specie, vino, birra, scatolame, licuore, biscutte e tutte li specie di caramelle, e li portavino in tutte i cantiere, di maniera che l’operaio comperavatuttoacredenza. Tutte l’operaie che recevevino li letre delle loro mogli, tutte facevino uno discorso, che solde non ni recevevino. E cosí, l’operaie sivolevinorevoltare,antarea Mogadiscio e antare derettamente alla Posta per sapere il perché queste solde di5e6mesenonarrevavino. Ionondicevaniente,perchéa casa ci aveva mantato lire 200, ma c’erino operaie che ci avevino mantato 5 e magare 6.000 lire. Cosí, dell’Etalia c’erino famiglie che avevino scritto a Mussoline,emagareatuttala famiglia del duce, per vedere doveantavinoafenirequeste benedette solde di queste lavoratore. Certo che ni cominciaro a parlare magare i ciornale, di questesoldechelilavoratore limantavinoelifamiglienon li recevevino. Cosí tante forino li lettere mantate a Roma, per fina che tutta la ciustizia cominciavo a fonzionare, che per tutta la zona del Alto Ogadenne, voldire oltre alla Somalia, cominciaro a cirare centinaia di carabiniere e una polezia scentifica. Ecosí,tuttequesti3:unosi ha butato ammare e morio, e uno, che era il raggioniere chesichiamavaMoranto,che era di Caltanesetta, si ha sparato con la vercogna, e il tenente del Cenio miletare l’hanno portato al carcero di Mogadiscio e si ha fucato 11. Quinte, tutte 3 queste lazzarone si hanno condannato con li suoie propiamane. Vedete che razza che siammo noie italiane, che magare li abissine ci hanno detto che erimo desoneste, l’italiane! E tutte li nere che capevino l’italiano dicevino: «Che bella onestà che hanno portatol’italianeinAfrica!» E cosí, si hanno sfasciato tutteicantieredellaSomalia. Cosí, io che aveva perso li 200lireetuttelialtrepovere operaie che avevino perso tante solde fuommo stralocate.Ecihannoportato inunocantierechec’erino50 operaie,peròhocostatatoche al lavoro alla matina ci ne potemmo antare il massemo 15,dituttequeste50operaie. E cosí, alla matina, c’era un camio che ni carrecava e ni portavasullavoro. E cosí stavino li cose: 4 operaiestavinoalcantiereper scupare; 5 operaie erino adetteall’infermeria,chepoi, se uno cascava malato, non erinocapace,tutte5,difarece una lominata 12, che lo lasciavino morire; 10 erino per fare il manciare, e erino sempre in cucina e tutto si manciavino loro; 8 operaie, semprevestiteconlacamicia nera, che penzavino per lo sporte; e tutte li altre stavino a cratarese li palle e li coglione al cantiere. E quelle che dovemmo lavorare erimo sempre i nuove venute, e quellechenonsapiammofare lirofiane. Illavoroeralontanopiúdi 20 chilomitre, e con un solo camio si doveva partire, e sparteallamatinapernoie15 c’eramezzaoraditempoper prenterene una coccia di acqualorda,cheilverocaffè si lo prentevino quelle che non facevino niente. E sparte chiretardava2o3minute,il camio parteva, e perdeva la ciornata. Propiaiomifacevailconto che era alle lavore forzate. Era una vita troppo strapazata,antareevenirecon quello camio: antata di matina, venuta per manciare alleore12,cifacevinofare2 ore di reposo e di nuovo partire, e poie alla sera, alle ore 6, retornare. Cosí, faciammo tutte li ciorne 80 chilomitre supra quel camio, tuttaall’impiede.Certocheli stradenonerinocilintrateesi venevatutterotte. Io, un ciorno, come ho fenito di manciare a mezzociorno, come tutte li ciorne,misonomessodentra la tenta a fare li 2 ore di suonno che mi tocavino, quanto uno di queste stronza tira una buona pedata nel palloneequestopalloneentra nellamiatenta,cheio,ciusto ciusto, mi stava facento 10 minute di suonno. E questo pallone mi viene sulla testa, che mi ha parso una cannonata, cosí, mentre io dormeva. Cosí, escio fuore e comincio a parlare a uso quello 13 che queste si meritavino,facentocecapirea queste lazzarone che, se antasero allavorare come me, non ciocassero. E cosí, tutte questestronzecominciarenoa dire che io sporte non ni capeva,eiocihodettotutteli male parole che asestevino, perché queste maleducate mi avevino rotto la fronte, che eracosadisparareceaqueste crancornute,diquantoioera arabiato. Cosí, mi volevino darebastunate.Io,nellatenta, aveva il fucile carreco, e ci l’ho detto: – Vedete ca io famiglia non ci n’ho e non penzoannesuno.Iovisparo! Ecosí,laprimaspedezione dilicenzamentofupropiaio. Cosí, mi hanno licenziato per poco rentemento nel lavoro. E cosí, subito subito, mihannofattolapagaenella busta di paga c’erino messe macare li centesime, tutto preciso, perché lo sapeveno che io antava arricramare subito. Mi hanno preparato il passaggio per partire, tutto a costo del cantiere... Io, in ciornata, doveva sparire di quello cantiere, perché erino piúdi30contradime,perché ciavevadettolavirità. Cosí, arrevaie al campo alloggio di Mogadiscio, che d’ogni 15, 20 ciorne parteva una nave crante per l’Italia e si portava tutte i soldate che si congedavino e antavino illicenzaochieramalato,esi portava magare tutte quelle operaie che erino state licenziate per poco rentemento. Che uno di queste era propia io, quello povero di Rabito, che voleva lavorareacuostediafrontare magare la morte, bastica faceva solde. Che poi, con queste solde, il suo disegno erapercomperareseunacasa allasuamamma. Ma io voleva fare ancora un altro anno di lavoro, e camminava tutte i ciorne per Mogadiscio come uno pazzo per cercare lavoro in una detta prevata, poi che al campo alloggio c’era una crante composione, perché c’erino piú di 30 barachie piene di partente che dovevino antare all’Etalia e nonc’eranessonochefaceva la polisia, nesuno che dava una scupata al campo, e la puzzasistapevamorento...E magarec’erinocimice,pulice e aderetura pidochie! E poi c’erino tante spostate, che li liggie del duce l’avevino mantato in Africa per levoraselle delle coglione dall’Italia e li mantavino in Africa, speciarmente esento scuatriste. E non si poteva stare in questo campo alloggio. E io camminava, e sempre stava arrabiato e bestimianto, ma non mi arrenteva maie, sempre cercava e penzava come poteva studiare per rimanere in Africa. Ma però manciava, e, cosí arrabiato cheera,alcinemaallaseraci antava, banane mi ni manciava 5, 6 al ciorno; poi, lí a Mogadiscio, li pesscie ni manciavaassaie,perchéerino piú bemmircate 14 delle banane, femmene ce n’erino di tutte i colore, li solde li aveva, e tutta l’icanomia che aveva fatto in 10 mese nella buscaglia, qui a Mocadiscio non la faceva, che era desperato, perché mi aveva cirato tutte li oficie e ancora mi prentevino in ciro. Tutte mi decevino: «Oggie, domane…» E poi: «Aspette alla sera…», quelle stronze chenonmidicevinoniente! E cosí, mi sono diciso di farel’ultimotintativo,edisse: «Oracercodiantare–doppo cheavevaciratotuttelioficie efattotuttelimalecomparse – nella testa dell’acqua. Vediammoseriescoafareme presentare al covernatore che comandavatuttalaSomalia», che aveva il palazzo del coverno a Mogadiscio ed era uno che si chiamava il cenerale Santine 15, che a parlare con luie era lo stesso diparlareconilduceaRoma. Quinte, tutte li porte li aveva tapoliato, ora c’era lo crosso portune di tapoliare, e disse: «Voglio fare l’ultima mala comparsa, se ci ho la fortuna di poterece parlare, perché chi vuole bere acqua piú pulita deve antare alla testadellafontana». Cosí,iosapevachec’erino 4 quardie nere e poi c’era il piantone bianco, che era come uno soldato curaziere che fanno servizio a Roma. Tutte li 4 quardie nere erino armate con il focile a baionetta in canna, mentre il soldato italiano aveva la sola pistola, e poi c’erano altre 2 soldateeunsercenteumpoco distacato del portone del palazzo. E questo sercente lo senteva parlare siciliano, forse che era della mia provincia. Cosí, io cirava a torno a tuornoperfaremevedere,ma il sercente, cosirituso, mi ha detto: – Ma tu che vai ceranto?Checosavuoie?–E cosí io, tutto impiatusito, ci ho detto al caro sercente che cosa voglio io: – Io vorrebbe essere fatto uno miracolo di leie,semifacesseparlarecon il covernatore –. E il bravo sercentemihadetto:–Diche cosasitratta?Seèperlavoro nonarreceviannesuno–.Eio ci ho detto che non era per lavoro. E cosí, tutto improgliato che era il mio discorso,chenonlosocome mi ha venuto quella piatusa penzata,checihodetto:–Io voglio parlare con il covernatore, che ci ho una sorella con 4 figlie qui a Mogadiscio, tutte 4 malate, e secome io devo partire con questanavachefra10ciorne parte, volesse che il covernatore mi farebbe questo crante meracolo di fare partire magare a mia sorellainziemmeamme. Cosí, quello centele sercente mi ha detto: – Se è perquesto,ticifoparlare. Cosí, il sercente toccò il bottune e il portone si ha aperto. E cosí, io entraie. E cosí, mi ho trovato di fronte al cenerale Santine. Cosí, mi hadetto:–Tuchecosavuoie, cheseievenutofinaqui?–E cosí, io mi ci ho demostrato molto piatuso e ci ho fatto tante cose, decendoce che io aveva venuto all’Africa per lavorare e fare solde per quanto mi potesse comperare una casa, che ho fatto tante sacrafizie per venire all’Africa per lavorare e, doppo 10 mese, per forza mi volinofarepartireperl’Italia, mentrechecinesonooperaie che hanno fatto magare 2 anne e ancora li fanno lavorare. – Facio presente che sono statoaTobruchenellecamice nere volontario con il battaglione, sempre pronto al miopaese.Noncihoneanche casa, e ora, per forza, mi voglionomantareacasa,che, eccellenza, sono venuto qui propia per fareme una racomantazione, quanto io facesse altre 10 mese di lavoro e fare umpoco di solde. Cosí, ci ho fatto vedere il partafoglio, che aveva 6.000 lire da parte, che l’aveva conserbate. Poi, ci ho detto che tutta la mia famiglia avemmo stato al servizio della padria: – Siammo tutte fasciste. Io sono un socio del Nastro azzurro 16 e sono del 1899, ci ho uno fratello del 1896 mutelato, e io sono venuto qui a parlare con la sua ecellenza che mi deve fare uno miracolo per potere stare ancora uno altro anno all’Africa. E lui mi ha detto: – Mi ha piaciuto la tua buona volentà di venire per fina qui a parlare comme, ma ora mi deve racontare come haie fattoaentrarequidentra,che cosa ci haie improgliato al sercente per venire per fina qui. Ecosí,ilcenerale,comeio ci ho detto della sorella malata e figlie malate, si ha preso di una buona volentà e mi ha detto: – Il faore ti lo faccio–.Sihafattounaresata di quello che io aveva improgliato, e poi mi ha detto: – Non ti priocupare, cheoratifacciounbeglietto, chetiarecomantoall’oficiodi collecamento,chehaievoglia dilavorare!Epoitilofaccio ilfavoreperchéseiedellamia chilasse del 1899, che abiammo salvato l’Italia nell’ofenziva del Piave –. E mi ha detto, il covernatore: – BravoRabito,seistatotroppo furbo per venire a parlare comme! – Poi, mi ha fatto sedire10minute,cheiotutto tremava,emihadetto:–Ora, vechio compatente, fatte una fumata –. Che ci piaceva sentireme parlare, di come sapevabeneparlarel’italiano! Io faceva il piatuso. Cosí, preseunofogliodicartaepoi scrisse. Cosí, io portava quella busta come portasse uno cioiello prezioso, e lo teneva nel petto, e non lo diceva annesuno, perché teneva paura che mi lo potissero robare. Cosí, stammo arrevanno all’ultima ciorno. Amme non mi avevino chiamato. E mi cominciaieapriucopare. C’era un altro, che era di Ferenze, che era racomantato come era io e aspetava la chiamata,comelaspetavoio, e l’ho antato a cercare per domantarece se sapeva qualche cosa, e il toscano mi hafattocapirechesiammo16 quelle che dobiammo restare in Africa, e il suo cucino ci avevadettoche,atutte16,ci lo dovevino fare sapere propia il momento che la nave parteva, per non fare socedire bordello. Perché all’Etalianoncivolevaantare nesuno, che tutte volevino ancoralavorareinAfrica. E cosí, alla matina che aveva a partere la nave, che dovevino partere circa piú di 6milapersone,tuttoilcampo alloggio fuommo cercondate di100o150carabiniere,che nesuno dell’operaie potte uscire fuore per Mogadiscio. Soloc’eralastradaliberaper tutte i partente del campo alloggioallanave. Tuttoauncolpo,venneun cammioesimisepropiadove c’era quello che doveva dire «Partiemmo!» Venne uno di questecamio,chesihamesso sopera il tavolo e ha detto al trompetiere: – Fermo! Prima chesicominciaapartere,che dobiammo chiamare quelle che devono restare ancora all’Africa. E cosí, sento chiamare: – Rabito Vincenzo, prentete la tua robba e sale sopra il camio, che tu seie uno che deve remanire in Africa –. E cosí,cihadettocheerimo16 tutte. Ah, che rabia che ci ha stato per tutte che io restava. Speciarmente di quelle che ammia mi conoscevino si mordievinotuttelimane:poi, quelle che amme mi avevino licenziato per poco rentemento e erino malate, poi il capocantiere mozicava ferro, che era uno scuatrista che si aveva fatto valire lo stesso del duce quanto era al cantiere e inveci oggi era come uno dai pricioniere, torniato dai carabiniere. Che, altremente, se non c’era questapolezia,nellanavenon ci antava nesuno e s’arestavino a fare li ladre a Mogadiscio. Ma io redeva e diceva, per faracillo sentire a quelle mascarate del pallone, di sopra il camio: – Ride bene,cheredeall’oltimo. E cosí, cominciareno a partire per prentere la nave e ioquardavadisoprailcamio belloseduto. Mentre hanno fenito di chiamareallealtreecihanno messo a posto a tutte 16. E cosí,partiemmo,epresemola strada che antava per il vellaggio del Duca dell’Abruzze. E quando scentiammo, io vado alla Posta e spediscio tutte li 6.000 lire che io aveva, per mantarle a mia madre deretamente per comparese unacasa,perchél’avevadetto tante volte e ora ci ha revoscito. Perché sapeva che stava antanto allavorare nella ditta, che poteva lavorare per tutta la mia vita e pure per fina che io voleva lavorare, perché era stato bene racomandato. Poi che la strada non era come l’anno prima, ora era cilintrata che veneva il piacere a camminare con il camio... Cosí, arrevammo al vellaggio di Feferre - Belle Tuvenne - Bulliborte 17 - la pianadiCorra,cheeraun100 opure 110 chilometre di pianura, che li c’era il passaggio delle animale feroce, i lione. Ma, con li tante machine vicino alla strada, non zi facevino vedere. Quinte, undice mese fa, quanto passammo, non c’era niente e ora cominciaveno a vederese case di nere e di bianche; e tante baracche c’erino per abitazione; e c’erinoterremagarecortevate a cotone come nelle campagne di Cela; e magare c’era qualche pozzo di acqua scavato per bere e per abeverare,esivedevinotante che prentevino acqua. E io, mentre che il camio correva, diceva: «Se mi riescie a fareme la citatinanza dell’Africa e potereme mantare a chiamare al mio fratello Paolo, amme mi piacesse di stare una ventina di anne allavorare qui all’Africa». Cosí, siammo arrevate nel cantiere di Mustaille 18, che avevino cominciato a fare li barache che poi ci dovemmo abitare queste 16 lavoratore. Elíc’erino40operaieconla qualifica di carpentiere venute dall’Etalia a posta. Altro che scuatriste! Altro che fasciste! Che avevino la tesseresoladifasciste,epoie, dilavoro,nonsapevinocome si lavorava! Mentre, queste brisciane, il lavoro l’avevino per davero, e poi l’aveva rechiesto la ditta propia per fare il lavoro di minatore. E quinte, queste quadagnavino lire 5 al ciorno piú di noie, però di lavorare lavoravino buone. Ma avevino uno difetto: che,mentrechec’erailvino, lavoravino, ma, quanto si feneva il vino, non erino capacedipiantareunchiodo. Cosí,unavoltasihafenitoil vino, e hanno fenito di lavorare. Se ne sono antate dove c’era una pista, voldire una strada dove passavino cammie, e con le mane facevino fermare tutte li camie che passavino che, a qualunquie sia costo, dovevino comperare vino; e senoncomperavinovinonon venevino per lavorare, e magare che ci l’avessero pagato a lire 50 al fiascho, basticadovevaesserevino. Recordo che in quello campo c’era l’alza bantiera e che d’ogni matina, quanto spontava il sole, questa bantieraditrecoloresialzava, eallaserasiscenteva,cheera espostasopraunluncolegno. Ma per quella notte, quella bantiera,conquellovino,per lomenol’hannofattosaliree scentere piú di 20 volte, e nesunopotevaparlare,perché quello che comantava era il vino... E poi, io mi sono messo a posto. Mi ho preso una cantonera dentra la baracca e mi ho fatto una bellissima branta con uno tavolinetto, e il materazzo (che ci l’aveva dato la ditta) l’ho roimpito, che c’era tanta erba secca e pampinedde seche. Poi ni hannodatounazanzarieraper limoschitteepernonnifare muzecare delle zanzare quantonicorcammo.Equinte erimotutteaposto. Eioerafelicechemiaveva messo allavorare un’altra volta. E tutte i ciorne si antavaallavorareconilcamio che antava a carrecare pietre dallapirrera19allavoro. Amme mi piaceva di viaggiaresempreconilcamio etravessareboscaglia. E poi che la zona di Mustailli era una zona di scimieeunafortequantetàdi iene,emagarec’erinolione,e dalla mattina alla sera, compure che caminammo sopra il camio, dobiammo vedere tante spavente. E poi, alla notte, non potiemmo dormire con quello bordello che facevino li animale, che facevinotantomormerio:che siafferavinotraloroanimale. Ma noie erimo 7, l’operaie nella nostra baracca, comprese li 2 autiste, e avemmo uno fucile per uno, che cosí, se per caso qualche lione arrabiato, perché aveva fame, ci voleva manciare, subito tutte 7 prentemmo il fucile e sparammo all’impazita. E poi che c’erino tante rebelle che non volevino che l’italiane abiammo preso l’Africa e, se non si stava sbeglie, ci potevino dare qualchefuciliata. Poi, tutte ci abiammo fatto pratecediquestaboscaglia.E poi che il fucile non lo lasciammo maie, e quanto lavorammo il fucile li avemmo sempre vicino. E c’era l’ordine che a uno solo non potiammo camminare, sempreerimoilminemo3. Amme, mi avevino mantato nel fiume a spacare pietra e sempre lavorava vecino al fiume. Che poi l’impresa a fatto umponte in tre mese, e questo ponte si chiamava «il ponte di Mustaille», che in una buscaglia non l’avevino fatto annessuna parte, umponte come questo. E perché ci l’aveva fatto il coverno italiano questo ponte? Perché a Mustaille ci faceva l’abitazioneumprincipechesi chiamava «il soldano di Mustaille». Che questo soldano, quanto scoppiò la querraconl’Abisinia–cheil cenerale Craziane era partito a combattere per prentere la Somalia –, questo soldano, cheeracontrarioalnecose 20 e in faore all’ocopazione italiana, si ha fatto trovare davanteacompaterecontrail necosicon30milavolentarie armate somole, e compateva inziemme al cenerale Craziane,tantocheilcenerale Craziane, a questo princepe, l’ha proposto con una midagliaalvaloremilitare. E questo villaggio di Mustaille era comantato di questo crante personaggio, non Mostaille solo, ma per 200 chilomitre a tuorno a tuorno, quase metà della Somalia, luie era il re. E quanto socedeva desoldene, bastica si andava a ricramare aquesto,cheluisapevatutto. La ditta, al cantiere, ci aveva fatto ummutore, poi c’erino messe li tubbe del fiume,alcantiere,eilmutore la terava. E cosí, nel cantiere c’eral’acqua,quantocin’ene ni uno paese. Quinte, per acqua non era come quanto siammovenutedil’Italia,che cinedavino2litraalpersona, perché erimo sotta il Cenio, checomantavinoliscuatriste, e l’abondanza dell’acqua l’avevino solo quelle della marcia so Roma. Ma ora la ditta dell’operaie voleva il lavoro, non voleva la tessere fascista. E quinte, l’acqua c’erapertutte. Poi che, a forza di una moto pompa, ci avevino portato tanta bella acqua in questocantiere,tuttel’opiraie cominciavino a fare specolazione: si facevino l’oltecello. Ora poi che io e Sebastiano Roggiero di Troina, con cui avevo preso unastrettaamicizia,avemmo fattoveniredentralilettere4, 5 coccia di sementa per cucuzza 21 longa, e magare pipe22elatucheepomadoro, l’abiammoseminato,che,con quella terra che non aveva stato seminata maie e caldo forte che faceva e terra vercine ca era, li cucuzze luonche,nelcirodi40ciorne che li avemmo seminato, hanno cominciato a fare cucuzze. Cosa che nesuno lo potevacredere! E cosí, io cominciaie ammanciare cucuzza inziemme con Sebastiano Roggiere. Io aveva manciato sempre carne,tutteiciorne,ediceva: maoraminomale,conqueste cucuzze e li tenneruma delle cucuzze 23, lo stomico mi lo sentevabene. Poi,nonsocomefuecome nonfu,cheparsechefufatto aposta, una matina ni abiammo cascato 40 ammalate.Cosí,allavoronon ciabiammopotutoantareeci ha cominciato a prentere la febreatutte40.Ecihastato una crante priocupazione. Cosí, mandareno a chiamare medice da Mogadiscio per vedere che cosa abiammo e chemalatiaabiammo.Ecosí, davero, e piú presto, ni ha venuto uno di Diradava e un altro di Curre Curre 24, che era lo piú vicino a Mustahil. E quest’ultimo disse che era unafebricialla,ecosímagare hannodettolialtremedicedi Mogadiscio, e invece, il medico di Dira Dava disse che la nostra malatia era una febrecoloniale.Ecosí,hanno venuto magare 4 infermiere che misuravino febre di matina alla sera, e lo chiò pocochel’avia,l’avevaa40, e poi ce n’eriono di 41 e magaredi42. E poi, hanno ordinato di metterene tutte 40 in una crante baracca e di darece poco manciare, per vedere se era che dependeva dello stomico, questa malatia. E poi, ci hanno portato una cassa di romanze, perché cosí, chi sapeva leggire, liggeva, e ci passammo il tempo. E ci hanno detto di non manciare,maioquellaparola di «non manciare» non mi pareva esatto, perché io la fame l’aveva, e come mi passava la febre, mi alzava, mi n’antava a fare la visita all’olticello, mi prenteva una cucuzza, mi n’antava in cucina, che c’era sempre il fuocoaceso,milacucinava,e poimin’antavanellabaracca delle malate. E cosí, doppo chemanciava,miprentevala febre. Cosí,contuttalafebre,mi hopresoilromanzodiMonte Cristo 25 e mi meteva alleggire. Ma luce non ci n’era e la notata non poteva aciornaremaie.Iononsapeva come fare, perché propia per natura, nella mia vita, alla notte sempre ha dormito poco. Cosí, c’erino tante malate che avevino uno piatuso lamento e non facevinodormire. E cosí, io disse: «Se potesse fareme una cantela, mi la facisse». Cosí, vado doveventevinotutto,ecantile di cera non ni ventevino. Cosí, mi ho comperato una botiglia di aranciata, mi l’ho beuto, e la botiglia vuota ci ommesso uno poco di nafita, chevolevafareunacantelaa uso pitrolio, per vedere se adomavaesefacevaluceper leggire. Ecosíio,allanotte,teneva questacantelaacesaeliggeva questo romanzo di Monte Cristo, e la notata pasava presto. E poi, di quelle che facevino:«Mammamia,staio morento» mi ne futeva, tanto la febre l’aveva magare io. Cosí io, con quella luce che ho fatto, li altre ammalate, tante, si l’hanno fatta, la stessaluce.Ecosí,dinotte,la nostra baracca, con tante botiglie di nafta adumate, pareva un cimetero nella ciornatadeimorte. Certo, però, che io, quanto mi rebasava la febre, manciavaepoiemicorcavae liggeva, mentre li altre non manciaveno e si antavino dimacrento. Epoi,tuttel’impermierelo decevino: «Rabito è quello che ave la febre piú forte e Rabito è quello che, come ci deminoviscielafebre,sempre cammina»,e«Rabitoèquello che ave lo stesso colore che aveva quanto non era malato!» Mentre li altre malatestavinosemprecorcate e non si alzavino; parevino ciallecomelicatavere. E io deceva: «Doppo che miavevaracomantatoilPatre Eterno dell’uomene, mi ne devoantareall’Etaliaun’altra volta!?» Finarmente hanno venuto i medice e hanno detto: – Be’, non c’ene niente che fare. L’unica cosa è di portalle a Mogadiscio e levalle di qua, perché altremente questa malatia può immeschiare alle altre. Cosí, io ho salutato amMostaille, al cantiere e l’uorto, che mi veneva di piancere. E con li 4 camie partiemmo. Che poi, dorante il viaggio, ci ne foreno che non ci arrevareno vive a Mogadiscio. E certo che ammia, che manciava e biveva, non potevamoriresicuro. Quanto uscie dello ospedale, mi sono comperato unobellofiascodivino,euna bella scatola di salsiccia, manciava. E poi c’erino li bananechecostavinopoco.E manciava, senza penzare che io aveva stato con quella bruttamalatiainfettiva! Esiccomeiovolevoandare subito a lavorare, il ragioniere dell’ufficio della ditta mi ha detto: – Se tu te ne volesseto antare oggie stesso e volesseto antare allavorarepiúvicino,cifosse uno posto che potesseto partire magare questa sera, chec’eneuncamiocheporta la spesa al cantiere di Chersala 26, che Chisale ene unbellocantiereec’èvicino il vellaggio Duca degli Abruzze. Che l’altro ciorno cercavonounooperaiospacca pietra e c’ancora non ci l’ho pututotrovare. AChersalaioarrevaiealle ore8disera,cheeraquaseal buio. E, come sono sceso, tutte li operae erino lí che stavino mancianto fuore con una bella tavolo, e magare li sedie avevino, che parevino tantecavaliere.Equesteerino tratatemegliodell’Etalia.Eio diceva: «Tutte diciammo: “Quanto antiammo all’Italia?” Mentre qui si sta meglio di l’Italia: barache bene,manciarebene».Illetto era con la rite, lensuola, zanzariera... Poi d’ognono ci avevailsuolumeperlaluce, che il cantiere pareva umpicolo paesieddo. E cosí, io disse: «Ecco quello che io cercava!» Poi che c’era il capellano che d’ogni domenica ci facevadirelamessa,poic’era magare un capo manopolo della Milizia, che le leggie fasciste dicevino che d’ogni cantiere ci dovevino essere, perché d’ogni sabito si dovevafareilSabitofascista. Che, in tutte li cantiere e in tuttelivellaggiedovec’erino lavoratore, doppo che si manciava, ci doviammo mettere la divisa delle fascista, in camicia nera, e prentere il fucile. E questo capo manipolo, che rapresentava un sutta tenente delleesercito,cifacevafare2 oredimaneggioconilfucile. E questo, d’ogni sabito, era uno rompamento di conglione,chepersinotutteli domineche, invece di reposarese, dovemmo fare istruzione come quanto io aveva17anne! Ma, comunque, la vita passava molto contente. Neanche all’Etalia, questa bellavita,iol’avevapassato! Quinte, io penzava di poterefaremelacitatinanzadi Mogadiscio, che poteva campiare posuzione: che, di povero, mi poteva trovare ricco. Ora, aMogadiscio,c’erino tante apartatore. E quinte, la pietra per costruire i palazzi bisognava,eperquestoiomi voleva comperare una perrera, perché io mi portava allavorarecommeallioperaie nere, che quelle, esento sapute quidare, il lavoro lo facevino lo stesso di uno italiano, ma paga non ci ne davino lire 40, come a uno operaio italiano. La paga di unneroeradilire5. E quinte, se arriosceva di compralla,permedicevache era una fortuna, perché stavino costroento centenaia di palazze, che stavino procetanto una crante strada lunco il mare e stavino costroento tante apartamente per i bagnante e per tante toriste. E li apartatore si stavinofacentotuttericche,e riccomidovevafareio. Ma quanto intese che l’assistente ingegnere Antriotte mi ha detto: – Rabito, iere io ti cercava perché ti doveva dire che il cantiere di Chersala se deve sfasciare... – Io, quanto ho inteso questo, tutto aveva soportato, ma questa parola nonlapottesolportarepiú.E iodiceva:«Adiovenireilmio fratello Paolo. Adio comperareperreradipietra...» Che mi potevino macare rempatriareperfinelavoro. Cosí, io, quanto il marcatempo mi ha detto: – Tu, Rabito, non seie licenziato, – ci ho detto: – Crazieperme,mihadatouna conzolantenotizia! Cosí, stiesimo altre 4 ciorne nel cantiere di Chersale, e poi, con tutto l’oficio, partiemmo. E ora li strade erino quase tutte sbaltate27,quintesiviaggiava beneesimanciavabene. Poi fenio la sdrada e cominciavo una trazera, e li camie cominciaro a camminare male, che erino strade che l’avevino fatto durante l’ocupazione delle carre armate. E cosí, cominciarenolibestemie,che delcamiononsepotevastare, sempre sbatento nelle albere, che erino magare albere di spine, e tante scimie che scapavino, e tante iene che correvino vedento il rompo delle camie! E tutte diciammo: «Qui se vede che operaie non ci ne sono state ancora...» Doppo 5 ore di mala strada,siammoarrevateauno villaggio che si chiamava Galaffe 28, che lí era propia dove ci doviammo fermare noie e dove dovemmo lavorare. E lí c’era il solito fiume che cucutriglie ci n’erino piú assaie di quanto erimo a Mustaille. Malaria c’era a Mustaille e malaria c’era a Galaffe. E io diceva tra me: «È inutele, sempre quello ene la vita mia! Staio umpocu buonoepoisempresiequitoa stare male. Falla come la vuoi, che sempre ene cucuzza29!» Poi,comeabiammofattoli prime 15 ciorne, che era il mesediaprile,sihascatenato untemporaleforte. Cosí, tutte noie fuommo abisate,checihannodetto:– Chesipolesalvaresisalve! Recordo che era di notte e abiammo abantonato tutte li barache e scapammo per antare dove l’acqua non ci potevarevare,eassaliresopra licrossealbere,cheerino30, 40 metre alte. E li nere di quello vellaggio hanno salito sopra tutte li albere come noie. E cosí, ci abiammo salvate. Perché, quelle crosse albere, erino come i monemente, che chi lo sa quanto centenaia di anne che avevinonasciuto! E poi non era l’acqua magarechecifacevaprentere di paura, ma c’erino li animale che scentevino delle montagni di notte! E secome loro ci ammancava la parola, che, quanto vedevino questa crante acqui venire, veneva magareilmanciareperqueste animale, perché l’acqua portava tante vache muorte, mule muorte, cavalle muorte, e magare carne umana portava, e per questo scentevino...enoieperquesto prentiammotantapaura. Eiosempredicevaquesto: «Pare che avesse stato consarbato per me questa bellissemodevertimento,che, dove vado vado, io ni trovo sempreuno!» E la forte corrente dell’acqua ha fatto uscire persinotuttelicucutrigliedel fiume, e portalle sopra la pianura. E queste sue almalaccie, quanto l’acqua si retrò, restarino fuore del fiume. E certo che, non ci avento acqua, non puotteno camminare piú e restareno terreterre! Quellepiúcrosse,l’ebinoli forze da andarasinne, ma quellepicolirestareno. Cosí,tuttelinere,cheerino pratiche, perché questo spetacolo, speciarmente li anziane, chi lo sa quanto volte l’avevino visto, comenciareno a prentere atrezze per potelle ammazare escorcialle30,epoilepellice servevino per ventelle, per poi farene scarpe di lusso e borssedilusso. Ecosí,tutteabiammovisto li cucutriglie come erino composte,chenonl’avemmo vistomaie,soloneicinema! Poi l’asestente ingegnere Antriottemihafattoprentere 10 nere che avevino una buona volentà di lavorare, secome aveva dato prova a Chersale che sapeva come farelavorareainere. Elamiascuadra,allasera, sempre faciammo piú lavoro dellealtrescuadre. Perché io ci portava piú respettodellebianche. Perchéio,quantolioperaie italiane volevino fare bordello, che volevino desprezare a queste povere nere sul lavoro, io era il primo a darece tuorto all’italiane. Perché erino incosciente e maleducate colle donne. Speciarmente che c’erino tante piciutiedde nella mia scuadra di 15 e 16 anne che facevino li manovale e portavino li piedre dentra li ceste sopra li spalleperfarelamassecciata, equantorevavinoconqueste pietre picole, lo italiano che l’aspetava la faceva voltare perlevarecelacesta,equella, poveretta, doveva sobire umpicico nel culo, prima di levarece la cesta delle spalle. Equellepiciutieddenere,per la rabia e il dolore, e poie perché non volevino essere tocate, se mentevino a piancere e fare uce, che faceveno venire alle nere uomine,esocedeval’inferno. E cosí, doveva intervenire io aciustaretutto. Orachetuttodovevaantare bene, ci cominciaro a essere tante male notizie (era il 1939).Cheunciornovenneil conzelo della Melizia di Diradava – che era un crante paesedell’Otiopia–ecisiha fatto levare mano di lavorare per farece una parlata a tutte l’italiane del cantiere che lavorammo, e speciarmente a tutte l’operaie che erimo scritte alla Melizia. Che ci faceva capire che tutte l’italiane in Africa non c’era bisogno di lavorare piú, perchéliproveciàliavemmo dato di fronte all’inchelese, che all’Africa sapemmo resistere allavorare, in una terra tutta piena di animale e di spine, senza acqua; le strade ormai ci l’avemmo fatto. Quinte, il conzelo della Melizia ci diceva che: – Non se deve lavorare in Africa. Basta solo la nostra presenza e il focile carreco sempre a portatadimano!–Epoiciha detto: – La canzone «Facetta nerabellaabisina»piúnonsi canta, – e se doveva cantare alcontrario.–Nonvogliopiú sentire «bella abissina», perché la donna bianca è piú carina! Tutte restammo con la boccaaperta,comesin’antò. E tutte abiammo detto: che diavolostapevasocidento!? Cosí, io penzaie di fareme dare subito uno permesso, perchéiostessopenzaietutto male. E quelle parole del conzelo per tutte foreno impresionante! Non mi piaceva piú di lavorare,emagarelafebreci aveva... E quinte, mi hanno dato uno permesso e mi ne sono antato amMocadiscio per saperequalchecosadiquello che ci aveva fatto capire il conzelo. Ecosí,aMogadiscio,dalla stanzione prese la strada per antare all’oficio della ditta, perdirececheiosempretutte liciornemiprentevalafebre per deperemento orcanico e non poteva lavorare piú, che era malato, e poi perché aveva quase 3 anne che io lavoravainAfrica. E il raggioniere, che mi conosceva, mi ha detto: – Caro Rabito, fra ciorne, si è vero quello che si dice, ci ne dovemmo antare tutte dell’Africa! Non fa bisogno di avere la febre, perché, o febreosenzafebre,tuttecine dovemmo antare all’Italia. E tu sei fortenato, che questo ene il momento che ti puoie licenziale. Cosí, uscito dall’ufficio, io prese il ciornale. E questo ciornale, nella prima pagena, c’erano 2 depotane 31 ammazate nella Socità delli Nazione, e poie c’era che diceva il ciornale che la crante Cermania stava ocopantoconlaforzaeconil sanquie tutta la nazione della Polonia, che se stavino ammazanto diverse centinaia dipolacche,nontuttesoldate, ma magare la popolazione civile.Epoi,semprelostesso ciornale, diceva che, dopo conquistata la Polonia, la Cermaniadovevaconquistare il Berggio e magare la Francia, e quinte io diceva: «Ciàsiammoinquerra!» Il mio penziero era uno solo, che, come si faceva ciorno, mi faceva fare la paga,escappareperl’Italiae antare a Chiaramonte, perché l’inchilise ci voleva poco a volere fare la querra contra all’Etalia. Cosí, si fecie giorno, non aveva dormito, mi ne sono antatoall’oficio.Ecosí,miha fattomettere5firme,lapaga mihafatto,ecosíciabiammo salutato con tutte quelle che erino nell’oficio, e mi hanno detto: – Buono viaggio, Rabito, che noie securo che, quantoprima,nifannopartire magare annoie di questa Africa, che propia li abissine volevino quello: di farece li strada l’italiane e poi lascialle,tuttequestetravaglie fatte, all’inchilise e li francise. Cosí, io che aveva auto la febre, per fareme partire prima, mi ne sono antato affareme arracomantare al comando della Melizia, che voleva essere rempatriato quanto piú presto, perché era ammalato, perché aveva 33 mese che io lavorava in Africa e non era capacie di starece piú, con quella malattia per deperemento orcanico. Al campo alloggio di Mogadiscio, piú ciorne passavino piú partente arrevavino, che non volevino stare piú all’Africa, perché stavaperscopiarelaquerra. E fuommo fortenate quelle chepartiemmoiprime... Ecosí,in3ciorneditempo partiemmo. Io, in queste 3 ciorne, messe li solde alla Posta di Mogadiscio, che erino tutte 11.000 lire, e lire 6.000 l’aveva alla Posta di Chiaramonte. Tanta salute ammia madre che mi l’aveva salvato! E tutte erino 17.000 mila lire. Mi aveva lasciato lire 600 nelle tasche per il viaggio e, con quelle che mi hanno dato di trasferta, in tuttociaveva900lire.Cheli lire che aveva nelli tasche erinomezzomilionediqueste tempe1970,quantofuscritto questolibero. E cosí davero, al 3 ciorno, la nave partio. E, come era sopra la nave, disse: «Addio Africa, doppo 33 mese di sacrafizie, di essere bruciate del sole e, nel principio, con poco acqua per bere. Sono sicuro che non ci potemmo vederepiú». Avemmo stato immienzo alli animale, avemmo manciato pasta mogata 32 e fracita, perché o quella o niente, e speciarmente neie primeciorne,chenonc’erino neanche strade, e poi che io aveva breso la febre cialla, febre che era infettiva, che tantenihannomorto...Epoi, doppo 8 mese di lavoro, per forza certe cornute mi avevinoarrimpatriare,chemi avevino fatto uno raporto comeantefasciste,perchého detto la veretà... Che vercogna che era questo coverno fascista, che in uno cantiere di 50 operaie quelle chelavorammoerimosolo15 e li altre ciocavino alla palla, eio,perdirequestaverità,mi volevinomantareinItaliaper «poco rentemento». Ma l’hanno scaciata fracita la noce 33, che io mi ne sono antato nel covernature e, invece di antarece io, all’Etaliacisonoantateloro... E recordo, e erino li 2 settembredel1939,elanave partio.Chequestacrantenave sichiamavaSanCiorcie. E cosí, il lavoro dell’etaliane, che avevino fatto con tante sacrafizie, si ha perso. E quanto partio la nave,conquellafischiatache ci hanno fatto certe babione nere, se vedeva che era propaganta politica! Si vedeva che non potevino vedere al fascisimo! Perché l’Italia,voldirefascisemo,era afiancoconlaCermania. Io, tra me, diceva: «Ma noie che cosa ci corpiammo? Ci hanno detto di fare i fasciste e abiammo fatto i fasciste». E, finarmente, siammo revate a Napole, e pare che avessemorevatonelportodel paradiso. Si ha visto subito che, arrevanto una nave italiana, ci hanno fatto tanta festa. Cosí, Napole era tutto bantierato di cagliadette fascistaebantieretrecoloree tantapropagantafascista. EcosíanNapole,scentento della nave, mi ho fatto una cirata, e poie, prese il treno per antare in Sicilia. E cosí, quanto, prima di arrevare a Villa San Ciovanni, vedo la Sicilia, e il cuore mi ha comininciatoallarecrare34. Cosí, io a Catania scenteie come al solito per prentere il treno per Caltacirone, ma io di Catania era pratico e cominciaie a camminare. Ho preso una carrozza, perché ora non era povero come tantevoltecheioavevastato allavorare, che era sempre immienzo alla miseria, in tiempo che si lavorava solo per manciare, invece ora era padrone di 17.000 mila lire, chel’avevanellebretto.Cosí, mi senteva uno posedente, cosí cammenava con la carrozza. Mi sono fatto portare alla pisceria, che sapeva che io conosceva a una che aveva l’osteria, e manciaie come li acente per bene. Cosí, fenito di manciare, con la stessa carrozza, me ne sono antato alla stanzione per informareme quanto parteva il treno per Caltagirone e per deposetare la valice che aveva. E poi, mi faccio una camminata per comprareme una valicia crante e comprareme qualche vestito. Però,primavadoallapostee prese lire 1.000, e cosí restarino 10.000 mila lire, e 6.000 mila lire erino a Chiaramonte. E cosí, nel libretto ci aveva 16.000 lire, che pareva io quase uno nordeamirecano. 1 Oggi Jawhar, nei pressi di Mogadiscio. 2 BeletWeyne(oBeletUen),nella Somalia centrale, al confine con l’Etiopia. 3 ammuorosua:amodoloro. 4 Gabrehor,nell’AltoOgaden. 5 Bulukbasci,caposquadra. 6 Rodolfo Graziani, nominato governatoredellaSomalianel1935. 7 celintrate:asfaltate. 8 commite:comodità. 9 Idigdig(madoguakirki),sortadi piccoleantilopi. 10 DegehBur,inEtiopia. 11 sihafucato:sièstrozzato. 12 lominata:limonata. 13 ausoquello:conimodi. 14 bemmircate:abuonmercato. 15 Ruggero Santini, nominato governatore della Somalia nel maggio del1936. 16 Il Nastro Azzurro, associazione di ex combattenti della prima guerra mondiale. 17 Ferfer - Belet Weyne - Bulo Burth, situati lungo il corso del fiume Uebi Scebeli, risalendo dalla Somalia versol’Etiopia. 18 Mustahil,nellapartemeridionale dell’Etiopia,alconfineconlaSomalia. 19 pirrera:cavadipietra. 20 necose:ilnegusHailèSelassiè. 21 cucuzza:zucchina. 22 pipe:peperoni. 23 tennerumadellecucuzze: foglie dellezucchine. 24 DireDawaeCurcur,inEtiopia. 25 Il conte di Montecristo di AlexandreDumas. 26 Garsala(oGarsaale),inSomalia. 27 sbaltate:asfaltate. 28 Callafo(oK’elafo),inEtiopia. 29 Fallacomelavuoi,chesempre ene cucuzza: comunque tu la cucini, non c’è niente dafare, sempre zucchina rimane. 30 scorcialle:scuoiarli. 31 depotane:deputati. 32 mogata:ammuffita. 33 l’hannoscaciatafracitalanoce: l’hanno schiacciata fradicia la noce; le lorosperanzesonostatedeluse. 34 allarecrare: a rallegrare; qui potrebbeessereancheadallargare. Capitolododicesimo Impriacodinobilità Recordo esattamente che erailciornodel5ottobredel 39,erinoliore8disera,emi sono presentato a casa, che ammia madre ci ha parso un sogno. Mi hanno cominciato a baciare. Della forte contentezza si può magare morire... Cosí, io a Catania aveva comperato uno chilo di tonnina bella fresca, mia madre e mia sorella l’ha cocinato, e manciammo. E pertuttalanotteparlammo.E cosí,sihafattociornoeiomi nesonoantatoadormire,che era stanchissemo. E ho dormitoperfinaalleore9di sera,emisonosbegliatoemi ne sono antato a fare una passeciata alla villa, che quardava tutto per fina al mare, quardava Vittoria, Cela, Comiso, la chiesa di MariadiQulfe,eiostessomi marevigliava e diceva: «Ma come maie io sono qui, a Chiaramonte, che mi voleva fare la citatinanza italiana a Mogadiscio?» Cosí, mia madre, al solito suo, si n’antò affare la visita alla Madonna di Qulfe e alla Madonna delle Crazie, che eramiracolosa,eciabiammo messo a parlare. E mi ha detto: – Tu, caro figlio, mi avevito mandato lire 6.000. Ecco qui, che ci l’haie salvate. Mi l’avevito mantato percompraremilacasa,maio non mi l’ho comperato, perché, se ci metteva Paolo Malasorte dentra, quello non usceva maie. E quinte, per nonvifaresciarriare,hofatto megliodesalvaretelisolde. E quinte, mia madre mi diceva: – Figlio mio, ora tu chehaiequestesoldiciedde,ti preco di tenelle care, perché tu lo saie quanto pene hai vistoperquadagnalle… Cosí, mi diceva: – Vede che io oramaie sono vecchia, e serbemento piú non ti ne posso dare 1, quinte, tu te deve cercare a una moglie, perché haie 40 anne. E poie che ave 35 anne che abito in questodamuso,–emidiceva, – magare che tu mi vuoie comprareunacasa,diqua,di questo dammuso, non escio, perché mi pare che muoro, uscentodiqui. Un ciorno, ci siammo incontratocondonTuriddolo Marchese, perché sapeva che io aveva portato solde dell’Africa. Questo, sempre cirava dove c’ereno albere di olive, che si li prenteva allo scopo di quadagnare, perché era troppo furbo e troppo sperto. Emihadettocheerinoamice con donn’Adorfo e se io voleva entrare a fare parte, unscento lire 4.000, come io fosse compagno: lui aveva antato a vedere una contrada di olive a Francofonte, nella propietà del barone Ciarena, cheeraunobelloafare. E quinte, li compagnie dovemmoessere:unoio,uno donn’Adorfo, uno il suo cuggino, che si chiamava il massaroBastianoIacuono,ei suoifiglieFeluzzoePaolino, eunoeraluie,lodonTuriddo lo Marchese. Quinte, a 4.000 lire per d’uno, voldire che al barone ci dovemmo dare lire 24.000. Cosí, antiammo a Francofonte, cirammo la contrada dell’olivete, che si chiamava Passolarico, che c’era pure uno bello olificio per macinare; magare che c’erino tante contriboiente che venevino ammacinare e pagavino profematamente, oltre al fatto che dovevano lasciarci alla sanza che arremaneva nel trapito 2. C’era uno bello nicozio 3 di fare, c’era di quadagnare bellesolde. Cosí, ni ha piaciuto l’afare e antiammo a parlare con il barone Ciarena. E ci abiammo dato la caparra – che questo barone abitava a Vezzine. Ci abiammo dato li lire 5.000, e l’afare cià l’avemmo fatto. Recordo che era del 1939 e il mese era novempre. Il barone ci ha dato li chiave del palazzo, che immienzo a questa crante propietà ci aveva una bella partenza di case 4. Si ha resalvato una stanzia per lui, per quanto veneva a visetare la campagna, e poie tutto ha dato annoie, che avemmo voglia di dormire e avemmo voglia di farece corcare alla ciurma, uomine e femmine, perlalavorazionedell’olive! Maorabisugnavadiantare inqualchepaeseafaredonne per coglire li olive e per scotolalle 5. E quinte, io e Marcheseantiammonelpaese diBuchiere 6epervederese potiammoincaciarefemmene eportarleaPassolarico. Io mi aveva portato di Chiaramonte a mio fratello Paolo,amiofratelloVito,mi aveva portato a Luciano Rabito, mi aveva portato a SaroPiazza,miavevaportato a quello stubito di Pipino Casciolo, che aveva il carretto. Paolo si aveva portato la chitarra e il mandolino. Cosí, prima antammo a Chiaramonte, che civolevinoquesteuomineper la lavorazione del trapito e perscotelarel’olive. Cosí, poie, io e Marchese, con li carrette, antiammo a Bochiere a cercare femmene. Cosí, a Buchiere io sapeva chec’eraCiovanniAbate,che lí ci aveva il suo fratello pareco 7,elui,Ciovanni,che era cercatore di butane, il paese era picolo, e tutte li donne li conosceva luie. E cosí,ioeMarcheseabiammo trovatoaunbelloperiotoper trovarefemmene. Cosí, per il primo, abiammotrovatoaunadonna anziana che doveva fare la caporala, e certo facendoce capire che questa caporala doveva quadagnare quache lira impiú delle altre, perché si doveva prentere questo incarico molto delecato: perché doveva cercare 20 o 25 donne: posebilimente piú piciotteerinomieglioera.Poi questa femmena anziana, a tutte queste signorine che dovevinovenireaPassolarico a Francofonte, quella donna anziana ci doveva carentire allemammediquellepiciotte che nesuno li aveva a babiare 8, perché quella anziana femmina li doveva quardare, doveva stare atente che non dovevino dare conpedenzaalleuomine. Cosí, io e Marchese ci carentiammocheavenirecon noie e venire in una batia 9 eralostesso. Tempidimiseriacheerino, ci abiammo dato lire 5 per caparra,ilprezzoeradilire5 al ciorno. Cosí, li abiammo messesopraicarrettecertune, ma tante nelli carrette non ci hanno voluto salire e hanno preferito farasella a piede, perché di Francofonte a Buchire la strada era poco, e poiecheeratuttadidiscesa. Con tutte quelle donne, partesegnorine,partespartute conimarite,eparteerinoche facevino piacere perché avevino fatto magare tante piacere alle uomine... io era senza moglie, e certo che trovaiel’America! E cosí era diviso il lavoro: io doveva comandare alle donne, Marchese doveva ventere l’oglio, il massaro Bastiano doveva comantare alleuominechescotelavinoli olive e li 2 fratelle Rafele e Paolino dovevino stare nel trapito per macinare l’olive e per fare macinare l’olive di tutte i convicenate che erino nel terretorio e volevino macenare nel nostro trapito: pagaveno e macenavino, e la sanzadovevinolasciare. Cosí, io con quelle donne ci sapeva fare, li confortava, alla sera ci dava umpoco di oglio nascosto, ognuno per sé,perconzaresel’azalata 10, ci dava vino impiú, ci dava pasta impiú, e cosí olive ni coglievinoper2volte,etutte li sacchie li carrecavino loro, e tutte li rovette 11 che c’erino, poverette, magare che si spenavino li mano, olive non ni lasciavino, perchésivedevinorespetate. Poi, alla sera, con queste donne, in quello palazzo del barone, che c’erino stanzuna di 7 mitre quadrate, cominciammo a ballare dalle 7 di sera per fina alla una doppo mezza notte, con quelle chetarre e quelle mandoline. Altro che batia! Che quella femmina anziana, chel’avevaaquardare,come scurava, si n’antava a dormire, e li donne, chi ni poteva fare piú assaie ni faceva. E io penzava quanto era all’Africa, che erimo all’inferno, immienzo a quella maledetta boscaglia, che certe notte sentemmo abaiaresoloanimale.Eora,a Francofonte, io era imparadiso. Ma poie, venne la festa della Immacolata e abiammo sospesoillavoroper4ciorne. Cosí, li donne l’abiammo acompagnatoaBocchierecon li carrette e i chiaramontane cin’antiammoaChiaramonte per la festa, sempre della Immacolata. E io era tanto allecro, perché nella lavorazione dell’olive si quadagnava benissemo. E io disse: «Finarmente ho patito per fina a 40 anne, e finarmente sono fortenato e felice». MaforseilPadreEternosi avesse creduto che la mia razza avesse preso parte ammetterlo nella croce e per ventecaresenonsapevacome ventecarese e si ha ventecato propia di questo Vincenzo Rabito,poveretto,chepeneni aveva visto piú assaie del Mischino 12; e quanto uno nascie per bestimiare, bastimierà per tutta la sua vita… E quente, a venire questa festa della Immacolata era meglio che non avesse venuto,questamaledettafesta de questa brutta Vercine Immacolata, perché era tanto felice e la mia felicetà spario e invece mi ha cominciato il caso del diavolo. Ma io fui preso e condannato innocente, senza sapere il perché. Cosí, una sera, camminanto con il mio fratello Paolo, c’era nebia, ci ho detto: – Paolo, ci viene al cinema? – E Paolo mi ha detto: – Non mi piace la pellicola –. E camminammo, chePaolomidicevaamme:– Se mi capita di antare a sonare, preferiscio antare a sonarecheantarealcinima. Cosí, quella sera, che mi trovavavecinoalmonemento daicadute,misentochiamare di quello rofiano di Pinuzzo Azara, che era inziemme con Luciano Rabito, mio cucino, che lavorava commia a Francofonte, e mi ha detto: – Che facete qui, tu e Paolo, conquestanebiaeconquesto freddo? Perché non venite a casa, che avemmo 2 chile di barbaie 13,licocinammo,eil vino avemmo della Fondanazza? E davero, io e Pavolo, per nonaverechefare,cisiammo antate. Ma io non ci voleva antare;parechemiparlavail cuore, quella maledetta sera. E ci diceva a Paolo: – Saie che io non ci volesse venire, perché nella casa di Pinuzzo Azara non si può aballare, e poi che, di donne, c’ene Ciccuzza, la moglie di PinuzzoAzarasola–.Etutte mihannodetto:–Che,nonte basta che a Passalareco aballammo tanto? – Io ci diceva che non ci voleva antare. E cosí, mi hanno detto: – Cammina! – Quello rofiano di Pinuzzo Azara mi hatratoperilbraccioemiha messo a bracietto, e Paolo prese alLociano, e davero partiemmo per quella desonesta casa, che questa casaeraaSantoRocco. Equellafulaseratachemi hafattoscriverequestolibro. Maie avesse venuto la Macolata! Perché, se non era per questa festa, io di Francofonte non mi avesse mosso. E a causa di quella sera mascherata, io tutto questo veleno nella mia persona non l’avesse, perché si hanno fenito tutte li mieie speranzeesihaconzimato 14 tuttoilmioavenire. E cosí, hanno preparato li lomache, hanno conzato la tavila 15prontepermanciare, ma in uno cantone della miseriosa casa c’era magare sedutaunadonnaanzianache faceva spavento di come con liocchequardava,chepareva una iena atacata ed arrabiata che si voleva sfucare e non sapevaconchiparlare,questa canearrabiata. Io era di Chiaramonte, ma a dire la veretà non la cunosceva. Ni conosceva tante e, per mia descrazia, a questanonlaconosceva.Che cosa ci poteva fare? Perché, se io sapeva che era, non avesseautotantasbentura. Cosí, io la quardava, a questa donnaccia, e mi venevinoammentequantomi trovava all’Africa nel deserto avederequellelionearrabiate quanto avevino fame perché nonavevinopotutotrovarela preda per mancialla. E cosí eraquestamaledettadonna. Cosí, vicino a questa donnaccia, c’era una signorinache,nell’aspetto,di annepotevaavereun25o30 anne. Tutte parlammo, tutte redemmo, ma, quella sera, questa signorina non diceva niente, pare che fosse senza parola. Ma, però, c’era la mammina che parlava per tutte quanti, mentre la signorina pareva una santa, non diceva neanche menza parola. Cosí,ciabiammomanciato li lomache e il vino della Fondanazza ci abiammo beuto.Lamamminadiquella santuzza manciava e biveva magare,perchéilvinobuono ci piaceva anzi piú assaie di noie, che erimo uomine, perché si vedeva che con il bechierafacevaviaggiepiúdi me,dorantechemanciammo. Cosí, passareno 3 ore, si sono fatto li ore 11, e ci ho detto: – Paolo, ci n’antiammo,cheènotte?–E lí dentra restareno la moglie di Luciano, Ciccuzza, e quella mammina de quella signorina che pareva una schiava, una abandonata di questaterra:nonfacevaparte annesuno discorsione. Ma io mi ne era acorto che era la sua mammina che non la facevaparlare. Cierto che, comme ci ne siammo antate io e Paolo, quelle 2 uomine e li 3 donne restareno a parlare per fina alle 2 doppo mezzanotte. E certo chi lo sa quello che hannoraggionato! Cosí, io e Paolo antiammo alletto,perchéiopenzavache all’indomane il mio primo pinzieroeradipreparenetutte li cose che ci serbevino per portalle nel lavoro, perché io non penzava che al lavoro di Francofonte. Cosí, all’indumane, questo pezzo di rofiano di Pinuzzo mi ha fatto la posta per quanto io mi alzava; lui mi voleva parlare prima che io partisse per Francofonte. Cosí, come ha visto che io scenteie per la strada, questo piezzo di rofiano, caminanto caminanto, mi sento dire, di questo rofiano di Pinuzzo Azara (che c’era la rofiana magare di sua moglie che postiava amme, che forse nella notata tutte 2 maleducate non avevino dormito per consumare amme), e mi ha detto: – Quantoavecheticerco! E io ci ho detto: – Ma perchémicerche,Pinuzzo? – Perché tu seie fortenato dovetimetteemette!Perché mi l’ha racontato Luciano. Ora, ti voglio fare fare un buono afare. Vede quella donna che c’era iere sera nella mia casa? Che fa, la conoscie? Eiocihodetto:–No,non laconoscio Elorofianomihadetto:– Quella ene la mamma dell’icegniere che le sta fabricantolacasa.Eieresera, quanto tu e Paolo vi ne siete antate, parlammo, e volevino sapere chi erivo vialtre, e ci hodettocheerivoifratelledi quello che vi porta li lettere. E io e Ciccuzza ci avemmo detto che avevito stato all’Africa e avevito solde, e secomemiavevadettochesi volevaimpegnareumpezitino di terra, perché voleva essere prestate lire 2.000, che per campio ci dava questo pezzo di terra, io non l’aveva, e commia moglie abiammo penzato di daracille tu che l’haie, e per campio leie ti dava il terreno. Quinte, tu ti possiede il terreno e leie si posiedeli2.000lire. Ma io, che non conosceva chi erino, ci ho detto: – Io voglio essere fermata una cambiale per darece queste 2.000 lire –. Ma, poie, io ci ho detto: – Ma come, la madre di uno incegniere può averebisognomacaredime? –Elocretinocheeraiotutto mipriava. Cosí, ci ho detto: – Pinuzzo, gli dice che, se mi firmono una campiale, lo faccio. E cosí, questo rofiano uomo mi ha detto: – Tutte i suoifigliestannotuttebene–. E cosí, mi ha cominciato a dire i tidole di tutte i suoie figlie.Cosí,disse:–Unoene preseteaPiazzaAlmerina 16, uno ene a Ravenna, che ene professore di cennastica, e uno ene dominecano, e poie c’ene una sua sorella che abita a Siraqusa, che ene moglie del cancigliere alla corte di assise di Siraqusa, e poiequiaChiaramontec’ene il figlio maestro. E quinte, questocheeneaChiaramonte ti firmerà la cambiala, e ene quello ciovenotto che cioca alle carte con Pipino Iacono, con Pipino Scollo e con Pipinuzzo Sorce –. Che io li conosceva a tutte, queste bellepersonaccie. Cosí, cretino che era io in quelle momente, vado alla Posta,prentolire2.000,vado nellacasadiquestorofianoe trovo alla donna mamma di tutte queste nobile figlie. C’era magare la figlia che non parlava, c’era il maestro Feluzzo che, come vede quelle2.000lire,s’allicava17 lilabra.Certocomesoldeper ciucare alle carte erino belle! Donna Anna, la ciufazza 18, redeva e la signorina cominciavo a essere umpoco allecra, perché forse che senza quelle mieie solde, che ioavevafattonellabuscaglia all’Africa, questa nobile famiglia non aveva neanche che manciare, con quelle nobile figlie che avevi... Quinte, il trucco ci ha reuscito bene. Certo che la rofiana e il rofiano qualche chilo di pasta la dovettero quadagnare... Cosí, vado a casa, la cambialal’ommessadentrala mia cassetina, e vado a cercare Marchese per vedere quanto dovemmo partere all’indomane matino. Perché io, per mia abitutene, quanto sitratavadilavoro,sidoveva partereprestoequellocheni avemmo a portare lo dovemmopreparareallasera. Mentre, verso li ore 6 di sera,vennequellodesonestoe improglione di Pinuzzo Azara, che mi stava cercanto come un perso, che mi disse: – Vincenzo, faciamice una camminata, antiammo a casa mia, che io ti vole parlare, chetivuolefarefareunbuon matrimonio. Iere, ti abiammo fatto fare uno buono nicozio, che sei remasto molto contente. Certo che tu sei troppo fortenato in queste miseriose tempe: ti ne sei antato all’Africa e portaste tante belle solde, prente l’olive e ci haie un buona quadagno, hai prestato lire 2.000 a donna Anna, che per te fu una onore, e ti hanno fermato la campiale e il terreno per campio ti hanno dato. Quinte, eni il tempo dellatuafortuna,–midiceva questorofiano. E camminammo, e piano pianomideceva:–Losaiche abiammo penzato, io e mia moglie? Che tu ti potesseto farefidanzatoconlafigliadi donnaAnna,lasorelladitutte questeintillicentefratelle–.E cosí, io seppe che quella donnaccia si chiamava donna Anna. Ecosí,iocihodetto:–Tu, Pinuzzo, ti vaie prentento il penziero dello Rosso 19. Come lo saie che quella, con tuttequellefratellenobileche ci ave, può farese fidanzata comme, che io sono uno operaio?Eperquesto,cheio cihoprestato2.000milalire, midovessediredisí?Questo iononlopossopretentere. Cosí, Pinuzzo mi ha detto: – Tu lo saie chi è Pinuzzo Azara, che ene capacia di tutto... E abiammo messo una scommessa di lire 10: che se diceva di sí, questa, amme, con tutte queste fratelle nobile, io ci doveva dare lire 10aquestopezzodirofiano. Cosí, camminanno camminanno, io, per coriosetà,antiammoinquella miserabile casa; perché era il diavolo che mi portava in quello momento. E abiammo trovato a questa mammina, con questa signorina umpoco trocata 20, labra pitate 21. E come vede trasere amme, la signorinasihaalzatoemiha dato la mano, leie e sua madre. E questa signorina si vedeva che cià sapeva tutto, si vedeva che era una donna, mentrelaseraprimadiquella descraziata festa questa signorina pareva abandonata del mondo, pareva una schiava. Ma ora a questa signorina ci aveva venuto la parola. Cosí,questamihadettodi sí e io non arracionava piú, impazie.Cihodettosubito:– Va bene. Però, – ci ho detto, – dateme il tempo di una dicina di ciorne e vi do l’afermazione della mia famiglia –. Cosí, Pinuzzo disse: – Magare 5 ciorne abastino –. Cosí, io perrse la scommessa. A Francofonte tutte le donne aspetavino a don Vincenzo, che li faceva divertireinquellolavoro,che ci racontava tante barzallette dorante il lavoro, li faceva staresempreallecre.Matutte li donne restareno merevigliate che don Vincenzo non era piú don Vincenzo che scherzava tanto.DonVincenzoeratutto campiato. Don Vincenzo la testal’avevalasciatoinquella nobile famiglia: penzava che aveva dato una parola alla signorina sorella di quella nobilefamiglia.Equinte,alla sera, io parlava con Luciano, che li conosceva e si aveva trovato ammanciare quello schifio di barbaiene, e ci diceva: – Luciano, ma come m’ha detto di sí, questa signorina? di prenterese amme, con tutte queste fratelleintellicentecheave? Cosí, mi sono confuso quella descraziata testa, e neanche alla sera piú voleva aballarecomeprimadiantare in quella santa, e desonesta per me, Macolata. Che non penzava piú a quelle donne che mi facevino qualunque piacere, ma penzava a quello descraziato e nobile matrimonio. Che il Pinuzzo Azara aveva impriagato magare a Paolo, con questa nobili famiglia.E Paolomideceva: – Vincenzo, vaie a sicurarete a Chiaramonte per quello fatto di matrimonio che dice PinuzzoAzara. Cosí, mi sono vestito di coraggio, lascio futtere il lavoro e vaio a Chiaramonte, prima ni mia madre: che mi dovevaantareavestire. Comi mi sono levato li robe vechie, e mi ne sono antatoderettamentenellacasa dovec’eralazitaecidoveva antare a dire che la mia famigliaerinocontientepure. E quinte, come sono entrato nella casa, ho trovato al lavoro due miei amici manovali, Saro Calabrise e Ciovanni lu Cacicio. E cosí, loSaroCalabrisechiamaallo Cacicioevaaprentereilcafè nelCaffèRoma. Ecosí,ciabiammopresoli caffè e abiammo fatto tutto e cià io era fidanzato che mi parevaunsugno. Cosí, donna Anna mi ha fatto vedere tutte li retratte daisuoifiglieemiracontava che li suoi figlie senza di questa sorella non puono stare, «non c’ene una festa che passa senza che tutte ci mandonounorecalo». Ma intanto la casa era in costrozione… Io diceva: «Forse che li mobile e tutte queste recala l’hanno portato nella casa della figlia seraqusana che aveva uno palazzo a verso Santo Vito22»… E io, ingnorante, che ci credeva. Poi,mihafattovedereuno crocefisso che ci l’avevino recalato ad Aciriale 23, a donna Anna; e quanto mi racontava il valore di questo crocefisso pianceva. Mi ha fatto vedere la fatocrafia di quanto si sposavo una sua nipote con il dottore, che di quanto recale ci hanno portato,neanchelipossedeva ilbaroneMontesano. Eio,fessa,checicredeva. Poi, mi hanno fatto vedere lifatocrafieiediTuriddo,che sua mamma mi ha detto che questo Turiddo era propia quello che voleva bene a questa figlia che mi aveva a sposare io. Poi, mi ha fatto vedere la fatocrafia di quella recona di Siraqusa, che per Siraqusa questa figlia camminava sempre con la moglie del prefetto; e il suo marito cavaliere, primo cancilieredellacortediassise di Siraqusa, conosceva e aveva crosse amicizie con tuttaSiraqusa. Cosí, d’ogni tanto parlava lasantuzzaeaprovavalipalle che diceva la mammina, perché, se non ci dava racione,silamanciavaconli ochie. Comunque io, quella sera, chepoili2chelavoravinose ne sono antato, restai io e la mammaelafiglia.Nonebbe il piacere di sentire parlare a questa signorina, perché doveva parlare sempre sua madre. E io diceva tra me: «Davero era che la sua figlia ene una santa e ci voglio crederechetuttelisuoifiglie sonosante». E cosí, io vedeva che non c’era niente che manciare, e mi hanno detto: – Arrevederce a presto. Tu, figlio mio, vede come siammocommenate,chetutte linostrerobequinoncisono che li tenemmo dassutta, a Santo Vito –. Quinte, tutto quello che diceva, io ci credeva. E mi ne sono antata dalla mia madre che mi aspetavaemihadetto:–Che ti hanno dato ammanciare questa sera? – E io ci ho detto: – Niente, una tazza di caffè–.Ecosí,miamadresiè merevigliato che era senza manciare e mi ha fatto manciare. E il provebio antico dice ciusto che, quanto uno se sente molto sperto, è piú facile cascare dentra al sacco e fare tante male comparsse di cretino, perché in queie ciorne non era io, perché era umpriaco di nobilità. Che se ciavessestatounospertoper davero che mi avesse dato 4 tempolate nella faccia impubilica piazza, avesse fattomiglio! Compure che era impriaco di nobilità, io, ammia madre, l’avevasemprenelcuorema, per quelle ciornate, io era stronzo con mia madre, non ci dava tanta sodisfazione quanto io ci ne dava a donna Anna, mentre che mia madre mi aveva portato al mondo a forza di sacrafizie e pene, epure io, che lo sapeva, per quelle ciorne rispetava a donnaAnna. Cosí,lasettimanadopomi ha preparato il vestito inziemmi commia sorella e partimmoperlacasadidonna Anna. Cosí, mi aveva vestito bene. Certo che io doveva conferire con il fratello piú crante della mia fidanzata, che si doveva puntare questo cretino matrimonio. Cosí, salo li scale, e lí non c’era nesuno di quelle che io dovevatrovare. Cosí, mentre che io mi stava fomando una sicaretta, quanto sento che vineva Filuzzo e quello rofiano di Pinuzzo Azara e quella rofianadisuamoglie.Ecosí, mihannomessoabracetto:– Cammina, Vincenzo, che antiammo alla stanzione a prentereaVituzzo,cheviene con il treno di Piazza Almerina,evienemagaresua moglie. Cosí, presemo la carrozza, che l’ho pagato io perché Feluzzo solde non ni aveva. Ci abiammo messo sopra la carrozza e partiemmo per la stanzione, che antiammo a prentere a queste 2 crante personaggiechevinevinocon iltreno. Edaverohannovenuto. E io, tutto priato. Che era tanto contente che, come quella sera, stubito cosí non ci aveva stato maie, perché aveva conosciuto a questo presete. E donna Anna, come si assecuravo che venevino il suofiglioelasuanuora,che forse avevino una ventina di mesechenonvenevino,parte evaacomperaremanciareni Maiore 24 per i suoi figlie, sempreconlisoldemieie... E poi arrivò anche l’altra figlia di donna Anna, la prencipessa e la recona di Siraqusa, e il crante suo marito cavaliere, primo cancigliere della corte di assisediSiraqusa. Cosí, doppo una picola manciatina, si ha cominciavo a parlare di matrimonio e il primo parlavo il presete: – Noie abiammo questa sorella e tutto quello che posediammo è tutto suo, e la casa è sua –. Mentre che questo improglione di capo famigliadovevadirelaverità: chequestacasaunamittàera diSebastianoSciacco,perché aveva, la crante mamma di questenobilefiglie,lire3.000 e500lireuscitedallabancae, sedonnaAnnanonciledava, Bastiano Sciacco si prenteva la casa, perché il carante era Sciacco, e io non sapeva niente. Comedisse:«noieavemmo solo questa sorella, è tutto sua», io tutto ho creduto, perché non era uno vidano che parlava, era il presete di Piazza Almerina. Vercogna a direquestebucieie! Cosí io, tra me, diceva: «Che bella fortuna che ci ho tuttoquellochehanno,etutto quello che ci allasciato suo padre quanto morio è tutto dellamiafidanzata». Cosí, io non ci deceva niente.Quellochecivolevino darecidavino. Solo io voleva sapere se, doppo maretato, queste mi davino confedenza, non amme, ma ammeno alla sua sorella,poinonmiimportava se non ci dotavino niente, perchéiononlofacevaperla robba, ma lo faceva perché aveva bisogno di racomantazione. Loromidecevinocheerino importanteederonocapacea tutto. Pinuzzo Azara e sua moglieconfermavino,chemi decevino all’orechio: – Vicienzo, non dire niente, lascia parlare. Vede che non haie da fare con acente qualunque, vede che haie da fare con persone per bene, che tu staie cascanto della vacila dell’oro 25. Tu puoie averequelle16.000milalire, ma li solde si fenisciono, l’importanzaèchelanobilità non zi feniscie maie. Penza chefra20ciornedeventeraio ilcognatodelpreseteediuno incegniere e di una signora che a Siraqusa è carcolata comeunaprencepessa! E, quanto parlava italiano comme, questa sorella mi facevacapirecheeralauriata magareleie. Cosí, erino li ore 12 della notte e abiammo termenato questa senzibile reconoscienza 26 di poche parente della fidanzata. Io l’ho salutato a tutte, non comeamicomacomeunopiú dentra di uno parente. E alla zita l’ho salutato particolare come fidanzata, perché fra una vintina di ciorne mi doveva venire moglie per tuttalamiavita. Cosí,hosalutatoalladonna Anna, che era, in quelle ciorne, mamma della pace dellacasa... E mi pareva che, con quello matremonio che stapeva facento, stapeva scoprentoun’altraAmerica. 1 serbemento piú non ti ne posso dare:nonpossopiúservirti. 2 trapito:frantoio. 3 nicozio:affare. 4 partenzadicase:gruppodicase. 5 scotolalle: battere i rami e farle cadere. 6 Buccheri. 7 pareco:parroco. 8 li aveva a babiare: in questo caso,ledovevamolestare. 9 batia:abbazia. 10 conzarese l’azalata: condirsi l’insalata. 11 rovette:cespuglidirovi. 12 GuerinMeschino. 13 barbaie:grosselumachescure. 14 conzimato:rovinato. 15 conzatolatavila:apparecchiato latavola. 16 presete a Piazza Almerina: presideaPiazzaArmerina. 17 s’allicava:sileccava. 18 la ciufazza: la Giufà, la sempliciona. 19 ti vaie prentento il penziero dello Rosso: ti stai preoccupando di cosechenontiriguardano. 20 trocata:truccata. 21 labbra. labra pitate: il rossetto sulle 22 UnquartierediChiaramonte. 23 Acireale. 24 RistorantediChiaramonte. 25 staie cascanto della vacila dell’oro: stai cascando nella bacinella dell’oro. 26 senzibilereconoscienza:delicata presentazione. Capitolotredicesimo Laquerraincasa Evenneilciornno24.Che maie avesse venuto per me quello maledetto 24 gennaio, che ho preso una crante collera,invecidiunaallecria. E quel maledetto ciorno ha ciornato conni una fortte pioggia e un vento e un freddofortte. E cosí, la matina che aspetava tutte li nobile parente,dentraallacasadella zita c’era io, Nella e la bella di donna Anna sole. E con tante preparetive non c’era nessuno. E io che mi aveva fatto il cunto che la casa era stretta! E tutte li crante signore che dovevino venire nonvennero. Eiodiceva:–Eperchénon sono venute? – Mentre parlava la santuzza di quella che mi doveva venire moglie e mi diceva: – Non ti arrabiare perché non sono venute i miei, perché sono stato di parola sempre –. E poi,pernonmifarearrabiare, mi diceva che: – A quest’ura sicuro che dovessero essere dentra la chiesa tutte, perché la ciornata è con acqua e vento;epoichetuancoranon li sai i fatte di questa casa, cheimieinonpuonovederea mia madre, che sempre fa vuce, e quelle sono persone civileenonlapuonosentere, e a quest’ora sono tutte che aspetinodentralachiesa. Cosí, si hanno fatto li ore 9. E certto che alle 9 era tarddo, certo che fuore c’era quello mastrise 1 di Filuzzo che aveva avvisato a quello rofianodiPinuzzoAzaracon la machina che si metteva pronto per venirene a prentere. E poi c’erino tante compagni di Filuzzo che spetavino che io mi sposasse e dare l’assartto alle cose di manciare. L’ebiche erino miserabile, chemanciarecomeoranonci n’era, e poi sentevino «dolce»,etrovareaunocome me, troppo di cuore buono, tutte venievino per dare l’assalttoalledorce. Cosí, io e la zita ci abiammo messo dentra la machena e in 2 menute fuommo dentra la chiesa, e trovammo solo a quello santi di padre Pietro che stava servento la messa, e io e la fidanzata messe in cinochio vecino all’artaro. Che, per me, io mi aveva voltato e dentra la chiesa c’erino solo le piciotti amice di Filuzzo, mia madre, mia sorella e Paolo, il mio fratello, e qualche amico mio, e li maleducate figlie della molinara amica di donna Anna,chiamatediCatania.E poi, non vose 2 venire neanche Vituzzo Scaghiola e neancheTureRivietto,perché non potevino vedere alla donna Anna, solo che c’era Ture il Marchese e i suoi cognate, che avemmo avuto tanta fortuna a Francofonte, perché erimo state compagni nell’olive. E io non mi poteva immacinare mai che non aveva venuto nessuno di quelle crante signore, che sempre in quelle 20 ciornne difedanzamentononziaveva parlato altro che vinevino tutteelirecaleerinoprontee il posto era pronto; e poi dicevino,questoimproglione, che non erino recale come si usa a Chiaramonte, ma erino recaleausoCatania. Cosí, ci abiammo sposato. E io, per me, a dire «sí», mi pareva che mi avevino condannatoa30anne. Poi che io sapeva che l’immitate3erinoassai,dorce e licuore, io ni aveva comperato assaie, e tutte manciaveno e bivevino, però nonsapevinochetuttequeste soldel’avevinouscitoio,tutte sapevino che l’aveva uscito donna Anna, perché altrementemidicevinocheio era bestia, che lo spesato del matrimonio, le solde, ci l’aveva messe io... perché in qualunche famiglia, povera quanto sia, magare di scupostrade 4, lo spesato del matrimonio sempre l’avesse fatto la famiglia della fidanzata. Ma questa nobile famiglia erino tutte morte di fame, tanto che mia madre, di povera che era, si ne era antatonelfornnodellePattee fece 2 tumila di pane e pizze e scacci, perché io ci aveva detto e l’aveva pregato che nella casa di quella nobile famiglia non c’era niente per manciare e, se vinievino i suoinobileparente,nonc’era neanche pane. E mia madre, che per me che mi voleva tantobene,poveretta,dovette fare il pane per manciare a cente desoneste che poi, invece di rencrazialla, per butana fu lassata e per criata fu chiamata 5; e quanto vedeva a questa maledetta femmina, magare tineva paura di avvicenare dove stava il suo figlio Vincenzo. Vercogna! Che famiglia di miserabile!Equestecoseche hanno fatto con mia madre, tantabuona,sièverochenel cielo asiste il Patreterno, se devino pagare sempre. E lo pacherannomagareifigliedi queste male acente, a improgliare amme, tanto modesto che era in quelle tempe. Cosí io, quanto tutte si ne sono antato, e restammo io e mia moglie e la maga di sua madre, hanno cominciato le primefruste 6, che io voleva sapere il perché non hanno venutoquesteparenti,perché tutto questa presa in ciro e tuttequestelazzaronechenon zi sa quello che avevino a portare di recale e poi non c’eraniente.Eminomaleche avevafattoil25chiladipane miamadre… Cosí, ci acominciammo a sciarriare della prima ciornata. Mentre venne un telecramma di Piazza Almerina, dove diceva: «Buona fortuna e felicetà. Sempre io e mia moglie siammo malate e non abiammo potuto venire». Quistaèlaprimavigliachiata miserabile, e ci fu una custione. Poi, doppo 15 minuti, venniro altre 2 telecrammi, dove decevino che non avevinopotutoveniretuttala crante famiglia riale di Siraqusa, dove il telecrammo dicevacheerinotuttemalate. E quinte, io disse: – Che maravigliachelituoiparente sono prese della maletia… Chehannotuttelaspagnola? Mentre revava il telecrammo di quello crante uomo scenziato di Ravenna, che era propia il mago di questa sorella, ed era malato luiesuamoglie.Eiodisse:– Fossemegliochemorevino,e non prentere per fessa amme efarememaretareconqueste promessechemihannofatto. Vercogna!Chesignorecheci sono in questa miserabile casa… tutte malate cascaro ora, tutte il ciornno 24! Ma perché queste l’hanno fatto, perqualemotivo? Mentra mia moglie mi diceva: – Il fatto ene questo, chenonpuonnovedereamia madre,eperquestononsono venute –. E io ci diceva: – Non ene che non puonno vedere a tua madre, ene che non puono vedere alla famiglia. E quanto un figlio non pole vedere a sua madre e sua sorella, voldire che si vercognino,evoldirechenon sonofratelleesorelle. Cosí, versso sera, venni padre Pietro e portò un crucefesso e lo ammesso al capizale. E tutto questo era l’oro che dovevano recalare tuttequestecrantenobile... Poi, io mi vose passare il piacere di sapere quanto valore che aveva questo crocefisso.Evaionelnicozio di Nele di Pavola. E ce n’ereno tante, di queste miserabole crocifessa, che costavinolire12.Equinte,il valore che hanno recalato questa nobile famiglia era stato di dodice lire. Vercogna! Mentre li mieie tinte 7 parente: Vito, che era il piú scasso 8 della mia famiglia, aveva comprato un tinto recalo di lire 16, e la mia sorella, che era «butana e morta di fame», come diceva donna Anna, mi aveva recalatounrecalodi30lire,e mio fratello Paolo, che era «bichino», compravo una Madonnachespeselire40,e miamadre,cheera«butanae criata», fece il pane e tante pastiere,perchéaltremente,se non avesse stato per quelle 2 tumila di pane, avessero crepatotuttedifame. Poi,SaroCrucicufinaesua moglie hanno portato un quatro che ci ha costato lire 50,poiVitoSalernnoportavo un servizio che costò lire 30, poi Tato dello Barsagliere portò un servizio che costò lire 25; e tante altre amice miei, che non hanno venuto perchénonpotevinovederea questa miserabile e discraziata donna, che mi potevino portare tante belle regale,nonpuotinovenire. Cosí, lo piú povero recalo chemiannoportatofupropia quello di quello padre Pietro, che valeva lire 12, mentre quanto veneva qualche tapinara amica della stessa marcca di donna Anna e volevino vedere li recale che ci avevino portato nello stubito matrimonio, subito mamma e figlia prentevino quello schifio di crocifisso e cilofacevinovedere,epoici decevino, mamma e figlia, che era crocifisso dato di padrePietroeavevailvalore di assai solde e ci facevino capire che costava 2, 3 cento lire! Ungiorno, antai a pregare a mia madre che mi venesse affareunavisitaallacasa,che pareva una vercogna che una mamma, doppo tante sacrafiziecheavevafattoper rinescire 9 a un figlio, e poi non poteva venire affare una visita al figlio apena maretato; mi pareva bruttessimo. E cosí, mia madre, poveretta, davero ci vinne. E come venne, questa mala femmina subito ci ha detto male parole, e mia madre, poveretta, subito si n’antò. E comesin’antòmiamadre,io la vado acompagnato a casa sua e mia madre disse: – Maledettodiquannofuchevi avetesposato. Io, tanto rispiaciuto, mi ne sunoantatoacasaesubitola donna Anna mi ha detto: – Tu,atuamadre,quinoncila deveportare,perchéliacente non siammo tutte li stesse. Sai che tua madre non ave li figlie come l’haio io, e tua madre affatto la serbba e io offattolapatrona? Cosí,iosubitocihodetto: –Laserbbaeunllavorochesi fa, abastica non affatto la butana! E vi levavo la fame avvoi quanto avete maretato lafiglia. E cosí, socesse il caso del diavolo tra me e questa maledettadonna. Poi, io penzava che aveva stato all’Africa e ho visto tante animale e servaggie, e nonpottemurire,esacrafizie nioffattotanteenonmisono preso di paura, e ora, con questa maledetta donna, mi avesseaffarepaura?Madeve scappare lei della casa e no io, e io voglio compattere questa mia mala sbentura, vediammocomemifeniscie... Poi, io lo diceva a mia moglie: – Ma come si deve fare con questa tua nobile mamma?–eabassavoceper non lo fare sentire alla mammina. E lei mi diceva: – Ecquo perché non hanno voluto venire i miei fratelle! Ti sei fatto convinto? Qui, questa casa, lo sai quanto potissimo stare bene e venire sempre i miei fratelle e mia sorella, quanto muore mia madre... E io con queste parole mi confortava e diceva: «Chi lo sa si è vero quello che dice miamoglioseèimprogliona cometuttalafamiglia…» Allasera,nellaSocità 10,e in tutte li discussione che si facevino, si diceva che la Cermania aveva preso il Bercio e stapeva entranto nella Francia; e l’Italia, che eraconlaCermaniauniteper fare la querra alla Francia e l’Inchiliterra, si ammesso a chiamaresoldate. Ecosí,ipremesoldateche chiamarenofuorinonoi1898, 1899, che uno di queste era io, tutte marevigliate che l’Italia chiamava soldate e chiamava propia noi, che avemmo41anni. Cosí, come la donna Anna intese che c’era la querra e chiamavino propia a me, si affatto il cuore, che io parteva, e diceva: «Questo miracolo mi lo sta facento il Patre Eterno. Che, cosí, muore!» Mentre che si doveva mettere a piancere, quanto senteva «querra», perché ci l’avevamagareleitantefigli! Equantosenteva«querra»,si doveva mettere a piancere come piancino tutte le mamme che hanno li figli in querra. Poi, doppo tri ciornne, davero ni ha venuto la cartolina di precetto che dovemmo partire per soldato e ci dovemmo presentare al destretto di Raqusa il 20 febiraio 1940, che io aveva neanche2mesechemiaveva maretato. Io diceva: «Con quella querra che ci avevino stato, c’era stata mia madre che avevaprecatoperme,maora cheebbequestadischiraziadi maretaremi con questa discraziata famiglia, che e ca deve pregare per me?» Che, semoreva,tuttepotevinofare un devertimento, con la tanta penacheavevinoperme... Cosí, ci hanno dato tutto comefosseiltempodiquerra e ci hanno mantato con il treno a Cela. Ci hanno fatto farelitentevicinoalmare,e alla notte davero erimo che montiammo la sentenella con il fucile carico e tante mitragliatricepuntateluncoil mare, come fossimo in tiempodiquerra! La nostra conzegna era che, se vediammo, spece di notte, nave che si avessiro avvicenate alla spiaggia, si doveva sonare l’alarme per paura che venissero l’inchilese.Ecosí,l’inchelise non venievino e noi stammo buone. Poi, seppimo che il nostro colonello era il notaio Melfe, che era il comantante di bataglione ed erimo a posto. Tutto il battaglione erimo 2.000 e, di queste 2.000 soldate, 30 erimo paisane, tutte di Chiaramonte. Io penzava che c’era, vicino di Cela, Piazza Almerina, che tutte li ciornate parteva il camio per fare la spesa, e tra mediceva:«Chisaselosape il fratello crante di mia moglie, che ene il presete di Piazza. E se lo sapesse fosse buono, cosí io potesse prentereunabuonaamicizia». Poi, mia moglie che mi l’avevamantatoadire:«Vaia fariciunavisitaamiofratello, che l’altro iere mi lo scrisse. Che mio fratello Vituzzo comme era stato tanto buono». Cosí, io mi ho fatto convinto. Cosí,daveropartiio,evado aPiazza.IoaPiazzaciaveva stato per lavorare e non valeva niente come persona, ma antantice per trovare al preseteefacendocicapirealla centechequellocranteuomo era il fratello di mia moglie, io, che era il marito della sorella, c’era una crante difrenza. E tuttu che mi priavaecaminavacontente;e quelle stesse che erino nel camio, che ni sapevino qualche cosa, mi portavino tantorespetto. Cosí, mi sono presentato alla scuola vestito di soldato. Noneratantoscomitovestito, e malecomparssa non ci ne poteva fare fare, perché d’ognuno diceva: «Questo ene soldato», ma chi lo sa qualecarricacheioaveva! Poi, come ni abiammo visto,perdirelaverità,miha presentato a tante suoi colleca, dicentoce che io era comirciante ed era marito di sua sorella. E per davero mi hannorespitato. Poi, alla sera, antiammo a trovarealcapostanzione,che erinomoltoamice,emiciha presentato, e ci ha detto: – Questo ene il mio cognato che, se potiammo, lo dobiammo fare trasere come impiacato nella Ferrovia, perché lui eni commirciante, l’affare ci vanno male e non vole fare piú il commirciante –. Amme quella proposta mi ha piaciuto tanto, perché piú furbba di quella penzata non cinepotevinoessere. Io, in quella ciornata, era tantocontentechecomequel ciornno non ci aveva stato mai, poi che mi aveva fatto tante scuse perché non fu presente al matrimonio e poi chemiavevadettoche:–Pir orac’enelaquerraedevefare pacienza, ma tu sarai sestimato. Cosí, ci n’antiammo al cinima.Mihadetto:–Perché non viene tua moglie appassare 3, 4 ciornne qui, mentrechetuseivicino?–E con quelle parole mi senteva unodiquellebuone. Poi, sua moglie, che era tantacentileversodime,che io credeva, mi ha detto: – Vincenzo, lí a Cela ci deve essere vino buono –. Mentre respose il suo marito e disse: – A mia moglie, che ine di l’Art’Etalia, ci piace il vino della Sicilia –. Io, sentento questo, pare che mi davino umpremio, e ci ho detto: – Non ti priucupare, che un bello buteglione di vino ti lo porto fra 4, 5 ciorne. E io, quanto dico una parola, la faccio. Cosí,iostese2ciorna,che fu tanto sodisfatto. Ci abiammo salutato con dire: «Arrevederci». Io che penzava che ci doveva portareilvinobuono.Eprese l’auto busso e partie tanto allecroecontente. Cosí,ioaVittoriacivoleva antare, per quella parola che avevadatoperilvinobuono, che Vittoria era la mamma delvinobuono,evolevafare una buona comparssa e per farece capire che questo benedetto presite aveva un cognatocheeradicorebuono elasuasorellaavevacapitato ummarito che era affettuoso conlafamiglia,ederatroppo pontuvale. Dopo qualche tempo, andai a Chiaramonte in licenza. E c’erino 3.500 di cambiale sulla casa. E, quantopiúpresto,licampiale ci le passavino sopra la metà dellacasa,epoisilaprenteva BastianoSciacco.Ecidico:– Siente, Bastiano, ti piace come dico io? Avante che partiammo per Cela, ti piace cheli3.500lire,primachetu lepasseallabanca,lisolde,ti li do io? Portammo a donna Anna di fronte al notaio, e cosí, sempre alla buono, ci faciammo fare l’atto della metà della sua casa, avantica silamancialalige.Cheiomi sonomaritatoinbuonoafede, con tutte queste figlie riche che ci ave, e staio restanto senzaniente... Cosí,BastianoSciacco,che erimo amice, che avemmo stato tante volte soldato inziemme, mi ha detto: – Fai bene,Vicenzo. E antiammo nel notaio. Il notaio sapeva tutto; ha chiamato a donna Anna e ci hadetto:–Levostrefiglieve mantinolire100almese,voi dovete pagare l’intresse della cambiala,epoichecidovete manciare,epoidovetepagare La Fontifaria 11, e non vi bastino,equinteviprotestino la cambiala e la casa si la mancialaleggi,mentre,sela vostra mettà ci la ventete a don Vincenzo, ecco si paga tutto lui, che il marito di vostra figlia ave questa bella volentà. E donna Anna ci ha detto: – Come dice lei, notaio, faccio. Ecosí,siaffattol’attoeio ho pagato tuttu. E cosí, la mita della casa era mia. E però, dandoci li soldde io, tutte li soldde che io aveva cià, mi n’avevino restato poco. E io, con i solde che ho spesodentraquestamaledetta casa – con 16 mila lire, oltre al quadagno che aveva auto con don Turiddo il Marchese –,mipotevacomprare2case, e inveci mi ho trovato senza soldeeconniunacasachela notte, quanto piove, si deve stare dentra con il paracqua apertto. Vercogna! Che casa disignore… Poiiomisonopresodiun buono sentemento e parlaie conSaroModica,quellodella luce, e disse: – Tutto ho persso, ma ora mi voglio passare umpiacere, voglio spenterequestopocodisolde chehaio:civogliometterela luce e magare il campanello –. E don Saro Modica mi ci ammessotuttoinunciorno.E cosí, all’endomane assera, dentra a quella casa rotta, c’erinomesse16lampadinee unbuonolampadario. Cosí, doppo metirece la luce, donna Anna, di quella ciornataimpuoi,nonmipotte vedere piú amme. Che, con quella comperata di mezza casa sua, non ci potte pace piú, sempre che mi mantava iastmi 12, sempre che mi diceva: «Tu deve morire ammazato, perché ti haie presolamiacasa».Etutteci dicevino: «Ma quello, puvirieddo, vi ha dato li solde,mentrechelacasa,alla vostrafiglia,ivostrefiglieci avevinodettochecidotavino la casa, e invece nella casa c’erino tante dibite. E rencraziateaDiochel’aveva luelisolde,altrementelacasa silacompravalaleggie...» Cosí, si hanno fenito li 15 ciorne di licenza e ho partito per Cela. A Cela ci hanno fattoatennare 13allacontrada Monte Lunco, che era una fortte propietà tutta piantata dimandole.Ecosí,abiammo fatto tante belle tente, fra i quale quella tenta che avemmo fatto i 10 chiaramontane. La piú bella doveva essere la nostra, perché erimo paisane del maggiore. E questa tenta era io che l’avevaafaredeventarebella, perché io era l’unico soldato cheavevastatoneldiserttodi Tobruch, era io che aveva stato 33 mese all’Africa, era iocheavevastatoperquase5 anne sempre sotta li tente a dormireederapratico.Poi,io ciavevatantapacienza. Cosí, a forzza di legna e ramustelleepacienza,fecimo una tenta per diece soldate tutta con li lette a cucette. E poi c’era dove si aveva a ciucareallecartteec’erinoli tavolineelisedie. Poi venni il 24 maggio, o era il 20 maggio, o era il 30 maggio, non recorddo il ciornopreciso14,edovettimo antare a Cela, che di Monte Lonco, dove erimo acampate c’erino3chilomitre. Ecosí,partiemmotuttedel campo. E come revammo a Cela, abiammo saputo che doveva parlare il duce, il re, Batoglio, e tutte 3 dovevino annonziarechel’Italiadoveva dichiarare querra alla Francia eall’Inchiliterra15.Edicome dicevino tutte 3 alla radio ci affatto tanta impresione, che vineva di piancere quanto dicevinochesidovevafarelo sbarccoaMartta. E poi se diceva che dovemmoantareinArceria,e poisidicevachenoiavemmo antare in Tonnisia. E cosí, ci hanno fatto prentere di paura e ci n’antiammo tutte di ummaloamore. Ma, però, non antiammo annessuna parte, che restiammo sempre a Cela. Solo che amMmarta ci antavino li aparechie. E se ci ni antavino 10 alla sera a bombardiare, ni retornavino 5, perché li artigliariei li facevino cascare, perché Martta era molto fortificata dagliinchelise. Quinte,laquerrainfuriava: la Cermania traversava il Bercioestavaperconchistare Parici. Cosí, l’italiane presiro la Tonnisia, presiro Nizza e Savoia, e combattevino inziemmiallaCermania,epoi hannoconquistatolaCregiae l’Arbania. E la Francia ha capotalato16. E quinte, si hanno visto la querra vinta tutte le 3 crante nazione, e c’era pure il Ciappone che combateva contra l’Amirica e stava conquistantotuttoilterretorio cenese.Chequeste3nazione si chiamavino «il tre partito Roma-Berlino-Tucchio» 17, che si diceva che erino invencibile. Cosí, intervenne la crante Rossia,cheeracontradinoi, della Cermania, e in favore all’America. Tutto si poteva pensare e no perdere la querra. Cosí, tutte l’italiane erimo contente con queste belle posezione che avevino preso queste tre nazione. Cosí, la Cermania stapeva prentento la Russia, e l’Italia ci ammantato un corppo di armate, e per fina tutto il 1942erimostatevetoriose. Poi veneva il mese di ciugno, che cominciavino a matorare tutte le frutta, perchéfacevamoltocalddo,e cominciavino a matorare li fico, li milone, li pirecella, li persiche 18. E queste frutta non erino dei principale padrona, ma erino di noi soldate. Perché alla sera volemmofaretuttelarontae volemmo tutte cirare campagni campagni allo scopo di manciare frutte; e li padrone bestimiavino e recramavino sempre, e raggionenonniavevinofatta mai. Poi, cominciavino li milone,equinteantiammoin cercca di milone: e con il coltellosicifacevaunabuca e se era rosso ci lo manciammo, e si era bianco, chenoneraancoramaturo,lo cirammo di sutta sopera, di maniera che il padrone si pareva che non era tucato e quantoloantavaaprenteresi facevalisanquiacqua. Ein8mesedistareaCela lunco il mare non abiammo sparato un corppo di focile. Manciammo e bivemmo, cantammo, e tutte i soldate avemmo adiventate crasse comemule,ed’ognunodinoi eraaumentato10chila. Cosí,questabellavitadorò per fina a tutto il mise di ottobre,cheebimoiltempodi fenirne di manciarene tutte li frutta che ci avevino stato nelle campagne, e cominciava a venire l’inverno. E poi che aveva venutaunaleggiecheaquelle che ci avevino 4 figlie li mantavino a casa, perché forsse che al coverno ci costavaassailiasegnecheci davino, e cosí, stavimo restanto poco. Ma, però, non pareva tempo di querra piú, che la querra sapiammo tutte cheeravinta. Cosí, ci hanno fatto capire chenonc’erabisognodinoi, e si diceva che ci dovevino concedare a tutte noi del 1899. E ci n’antammo tutte in concedo che pareca si avesse fenitolaquerra. E cosí, anch’io mi ho concedato. Ma per me era cominciata la querra, ad antare a stare inziemme con quella canazza femmina. Ma poi disse: «Questo ene il momento che amme mi potessero fare un favore li parente di mia moglie…» E quinte,orasivedevaseerino fratelle, ciusto a quello che tante volte avemmo raggionato,cheilpostomilo davinocomemiconcedava. Ecosí,iocifacevascrivire lettre a mia moglie. E mi dicevino: «voggie», «domane», «sempre»... E io stava sempre con quella maledetta speranza, con queste improgliona acente che dicevino che erino signore, ma erino peccio di uno vedano inaffabeto, che piú assaie ci scriveva piú disonesteerino. Cosí, io le solde li aveva fenito tutte e c’era di tastare macare la fame, e cercava di come poteva fare per manciare. Cosí, tutte i ciorne bestimiava. Mia madre quantomivedevapianceva. Cosí, mi ni antai a Raqusa appiedeperantareatrovarea don Vito Vintura, che questo era impiagato al tempo di fascisimo all’oficio di collegamento dove facevi partere operaie per la Cermania. Che cosí io, per mezzo di questo, poteva partire. E cosí, davero fece, chepreselastradaapiedeper fina a Raqusa per antare a pregareaquesto. Cosí, arevato a Raqusa, trovo propia a chi cercava, e allora, parlanto con questo Vito, mi ha detto: – Sí, ti facciopartire. Cosí,mihopresolastrada per antare a Chiaramonte e, alla sera, sono revato tutto bagnato,perchéerailmisedi dicembreesemprepiuveva.E come vado per trasere dentra a quella maledetta casa, che mi ne era pentito che mità io mil’avevacomperatoeaveva restato senza un soldo, e ora non ni aveva neanche che manciare, e come sono salito le scale, ho trovato a mia moglie che prenteva acqua del pavimento, perché aveva piuuto fortte e, secome la canolata 19 che avevino fatto quelle mastre non aveva pentienza, l’acqua, quanto piuvevaforte,invecediuscire fora,trasevadentra. Ecosí,ioerabagnatoemi dovette mettere a butare acquafuore. Chedescraziacheioaveva capitato con questo miserabile matrimonio, che mi dovette magare comprare la casa che, quanto piove, piove magare dentra! E poi che doveva dare conto a quellacanazzafemenaestava sempre disperato e mi aveva confuso e non sapeva come fare. Cosí, c’era il lavoro alla Madonna delle Crazie, che stapevino piantanto la pineta e c’era uno assestente delle quardie forestale e una cinquantina di contatine c’erino che piantavino le albere. E gli disse se c’era umpostoperlavorareperuna ventinadiciorne. Epreselozapune20evado alla Madonna delle Crazie, e perstradabestimiavaediceva che, prima di maretarime, io era padrone che comantava e avevalaqualificadipiconiere e poi aveva stato impresario di olive insiemme con Marchese don Toriddo e donn’Adorffo e li cognate di Marcheseeavevatantesolde, e ora mi trovo con questo zapone alla pineta, e miserecordia, e mi fanno lavorareperpoteremanciare! Maria, che vercogna! Io, che mi voleva fare bello, io che mi aveva sposato a una sorella di uno incegniere e una sorella di una che mi deceva che a Siraqusa era tratatacomeunaprencipessa, iocheavevaunasorelladiun santopadrePietro,chenonsi sapeva tutte quello che per meavevinoaffare… Ecertochetuttequelleche mi conoscevino, che il paese è picolo, dicevino: «Chi era questo? Quello che nello olive ci avevino restato tante solde? Che era questo? Quello che aveva venuto di l’Africa che aveva tante solde?Chieraquesto?Quello che aveva fatto un ricco matrimonio? Ecco che si trovaconnoiedavelistesse soldecheavemmonoi…» E io lavorava e faceva silenzio,emuzicavaferro. Cosí, io, alla sera, quanto vineva, non solo che vineva arrabiato come un cane, che midovettesocitare21affareil vedano, che aveva fatto tante sacrafizie per non lo fare, e poi,davantelaportadiquella disonesta casa, trovava a quellacanesopralabanchina che, quanto passava, mi diceva: «Latro! Mi haie robato la mia mezza casa!» Che voleva solde e casa. E poi mi diceva: «Ammazato devemorire!» Io era fenito. Tutti li volte che passava sempre dicento cosí. Io stava uscento pazzo. E poi mi diceva: «Se mi la fido 22, ti devo mantare in calera…» Poi che questa maledetta casatuttarottaconfenavacon unoproffessorecheabitavaa Palermmo ed ogni anno vinevaappassareselivacanze a Chiaramonte, e questo professore era chiamato Ingnazio Melfe, ed era muro con muro della descraziata casa; per pura compinazione, c’erano una picola banta paisanachelanotteantavono arrobare,chesichiamava:«la bantadiPuliceSecco»,ecosí questa banta hanno robato una notte, e hanno robato in questo professore. E quinte, alla matina, il professore ha fatto dinunzia alla casermma dai carabiniere. E quinte, nelle vecenanze della strada c’era la batuglia dei carabiniere. E cosí, hanno domantato a tuttoilvecinato.Equinte,era l’oradidirecechefossestato io arrobare… E cosí davero fece quella desonesta donna: checomecihannodomantato chi potesse essere il corpevole,ladescraziatacana ci ha detto che fu propia io cheavevaarrobato. Cosí, li carabiniere si ne sono antate nel professore dicentoci che era io quello che l’aveva arrobato. Ma il professore Melfe, che conosceva amme, ci ha detto ai carabiniere che io non era capacedirobare:–Chesono oneste tutta la famiglia, e quintenoncicredo. Io,conquestoMelfe,c’era stato con la Melizia a Palermo e mi conosceva assai, poi che era scritto al Nastro azzurro. E quinte, quella cana donna non fece niente, restavo di lordda 23 cheera. Io non sapeva come fare per fare scandoliare 24 a questa delenquente donna, e penzavadicomeavevaaffare per farlla prentere di paura quanto lei vedeva amme. Cosí, io mi ne sono antato a parlare contra di lei alla caserma. –Eorasequestaancorafa la delenquente, – diceva il maresciallo, – metiemmo dentraallei. Cosí,io,almaresciallo,per dispetto di quella nobile famiglia,cidiceva:–Magare facesse questo, che a questa maledettadonnalametessea camira di sicurezza 3, 4 ciorne,chefacessetantobene amme, che mi lassasse impace per fina che partisse per la Cermania... E magare lassasse impace a tutto il quartiere della via Tommaso Chiavola, e magare a tutte i suoifiglie… Cosí,questadonna,tuttele serecheiovenevadellavoro della chiesa della Madonna delle Crazie, piú nella banchina dela casa non zi faceva trovare, perché forsse forsse che qualcuno ci aveva detto: – State atento, ora che l’avete dinunziato a Vincenzo. Cosí,ladelenquentedonna, quanto sapeva l’olario che io vineva,evinevaarrabiato,lei subito si n’antava. E si n’antava allo Corsso, che lí c’era una certa putiara chiamata «Ruvina», che era dellastessamarcca,ecidava la sedia, e poi, come si sideva, volevino sapere tante cose di tutte li sciarre che io ellei avemmo; e si passavino iltempointante,fralequale vicinoc’eraunochefacevail barbiere, che si chiamava Pipino Arabito, che avemmo stato tanto tempo inziemme soldato, e questo amme mi defenteva, se la senteva parlare. E poi sempre questo Arabito chiamava a un certto PaolinoDavola,cheavemmo stato pure inziemme soldato, e poi c’era un certo Ravalle Cioseppe, che avemmo stato pure soldato inziemme, e poi c’era un certo Pipino Bonencontro, che erimo vicine di casa. E tutte queste erinoinfavoreamme. Io li ho remproverato, perchésipassavinoiltempoa sentireme sparrare. E cosí, io ci ho detto: – Perché non cercate, invece, di direce: «Donna Anna, state atente con Vincenzo, che quello pare manzo 25, ma manzo perché non lo conoscite! Ma noi, che lo canosciammo... Sapete che cosa fece Vincenzo una volta che ci trovammoaPadova...» Cosí, io, al soleto, mi ne sono antato allavorare con quellasbenturadelavoro,che io mi vercognava a fallo, e cosí,questa,lasera,sin’antò allo stesso puosto, allo Corsso,semprepersparrarea me, e queste amice miei si sonoavvicenatedentraquesta putiara della Ruvina e, reprentenno il descorsso che gli avevo detto io, dicentoci: – Donna Anna, voi, con Vincenzo,fossemegliochevi allontanassivo, perché, quanto ci prentino li nervve, non arragiona. E voi ancora, donnaAnna,nonloconoscite che cosa ene Vincenzo. Perché ave poco che lo conoscite,manoi,chefecimo la querra inziemme, lo conosciemmo mieglio di voi. Vincenzo ene uno traditore. Stateatente! Mentreunaltrocidiceva:– Speciarmente che l’avete denonziato al maresciallo dai carabiniere,checiavettedeto che aveva robato ni don GnazioMelfe. Mentre l’altro diceva: – Certo che qualche volta vi ammazza. E donna Anna senteva e nonparlava. Mentre l’altro diceva: – Sapete che cosa fece Vincenzo? Che quanto per una cosa di niente si hanno apicicato con un saldignuolo, e con il saldignuolo non ci poteva, perché quello era piú fortte, una notte si ha sosuto 26, va nel letto del sardignuolo,prenteilpugnale ecilohaimpelato27dentrala pancia. E il sardignuolo morio subito, senza che si sappechelohaammazato.E tuttelibodelladellapanciaci l’affattouscirefuora.Equello descraziato di Vincenzo, comelohaammazato,nonzi affatto né bianco né rosso, e sparte non ha pagato niente, perchéeratiempodiquerra. Ma donna Anna, che ha inteso tutto e ha capito che Vincenzo era cosí delenquente, ci credeva che un ciorno oll’altro donna Annavinevaammazata,epoi penzava alla sua sporcca coscienza,chemiavevadetto cheioavevarobatoenonera vero. Eaquestamaledettadonna sihapresodiunaforttepaura evaacercareunacasa–che cil’hannocercatoquestesuoi colleche «Ruvine», e ci la feciro capitare subito una casa a Piano Salvatore 28 per lire5o6lirecheforino,non recorddo. Si carrica tutte li miserie che lei aveva, che erino tutta la rechezza che c’era in quella nobile e ricca famiglia,eco’l’aiutoditutte «i Ruvine» si ni antò. Certo cheavevapauradime... Cosí, io restai solo e stese impace.Espetavaladomanta perlaCermania. Ma poi senteva piancere allamiamoglie,chesenzadi sua madre non ci poteva stare, e c’era un’altra camurria dentra a quella descraziatacasa. Allora, io penzai che c’era il damuso, che l’aveva affetato una donna piú disonesta di donna Anna, e dissimo: «Fosse miellio che lasasse la casa del Piano Salvatore e tutte li robbe che aveva questa crante e nobile famiglia li portasse nel dammuso.Ecosíio,dellasua robba, non ci la robasse, ciusto a come va dicento lei, che io ci arruobbo le suoi rechezze». E cosí io, con li miei chiachire,feceantareaquello pezzodibutanaemihofatto darelachiavedeldammuso. Ecosí,ladonnaAnnatutto siportòdentraaquellopezzo di dammuso. E questo, semprepermetterepaceeper non mi fare udiare dai suoi nobilefiglie. Cosí,iohotrovatoun’altra volta alla canazza davante la porta, che il lupo, il pelo, lo perde,mailprocederenonlo perdemaie! Poi, finalmente, ni ha venutolachiamataenihanno fatto abile, amme e mio fratello Paolo; ed erimo sicuro che partiemmo per la Cermania. Io era tutto contente,cheiolofacevaper levareme davante a quella precolosadonna. 1 mastrise:furbo. 2 vose:volle. 3 l’immitate:gliinvitati. 4 scupostrade:spazzini. 5 per butana fu… chiamata: per puttanafupresaeperservafulasciata. 6 fruste:scenate. 7 tinte:miserabili. 8 scasso:indigente. 9 rinescire:faravereunaposizione. 10 La già citata Società Vittorio EmanueleII. 11 LaFondiaria. 12 iastmi:maledizioni. 13 atennare:piantareletende. 14 Il10giugno1940. 15 Fu Mussolini ad annunciare l’entratainguerradell’Italia. 16 hacapotalato:hacapitolato. 17 L’asseRoma-Berlino-Tokyo. 18 li fico, li milone, li pirecella, li persiche: i fichi, i meloni, le perine, le pesche. 19 canolata: canali per lo scarico dell’acquapiovana. 20 zapuneozapone:zappa. 21 socitare:assoggettare. 22 Semilafido:seciriesco. 23 lordda:sporca.Qui,malvagia. 24 scandoliare: spaventare, dare unalezione. 25 manzo:buonobuono. 26 sihasosuto:sièalzato. 27 impelato:infilato. 28 UnapiazzadiChiaramonte. Capitoloquattordicesimo IlcarbonedellaCermania Siamo arrivati a Duisburg dinotteeabiammopassatoil primo spavento, che hanno sonato li allarme e li amirecane hanno cominciato a butare bumme. Lí era zona renana,ederanotutteminiere dicarbone.Equinte,presimo li prime spavente e forino li prime paure. Io, di queste, ni aveva visto tante, ma bombe come quelle niente. E io, tra me, disse: «Che lo sa se si tornna,diquestopasso?» C’era mio fratello Paolo che ancora querra non ni aveva visto ed era la prima voltachecirava,emidisse:– Tu ci curppe affaremi venire qui,amienzoquestocasodel diavolo! – E l’aparecchie mirecane sparavino. E io, a mio fratello, ci faceva coraggio, mentre io tremava, perché sapeva che cosa voldirequerra. Entrammo in città, mentre si fece ciornno. E ni hanno detto che erimo propia nel crante fiume Reno, dove c’erino le crante industre della Cermania, che si chiamava«terrarenana»,eni decevino che c’era vicino pure Disidofe, Meiorse 1, e questo fiume era navecabile. E tutte queste crante intustre erinopociate 2 al Reno. Poi, c’erino li Chilubbe 3, dove tutte li cannone li facevino propialí.Ecosírestiammolí, li 150 raqusane o 100 che erimo, non recorddo preciso, eumpocodipalermitane. All’indomane ci sistemammoaRenausen 4, lí l’interpite ni aveva assegnato il locale dove dovemmo antareallavorare,chec’erada fare una contotura di acqua putabole, che amme questo lavoro non mi era dificele e mipiacevatantu.Cosí,miha detto:–Prentete10operaiee fatequestolavoro. Io, cosí, mi prese 10 operaiecheavevinovenutodi Chiaramonte anziemme comme: e uno era Paolo il miofratello.Ecosí,iofaceva ilcaposcuadra. Ma,doppo12ciornne,non mi l’hanno fatto fare piú, perché io non sapeva parlare tedesco.Esecome,unooggie uno domane, di queste chiaramontane, li mantavino allavorare a altre parte, e magare imminiera, che ci mancava il personale; e cosí, restaiiosoloePaolo. Cosí, fenio di fare il capo scuadra e io e Paolo restammo allavorare con i tedesche; ma fu meglio che mi hanno levato perché, in Cermania, il capo lavora piú assai delle altre, specie in tempo di querra, mentre in Italia il capo non lavora. Mentre, se sapeva parlare tedesco, avesse fatto persino l’interpete e non avesse lavorato,masecome,permia sfortuna, non sapeva parlare neanche l’italiano, perché io, da 7 anne, invece di mantareme alla scuola mi hanno mantato allavorare, e quinte il mio distino era sempre lo stesso, di lavorare...Ecosí,offenotodi fareilcaposcuadraedissetra me: «Se io resto assai allavorare inziemme con i tedesche e non muoro, alla fine della querra tanto devo fare che mi devo imparare apparlaretedesco». Cosí, io e mio fratello Paolo cercammo sempre di lavorare con i tedesche e camminare con i tedesche e comperareneunlibrocheera di linqua tidesca e di linqua italiana: però il primo volume, che era come quello delle piciridde della prima elemintare, che spiagava magarelaprinonzia. Cosí, io e Paolo ci hanno dato un lavoro che erimo co’ un tedesco. E cosí, erimo 3 che dovemmo lavorare con una machena, e questa machina faceva li palline del carbone. E noi, io e Paolo, erimo l’aiutante di questa machena. E cosí, il conto che avemmo fatto, io e mio fratello Paolo, ni aveva revoscitodilavoraresolocon uno tedesco e senza lavorare con taliane e neanche compaisa’,semprealloscopo di ampararene la linqua tedesca. E cosí, piú non zi penzava a Chiaramonte, perché si penzava allavorare e stare atento, che tutte i ciorne c’erino li allarmme e tutte i momente si poteva morire, perché questo lavoro che noi avemmotrovatoeraunlavoro fuore, e fuore, allo scopertto, si poteva morire prima, perché repare non ci n’erino, poicheitedesche,pernatura, quanto c’erino l’alarmme, neanchecercavinorecovere. Ecosí,unasera,erimoche cerammo io e Vito Dangelo, che era paisano. Io solo con quello antava d’acordio. E cosí, cirammo per trovare da fumare, ma tutte 2 senza sapere parlare paremmo 2 stubite. Cosí, siammo antate inni unotabachinopervedereche cosa potiammo fare, e in cerca magare di qualche felone di pane, ma, secome non sapiemmo parlare, erino quaie.Cosí,entrantodentraa questo tabachino e abiammo cominciato affare signale. Io mi ho visto afferrare di una bella donna tedesca per il braccio, che con li suoi ceste mi faceva capire: «Camina, vienecomme». Cosí, questa bella donna avevalabicichilettafuoreeni hapresocollesuoimanoeni ha portato dove c’era la sua bicichiletta. E cosí, partiammo tutte 3: lei messa nelmezzoeioeVitodilato. E io e Vito faciemmo tante penzate e potiemmo dire: «Ma questa donna, per fare cosí, voldire che ene una butana,ecistaportantonella suacasa». Io,d’ognitanto,mivoleva fermare e lei mi diceva in linqua tedesca (che io ancora non capia che voleva dire): «Come mitte! Come mitte! Vaita vaita!» Che poi io, doppo 6 mise che era in Cermania, ho capito che «come mitte» voleva dire: «camina,vienecomme». Ecosí,quantoiomivoleva fermare, lei si arrabiava e sempre mi deceva: «Nicose anchese». Che voleva dire in italiano: «niente paura». E cosí,abiammofattoquaseun chilomitro di strada, lei sempreconlabicichilettanel mezzo e io e Vito Dancelo sempre di lato e lato caminammo. Poi, se avesse stato nella bass’Etalia vederene cosí, chisà la cente che avessero detto. E noi stesse ni avessimo vercognato a camminare cosí, come ni trava 5 la donna, che magare cheioeVitononcivolemmo antare,eperforzzadovemmo camminarecomedicevalei.E io e Vito, come fessa, dovemmo camminare come dicevalei. Cosí, finarmente, siammo revate nella sua abitazione, che questa aveva una bella entrada, che c’era un bello portone. Cosí noi, sempre terate di lei, entrammo. Poi, leihaposatolabicechelettae poinihadetto:–Comemitte –.Chevolevadire:«venite». E cosí, la bella signora prese la scala della sua abitazione, e io e Vito dissemo: «Ora siamo sicure che ene propia la donna che diciammonoi.Eccochecista portanno in camira. E cosí, – dissemo io e Vito, – trovammo quello che antiammo cercanto: qui le botane sono piú facele di quellechesonoaNapole(che io mi recordava nella querra 15-18 che tante butane, per forzza,nidovevinoportarein cammira,magarecheunonon aveva intenzione di fare cosa). E qui sono le stesse, comequellediNapole». E cosí, ci ha portato nel salotto e poi ni ha detto: – Seizine ia –. Che era una parola tedesca, ma io no lo capeva, solo che con il segnale che mi aveva fatto si capeva che diceva: «seditove lí». E lei antava nell’altra stanza apresso, e io e Vito restiammonelsalotto. Cosí,ioerasicurocheleie aveva trasuto per levarese il vestitoepoichiamareamme, perché io era piú annirbosito el’occhiol’avevasemprealla porta dove aveva entrato quellasignora.Ma,doppo2o 3 minute, io restaie parelezato,chenonpottedare nessuna resposta... che si crape6laportaequantovedo che, invece di venire quella bella signora, mi ovvisto presentare un crosso uomo, che era circca due metre e di unacrossizzacecantesca.Eio e Vito ci siammo messo in composione. Iononpotterespontereper niente, perché quello crante uomo si ha presentato amme (perchéioerapiúvecinoalla portta, perché aspetava e voleva essere il primo), dicentome: – O siciliane, comestate? Io, per conto mio, era spaventato, perché ci trovammo in un locale tutto sbagliato, e dei conte che mi aveva fatto io non asesteva niente. Cosí,menomalechequesto uomo ci ha detto: – Come state, che cosa si dice in Sicilia? – E poi la prima parolachemihadetto:–Che cosa avete penzato di quella donna che vi ha portato qui? Certo che io conoscio l’abitotene della Sicilia, che, quanto una donna si porta uomine nella sua casa, certo cheviavettefattoilcontoche fosseunabutana… Mentre, con questa bella discusione, io e Vito erimo asserenate e si ha cominciato adesserenormale. Poi, il crante uomo mi ha detto: – Ora vi faccio sapere ilmotivoperchév’haportato mia moglie qui. Io sono umprovessore di licevo, e nella querra 15-18 era maggiore di artigliaria e, nell’avanzata di Curizia che hannofattol’esercitoitaliano, fui preso preciunniere. E da preciuniere mi hanno portato amMissina,ederastatopreso in acosto del 1916. E amMissina m’hanno preso a bommolire7ediMessinanon mi hanno spostato piú, e ho cominciato a imparare il sicilianoel’italiano. Poi, l’Austria persse la querraeiovennerempatriato. Ma, secome l’Austria e la Cermania è stata disfatta, noi dove volemmo antare antiammo. Cosí, io ho retornato amMissina, che mi aveva fatto tante amicizie, e ho trovato un lavoro prevato. E quinte, Messina mi fu a cuorecomeilmiopaese. Poi, la Cermania, con la revolezione che ci fu quanto nel 1932 Iteler assumavo al potere 8, tutte quelle che erimo sbantate fuommo chiamatenellanostrapadriae ci hanno dato il posto che ci atocava e ci hanno conzederato tutto il tempo persso tutto di ruollo. E cosí, io lasciai Messina difinativamente, che poi mi sonoammogliato. Ora, circa una settemana fa, io ho inteso dire che qui, neinostreparte,hannovenuto allavorare diversse operaie della Sicilia. E io sempre ci ho detto a mia moglie che se potissimotrovarequalcunodi queste operaie siciliane di portarle qui, che mia moglie sempre va ceranto e capisce qualche parola di siciliano, ma non sape respontere quanto sente il parlare siciliano. E cosí, mentre veneva sua moglie con una bellissima quantera di pane di spagna e unabotigliadilicuoreetante altrebellecosedimanciare... E io ci ho detto: – Non avesse paura, che ci veniemmo sempre a trovallo, perché io e mio fratello avemmo la buona volentà di ampararenelalinquatedesca, come lei si ha amparato il siciliano. Vito, invece, lecire e scrivere non ni sapeva e non c’importava tanto, poi che magare aveva 4 figlie di campare e non penzava il parlaretedesco. E cosí, d’ogni sera, per circa 70 ciornne, sempre antiammo a passare il tempo ne’ provesore, e qualche parola di tedesco n’imparammo. Ma, poi, la fortuna non caminò perfetta, perché il professore fu stralocato e lui e sua moglie foreno portate a circca 100 chilomire di lontananza e si ha fenito tutta la nostra amicizia,enonabiammoauto piúsuoinotizie. Poi che aveva auto la fortuna di prentere moglie e avere una suocira la piú lurdda 9 e la piú delenquente donna, che la stessa in tutta l’Italia non zi poteva trovare – non che lo dico io, ma lo diceno tutte li abitante del paese –, io scriveva piú spesso ammia madre che ammiamoglie.Tantocheuna voltahoreceutounaletteradi miasorellachemipregavadi scrivere a mia moglie, «perché mamma e figlia antavino dicento che era la corppa nostra che non ci scriveva». Manco se io era uno piciriddo che ascortava ammiasorelladinonscrivire allamoglie…Einveceeraio chenonmivenevalavolentà discriverece. Intanto, ciusto che avemmo fatto 6 mese, cià qualche cosa di parlare tidesco la capiemmo e dove antiammo antiammo ci sapiemmo respontere le cose checidicino. Ora, c’era una birraria che prima della querra, in questa berraria,c’erano10chitarrae tante mandoline e tutta la cuestra 10 completa, che d’ogni sera sonavino e aballavino, fimmine e uomine, e sempre bevento birra. E poi, in questa crante birraria,c’erino30fatocrafiei di quelle che avevino morto nella querra 15-18, e tutte queste chiliente di questa birraria, quanto bevevino, sempre bevevino e bevevino allasalutediquelleeroieche avevinomortoperlapadtria. E cosí, in questa birraria, prima c’era tanto devertemento,eorachec’era la querra, e tutte quelle che sonavinoerinoantatesoldate, tuttequellestromenteavevino restato dentra quella birraria, perché non c’era nesuno che sonava. Cosí, io e Paolo fracontiammo sempre questa cranteberreriae,pianopiano, cifaciammocapire. Poi che c’era uno invalito di querra che si chiamava AntonioScipeccheequestosi capeva, nel parlare, che era che sapeva sonare chitarra e mantolino; cosí, mio fratello Paolo, discorsso e porta discorsso, ci abiammo detto cheerimobuonepersonaree cimancavinolistromenta. Cosí, questo Antonio si ha presounachitarraeaPaoloci ha dato il mandolino, e si hanno messo assonare. Dentra quella crante birraria socessi tanta allecria di tutte quelle che fracontiavono il lucale, perché aveva un anno che quelle stromente non sonavino... Cosí,venniunoperaioche era di Vittoria e sapeva sonare pure, ma non tanto buonocomePaoloeAntonio. Il vittorise sapeva sonare comesapevasonariio.Ecosí, io e il vittorise ci hanno dato una chitarra e un altro mandolino, e cosí, immienzo a quelle buone, sonammo magarenoi. E cosí, tutte le sere ci adivertiammo e faciammo devertire. E cosí, tutte ci ofrievino birra e tante altre bevante. Cosí, il tempo antava meglio per noi, che li schiavenonlifaciammopiúe con quello sonare ci portavinotantorespetto. Ma poi abiammo cominciato a bestimiare, che cisiammoacoltechesopradi noi ci avemmo una maletia che non ni potiemmo fare persovase che cosa era. Solo chetuttelenostrecarneerino stampestampe11senzasapere checosafosse:chidicevache veneva della sporchizia del carbone, che diceva che venevadelfreddochefaceva e che diceva che veneva dai spavente che vediammo quanto c’erino l’alarme che venieno l’amirecane a bombardare... Cosí, cominciammo ad antare nel dottore, e quello, che era spicialista, sempre ni diceva che deveneva del carboneecidavapomata,ma sempre erano le stesse. E il medico ni ha detto: – Quella malatia non è niente, non vi priocupate, che poi, come campiate aria, vi passa –. E davapomata... E cosí, io bestimiava dalla matina alla sera, e magare di notte, perché penzava a quello maledetto matrimonio che mi aveva arrovinato, altremente che mi ci aveva a portare amme allavorare in Cermania in tiempo di querra?! Poi, io, sempre arrabiato, recevette una crante notizia della mia moglie... Che io nonavevavolutosentiremaie affetto di famiglia e di non volerenesentirediquelloche socedeva e socedeva, ma questavoltacihointesotanto piacere. Questa lettra era scritta di Filuzzo, un fratello della mia moglie,ediceva: «Caro Vincenzo, è ura di fenirlla per te. Ti comunico chequestanotteatuamoglie ci ha venuto un bello figlio maschilo, che se viene e lo vede ene piú crosso di te. E quinte, è uscito tutto tuo padre che, come viene tu, lo batezammo e si deve chiamare Rabito Salvatore, come disidera il tuo cuore, che è propia il nome di bonarma di tuo padre, che io nonconosceva». Io, sentento quella bella e priziusa parola, ho campiato subito penziero, che aveva nasciuto Rabito Salvatore. E cosí, voltaie penziero e non vedeva l’ora che veneva allicenza per vedere a questo miofiglio. Cosí, mia moglie, vedento che io tutto mi aveva demintecato di tutte quello che aveva soccesso, mi ha preparato la seconta trapola, difarebatizareamiofiglioa suo fratello (il preside di PiazzaArmerina). Cosí,hannobatizatoamio figlio senza di me, e il nome era Salvatore. Che, se non ci mitevino Salvatore, io ci la faceva fenire male, a queste acentemaleducatetutte! Tutte li sofrenze della mia vita, che io aveva passato, tuttemil’avevadementecato, perché ormai era che aveva un figlio, che io mi aveva maretato a 41 anno e mi credeva che per me il monto avevafenito. Cosí,mitravatantecontee diceva: «Ora, se io ci ho qualche cosa e quadagno qualchecosa,nonsonopiúdi quello e di quell’altro, ma sonodimiofiglio. «E come vaio a Chiaramonte per Natale, a mio figlio che ave 4 mese ci devo portare un bello ciocatilo: un cagnolino per ciocare. E poi ci affare la fatocrafieie e mi le devo portare sempre dentra il portafoglio». Ecosí,tutteiciorne,ilmio penzieroeraquellodiantarea vedere ammio figlio, ma perché era mascolo; ma se ’nzamaiioavessesaputoche, inveci di mascolo, avesse stato femmena, si avesse antato pure a Chiaramonte, ma ci avesse antato solo per avelenalla,quellacriatura,per paura che avesse asomigliato allanonna.Maminomaleche fuuomo! EmiofratelloPaolochemi diceva: – Tu sei fortenato, che aveste la fortuna di arredetareanostropadre12... E sempre Paolo che liceva quella lettera, e poi la lettera diceva magare che pesava 3 chileequalchecosa.Però,la letteraerascrittamascrise 13. E poi la lettera diceva pure che questo figlio aveva una fame da lupo. E poi magare mia moglie diceva che: «Li solde che aveva mantato il comanto amme, per conto tuo, io ce l’ho messo alla Posta». E io disse: «Menomale che fecero come li catanese! Che quanto a sant’Acatalarobarocihanno fattoliportediferro!» Ma poi penzai che questa mia moglie era la mamma di mio figlio, vediammo come stannolicose,speriammoche viene il ciornno della licenza e poi a Chiaramonte si ni parlla. Cosí,passavotuttoilmese di novembre, e venne dicembre, e ancora la licenza nonavevavenuto. Io cerava, alla sera, nelle vetrine a Duiburco, per vedere se c’erino belle ciocatole, speciarmente che mipiacevaunciocatelodiun bello cane. E il ciocatilo l’avevatrovato,malalicenza ancoranonavevavenuto... Ma fenarmente, il 23 dicembre, ni hanno chiamato e,finarmenteaesse,cihanno dato14lalicenza. E, doppo 11 mise, io e Paolo siammo revato a Chiaramonte cosí, all’impesata 15. Io ho chianato 16 le scale, e vedo a mia moglie seduta con uno bello figlio che si stava corcanto. E donna Anna era che ancora aveva antare a chiuderelodammuso. Cosíio,allavistadiquello figlio, disse: – Finarmente padredifiglie! Ma Turiddo, mia moglie, loammessonellanaca17.Eil figlio, che era picolo, che ni sapeva?Poi,quelladonnaccia di quella delenquente, vedentoammecheancoraera vivo, senza che mi avesse detto niente, come una cane arrabiata, si n’antò a dormire neldamuso. E io non volle neanche manciare, se prima non antavaavederemiamadre.E cosí,hopartitoecihodettoa mia moglie che fra un’ura veneva. E cosí, vado ni mia madre e trovo a mia madre vicino a Paolo, che pianceva mentrevinevaio,emitocavo dipianceremagareamme. E questo ene l’afetto di mamma! Ma che moglie e moglie! Ma che suocira e suocira!Quellelofannotutte perintento,nonconaffettodi mamma,cheallavistadimia ePaolo,contantacontentezza cheaveva,pianceva. E io fece non 20 ciorne di lecenza, ma 20 ciorne di prenterevelenotutteliciorne. Cosí, io ci offatto li fatocrafiei a Turiddo con quello bellissimo cane ciocatelo, che io restaie contente di quanto ci ha venuto bello. E di questo retiratto ni prese uno e l’ho dato a mia madre, che era l’aredetàdisuomarito,chesi chiamava Rabito Salvatore comesuomarito. Poi, tutte li vicine della strada, comincianto del barone Melfe, Ture Rivietto, VituzzoScaghiola,etante,mi dicevino:–Nonantarepiúin Cermania. Chi te lo fa fare, chec’enelaquerrachedaun mumento all’altro puoi morireefaicontenteaquesto pezzodicanedidonnaAnna. E lei va cercanno propia che tu murissito, che si propia tu chelapuoireducere18. Eiocihodetto:–Lasatimi antare,perchéquestaècapace di fareme antare in calera e marchiareme le cartte, e poi nonpuoleantareneanchemio figlio a uno posto come tutte liomineoneste. Cosí, a forzza di bestemiare, passareno li ciorne della licenza e io e Paolopartiemmo,elamalatia che mi aveva a quarere, campiantol’aria,comediceva il medico, invece fu piú peggio. Cosí, recordo che partiemmo il 27 cennaio 1942. Io ho baciato a tutte i miei,partecolareamiamadre che pregava per me, che era una vera mamma, e ho dato un bellissimo bacio a Turiddo,cheaveva5mese,2 fatocrafiei mi portai, e io e Paolo presimo le valice, partiemmo di Costaprena a piede, e presemo il treno, a Dio e la fortuna; che lo sapeva quanto si retornava con questa maledetta querra, chenonfinevamaie! E cosí, fuommo di nuovo delterretoriodellaCermania. Che, passato la prima notata nel terretorio tedesco, una incursione che fecero li amirecane nella bella cità di Monico di Baviera, in una ora, li aparecche, cetanto bombe, hanno fatto 2.000 muorte,eioePaolo,chisae chiècheciavevapregatoper noi, che restammo vive! E cosí, siammo revate a distinazionesaneesalbe. E cosí, ci abiammo messo allavoro. Che, in quello tempo che avemmo mancato noioperaie,inquellosporcco lavoro non ci aveva voluto starenessuno,perchénoisole erimo adeventate pratiche di quellolavoro,epoinessuno. E cosí, tutte li amice che avemmoautoprimacihanno venuto affare visita. Erino tutte forestiere, queste amice, e paisane non ce n’erino neanche uno, perché si ne erino antate tutte, perché dell’alarmechec’erinononzi potevino soportare. Solo io e Paolo avemmo questo coraggioequestapacienzadi lavorare, perché avemmo il piacere che, come fineva la querra, volemmo stare in Cermaniadifinetivamente,ea Chiaramonte non ci vogliammopiútornare. Cosí, quelle che erino amice nostre non erino italiane, ma erino tedesche, danese, polaccgi, ucranie, ollantise, e tante e tante altre priciuniere che la Cermania aveva acupato. E alla sera si ballava, si biveva come prima,femmeneeuomine. Ma, però, questo divertemento era saltovario ed ereno quanto non c’erano liallarme,ma,quantoc’erino li allarme, c’era di piancere, chelimuortechec’erinonon zipotevinocontare... Cosí, passava la vita immienzo alla paura e immienzoaldivertimento. Femmine ci n’abiammo quanto ni voliemmo, perché dinotte,sempreversoli11,li 11 e menza, sonavino li allarme,efemmineeuomine scappammo per antare allo reparo. E quinte, era tutto al buio, e quinte quello che si facevaefacevanonlosapeva nessuno, e neanche ci importava annesuno. Si poteva fare quello che ci facevacomito,epiaceresine passava... Ma, però, in uno momento all’altro, si poteva murire. Intanto la malatia che io avevaantavaapeccio.Ecosí, il dottore mi ha detto: – Questa malatia si chiama «malatiadipelle»eenestata presa per causa di lavorare nel carbone, e ora, per antarasinni, ci vorrebbe la cura di sapere manciare. Vialtreitaliane,bevetevinoe salato manciate, e quinte non vepassa. E cosí, io disse: «Se ni portammo questo solo recalo è niente, di questa bella Cermania!»Chelaquerrapiú tempo passava piú furiosa si faceva. Le notate li passammo senza dormire. Alla sera antiammo a cercare Antonio Scimeche all’osteria e sonammo come pazze. Ma tantaallecriacomeprimanon c’era.C’eralaradioequanto c’era il comunicato portava male notizie, e i tedesche erinoarrabiate. E poi che li americane forsse che sapevino che la querra l’avevino a vincere e invece i tedesche sapivino che la querra l’avevino a vincereloro...poichec’erino tantefabrichianticheprimadi salire Itler al potire e queste fabriche erino dai crosse capitaliste – che queste erino state tutte requisite dal coverno e li padrona non erinopiúpadrone–,equanto c’erino i bombardamente, queste fabriche, l’amirecane non li bombardiavono, e bombardiavono quelle fabriche nuove che aveva costroitoItler.Eloscopoera che la querra la Cermania la doveva perdere, e quelle padrona dovevino a tornare allelorobene.Ecosí,quanto c’erano la larmme, non conveneva piú di antare nel recovero fatto di Itler, ma conveneva di antare nelle vechie fabriche, che non ci sparavino, e questo era un maleaucurioperlaCermania. Poi,unciornnochemaiesi può dimenticare, soccesse la fine del monto nella nostra zona. Che, a 10 chilomitre lontano da noi, c’erino una scuadra di operaie che erino tutte di un paese della Lompardia. E queste operaie lavoravino nelle aciaieriei dove facevino crosse cannone, e queste tutte paisaneerino45etuttequeste 45 operaie avevino fatto l’anno di lavoro e ci avevino la licenza cià pronte per antare a vedere alle loro famiglie. Ma queste operaie foreno tropposfortonate... Tra 4, 5 minute che si avevino corcato, ha sonato la larme un’altra volta e subito si hanno alzato e scappareno di corssa. Ma il tempo non bastavo per antare nel sicuro recovero. E siccome c’era umpara scheggie piú vecino, queste poverette, e senza fortuna, si n’antareno per repararese in questo parascheggie, che era una trenceia copertta con lamiere e tavole. E cosí loro si credevino che ereno salve, e invece fu al contrario. Che come cominciavo il bombardamento, con tutte li altigliarieie che sparavino, perchélíeraunazonatroppo industrosa, e cannona ce n’erino assai, e alla notte il cielo era luminato, e aparechie ci n’erino quanto colompe ci sono nella piazza di Venezia nell’ario, e cannone ce n’erino che sparavinoquantocolompe...e quella sera uno crosso proietolo terato dalla alltigliaria tedesca sbaglia il tiroe,invecedifarebersaglio allaparecchieamirecane,vaa strisciareniunalamieradella baracca, entra in quello para schieggie dove c’erino tutta quella scuadra di operaie – che erino nascoste, e tutte, poverette, erino messe uno vicino all’altro –, e 36 di questepoveredescraziateche dovevino antare a casa tutte morierinoabruciate. Cosí, tutte l’italiane che erimo vecino dovettimo antare ai fonerale di queste povere lavoratore che fra 2 ciornne dovevino antare a casa... E piú tempo passava piú casadeldiavoloc’era. Cosí, sempre antiammo assonare alla sera e, verso li 11, il cielo deventava tutto una vamba e noi cercammo reparo, e magarre piancemmo, no noi sole, ma magare danese, polaccgie e rossecheerinopricioniere. I tedesche paura non avevino,perchédicevinoche, chi moreva per la Padria – loro sempre dicevino –, faceva una bellissima morte! Equestoeraaffessatointutte li mure. Io qualche cosa la capeva e diceva tra me: «Bellamincia,chechimuore perlaPadrianonmuore!» Alla crante birreria, che lí c’era la rivonione di tutte li nostre amicizie, piú lí non si sonava, perché erino proibite lifestedaballo. E quinte, Antonio stesso disse: – La chitarra e il mandolino che avete vialtre facessivo meglio che vostassivo mute, che ormaie, vialtre, qui siete conzederate come tidesche, che prima perché avete fatto buona contotta, poi perché che qui sanno che siete fasciste. E quinte, la descipilina, vialtre, l’avetecomeitedesche. E io alla notte penzava e diceva:«Avogliachemisono sempre sforzato per fareme bello, ma sempre siammo al medesimopunto...» Cosí, io e Paolo erimo impinziero, poi che il primo anno, che non sapemmo parlare, c’erino piú poco allarme e c’erino i recovere ed erimo desperate che non sapiammo parlare, e ora che qualche cosa la sapiemmo noncipotiammorestare... In quei giorni, i ciornale paesanedicevinochelabella cità di Dolsildoffe era tutta distrutta. E io e Paolo, per forzza, la volemmo antare a vedere;cosí,sicin’antiammo in Italia, potiammo racontare tante cose. E allora, de dominica,partiemmoconuno camiodifortuna. Cosí, doppo mezza ora revammo e, come revammo, io e Paolo restammo paralezate a vedere tutto destrutto. Le palazate erino tutte butate per terra, le strate non c’erino piú. Poi, tutte le nicozia che erino a seconto piano, la merce, i vestite, bicichilette, copertte, ciocatole, e tutta la mercie che c’era dentra, era per li strade,immienzoallepietree soprapietre.L’orificiarieicon tuttelibrillantechec’erinoe tutteliralociaetutteimobile erino immienzo alli pietre. Poi, machene di cuceri 19, motocichilette, tutte per le strade. Poi, antiammo versso dovec’eralaStanda20,etutta quella mercie tutta pietre pietre... C’eraunotedescochesini avevavenutoconnoi,perché eradidomenicaeladominica non zi lavorava, e questo ci amparava tutte i punte piú belle della cità, e tutto era distrutto. Poi ci ha portato dove c’erano tutte li armale nel ciardino, e le stesse lione avevino scapato o pure avevinomuruto. Quinte, era peggio del terremotodiMissina.Lacetà era tutta distrutta, si passava perforzzadellestradeepoici voleva uno pratico che conoscevaipunte,altremente manco i tedesche si potevino farecapace. Poi, c’erino piú di 4.000 mila operaie precioniere che lavoravino per scomperare le strade, e io ci deceva al tedesco:–Chisasecidicela testa di mobilitare annoi per lavorare! – E il tedesco, che erasperto,mihadetto:–Che te pare che qui allavorare ci mettino a chi sia sia? Qui, ci metino a persone controllate dallapolezia,chesequalcuno di queste polizuotte costatasserocheunodiqueste si aprofetasse di qualche pezzodirobba,diquestache sitrovaimmienzoallepietre, venessefucilato. Cosí, quanto io e Paolo abbiammo visto questo fracello,dissimo:«Antiammo e vediammo se potessimo farene dare quella licenza di ottobre e scapare di questa Cermania». Perché, li cadavere che avemmo visto erino impressionante, che, penzanto che in 20 minute si aveva fatto tanta distruzione, se ni fanno a una dove siammo noi cosí, adio Vincenzo e Paolo, e cosí io feniscio di volere bene a Turiddo! EpartiemmodaDüsseldorf tutte 3 stonate. E come revammo nella nostra abitazione, non avemmo forzzadiparlarediquelloche avemmovisto.Neanchenella offinziva del Piave aveva vistotantadistrizione... Alla sera, nella radio c’erino brutte notizie, e Antonio Scimeche ci faceva capirechelitedescheerinoa Stalincrato e compatevino casapercasa,ediceva:–Ora c’ene l’ordine che qui resterannoallavorare,intutte queste luoche, solo quelle inabileeledonne,epoitutte litedeschedevonopartireper Stalencrado,perché,sefraun mese non si prente Stalencrato, la querra la Cermanialaperde. Erano nelle ultime di ottobre, e diceva l’amico Antonio:–Searrivaacadere la neva lí, in quelle luoche, che io ci sono stato, li tedesche il freddo non lo puonoresistere. Cosí, piú non zi poteva stare,perchéilpaneerapoco, e poi che si senteva dire che ci dovevino dare magare li fucile a noi, perché all’operaie le volevino passarepurecomesoldate. Mafuommofortonate.Che c’eraunacercolarechediceva chetuttil’operaiecheerinoin Cermania ed erino fasciste il duce voleva che rempetriassero, che fa bisognoinItalia. Cosí, fecimo la domanta per partire e ci l’hanno fatto buona. E menomale che abiammo fatto a tempo di partere e farine dare il foglio di buona condotta, perché altremente ni potevino dire che erimo state scappate della Cermania! Perché, doppo 10 ciorne, si hanno chiuso le spedezione, e chi era in Cermania doveva stare in Cermania, che li tedesche avevinoperssolaconquistadi Stalencrado ed erino in reterata. E cosí, fenio quella brutta malavita. E mi ho portato questo recalo che mi aveva dato il carbone della Cermania, la malatia della pelle. 1 DüsseldorfeMülheim. 2 erinopociate:eranosullesponde. 3 LaKrupp. 4 A Renausen, negli immediati sobborghi di Duisdorf, c’era il campo alloggiodestinatoailavoratoristranieri. 5 comenitrava:dicomecitirava. 6 sicrape:siapre. 7 abommolire:abenvolere. 8 AdolfHitlersalíalgovernoil30 gennaio1933. 9 lurdda: come lordda, sporca; in questocaso:miserabile. 10 lacuestra:l’orchestra. 11 stampe stampe: macchie macchie. 12 arredetare a nostro padre: trasmettereilnostrocognome. 13 mascrise: in modo furbo, ambiguo. 14 finarmente a esse, ci hanno dato:finalmentesisonodecisiadarci. 15 all’impesata: all’improvviso, senzapreavviso. 16 hochianato:hosalito. 17 naca:culla. 18 reducere:ridimensionare,tenere abada. 19 cuceri:cucire. 20 Senz’altro si tratta di un magazzino di generi vari simile alla Standa. Capitoloquindicesimo Hannotrasutoliamirecane Come sono revato a casa ha trovato tutto a posto: la donnaAnnachenonparlava, Turiddo che era beddo, che camminava solo, e tra quelle che portai io solde, e quelle che aveva messo mia moglie allaPosta,erinoquase14.000 mila lire, e disse: «Sono buone,potiammoacomitare 1 perompocoditempo». Io,aChiaramonte,avevaa Sciaverio Nicastro, che era inzegnante allimentare ed era il secretaio politeco di Chiaramonte, e questo comantava, perché a quei tempe, prima di trasire li americane, il secretario politeco comantava. E mi ha detto: – Vicienzo, ci vuoi antare che c’ene il posto libero nella villa comunale? Che quello che c’era, Brono Giovanni,hastatomubiletato nella Melizia, e quinte tu per ora fai il soplente. E ti conziglio di antarece, che, cosí, comincia a prentere posesso come impiagato, e poivediammosetipossofare entrare come quardia monicepale, altremente ti possinoportarealcampo,che ti troveraie sempre imminenzo alle bombe, o altremente ti puono mobilitare nella Melizia di secorezzanazionale. Ecosí,ioantaie. Io, allora, era fascista, e tutte i fasciste doviammo essere rofiane, perché l’ebica eramiserabile.Edovevafare lo rofiano per forzza, perché altrementesipotevamoriredi fame. Io era allavorare alla villa comunale per respetto del secritario politeco Sciaverio Nicastro, che propia in quei ciornesihasposato. Cosí, io, sempre per rofianiccio, alla matina che Nicastro si sposò, fece un bellissimo mazzo di fiore, e mentre che questo si trovava a tavola che manciavino, io mi sono presentato con questobellomazzodifiore. E recorddo che menomale cheiofuiilprimoaportarece questo bellissimo mazzo di fiore... Ma poi ce n’erino tante rofiane come me che ci portarenotantemazzidifiore, ma il mio era piú miglio di tutte, perché lo ha presentato a tutte e diceva sempre: «Questo mazetto ene del citatinoVicienzo». Poi, questo Brono Ciovanni, che era stato mobilitato, fu concedato e ha venuto a Chiaramonte, e io dellavillacomunale,doppo4 mese,minidovetteantare. Ma io, finarmente, l’aveva trovato quello che amme mi prodiceva, che era Sceverio Nicastro, che mi ha detto: – CitadinoVincenzo,iotedevo mettere a postu –. E mi sono messo a disposizione del secretario politeco. Ma, passato4ciorne,mihadetto: – Domane deve antare come vero milite e come soldato della Padria affare questo lavoro,chetidanno35lireal ciorno. Tu deve antare affare servizio nel molino di Mazzaronello nella propietà del marchese La Motta. Caro citatino Vicienzo, questo ene un ordene prefetizio e non zi scappa, deve fare questo lavoro, che ene un lavoro umpoco delecato –. E poi mi dice:–Prentequestacartaeti presentedomanealmolino.Il molenaro certo che si fa brutto,matu,però,obiruttoo senza birutto, non dive avere paura. Gli dice che questo si dive fare per forzza, altremente gli dice che ci chiudenoilmolino. Nella carta c’era stampato ildecretoprefetiziochetuttei chiliente che vinevino in quellomolino–chec’eranoli carteannonariepermacinare, e d’ogni persona poteva macinare13chiladicranoal mese, perché c’era lo razionamento, perché era tiempo di querra – e io il lavoro che doveva fare era che sopra queste 13 chile ci ne doveva fare mecenare 10 chile, e 3 chile mi l’aveva a prentere io, per poi metterlle nei sacchi, che poi venevino l’impiagate della carta annonaria e si lo prentevino. E questo, poi, serveva per le forzzearmatechefacevinola querra. E quinte, era un lavoro molto compilicato, che ci potevino magare rompere la testaabastonate. Quinte, voldire che se una persona che era capo di famiglia ed erino 6 di famiglia e portavino con il carretto 6 volte 13 chile di crano per macinalle, io ci ne doveva levare 18 chile per forzza, altremente non li doveva fare macinare. E questo,perme,eraunlavoro brutto, ma secome era questa la leggie fascista, si doveva fareperforzza. Cosí, l’indomani aveva partutoalle4dimatina,erail primodiaprile1943,equella strada la fece sempre penzanto di come mi doveva presentare affare questo sbirrolavoro2.Iosapevache in quello molino, 5 anni fa, avevino ammazato a uno e nonzipottetrovarechièche aveva stato, e disse fra me: «Ilponto3èmaleeilmistiere è brutto, vediammo come feniscie».Emifececoraggio e mi sono presentato, che c’erinouna10dipersoneche stavinomacinanto. Cosí,iomipresentoedico: – Bociorno, – e prese quella cartta prefetizia e senza permesso,conlacodda 4che l’aveva preparato, l’ha piantato nella porta del molino, che tutte quardavino amme, nessono mi conosceva.Quinte,lídentraa quello molino, socesse una revolozione, che mi volevino afferrare. Ma io, carmmo, perché sapeva che tutte avevino raggione, ci ho detto che: – Io vero ene che con questo mistiere faccio lo sbirro, perché lo so che, levanto3chiledicranoauna persona, ene lo stesso di levarece una mola, ma che cosa ci potiemmo fare? Io la miatesserecil’honelmolino delLibrino,aChiaramonte,e li 3 chila di crano iere li dovette versare pure. Quinte, semaletratateamme,iomine vado, e poi ci viene un altro che fa questo brutto mistiere. Cosí, sempre questo crano vi vienelivato.Anze,ioqualche chilo di contrabando vi lo posso fare macenare, perché capisciocosavolederefame, perché ci sono stato tante voltesenzapane… Cosí,ciabiammomessodi acorddo che, quanto queste chilientecheavevinol’ordene dimacenareinquellomolino chec’eraio,venevino,ilbene che ci faceva io era che quelle, prima di macenare quellochec’erasegnatonella tessere,cinefacevamacenare 10 chila di contrabanto, che non c’era segnato nella tessere. E quello se lo portavino e scompareva del molino, e poi macenavino quellocheeradidiritto. E quinte, questo era il tempo della camurra e il tempodellointrallazzo,eche arrobava a destra, e chi arrobava a sinistra, e non zi nepottecapirepiúquelloche sifaceva. Poi, per fare questo mistiere, ci voleva un altro sapere fare: che quanto venevino carabiniere a solbegliare e cercare formientonascosto,pernonli fareparlare,iociavevadetto alla molinara che metteva pronte subito uova, qualche calletto e 5, 6 chila di farina. Ecosí,sin’antavinoenonci rompevinoliscatole. Certo che i carabiniere avevino magare bisogno, perché la paga era poco. E cosíiofacevacontuttequelle cheerinopuliziotte:danticela moconata 5, non dicevino nienteesin’antavino. Poi io, che aveva piú bisogno di tutte, d’ogni 4 ciorne, aveva uno crante tascapane che ci antavino 15 chile di farina, rimpia quello tasco da pane, e alla sera mi faceva dare umpassaggio e partevaperChiaramonte. Cosí, con quella farina, prima antava ni mia madre, poi antava nel mio fratello Vito, poi antava nel mio fratello Ciovanni, e poi mi n’antavanellamiacasa,dove trovavaaTuriddo. Cosí, io, con quello posto che mi ha precorato lo Sciaverio Nicastro, mi sono precorato tante amice. E comme manciavino tutte, perché il Dio mi aveva fatto buono di cuore, perché era figliodiunamammaonestae unpadreonesto. Ecosí,ognimattina,alle4 parteva a piede al molino. E comeveniaio,parecaveneva ilsindaco,perchéfacevatante favore a tutte quelle che vinievino ammacinare, e perché mi la faceva con i povere, perché ero povera anch’io, ma cercava di sfottere ai riche, quanto venevino ammacinare i ricche. Infatte,unciornoveneuno carzonedelcavaliere,cheera podestàdelPedalino6. Cosí, tutte li donne che erinoalmolino,chedovevino macenare qualche puoco di crano di intrallazzo, si hanno abbicinato e dissere: – Don Vincenzo,vediammoseleifa le cose ciuste. Il crano al cavaliere ci lo deve livare comelolevaannoie. E il carzone era tanto piresodisocizionechetineva paura. Cosí, io ci ho detto impresenza di tutte quelle donneche:–Lui,ilcavaliere, il crano lo deve uscire, e propia allui un chilo di contrabanto non ci lo faccio macinare,perchéenericco. Cosí,questomacinavoesi n’antato. Ma quanto ha arrevato al Pedalino, il padronemontòallifuire,edè venutoalmulino. E io certo ci ho fatto li mieie ospedaletà. E il cavaliere mi ha preso a bracietto, facendome capire che erimo 2 camerate, e poi mihadettocheilcranocheci avevalevatoeracheioaveva fattounosbaglio,elovoleva indietroun’altravolta. E io ci ho detto, impresenza di tante acente, che: – Lei anze, che si trova sicretariopoliteco,nedevesse nescerepiúassaidellealtre! Cosí, hanno cominciato li chiachire,elui mi ha detto – con una parola non di secritario politeco ma di vidanocheera–,mihadetto: –Oravilafacciofeniremala! Ma io, sentento «fenire mala»,difronteatantacente ci ho detto che mi n’antava nel federale, e lui ha tenoto paura e si ni è antato bestimianto.Cosí,tuttequelle acente che erino lí, mi hanno battuto le mane, della bell’azione che io aveva fatto... Poi, un ciorno, venne il quardianodelciardino,chela rancie 7 erino ancora tutte sopralialbere,perchéc’erala querraenonc’eracommercio di venterlle. E questo quardianoerapadredi4figlie ederasempremoltodifame. Cosí, venni, e mi diceva: – Vedisse se ci potesse escire qualche cosa di manciare per me al molino, che pago quellochemimancio–.Cosí, io,dicorenobile,cihodetto: –Oravidiammocomesipole farepermanciarelei. Cosí, io penzaie che c’erinotantealberediarancie earucimele8,ecihodetto:– Faciammo una cosa. Lei mancia sempre con noi e la tessereaisuoifiglienoncila tocca, perché si la mancino loro. Però, mi deve dare 10 alberediarancieearocimele, equellochevogliofarenene faccio. E cosí, tutto carcolato, il quardiano manciava al molino e io era il padrone della rancie. Cosí, quanto vineva il secretario politeco di Chiaramonte per spezione e volevino sapere tante cose, io per levarece la parola, li portavanellarancie.Ecosí,si prentevinoompocodiarancie e si n’antavino. E io faceva quello che voleva, perché tuttevolevinomanciare. Era tempo di querra, e li amirecane e l’inchilise avevino preso tutta la Cirenaica e stapevino prententoTripoli,enonc’era ordine. Che poteva robare robava. Una volta, poi, offatto un attodiverosignoreedivero calantuomino. Io era sciarriato con uno che si chiamavaTuriddodiCunta,e conquestoavevatredicianni che non ni parliammo, perché, quanto si maretavo, volle essere prestate lire 25, ed io, per essere di cuore buono, ci l’ho dato. E per 13 annequestononavevapotuto capitare li 25 lire per darlle amme. Cosí, questo Turiddo di Cunta aveva una metataria 9 propiavecinoalmolinodove era io, ma questo, però, non lo sapeva che io era di quardia propia nel molino dove doveva macinare lui. E cosí, aveva un carretto, ci ha messo 4 tumila di formiento, cheeralaquotachecitocava dimacinare,ealtre4tumilali portavaaDioelafortuna,per vedere se il quardia ci le faceva macinare di contrabanto, perché aveva 5 figliecheavevinotantafame. E partio, e venni al molino per macenare, senza sapere chec’eraio. Cosí, mi l’ho visto presentare: «Buonasera», «Buonasera». Io, vedento a questo, mi offatto la croce, e lui, come vede me, subito fece dietro fronte e si n’antò bestimianto.Lamolenara,che lo conosceva, ci ha detto: – Turiddo, perché ti ne vai? Parlla con don Vincenzo che enetantobuono. Ma lui la faccia non l’aveva di presentarese; e il provebio dice che chi fa li legna ammalestrada le deve portaresopralispalle10. Cosí,luinonpotevavenire perché si vercognava, perché il cuore ci parlava che aveva fattomaleanonmidareli25 lire. Allora lo ho chiamato e cidisse:–Turiddo,nonavere pauradime. Questosiammessoquasea piancere, della contentezza che io lo chiamai, e subito venne, e mi ha venuto abbaciare come quanto 2 soldate ave tanto tempo che nonzivedeno. E cosí, mi ha detto: – Vincenzo, me deve perdonare,chehosbagliato–. Emihadetto:–Ora,li25lire del1930vaglinoassai,eioti le voglio dare –. Ed io ci ho detto che: – Se parle di dareme li solde, ti ne puoi antare, che io non lo faccio per solde, ma lo faccio per i tuoifiglie. Cosí ei, questo Turiddo, questa parte buona non si lo dementecava maie. E cosí, macinavo,ecomearrevavoa casa e feciro il pane, va a Chiaramonte con il carretti e ci portò 10 chile di farina, 200chiledilignaefraschi11, e poi 5 litra di vino buono e vieccio12,echeeravinodi7, 8 anni, e una botiglia di muscato. Quinte, questo Turiddo, doppo 13 anne di esserenemiceperilfaoreche io ci aveva fatto, mi doveva dare lire 25 e mi ha dato per lomeno100voltelire25. Miamoglieerainunostato di cravetanza e io, quella butiglia di muscato che mi avevadatoTuriddodiCunta, che io la teneva cara come uno ciuiello, che la doveva crape quanto partoreva mia moglie, che poi nascio Tanuzzo. Un ciorno, nelle sere del Palacicolo della Madonna di Culfe 13, mi ovvisto a presentare un dominicano predecatore che vineva di Siraqusa, che si chiamava padreCatarddo,ederavinuto mantato di padre Piedro, il santo miraculusu di quella donna Anna, e venni che doveva corcarese dentra la nostracasapernonspentereli soldeniMaiore. Eio,quellasera,mitocòdi fare l’intiano, e menomale chelacasanonerabuonaesi n’antò, altremente io, quella sera, doppo c’aveva portato tantomanciaredelmolino,mi atocava di antaraminne piú presto per dare ospetaledà a questo relecioso che io non potevavedere. Ma sempre venne fututo, che quella bella butiglia di moscato, che doveva servire per quanto la ciornata che nasceva Tanuzzo, servio per quello mascanzone di padre Catarddo, che era mantato di n’autro mascanzone, del santo, del figlio di quella crante nobile e rechezza famiglia. Io aveva fatto tanta malavita, e in quello molino fece 60 ciorne di buona vita, che aveva vomintato 14 3 chile con il tanto manciare bene che aveva fatto, io e tutte la mia famiglia, che attutteavevadatofarina. Cosí, doppo 60 ciorne, venne l’ordine di sospentere il lavoro, e cosí lasciaie il molino. Il crano si l’hanno portato conni camie. Non potte sapere dove era antato affinire, ma certo che antavo affinire immienzo alle tradetore della padria, e li forzze armate morte di fame erino, e morte di fame restarino. Intanto il tempo passava e laquerrainfuriava.ACatania c’erinocentinaiadimuorte,a Palermomagare.AlComisoe a Chiaramonte si poteva dormirepococonl’incorsione e l’alarme che c’erino di contino. Poi, un ciorno, mi chiamavo DomMariano Cultrera,cheerailfattoredel barone Montesano e controllava li racorte del fevito – che aveva un fevito, questobarone,allaBuruca15, di 300 salmi di terreno tutto seminario.Equantovenevala racorta per versare il crano all’amasso, questo domMariano Cultrera era quello che ci faceva tutto, a questo barone. Ma propia quest’anno questo non ci poteva pretentere 16 e ci voleva mantare amme, che questo fevito era vicino Recalbuto e io era pratico di quei partte, di quei luoche, perché io aveva stato tanto tempo a Recalbuto, che Recalbuto era della provincia de Enna, e ci aveva stato 5 anni allavorare nella linia, e questo fevito era propia vicinodoveiolavorava. Io che sapeva che cosa voldere «fatore», che io deventava il padrone per tre mese, e capeva che cosa voleva dire essere incarecato di 300 salme di crano e versalle all’amasso, e io essere il comantante di una ventina di mitatiere, e il terrenod’ogniannofrotava3, 4,5salmedicrano,eioerail derecente... disse tra me: «Mincia, questo incarico ene megliodellemoline!» Cosí, io e don Mariano antiammo a parlare con il baronechestavavecinodella miacasa.Cosí,parlammocon il barone e fecimo il prezzo che mi doveva dare doppo 3 mese, quanto si feneva la racolta:2salmediformento– che 2 salme de crano, in quello perioto, erano tante migliaia di lire. E questa per me era una crante fortuna, perché non erino li 2 sole salme di crano, ma era l’impotanzacheioaveva,che lí io rapresentava il padrone, speciarmente tempo di querra. – Cosí, tutto sta bene, – io disse. – E quanto ene che potiammopartire? E il domMariano disse: – In queste ciorne io e voi partiemmo, vi porto alla Buruca,evidolaconsegna. Ma io, che di fronte ai padtrone mi voleva sentire mastrise17dacricultura,ciho detto: – Fosse bene che partissimo domane matino, che sono li 4 ciugno, e a quest’oralaracoltadaifaveè pronto, e se no mi trovo presente, li mitatiere, non ci sienno 18 nessuno, si robino tutto… – Cosí, questa mia parolafuvalita. All’indomane arrevammo alla campagna, e come revammo alle prime case colonie che si chiamava la Piana di SalLorenzo, che erino case vicino alla strada, videntoadomMariano,chelo conoscevino tutte quelle massare e mitatiere, erino tuttepriucupatediquelloche ci avevino affare. Ma a mia niente, perché io non era nienteperloro. E cosí, lo domMariano ci ha detto: – Io mi ne devo antaresubito,chedevoantare aChiaramonte,cheipadrone nonvoglinocheioconquesto caso di diavolo di querra stasse qui. Però, quest’anno, quellochedevofareiolofarà questo, – che era io. E mi ci ha presentato. E cosí, sebero che cosa era io, venuto con domMariano. Cosí,tuttemiquardavinoe sifacevinoilcontodicomesi dovevinocomportareconme. Esicominciavinoarrofianare comme, non con domMariano; e tutto quello chedicevaioeratuttoaposto e tutto ciusto, e io diceva: «Quarda la cente come siammorofiane…» E domMariano prese l’autobusso e partio. E io restai lí, con tutte quelle famiglie, ed erino tutte quase 40, perché erino 10 famiglie, emihofattoilcontoche,a4 per famiglia, potevino essere 40tutte. Cosí, ni cominciaro a dire: – Don Vincenzo, lei deve dormirenellanostracasa–.E io ci deceva: – Per ora, vediammo… Faceva caldo fortissemo e pensai di dormire fuore dell’aria 19, che c’era tanta paglia di l’anno passato e fuora si stava molto bene. Perché quelle acente non erino come la provincia babba 20 de dove era io, di Raqusa, che sono acente saggie. Queste erino di Troina, di Centuorbe, di Racalbuto 21, che io sapeva quanto pisavano 22, erino acentediBronteedidorno23, e quelle, vedento che io faceva partecolaretà, si ventecavino e mi poteveno fare la pelle. Quinte, di manciare,manciavaunciorno neunafamigliaeunciornodi un’altra,pernonfareinvedia. Poi, avevino passato una dicina di ciorne, e veramente trovaie la casa adetta e la famiglia che piaceva amme. Ma questo io lu ho fatto quanto tutte dissero: «Ora noncideciammonientepiú». Perché io mi aveva rabiato e ci aveva detto: – Ora mi corcoaRecalbuto! Cosí, io cominciaie affare una buona vita. Poi, la signora Angela, d’ogni 2 ciorne, mi lavava la biancheria. Aveva trovato il bene di Dio dentra quella famiglia!IlmassaroTuri,suo marito, non parlava e neancchesiciulisiava.Quinte io, come quelle ciorne, non mi ci l’aveva passato mai: manciarebene;cheperloroe per i suoi figlie certe volte non ci penzavino e, per manciare io, erino capace di ammazare un cuniglio al ciorno. Di ciorno e ciorno, venevino soldate tedesche, e sicome questo fevito era vicinoaipuontediRacona24, ec’erailcampodiaviazione, e poi che c’era Recalbuto montagna, Troina montagna, Centuorbbe montagna, San FilippodiAcira 25montagna, e Recalbuto che era alto magare, e quinte li soldate tedesche facevino fortificazione. E quinte, io e tutte, ci abiammo trovato cercontate dai tedesche; che poi i tedesche profetavino magare, equintenonc’erabisognodi solbiglianza, che con quello trafico che c’era, chi manciavamanciava. Poi, che tutte quelle che erino nei casa coloniche ci avevino i parente che erino sfollate, ed erino piú povere di loro, e profetavino delle mieibontàemanciavino.Eio eratratatocomelopiúbuono cristiano del monto, perché c’era la querra, e che si poteva arranciare, si arranciava, sempre per manciare. Io non diceva niente,quellochefacevino,e facevino, perché erimo tutte ammienzoaipericole. Tutti, poi, mi chiedevano come si doveva fare per il crano,eiocihodetto:–Qui, il padrone sono io. Se vialtre siete capace di poterllo nascontere qualche cosa di crano impiú, vi lo nascontete –. E poi, quanto lo portavino ammacinare, se vinevino pescate, potevino antare in calera e il crano perdevino. Poi,iovenevapunitomagare, perchéiodovevastareatento alla racolta. E quinte, dovemmostareatentotutte. Quinte, tutte mi respetavinoperforzza,perché dimeavevinobisogno. Cosí, ai prime di luglio, si cominciò a tribiare, e il ciorno3lugliotutteliarie 26 erino piene di crano bello polito, che cià si diveva conzegnare. Ma la querra si facevapiúvicinaeitedesche dicevino che verso il 15 li amirecane dovevino fare i prime tintative di sbarcare nella Sicilia. Quinte, quelle che dovevino venire per consegnarese il crano non venniro,eioaspetava. Questa casa dove ni corcava io era vicino alla stradacheantavaaCatania,e iltraficoaumintavadiciorno e ciorno. E cosí, lunco la strada, tutte i tompine che c’erino, tutte, i tedesche l’avevino menato. Io, i tedesche, li capeva e vedeva che d’ogni tompino ci mitevino tante palle di cilatina, e poi le strade tagliate, e i 4 puonte di Areconaerinopureminate. Cosí, cominciava una pauratremente. Li ammassatore, per prentesi il crano, ancora non vinevino. Io era in umpronte 27 di confosione, non sapeva come doveva fare; il crano era fuore, e diceva: «Come deve finire?» Non si poteva sapere. Io teneva paura della leggie fascista, e quinte era in confusione. C’era vicino ummulino, e cosí io gli diceva: «Prentete sacche e antate ammacinare. Ecomefenisce,finiscie». D’ognitanto,domantavaai tedesche, perché qualcosa la capeva, e non mi davino sodisfazione. Erano arrabiate come tante cane. Mentre prima, amme, sempre mi chiamavino, poi che io ci diceva che l’esercito tedesco erailpiúforttedemonto,poi cheioerafascistaeportavala tessere sempre a portata di mano, poi che io sempre ci faceva vedere li ducomente della miniera di Dueburico e tantefatocrafieiditedesche... Ma ora con me non ci volevino parlare piú, e io diceva: «Ma perché queste non voglino essere amice piú?» Ma forsse che avevino ragioneesisintevinotradite... Ma amme questo non mi lo facevino sapere; forsse lo sapevinotraloro. Ma sicome io nella mia vita sono stato corioso per saperequalchecosa,ediceva tra me: «Come posso fare assapere il perché non hanno venutoquelledell’ammassoa conzegnareseilformiento?» Ecosí,minesonoantatoa Recalbuto a piede, che c’erino 4 chilomitre, e recolddo che era il ciorno 10 luglio, data che mai la posso dementicare. E ho partito verssoli9dimattina,eperla strada provinciale, del movimento che c’era, non si poteva neanche passare, e io camminava terre terre. Ma primacheioavesserevatonel paese... quanto vedo tante acente che scapavino del paese con piciridde e robbe sopralispalle.Maiomisono imprissionato,perchéiostava antantoalpaeseperparlarea quelle dell’amasso, e invece quelledelpaesescapavino. E immienzo a quella confusione, ho domantato a un uomo che io conosceva, e cihodetto:–DonPipino,che cosa si ha socesso nel paese, che tutte scapino? – E mi ha detto: – Lei, Rabito, sempre scherzza e fa finta di non capire –. Io lo quardava, perché questo era troppo impaurito, e poi mi ha detto: – Lo sa che hanno trasuto li amirecane in Sicilia senza incontrare resestenza? – E io subito mi sono confuso e disse: «E ora come si fa per potereantareaChiaramontea vedere come ci finisce alla miafamiglia,ammiamamma, ammia moglie e Turiddo, e i mieifratelle?» Eiotuornnosubitointietro, e corro, e vado dove io abitava. E come arrivo, cià tutte lo sapevino, perché la voceciàerafattacircolareper tutta la Sicilia, che li amirecane avevino sbarcato. E poi apareche tedesche avevono cetato tante manifestine che dicevino: «State atente, soldate doicelante,achitunche 28,che siete state tradite dai crante ceneraleitaliane!» Tutte queste manifestine erinoscritteintedesco,etutte le contatine che erino lí, nessuno li capeva. Ma io perse puoco, e mi offatto persovaso, e penzai fra me: «Perquestolitedeschehanno li cogliona compie, che con me non ci volevino parlare, che aveva 3 ciorne che parevinotantecane». Cosí, socesse una crante confusione,etuttediciammo: «Fra 10 ciorne siammo pricioniere. Como dobiammo fare...» E menomale che aveva la tesserefascista,altrementemi potevino ammazare, di com’erino arrabiate. Perché veramente tutte i soldate italiane che erino in quelle contorne avevino desertato, e tutte si avevino campiato le robbe, che le soldate avevino adeventato tutte miteture, e tutte borchese: che se mitevano una ciacca o pure umparo di scarppe o umparo di pandalone di borchese, e con una fauce in mano, che facevino finta di essere tutte condadine.Enonsinepotette capirenientechierasoldatoe chieraborchese. Cosí, io cominciaie affare tante penzate. Cosí, ho chiamato alla famiglia del massaro Ture e la famiglia del massaro Santo, e ci ho detto: – Ascoltate amme, di qui dobiammo scapare, che siammo vecino alla strada, e si mai sia che arriveno li amirecane, certo che l’unica strada che va a Catania è questa, e noi qui moriemmo sicuro. E tutte li 2 famiglie mi hanno detto: – Come dici vosia,faciemmo. Cosí, io ci ho detto: – Si venite, venite. E se non venite,minevatoiosolo. E cosí, ci fo 3, 4 ore di selenzio, che nessuno incorsionec’era,chel’italiane di Aucusta e Siraqusa si avevino arreso all’amirecane, e si compateva a Milille 29, vicino Siraqusa. Della parte diCela,ciàliamirecaneerino a Piazza Almerina, che stavino per prentere Caltacirone. E quinte, tra Lintine e Crammichele i tedesche avevino fatto tanta resestenza, che cià si deceva che li avevino fatto retrare tutte a mare, compure che li tradetore italiane non vollino piúcombattere. Ecosí,fuummumentoche tuttelesoldatetedeschesine erino antate per 2 ciornne e non c’era tanta confusione vicino a quella strada. Il crano era tutto piede piede, tutto terra terra, e c’erano tutte quelle mule, cavalle, sceche, che non servevino provisoriamente, perché ci furino 2 ciorne di sosta di portare munezione a Rantazzo30. Cosí,iosapevachelí,nelle case coloneche, c’era un deposito di atrezze di lavoro, ho profetato che non mi vedeva nessuno, prese una carriola, 2 picuna, 4 pale e 3 caldarelle 31, e un bellissimo palo a piede di porco, e una mazzaeunamazotta,tantoli atirezze ci n’erino quanto ne voleva. E cosí, disse: – Antiammo! Che io sapeva che c’era una picola collina tutto alberata, con albere belle d’oliva, e poi la roccia era roccia tenera, che, scavanto, ci voleva poco per fare una crotta. E quelle famiglie mi hannosequito. Ecosí,io,contuttequelle, abiammo fatto una grotta sutta una crante roccia bella tenira, che di sopra c’era una pietra dura e di sotta era molla. Cosí, travaglianto travaglianto 24 ore, fecimo una bella crotta, che per noi erarecovero,chefulanostra salvezza. Poi,quelleterreerinopure dai Montesane, e non poteva direnientenessuno. Quinte, erimo completamentenascostedella strada, e il piacere che abiammo era che vediammo diquellacollinaimovimente che facevino li acente e i soldate tidesche. E le case colonie che noi avemmo bandonatovinevinoavista.E vinevino avvista tutte li crusse timugne 32 con il crano, che non ci aveva stato il tempo di trebiare, e tutte li bestie, tutte erino a vista. E cosí, vediammo tante sfollate che erino butate terre terre, scapate di Catania, di Mistiere Bianco 33 e di Paternò, e di Biancavilla, perché c’era vicino il campo diCerbine 34,esemprec’era, notte e ciornno, il dovello aerio tra tedesche e amirecane. Come hanno passato 2 ciornne,itedesche,poverette, bantonate di tutte, hanno persso la resestenza, e un’altra volta si ne sono venuteallestesseposizionedi prima. E quinte lí, dove noi avemmo abandonato, è deventato peggio di prima, perchénoi,delpuntoaltoche erimo,quardammochetruppe econfusionecin’erinopiúdi prima. E tutte diciammo: «Menomalechescapammo!» Cosí, quanto c’erino li allarme,cin’antiammodentra il recovero; lí ci sidiammo, e tuttalanotteio,ilmiopiacere era questo: di contare tutte li cose che mi avevino incontratoinvitamia.Etutte liminciatecheiosapeva,alla notte li racontava. E c’erano 2 ragazze ciamelle, che io li conosceva di quanto erino picoli,elasignoraSanta,sua madre,elacranteamicamia, donna Angela, conni suoi 3 figlie femmine, che la piú crante era di 14 anni. Lí dentra non pareva che era tempo di querra, ma pareva che c’era il teatro, perché si redeva sempre; mentre il massaro Ture e il massaro Santo dovevino stare atento per li vachi, li pecore, che si le potevino magare arrobare. Perchétuttelidelenquentedi quelle luoche profetavino propia in quei ciornne per arrobare. Poi, versso il ciorno 15, li amirecane hanno investato 35 unconvoglioditedesche,che erinocirca50camietedesche, tutte cariche di munizione. Chequestacolonnavinevadi Nicosia, che passava di Recalbuto, e doveva antare a Ennaperremporzzo. E cosí, li amirecane si hanno messo a butare bombe all’impazita sopra di Recalbuto,chelacolonnaera fermma e sotto li crosse alberenascostepernonessere vista.Masecomecidovettiro essere li spieie, questa colonna fu destrotta, e metà delpaesefudestruttomagare. Menomale che quase quase tutta la popolazione si era revesata in tutte li campagne e tanta perdita non ci fu. Ma asSamPilippo di Acira, che eravicino,ciforenocentinaia di ferite e muortte, che poi hanno fatto un cimetero propiadiquerraconliacente che morerino propia quello ciorno. E magare morerino assai soldate amirecane, e tutte li picoli paese che erino vicine ni morerino assai, e magare alLiomporte ni morerinoassai. E poi, propia in quella ciornata che feciro questo bombardamento a Recalbuto, hanno cetato, li amirecane, una crossa bomba nella piazza di Recalbuto, propia nella Casa del fascio. Certo che ci fu una disonesta spia italiano, perché la Casa del fasciopropianonlopotevino saperedoveera. Poi, ciusto ciusto quello momento, dentra quella Casa delfascio,c’eradintra,propia aquellaora,ilcavaliereIsola, quello che io conosceva 7 anni fa, che aveva fatto una lettraammeperfaremeavere un posto, e quinte era un crante amico mio. E questo era lí dentra il fascio, che quanto vede la popolazione tutta in allarme, per causa a questo sfracello che c’era, e lui poveretto, che era vero patriotico, ci diceva a tutte: «Coraggie, li amirecane verrannobotateun’altravolta a mare e la Sicilia non verrà ocopata». E cosí, con quella bomba buttata nella Casa del fascio, e poveretto, morí. E io, quanto mi l’hanno fatto sapere, ho provato un crante dispiacere, che pare che avesse morto uno parente mio.Edissetrame:«Pecato, che per me aveva stato buono,luiesuamoglie». Poi, nel nostro recovero erimo adeventate piú di 20, che hanno venuto altre 3 mitatieredellecasecolonie. E il ciorno 16 hanno venuto nel nostro recovero 2 crante ufficiale vestete di borchese, e non caminavano per la strada, ma camminavano campagne campagne, che tenevino paura dai tedesche. Cosí, vuosiro essere dato una pagnota e una borraccia di acqua,epoisinesonoantate di corssa. E queste 2 crante ufficiale ni hanno detto che «fra 5 ciorne li amirecane prentono Catania», e invece altre passante dicevino che li amirecane erino state sconfilitte. E non si sapeva a cheavevaacredere... Poiunanotte,dauntratto, sentiemmo dire: – Aiuto! aiuto! – e chiamare, però, piano piano. Respose io e disse: – Ma queste che chiamino aiuto che potessero essere? – Che sparare non zi senteva niente. Mentre il massaro Ture, che era davante la crotta, sobito prente il fucile mitragliatore, che l’avevimo trovato nella casadovec’erinoliatrezze,e lo mette promte per sparare. Chefucileniavemoquantoni volemmo, perché, delle case colonie, tutte l’italiane che c’erino lasciaro il focile e si ne sono antate. E quinte, avogliadifocile... Ed io mi venevono certe penzate, che aveva piú paura di loro che delle tedesche e delleamirecane. Ancoraerinole4dimatina enonavevaaciornatobene,e poi che c’erino molte albere dimandorleediolive,enon sivedevabene.Quinte,noiil ciornoprimoavemmosentito dire che l’amiricane avevino presoCaltanesettae atutteli carcerate del carciro di Mala Spina di Caltanisetta li avevino apertto li porte. E quinte, tutte li carciarate e tutte l’ante fasciste erino fuore.Etutteidelenquente,li amirecane, tutte i paese che ocopaveno, aprevino li porte aidetenutepolitice.Equinte, dovevimo tenere paura di tutte quelle che si presentavino. Ma quelle povere sbentorate, che cercavino acqua e fame avevino, si vedeva che arme non avevino. Cosí, ci hanno fatto compasione. E cosí, quanto vedo che erino 4 tutte strapate, senza ciacca, ho capito che erino soldate scapate, che li tedesche le cercavino, e si avevino spogliato delle robbe di soldato, e poi, forsse che dorante la strada avessero trovato qualche piezzo di cause 36 straciate, e si l’aveveno messe. Menomale che era luglio e faceva un caldo da morire, altremente avessero morto di fredo, questepoveredescraziateche erino recercate dai tedesche. Cosí, tutte 4 ni hanno fatto compasione e ni l’abiammo tenuto con noi. Come fineva fineva... Poi,liamirecaneerinoalle porte di Recalbuto, avevino bombardato il paese, e cosí aveva socesso il fine monto; cheavemmocominciatotutte a tremare, ed era nicesario di stare sempre dentra il recovero. Cosí, se vedevino le case della Bruca, della masseria crante, tutte che erino in fiamma, tutte li temugni del cranostavinobrucianto. I tompine, che erino state minatedaitedesche,saltavino per l’aria e li 4 puonte di Arecona saltavino per l’ario, per arrestare l’avanzata amirecana. Atrano 37 bruciava, Centuorbe era tutto infiamma, Traina lo stesso. L’aviazione amirecana abutavabombe. Sopra la collina pareva il bel vedere, che si vedeva tutto.Efortonatementechela battaglia era impegnata nelle stradeenellepianure,edove erimonoinonsparavino... Li tedesche avevino la popolazione contraria. E recoddochec’eraunacalleria del treno, che io ci aveva lavorato, ed era piena di sfollate, e quanto venevino li aparecche amirecane, tanto era il piacere che trasevino li amirecane che neanche sentevino paura. Pare che li amirecane non botavino bombemabutavinocelate,di quanto era stubita la popolazione in quei ciorne. Che magare li amirecane, quanto passavino vecino alla calleria, ci le butavino apositamente,libombe;tanto per farece capire «Antate dentra!»,aquestestubite. Litedescheerinopoco,ma facievino piú bersaglio dell’amirecane, tanto che, vicinoallecasecolonie,c’era umpicolo fortino, che c’era piazataunamitragliatrice,e2 tedesche dentra. E 2 che avevinotantocoraggiochesi hannofedato38difareun’ora di resestenza, che erino che hanno ammazato piú di 200 amirecane, ma poi furo acerchiate; e certo che fuoro ammazate! Ma, se ce n’erino assai di quelle fortine, certo che li amirecane di quella zonavinevinodistrutte! Recoddo che era il 20 luglio de 1943, che fu l’ultima ciornata che i tedescheerinoinquellazona. L’italiane erimo tutte tutte sicurochevenirel’amirecane era lo stesso di venire il SignorecollaMadonnaaffare arrechire a tutte. E quinte, erino tutte sodisfatte che perdimmo la querra. Cosí, i tedescheebirolapeggio. Cosí,nellanottechevenne, verso l’una di notte, passarenodelnostrorecovero 6 tedesche tutte stanche. Io e tutte ne abbiammo preso di paura e dissemo: «Ora si che ci ammazino!» E invece, povere descraziate, piancevino. Che io ci aveva stato tanto tempo ammienzo litedescheenonl’avevavisto mai pianceri, e dicevino sempre «querra», «tutte capute»;soloquellosapeveno dire. Cosí, questi tedeschi li abbiammo fatto reposare umpoco, e poi si ne sono antate, che tenevino paura dellaAmireca. Ma ancora li amirecane propia del recovero dove erimo noi non ci avevino passato. Cosí, il massaro Ture, il massaro Santo e Tanino uscierinofuoredelrecoveroe antareno a vedere tutte li vache che avevino, se erino vive. E parterino magare per stutare 39, che c’era tanto cranochesistavabrucianto. Ma c’era silenzio dove erimo noi, doppo che ci avevino stato 15 ciorne di infernoadomato40. Cosí, verso le ore 8 di mattina, immienzo a tante crantealbere,chec’eraquella matina umpoco di impuscatura 41, che era lo stesso della nebia, mi sento chiamarediTaninoconmolto paura, che curreva per venire verso di me e mi diceva: – Don Vincenzo, don Vincenzo, voia vede 42! Che immienzoallevacchecisono ancora i tedesche! – Mentre tutte avemmo creduto che li tedesche si n’avevino antato, el’ultimeerinoquelle6della notte. Cosí, io mi sono preparato come tutte li altre volte, che quanto c’erino tedesche ci antava io, perché sapeva qualche cosa, e mi priparaie per antarece incontro per direceunaparola,quanto43li avesse carmato. Mentre io tremava. Cosí parto, a Dio e lafortuna. Ma, non apena fu a 10 metre di distanza, con quella infuscatura e li albere che c’erino,iostavaspiagantoper direce: «Cutitachi», che voleva dire: «buociornno», ma fuoreno prima loro a direme: – Siete contente che viabiammoleberatodiquesta teranna nazione tidesca e questocovernofascista? Io restaie muto, senza dire una parola, con lo spavente, vedento a 20 soldate amirecane tutte con fucile mitragliatore, e poi che parlavino magare propia siciliane… Ma loro pare c’antavinoallafesta,dicomo erinoallecreecontente.Cosí, mi hanno dato la mano e mi hanno detto: – Macare noi siammo vostre paesane –. Io non sapeva quello che aveva arespontere. E allora, senza sparare un colppo di fucile, presero la collinadoveerimonoi. Io tra di me penzava che Taninomiavevadetto:«Don Vincenzo, ci sono i tedesche!» E menomale che parlaroprimaloro,altremente potevafenireaschifio,quella matina... Cosí, io mi sono messo inziemmealoroemilesono portatoalrecovero. Che poi ci n’abiammo antato dove c’era la strada e abiammolasciatoilrecovero. E lí, vecino alla strada, c’erino tante carre armate. E secome i tedesche, prima di scapare, tutte i tompine l’avevino minato, poi, li amirecane,perpoterepassare le truppe, ci avevino messo un carra armato per treaversso. E cosí, la strada recominciava a prentere il trafico. Ecosí,questeamirecanene l’abiammo portato nelle case coloniche e ci abiammo oferto tante cosi, e loro c’hanno dato tante sicarette. Ma poi stiesero un quardo d’ura con noi e represero il rastrillamento. E uno di queste soldate amirecane, parlantoconilmassaroTure, disse che: – Tutte noi che ni chiamino «amirecane» siammofigliedisiciliane–.E tutte queste paracadotista che hannocitatoconiparacaduti, tutte erino figlie di siciliane, volentarie e, disse: – Ni pachenoprofomatamente. Cosí, doppo una lunca racionata, perché si vedeva che tutte questa antavino spezionantoevolevinosapere tante cose perché erino tutte spie, li amirecane si ne antavino,eiopresirespiro. Cosí, vado all’aria, e c’erino poi tante sceche che manciavino crano, che avevino state ancora lecate daitedesche:cheerinopropia quelle che straportavino il materiale e la munizione di querra,esecomenonebiroil tempo di portarasille, restarenolí. Io, che doveva antare a Chiaramonte, penzai di prentireme una bellissima sciecca,edisse:«Milaporto, e quanto retonno ci la porto, perchéiorobadellealtrenon nivoglio». Le strate erino piene di soldate nere amirecane, tante sfollate strade strade, cente che piancevino, che non sapevino dove dovevino antare, perché li amirecane facevino tante puosti di bilocco e sempre domantavino. Io era il piú furbo di tutte, perché caminava campagni campagni, e ci faceva capire, agli americani, che antava allavorare vicino, tanto era senzaciaccaedimostravache eraunapersonalocale. Cosí, davero sono finarmente revato a Chiaramonte verso li 5 di mattinadel24luglio1943. Io era stato tanto priucupato di quanto avevino trasuto queste amirecane che mi credeva che Chiaramonte, sento 44 vecino al paese di Comiso, avesse stato bombardato; e invece niente. Mamegliocosí. Vadoperprimoacasaemi offatto il cuore. Vedo a mio figlio Turiddo e mia moglie che si stavino alzanto, e Turiddocheciucavaconaltre piciridde. E poi, tutte aveva trovatobene:amiamoglie,a miamadre,aimieifratelle. E cosí, doppo che aveva visto a tutte i miei, mi ne sonoantatodaimieipadrone. E come mi hanno visto, si sono merevigliato di come aveva fatto a venire della Brucaconquestaquerratanta perecolosa, e come aveva restato vivo, e come aveva atraversato piú di 100 chilomitre di strada con quella scecca. E poi, mi hanno quardato nella faccia, che era crasso e beddo notrito, e mi hanno detto: – Ma tu dove sei stato con questa querra? che non ci fu niente dove eri to? tu che sei cosícrasso? Poi, cercaie a mio fratello Paolo, che ancora non zi aveva maretato, ed era disocopato, e ci disse: – Paolo, ci vuoi venire alla Bruca? Lí, il manciare ene franco. Cosí, vai a vedere ai recalbutane –. E Paolo, quanto ci ho detto questo, ci hapiaciutotanto. Cosí, salutaie a mia moglie, che era cravita di Tanuzzo, e tante baci ci ho dato a Turiddo, che di quelle bellizzenoncin’erino...ime ne sono antato. Ma, con lo scentere le scale, quanto sientospotareversodime,ed era quella canazza che spotavaamme,perchéancora non aveva io morto, ma io ormaiec’eraabitovato. Presentaie a mio fratello Paolo a tante acente che aspetavino il mio ritorno, e poi ci ho dato tanta sodispazione, che tutte volevinosaperecosaaveveno dettoipadrone. – Mi hanno detto che tutte quellechehannolecaserotte e sono inabitabile si fanno reparare e poi il padrone li paga, abastica non ci foreno muorte –. E tutte dissero: – Che beravo padrona che sono! Poi,ioemiofratelloPaolo ci abiammo messo a cerare, pervederesetrovassimocose di valore; ma tutto era distrutto e tutto era bruciato. Mio fratello, che querra non aveva fatto maie, s’impresioniava quanto vedevatuttobruciato. Quinte,c’erino4apparechi distrotte,eniabiammomesso a quardare tutte quelli pezze di rotame e trovammo uno stromento di incegniere, che era un valore, e dissemo: «Oraciloportammo».Cheio e Paolo lo conosciammo che cosa era, che avemmo lavorato sempre con l’icegniere. Ma come ni hannovistoliamirecane,che erino che spezionavino tutto quellochec’eralasciatoterre terre dei tedesche, e tutte i fucilechec’erinoterreterree mitragliatrice, e c’erino tante soldate nere che racoglievino tutto, ma quanto io e Paolo stavimo per prentere quello stromentodelgl’icegniere,ni abiammo visto il fucile pontato verso di noi, che ni abiammo preso di paura, e dissemo: «Lasciammo fottere tutto, che ene meglio, perché queste sono sempre nostre nemiceecipotesseromagare ammazare». Cosí, ci n’antiammo senza prentere niente. Ma, per manciare, si stavino futienno tutte cose loro. Tutte li craste 45, gli agnelli, si le mazavino e si li manciavino, e non ci potiammodireniente. Però, un ciorno, abiammo provato una crante sodisfazione: che il massaro Tureavevaunatroiafemmina con 9 porceline apresso, e c’era un nechero, di quelle che erino conni bataglione amirecane, che ci ha venuto la testa di prentere un purcellino di quelle, che potevapesare10o11chile. Mailporcellinoparechelo sapeva che questo l’aveva ammazare, e quinte si ammessoacridareforteforte, questo porcellino. E poi ci venne bene e ci appiantato ummozicune nel naso, che il naso il porcellino ci l’ha portato via tuttu. E cosí, il poveroporcellinosiassarbato enonziaffattoprenterepiú. E cosí, minomale che poi, quanto avessero passato 8 ciorne, venni l’ordene che tutte li soldate che erino in quella zona dovevino antare arraciuncere Messina, perché li tedesche si hanno trovato tutte acerchiate e, che aveva passatodellostrettoechinon aveva passato, foreno tutte presepricioniere,poverette. E cosí, si ha fenuto la querra in Zicilia, e queste tutte nere amirecane, inchelise, si n’antareno; altremente, se ancora stavino con noi, ni stapevino spogliantotutto. Mentre il devertimento si trovava sempre. E c’erino vecino di dove dormeva io una famiglia che erino tutte butane e delenquente. E quinte, dentra quella casa di questa famiglie c’era tutte le sere che s’aballava, per festiciare la liberazione di tante bricante librate del carciro! E secome leggie non ci n’era, che comantavino tutte quelle scapate del carcere, perché li carabiniere non contavino in quei ciorne, e poi tutte avevino un fucile, fimmene e uomine, e affare fuocononcivolevanienteea trovarese ammazato non ci voleva niente, e cosí, magare che io e Paolo non ci volemmo antare, afforzza di chiacherecidovemmoantare. Quinte, c’era un vero bordello.SoloioePaolonon avemmo state in calera, ma poi tutte l’avevono tastato, la calera, magare le donne. Poi, in quella famiglia non si parlavaaltrochedimafiaedi caleraedispara.EioePaolo stiammomute. Poiabiammoliquitatotutte li conte con tutte li mitatiere, e io e Paolo ci voleva poco perpartireperChiaramonte. Aveva potuto quadagnare lire32.000milalire. Recorddo che era il mese disetembre1943. 1 acomitare: arrangiarci, accomodare. 2 sbirro lavoro: lavoro infame, da poliziotto. 3 ponto:posto,posizione. 4 codda:colla. 5 danticelamoconata: dando loro latangente. 6 FrazionedelcomunediComiso. 7 larancie:learance. 8 arucimele:varietàdiarance,dolci (aruci)comeilmiele. 9 metataria:podereamezzadria. 10 chifalilegna…lispalle:chifa la legna in una cattiva strada, la deve portare soprale spalle, cioè il male compiuto,primaopoiricadesuchil’ha fatto. 11 fraschi: frasche, ramoscelli secchi. 12 vieccio:vecchio. 13 Una cerimonia religiosa di Chiaramonte, che dura 10 giorni e comincia nella setti-mana successiva allaPasqua. 14 vomintato: aumentato, ingrassato. 15 La Bruca, tra Centuripe e Regalbuto. 16 noncipotevapretentere:nonse nepotevaoccupare. 17 mastrise: in questo caso, significaesperto. 18 cisienno:essendoci. 19 fuoredell’aria:all’ariaaperta. 20 laprovinciababba:laprovincia bonacciona.Cosídefiniteleprovincedi Ragusa,SiracusaeMessina. 21 Troina,CentorbieRegalbuto,in provincia di Enna. Bronte, citato dopo, invece,èinprovinciadiCatania. 22 pisavano: pesavano (nel mondo dellamalavita). 23 didorno:dintorni. 24 I ponti d’Aragona o di Rauna, sulfiumeSimeto. 25 Agira.IlpaesefuchiamatoSan Filippo di Agira fino al 1862. Probabilmente, nell’uso popolare, l’antico nome si mantenne per lungo tempo. 26 arie:aie. 27 umpronte:unfronte. 28 achitunche:attenzione. 29 Melilli. 30 Randazzo. 31 caldarelle:secchipertrasportare ilcementogiàimpastato. 32 timugne:covoni. 33 Misterbianco. 34 Gerbini. 35 investato:avvistato. 36 cause:calzoni. 37 Adrano. 38 sihannofedato:sonoriusciti. 39 stutare:spegnereilfuoco. 40 adomato: acceso. Qui, fiamme. 41 impuscatura:foschia. 42 voiavede:vengaavedere. 43 quanto:dimodoche. 44 sento:essendo. 45 craste:montoni. in Capitolosedicesimo Trabrecanteecarabiniere Poi venne il 27 settembre 1943enascioTanuzzoefala fortunamia.Checomenascio c’eratutto,c’eramagarevino vecchiosalvato,compureche quello malaucurio di padre Cadarddo, mantato di quelo santodipadrePietro,siaveva fututo la butiglia di muscato. Vercogna, che io l’aveva salvato per quanto nasceva Tanuzzo! Cosí,looffattobatezzarea compare Ture il Marchese, chesecomeeramoltofurbbo, e diceno li antiche che il figliozzo rasomiglia al padrino, e cosí l’offatto batezzareallui. Cosí,mihavenutoun’altra provedenza, che era il 15 ottobero e mi ha chiamato il barone lu zuoppo, Montesano, e mi ha detto: – Vincenzo, ci viene alla Fontanazza, che ene aura di scotelare 1 li olive, e cosí tu stai atento per non ci fare fotere l’oglio ai mitatiere dellacampagnadiRocazzo2? – E cosí, io ci ho detto di sí, checiantai. Ela3ciornatacheioeralí nelpalazzodelbarone,ioera corcato nel garaggi, ebbe un’altranotatadiquerra.Pare che io era stato a questo monto propia per stare semprealmezoalpericolo. Ad un tratto, verso mezzanotte, sento uno forte remoredicarrettaeunaforte sparatoria e colppe di fucile alla porta. Io non poteva dormire e neanche poteva uscireperchémisparavino.E cheerino?Queste2carretiere carreche di crano, che era di contrabando, e li carabiniere che ci sparavino alle carrettiriere. Econifocilemitragliatore, i carabinieri, hanno vinto. E li carretiere hanno bandonato carretta e crano, e sperdirese immienzo alle vagnite. E cosí,licarrabinierepenzareno di portare il crano con le 2 carretta dove era io, che era presoditantapaura.Ehanno prima sparato 2 colppe di pistola per impavorireme amme, che io, senza sapere chi era che sparava, cià tremava. Cosí, hanno detto questabatugliadicarabiniere: – Crapete, annome della legge!–Econunalampadina tascabile messa vicino alla fermatura io potte qualdare e assecurare che erino carabiniere. E cosí, ci ho aperto la porta del caragge, e mi hanno detto: – Che cosa facete voi qui? – E io ci ho detto: – Sono una persona di feduciadelbarone–.Equeste mi hanno detto: – Qui vi conzegnammo queste 2 carrettadicranoedomanene le dovete consegnare come sono. Io (certo che con la forzza nonziciscgerzza!)cioffatto mettere li 2 carretta di crano, e li carrabinieri si ne sono antato,eiorestaiilquardiano diquellocrano. Cosí, chiuse la porta, mi sono carrecato un sacco di crano sopra li spalle e mi ne sono antato immienzo alla campagna.Cosí,ilsaccol’ho antato annascontere immienzo alla terra, e non lo vedinopiúnéicarabinierené li carretiere. Pacienza che il cuoremibatevacomequanto erauncuniglioassutato 3dai cane, ma questa notte io avevaquadagnato4tuminadi formiento. Cosí, verso li 3 di notte, forse che si hanno messo di acordio carretiere e carrabiniere, e sento chiamare: – Vicinzuzzo, susite, che sono Ture Cipodda, che ti devo parlare –.Io,certocheerasicuroche era uno amico mio, mi ce faccioavanteecidico:–Che vuoi? – E lui mi ha detto: – Rape 4 il garage, che queste sono li padrone del crano –. Responto io e gli dico: – Come! Se mi l’hanno consegnato li carabiniere, cometelopossodare?–Elui mi ha detto: – Non avere paura, che tutto è fatto, e domane ci sono anche lire 500 per te di recalo –. Respondo io, che faceva lo incenivo, e li diceva: – Turiddo, tu dice cosí, e cosí facio!–Ecihodatoilcrano. E cosí, hanno carecato li 2 carrettaecimancavailsacco, edissero:–Doveèilsacco? E io ci ho detto che, come lo hanno portato li carabiniere, io non ci sono antato piú nel carace, perché tenevapauradellasparatoria. Ecosí,iofucritto5epreso per uno innocente, e si ne sono antate bestimianto. E forsse che ai carrabiniere li dovettiropagareperportarese quello crano. E poi, come fu ciorno, venne Ture Cipolla a trovaremi, e davero mi ha datolire500. Equellanotatadipauraper me fu una notata di querra, maperòavevaquadagnato80 chiledicranoe500lire. E amme, la fortuna, dopo tanteannidivederetantecose stuortte, mi stapeva campianto, che piú parole mi dicevinopiúfortunaavevaio. Cosí, fenito il lavore del barone allo Rocazzo, che mi ha pagato profomatamente, eraun’altravoltadosocopato. Mamiavvenutolafortunadi unaltrolavoro. Secome io, quanto era alli moline,chefacevailmistiere dilevareceli3chiledicrano perleforzzealmate,maleera il mistiere che faceva, ma fu da me saputo fare; sicome avevinoentratoliamirecanee il barone Melfe era ante fascista – e come venniro li amirecane questo barone comantava a Chiaramonte, e quantosedavinolicantieredi lavoro ci le davino a questo barone –, io che quanto era alli moline ci aveva fatto macinare tanto crano di contrabanto, perché io era veramente unfascista della prima ora e, per ciusta leggi, lavorononmin’avevaadare, che prima li doveva a dare alleantefascistecomelui,ma secome io l’aveva respetato, mihachiamatoemihadetto: – Ora vi faccio caposcuadra nelcantieredellastradadella Madonna e vi faccio quadagnare70lirealciorno. E cosí, io disse: «Finarmente, doppo tante patemente, mi sono messo a posto, e forsse forsse ho fenutodifaremalavita,cheio di Chiaramonte non mi ne vado piú, esento amico di questo barone Melfe», che davero fu ch’io restai allavorare a Chiaramonte per tutta la mia vita. E aveva manciare, solde, tutta questa fortuna di lavoro... Mentre l’operaio quadagnava 50 lire, e quinte non zi quadagnava neanche per quanto manciava. E quinte, li acente stavino male, poi perché il coverno Batoglio aveva fatto l’Ommistizia e si aveva reso all’amirecane. E questo Batoglio faceva la querra contra la Cermania, che prima, quanto scoppiò la querra, fu il primo a dichiarare la querra contra l’America, e prima diceva: «Evviva il fascisimo», e ora era contra il fascisimo e contra la Cermania, e non si potevaracionarepiú. Quente, c’era tanto intrallazzo e tanta camurra: un paro di scarppi 13 mila lire, un vestito 20 mila lire, chi poteva robare robava, li carabiniere non comantavino piú, e sparte li tempolate dovevino tastare 6, se parlavino. Poi, il coverno Batoglio aveva fatto un decreto, che tutte i soldate che si avevino dato disalture si dovevino presentare per fare i soldate contrainostrealliate,voldire la Cermania. E quinte, c’era che si presentava e c’era chi diceva: «Ma noi abiammo perso la querra, perché dovemmoantareacompatere, che siammo pricioniere?» E cosí, si affatto il seconto fronte, che c’erino tante stodente e tante acente che nonvolevinofareliparteciani e non volevino partere, e poi neimureciscrivevino:«Non si parte per soldato, che, la guerra, gli italiani, l’avevino perso,equintenonvoliammo compatere contra i nostre fratelle». Tutte i paese erino in revoltta.Ficoriamicechecasa deldiavolochec’eraintuttei paese! Che il coverno Batoglio chiamava soldate percombatterefratellecontra fratelle! E quinte, i soldate sicileane non ni volevino sentire piú di combattere, e a tutte queste che pezavino manifeste la polizia li prenteva e li metteva in calera. E poi, tutte queste isticatore hanno dato fuoco a tutte le esatorieie allo scopo che, brucianto li carte delle esattoriei, si credeva, il popolo stubito, che tasse piú non zi ne pagavino, e certe monecipieforinobruciate. AsSalerno e Napole si compateva come li pazzi tra fascista e parteciane e tedesche, che erino tradite dalleitaliane. Poi, nei prime di ciugno del1944, mi hanno chiamato un’altra volta li Montesane per fare il lavoro di l’anno passato. E cosí, mi hanno detto se voleva antare alla Bruca e dareme le stesse 2 salme di crano e versare il crano all’amasso. Solo che l’annopassatoc’eralaquerra e mentre quest’anno querra non ci n’era… E disse: «Ora sí che mi posso fare una buona fortuna, perché le strade a quest’ora l’hanno conzato. Esento vecino alla strada, con qualche mezzo, qualche camio di crano lo potesse fare sparire, tanto i padronesonoricche.Epoi,se mi prento qualche cosa io, nonciimporta». E cosí, sono revato, non tuttu impaurito come l’anno prima, ma tanto contente, perché antava a trovare amice,emagareamicedonne chemilavavinolabiancheria. Io mi aveva portato tante robbeperchéillavorodorava 3mese. Ecosí,mihannoabraciato, «dommicienzo» di qua, «dommicienzo» di là, d’ognuno mi voleva portare alla sua casa. Io questo lo sapevadil’annoprimadiche cosa si tratava, che tutto questo amore che portavino amme era lo scopo de formiento. Ma, del resto, io cefacevaraggione,perché,se era io al suo posto, avesse fatto lo stesso. Perché, per campare, bisogna di fare rofianate.Maioglihodettoa tutte:–Cheiovivogliobene atuttecomefratelleesorelle, ma di dormire devo dormire dovedormeval’annopassato. Cosí, la signora Angela, la moglie del massaro Ture, si affatto il cuore, e il suo marito magare, e i suoi figlie non zi poteva sapere di quanto erino contente che io micorcavadentralasuacasa, etuttemicarezavinocomeio avessestatounasignorina. Tutto il mese di ciugno stese lí nel fevito, che si affatto tutta la mitetura e si affatto il conto di quanto cregni 7 il fevito aveva fatto. Poi, io ci ho detto a tutte i mitatiere: – Ora, quanto si deve tribiare? – E mi hanno tutte resposto: – Ora preparammo l’aria 8, e il temposimettesseapostoche facesse carddo, e cosí cominciassimoatribiare–.E io ci ho detto: – Che ora io per 4 ciornne vado a parlare con i padrone, e poi, al retorno, vediammo se il tempo lo promette di cominciareatribiare. Cosí, io penzai che aveva la valice crante che mi avevinodatoquantoantavoin Cermania, che era la piú crante valice che assesteva 9 dituttelivalice.Ecosí,vado dentra la casa della vera amica mia. Di vero cuore tutte erino amice miei, ma la signora Angela era propia quella che mi aveva salvato, perché era delenquente e il suomaritopiúdilenquentedi lei. Cosí, io e lei, voldire la signora Angela, riempiemmo quella crante valice e ci abiammo prima messo 15 chile di fave belle bianche cucivile e ciapute 10, poi 8 chile di linticci e 10 chila di pane di massaria, tutto fatto dalla signora Angela, che erino 5, ma belle crante, pagnotte di 2 chila per una pagnotta,6chiladiunbuono formaggio e 5 chile di lenticce e umbel pezzo di ventrisca e salame e 4 pezze di recotta salata e tante altre cosechemiavevanorecalato tutte. E poi, la valice si arrimpivo che piú non zi poteva carrecare, di quanto erapisante,ederadifecortusa aportalla. Ma secome era vicino alla strada, io sempre tutte li camie che passavino ci domantava dove antavino, e finarmente ci n’era uno che antava a Lintine. Cosí, lo ho fermato, e lui si fermò e nel medesemotempociammesso l’acqua nella machina. Cosí, cisonoparlatoperquantomi portavaammeversoSiraqusa, e mi ha detto di sí, e mi ha detto: – Io, solde, non ne voglio, ma voglio cose per manciare –. Cosí, io ci ho detto:–Cipiacechecidà10 chila di fava? – E lui mi ha detto:–Magaremilidà! Cosí,cihodatole10chila di fave, che questo restavo contente, però mi ha detto: – Io, per la valice, non poso essereresponzabile,perchéci sonomoltopriocupazioneper passare dello dazio senza lassapassare –. Responto io e ci dico: – Ma lei ene amico con quelle dello dazio? – E luimihadetto:–Sí–.Ecosí, io ci ho detto che: – Ci diammo qualche cosa, e vedessechesipassatutto. Poi io ci ho detto, al camionista,cheavevaparente a Siraqusa e ci doveva passare e potevimo perdere un20menuteditempo,emi hadettodisí. Cosí, antiammo nella via de li mieie parente, ci ho detto di fermare e si ha fermato. E io prese li fave cocivile e ci l’ho dato alla sorella di mia moglie. Poi, preseunabellissimapagnotta frescaetantealtrecosi.Emi ha detto: – Crazie. Volete prentere un cafè, che vi lo faccio? – sempre chiamandomedivoi. E io non voleva cafè, ma voleva che mi avesse detto: «Come stai?» di «tu», e poi volevaesseredetto:«Chevai a Chiaramonte, saluteme a mia sorella». Questo niente. Anzi, ci ho inteso dire a una vicina di casa che io, che ci aveva portato quelli cosi, era il calzone delli suoi mitatiere 11. E io, nello scentere li scale, che ho inteso questa parola: «questo ene il mio calzone», disse: «Quantosonofessacheciho portatolefave,ilpaneetutto. Vigliacca donna, sempre figlia di quella cane ene! E tuttoquestosempreperquella stubita di mia moglie che sempremidicedi“pigliareal buono ai miei, che poi, quanto muore mia madre, ni fanno tanto bene”». E io diceva: «Ma ene stubita, mia moglie!?» Arrivo a casa scentento di San Ciovanni, e vedo a Turiddo con Tanuzzo con li mano, vicino a don Ciovannino Milio, che ciocavino con li altre carusi piciriddi. Ma Tanuzzo era lo piúpicolo,cheaveva10mese ed era capaci di camminare solo.Ioerasodatoconquella valice, e poi che ho visto ai mieifiglieederatuttopriato. Cosí,traso,posailavalice, prese la butiglia del vino, vaioniTureRevietto,compro il vino, prese umpezzo di salameeunacrossapagnotta, e ci abiammo messo ammanciare. Poi, mi ne sono antato nei padrone e ci ho detto che il cranoeratuttostatomituto,e mi hanno detto: – Quanto lo trebiate?–Eiocihodetto:– Orastaio4ciorneacasaepoi parto–.Epoicihodettoche: – Prima di trebiare, io devo fare denunzia all’amassatore e poi loro, prima di cominciare, devono costatare che questo anno il crano era tutto mità nero e mità formento;esilovolevino,era quello. Perché la racolta aveva venuto mala quest’anno. E quinte, l’amasso forsse c’era il periclo che non zi lo poteva comperare, perché la protezione12eramalissema–. E quinte, come i padrone sebiroquestofatto:–Vedese lo potete ventere di contrabanto, bastica prentessimo li solde che ci dovevadarel’ammasso. Cosí, subito, mi n’antati allaBurucaenonpenzavapiú niente: solo di fare solde. E finarmente, facento uno bellissimo viaggio, sono arrevato alla Bruca, che aspetavino a me per tribiare. E si vedeva che il crano era mitàtabacco,perchéforseera una malatia che divineva della terra, e certe mitatiere prevenute dicevino che diveneva della querra che ci avevastato. E cosí, si ha cominciato a tribiare,eioetutteimitatiere erimofelice.Solochec’erino tante lamente per tutte le campagne, che c’erino tutte i carcerate piere piere 13 e antavino robanto, e tutte le notte c’erino sparatorie e tanteomicideic’erano.Leggi non ci n’era. Tutte queste lazzarone li armme li avevino, perché fucile ni arrestareno tante con la querra. Quinte, queste brecante si chiamavino «separatiste»: erino tutte fuora leggi e facevino quello che volevino. E certe notte parevacheerimoinquerra. Io, quelle luoche e quelle acente, li conosceva e faceva pacienza, altremente, se io parlava, mi potevino fare la pelle. Io li chiamava sempre che erino «acente buone», perché io li conosceva che erino, ed erino propia quelle di l’anno passato, e penzava quanto ballammo tutte li notte. E loro conoscevino amme, ma facevino finta di nonmiconoscire,eiofaceva lo stesso. E quanto vinevino, iotantocentile,cidavaquello che volevino e quello che desederavino. Cheioledovevachiamare «uomineoneste»perforzza. E recordo che un giorno, erono verso le ore 9 di mattina, quanto abiammo vistoentrarenelrecintodella crantemasseria–chec’eraun crante portone che d’inverno macare si chiudeva, ma tiempo di mitetura niente, perchéc’erailvaeviene–,e quantoabiammovistoentrare 6, 7 uomine a cavallo tutte conunaucerecurosa14.Certo cheerinobrecanteefacevino una forte paura, perché erino armate. Avevino li armmamente che avevino li tedesche della compagnia Ticre, li cavalle ci avevino belle selle, e poi ci avevino unbellopaiodibertole15con d’ogni lato 4 fucile e il tasco da pane pieno di bompe ammano, e loro avevino magare il carnochiale a tracollo. E la paura che mi facevino, neanche mi l’avevinofattoliaustriecesul Piave quanto mi presero pricioniere nel Piave nella querra15-18. Io e tutte quelle che erimo lí, tremammo e non parlammo. Loro hanno sceso del cavallo, 2, e li altre sono restatoacavallo. Da un tratto uno, con quellavocionaforteepaurosa cheaveva,disse:–Cheèche comanta qui? – E cosí, tremanto tremanto, mi ce sonofattoavanta,emihanno detto: – Voi che cosa facete qui?–Eiocihodettoche:– Sono l’incarecato per versare ilcranoall’amasso,epoialla fineminevado–.Iotremava come una foglia, cià tutte tremammo,perchélacarabina era pontata verso tutte noi, e li altre che erino fuore avevino i fucile mitragliatore belleafarefuoco. Cosí, il capo di questa bantamihadettopropiamme: – Voi, Rabito, che siete l’incarecatodiquestofevitoe di questo padrone, dovete antare a trovare al padrone subitosubito.Oggièsabito,e quinte avete 4 ciornne di tempo. E quinte, ciovedí matino vi aspetiammo. Dovete antare nei vostre padroneevidovetefaredare lire100.000milaperforzzae le dovete portarlle annoi qui, propia in questo punto, ciovedí, altremente dammo fuoco a tutta questa campagneebruciammotutto, e lo crano viene tutto bruciato, e magare li cane vencono bruciate e tutte li bestie che sono in questo fevito! E gli dicete, ai vostre padtrone, che noi siammo della Banta Rossa micidiante 16 –. E poi mi hannodetto:–Atenzionealle ordene, Rabito! Che l’uomo avisatoèmitàsalvato. Iocalavalatesta,facentoci capire: «Sé signora, per me aveteragione». Curre curre, vado nella casacolonicadov’iodormeva ecihoracontatotuttoilfatto alla signora Angela e il massaro Ture, che io doveva antare subito subito a Chiaramonte perché mi dovevafaredarelire100mila per darlle all’«amicie». E li ho precate non lo dere annessuno, questo discorsso, cheeramigliopertutte. Arrivato a Chiaramonte, oppassato della piazza per comperareme le sicarette e passarene umpoco di spavento. Cosí, per un caso, nella piazza vedo a un figlio diMontesano,cheeraunodei miei padrone. E come mi ha visto, si affatto una marevigliaemihadetto:–E tu, Vincenzo, perché ti trove qui? – Responto io: – Qui, nella piazza, non lo posso dire quello che mi ha soccesso. E cosí, caminanto caminanto, presemo la strada perantareacasa.Epoicheio ciorracontatotutto,ipadroni si hanno dispiaciuto, e il primofuilpredeadireme:– Tu,perora,noncivaie.Lassa passare 10 ciorne e poi ci vaie.Equantocivai,glidice aquestedilinquente:«Limiei padrona solde non ne hanno, perché sono state destrotte dellaquerra,mailcranotutto quello che vuonno si prenteno». Ma io, per farece capire che aveva coraggio assai, ci ho detto: – Io venne per fareve sapere di che cosa si tratava.Oravatoassalutarela miafamigliaeparttosubito. Cosí, io recorddo che potevino essere le ore 7 di sera, ma ancora si vedeva bene,maioa100metredella casa colonica mi affatto coraggiodamestesso,miho adomato una secaretta, ma, come mi sono adomato una sicaretta,ecivolevinoancora 50 metre, io tremava, ma fumava. Cosí, mi sono visto avvicenare 4 uomine della custura che mi hanno domandato: – Voi chi siete, dove siete stato e di dove venite? E io ci ho detto: – Io sto arrevanto propia adesso, e questa è la casa dove io ho dormito 3 mese, e venco da Chiaramonteperparlareconi padronediquestofevito. E uno mi ha detto: – Ma checosafatequi? E io ci ho detto: – Sono una persona di feducia del padrone de fevito, perché questo fevito apartiene al barone di Montesano, che abita a Chiaramonte Culfe della provincia di Raqusa. E ioquisonosoltantoperfarece la racolta e versarece il chirano all’amasso, e poi basta,epoiminevato. –Ecomevichiamate? –RabitoVincenzo. E cosí, uno di queste, che forsse era il comantante di questequardie,disse:–Ecove qui, siate piropia voi quello cheantammocercanto! E cosí, hanno preso il libretto, e dentra questo libretto c’ereno 6 fatocrafieie picoline per tessere e mi le hanno fatto vedere, e poi volevino sapere se io conosceva a queste, e chi erino e come si chiamavino. Io, certo che era molto prateco di quelle luoche, e sapeva che non zi doveva parlare maie se voleva campare, ci ho detto di no, chenonliconosceva. E cosí, non apena io ho detto che non conosceva annesuno di queste che erino nelle fatocrafiei, 2 di queste mi hanno preso li mano e mi hanno portato vicino alla strada provinciale, che c’era una camionetta, e mi hanno messoiferre.Parec’avessero preso propia il capo banda a prentere amme! E poi mi hanno detto: – Il vostro padrone tiene a voi come un uomodifiducia,mentresiate l’amico non del padrone, ma l’amico della Banta Rosso, e siete delenquente e fuora legge e latro come loro, e siate micidiante come questa bantachenoicerchiammo! Io,conlimanelecate,non sapevaqualepescepigliare,e mi stava muto e non parlava, e magare pianceva. E uno di loro disse: – Dite la veretà, altremente vi la passerete mala… Maio,tuttopresodipaura, nonsapevaquellochedoveva dire. Io quardava alloro, che pace non avevino, perché erino arrabiate come vero cane quastate 17, perché la speranza sua di sapere qualchecosaerapropiaio. E cosí, tutte, vedento ammeconiferra,lecatocome lecaro a Gesú Cristo innucente sulla croce, e poi chemistavinometentosopra lacamionettaperportaremea Enna, al carcere, tutte li mitatiere si hanno messo affare delle voce, perché vedevino che io era stato intrecato in quella facenta di mafia,mentreioerainocente. Etuttequelleacentecheerino lí a vista di questa manifestazione gli credavino e ci dicevino: «Ma quello, don Vincienzo, non ene niente, cuello ene uno lavoratorecomenoi!»Mentre quello che comantava di quellequatro,cheforsseerail commissario che pressava amme,diceva:–Voi,Rabito, vero che siete antato a Chiaramonteperdirecechela BantaRossavihadettochele vostre padrone ci dovevino dare100.000milalire?–Eio cihodetto«sí»,cheeravero. – E perché voi, Rabito Vincenzo,quellaciornatache hanno venuto queste alla Buruca a cercare queste lire 100.000 mila lire, invece di antare a Chiaramonte a parlare con i vostre padrone, nonavetevenutonellaleggie, che siammo noi? – Mentre l’altro mi ha terato una tempolatanellafaccia. Ecosí,iodisse:«Orasíche sono fritto», e respose alla parola del commissario e ci ho detto piancento: – Ma come poteva venire affare questa dinunzia, che quelle fuore legge, con li mitre pontate, mi hanno detto 100 volte:«AntateaChiaramonte subito subito, altremente vi ammazammoedammofuoco atuttalapropietà»?! E cosí io, dopo 2 ore di domante, e anche qualche tompolone ho preso, finarmente ci offatto compassione e mi hanno lasciato andare, e mi hanno detto:–Perquestavoltasiate libere.Edoveterencraziarea tutte queste acente che vedete,chesonostatetutteal vostrofavore. Cosí, io, come mi hanno levato li manette, ho preso aria, e mi allicava le dita come il coniglio quanto li cane dai caciatore lo lascino antare. Cosí,manzomanzo,mine antai nella casa del massaro Ture. E lí c’era la signora conni suoi figlie tutte spaventate che mi avevino vistolecatoepoimessonella camionetta a punto di partire perilcarciro.Ioquardaioche c’erino carabiniere nella casa colonica e ci ho detto piano piano: – Ma come, quelle si ne sono antate, e queste niente?–ElasignoraAngela mi ha detto: – Caro don Vincenzo, ave 8 ciorna che tutto il fevito è pieno di fforzza, e della masseria crante ave 8 ciorne che ci sono12dellaquistura,esono state peccio delle bricante di quanto spesa si hanno manciato: tutte li uova delli calline e 2 agnillone che voi sapete, e per forzza ci li dovettimo cocinare, e poi formaggio, salame e vino; tutto si stanno mancianto. E ora speriammo che al 10 ciornno si ne vanno e ne lascino impace a tutte, in queste sbinturate case colonie, che ni stanno lascianto a tutte povere e pazze. Cosí, io ci ho detto: – Signora, non avesse paura, chebasticatuttaquestaforzza si ne vada, che sono piú dilenquente dei delequente, chesistannomanciantotutto, e fanno meglio che si ne vanno,epoi,quantovencono i delinquente, ci dammo quello che vogliono. E poi, perme,sonomegliolaBanta Rosso che la polezia. Perché amme la polezia mi affatto piancere, perché mi avevino lecato come Cristo, mentre li precante mi hanno chiamato: «Rabito, antate a Chiaramonteefatevedarelire 100.000 mila lire», e no mi hanno fatto prentere tanta paura. E menomale che questa pulisia si ni sono antate, perché altremente si avessero manciato tutto, e senza che avesseroconchiusoniente.La scopertta che avevino fatto, era quella di mettere li ferra amme, che era uno che non eraniente. Poi venne il mese di settempre e il tempo si ha cuastato,etuttalatribiaturasi stava fenento. Aveva 40 ciornne che aveva socesso il fatto che avevino venuto quella Banta Rossa che volevinolilire100.000,enon ziavevavistonessuno. Ecosí,unciornno,versole 10 di mantina, che stava antanto a sorbegliare quello che si faceva nelle case della masseriacrante,cheeraquase quase a 2 chilomitre di destanza di dove mi corcava io, e poi c’erano 2 picole colline da traversare e una vallata, e io stava caminanto per i fatte miei, come tante altre volte aveva fatto questa strada, cosí, all’impizata 18, mi sento chiamare con una uce troppo paurusa e troppo presentusa 19 e troppo brecantesca, e dicevino: – Che siete voi? Che cosa antate ciranto di queste luoche? Venite qui che ve dovemmoparlare! Io, certo che mi sono messoatremareeilcuoremi bateva come un muture, e piano piano saleva per antarece vecino. E quanto mi sono trovato di fronte a 4 bene armate sedute, e li 4 cavalle lecate sotto a uno raffodizammare20(chec’era un albero di oliva troppo confuso che non aveva stato mai poliziato coll’acetta), cosí, mi hanno detto: – Seditevevicinoannoi. E cosí tutte 4 redevino e quardavinoamme,euno,che forsse faceva di capo, che avevaunabarba,mihadetto: –Comeavetefattoconquelle «ladrefuoralegge»,comevoi li chiamate, e come li chiaminotutte? Eiononparlava. Cosí, mi hanno detto: – Come finio con li 100.000 milalirechevidovevinodare li vostre padrone e portarlle allaBantaRosso? Eiocihodetto:–Maloro, signore, come lo sanno questo?–Conqualecoraggio mi ha venuto di dire questo fanaticaparola,iononloso. Cosí,mihannoresposto:– Certo che noi lo sapiammo, perché noi siammo mantate dalla custura di Enna e voliammosaperedavoicome fenio il fatto, e come facessivo se ce vedessero quella banta e volessero li solde. Respondo io: – E gli dicesse la veretà, quello che mi hanno detto i miei padrone, che se volessero tuttu il crano se lo potessero prentere,perchésoldenonne hanno. Poi, se volessero che io le portasse a Chiaramonte, ci le portasse, perché questa miei padrona li solde ci l’hanno. E quinte, se queste della Banta Rossa avessiro bisogno di me, io fosse un suo amico, perché queste padronisonoriccheeiosono povero,eioamicodairicche nonsonomaistato. Cosí, mi hanno domantato altre cosi, e poi mi hanno detto: – Ora ve volemmo recalare 2 pachette di sigaretteamirecane,certoche fomate. E poi, mi hanno stretto la mano e mi hanno detto: – Fate sempre cosí, che vi ne viene sempre bene –. E presero le cavalle e se ne sono antate. E io ho preso respiro e disse: «Se non sbaglio, queste sono quelle dellaBantaRosso»,perchéli chiachireerinopropiaquelle. E io, quella ciornata, ho passatounabruttaciornatadi paura,lostessodiquantoera inquerra. Piano piano mi sono carmato, e mi ne sono antato nellacasacolonica,emisono corcato.Ecomemihavenuto il sogno, mi sonnava che mi ammazavino. E cosí, mi sbegliava e pareva uno spaventato. E per tre ciorne nonvolleuscirefuore. Stavarevantoiltempoche io mi ne doveva antare per sempre dalla Buruca, perché il lavoro si aveva fenito e doveva partire per Chiaramonte. Cosí, davero passareno altre2ciorneetuttosifenioil lavoro che si doveva fare. Cosí,tuttelicontecontutteli mitatiere ni l’abiammo fatto. Li solde che io aveva preso foreno mantate alle padrone. Io aveva quadagnato lire 50.000, che per me erino assai, e poteva rencraziare il Dio che, con tutte quelle sbenture che io aveva auto, restai vivo. E tanto bene per mia madre, che ci aveva saputo pregare per me, e la signura Angela, che era sí delenquente, ma comme mi aveva fatto piú di una vera sorella. Cosí, disse arrevedercie a tutteepreselavalice. Io ora cercava a un amico che mi potesse fare capitare umpusticino a qualunque sia costo, per travagliare sempre e avere il pane tutto l’anno sicuro. «E per fare questo – dissi–bisognadirevolcerese a quelle che hanno il comando». Cosí, penzai di revolcereme al cavaliere Melfe, che ancora non era barone, e questo cavaliere Melfe, come hanno venuto li amerecane, secome era stato ante fascista, l’avevino fatto sindaco di Chiaramonte, e il suo cognato Ciovannino Lupisl’avevinofattodelecato all’amministrazione provinciale. E quinte, queste erinocarrechecheunbenemi lopotevinofare. Poi che i parteciane antavino avante, che stavino libranto tutta l’Italia per mantare via li tedesche e li Brecate nere, e prentere al duceeammazarllo.Equinte, il fascisimo era conzederato perduto. E cosí, tutte i paese che nei municipia c’erino i fascistone che comantavino, queste venevino lovate e prentevino il comanto li antefasciste. Io era di Chiaramonte e parllo di Chiaramonte, che una matina, con l’ordene della amirecane, cosí presero il podestà, che aveva stato umministro, lo butareno fuore, e poi lo hanno acompagnato tutte i chiaramontane a frische e scurreggiperfinaacasasua. E per tutta l’Italia, li operaie, da fasciste, tutte diventareno comuniste. E quinte, era tempo che campiavenolecosi.Eio,che erafascistadallaprimaora,di fascista subito mi offatto parteciano e comunista, perché altremente umposto nonlopotevacapitare. Cosí, a questo cavaliere Melfe, non lo lasciava, sempre ci stava vicino. E in tutte li manefistazione c’era ioconlui.Manoneraiosolo che c’era vicino per darime questo posticino, ma erino centenaia che volevino il posto... Poi, li amirecane avevino preso Milano e Turino, e lui, questo Melfe, aballava solo, di quanto era contente, e io faceva la farssa che era contente magare. Ma poi amme non mi era mai importato: che traseva e traseva21inItalia. E quinte, tutte li ante fasciste erino contiente, che, se trasevino li amirecane, certo rechevino. Ma io non voleva arrechire, voleva solo unlavorosicuro. Io sempre, per mia abitutene, alla sera, mi retrava 22 di notte e, verso le ore 10, io camminava con Ciovanni Maiore. Erino le feste di Natale. Quanto abiammo quardato sui mure affessate: «Vogliammo il nuovo sindaco! Che questo sindaco,comesiammanciato la sua robba, si mancia magareilpaese!» E cosí, io e Ciovanni Maiore strappammo li manefeste e li abiammo portatoalbaroneperfaracille vedere. E cosí, il barone disse: – Chi possino essere queste descraziate che scrivino queste porcheriei? Ora, fateme il faore, don Vincenzo, portateve una latta di 5 litre di pitrolio e li scancellate. E cosí, io e Vannozzo Maiore abiammo cancellato tuttequellescrittenelmure. Io,perlaveretà,petrolioa casa non ni aveva, perché tiempodiquerra.Ecosí,niha potutosfardare23mezzolitro, eunbellolitroemezzomilo portai a casa. Poi, non erino scritte in tutte li strate, ma nella sola via di Maiore, perchédilípassavailbarone. Poi, ci l’abiammo detto al barone, che l’avemmo scancellato, e tutto aveva antatobene. Poi,iominisonoantatoa dormire e, nella notte, penzavaedicevatrame:«Ma ora,semihannovistocheio scancellaie queste menefeste, amemiquarderannomale,se sannochesonostatoio». Ma poi, io fece un’altra penzata: «Io devo studiare una cosa. Che la ficura di fessa non la voglio fare, di scancillarelimanefestesenza quadagnare niente. Una cosa mastriseladebbofare.Cosíil barone si veste di coscienza, va subito subito a Raqusa e parlaconsuocognatoLupise glidice:“Diammocellosubito il posto per lavorare a don Vincenzo,cheeniparteciano, e per il nostro partito sta facento tante sacrafizie, che ha scancellato tante manifeste”». E cosí, offatto una bella penzata.Ecosí,all’indomane, vado nella moglie di mio fratello Ciovanni, che era la piú saggia di tutte li miei cognate, e sapeva bene scrivere, e poi che era una donnaretrata,chenonparlava connesuno e non voleva dare parolaannesuno,equinteera adatta per fare una letra. E cosí, si ha cominciato a scrivere: «CaroRabito, per questa volta non ti faciammo niente e te perdonammo, ma stai atento per un’altra volta. Noi sapiammochetueVannozzo Maiore avete straziato il manefesto, e Ciovanne Maiorenoncicorppa,perché nonlivolevastraciare,masei statotuafaracillestraciare.E nonlonecare,chetihovisto io con le miei oche che sei stato propia tu a fare questo, che haie strapato e hai scancellato le manifeste. E quinte, alla prossima volta che lo fai, con pure che siammo amice, io ti taglio la faccia. Fai attenzione, che questa deve essere l’ultima volta». La lettra, certo, non era fermata di nessuno. E cosí, prese la lettra e la vado a bucare nella Posta, che c’era mio fratello propia. Cosí, io bocaie la lettra, che era intrezataalbaroneMelfe,eil baronequestalettraladoveva recevere alla prossema distribozione. E davero, alle 4 e menza, hanno distrebuito la posta. E la lettra, quella che ci aveva mantatoio–cheerascrittadi sua moglie, e lui non lo sapeva–,ilmiofratellostava salento le scale per portarlle al barone, mentre, in questo medesemotempo,puresaleva nel barone la Cicca la Fiacuna,chequestaeradonna erofianadicasadellobarone. E cosí, mio fratello, che caminava zuoppo, perché eni motelato, la Fiacuna ci ha detto: – Don Ciovannino, datelaammiaquestalettradel barone, che io ci la porto, perché staio salento nel barone. Ecosí,ilmiofratellociha datolalettraelaFiacunacila portavo. Io, che sapeva che quella lettraerapropiaquellacheci aveva mantato io, stava sempre vicino alla casa del barone per vedere se vineva chiamato. Cosí, il barone lesse la lettra,elaFiacunasentevadi quello che diceva la lettra. E poi il barone ci ha detto: – Gna Cicca, chiamate al don Vincenzo! – Io, che era lí, perché sapeva il fatto, e cosí mi sono presentato, e lui stesso mi ha detto: – Don Vicenzo,stateatente,chequi vi la voglino fare fenire male… Io, che era l’autore di questa lettera e tutto aveva comminatoio,mioffattouna resata e ci diceva: – Gna Cicca,iononmispagno 24di nessuno,eperiLupeseperil barone mi faccio a pezze, e per il socialisemo sempre mi affatto ammazare e pronto sempre sono –. Mentre io l’ultima tessere, ancora l’avevanelletasche,fascista. Mentre entravo l’anno del 1945, ed era l’anno che l’Italia la stavino lebranto i parteciane, poi che tutte i ciornale parlavino che a maggio la querra si doveva fenireetuttalaCermaniaeil Ciappone devono essere desfatte, compreso il fascisimo. Cosí,doppochepassavoil Capodanno,all’indomane,mi sento chiamare di Vannozzo Maiore, che aveva stato a Raqusa, e mi ha detto: – Vicienzo, vede che oggi con il barone fuommo all’amministrazione provinciale, e il barone ci ha detto: «Ciovannino, come fenio con la sostimazione di donVincenzo?»ELupisciha detto: «Che quanto prima ci arriva la lettera e viene riasunto come cantoniere, Rabito.Quinte,glidicechesi tene pronto che, avante ca viene il 15 cennaio, ci assegnaranno il cantone dove deveantareallavorare». Cosí, il 18 cennaio 1945, daveromihavenutolalettra! Che mi la portò mio fratello Ciovanni. E questa lettra diceva che Rabito Vincenzo si doveva presentare a prentere servizio all’amministrazione provinciale di Raqusa della strada ChiaramonteMonterosso, nella casetta di Malotempo. Che questa casetta si trovava a 6 chilomitre della stanzione di Chiaramonte. E cosí, il sotto scritto, Rabito Vincenzo, la matina del21cennaio1945,preseun badile, voldire una pala, una carderellaeunamartedina 25, e prese la strada per la stanzioneepartie,eumpezzo dipaneche,percraziadiDio, l’aveva dentra casa, e una crossacipolladiCiarratana,e tanto contente, antanto per Costaprena stanzione, e poi perMonterosso,equinte,alle ore 8, mi sono trovato sul lavoro. Certo che la prima matina fece 8 chilomitre di strada carrecato con tutte quelle atrezze, che erino molto pisante, e sono revato molto stanco.Ma,però,sonorevato perfetto. Quanto revo, il capo cantoniero mi ha detto: – Bravo, Rabito, siete revato prima di me! – Cosí, mi ha dato li chiave delle 2 casette, che in questo cantone ci n’ereno 2 casette: una che si chiamava«Malotempo»euna «Scorciapoveri» 26. E per davero quella matina, il freddo e il celo, al povero, si lovavalapelle. E io cercava di dareme aiuto e cercava dove mi poteva restorare, e disse: «Ora vedo dove c’ene fumo nellecasevicino,ecosífanno la recotta e mi la vato ammanciare, se mi la ventono.Epoi,mentreesciil sole e squaglia il celo, e, finento di mamciareme la recotta, mi ne vato allavorare». Ecosídaverofece. E cosí, di quella ciornata impuoi, io, in quella strada, deventaiamicoditutte.Enel tempo di ummese mi offatto amice con tutte li massare, che mi ammitavino tutte per manciaremelarecotta.Edera prinotato per tutte li matine, con il mio sapere fare. Cosí, io contravinzione non ni prenteva annesuno, anzi li vache e li pecore, di mattina presto, che machene non ni passavino, e poi che ci n’ereno poco, e ci li faceva pascire27nellastrada.Ecosí, potevastarecentoanni... Poi, io mi assicuraie di quello che doveva fare per requarddoallavoro. Poi,mihofattoamicocon una camionista che facevini intrallazzo e comprava campagni campagni e poi li antava a ventere a Catania. Cosí, io comperava 2, 4 tumile di lenticie alla setemanae10o12tuminadi crano, e poi io li venteva. E cosí io, che quadagnava 400 cento lire ammese, non mi potevino abastare, e cosí io campava piú discreto. Certo che io, compranto e poi ventento,altre4,5milalireal mese li quadagnava. E cosí, poteva antare avante, perché quadagnava piú assai di intrallazzo che di fare il cantoniere. 1 aura di scotelare: tempo di scrollare,tempodiraccogliere. 2 Roccazzo. 3 assutato:inseguito. 4 Rape:apri. 5 critto:creduto. 6 e sparte li tempolate dovevino tastare: e per giunta ceffoni dovevano assaggiare. 7 cregni:covoni. 8 preparammo l’aria: stendiamo i covonisull’aia. 9 assesteva:esisteva. 10 cucivile e ciapute: adatte da cucinareebellesode(lefavicchiapputi sonounavarietàdifave). 11 ilcalzonedellisuoimitatiere:il garzonedeisuoifattori. 12 protezione:produzione. 13 pierepiere:piedipiedi,ingiro. 14 conunaucerecurosa: con voce rigorosa,convocegrossa. 15 bertole:bisacce. 16 micidiante:sanguinaria. 17 quastate:malatidirabbia. 18 all’impizata:all’improvviso. 19 presentusa:prepotente. 20 unoraffodizammare:uncespo diagave. 21 che traseva e traseva: chi entravaentrava. 22 retrava:ritiravo. 23 sfardare:sprecare. 24 mispagno:mispavento. 25 martedina:piccone. 26 «Bruttotempo» «Spellapoveri». 27 pascire:pascolare. e Capitolodiciassettesimo Ilpilonell’uovo Il tempo cominciava a campiare. La querra era alla fine, la Cermania stava per arrenterese tutta e la repubilica di Virona era stata distrutta, e tutte i parteciane antavinocercantoalduceper aciufallo e impercarllo e ciustiziare tutto il Cranconzigliofascista. E infatte, li hanno prese tutte; e Benito Mussoline, come è stato preso, li suoi ultimeparoleerino:«Nonmi ammazate, che ancora da me avetedibisogno». Ma non ci ha stato piú remedio, che la taglia era butata 1, che per forza tutte queste crante fasciste dovevinoessereammazate.E davero,il25aprile1945,tutte li hanno preso e li hanno messo alla forca a Milano. E cosí, si diceva che il monto doveva campiare, perché stava per fenerese la querra. La cente era stanca di questa spaventusa querra, che tutto avevastatodistrutto. Io, alla sera, antava a Chiaramonte e senteva la radio,esapevatuttelinotizie. E, amme, tutte mi volevino bene propia per questo, che tuttelinotizielisapevaio.E tutte li massare di quei luoche, quello che diceva io, eratuttoperfetto.Poipassava Mauciere con il camio, che vineva di Catania, e magare mi faceva portare il ciornale. E quinte, io a tutte ci aveva dato prova di essere uno di quelle spertte. Cosí, la vita mia, di ciorno e ciorno, antavamiglioranto. Mia madre cominciava a stare bene, perché io era impiagato,Vitoeraimpiagato nellalinia,Paolochesiaveva maretatoesiavevapresoper moglie a una che ci aveva il forno che faceva pane, e portava manciare magare a mia madre. E quinte, mia madre piú non ave di bisogno. Io sapeva che c’era nella casetta della Madonna di Qulfe uno cantoniere che si chiamava Pipino Cabibbo, che non ci voleva stare. Io penzavachefacevaunamala vita affare 20 chilomitre di strada a piede, e penzai che, se Cabibbo si n’antava, io aveva il piacere di fare il cantoniere alla casetta della MadonnadiQulfe. Cosí, tanto fece e tanto disse,sempreconl’apociodel barone Melfe, che era il sindaco,ecisonoreuscito. Ecosí,il26acusto1945ho preso posesso alla Madonna, chepoilícisonostatopiúdi 22anni. D’ogni8ciornne,cheerail sabito, io mi carrecava i 2 miei figlie e mia moglie e partiemmo per antare alla casetta. Certo che io era amico con tante carrettiere e, vedendome, il primo carretto che m’incontrava si fermava e ni carrecava, e i miei figlie volevino quello: di antare sempresoperailcarretto. Cosí, alla casetta scentiammo e io mi n’antava allavorare, e i miei figlie, tutte li atrezze che aveva io, tutte lo portavino fuore e zappavino e con la carriola carriavino, e quello ciorno, queste miei figlie, cascavino malate di quanto terra carriavinoconquellacarriola, perchésistrapazavinoassai. E io era felice. Cosí, alla casetta, manciammo tutte sempre con le forchette di canna fatte miei 2 quanto manciammo inzalata di cipolla e pomedoro. Poi, tiempo di stacione 3, quanto l’ocellefecevinolinida,tutte li tecole della casetta vinievino voltate, e io faceva meglio che li prentava io, queste ucelle, e ni le manciammoconimieifiglie. Che io aveva una scala e ci facevasalireaTuriddoeio,e cosí tanto danno non si faceva. Quanto per caso io non c’era, e queste aucielle venevino prese da altre caruse, era piú male, perché rompevinotuttelitecole. Io faceva una vita felice quanto era alla casetta, ma quanto feneva la ciornata e antava a Chiaramonte, per mia c’era la seportura a vedere quella maledetta donna che mi diceva sempre parole. Poi, la querra fenarmente fenio, e fenio con un crante spavento, che li amiregane hanno butato 2 bomme atomice nel Ciapone. E cosí, tutto finio. Li amirecane, l’inchelise, li francese e li rosse presero Berlino, l’Italia erimo persse, e la querra fenio per tottu il monto intero. Quinte, l’Italia remanio tutta distrutta. Quinte, ora c’era la pace e si dovevino costroiretuttelimassacreche aveva fatto la querra, e si dovevino fare li lezione de li cumune,esidovevinofareli lezioneperfarelepresedente delle amministrazione provinciale, e si dovevino farelilezionedelreopureil presedente della republica 4. Ecosí,c’erinointutteipaese tante acente che facevino propaganta, e chi diceva che doveva restare il re, chi diceva che si doveva fare la republica. Quinte, li cosi si dovevinomettereaposto. Io era con tutte li partite amice, però, per mia degnità, doveva essere socialista, perchéquellechemiavevino dato il posto erino socialiste. Epoi,io,pernaturadirerae reditorio 5, era stato socialista,comeerasocialista mio padre e magare mio nonno, ma secome ci aveva stato l’ebica fascista, io, per 22 anne, aveva fatto il fascista, perché l’Italia era fascista. Quinte, per forzza si dovevino fare li prime vutazione: o republica o dovevarestareilre. Ma secome il re si aveva dato voletariamente con l’amirecane, che erino i nostre nimice, non era tanto esattodipoterefareancorail re. Cosí, a forzza di propaganta, il re persse per 2 milione di vote immeno e ha vinto la republica, e il re lo portareno in asiglio, che poi morí. Queste lezione foreno troppoimportanteperl’Italia. Quinte, io dovette fare una propaganta di apizare carte alla casetta; ed erino tutte i cantoniere in faore dei Lupis eilbaroneMelfe. Quinti,ciforeno2mesedi bordello di fare propaganta, prima per la republica e poi per il sindaco, che il sindaco Melfe ci l’avevino messo li amirecane senza il volere del popelo, ma ora, con l’elezione, si doveva vedere seilbaroneresoltava. Cosí, il barone aveva di bisogno di tutte il paese, se voleva fare il sindaco. Il baroneatuttecontentenonli poteva fare, perché tutte volevinopostedilavoro,tutte volevinopasta,tuttevolevino zuchero, e a tutte non li poteva fare contente. E cosí, era nei piú crante quaie, e magare certe sere restava lui senzazuchero. Cosí io, che c’era vicino, erapureneiquai,perchénella casa c’era scritto: «Viva il sindaco Melfe», e donna Annaloscancellava. Cosí, io cercava di respetare al sindaco Melfe, e la descraziata di donna Anna lo faceva a dispetto: aveva unascopapiúfitusadiidda6, e scancellava quello che stampava io. Era cosa di bruciallainquelleciorne,che razza di servaggia donna! Io mispaventavaquantovedeva che quella canazza, con quella scupa, scancellava, perché diceva: «Chi sa come lapenzailbaroneMelfe...»E questa maledetta cane per forzza miteva li mezze di faremelevareilposto! Poi, sfortonatamente, si hanno fatto li lezione e il barone non ha resoltato, e tutte si lo hanno ciocato. Tutte ci dicevino «sí», che il voto ci lo davino, e poi al fatto, dai conte ni avemmo fatto che il barone aveva a prentere3.000milavote,eni prese ammalapena 1.000 milledivote. Ma il barone era sicuro di me che era sincero. Poi, il barone sapeva che magare mia madre ci aveva dato il voto perché il barone mi avevadatoilposto,emagare tutteimieifratelleciavevino datoilvoto,perchémiaveva datoilposto.Einvece,quella canedidonnaAnnacidiceva «malecriato», e «butana» dicevaamiamadre,perchéci aveva dato il voto al barone. Ma il barone per me era sempre un calantuomo, magare che no ebbe la vittoria. Solo la mia famiglia, tutta intera, ci aveva dato il voto, magare mia madre, che era crisiastica 7, e Pipino Cafa, che stava vicino di casa, che era dimocratico cristiano, ci avevadettoel’avevapregata di darece il voto a lui, e magare il pareco ci l’aveva detto, ma mia madre, poveretta, sempre ci diceva: «Il mio voto ene del barone Melfe, perché ci ha dato il postoamiofiglioVincenzo». Ungiorno, si assaputo che 2 figlie di donna Anna avevino stato muortte per la querraparteciana,sempreper descrazia che ci fu la querra; perché quanto una nazione si metteafarequerra,sempresi deve morire. Poi che questa maledetta querra era contra i fasciste e tutte quelle che amavino la patria vollero morireperforzza.Masecome le figlie di donna Anna erino uno Filuzzo, che era stato richiamato alla leva obbligatoriadiSalò,el’altro Turiddo, che era conzelo a Forlí, il 27 luglio, quanto impecareno al duce nella piazza di Milano 8, hanno fucilato magare a questo figlio di donna Anna, Turiddo, perché era uno oficialedellaSSacanito. Io capeva che voleva dire esse esse fasciste, che delle partette dove c’erino fasciste e parteciane si ammazzavino fratelleefratelle.Poiqueste2 figlie di donna Anna, poverette,cercavinolapatria. Ma dove era la padria? Che neanche Vittorio Amanuvele III la conosceva, la padria... Chepoi,inquelleciorne,che cercava la padria cercava la morte. Loro 2 fratelle erino affezionate al fascisimo, e non era ciusto, tante ce n’erenofascisteaffezionateal fascio... Cosí, nel paese di Chiaramonte lo sebero tutte che 2 figlie di donna Anna avevino stato ammazate dei parteciane,perchéerinonella esseesse. Cosí, in quella strada di quella via Tommaso Chiavola, cominciavo l’inferno per me, perché la donna Anna, che aveva persso2figlie,unoTuriddoe uno Filuzzo, certo che aveva ragionediparllaremaledelle parteciane. Però, parteciane delle parteciane, no di Chiaramonte, come dice la donna Anna. Li parteciane erino quelle di Ravenna, Bologna, che hanno ammazato ai suoi 2 figlie. Che c’entrava il barone Melfe, che non aveva fatto il soldatoeneancheavevastato arRavennaeaCenivadoveci aveva stato davero la querra partecianaperdavero?Epure questa mala linqua diceva, e faceva recriare 9 a tutte i chiaramontane, che li 2 suoi figlie l’aveva ammazato lo barone Melfe e i Lupis, e io, che ci aveva aiutato a farlle ammazare. E cosí, piú non diceva donna Anna che io ci aveva robato la casa, ma ha trovato un’altra scusa per vedere come poteva fare per potereme fare antare in calera,decentosemprecheio, d’acorddo con i Lupise e il barone Melfe, ci avemmo fatto ammazare le suoi 2 figlie. Io era arrovenato. E poi, la descraziata antava dicento che per questo mi avevino dato il posto di candoniere, perché era stato recompenzato. Propia il 1948 si dovevino fare li lezione covernative, perché del coverno c’erino magare che comantavino i comuniste. E quinte, il covernno Di Caspere, a quostedellavita,licomuniste si ne dovevino antare del coverno per forzza, mentre cheavevinostatoicomuniste a fare perdire il fascismo, perchéipartecianeerinotutte uperai di masse tutte comuniste. Macertochesiciammesso la Chiesa contra i comuniste, etutteliparrine 10emonice, femmene e uomine, facevino propaganta tutte contra il comunisemo,equintetuttele campagnie erino piene di propacantista con la Democraziacristiana. E queste discraziate propacantista ci antavino dicento in tutte li campagne che, se vincevino i comuneste, nelle chiese ci dovevino fare feste di aballo. E cosí, tutte li donne, che erino ingnorante, ci credevino. E cosí, il comunisimononvinceva. Io era alla casetta e nella casetta tutte quelle che pasavino, di tutte li partite, lasciavinomanifeste,eionon nicurava.Atuttelipartiteci li faceva mittire. Ma quelle del mio partito erino piú assai, perché c’era in ciro l’incengnierecapoRizza,che antava ciranto, e io tineva paura, e poi c’era magare Lupise e il barone Melfe che erino del Sole nascente 11, e quinteiodovevastareatente, e quinte io lo sapeva quello chepotevasocedere. Io solo a Chiaramonte era malo cominato, che aveva venuto quello crante deficiente di mio cognato Mariano ad abitare con noi. Pare che il Patre Eterno l’avesse librato aposta, a questo fratello di questa famiglia di signore, per fare dannareamia. Cosí io, sempre per rispetareaiLupeseeilbarone Melfe, mi tocava di menterece nel barcone la cordda che c’era messa la bantiera del Sole nascente, perché una punta era atacata nel barcone del barone e una puntanelmiobarcone. Cosí, la donna Anna non voleva, e neanche voleva quello cretino di Mariano venuto di l’Africa. E cosí, questo stubito siammesso affare propacanta con la Dimocrazia cristiana, perché, diceva lui, che ci facevino 2 vestite e forsse forsse che lo pagavino. Io tineva paura che mi potevino levare il posto, ma mamma e figlie erino tutte contra amme. Io meteva manifeste del socialisemo e questedisonestelistrapavino. Equestabruttavitadurò40 ciorne.Epoi,intuttelicase, si parlava di me, che io scancellava e donna Anna e lo stubito di Mariano scancellavino. E questa comedia la racontavino magare in tutte li campagne. Ma amme male non mi ne veneva mai, perché sapeva fare: io mi la faceva sempre apresso al barone, e poi a tutte lasciava parlare. Mi ne futia di mia moglie, mi ne futia di mia suocira, mi ne fotia di quello dificiente di Mariano, e mi ne fotia di tutte,solochevolevabeneai mieifiglie. Poi si hanno fenito li lezione. Menomale che mio padre e mia madre mi avevino fatto fortte di cervello,altremente,contutte queste male comparse, mi avessero portato al manicomio. E come finio tutto, non ci funiente.Iomiavevasaputo quartiare 12 sia con la Democrazia cristiana e sia con il socialisimo, e magare con il comonisemo; e era di acordio con tutte i partite, perchéallacasettacantoniera tutteipartitepassavinoeioci diceva che era con loro, ed erinotutterestatocontiente. Una matina, prima di antareallavoro,chepotevino essere le ore 7 e menza, che iostavascententoliscaleper partire e antare al lavoro, sentento bussare alla porta con il campanello, e io ho aperto,chemiparevaqualche cantoniere, e invece vedo entrareunomonicovestitodi bianco, ed era padre Pietro, che aveva di quanto aveva chemiavevasposatochenon lovedeva.Eiomisonofatto la croce e disse tra me: «E checiloportaquestoqui,che nonzihavistomaie?» Cosí,hasalitopianopiano, tantoconfuso,esivedevache era distorbato. Cosí, mi ha detto:–CaroVincenzo,nella nostra casa ha socesso una descrazia, fai selenzio, senza fareuce. Mentre viene mia moglie tutta spaventata che aveva venutoilsantodellafamiglia. Li miei figlie erino che dormevino e senza resboglialle13.Ecosí,ilpadre Pietro mi ha detto: – Caro Vincenzo,un’altravoltanella nostra famiglia avemmo una crante discrazia, che è morto Vanni, che per noi della famiglia ha rapresentato un altropadre. Io, sentento «ha morto Vanni», certo che non mi affatto tanta impresione, perché non mi deceva mai di «tu», perché forse io ci parevabasso. E cosí, mentre vineva quella palommella 14 di mia moglie, e piancevino tutte 2, ma a donna Anna neanche ci ne importava un cazzo: che moreva, moreva, perché penzavasemorevalei. Cosí, si hanno messo a piancere padre Pietro e mia moglie.Ecosí,iocihodetto: – Ma perché piancete, certo chelamorteenepertutte… E cosí, padre Pietro mi ha detto che voleva umpoco di aiuto,perchéfraummumente e l’altro al cemitero arriva il morto:–Etu,cheseiparente, mideveaiutareacalallonella tompa –. E io disse tra me: «Vedequantoquestarazzaci rompino li cogliona di essere parente, quanto ene aura di farececefarelibichine!» E cosí, in menz’ura di tempo, fuommo al cimetero. E al cimitero abiammo trovatolacarrozzamurtovaria con le 2 bechine che bestimiaveno come li turche, cheerinoarrabiatecomecane perchéavevino20minuteche aspetavino.Eiodiceva:«Che vercogna di acente e che vercognadifamiglia!Quanto lo vantavino e dicevino “il crante cavaliere cancigliere”… Quanto rispetto che ave di non ci essere nessuno della sua nobele famiglia e dei suoi fratelle e sorella! Che vercogna di famiglie! Nessuno lo piance a questo crantecavaliere!» E quelle bichine, a portare a questo muortto, pareca avessero portato un sacco di carbone. E cosí, io dovette fare il bechino sempre per la improgliona di mia moglie che mi diceva: «Ora nella casa di mia sorella ene campiata, perché marito non ni ave piú. E quinte, della campagna,quantosidannoli olive,cidevepenzaretu». E io, stubito, che credeva… Poi venni il tenmpo che si duvevino racogliele l’olive, che erino i prime ciorne del mesedinovemberedel1948, e venne la signora di Siraqusa, e certo che, come vineva,venevaagonfiareceli cogliona, a venire nella mia casa. E mia moglie, per quelle ciornne, non zi ci poteva parlare di quanto era stobita, che parteva come una vera serba e cominciava a farese comantarediquestasignora. E quinte io, per respetare ammiamoglie,cheeramadre dai mieie figlie, doveva fare questo sacrifizio: che invece di reposareme, dovette stare per 4 ciorne a macinarece li olive a questa delinquente sorella di mia moglie, e dovette fare 4 notate senza dormire. E mi recordo che poie, questadesonesta,neanchemi ha pagato. E io, invece di reposareme, doveva lavorare notte e ciorno, sempre per corppa di quella stubita di mia moglie. E mi diceva sempre,quellaimproglionadi mia moglie, che quella poveredda era senza marito: «Esetucifaiequestofavore, enefortunaperinostrefiglie, perché poie a studiare li mantammoaSiraqusa.Enon avere paura, che tutto paga miasorella». E cosí, io, quelle ciorne di quelle disoneste olive, mi offattoummesedibestimiare. E questa era l’ultima volta chemifecefutere,sempreper quella cretina di mia moglie, perché era sottomessa, e secome era sottamessa lei, mia moglie, doveva sotomettreamme. Cosí, valdate che cosa desonesta che mi ha capitato amme. Sono cose disoneste chepuonnocapitareaRabito Vincenzo solo e poi annessuno uomo piú, perché capitaie in questa desonesta famiglia! Un ciorno io, di matina, doveva antare allavorare. Erinoli7e30diinverno,mia moglie era incinta di mio figlio Ciovanni e aveva fatto la notata senza dormire e, forse forsse, la cravetanza ci portava distorbo, tanto che aveva una cesta 15 nella mascilla ed era tanto compio cheildottoreCafadicevache ci voleva taglio per forzza, altremente non ci poteva quarire. E cosí, io mi ommesso in compusione e non sapeva come fare, a chi aveva allasciare ai miei figlie, voldire Ture e Tano. Alla cente della strada non ci le poteva lasciare, che con tutte erino sciarriate, che avevino statopresotutteperbutanedi quella cane donna. Cosí, io mi ne doveva antare, che dovevinopassare allacasetta l’incegniere, e io non doveva mancare. E quinte era rovenato, quella brutta matinata. Mia moglie era mortta de dolore e, per forza, si ne dovevaantareneldottore,che si aveva affare il taglio. Tanuzzo era con la febre, Turiddopianceva. Cosí, quella brutta matina, vaio ne quella povera di mia madre, che voleva farece tenereaTanuzzocheavevala febre. E mia madre disse: – Feglio mio, io ci venisse, ma mi scanto 16 se donna Anna miaferra–.Eiocihodetto:– Per ora fateme il piacere. Venitece,chemiamoglienon puòarresisteredeldolore. Cosí, mia madre, per farime contente, ci vinne. E come mia madre si stapeva prentento a Tanuzzo, questa lurddacominciavaadirece:– Butanaerazzamoltadifame! Io portai a mia moglie nel dottore e cioffatto fare il taglio. Mentre io tremava come la terra quanto fa terremoto, perché, a solo penzare che quella povera di mia madre, non solo che aveva 77 anni e mi faceva il favore di tenereme a Tanuzzo, e poi quella ci deceva «butana», non mi poteva dare pace quella matina. Cosí, come io portai a mia moglie dal doture e passai di lí, che per forzza ci doveva passare,evidoadonnaAnna che ancora mi diceva: – Lo haiportatonellabutanaditua madre? – Ma io non potte resistre piú, non vido piú degli oche. Davero stava venento mia madre per domantare come fenio col taglio di mia moglie, e la donna Anna, disonesta, repetia le stesse parole: «butana».Ecosí,iol’afierro, con tante acente che quardavino, ci lievo la sedia dove era seduta e ci la roppe nellatesta. Cosí, mia madre si ammessoapiancere,liacente tutte hanno defeso a mia madreetutteforenocontrarie a donna Anna. Cosí, io ci ho rotto la testa e mi ne sono scapato per la casetta. E la donna desonesta partio per farese midecare. Passavo nella piazza tutta piena di sanquie, e cosí c’erino tante acente apriesso, e si n’antò neicarabiniere,eilbricatiere ci ha detto (che la conosceva chi era): – Fateve fare la fedemedica 17,chepoinoilo metiammodentra. E cosí, donna Anna parte. EparteperlodottoreCafa,e il dottore Cafa ci ha detto: – Chi è che fo? – E quelle che c’erino apresso ci hanno detto: – Fu don Vincenzo! – E cosí, il dottore Cafa, fedemedica, non ci ne vose fare. Cosí, si n’antavo nel dottoreCafa,illunco,edesse magare che era stato don Vincenzo, e cosí fedimedica noncinevosefare. E cosí, questa si n’antò ancoranemaresciallo. E cosí, lo stesso maresciallodicevachequella donna, se avesse stato delle parte di Caltenasetta, a quest’ora che sa quanto avesse che fosse statta ammazata. Perché donna Anna si miretava ammazata. Quinte, io aveva fato restare il quartiere contento a darece bastonate a questa dilenquentedonna. Io,menomale,cheavevale carte niette 18 di famiglia, altremente questa discraziata mi l’avesse fatto fare, la mia vita,incalera. Cosí, la cente dicevino nel paesecheioavevafattobene disfasciarecelasediaintesta. Io intanto mi n’aveva scapato,perchétinevapaura. Dalla casetta quardava sempre versso Chiaramonte, chetenevapaurachevinissiro li carabiniere a prentireme. Maiofacevatantepenzate,e poi diceva e penzava chi erino quelle che c’erino quantofularessa. Io penzava che tutte i presente, che avevino visto questa maledetta sciarra, mi avevino assicurato che, se li chiamava il maresciallo, ci dicevino tutte che prima, a daremi bastonate, era stata donna Anna. E cosí, mi sono carmato. E cosí io, all’indomane, cercava di antare a vedere a mia madre a Chiaramonte di sera notte, perché quella povera di mia madre stava morento della pena, che propiailsuofiglioVincenzo, che era il piú migliore figlio, dovevaantareincalera. E cosí, io parto della casetta e vaio davero a Chiaramonte. Vedo a mia madre,ecosísebbecheerino tutte bene. E poi mi ha detto il barone Melfe che poteva staretranquillo,chenonc’era mantato di aresto piú: – E magare che la leggie deve fare il suo sfuoco… a voi li carte non vi le machino, perché restino nello uficio di Chiaramonte. Cosí,iohopresocoraggio, che li cartette mi arrestareno polite, crazie a tante che mi avevino defeso. E mi tocavo di rencraziare per lo meno a 50persone. Ecosí,feniotuttodibuono perme.Poi,horencraziatoal dottore Cafa, il corto e il lunco. Quinte, menomale che io non era stato un male cristiano a Chiaramonte, altremente la donna Anna tantol’avevastudiatocheper davero aveva stato capace di fareme antare in calera. Ma, per questa volta, la scaciavo fracita, la noci. Cosí io, alla stessa sera notte, piano piano mi ce sono antato a corcareme commia moglie quanto la donna Anna dormeva. E cosí, fenio tutto questa mia paura. E per quintececiorneiofecequesta vita: che scenteva e saleva della scala quanto donna Annadormeva. Cosí,venneiltempocheio passava magare quanto c’era lei nella banchina, e non diceva niente; perché quella bastonate foreno per lei una vera midecina. E tutte mi decevino: «Hai fatto bene a spacarecelatesta!» E cosí, cominciavo la vita di non credere piú neanchea mia moglie, perché non ni avevainzertato 19 una: prima quella che non vennero al madremonio, poi perché non foreno capace di dareme umposto, perché queste desoneste mi l’avevino promiso e poi non forino capacedifareniente. Ma secome mia moglie cercava sempre il pilo nell’uovo, e poi che ci cominciavolapresecuzionee simiseintestacheioparlava male di lei e dava ammanciare a mia sorella e mia madre... Cosí io e mia moglie non antiammo di acordio mai, perché il vero non zi capeva. Ma il vero lo sapevinotuttelivecinechela conoscevino e conoscevino il matremonio come fu fatto e con quale solde tutto aveva statopagato.Epoi,livecine, chesapevinolaveretà,questa mia moglie non li poteva vedere, e no poteva vedere neanche amme, perché c’era cheiodicevalaveretà. Elaveretàèquesta:che,se ave coscienza ed ene reliciosa, deve dire: «Io deventai buona, magare meglio dai miei parente, che questafortunamilaportavuil mio marito, perché, se stapeva speranza dai miei, aveva voglia di stare per personadiservizio!» E inveci, mia moglie, sapete che cosa fa? Che, chi vieneviene,noncidicevache ebe la fortuna di avere un marito che la portavo in una buona strada. Questo niente! Solo che quanto viene una persona e ci domanta, la prima cosa che ci dice: «Io haio il fratello incegniere, io haiolasorellaricca,iohaioil fratello dominecano...» E poi ci presenta il miserabile crocifisso, e poi ci fa capire che la fortuna ci ha venuto non dal marito, ma del misirabile e itatura 20 di crocifesso. Poi, un’altra cosa che ci ave, questa mia moglie: che ave nel penziero sempre che li miei parente sono di razza tintaelisuoidirazzabuona, e questa ene un’altra maletia che ci ave, perché non l’ha capito ancora che, se dice «razza tinta» ai miei, io dico chelarazzasuaè«piútinta» dei miei. Invece, se fosse sperta,iparentenonliavesse ammintovare 21, e dovesse dire che sono «buone», e io dicesse che forino «buone» quelle suoi, e cosí si potesse antarediacordiosempre. Ma i miei figlie sempre, tutte li ciornne, antavino a trovare a mia madre nel cortile. E mia madre, che era tuttapriatachevedevaifiglie di suo figlio Vincenzo, ci priparava lo zuchero, e quanto vinevino ci lo faceva manciare. Poi, dentra quello coltile, c’erano li 2 figlie di don Cicio Ferante, che erino maretate e avevino li figlie femmene, e queste s’invediavenochevedevinoa queste miei figlie belle notrite, e ci dicevino: «Signora,chesonobedde’sti figlie di vostro figlio Vincenzo». E mia madre si arricriava tutta, a sentire che lifiglieiol’avevabuone. Cosí, erimo arrevate nei prime di maggio del 1949. Mia madre si cominciava assentirese male. Cosí, ha abandonato la casa dove ci avevastato40anne,chetutte li vecine senza parlare con mia madre non ci potevino stareneanchemezzaciornata, diquant’eraamicacontuttee schezusacontutte. E come mia madre antavo ad abitare con mia sorella, tutte quelle che la conoscevino, tutte li sere ci facevino visete. Sulo che la canazza di donna Anna non vineva,eneanchemiamoglie nonveneva. E io sempre ci diceva, per fare stare contente a mia madre: «Tante salute di mia moglie». Mentre che non era niente vero. E poi ci diceva che aveva tante disturbe, perché erino arrevate quase quase li ciorne di partorire, cheavevaanescireCiovanni. E lei, mia madre, rocomaternna 22, sempre mi diceva: «Stacci sempre vecino, non la fare sofrire, perché poffare una mala partorenza con quella maledetta mamma che aveva». E poi, mi diceva: «Facefareunapassegiataalla sera, perché ene meglio per quello che deve nascire, che tedevenascireunbellofiglio maschilo come quelle due. E quinte, il Dio te la deve mantare sempre buona per il benechehaifattoamme.Etu e i tuoi figlie deve stare sempre imienzo alla bontanzia e fare studiare ai tuoi figlie, ciusto come desiderailtuocuore». E mia madre, piú ciorne pasavino piú il cuore si ci fermava. Ma delora, però, non ni senteva, e neanche notata faceva fare. Sempre era allecra e contente e scherzava sempre, compure che aveva ancora 2 ciorne di vita. Cosí,ioantavaacasa,ela donna Anna e mia moglie vedevino a me che era tanto confuso perché mi stapeva morento la mamma, e neanchemidomantavino. Se vedeva che erino contente che moreva mia madre. Perché, cosí, loro penzavinoche,noncisento23 mia madre, per loro, mamma efiglia,erameglio,perchéci pareca era mia madre che mi faceva fare sempre l’oposizione, quando loro parlavino. E cosí, si credeva, la donna Anna, che io deventava piú stubito; e invece, morento mia madre, io deventava piú uomo e piú sapiente, perché mia madre era quella che mi faceva livarelacosione24sempre. Quel giorno, io era al suo capizale con uno ventaglio, che ci voleva caciare le mosche, e mia madre si arrabiavo e mi ha detto, racometerna:–Nonlicaciare tulemosche,cheancoranon ene aura di morire. Le moschemilicaccioio. Io mi offatto il cuore sentento che mia madre ancora era buona. E poi io penzava,inziemmeconimiei fratelle, che mia madre in 77 anne non l’avemmo mai vedutoconlafebreunavolta. Maieinvitasuamalataaveva stato. Cosí, mi ha detto: – Vattine,evaiavedereaituoi figlie, che ave 3 ore che stai comme. Vai a vedere a tua moglie che ene cravita, che non ti vedento si dispeiace, cheavechecommattereconi tuoifigliechesonotriste. E cosí, io mi ne sono antato,eperstradadicevaio: «Valda che madre che ci haio, che si prente pena di mia moglie che è cravita e si desperaperchéciavelifiglie triste, e non zi piglia il penziero sua, che sta morento»,esenzasapereche quella mamma e figlia parevino che dovevino prentere il lotto quanto morevamiamadre... Cosí,io,vedentocheimiei figlie erino buone e mia moglie era buona, diceva fra me che aveva parlato con il dottore Cafa il cortto che mi aveva detto che speranzie no cin’erinopiúpermiamadre, e mi ne sono antato ni don Ciovannino Milio per vedere se ci aveva cravatte nere, perché era sicuro che mia madreeramolta. E cosí, mi stapeva comperanto la cravatta, e come uscie fuore del nicozio sinteva fare crante voce, che senteva che questa descraziata donna diceva: «Finarmente la Mienzo Cuoppo 25 murio». Che ci l’aveva detto la Fiacuna. Perché la Fiacuna era stata pagata per farece questo favore di direce che apena morevamiamadrecil’aveva adire. Cosí, io corro piancento e vado dove era mia mamma, che 20 minute prima mi aveva detto: «Non mi scaciarelemusce,cheancora io non ene avura di morire». Lí, io trovai a tutte i miei fratelle, e poi trovaie per lo meno piú di 100 fimminedde amice suoi che piancevino dicento: «Picato, la gna Tura morio». E tutte dicevino quanto era buona con tutte questepernatura,tuttequelle della strada, che aveva 40 anne che la conoscevino. E tutte erino lí dentra la casa dovestavalamiasorella,che non c’era posto per trasere, tante acente che erino. Tutte cihannovenuto,quellechela conoscevino. Io era molto sodisfatto, perché mia madre moreio senza dolore e con tante amice suoi acanto, e diceva: «Tanto, per forzza si deve morire...Migliocosí,chemia madremoriocontanteamice vicino». Cosí, io e tante abiammo fatto la notata 26. Cosí, all’endomane l’abiammo portato alla chiesa. E secome mia madre era molto releciosa, aveva 30 anne che era scritta all’Arme del Precatorio 27, e aveva pagato per30annequestemensile,e ciatocavinotuttelimessedel fonerale franche, e non pagammo neanche una lira per questa descrazia di mia madre, perché tutto era pagato. E io e i miei fratelle, quantoarrevammoalcimitero e abiammo visto tante amice che vennero acompagnare a mia madre, io, da parte mia, disse: «Ora, di oggie impuoi, cheècamuorediquesteedai parente di queste, che ni avevino dato questo anore di venire a compagnare a mia madre,ioquestooblicomilo voglio levare, mentre che sono vivo: di acompanarlle a tutte, quelle che hanno acompagnatoamiamadre». Venniilmesediluglio,che venevadinascireilfigliopiú picolo che si doveva chiamare Ciovanni. Mia madre aveva morto il 29 maggio 1949 e Ciovanni ha uscito il 25 luglio 1949. E secomequellaracometernadi mia madre diceva sempre: «Tue sei fortenato per recuardo ai figlie, che ti nesceranno tutte mascole», e daverononsisbagliavamai. E io pensavo che, quanto murio mia madre, la descraziata di donna Anna non voleva che io ci avesse messo il lutto nella porta, perché la casa era della famiglia nobile e non di Vincenzo Rabito, che ci aveva speso tutta la mia vita, perché tutte li solde che io quadagnava di lavore straordinarieiolispentevain quelladesonestacasa... E cosí, io mi sono vestito di un fortte coraggio e disse: «Ora venne l’ora di antare in calera. Ora eni il ciorno preciso,iomettuilluttoepoi voglio vedere se questa delenquente lo straccia! E cosí,laprimavoltaciorrotto latesta,maoralaprentoela butto della banchina, e cosí, unabuonavolta,l’ammazzo». Ecosí,tramediceva:«Tante volte questa cane aveva antato a reclamare nel maresciallo per costione, ma ora ci n’hai a dare tante che nel maresciallo con i suoi piede piú non ci ha potere antare».Ecihodetto:–Non lo tocate perché questo lutto significamiamadre! Cosí, questa delenquente parteevanelmaresciallo,eil maresciallocihadetto:–Non tocate il lutto, perché, prima che vi ammazza don Vincenzo, vi mitemmo in camiradisicurezzaqui! Cosí, la donna Anna, il lutto,nonl’hatucato. E poi, questo lutto, quanto adeventavofracito,hacascato dasolo,enoncifunientepiú. E menomale che non ha socesso niente, altremente io, davero, era resolto di antareamminne in calera per sempre. E comunque, finarmente, revavo l’ura di nescire Ciovanni. Cosí, erino le 3 di notte,miamogliemichiama, che si senteva male, e io parttoevadonellalevatrice. Cosí, quanto la levatrice reconosceva che era ura di nascire, mi doveva avesare, che cosí io mi portava a Tanuzzo e Turiddo fuore. Perché cià queste mia figlie erino sbeglie, suonno non ci ne poteva, che volevino vedere venire la cicogna a portare lo banbino. E tutte li minute dicevino: «Papà, chi vennelacicogna?» Ma che cicogna e cicogna, che li mie figlie sapevino tutta, di quanto erino vicariote28! E poi mi decevino: «Papà, perché ni piglie per fessa!? Tunedevedireèlamammaa fareunofiglio!»Elalevatrice redeva, che moreva delle resate.Eiochemidesperava, che mi facevino prentere li nerve. Cosí, quanto per davero inteseropiancereasuamadre, hannocapitotutto,edaverosi hanno vestito e mi l’ho portato impiazza, e poi, caminanto corsso corsso, e cirammoperlavillaepoiper lastradanuova,epoiionella piazza li ollasciato ummumento per vedere che cosasidiceva,ehotrovatoun belmasciettomessodentraun canniscieddo29,emiamoglie, che era che diceva: «Che beddo», era senza dolora e senzafebre. Ecosí,minesonoantatoa chiamare a Tanozzo e Turiddo, che cià erino davante la portta che stapevino trasiento tutte 2, perché pare che ci parrava il cuore che ci doveva nascire un altro fratuzzo. Cosí, ci l’abiammomessoinbracciae pareva uno di 4 mese di quanto era bello notrito, questo nuovo arrevato, di quantoerabello. E cosí, Tano e Turiddo, recorddocheerinoleore5di mattina del 25 luglio dell’anno 1949, e Tanuzzo e Turiddo non zi hanno voluto levare, sempre ci volevino stare vicino, a quello canniscieddo. Io era tanto tanto emozionato della tanta contentezza, che, con tante fruste e tante vercogne che c’erino ne questa desonesta casa, a vedere 3 figlie mascolecosíbelle,miveneva magaredipiancere. Cosí,oraiopenzavaamia mogliechedovevaservirea7 persone: 5 erimo noi, uno il cavaliere Mariano, suo fratello, e una quella cane arraciata. E io che calava e scenneva della casetta con la borssa piena. Poi, alla sera, era tratato male, ammano di questaacentavigliacche.Che, inquestarazza,liuominenon l’hanno fatto comantare mai. Io questo lo sapeva e mi dovevastaremuto,altremente miamogliesidavaammalata emiarestavinoli3piciridde, epoimidiceva:–Oramine vaioaSiraqusaetilascioate e i tuoi figlie –. E questa era la parola piú bella che mia moglie mi diceva: «E mi ne vaioneimieiparente». Ora, io era di lutto e tanta fessta non poteva fare, e cercai uno per farllo batezzare. No come quello primo figlio Turiddo, che lo hannofattobatettezzareauno incegniere che poi non zi affatto vedere piú, perché forsse che teneva vercogna a faresevedere. «Ora che io sono presente, il patrozzo di questo mio beddo figlio lo devo cercare io:aessere30unoamicomio, che ci conosciammo di tanto tempo, e deve essere uno operaio come me», dicevo.E cosí, io penzai a Ture, Revettodiciuria31(mapoisi chiamava Nicosia). E quinte cilofacciobatizzare. Cosí, presemo una ventina di piciriddi, antiammo nel cafèdiPaolodellasalita,che erailfratellodellocompare,e cosí, mezza cranita per ognuno a tutte quelle piciridde, e si ha batizato Ciovanni. E tutto pagavo il compare. E quinte, questo compare, cercato mio, fu un cumparedivalore! Poi io, a questo Ciovanni, un ciornno ci volle fare 6 fatocrafiei da solo. E partie. Ma come sono revato ne fatocrafo ci ho trovato al professore Lo Preste, che questo aveva 2 figlie piciriddechecistavafacento li fatocrafiei magare. E cosí, io vedo che nel fatocrafo c’era un bellissimo cavallo a ciontale32.Ecosí,iocimetto a cavallo a Ciovanni, che aveva un anno, e ci offatto li fatocrafieie. Ecosí,doppo6ciornne,io mi sono visto con il professore Lo Preste e mi ha detto: – Rabito, antiammo, vediammo come sono venute lifatocrafieidainostrefigli–. E davero partiemmo. E le fatocrafiei delle figlie del professore erono molto belle, ma poi, quanto questo professore ha visto quelle fatocrafiei di Ciovanni, erino tante belle che, per forzza, quessto professore ni ha volutouna.Eiocihodetto:– Maorachecosanedevefare di questa fatocrafia? – E lui mi ha detto: – Io, questa fatocrafia, la manto al ciornale come belle ficure, belle di piciridde, che poi, quanto sono troppo belle e troppo notrite, queste piciridde li mettono nei calentareie dai barbiere. E cosí veramente fu: questo Ciovanni venne stampato nel ciornale, e c’era scritto: «Il picoloCiovanniRabito». Ma secome nella mia casa c’erimo tante, io aveva comperato il ciornale, che c’era la ficura di Ciovanni, e questogiornalespedio33,eil calentariospediomagare,che capitavonellemanediquello crante nobele che aveva io nellamiacasa,cheeraquesto Mariano! E questo Mariano, che stavacomme,erailpiúcrante peso che io aveva sopra li miei spalle. E finarmente, doppo tante bastemie che io aveva butato – che avere a Mariano, con pure che era fessa, aveva un mio nemico dentra–,sin’antò.Esin’antò aReggioCalabria,chepoiio nonpottesaperecomefece.E fu meglio che si n’antò, perché io, altremente, non potevastareconquestouomo dentra, che non serbeva né per me né per lui stesso, perché manciava e poi non era capace di comperare un mazzo di cavole alla piazza, chetuttudovevafareio.Epoi aveva la mania di essere segnore di fronte amme, perchéeramaletiadifamiglia per tutte. E io stava sempre arrabiato, e, con quello sestema,nonpotevastare. Ma ricordo che erimo arrevate nel mese di settembre del 1951, che Turiddo doveva antare al secontocinasioeTanofaceva la quarta elementare, e la crante addannata di donna Anna, la padrona de quella maledetta casa, ha cascato malata, ma aderetora malata per morire. E di questo nessuno si poteva fare meraviglia, che a tutte ci atoccadimorire... E quinte, piú ciorne passavino piú peccio era. Cosí, io offatto tante telecrammi, ma, al solito, nessunoveneva. Subito venni solo quel crantesantopadrePietro,con la mortte di sua madre, e poi non venne nessuno. E certo c’eraiochedovevafaretutto emidovevaintresareditutto, perché era io quello che era stato contannato per questa nobilefamiglia! E quinte, tutto Chiaramonte, quanto hanno sonate le campane e domantavino, tutto il paese, che è che aveva morto, tutte dicevino: «Finarmente morio l’allampata 34 di donna Anna!» A quanto acente ci aveva detto «butana»... E tutte dicevino: «Refrescate l’armuzze dello Priatorio 35, che ora possiammo passare dellaviaTommasoChiavola! Finarmente il diavolo si la portò». Poi, tutte li acente che vinevino a fare visita quardavino amme e ridevino sutasota,maio,però,questo lo capeva, perché li capeva tuttelibatutechemidicevino la cente, perché la cente sapevino che io con questa donna aveva fatto tante sciarre di quanto mi aveva maretato. Ma io faceva il serio, perché piú non era quella cane donna, ma era una molta, che la mortte era pertutte,efacevailserio. Cosí, cominciavo un altro caso del diavolo, con la mortte di questa desonesta donna.Cheiodovettepagare magare lire 7.000 per farlla mettere nella tomba; che era cosa di butarlla nello zachino 36 della comune, che eramiglio. Cosí, cominciaie a pagare tante solde: solde pe socisione, che quelle desonesteprecurenonc’erino fatte ni quella fetenzia e schifezza di quella maledetta metàdicasacheiomiaveva comperato, che ci aveva l’usufrutto la delequente donna.Eio,quellamaledetta casa, la dovette pagare 3 volte! Quinte, tra socisione e spese che mi tocareno, non mi poteva maie fare persovaso. Cosí, questa donna Anna lasciavo lire 100.000. Lire 60.000 mia moglie li ha dato a quello stubito di Mariano, che mi diceva che, per scrubilo di coscienza, ci l’aveva lasciato per detto quella descraziata di sua madre. E quinte, ni arrestareno40milalire. Io, che sa quanto ni aveva spese per la morte di sua madreeperifonerale...Emi arrestarenoliocchiepieneeli manovacante37. Poi, magare che quanto morio questa maledetta donna, nel damoso dove lei stapeva non voleva che ci traseva nessuno perché ci avevapaura che la robavino. Eneldamosoc’eraunapuzza che si poteva venire la peste. E quanto murio, io dovette chiamare a 2 spazine per farllepulire. E cosí, li 40.000 lire non hanno potuto abastare. E io sempre pagava, e stava sempre con la speranza delle promesse di quella improgliona di mia moglie, e che de speranza campa, disperatomuore. Cosí, questa donna, con questa morte, invece di lasciare bene, lasciò tanto male e tanto vileno a Chiaramonte.Chepoi,questa veleno che lasciò, se lo dovetteassopare 38 tutto mia moglie, che li acente, non apena la sentevino parlare, subito ci dicevino: «Ecco, sempre a essere figlia di quella fetente, di quella delenquente di donna Anna...» E mia moglie, sentento che ci decevino la vera veretà, subito ci diceva parolazzi piú brotte di donna Anna, e si ha preso, piano piano piano, tutte li fonzione chefacevaconlaboccalasua mammina. 1 latagliaerabutata:latagliaera messa. 2 fattemiei:fattedame. 3 tiempo di stacione: tempo d’estate. 4 Si tratta di due differenti tornate elettorali: le elezioni amministrative e, quindi, ilreferendum tra monarchia e repubblica, con le elezioni dell’Assembleacostituente. 5 direraereditorio:digenerazione ingenerazione. 6 piú fitusa di idda: piú lurida di lei. 7 crisiastica:donnadichiesa. 8 Il cadavere di Benito Mussolini fuespostoaPiazzaleLoretoil29aprile 1945. 9 recriare:divertire. 10 parrine:preti. 11 Il Psli (Partito socialista dei lavoratori italiani), che si presentò alle elezionisottolasiglaUnitàsocialista. 12 mi aveva saputo quartiare: mi erosaputomuovere. 13 e senza resboglialle: e non si dovevasvegliarli. 14 palommella:colombella. 15 cesta:cisti. 16 miscanto:mispavento. 17 fedemedica:refertomedico. 18 niette:pulite. 19 inzertato:indovinato. 20 itatura:iettatore. 21 ammintovare:anominare. 22 rocomaternna: requiem aeternam. 23 noncisento:nonessendoci. 24 faceva livare la cosione: dissuadevadalfarequestioni. 25 «Mezzocoppo» era il soprannomedellamadrediVincenzo.Il soprannome ironizzasulla bassa statura deimembridellafamiglia. 26 notata:nottata,veglia. 27 Anime del Purgatorio, una confraternitadidonnepenitenti. 28 vicariote: delinquenti, mascalzoni. 29 canniscieddo:canestro,culla. 30 aessere:deveessere. 31 ciuria:soprannome. 32 aciontale:adondolo. 33 spedio:sièperso,scomparve. 34 l’allampata:colpitadalfulmine, indiavolata. 35 Refrescate l’armuzze dello Priatorio: andate ad allietare le animuccedelPurgatorio. 36 zachino:immondezzaio. 37 E mi arrestareno... vacante: e restai con gli occhi pieni e le mani vuote. 38 assopare:sorbire. Capitolodiciottesimo Costòquantocostò Ci aveva stato l’allovione nel1953,cheintuttelestrade della provincia, speciarmente quelle5chilomitrecheaveva io come cantoniere, tutte le mura delle late avevino cascato, e poi cercavino mascie, li padrone, e non ni potevinoavere. E cosí, allora mi dicevino: – Don Vincenzo, fatele voi, chepoipagammoavoi–.Io, che antava cercanto quello, perché mi abisognavino solde, e cosí io questa la chiamava «fortuna», perché ci faceva li mura e poi mi davinoquelchelitrodioglioo qualchelire1.000.Ecosí,io, veramente che mi ne davino poco, perché profetavino, ma però c’era sempre di quadagnare. PertuttalaSiciliaciforeno centenaia di miliarde di danne, ma però lavoro ci ne fu tanto, perché c’erino tanta disocopazione, e tutte hanno lavorato nelle 5 chilomitre di strada che aveva in consegna io.Mitàdistradaerapienadi fanco, ma io, con l’aiuto dai miei fratelle, piano piano il tranzito non zi era fermato, e in 5 ciorne abiammo fatto il lavorodi15ciorne,checerto avemmo lavorato notte e ciorno. E alla fine mi hanno dato tutte li solde e io, che aveva fattolavorareaimieifratelle, magareavevaquadagnatolire 15.000. Mentre venne l’ordene che nel 1954 tutte li strade provinciale si dovevino sfaltare. E cosí, il ciornale portavachesidovevasfaltare la strada ComisoChiaramonte, e l’aparto si l’aveva preso un certo apartatorechesil’havenduto a un certo ceomitra che questo aveva uno asestente molto beravo nel lavoro che eramodicanoederaunbravo moratore. Cosí,ioeratuttopriatoche si doveva cilintriare la strata, perché brecia non zi ne sfalciava 1 piú, ed era contente.Ecosí,iodistradee dicilintraturanicapevaassai, perché io aveva stato 3 anni all’Africa, e questo murature capo cantiere si ne ha cortto cheioerapraticodistrade,e mihadetto:–Rabito,voi,se mifaceteilfavore,vin’antate avante con 25 operaie, che cosí ci facete spianare la strada–.Ecosí,iominesono antatoavanteeconqueste25 operaiecihofattounabuona comparssa. E questo capo cantiere mi harecalatolire10.000mila.E iohopresoilternoconquelle lire10.000! Poi c’era di fare circa uno chilomitro e mezzo di strada vicinoalpontedeiCafa,nella contrataScio2,chesidoveva fare un viadotto che atravesava il fiume, e lí io doveva fare l’asistente dei lavore. Cosí, io era solvegliante e asestente di queste lavore. Cosí, io mi senteve uno dai piú migliore cantoniere.Mivenevinotante letre dall’amministrazione, letre di servizio. E tutte le lettre dicevino: «Atenzione, nonnefaciammoprentereper fessa dell’apartatore, perché voglino inprugliare sempre e illavorononvieneesatto». Io parteva allo scopo di fareilciusto:chenondoveva antare né con l’amminestrazione provinciale e neanche con l’apartatore. Iociavevastatotantevolte nelleimprese,elosapevache l’apartatore, se faceva il ciusto, come diceva il capetolato d’apartto, non ci arrestava niente... Ma, insumma, doveva fare una cosachepotevacamminare... Quinte, se cimento si ci ne meteva un sacco meno non era niente, e magare all’ultimoanche2sacchenon faciavinoniente. Cosí, io certo mi la faceva con l’apartatore perché ce n’escia qualche cosa... E quinte, io mi doveva rezuntare3,chelilavorecerto chesedovevinofarenontutto ciustoenontuttemale. Io aveva l’ordene di referire all’amministezione, e certo che umpoco di freno ci voleva! E mi sono messo a fare qualche picola oservazione a questo apartatore, e come venne l’incegniere mi ha detto: – Lei,Rabito,lilassassefare. E cosí, io disse tra me: «Ma allora io perché ci sono qui?Perfareilpopo4?Eloro si devino fotere li solde, l’apartatore e l’incegniere? Oracipenzoio,ioilpupoqui non lo voglio fare, io voglio manciaremagare...» Cosí, ci abbiammo messo diacordio. Poi, quanto si ha fenito il lavoro, con l’apartatore restammo amice e io mi ne sono antato al cantone mio, allaMadonnadiQulfe. Ora, nella casetta del mio tratto, tutte li volte che c’erino le lezione, erino ciorne per me di caso del diavolo. Quente, recordo che era il mese di maggio del 1955 e si dovevino fare li lezione recionale. E quinte, allacasettadoveeraio,tuttei partite portavino carte per picicarlle propria ni quello schifiodicasetta. Quinte, socialiste, fasciste, comuneste, librale e Dimocraziacristianavolevino la scala prestata per le cartte, eiolifacevacontenteatutte. Mailvotomioerasempredel barone Melfe, perché il bene eilmaleiononlodementeco maie. Ma questa volda, senza volere, mi sono trovato frecato. Quellesí,forenolelezione recionale, e foreno molto desperate, piú desperate del 1948, perché la propaganta aveva stato forte fatta dai parrineedituttuimoniceche antavino ceranto per le campagni, e tutte contra il partito dai Lupise. Tanto che Cioseppe Lupis non potte assumare 5. E quinte, si la prentevinopropiaconl’amice del barone, che «erino farsse», e uno di queste farsse, dicevano, poteva essereio. Cosí, il barone vote ne ebbe 255 vote, mentre che ni aspetava 1.500 vote. E il barone si dava la testa mura mura 6, che non si sa che erino queste farsse socialiste delSolenasciente. Io ni aveva tante spiei contra di me, che m’imidiavino. E io che cosa ci poteva fare a questo barone? Solo che lo poteva dire ai miei fratelle, per darece il voto (mia madre avevamorto...)Quinte,ionon aveva niente che fare se il barone persse. Mia moglie racionenonnisentevaevoto non ci ne dava, perché era critina, perché lo dava al Movemento suciale, perché per ventecare ai suoi fratelle, checidecevinolicorna7che erino state i Lupise ad ammazzare ai suoi fratelle, mentre che, per coscienza, il baroneMelfeneanchesoldato avevafatto. La Democrazia cristiano prese a Chiaramonte quase 3.500vote,etuttequestevote di Chiaramonte li ha preso l’onorevole Ciumarra, che fu la prima volta che fece lo deputato a Palermo. Cosí, il Sole nascente nascio annuvolato, e forsse forsse che penzavino che una mano ci l’aveva messo io, per prentere poco vote il Sole nasciente. Ora, doppo che vincevino, queste duputate antavino in ciro per i paese per farece il rencrazio dei vote che avevino preso. E quinte, a Chiaramonte, l’onorevole Ciomarra doveva venire affarelorencraziamento. Ioquestononlosapeva,lo sapevino le democristiane, ma io niente, perché non mi intressava per niente, perché io non era democratico cristiano, mi faceva li fatte mieie,perchépenzavacheera padre di 3 figlie e li doveva ammantenere alla scuola; e cercavasolde,nopartito,non necercava. Quinte, il 12 ciugno 1955 iocamminavaperifattemiei, conmiofratelloPaolo.Eramo vecino al monemento dei cadute, che c’era il cafè di Paolo della salita, che era il cafè dai democratice cristiane,equantovenevinoli uommine politice di Raqusa vinevino prima in questo cafè. Cosí, io, senza sapere niente, mi vedo preso per le spalle di Bastianello e della avocato Rosso, emmi hanno presentato a 2 pezze crosse che avevino venuto di Raqusa, che queste erino propia uno l’onorevole Ciumarra e l’altro era l’avocato Schinina, che era delecato all’amministrazione provinciale, che era propia il miocomantante. E cosí, queste 2, voldire Bastianello e l’avocato Rosso,mihannopresentatoa queste, facentoci sapere che io era il piú megliore cantonieredellaprovincia. Quinte, io mi trovai con quella comitiva e ci n’antiammo nella nostra Socità, dove da 50 anne fracontiammoioePaolo,mio fratello. Certo che io non potevaabantonarelacomitiva perché mi pareva brutto, poi che queste erino quelle che comantavino nella provincia, enonnipotevafareammeno di antareciminne, e quinte, dovevastareconloro. Ma li crante rofiane si hanno trovato pronto ad antare nel barone Melfe a direce che io era che aveva campiato partito ed era un traditore del barone, e questo significava che io non ci aveva dato il voto. Altre 2 rofiane e cornute si n’antareno a Raqusa e lo hanno referito a Lupis; e di Lupis lo seppe l’incegniere capoRizza. E cosí, di tanto buono che era io stato, e buono lavoratore, mi hanno fatto deventare un delenquente, e poi uno che non voleva lavorare; e deventai, per la provincia, uno che non rentevanellavoro,perchéio, perpuracompinazione,aveva dato la mano a l’onorevole CiommarraeSchinena. E cosí, mi vedo arrevare una lettera dove diceva: «Il cantoniere Rabito Vincenzo viene trasferito a Ispica per motivodilavoro». Quinte, in 6 ciorne, io, se aveva bisogno de manciare, dovevaantareaIspeca.Enon sapeva come diavolo fare. Io aveva stato tanto buono per fare il cantoniere, spece nel paese di Chiaramonte, e ora avevadeventatoullavativo.E diceva: «De dove mi ha venutoquestomaloamme?» Di praciso ancora non lo poteva sapere di questa maledetta letre di trasfiremento: non sapeva se era per causa di lavoro o per causa di politica. E io disse: «Ora vado arRaqusa e vediammochepossofare». E come arrivo a casa ni Lupise,Lupisenonc’era,ma c’era una donna dentra, che forse era sua sorella, che mi vedeva tanto pricupato e mi hadetto:–Cheèilfatto?–E io ci ho detto che vorreva parlare con il commentatore per direce perché mi avevino fatto questo trasfiremento. E quella donna mi ha detto che ci sarà il motivo per fare questo trasferemente. E poi mi ha detto che con queste lezione ci sono state tante trasferemente,esivoltòcome unacaneversodime.Ecosí, io disse: «Ecco che il veleno asiste,perchésivedecheene cosadipartito…» E cosí, mi ne sono antato bestimianto; e mi ne sono antato a cercare alLupese direttamente, per parlare con lui, per vedere che cosa dicevalui. E, ciusto ciusto, l’ho trovato impiazza San Ciovanni,ecihodetto:–Ma come, commentatore, perché mihannomantatoaIspica?– E lui mi ha detto: – Non so niente. Cosí, vado nell’ingegnire Rizzo, e mi ha detto: – Io sonostatoaRoma–.Epoimi ha detto: – Li casette non sono vostre, sono della provincia, e noi che comantiammo, dove vi mantiammo dovete antare, perchéillavorolosapiammo noi dove ene, e vialtre cantonieredoveteantaredove ve manto –. E poi mi ha detto:–Antatevia! Cosí,iodisse:«Oravadoa cercare a don Nitto Rosso e l’avocato Rosso, e gli dico il fatto». Ma, come arrevai a piazzaLibertà,trovaiaquello crante calantuomo dell’ingegniere Tumino e ci hofattovederelalettera,emi ha detto: – Queste trasferemente li fanno perché prenteno poco vote, e arrovinino ai povere cantoniere –. Cosí, ci ho detto: – Grazie, – e mi ne sonoantatoaChiaramonte. Cosí io, arrabiato, come arrivo al paese, parllo con tuttei2fratelleRosso,eciho detto:–Vedetecherecaloche mihannofatto,chemihanno trasferito a Ispica per direce vialtre a Ciomarra e a Schininacheioeracantoniere buono! Cosí, mi hanno mantato ni padre Sorci. Cosí, io ci ho racontatotutto. IlpadreSorcim’haportato a Raqusa a cercare al secretario della Dimocrazia cristiana, e il secretario si ha preso la lettra, e mi ha detto: –Oracipenzoio. E cosí, con padre Sorci antiammoaChiaramonte,eio sono remasto sodisfatto. E padre Sorce mi ha detto: – Rabito, ora spetiammo la telefonata dell’onorevole Ciomarra. Cosí, io che aspetava la telefunata e intanto il capo cantoniere che voleva la chiave della casetta. E tante volte mi lo diceva, e tante volte c’ereno sciarre, perché io ci diceva: «Chiave non mi nedugno8!» E questa telefonata non veneva maie... E il capo cantoniere era vicino alla casetta che lavorava e, alla sera,’navotauno’navotaun altro,mantavaglioperaidove c’era io, per dire che voleva la chiave, e io piú tosto che mai, sempre ci diceva a tutte che lui poteva morire arrabiato,cheiochiavenonci nedavaneanchesemoreva. Quinte,eral’ultimociorno, che li 6 ciorne si stavino fenento. E quinte, io a mio figlio Turiddo ci ho detto: – Stai vicino alla posta, che deve arrevare una lettra o un telecramma. Erecorddocheerinoleore 10emenza,quantosentoche si sinteva una voce che diceva, propia sotta l’Avviamento9,chediceva:– Papà, c’ene un telecramma per te –. E mi vaio per voltare, ed era il mio figlio Turiddo. E secome Tureddo sapeva tutto, e sapeva che speravo nell’arrivo di questo telecramma, me l’aveva liciuto,emidisse:–Papà,tu non ci deve antare piú a Ispica, perché ene sospesa il traspedemento,edeverestare nella casetta di Chiaramonte. E quinte, è stata sospesa la tua partenza –. E il capocantoniere, che sente: «papà, è stata sospesa la tua partenza per Ispica», non parlava piú. Cesú Cristo ci affatto perdere la parola, spece come ci avesse preso una paralese. E si n’antò come un comantante che aveva persso la crante bataglia! Io restai molto sodisfatto, compurechemicostòtantodi viaggioperantareaRaqusa,e poimagarecidovetteportare una pezza di formaggio a quello secretario della Dimocraziaperrecalo,chemi l’avevadettopadreSorci.Ma costò quanto costò, ma io ebbeunacrantesodisfazione! Nel frattempo, aveva fatto un bel nicozio, che aveva speso 150.000 mila lire, che aveva comperato un bello locale, che era allato della mia casa, allo scopo di fabricarece e fare una casa nuova, e ci speciava 10 per traserece dalla stessa mia casa, e cercava di farece 2 piane,con2stanzedisoprae 2stanzedisotta. Solde non ni aveva, e disse:«Oravedocomeposso fare.Vedochemiimprestali solde e facio questa casa nuova e poi mi vento la vechia»,chequestamaledetta casa vechia non la poteva solportarepiúdiquantesolde mi aveva fatto spentere, e sempreacasavechiaioera... Cosí, vado all’amministrazione, che per commisario c’era Catto Nicastro, e lo ho pregato se mi poteva fare uscire solde dellostepentio. E cosí, tutte li ciorne che veneva del cantone e tutte li feste e tutte i momente libre cheaveva,iosempreeralí,in quellolocale,chelavorava. Cosí,lacasalaportaiaun buono punto e dovette sospentereillavoro,perchéio aveva a Turiddo a studiarea Comiso, e mi volevo trasferire lí: e per non farlo staresolo(tantochelacasala dovevapagarelostesso)epoi che ci voleva un altro mese percominciareliscuole,epoi che la casa di Chiaramonte l’avevamo affittata, perchési ci doveva sposare una nostra amica che ni veneva commare, perché aveva portato al tempio 11 a Ciovanni, che era fidanzata con uno commisano... e cosí, con quelle solde che ni davino della nostra casa, pagammo quella casa di Comiso,ecosínonpagammo niente. Iosempreerasenzasoldee sempre mi n’antava a fareme dare la misata da quello mio compare che aveva la mia casa in afitto, perché mi abisognavinosemprelisolde, perchécidovevafaremagare la scuola prevata magare ai mieifiglie.Masecomequello era senza solde come me, io, per poteracille scipare, doveva fare tante viaggie a Chiaramonte. E cosí, sta finento questo anno di fare malavita di antare e vinire di ComisoChiaramonte e di Chiaramonte-Comiso.Etanta strada a piede che io aveva fatto e tante volte preganto a tutteperviagiaresenzasolde, e tante prichiere aveva fatto precantosempreaiprofessore per potere passare i miei figlieedinonperderel’anno e tante solde spese... E, all’ultimo, a Tanuzzo ci hannorestato4materie,emi sono confuso. E disse: «Qualda chi mi sono comminatobrutto,chedoppo fare un’annata di malavita nonhofattoniente». Turiddo invece ni doveva recuperare 2 di materie, che erinol’italianoeilcreco. Ecosí,Turiddosiscriveva al primo licevo chilassico, che io non lo conosceva questo licevo chilassico, perchéioscuolanonniaveva fatto, ma lo senteva dire che cosa voleva dire «licevo chilassico»quantofusoldato, che li officiale, per essere ofeciale,dovevinoprimafare il licevo chilassico. E quanto sentevadirecheunodeimiei figlie, con il lecevo chilassico, poteva fare l’officiale, io era tutto priato, e cominciava a diventare piú importante e cominciava a sentiremequalchecosa. Tutte li ciornna faceva sempre ore di straordenario alloscopodifaresolde,epoi veveva di speranza e di un buono avenire per me e per i mieifiglie. E io, con le 2 materie di Turiddo, non mi confonteva, perchéerasicurochepassava, poicheaTuriddolascuolaci lafacevailprofessoreIacono, e questo Iacono aveva una campagna a Favarotta, e questa campagna l’aveva un figlio di una sorella di buon’arma di mia madre che ci aveva li pecore. E cosí, io disse:«OraaTuriddolofacio arecomanteredimiocucino,e cosísonosicurochepassa». Edaverocosífece,emine sono antato a trovallo, a questo mio cucino, figlio di unasorelladimiamadre. E mio cucino mi ha detto: – Non ve priocupate, che comevieneilprofessorevilo recomanto, che io a questo professore ci ne faccio tante favore, e questo favore che deve fare al vostro figlio, il professoremilodevefareper forzza,altrementeio,aquesto professore Iacono, favore piú non ci ne faccio, se non fa promosso a vostro figlio Turiddo. E per questo io sempre parllo male della famiglia di mia moglie, che non zi avevino voluto intresare mai per la sua sorella, che nei 20 ciornne di fidanzamento m’avevino improgliato che il soleuscevadisotta.Ecosí,io diceva: «Quanto vale una scarppa dai miei parente povere, non ci valino cento stivale dei parente di miei moglie, magare che sono ricchi». Cosí, io cominciaie a direce ai comisane che lavoravino comme di procorareme una casa per il mese di setembre, che io con la famiglia mi ne doveva antare a Comiso per dare li asame ad ottobre Turiddo e Tano, perché Ciovanni quell’anno fu stato valoroso, perché, de niente, si n’antò alla 2 elimentare, perché, per requardo a scuola, il mio figlio Ciovanni ha stato sempreilpiúbuono. Io, mentre che ci diceva ai comisane per procorareme una casa per 20 ciornne di setembre, lo intese il mio capo cantoniere, e mi ha detto: – Rabito, una casa per 20ciornevilaprocuroioevi facciospenterelire3.000. E cosí, per non ci dire di no,iocihodettodisí.Epoi, mi aveva detto che questa casa aveva stato abitata e c’erino magare li mobile; e io, sentento «mobile», mi offatto il cuore. E disse: «Bravo adiventavo il capo cantoniere, che mi pricuravo lacasapertremilalire!»Cosí, io restai contente per questa compinazionedicasa. Io aveva diciso di partire per Comiso un ciorno prima conilcarrettodiGiovanniRe e prentere 4 fasci di paglia alle Pezze 12, nello massaro della Barona, e cosí meterlle soperailcarrettoeportarllea Comiso nella casa di 20 ciorne.Chepoi,all’indomane matina, io, doppo che mi aveva corcato lí, in quella casa, riparteva con l’auto bussodiCiamporcaro 13emi trovava sol posto di lavoro; tanto per non fare parlare annesuno di quelle impiacate dell’amministrazione, che sempre mi presecotavino 14 perché erino invediose, perché io aveva il piacere di farestudiareaimieifiglie. E cosí, mi aveva portato magare 2 materazza con 2 rite, che cosí li rimpeva e faceva umpoco di pulizia, e magare mi portai 2 lume di carretto piene di pitrolio, perché luce non ci n’era in quella casa, che il capo cantoniere mi aveva detto: – Rabito, precurateve per la luce –. Che lí c’era solo il lume. Ecosí,conRepatiemmoe fuommo al Comiso con il carretto, e antiammo direttamenteinquellacasadi 20 ciorne. Cosí, Re, come scarrecavo, si n’antavo, e io cominciai a riempire le 2 materazza e cominciaie a scupare la casa, che c’era tanto provelacio 15, e si vedeva che questa casa era stata abantonata di assai tempo, perché li mobile che c’erino, tutte erino piene di ragna. E cosí, io fece quanto meglio poteva fare, e poi mi sono stancato, e disse: «Domane, quanto viniemmo tutte, e vene mia moglie, e cosímitiammotuttoaposto» –perchépoimagarevinevala domineca,perchéerasabato. E cosí, io penzai di faremi 4o5oredisogno.Ecosífece io. Recordo che quanto mi sono corcato erano li 11 e menza prima di mezzanotte, ma, come mi sono fatto mezza ora di sogno, mi sono sbegliato di colpo, perché sinteva uno lamento fortte e piatuso, sentento dire: «Mamma mia, staio morento!» Io, queste lamente, ni aveva inteso, ma però li aveva inteso sempre in tiempo di querra, quanto c’erino ferite che non ci si poteva dare aiuto. Poi, lí, dove mi aveva corcato io, c’era una porta che antava fora e un’altre 2 porte che antavino: una, in uno cortile, e un’altra, che antava dentra un’altra crante stanzona, che lí c’erano 4 butte di mettere vino, ma però erino viechiie, queste 4 botte, e un carretto c’era. E poi c’era una porta cheusciafuore. Cosí, io sentevo un lamento insuportabile, non sempre a una partte, ma mi facevaimpresionechequesto lamento era in tutte le parte. Cosí,iononpottedorimire. Aveva umpachetto di tabacco fortte e cartinne, e fumava. Cosí, domaie tutte 2 li luma di carretto, e uno lo lasciaie dumato nella stanza dove io mi aveva corcato e l’altromiloportavaapressoa cirare casa casa, perché la casa era tutta rotta, ma era crante. Solo era un poco buona quella stanza dove io avevaconzatoli2letta. Cosí, mi sono vestito di coraggio e mi sono messo a cirare per tutte li case per vedere dove era questo lamento, che, della porta di dove mi aveva corcato io, c’era una voce di vechio, e della parte della porta del cortile c’era una uce che si lamentava, che era di una donna vechia. E quinte, io non mi faceva persovaso comedovevafare. Cosí, mi sono messo a girareequardaresottoquelle botte e sutto quello carretto per vedere che cosa c’era. Cosí, quanto vado per vedere 16 che c’era una quantetà di vestine vechie e vestine di sotta, che si metevino li donne antiche, tutte piene di sanquie, e 2 linzuolac’erinomagarepiene disanqui,eumpaiodiscarpe tutte sporche di sanquie magare. Cosí, io mi sono perso di coraggio: fora non poteva antare perché c’era quello lamento apassionato, dell’altra parte del cortile c’era l’altro lamento, e non sapeva come fare. Io aveva una sbeglia, che l’aveva portato della Cermania, che aveva una bella soneria, e menomale che la fava sonare e mi teneva umpoco di allecria... Cosí,iopenzavadifomare, per passaremi umpoco di malenconia. E minomale che bestimiava, perché li bastemie mi facevino coraggio. Poi, quardanto sempre quella sbeglia, che li minute non passareno maie, erino li 3 e menza, e secome luce in quella strada non ci n’era,parevamoltobuio.Eio disse: «Se prima non faci ciorno,liportenonlicrape!» Perchétutteliporte,io,con quelle lamente che c’erino, li avevaapontillato 17contante legna, perché mi aveva preso di paura, con quello lamento che senteva, e poi con tutto quellosanquiechec’era. Poi io, immienzo a tutte quelle legna che c’erino dentra a quella casa, aveva trovato una cetta di tagliare legna e mi la so’ messa immano, e disse che: «Come vedo che comincia a fare ciorno,iorapolaporta,mala cettanonlaposomaie». Perché la cetta fu quella che mi affatto fare coraggio. E tra sicarette e cetta e bastemie, disse: «Sta passanto, questa brutta notata...» Che io le stesse li aveva passato tiempo di querra, di queste brutte notate. Ma poi, stavino sonanto li 4,esivedevachecominciava a fare ciorno. E diceva fra me: «Spediammo che, come aciorna, si deve sapere che cosa sono, tutte queste lamente». Perché, li lamente, sempresisentevinoesempre con lo stesso versso: «Staio morente.Datemeaiuto...» E poi, intese questa parola chenonl’avevaintesomaiin tuttalanotata:«Semisequita questo dolore, mi ne vado allo spedale». E un’altra che diceva, che era quella con quella voce di donna, e ci responteva: «Se solde non ci ne sono, come tu puoi antare allospedale?» E cosí, io ho capito di che cosa si tratava. E allora rapo la porta e vedo un omo corvatodavantelaportadella stanzadidovec’eraio.Ioera arrabiato come un cane, con la cetta immano, che quase quase ci ne stapeva danto un colpo, perché mi pareva che quello l’aveva fatto aposta, quellanotata. Ma quello che era che aveva fatto tutto quello lamento, come mi ha visto con quella cetta nelle mane, con la tanta paura, si alzò e mihareconosciosubito,emi ha detto: – E vosia chi ci lo porta qui, don Vincenzo? Vosiamidevescusarecheio questa notte non l’ho fatto dormire con questa ianca abuzata 18 che io haio, e magaremiamogliecihaauto tante dolora. E ora, come sono li 9, che il dottore rape, mi le faccio scipare magare tutte,basticanonfacioqueste maledettenotate! Io quardava, tanto che non aveva armmo 19 di parlare, perché veramente aveva una facia compia che era inrequardabile di come era redutto. Cosí, davero era che mi conosceva, perché aveva lavorato vicino Chiaramonte, propiavecinoallacasetta,che ci l’aveva portato a lavorare il mio capo cantoniere, circa unannofa. Mentre viene la sua moglie,cheerapiúlazzariata dilui,etutte2mihannofatto tante scuse, perché non mi avevinofattodormire,mentre loro, marito e moglie, facevino pena, povere diavole. Figlie non ni avevino. Il marito faceva il lanternaro,maillanternarodi quelle miserabile, perché si vedeva che erino nella miseria fortissema. Non avevino neanche sedie dentra la sua casa, tante erino povere... Poi,ildolorecihacarmato, siaalluiesuamoglie.Ecosí, io era l’olario di antare al lavoro e prentere l’auto busso, e partie per Chiaramonte, e non pottemo fenire di pulire, di com’era composta20quellacasa...Ma il lanternaro ni aveva detto che dentra quella casa ci aveva mortto una vechia, e tuttelisuoiparentel’avevino fatto morire sola come una cane, perché volevino essere fatto l’atto li suoi nipote primadimorire,perchéfiglie non ni aveva, questa povera vechia, e morio cetanto sanquie della bocca, poveretta, e senza aiuto di nessuno. E cosí, io mi ne sono antato, che alla sera era il sabito, che alla stessa sera io doveva antare al Comiso con la famiglia. E per tutta la ciornata, vicino alla casetta, penzava a questa famiglia di miseria, e diceva fra me: «Quelle sono i vere sbentorate,maritoemoglie,e senza figlie... no io che certe volte dico che sogno perduto». Ecosí,offattolimielavore di servizio e poi mi ne sono antato a Chiaramonte, e abiammomessotuttoaposto li valice, con tutte le libra e tuttoilnecesariochec’eradi bisogno. Cosí, abiammo partitoconilcamio. Io,chesapevatutto,presea 2 che scopavino li strade, ci ho dato 500 lire, e hanno poleziato tutta la casa: e quella casa si ci poteva abitare. Prese un chilo di disempetante, e cosí si n’antavo tutta quella pozza chec’era. E minomale che la penziammo cosí, altremente, selalasciammocomenil’ha datoquellodisonestodicapo cantoniere,potemmoprentere magare la peste tutta la famiglia. Però io, quello che mi capitava e capitava, io non m’impresionava mai. E quallunque malavita che faceva, per me era sempre perfetta, perché il mio scopo eraunosolo:quellodiessere promosse i miei figlie (voldire, Tano con la licenza cinnasialeeTuriddoconla V cinnasiale), a quoste che mi avesse venduto magare li pandaluneemotante. Perché io penzava che a causa di non essere mantato alla scuola, perché padre non ci n’aveva, sono stato tante volte maletratato dai desoneste che comanteno e offatto una vita troppo maletratata. E quinte, per questo, devo per forzza fare studiareaimieifiglie. E i miei figlie, se vuole il Dio, la vita meschina che offattoiononcilavogliofare fare. E io tuttu quello che scrivo, magare che si capisce poco,ètuttaveretà,perchéci hotanteetanteprove. Cosí, diceva io: «Se non passa Tanuzzo, io, con tanta malavitacheavevafatto,non n’ho affatto ’sta mincia». E cercava di dareme da fare e pregava a tutte, macare li bedelle, bastica passava Tanuzzo. E quinte, non dormeva mai. Forino li 20 ciorne per me, li 20 ciorne comefacevinoliantichenella Settemana santa, che pregavino tutte i ciorne e magaredavinoadiciuno. E io, Rabito Vincenzo, era cosí,chepregaipertutteli20 ciorne. E cosí, io al lavoro non ci sono antato. Era troppo secante, che mi lo reconosceva macare io. Ma che cosa ci poteva fare? Era cheilmiopensieromidiceva cosí. Cosí, si hanno fatto l’esame. Io subito lo voleva sapereilresoltato,manonmi lo potevino dire, perché si aspetavachedovevinofessare le medie, e mi avevino detto che alle ore 3, non recordo benesemiavevinodettoalle ore 4 pomeriggio, che dovevino fessare li medie. E io2oreprimaciàeradavante all’istatuto delle scuole e, come hanno aperto li scuole, io era il primo a volere entrare. E tutte quelle bidelle, che erino lí in quello stetuto, non c’eraunochenonsapevache io mi chiamava Rabito, il cantonierechiaramontano... E mi lo hanno detto tutte (che erino 3 queste bidelle), mi hanno chiamato, come io avesse stato un vero fratello, e mi hanno credato: – Coraggio, Rabito, che li suoi figlietutte2forenopromosse, coraggioRabito! Io, con la tanta allecria, quase quase che mi hanno scapato le lacreme, con tanta sodisfazionecheavevaauto. Ecosí,iomitravailconto che tutte i sacrafizie che io aveva fatto il Dio mi l’aveva pagato, compure che io, per lomenointuttoiltempoche aveva stato al Comiso, aveva bestimiatopiúassaiditutteli uominedesperatedelmonto. Tantasaluteatuttelipizica bigliette 21 di Ciamporcaro che non mi hanno fatto pagare il biglietto! Perché io litratavasempre22:unavolta ci faceva trovare la recotta caldda, una volta, quanto passavino, ci faceva trovare unbellomazzodiasparece,e una volta lasine 23, e tante panara di fiche belle fresche, che macare una volta li offattotrovareaCiamporcaro propia, che era il padrone della ditta. E Ciamporcaro stesso ci ha detto ai pizica bigliette che: – Quanto c’ene uno cantoniere come questo Rabito, lauratore, e anche se non portate passagiere senza oblico,cilopotetemetere 24, bastica questo cantoniere si deporta25beneconvialtre. 1 sfalciava:sfaldava. 2 Sciò,contradadiChiaramonte. 3 rezuntare:orizzontare. 4 popo:pupo,burattino. 5 assumare:salire,essereeletto. 6 si dava la testa mura mura: non si dava pace, non faceva che domandarsi. 7 cidecevinolicorna:latestadura cheavevalediceva. 8 dugno:do. 9 La scuola di avviamento professionale. 10 cispeciava:desideravo. 11 aveva portato al tempio: era statamadrina. 12 ContradadiChiaramonte. 13 Giamporcaro: ditta di autotrasportilocali. 14 presecotavino:perseguitavano. 15 provelacio:polvere. 16 quanto vado per vedere: mi accorgo. 17 apontillato:puntellate. 18 iancaabuzata:molaregonfio. 19 armmo:animo. 20 composta:ridotta. 21 pizicabigliette:controllori. 22 litratavasempre:glioffrivo,gli portavosemprequalcosa. 23 lasine:lassini,senapedeicampi. 24 anchesenonportate...lopotete metere: anche se non potete portare passeggeri senzatitolo di viaggio, lo potetefarsalire. 25 deporta:comporta. Capitolodiciannovesimo L’oniversetà Recorddo che era il 25 settembre 1956. Io non sapeva come fare, mi voleva trasferire a Raqusa e voleva stare a Chiaramonte. Tano si voleva scrivire alla raggioneria e Turiddo il primo licevo. Cosí, i miei figlie hanno partito per Raqusa per scriverese, però nonsisapevacomesiavevaa viaggiare per antare e venire diRaqusa,stodentecin’erino poco e un auto busso non lo potevino ammantenere li Schembere 1, perché poco studente si n’antavino a Vittoria impenzione, poco a Raqusa, e quinte, quelle che avenoaviaggiareerinopoco. Però, l’Azienta siciliana 2, che veneva di Vezine, aveva fatto una preposta: che li studente di Chiaramonte si li portava a tutte. Cosí, hanno fattoliprimeprenutazione.E iprimeaprenutareseforenoi mieifiglie.Ecertocheioera contentissimo, perché non c’eradibisognodispostarese del paese e abantunare li 2 case:unanuovaeunavechia. Questo auto busso, viene oggie e viene dumane... fu autobussochevenneallafine della scuola. E quinte, fu per me e per i miei figlie uno annodidisperazione. E poi, bisognava di compeletare la casa nuova e civolevinosolde... Io, con la famiglia, abitammo nella casa vechia. E secome avemmo tante debiteenonlipotevapagare, cosí io cercava di ventella a qualchead’unocheantiammo d’acorddo, non comme, che iononcistapevaincasa,ma doveva antare di acordio piú assai con mia moglie, che l’antrataeratuttauna. Cosí, 2 erino li conte: o non mantare li figlie alla scuola, opure ventere la casa (la mità di quella che mi avevacomperatoio).Cheera quellamittàchedicevacheio aveva «robato» a quella delenquente che murio, che per quella maledetta mittà di casa mi aveva dinunziato trenta volte nel maresciallo, checidicevacheioarrobava. Cosí,iopenzaiechequella mitàdicasamipotevinodare lire 700.000 mila lire, quinte ioniaveva400.000didebite, che lire 200.000 erino del dottore Cafa il Curto e lire 200.000 mila lire erino di Ture il Molenaro, che mi l’avevinofermateacampiale: quelle sono i vero parente, nonquelledimiamoglie. Cosí, io, con 700.000 mila lire, 400.000 erino per li campiale e trecento mi arestavino. Cosí, io cercava a una famigliachesicomperassela mia metà e mi levava li debite. Ma, però, la sodisfazioneiononl’avevadi averel’antradaasolo,cosí,io diceva sempre e precava semprechesidovevatrovare una vicina che si comperava lacasachenondovevaessere «vicina», ma doveva essere «unasorella». E si doveva trovare una compratricechenonl’avevaa trovare io. No, niente. Doveva essere una comperatrice che doveva piacere a mia moglie. Perché eramiamogliechecidoveva penzare per stare inziemme. Io, tutte quelle che volevino questa maledetta casa vechia comperare,cidiceva:«Antate ni mia moglie prima, che vialtre dovete antare di acortio».Emidicevino:«Ma vosia che ce la vuole che mi la pigliasse io?» E io sempre ci deceva che io ci la voleva di venteracilla, ma prima ci l’avevaavoleremiamoglie. Quinte, davero mi sento chiamare di uno che passava con la moto che vendeva maglieemihadetto:–Vosia cheèilcantoniere?–Eioci hodetto:–Sé. – Quinte, io e mia moglie siammo antate iere a forreare3lasuamitàdicasae nihapiaciuto.Quinte,quanto nivole? Respontoioecihodetto:– L’entrata è una, quinte penzamiprima4. E lui mi ha detto che: – Con sua moglie, mia moglie, antranno di acordio sicuro, perché cià oggie sono state tuttalaciornatainziemme. E quente, io ci ho detto: – Tantopiacere. Cosí, ci abiammo messo a prezzo5e,doppo3ciorne,ci abiammo messo di acordo, e ilprezzofurestabilitochemi dovevadarelire750.000mila lire e io ci doveva dare il passaggio della scala. E abiammo fatto subito il necozio e, subito subito, hannopresoposesso–perché abitavinoincampagnaesine sonovenutealpaese. Cosí io, causa che mi stapevino scadento li cambiale,misonovendutola mitàdellacasaaquestuTano Spada, che mia moglie mi aveva assicurato che era buono e antavino di piena acordoco’suamoglie.Ioera contente che aveva trovato propia a quella famiglia che iodesederava. Cosí, questa benevolenza non durò, che mia moglie cominciava affare le stesse cosechefacevalamammadi miamoglie,checominciavaa dire: – Perché queste acente nellamiacasa? – Ma se queste ni ha pagato,perchédovemmodire cosí? E invece mia moglie lo diceva,perchévolevasoldee casa. E cosí faceva quella desunesta di donna Anna comme, che ci ho pagato li campiale, e poi mi diceva: «Latro, mi arrobato la casa!» Evolevasoldeecasa. Ecosí,conquestafamiglia Spada, mia moglie non poteva antare di acordio, mentre che quelle poverette ni avevino dato li solde e io misonolivatolidebitecheio aveva fatto, e la casa nuova aveva. Cosí, straportammo tutte li nostre robe, che erino state messe in deposito nel dammuso. Che la casa nuova erabellaefinita. Avemmo comperato: letto nuovo,armadionuovo,tavolo nuovo, sedie nuove, tutto a posto. Io mi senteva felice. C’era una bella vasca di bagno, che non ni avemmo automai... Cosí, passavo il mese di maggioevenneciugno. Io sempre antava a domantare ai profesore, ma all’ultimo il professore Vagnisi mi ha detto: – Il suo figlio Tano è meglio che repetesse l’anno, perché ene molto intietro –. E prese questa bella notizia! Poi mi sono informato con il professore di Turiddo, e mi hadettoche:–Ciarrestino4 materei 6–.Eiodisse:«Che bellanotizia...» Cosí, parlaie con il professore Fichera e cominciavo affarece fare la scuola partecolare. Ma Tano nihafatto5ciornaepoinon ci ha voluto antare piú, perchéTanoscuolanonniha volutomaie.Ecosí,restavoa studiareTuriddosolo. E Turiddo fu promosso e doveva antare al 2 licevo chilassico, mentre mio figlio Tanuzzo si diceva che mitevano a Raqusa uno statuto 7 chimico. Quinte per me era lo stesso, perché, io che era pazzo per fare studiare ai figlie, dove si n’antavinoeantavinoperme era lo stesso, bastiche studiavino. Poi, nella Socità nostra, avemmo comperato una televisione. Che fu la rovina della mia famiglia questa televisione! Che, secome erino a Chiaramonte li prima televisione che ci avevino stato,tutteerimospaventatee tutte li socie e li famiglie delle socie erimo pazze per questo schifio di televisione. Equinte,lí,inquellaSocietà, fenio a bordello, perché i puoste per tutte non c’erino. Perché prima, che di quanto aveva stata fondata la Socità, seerimo300isoci,sempreli presente ci ne potemmo essere 10 e, quanto c’era la riunione,30socie,maorache c’era questo schifio di televisionenonn’erapienadi socie, ma era piena sempre dellefamigliedellesocie. Cosí, alla sera, sempre sempre, c’era una composione che no zi potevino trovare seggie per sederese, e chi arrevava all’ultimobestimiava. Io sempre arrevava il primo e c’era anche mio fratello Paolo che arrevava il primo,perl’amorediprentere i puoste, e li altre socie si cominciavino a bunciare 8 li coglione, perché noi sempre erimo li prime, poi che li nostre moglie, se mai si non zi vedevono una sera questa televisione,c’erailluttonella casa. Cosí io, speciarmente con miamoglie,eraconzemato 9, perché mia moglie mi diceva sempre:«Vai,evaiaprentere li puoste!» E io fessa che partevaperl’amoredinonci farefareuce. Manontutteliserec’erail posto bello comito che si poteva stare bene. Certe sere si stava macare male e si stava strette, e per starece ci voleva molta pacienza. Ma mia moglie pacienza non ni avevamai. Certo che poi le seggie erinomessestretteeunocon l’altro ci tochiammo. E cosí, miamoglie,chepacienzanon ni aveva, cominciava affare chiachire con tutte, dove ci cominciava a dire che lei era nobileenonpotevastarecosí stretto.Ecertochelisocieci dicevino: «Signora, se sta scomita non ci viene e si ne va,comefannolialtre.Quisi deveaverepacienza». Ma mia moglie, sempre figlia di donna Anna, cominciavo a dire parolaccie atutte.Ecertochepoituttela spotevino! Poi, mia moglie, quanto veneva alla televisione, non salutava maie. E cosí, tutte li sociesifacevinoilconto,che dicevino: «A che cazzo la conta 10, questa moglie di Vincenzo, di quanto ene fetente che nesuno ci può trozare 11 e nesuno ci pole dire niente. Si sente singnora…» Poi,lei,miamoglie,eraun tipo... Era fissata che magare che redevino con il procramma che faceva ridere e tutte li aspetatore ridevino, mia moglie s’impresionava cheredevinoconlei,ed’ogni sera,quantoantiammoacasa, si meteva a camorria comme che era io che non la faceva respetare. Cosí io, deversse volte, sempre ci diceva ammia moglie: – Ma noi, perché ci dobiammosciarriarecontutte i socie, e io ave 40 anne che fraquento questa Socità, e ora, perché ci dobiammo sciarriare? Noi fosse meglio che non ci antiammo come fanno li acente che non cerconocostione? Ecosí,miamoglie,quanto mi senteva dere «non ci antiammo», mi cominciava a fentere e mi diceva: – Tu te scante 12, mentre tuo fratello non zi scanta e ci va d’ogni sera. Ealloraiocidicevaammia moglie: – Ma tua cognata Paolina ci sape commattere conlacente,matuniente,tu nonvuoineanchedire«buona sera»quantotidicono«buona sera», quinte è meglio che nonciantiammoallaSocità. Ma mia moglie non mi volevaascortarepernientedi quellocheiodiceva.Cosí,mi diceva:–Tutienepauradella cente! E mi diceva: – Ora che, con la sedia, che è che mi tocca, mi metto a direce parole! E cosí, mia moglie li prenteva a tutte per razza tinta,elarazzabuonaeralei sola,enoitutteerimodirazza bassa. E cosí, alle socie che se vedevino la televisione per i cazzisuoi,lei,miamoglie,ci diceva parole, perché quanto redevino ci pareva che l’avevino con lei. E poi magare amme mi diceva che io era di acordio con quelle che lei diceva che la spotevino. Manonerino10o20...Lei diceva derettamente che il primoaspoterllaeraio,epoi i miei parente, e poi tutte quelle che fracontavino questaSocità.Cosí,iononmi potte fare persovaso piú con chi aveva affare costione per defentereaquestafessatamia moglie. Perché, per farla contenta,voldirecheprimaio midavalatestanelmuro,poi miprentevaunamitragliatrice e cominciava a fare fuoco e sparare prima a tutte i miei parente, e tutte li aveva ammazare, e poi aveva sparare a tutte i socie, e poi miavevaasparareio.Ecosí, si poteva difentere la moglie, quantoerimotuttemuorte! Cosí, io mi mese in confusione: per non la fare antare alla Socità, ci ho promesso che, comi mi davino li reterate 13 all’amministrazione provinciale, che ni dovevino dare 150.000 lire alla Recione, ci ho detto, povero Rabito che voleva bene ai figlie: – Non ti priocupare, Neduzza, che, come prentiammo queste solde, ti comperolatelevisione. E cosí io ho fatto, per essere buono e per falla contente,chesed’eraunaltro uomociavevaadarelatesta nel muro, invece di compererece la televisione ammia moglie... Che poi, magare che erino li prima telivesione, mi hanno fottuto, perchéioancoranonniaveva vistotelevizioneemil’hanno fattopagarelire165.000mila lire, che poi questa televisionemagareeravechia. Pecato, quante belle solde, che nel 1958-59 erino solde! E io che aveva tanto di bisogno… Cosí, dentra quella casa maledettacheciavevinostato centenaia di migliaia di fruste, all’ultimo venne magarelatelevisione... Che poi, nel 1958, televisione non ni aveva nessuno nella strada, solo l’avevailprofessoreVannino Cafa. E cosí, tutte li vecine volevino venire a vederese questa mia televisione – perché a quelle ebiche l’avevino solo li socità e quachecafè,epoimagareche piacevaatuttedivederlla. Cosí, con mia moglie non sicipotevaparlarepoi,tanto aveva deventato nobile perché aveva questa televisione. E quinte, lei era la patrona di questa televisione. Quinte, a chi ci voleva fare venire, ci faceva venire. Tutto comantava mia moglie. Certe volte ci venevino la famiglia di mio fratello Paolo, ma non facevino sempatia tanto alla miafamiglia.Ecosí,sihanno comprato la televisione magare loro, e cosí non ci hanno venuto piú, e fecero miglio. E io mi manciava li coglionasenzasale,esempre bestimiava! A settempre del 1959 daveroTuriddodovevaantare all’oneversetà, che io nelle miei robbe non ci antava di quanto era contente! Turiddo sempre ha stato studiusa per natura e racomantazione non nivoleva,perché,quantouna cosa non la sapeva, lui non voleva essere racomantato, perché si la voleva studiare lui. Cosí,Turiddolamateriasi la studiavo e fu premosso. E cosí,Turiddoavevalalicenza liciale,emiofiglioTanuzzoil primochimico,chepoifeceli esame e doveva antare al secondo chimici. Io mi sono antato a domantare alla scuola del chimico, e c’era il professore Catalano e, inziemme con il secretario, mihannodetto:–Asuofiglio civieneciustociusto,cheave 17 anne e 3 ni farà al chimico,evasoldato. In queste ciorne che il chimicosiavevaapertoc’era una propaganta di un buono statuto. E io disse: «Menomale che Tanuzzo ha campiato l’istatuto, che dalla racionaria si n’antò al chimico». E disse: «Tanuzzo enepiúspietto14diTuriddo», senza penzare che Tanuzzo, dove la mantava e mantava, scuole e travaglio non ni voleva. Cosí,aTanuzzocipiaceva solo di fare proganta di fascista (perché mia moglie era fascista), e quinte il suo lavoro era fare propaganta e non scuola. Infatte, prova ni fu che in 4 anni di chimico pottearrevarea3chimico. Poi, che una volta che questo chimico, voldire tutta la scuola, ci hanno fatto fare una cita per Milano, e Tanuzzo,comemihadettoil presete, per la strada non zi potte sapere quanto sicarette sihafumato... Quinte, Tanuzzo era umpoco sconcentrato, mentre Turiddo un anno non lo perdevamai.Cosíeramagare Ciovanni, che era un anno avante e sempre un anno avanteera. Cosí, Turiddo si doveva scrivire all’oniversità di Catania. E io, la mia volontà eradiscreveresenellafacortà di Incegnaria, costava quanto costava. Ma se mi aiutava Turiddo,chestudiava,doveva fare l’incegniere, perché sapeva quanto quadagna l’incegniere. Lo aveva domantato tante volte a un salto 15 di Chiaramonte che avevaunfigliochefracontava a Turino, che si doveva fare incegniere,ecihodetto:–Mi decesse una cosa: quanto spiente per il suo figlio a Turino? E lui mi ha detto: – Lire 35.000milaalmese. Io ni quadagnava 50 mila al mese e disse: «Sono poco perammantinereunfiglioper farlloincegniere».Manonmi intresava niente. Io sempre faceva coraggio, mentre mia moglie diceva: «Faciamilo professore di matematica, perché solde ni abiammo poco». Cosí, Turiddo si ascrisse all’oniversetàdiCatania. Cosí, quella intifeciente 16 di mia moglie, un ciornno si n’antò a Siraqusa e ci ha presentato a Turiddo per farececapireallesuoiparente cheavevaifigliebuonecome li ricche. E cosí, quella razza di cavaliere, vedento a Turiddo, deventaro scemunite, perché era meglio dai suoi figlie. E cosí, non si ne hanno scapato piú, si ci hannoabraciato,ecosíqueste fetiente li hanno acitato per parente. E poi il cugino dottorecihadetto:–Turiddo, tu che sei bravo nella matemateca, ci la fai qualche lezioneaimieifiglie? MaTuriddo,chenonaveva stato mai crante, non l’aveva il veleno che aveva io nello stomico,diquantoniavemma auto fatte, sempre prese per povere.Ma,sec’eraio,prima checiantava…Etuttaquesta comfedenza non ci l’avesse datodifareceildoposcuola. Laprimacosa,iocidiceva che: «Vialtre vi avete schifiato di mia madre, perché vi pareva troppo bassa, ma ora io non mi facete schifo, mi fate puzza aderetura,escuolanonmine faccio».Perchélapezzaserve propia per il pertuso 17, diceno li antiche, che chi parllamaleedesprezzalasua razza si sputa supra di lui stesso. Cosí, voleva essere io, per schifialle, non quella stubita di mia moglie, che tutta si pisciava vedento a questa nobilefamiglia. Io penzava ora, che Turiddo, facento il bienni a Catania, per il triennio dovevaantareaRoma. Ecihodettoamiamoglie che quanto Turiddo fineva di fare il bienni, ci antava io arRoma, e ti faceva vedere come era capace di trovarece una stanza a Turiddo, io. E mia moglie mi diceva che io era inafabeto e uno che non avevacamminatomai.Ecosí, io aspetava che Turiddo fineva di fare il bienni a Catania, che poi io parteva perRoma. Io sempre aveva chiachire con mia moglie, quanto ammia mi diceva: «Mio fratello si lavoriavo di incegnierea30anni,edoppo tantesoldespesedovettefare perforzzailprofessore». Eiomiarrabiavaquantoci senteva dire «mio fratello», che neanche si scrivevino. E poi sempre mi repeteva mia moglie:«Turiddodevefareil professoredimatemateca».E io sempre ci diceva: «Turiddo, magare che mi impegno l’occhie, deve fare l’incegniere». E fece come disse Benito Musselino: «O Roma o morte!» Cosí, erimo arrevate alle ulteme di ottobre del1961, e ionondormevapiúallanotte, che cercava come poteva antareaRoma. Cosí io, che mi veneva il ciornale del Nastro azurro tuttelimese,esemprequesto ciornaleparlavadi«radunoa Roma del Nastro azzurro». Cosí, tutte li decorate avvalure erino invetate per antare a Roma con il 70 per cento di rebasso. Cosí, io disse: «Voglio vedere se ene vero, che io cosí potesse antareaRaqusapervederesi è vero di questo raduno». E poi diceva che anche i famigliare potevino partire perilraduno. Cosí, parto per Raqusa e vato a cercare al presedente del Nastro azzurro, che era il cretino del cavaliere Cuzzoline. Cosí, io sapeva chequestoCuzzolineerauno pagnotista18,edisse:–Semi fa partire amme e mio figlio Turiddo per antare a Roma, che poi ci faccio assaciare la salsiciadiMaiore. Lo Cuzzolino mi ha detto: –Ora,Rabito,faciammocosí: iovifacciounalettra,laporta leiadAntonioDasta19esifa fareladelicaleicomefosseil presedentedelNastroazzurro di Chiaramonte, e poi lei vieni qui con la bantiera del Nastro azzurro di Chiaramonte.Ecosè,leiparte comefusseilpresedente.Eio cercoquiaunoracusanoche, poveretto, ene combatente e avebisognodiantareaRoma e solde non ni ave, cosí ci faciemmo fare il portabantiera. Perché il presedente e il portabantiera non pachino. E cosí, non faciammo pagare neanche a suo figlio, che ene figlio del presedente–.(Cheeraio). E cosí, io disse: «Che sogno fortenato, che mi asparanno 20 una ventina di mila lire, e il manciare ci danno; che ci danno un bello cistino, e spartte l’aloggio franco, quanto dormiamo a Roma…» Cosí, io mi offatto fare le docomente pronte per partire perRoma.Poi,conunalettra fatta di Cuzzoline, vado all’amministrazione provinciale. Cosíio,quantohopresoil permesso dal lavoro, subito subito vado a Chiaramonte, vado a prendere a mio figlio Turiddo, e ci ho detto: – Turiddo, domane partiemmo perRoma!–ETuriddo,come intese «Roma», che non ci aveva stato mai, pare che avevapreso10milioneconla Sisilala 21, di quanto era contente. Io mi aveva portato una valicedimanciaree2chiladi salsicia per manciare per strada io e Turiddo, e lire 30.000 mila lire mi aveva portatoperilviaggio.Però,il biglietto, io e Turiddo, lo doveva pagare tutto io. Però, la cercolara diceva che poi questesoldecheiopagavami venevino remporsate al retornno.Edaveromil’hanno dato! Io, con quelle lire 30.000 mila lire, 10.000 li ho dato a Turiddo per devertirese, il viaggio ho pagato, e 5.000 mila lire mi sono restate. E disse:«Sonoaposto». Cosí, presimo il treno alle ore 10 e 40 e patiemmo per Roma. Turiddo fina a Turmina 22 ci aveva stato. Io arRomaciavevastatto,maci aveva stato l’ultima volta nel prencipio del 1943, che Roma, nei prime ciorne del prencipio del 1943, era tutto malantato, perché la stazione eratuttadistrutta.Quinte,ora doveva essere bello Roma, e quinte Turiddo non vedeva l’uradiarrevareaRoma. Cosí, in 24 ore fommo a RomaTammene23.Mihanno portato alla caserma dove c’erino tante letta preparate per tutte i decorate del raduno, che lí dovemmo dormireper5opure4ciorne, per fina che feneva la festa. Lí, c’erino i poste nominate, spece per i siciliane che venevino da lontano. Cosí, allasera,cipotiemmomettere a dormire, che erimo stranotate 24. E questa casermmo si chiamava «caserma Salviate», dove primainquestacasermac’era ilcomantodellacavalleria,ai tempechec’erailre. Ma Turiddo, come arrevavo a Roma, e si assicuravo dove io era che dormeva, si n’antò. E quinte, con certi suoi amici venuti dallaSiciliasinesonoantate acirareRoma,eiononciho voluto antare, perché mi aveva arreposare, che poi mi avevaamettereacamminare per potere trovare una pinzioneperTuriddo. L’indomani, verso li ore 11, che si doveva fenire la festa, io poi era libero e cosí poteva cirare. E poi io a Cuzzoline ci aveva detto che dovevacercareunapenzione, e lui mi ha detto: – Come feniscilaceremonia,leisine vade; che ci ave 2 ciorne di tempopercirare. Turiddovinneallamatinae io ci ho detto di venire con noialraduno.Edaverociha venuto. Ci n’antiammo al palazzo dello Sporte, ci abiammo fatto li fotocrafiei, tutte a croppo della provincia di Raqusa. Ma Turiddo già si n’aveva antato e nella fatocrafianoncivennie,emi hadispiaciutotanto. Cosí, ni ha dato la sodisfazione magare l’onorevoleQurrieredifarese lafatocrafiaconnoi!Cheera il presedente del Nastro azzurro di tutta l’Italia. E si hafenitolafesta.Eoracheè che voleva partere, partia per ilsuopaese,echenonvoleva partire,nonparteva,epoteva stare 5 ciorne a Roma per divertirese – perché poi, passanto li 5 ciorne, il bellietto di antate e ritorno piúnonvaleva. Ecosí,ioportailabantiera dove dormiammo con il portabantiera, che l’aveva io in conzegna. E poi io, il mio penziero era di trovare la penzione. Poi manciaie, che totta quella salsicia mi la dovettemanciareio,perchéio era quello che non voleva spente solde, tanto che per 5 ciorne che io ciranto a Roma soldenonnispeseperniente, sempre che manciava pane e salsicia.Ecosí,bivevavinoe camminavaRomaRoma. Per primo, io mi n’antai dove era la facoltà di Incegneria, che mi lo faceva dire, caminanto caminanto, delle costorine, opure dai portalettere. E cosí, finarmente ho trovato l’oniversità, che era a SamPietroinvVinco 25.Cosí, disse: «Da queste vicenanza devo cercare la pinzione per dormire Turiddo, e magare perfarllomanciare». Cosí, mi misi a girare portone per portone, sempre domantanto. Finarmente,doppo5oredi camminare, entro in unno cranteportone,chesicuroche ci abetavino una 30 trentina difamiglie,ec’eradentrauna donna che aspetava il marito che era mutelato, e mi ha detto che aveva una casa in afittocon5stanzie,2sempre li teneva per civenotte che erino studente e ci faceva magare il manciare solo al mizzociorno. Una di queste stanzieralibiraeunal’aveva ocupato una signorina, e forsse era impiagata, o pure eramaestra,nonmilosapeva spiagarelasignora. Cosí, mentre stavamo parlando,venneilsuomarito con una scampella e umpiciriddo che era figlio sua. Cosí, piano piano, saliemmo li scale e mi ha fattovederelacasa.Edavero c’erino questa 2 stanzi, che una era chiusa perché era ucupata, e li altre 3 ci abitavinoloro. Cosí, ci abiammo messo a racionare, e mi hanno detto cheerinocalabrise.Ecosí,mi piaceva il suo dire e io ci ho piaciuto nel parlare, che ci diceva: – Il mio figlio è umpezzo di pane e ci deve stare il minimo 5 anne a Roma. E quinte, lei, per 5 anne, la stanza l’ave afettata. E quinte, se ni potemmo arrevare al prezzo fossi buono, che mi piace il suo fare,signora. Ma il suo marito non parlava, fumava sicarette. E poi mi ni sono acortto che ci piaceva il vino, perché ci aveva il butiglione pieno li vecino. Cosí, io diceva fra me: «Questo sarà uno buono beveturedivino…Miofiglio iocistaioimprogliantochela stanza l’aveva assicurato per 5 anni, ma chi lo sa se ci stape2mese...» Ma poi disse: «Per ora questaèbuona,epoi,quanto Turiddo diventa prateco, chi lo sa quanto penzione può cerare... Quinte, per ora è buonaquesta». Poi, io ci ho detto che mi chiamavaRabito,ederadella provincia di Raqusa, e mio figlio si chiamava Turiddu e aveva 20 anne. E lui mi ha detto: – Deve essere uno beravonellascuola–.Cosí,ci ho detto subito: – Faciammo il contratto, che cosí io ci lo faccioconoscire. E abiammo fatto 12.000 lire al mese, e oltre il manciare una volta, a mezzociorno. –Poi,seiocilavoquache motanta, certo che se mi la vole dare quache cosa altra miladà… Poi,lasignoramihadetto: –Ioquipaco50.000milalire al mese, quinte lire 15 mila miledàlasignorinae15.000 mila lire suo figlio, e cosí trammolavita26.Iofacciola coppolara27emiomaritoene motilato, quinte rimediammo etrammoavante. Io vedeva che la signora non era umpezzo di butana e videva che era una femmina di casa, e tra di me diceva: «Questa è la casa che io cercavapermiofiglio». Cosí, erino li 11 e menza, io aveva una fame di lupo, e ci ho detto: – Signora, mi pare che lei è una donna di famiglia. Ora mi deve fare il favore che mi deve fare il manciare per mezzociorno una volta. Deve fare il conto come fosse mio figlio, per vedirequellochecifatutteli ciornequantodormequi. E lei, tanta centile, e magaresuomarito,mihanno detto:–Vabene–.Ecosí,lei cocinavo il primo manciare, non per Turiddo, ma per me, tantoperfaremepersovasodi quello che doveva manciare Turiddo. Cosí, mi hanno conzato la tavola e mi hanno dato un bello piatto di pasta co’ il suco di pumedoro pilato, che io, con tutta quella fame che aveva, quase quase che non milapotevamanciare…Poi, una bella bistecca e una bananaeilcaffè. Poi, io ci ho detto: – Ora vadoacercareamiofiglio,lo porto qui, vi lo faccio conoscire.Cosí,vilasciouna capazza 28, e mio figlio sape che quanto si mettono li scuole, che ci vole ancora 15 ciorne,evienequi.Peroraci n’antiammoinZicilia. E poi, io mi sono revolto versoilsignoreCrasto 29eci ho detto: – Quanto viene il miofiglioquidifinativamente dalla Sicilia, ci manto 2 litre di vino propia delle mia partte, che il mio paese è vicino Vittoria, dove c’è il migliovinodil’Italia. EilsignoreCrastone,come intese «il vino buono», si affatto il cuore e tutte si hannomessoaridere. Cosí, io parto e vado nella casermaSalviatepertrovarea Turiddo. Che aveva tanto tempo che non ni vediammo, perché si l’avevino portato quellespostatedeisuoiamici, che forsse forsse si l’avevino portato non a fareseci cirare Roma,maacercarebutane… Cosí,iocihodetto:–Iola penzione l’ho cià trovata. Cammina, Turiddo, che ti la facciovedere! Cosí, io ho presentato mio figlio. Cosí, Turiddo fu contentodiquestapenzione. E cosí, dopo, io, tanto contento, mi ne sono antato alla caserma Sarbiate. E io cercava a Cuzzolino e l’ho trovato, e mi ha detto: – Io, caro Rabito, devo stare ancora 2 ciorne e lei, con la bantiera, se vole partire, parte. Che io debbo votare per fare il nuovo presedente alPalazzoBarbarino30. Io ci ho detto a Cuzzoline seiocipotevavenire,emiha detto:–Maleinonèinvetato e sono securo che non lo fannotrasere. Ma io, sempre che voglio vedere e tocare, non ci fece capire a Cuzzolino che io ci voleva antare, ma ci sono antato, a questo Palazzo Barberino, io che per cirare sonostatosempretifoso. E cosí, mi sono trovato in questo famoso Palazzo Barbarino,cheio,invitamia, mai ci aveva stato. Cosí, secome io sono stato sempre abitovato a domantare, magarecheerasicurocheera il Palazzo Barberino, e cosí, prima di arevarece, che ci volevino ancora 10 metre, io ho domantato a uno anziano signore che portava il destentivo del raduno, come lo portava io, ma io era un antico soldato, mentre lui era uncenerale.Maio,però,non lo sapeva, altremente non ci avesse domantato, perché mi avessecredutochemiavesse remprevirato. E invece fu tutto al contrario. Che, come iocihodetto:–Chiedoscusa, mivolediredoveèilPalazzo Barberino? – subito mi ha detto:–Ciàsiammorevate. Poimihaquardatoemiha visto il nastrino, il Nastro azurro, e poi mi ha detto: – Tu che sei un decorato, puoi entrare al palazzo, perché oggieenelanostrafesta–.E mi ha detto: – Entra comme, perché questa festa apartiene propia annoi della crante e vittoriosaquerra. E io era cià lí dentra, che c’era una forte confusione di tutte li oficiale d’Italia, però tutte decorate, e di crado il piú poco era il capitano. E il cenerale mi ha detto: – Questafestaapartieneatuttei vere combatente, perché portammo il valore nel petto, perché avemmo fatto l’Italia crante nella querra 15-18 –. Poi mi ha detto: – E tu che cosasei?–Io,ecellenza,sono un soldato del 99 –. E cosí, mihastrettolamanoemiha detto: – Bravo! Che vi sete deportate di vere italiane nel Piave! Avede defeso per davero la Padria, non come tante lazzarona parteciane! – E questo cenerale lo diceva fortteforte,questeparole,che le sentevino tante, e tutte si stavinomote. E cosí, io camminava con lui. E per fina che atraversammo il crante corretoio del Palazzo Barbarino,io,checamminava conquellocranteufficiale,le quardieatuttedomantavinoli tessere, che cosa erino tutte quelle che entravino, e a me non mi hanno cuiste nessuno docomento. Mentre sonareno l’abiso che era l’olario delle votazione,eilceneralemiha stretto la mane e si n’antò, e io restai lí dentra. Che poi, questo cenerale, doveva votare per eleggere il nuovo presedente. E quello crante cenerale entrava nella crante sala, che era molto crante, che io ancorainvitamianoniaveva mai viste cosí grandi, e quinte, forse che c’erino li posteprinotate,equintevedo il cenerale che si n’antò nei prime file, e io non sapeva dove mi ne doveva antare. Ma, comunque, sfaciatamente, mi sono seduto, a Dio e la fortuna, quellochenascenasce... E cosí, ho visto una crante quantetàdiceneralevechie,e tante vecchi femmene con tante miraglie nel petto – forsse erino vedove dai ceneralescomparsse–,etante minestre c’erino, e io aveva vicino all’onorevole Antriotte, che lo conosceva perché io l’aveva visto alla televisione, che da quelle tempe era ministro delle Forzze armate, ed era per questo che si trovava in quella crante sala. E poi, ebe il piacere di vedere il presidente della Republica Cronche, che era pure con quellamanefestazione. Poi,fenutalafesta,c’erail pranzo, e tutte antavino ammanciare. E io cercava di sediremeperpoteremanciare, che aveva una fame che non poteva stare, perché io aveva 4 ore che era lí dentro. E quinte, non sapeva come mi dovevapresentare. Videva che c’erino tante cameriere vestite in crante niformma e nelle tavoline tante mazette di fiore e tante butiglie di licuore, e che vineva manciava. E cosí, io disse:«Seavesselafortunadi manciare, che bello recordito che avesse... Manciare a tavola con questa acente!» Che c’era manciare che io nonavevamanciatomaie. E cosí, mi ho vestito di coraggioedisseframe:«Ora mi siedo e come fenisce feniscie...» E cosí, mi sono seduto, e quanto vedo venire a 2 cammeriere, uno che diceva: – Lei che desidira di manciare, – mentre l’altro voleva vedire il tesserino di antrada. Cosí, io mi sono confusodiquellochedoveva respontere, facio una mossa per mettere una mano nel portafoglio e dico: «Quanto parllo con il cenerale», mentrec’eraunaconfosionee mi la sono sbignata. Mentre che li 2 camariere, prima di domantareme, mi avevino fatto un inchino come quelle cheavevinofattoallealtre... Ecosí,minesonoantatoe offattounabruttissimaficura. E cosí, di corssa, sono antatofuorediquelloPalazzo Barbarineeminesonoantato alla caserma Salviate. E lí ci avevatantomanciare.Sempre quellocheioavevaportatodi Chiaramonte. Turiddo, fra 15 ciorne, doveva deventare romano... Che io lo stesso che penzava che io aveva avere un figlio incegniere, che si chiamava Turiddocomemiopadre,che morio a 40 anne con una pormenite, che pareva che fussestatoammazato,eorail figlio di suo figlio Vincenzo, che porta il nome di suo padre, deventerà incegniere conlalauriadiRoma...chilo sa di quante chiaramontane che deve essere invediato? E compurecheavevafattotanta malavita per fare studiare ai figlie e miliona di bastemie aveva butato, perché l’ebiche neiprimeanneerinotreste. E io aveva una contentezza... Che non zi sa di quanto era contente che avevatrovatolapenzioneper miofiglioTuriddo,arRoma. 1 LadittaFratelliSchembari. 2 L’Azienda siciliana trasporti autobus(Asta). 3 aforreare:avisitare. 4 penzamiprima:pensiamocibene prima. 5 messo a prezzo: messi a contrattare. 6 Ci arrestino 4 materei: deve riparare4materie. 7 statuto:istituto. 8 bunciare:gonfiare. 9 conzemato:rovinato. 10 Achecazzolaconta:achicazzo lavaaraccontare. 11 trozare:toccare. 12 Tutescante:tuhaipaura. 13 lireterate:gliarretrati. 14 spietto:furbo,ingamba. 15 salto:sarto. 16 intifeciente:deficiente. 17 la pezza serve propia per il pertuso: la pezza è grande quanto il buco,cioè:siricevetantoquantosidà. 18 pagnotista: uno a cui piaceva mangiarsi«lapagnotta». 19 Presidente del Nastro Azzurro perlazonadiChiaramonteGulfi. 20 asparanno:risparmio. 21 LaSisal 22 Taormina. 23 RomaTermini. 24 erimo stranotate: avevamo dormitopocoemale. 25 SanPietroinVincoli. 26 trammo la vita: tiriamo avanti, campiamo. 27 coppolara:cappellaia. 28 capazza:caparra. 29 Crasto: montone. Storpiatura ironicadelnomeGastone.Subitodopo: Crastone. 30 PalazzoBarberini. Capitoloventesimo Lostudioperl’incegniere Cosí, il Rabito era sempre al lavoro, perché la vita sua era fatta propia per fare sacrafizie e bestimianto quanto li affare mi antavino male. Passavino i ciornne, passavino i mese e li anne, e questa vita troppo sacraficata no passava mai. E poi, doveva dare magare sodesfazioneallacentechesi manciavino la mirudda 1 comefacevaiopermantenere 3 figlie alla scuola: uno a Romae2aRaqusa. Era il 1964, e io a Chiaramonte non ci poteva stare, perché nella strada li vecineerinomoltoinvediose, perché li acente vedevino venire a Turiddo di Roma e venevaconunabuonasalute. E poi che, quanto vineva, magare era capace di fare scuola di matematica a certe alunne del cenasio. E quinte, si cominciava a senteri dire che Turiddu era uno ragazzo interllicente e a posto, che quanto uno stodente che ci arrestava la matematica e ci faceva il dopo scuola Turiddo, lo facevino promosso. E quinte, tutte li cretineavevinoinvidia. Ma era tutta invidia che avevino perché ci corpavo miamoglie,checiavevadato moltaconfedenza,assaiassai! Ma io questo lo sapeva e faceva finta di non lo capire, perché tutte queste cente miserabile volevino che io dasseunapocodibastonatea mia moglie, e cosí io veneva denonziato,ecosísisfasciava lafamiglia,ecosí,inveceche io con i miei figlie di antare avante,antasseintietro.Maio questo piacere non ce lo volevadare. Penzava che, se c’era uno che non parlava e mi dava 3 milione della casa nuova, mi la venteva e mi n’antava di Chiaramonte, perché a mia moglie non la potevino vederepiú:primaperinvidia, poi perché era assai avantaciusa 2, poi perché ci pareva che tutte ci facevino male ed era fessata, poi perché era fascista, che in quella strada erino tutte rofianedelbaroneMelfe,che raportavino 3 sempre per farenesciarriare. Equinteio,perforzza,con lafamigliamidovevaantare. Ma,però,primamidovevino retrare del posto, che ci volevapoco,checivolevaun altro anno. Cosí, si lavoriava mio figlio Turiddo e ci n’antiammotuttelafamigliaa Raqusa. Io, le conte, mi le sapeva fare, poi perché amme, concedandome,iononpoteva sostenerelispese,ecertoche, con la penzione che mi assegnavino, li solde piú non mi bastavino, perché mi assignavino660.000all’anno, ecertocheerinounamittàdi quellesoldecheioprenteva. E quinte, doppo che mi concedavino, restavino ancora poche mese per lauriarese Turiddo, e bisognava di ventere la casa, perché l’ultime mese ci doveva mantare magare lire 100 mila lire al mese. E quinte, per ventere questa descraziata casa, ci doveva penzare per lo meno 2 anne prima. E infatte, fu davero cosí, propiacomedicevaio,checi n’erino tante che si la dovevinocomperare,matutte arrevavino a 2 milione e menzo, e io non ci la dava, perché in quella maledetta casaiocin’avevaspesetante che ni aveva potuto comperare 2 o 3 case, ma 3 case non maledette come questa. Poi, magare che Turiddo, lautiantese, a Chiaramonte lavoro per lui non ci n’erino, perché il paese ene piciriddo e uno incegniere non potesse campare.Equinte,erameglio di abitare a Raqusa e ventiremelacasa. Cosí davero fece, che mi sonomessoacerarecaseper Ragusa, e finarmente ni ho trovata una che era di uno cantoniere che si chiamava Vitale. Per lire 8.000 c’era il terrazino, però era troppo stretta, con 2 stanzie, ma era conviniente. Turiddo, che aveva fatto scuola a 25 piciotte, aveva quadagnato quase 350.000 mila lire, e si l’ha portato tutto a Roma, per pagare il suo affitto, e per noi è stata unafortuna,perché,sequeste 350.000milalirelidovemmo uscire noi... E cosí, hanno aiutatoaportarelacroce. EpartiemmoperRaqusa.E cosí i miei 2 figlie, Tano e Ciovanni, non c’era di bisognodiviaggiare.Lacasa era nella via Filippo Turate. C’era la doce per lavarese e c’era anche il terrazino per stentere la biancheria, e si potevaacomitare. Io antava e vineva di Chiaramonte matina e sera, conl’autobusso. Ma l’anno fu sfortenato, perché Tano sempre faceva propaganta di fascista, e il presete e i professore non l’hanno potuto vedere e non lohannoamessoall’esame.Io l’aveva aracomantato. Ma secome lui lo studiare ci faceva schifo, non voleva studiare.Poi,avevapassatoli 2anneditrepetezione4enon ci poteva antare piú alla scuola, che ci atocava di fare ilsoldato. Cosí, Tano si n’antò amMilano.Cihodatolire20 e umpoco di manciare, e io alla matina lo ho acompagnatoall’avotobusso. Che, come partio questo mio figliosfortenato,iomioffatto una settimana di pianto: che questo figlio, doppo 15 anne di scuola, aveva restato solo con il 3 chimico, che non valeva niente, e tante solde spese, e il 3 chimico valeva quantovaleilprimocenasio. Quella pena amme non mi poteva passare, che questo mio figlio, che era lo piú spertto quanto era picolo, si ha trovato sballato. E io semprepenzavaaTanuzzo,e piancevaquantocipenzava. Poi, scrisse la prima lettra di Milano e dice che quadagnava5.000milalireal ciorno,emioffattoilcuore,e disse: «Menomale che comincia allavorare». E faceva il rapresentante di libra. Ma, ancora, a questo mio figlio Tanuzzo, la sfortuna lo persequitava, che quello posto stesso, non so comefu,cihasmarrito.Ioera tutto priato che mio figlio quadagnava 5.000 lire al ciorno, l’aveva detto a tante amice... Cosí,allasecondaletteradi Tanodiceva: «Caro papà, qui a Milano piú non ho potuto trovare lavoro e non haio che manciare. Manteme lire 20.000 lire, quinte mi ne venco. Che cosí mi ne vaio soldato». Eio,comerecevettequesta lettera, mi ho dispiaciuto tanto e pianceva come uno piciriddo io, perché aveva un figlio cosí sfortenato. E, subito subito, io, che per i figlie era pazzo, come si affatto ciorno, non penzai a nienteallamatina,mapenzai chemiommessodavanteallo uficio postale di Chiaramonte, che, come ha aperto, ho provveduto di farece il vaglio telecrafico di 25.000 mila lire e mantarlle subito subito a Tanuzzo amMilano,chemiparevache stavamorentodifame. Cosí,Tanuzzo,inciornata, ha receuto li solde e subito venne. E noi tutte che spetammo. E, come venne, amme mi pareva un figlio perssoel’avevatrovato. Cosí, mi ha detto: – Caro papà, lavoro non ni ho trovato, perché non offatto il soldato.Maoravediammose potesse fare il soldato, e doppo vediammo quello che possofare:iominevadonel Brasile, mi ne vado in Cermania, mi ne vado a casa del diavolo, che ci ho 2 bracciaevogliolavorare.Ma prima mi devo librare il soldato. E cosí, davero partio Tanuzzo per soldato, e lo hannoportatoaParmanuova5 e l’hanno destenato nella compagnia di carre armate semovente. Cosí, Tanuzzo, che era pazzo di volere antare soldato, doppo che passareno 8 ciornne, che venne una lettra che mi ha dispiaciuto tanto: lo senteva lamintare che soldato se stava male e volevacheiomin’antavanel dottoreCafaperdirececheio aveva una brutta maletia che era impericolo. E cosí, con il certificato del medico, e avestata 6 del maresciallo, Tanopotevavenire. E cosí, io ci ommantato a direchequelloimproglionon si poteva fare. E cosí, Tanuzzo si allevato quella impresione che voleva venire per forzza a casa, che ancora aveva ciorne 8 che mancava diChiaramonte. Poi, io ci ho fatto capire che soldato io ni offatto 7 anni e non mi aveva mai persso di coraggio: – E tu, con ciorne 8, sei tutto fenito! Eio,questotempodisoldato, lo fece in tiempo di querra, mentre tu lo fai tempo di pace… Cosí,Tanuzzosiabitovavo afareilsoldato,chescriveva una lettera d’ogni 2 ciorne, perchéciparevabruttoastare lontanodellasuacasa,eforse forse che ni era pentito che non volle scuola, perché, auqualeaqqui,nonfacevinoi soldate,mafacevinoilcorsso di sottotenente. Quinte, Tanozzosiavevafattocapace cheavevasbagliato. Epoi,aRaqusa,mimettoa cirare di nuovo per cercare case, e finarmente ni ho trovata una, non piú con lire 8.000, ma con lire 16.500 al mese. Ma, però, il punto era vicino a piazza Libertà, casa umpocosignorile,mapernoi cheerimoabitovatenellecase strette era buona, perché mobile ni avemmo poco e di niente. Poi che quello anno fu propia l’anno che amme mi hanno concedato, e piú la quantetà dai solde che mi davino quanto era in servizio nonliprentevapiú,quinte,io disse: «Ora prento in tutto 70.000 mila lire al mese di pensione,eprimaniprenteva 140.000milalire». Quinte,ilconforttomioera di ventere la casa di Chiaramonte, casa bella nuova... con tante sacrifizie fatte e tanto lavoro mio fatto... Cosí, io diceva che: «Ora chelacasadiChiaramontefa comparssa 7, mi la puonno pagare lire davero 3 milione. E cosí mi servono per fare studiare ai miei figlie, e magare che si congeda Tanozzo, e si vuole diplomare, lo faccio sempre diplomareconimieisolde». Cosí, lasciammo la casa di Chiaramonte vuota, solo con unotavolinoe4sedie.Cheio sempre ci veneva: o per prentere la pinzione o pure pertenerepolitalacasa,epoi per farlla vedere a qualcuno chesel’avevaacomperare. La casa di Ragusa era buona, ma mobili non ni abiammo, e certto che se vineva qualche d’uno ni parevabrutto.Cosí,passareno pocheciorne,esisentevadire che, annoi che erimo concedato, l’Inadelle 8 ci divevadarelire400.000mila. Io diceva tra me: «Se fosse daverocosí,permefosseuna fortuna». Perché mi davino pocoenonpotevafareniente. E davero passareno 15 ciorne e mi hanno chiamato all’amministrazione provinciale e mi hanno detto che annoi ci atocavino piú 500.000 mila lire, «ma per oraprentetevequeste,chepoi scriviemmoaRoma». Amme, li 400.000 mila lire, in quello momento, mi parevino400milione! Cosí, mia moglie e io ci abiammofattoilcuore.Cosí, partiemmo e antammo inni uno nicozio e abiammo comperato un descreto salotto, il porta umprella e 6 sedie,etantealtrecosuzzedi casa che piacevino ammia moglie. E cosí, abiammo armato 9 una stanza da recevire discreda. Che cosí, se venevino amice di Ciovanni, e quanto vineva Tanuzzo, e quanto vineva Turiddo, che veneva di ingegniere–quintequestoera il primo salotto che noi abiammo comperato –, cosí non ci faciammo tanta mala comparssa,conquellacasa. Poi, il bidello, Vannino Pilodoro,cheiociavevadato l’incareco di ventere la casa diChiaramonte, mi ha detto: – Don Vincenzo, questo ene ilmomentodiventerelacasa. C’ene uno che si chiama Mercorillo, che li solde ci le dà,e2.800.000milalirecila paga. E io ci ho detto: – O 3 milioneoniente. E davero mi lo portò. E io ci offatto vedere la casa e ci ha piaciuto, perché la casa io ci aveva fatto tante cose nuove. E subito subito, in zelentio, abiammo fatto il complemessoper3milione,e 300milaliredipenaletà. Cosí, fatto il compelemesso, io, davante al notaio, mi offatto dare li lire 300.000mila. Ioaveva25annechesono maretato e ancora queste signore, questa maledetta casa, non ci hanno fatto la precuraamiamoglie.Quinte, quello che si prente questa maledettacasasimetteacasa deldiavolo,perchél’attonon zi pole fare. Quinte, eni una rovina per chi se compera questa casa. Io solo ci posso ventere la mia casa, che eie quellanuova,mailpassaccio d’ingresso ene della casa vechia. Cosí, io mi ne sono antato a Raqusa e ci ho detto a mia moglie: – La casa ene quase venduta, quinte faciammo fare ora li precure, il tempo c’ene –. Che l’atto si doveva chiudere il primo ottobre del 1966. Fecimo il compelemessonel19cennaio del1966,quintecivolevino9 mese. Quinte, in queste 9 mese, queste crante recona avevino voglia di potere fare il precure! Però, il primo che fecelaprecurafuilMariano, maperòvolleesseremantato li 4.000 lire per fare la precura davante al notaio, e mi la mantavo; poi, dopo 25 anne, il presete; e poi, dopo 25 anne, la fece quello che per recalo portò quello miserabile crocefesso di dodice lire; poi all’ultimo, dopo 25 anne, questa maledetta cissione la fece la crantereconadiSiraqusa,che volle essere mantate le spese del notaio di questa miserabiledota,cheaveva25 anne che io bestimiava, perchéilvalorecheavevaera dilirecentomilalire,mentre cheiocin’avevaspesoper4 volte. Ma non mi importava perniente,basticalaventeva, questadesonoratacasa! Cosí, venne il mese di ciugno, e a Ciovanni ci arrestareno 2 materie. Ma Ciovanni era capace di prepararaselle lui. E cosí, io faceva tante penzate di come dovevafare.Civolevaantare a Chiaramonte ad abitare e non ci voleva antare, perché era per starece luglio, aqusto e setembre, e poi ci ne dovemmo antare, perché veneva il mese di ottobre, perchésidovevafarel’attoe lacasapiúnoneranostra. Cosí, penzava e diceva: «Turiddo, se noi non antiammo a Chiaramonte, tante caruse per dopo scuola non vencono, perché lo speteno10aChiaramonte». E cosí, fommo a Chiaramonte e aspetammo a Tano, che si doveva congedare,eaTuriddo,chesi doveva lavoriare. Cosí, spetiammo una crante cioia nellafamiglia... E finarmente, doppo tanto aspetare, ha venuto una lettera di Roma, che era una lettera di Turiddo che diceva che il 22 di luglio ci trovammo di presenza. Turiddo aveva delle vacanze diNatalechenonveneva,per l’amore di studiare e lavoriarese presto... Chi sa quantostudiavoTuriddo! Edissechevenevalauriato e non desse altro. Però io, passantodiSanPolippo11,mi sento chiamare del tenente colonelloJabicoBerretta,che eraconsuamoglie,emidice: – Dommincenzo, lei ci vole venire a Roma a vedere lauriare ai nostre figlie? Perché io il ciorno di 18 di questo mese mi ne vado a Romaconmiamoglie. E io ci ho detto: – Non ci venco –. Perché ci volevino per lo meno lire 100.000 mila, che io non li voleva spentere. E poi che aspetava magare a Tanuzzo che si congedava e amme non mi conveneva.EpoicheTuriddo nonmil’avevamantatoadire di venirece a Roma, perché eratroppotraficuso12permia moglie. E cosí, il Beretta ci antavo e noi niente, perché sempre per non avere solde. Machecosacipotevafare? Cosí, revavo il ciorno 22 luglio, che questa ciornata fu piú lunca per me, che aspetava a Turiddo e li ore 6 nonvinevinomaie,easpetava l’avito busso dai Schembre e queste auto busso non vinevinomaie. Ma, versso le ore 4, io mi trovava a passiare, io e mio fratello Paolo, vicino alla villa, e quanto mi sento chiamare di quello che porta il telecramme, Laterra, e mi dice: – Don Vincenzo, c’ene un telecrammo di Turiddo! – Che diceva: «Finarmente mi sono lauriato. Questa sera venco.Turiddo». Io mi sono spaventato, sentento dire «lauriato di incegniere». Io, che quanto vedeva uno miserabile ceiometrapassaredellastrada per la solveglianza, che facevino tremare... e ora aveva un figlio incegniere! Che sa quanto io era contento!Corroevadoacasa per dirllo a mia moglie, ma cià lo sapevino tutte nella strada. Io,tuttopriato,minesono antato impiazza e aspettava. Io aveva il cuore riempito di cioia, perché mi senteva ricco, perché mi pareva che mi aveva uscito la Sisola 13, mi pareva che aveva fatto 13 con30o40milione,tantoera contentoquellasera! Cosí, finarmente, arrevavo l’auto e tutte scentevino, e Turiddo non scinteva, e quardava, e a Turiddo non lo vedeva,mentrec’eraunaltro Turiddo,ilfigliodiAncelolo Mutelato, e mi ha detto: – Don Vincenzo, a Catania, Turiddomihadatolivalicee luidicechevienedomane. Cosí, io mi sono dispiacioto. Ma carrecammo tutto, io e mio fratello Paolo, e portammo tutto a casa, perché c’erino li robbe di 4 anni che Turiddo aveva stato aRoma. Cosí, io e Paolo carrecammo tutte queste valice e li portammo alla casa. Poi, stava scentento li scale per antare fuora, e quanto vedo che davante la porta c’era Turiddo che stapevasalento... Cosí, quella venuta di Turiddo era l’invidia del paese. Io aveva una crante sodisfazione: avere il figlio ingegniere lauriato a 24 anne e 10 mese, che era il piú ciovene della provinceia. E quelle che erino spertte lo sapevinochecosavolevadire essere lauriato di ingegniere, cheaChiaramontenonaveva stato capace nessuno. E il figliodiVincenzoRabitosí! Cosí, questa lavoriata di mio figlio Turiddo a tutte ci acropavo 14: mi facevino l’aucurie,maiolovedevache ereno umpoco afonciate 15 certeacente. Certo che io doveva fare, come fanno tante, 2 o 300 bamboniere per destribuille a tutte li vecine, ma con il cerbellodimiamoglienonzi potevafareniente,perchéera con mità di paese sciarriata. Che non zi sapeva il motivo, ilperchéerasciarriata,perché io personalmente non ci avevavistofarenienteatutte quelle che mia moglie credeva di essere sciarriata, perché era lei prima a sciarriarese... Ma io, però, sempre mi ne sono antato ni Vannuzzo Fornaro e ci ho fatto fare 60 biglietinedilauria,metentoce laciornatadiquantosiaveva lavoriato, e poi mi ne sono antato a Raqusa, mi offatto dare il bamboniere con li confette.Ecosí,ioavevauno tavolinieddo, c’era il casciolo16,ecil’homesso,e a chi pareva amme io ci la dava. Ecosí,lihodevesoacerte amice miei, di quelle che reconoscieva io, tanto io era l’ultime 3 mese che aveva la casaaChiaramonte. Ai miei parente non ci ho voluto dare bamboniera, propiapernonzenterequella bocca parlare di mia moglie, che poi diceva parolazzi, propia quelle che diceva quella delenquente di sua madre. E quinte, ai miei parente, che avevino avuto tanto peacere che si aveva lauriatoilfigliodisuofratello Vincenzo, non gli è toccato niente. Ma io ci l’ho detto primachenoncinedava,per non socedere l’infernno con quella delenquente e stubita di mia moglie. E cosí, certo che non ni ebero neanche li suoi parente, perché la legge erauqualepertutte. Cosí,pervoleredellamano divina, arrevavo il 29 settembre1966. Cosí, ci abiammo licenziato con questa bella casa, che io aveva fatto migliaia di male comparsse, cheavessepreferitofarealtre 2 querre e non abitare in quelladescraziatacasa. Eilprimoottobredel1966 io e mia moglie ni presentammodentrailnotaio, che lí c’era pure marito e moglie di quelle che si avevino comperato la desonestacasa,ecosí,sifeci l’atto. Piú a Chiaramonte non c’erimo, e neanche erimo nellaviaTommasoChiavola, e vicine piú non ci n’erino che sapevino che era mia moglie, e non sapevino che erasuamadreenonsapevino, a Raqusa, tutte li fruste che avemmofattoaChiaramonte. E io voleva fare una nuova vita. Cosí, quanto sono arrevato a Raqusa, prese 2.400.000 milalireevadoalBanco17di Raqusaecimetto1milionee 200.000 mila lire al nome di Rabito Sebastiana e 1.200.000milalireanomedi Rabito Vincenzo, senza che io mi n’avesse preso piú assai, perché tra marito e moglieenelostesso. Cosí, io prese coraggio e cominciaieacercareunaaltra casa a Ragusa, ma no una casa come sempre antava cercanto, ma una casa per quella che stava adeventanto la mia famiglia, che Turiddo conunafirmmaeracapacedi prentere magare centenaia di migliaia di lire. Quinte, cercava una appartamento con 5, 6 stanze, per farece magare lo studio per l’incegniere, e magare 2 entrate. Fudaverofortenatochece n’era uno propia nel corso Italiaan.22.Perchéilpunto perunoincegniereèotimo. Cosí, io, al padrone di casa,cihodetto:–Ilprezzo? Emiharisposto:–Quanta mivoledarelei... E io ci ho detto: – Lire 30.000almese. E lui mi ha detto: – Poco sono. Eio,cosí,cihodettochela casa ci la respetammo come fosse nostra. E poi io ci ho detto che aveva il figlio ingegniere:–Perorasoldeni avemmopoco...Equinte,che volefare... E cosí, secome questo era unsignore,mihadetto:–Va be’, se entresasse di falla finire di pitturare, e poi faciammo una calta nel notaio. Io quardava tutte li stanze che erino propia belle, poi chec’erino2entrate.Edisse: «Io ora la faccio vedere a Turiddo. E cosí, che sa quanto ci ha parire 18 bella, che si ci mette lo studio, e non c’ene bisogno di entrare di dove siammo noi. Quinte, sevieneunapersonachenon voleesserevistadinoi,entra dell’altra entrada. E per quelloèbuono». Quinte, io era molto contente di questa casa, poi che non aveva da fare con cente inutele, ma aveva da fare con cente brave e signore. Ecihodetto:–Midasseli chiave–.Emil’hadato. Ecosí,iocihofattovedere la casa a mia moglie e c’ha parsso troppo bella. E poi l’hofattovedereaimieifiglie ecihaparssotroppobella.E poi io mi ne sono antato subito subito a cercare alle pittureperfallafinire,perché il mio figlio era ingegniere e seavevaaprirelostudio.Eil piture,sentento«ingegniere», subitomihadetto:–Oracila faciemmo prentere subito, questacasa. E, quando fu pronta, in 2 ore, io, Ciovanni, Turiddo e Tanozzo e mia moglie ci abiammo portato tutte li robbe, che era una casa bellissima. Che per noi fu la casadellafortuna. Cosí,unciornovedovenire a Salvatore Di Martino, e mi ha detto: – Don Vincenzo, il suo figlio dove ene? Che ci conviene di lavorare inziemme,perchéiolavoroci n’hoassaiassai… E cosí amme mi piaceva tanto. Poi, cominciammo a vedere tante fatocrafieie dai miei figlie di quanto erino picole. Poi, mi domantava quelladiCiovanniconquelle capellericeie 19, e io tutte ci l’offattovedere.Cosí,iociho detto:–Perchénonviparllate di «tu» con mio figlio Turiddo,emagareconTano? Cosí, davero Turiddo e Tanuzzo con questo Ture Di Martino si hanno cominciato a direse di «tu», e hanno strenciutounaforteeperfetta amicizia, speciarmente Turiddo, che si avevino apertto lo studio inziemme nella via Tenente Lena. Che questo studio prima era tutto del ciometra Di Martino, perché la casa era di Di Martino, e ora lo studio era Rabito - Di Martino; non altro, che Di Martino era ciometra e Rabito era ingegniere. 1 si manciavino la mirudda: si rodevanoilcervelloperl’invidia. 2 avantaciusa:prepotente,superba. 3 raportavino:facevanorapporto. 4 2 anne di trepetezione: aveva ripetutodueanni. 5 Palmanova. 6 avestata:conilvisto. 7 facomparssa:sipresentabene. 8 L’Inadel, Istituto nazionale dipendentientilocali. 9 armato:messosu. 10 speteno:aspettano. 11 LapiazzettadiSanFilippo. 12 traficuso:laborioso. 13 LaSisal. 14 acropavo:andòditraverso. 15 afonciate:colmusolungo. 16 casciolo:cassetto. 17 IlBancodiSicilia. 18 quanto ci ha parire: quanto gli devesembrare. 19 riceie:ricci. Capitoloventunesimo Larollotta Io era tutto priato con questo figlio Turiddo, invece Tanuzzo non ni aveva fortuna. Secome c’erino quelle descraziatelezionereggionale del 1967, c’era cantetato Cutine Salvatore, che si presendava come deputato al parlamento di Palermmo, e Tano era sicuro che, se resortava deputato questo Cutene del Movemento sociale, Tano, e magare tutte la famiglie credemmo che questociavessefattocapitare umposto. Cosí, stubito magare io, ci faceva la propaganta per questo miserabile partito, per l’amore che portammo a Tanuzzo. Quinte, io, che era comunista e rosso per natura di rere e riditorio, che avia stato sempre socialista, sempre prima del fascismo, dovette fare il fascista per tuttoiltempodellacampagna elitorale, sempre per l’afetto che io portava a Tanuzzo, e perché mi aveva assecurato, lo fessa che era io, che, se vincia questo Ture Cutine, Tanuzzo aveva umposto sicuro. E Tanuzzo, dalla matina alla sera, tutte li paese si li cerava sempre con il microfino credanto: «Viva il Movementosociale!» Cosí, questo miserabile partito a Tanuzzo ci ha comperato una machena di seconta mano, vechia e tutta sfasciata, e lui andava credantopertuttalaprovincia che,allasera,quantoveneva, vineva senza voce, ma per l’amore di prentere il postocino, se Cutine asumava. QuestoCutine,però,nonci faceva caso a Tano, e neanche noi tutte in famiglia ci diciammo cosa, perché Tano non lo faceva per fare male, ma lo faceva per fare bene a se stesso. Ma quanto uno ene sfortenato non ci pò fare niente con la sfortuna... Si dice sempre, come dicevino li antiche, che: quanto uno uomo cercca cordda per afocarese 1 e non neventeno,ciesciilcanivo2 nelle suoi propia tasche, quinte la persona si deve affucareperforzza. Ecosíeraquestomiofiglio Tanuzzo,che,dovesimeteva e miteva, la scaciava fraceta la nuce, perché non aveva fortuna, magare che questa fortuna la cercava. Perché tutte quelle che avino fatto propaganta per i partite, magare che avevino impicicato cartte 3, avevino auto umpostecino per lavorare,maquestomiofiglio Tanuzzo niente, perché era tanto sfortenato, che la propaganta la faceva sempre perunopartitovile. Cosí, Tano stava in speranza se adeventava doputato questo Cutine, e cirava per tutte li paese della provinciadiRagusa. Ma un ciorno, con quello pezzo di machena sfasciata, vicino Cerratana, con questo pezzodimachena,Tanoeun altro suo cammerata hanno antatoasbattereinuncrosso muraglione, e come hanno restato vive fu uno vero miracolo... Cosí, io fui tanto cretino che io disse: «Non mi ne importta che Tano ha preso questo crante spavento, bastica deventasse Cutine onorevile». Sempre per l’amore di mio figlio, questa cretina umilazione... Cosí, questo, sentento questa bella parola per lui – che io disse «spediammo che asuma Cutine debutato» –, e cosí questoCutinemihavenotoa vaciare,chefuilbaciodiIura quanto ha tradito a Cesú Cristo. Cosí, venne la ciornata delle votazione, e Cutine era avante per requaldo alle partitepicole.Comesihanno fatto i conte di tutte i resoltate, Cutine era avanto per250voteimpiúdelpartito Socialista, e quinte Cutine aveva vinto. Io, come un fessa, magare per l’amore di Tanuzzo, antava venento della Federazione fascista e vedeva a Cutine che mi ha detto: – Coraggio Rabito, abiammo vinto! – E io ci ho fatto li aucurie, ma mi sono afrontato di fronte a tante chearamontane che erino dentra la federazione, perché c’erino tante chiaramontane cheavevenovistocheCutine mi ha detto: «Siammo vinciute»,eiononmivoleva fare capire che aveva dato il votoalfascisimo,perchénon ci aveva stato mai fascista doppolaSecontaquerra. Cosí,iominisonoantatoa casatuttocontenteperdirece a mia moglie che Cutine era dobitato e a Tano ci doveva dare il posto. Propia li stesse speranze che ci aveva io quanno mi sposaie, che era sicuro che questa famiglia riale, come mi sposava, mi avevino a dare umposto, e invece mi hanno spogliato e, se non mi n’antava in Cermania, per questa maleducate poteva morire di fame. E cosí feci Cutene. Tanosistapevaammazantoe, senonerapersuopadre,per questo Cutine mio figlio Tanuzzo poteva morire di fame.Quinte,questoCutinea Tano lo nacava 4: oggi, domane, i giorne pasavino e nienteTanoprenteva. Mi faceva una intipatia incredibile che, per causa di questo Cutine, li acente di Chiaramonte ci dicevino che tutta la famiglia erimo fasciste, che per me era una vercogna addire che erimo tutta la famiglia di quello miserabile partito fascista. Tantocheio,pernonmifare restare quella maledetta macchia, io, un ciorno che ci fu una reunione nel Sole nasciente a Chiaramonte, che si doveva votare o per TanasseoperDiMartino5,io partio di Raqusa apositamente, che non ci avesse antato a dare questa votazione per Tanasse neanche per tutto l’oro del monto, e pure, per levarece questa fantasia ai chiaramontane, che io era fascista, macare arrevai a paterelemanomagarequanto parlava il parllamentare comunista, sempre per lo scopo di farece dementecare cheioerafascista. E io sempre ci diceva a mio figlio: «Tanuzzo, la tua strada è quella. Profitiammo che ci avemmo a tuo fratello Turiddo che ene uno incegniere di quello bravo. E tu ti dovessito prentere il doplomadiciomitro,checosí tuo fratello Turiddo qualche lavorotilopotessedare...» Cosí, in settembre del 1967, Tano finarmente, doppotanteannichepiúnon ci penzava di scuola, si ammesso a studiare a tutta forzza e con una buona volentacheaciugnopassavo con buone ponte. E poi magare che durante l’anno avevafattoqualchelavoretto, perché fraquintava lo studio diTuriddoemagareantavaa Chiaramonte e a Raqusa con Turiddo affare rilieve e a prentere misure. E io disse: «Coraggio, che Tano sicuro che fra una para di anni era ciomitra…» E io era molto contente di questo mio figlio Tano che si aveva abiato 6 allavorare. Cosí, antava avante la nostravita. Intanto, Turiddo, di ciornno e ciorno, lo stodio si antava incrosanto. Quinte, menumale che avemmo a Turiddo,altrementeavessimo potutoprentereacqua,perché conquellesoldenostrecheio prenteva della pinzione non potiammofareniente! Poi, finalmente ci ha stato dentralanostracasadinuovo una crante allecria, che Tano fu promosso e fraquintava il IV ciomitra. Ciovanni si ha presolamaturetàscentificae si doveva scrivere all’oneverssetàcomeavocato, enonsapevainqualecittà,a questoCiovanni,sinedoveva antare. Certo che noi ci diciammo a Catania, che era piúbreve,cheeravicinoeni costava poco. Ma Ciovanni non lo sapeva neanche lui quello che doveva fare: ci diciammo anNapole e non ci piaceva, a Ferenze e non ci piaceva, a Roma e non ci piaceva, e ni stapeva fanno nescirepazzo. Aveva tante compagne a Raqusa, tutte piú stuortte di lui, facento feste di aballo dentra la nostra casa, che si aprofetava che c’erino 2 stanzie belle che erino vuote, e quinte, questo Ciovanni, e altre come Ciovanni, portavinoragazzifemmineda 15 a 16 anni, e dentra quella bella stanza, che mia moglie ci aveva fatto il salotto, tutte quelle ragazze, uomine e fimine, tra scherzze, ammotare 7 e a babiare, questosalotto,cheancoraera nuovissimo, lo stapevino rompento tutto con quello borderllochefacevinotutte. Poi, questo Ciovanni, dicentoci sempre che fosse meglio Catania, ci hanno preso li nerve, che per nerve tutte nella famiglia erimo primarie, e ni ha detto: – O che mi mantate amMilano o altremente non studio per niente, perché amMilano io micerccounlavoroestudio. O che altremente mi scrivo a Urbinoemifacciociornalista –. E noi tutte, come lo sentemmo parlare, e diciammo: «Questo Ciovanni enesportato8,nonarraggiona perniente…» Io che penzava che quanto era piceriddo nessuno si era entressato per mandareme alla scuola e senteva a Ciovanne che non voleva studiare a Catania che ci parevaunacitàscassa,quanto lo senteva parlare cosí, mi mozicava li miei mano e diceva: «Che razza di ebica che ene questa, che i miei figlie non ci piace neanche Catania per studiare e io non potte antare neanche a Chiaramonteallascuola!» E cosí, Ciovanne si ha scrittoallafacoltàdiMessina in ciuresprodenza, per poi fareilmistierediavvocato,e Ciovanne si scrisse amMissina perché c’era un suo compagno di Raqusa. Però, Ciovanni non era cosa di stare amMissina, perché si vedeva che Ciovanni era un ragazzo troppo sperto e interlecente,perchémagaresi arattava a fare puisiei e raconteelimantavaallacasa detricediBolognapervedere sequestepuesieicil’avessero publicato, cosí Ciovanne avesse deventato poeta. Quinte io magare aveva uno figlio che voleva deventare poeta, e io certo, che vineva del niente, era tutto priato, e mi cominciava assentere uno diquellebuone. E magare alla notte che non poteva dormire... Perché Ciovannisidovevascriverea Misina, che costava per 2 volte di Catania, e non ni avevachecosafarece,perché siciprentevinolenerve,emi diceva:«Iominevadoenon studio, e mi ne vado allavorarenelSoldeAfrica 9, e vialtre non mi vedete piú». E io di questo Ciovanni teneva paura, perché non era Tano e neanche Turiddo, che facevino con la bocca, ma questo Ciovanni diceva per davero, che se parteva non si vedeva piú. E cosí, dissemo tutte: «Be’, scrivite amMesina…» Ma si ha fenuto questa cranteconfosioneenellamia casa ne ha cominciato un’altra senza aspetata. Che certe acente, certi volte, non hanno a che fare e vogliono trasereneicazzedellealtre. Una ciornata, dentra dove noiabitammosihapresentato una signora che era chiaramontana ma abitava a Raqusa da 20 anne, e questa sapeva bene che io aveva un figlio ingegniere luriato di pocotempo. Cosí, questa signora ni ha detto:–Cercasseasuofiglio ingegniere dove lo potesse trovare–.Eiocihodettoche vinieva alle ore 6 di questa sera. Alla sera, all’olario che erino li ore 6, davero hanno venuto. Non piú una sola donna,comeavevavenutodi matina,manihannovenuto2 donne,ehannoportatoco’sé una signorina. E cosí, hanno venuto quella che aveva venuto di matena, che era chiaramontana, che io la conosceva da tanto tempo, poil’altrafemminaeralasua suocera, e la signorina era figlia della sua suocera. E certo ci veneva cognata. E cosí, l’abiammo fatto entrare nel salotto. E cosí, si sono sedute e ni hanno detto: – Aspetammo all’incegniere, chenedevefareunprocetto. Non hanno passato che 5 minute che abiammo sentito sonare il campanello, che era mio figlio e Di Martino che vinevino. Cosí, hanno cominciato a desegnare come la volevino questacasa, e io vedeva che questa signorina tutta si solleticava, che pareva che era venuta aposta, di come voleva fare presto di volere parllareconmiofiglio,senza che ancora si avevino conosciuto... Equinte,sihannofattouna bella racionata. Mentre passareno 2 ore e si stava facento notte, e si ne sono antate. Io tutto mi poteva credere, ma no che era non per il procetto, ma per farece vedere a quella signorina a mio figlio, e per fallo fare fidanzato con quella signorina! Alla matina, quanto fu ciorno,verssoli7emenza,io che sempre mi alzo presto sento sonare il campanello e ci ho aperto la porta, e vedo che era uno avocato, che era ilfratellodiquelladonnache aveva venuto di matina, e mi ha detto: – L’incegniere che faancoradorme?–Eiociho detto: – Sí. – Fosse meglio chelochiamasse,cheiociho qui sotto la machena, che venesse comme che dovessemo antare allo spedale Patarnò Arezzo 10, che propia quello che deve fareilprocettoeniilpadredi quella signorina che vinne ieri sera qui. E quinte, l’ingegniere dovesse venire all’ospedale. Cosí, Turiddo si alzza, si mettenellamachena,ehanno partito. Cosí, Turiddo viene alla sera, doppo tanto aspetare, e ni ha venuto a dire, amme e mia moglie: – Sapete perché hannovenutoquelleacercare all’ingegniere? Non per il procetto, ma per fareme fare fidanzato. Mi hanno fatto vedere che la signorina posiere 3 apartamente solo comperateanomosuoi,epoi questa signorina ene figlia di una sorella dello padrone del molino.Equinte,lasignorina posiede piú di 200 milione. Quente, io devento molto ricco.Eorailpadrediquesta signorina ene allo spedale, ave paura che muore e vole vedereallasuafigliamaretata quantopiúpresto. Io e mia moglia restammo parelizate a sentire questo crante descorsso e questo crante trucco: che alla sera avevinovenutoperilprocetto e ora si trovavo che era per fedanzamento. Che cose curiosi che se presentono in questa maledettavita! E cosí, davero io e mia moglie all’indomane partiammo e antiammo allo spedale per fare la reconoscenza 11 con la famiglia della fidanzata di Turiddo, che pareva una fatocrafiastentiania 12,chein 24oresiavevinofattolicose che si fanno in 2 o 3 anne, cheperscosadiumprocettosi stavafannounmatremonio. Cosí, una sera, vetimo 13 venire, io e mia moglie, a questa che ni chiamava «papà» e «mamà» con la machina. Erano verso li 7 di sera, nevecava, e ni ha detto: –Viene,papà,tuemamà,che miopadrevivolefarevedere lapartamentodovedovemmo abitareioeSalvatore. Cosí, arrevammo, presemo l’ascinzore e abiammo sceso a4piano.Chec’eraunabella crante casa, e c’era il malato seduto al tavolino, la moglie del malato, la signorina e un’altra cognata della signorina. E cosí, come abiammo venuto noi, pareca avessemo venuto 2 crante parente della Merica che aveva 30 anni che non zi vedevino... Cosí, fenito di cirare tutta la quantetà di stanze, il malato, voldire il padre della racazza,mihachiamatodove era lui e mi ha detto: – Vedete,donVincenzo,cheve facio vedere? – Cosí, mi ci sono messo vicino, e questo cretino prente la chiave e crapeilcascioloecominciaa contare solde per menzora, tutte carte di cento mila lire. E non la faccio tanta secerata 14 che io, in quella sera, ci ho visto contare 50 miliona, tutte a cartte di 100.000milarireacescuno. E poi, don Mariano, il malato, mi ha detto: – Domenicasidevonorevonire tutte i miei parente, che ci deve essere la reconoscenza ditutte–.Eiodisse:«Mincia, – tra me, – stiammo revato cià alla conclosione!» E quinte, domantai scose e per babiare ci ho detto: – Antiammo, che qui il capo della famiglia ni stanno assicotanno 15 a cartte di lire di100.000milalire. Ecosí,cin’antiammo.Mia moglie aveva il musso locorato, di quanto bace ci avevino dato, e io sanqui nelle vine non ci n’aveva, di quantorabiacheaveva. E cosí, fu una setimana di caso del diavolo, perché Ciovanni aveva bisogno solde, Tanu aveva bisogno solde, tutte avemmo bisogno solde, e c’era la desprazione. Tano aveva il nervoso, Ture aveva il nervoso, Ciovanni aveva il nervoso, mia moglie stave sempre nerfosissimo. E all’ultimo tutte avevino ragione, e il povero condagnato era io, che aveva sempre tuortto, e parole spartte mi avevino a dire, tutta questa nervosa famiglia... Cosí, di nascosto di tutte, prese il telefono e ho telefonatoallasignora,propia quellacheavevavenutonella mia casa a cercare a mio figlioperfareceilprocetto,e ciparlloecidico2sempilice parole, e ci dico: – Signora, mi deve fare questa cortesia che mi deve dire la veretà. Perché serbe questa reunione di domane sera? – Perché recorddo che era il sabito. E la signora m’ha detto: – Come, don Vincenzo, non ci lo disse mio suociro che era per apuntamento e per sposarese?–Iolamortteche potte fare la fece 16, e ci respose: – Signora, noi non siammopreparatepernientee nonpotiammovenire. E con questa telefunata io offattoscopiarelaquerra,che perd’ogniserachemiofiglio antava nella casa della fidanzata sinteva aragionare cheioavevafattounapartedi vellano. E a mio figlio ci hanno preso li nerbe, che sa quella sera che cosa aveva sentito dire di questa ricca famiglia, venne arrabiato e bestimianto, non ha voluto manciare,edisseammeemia moglie, e magare ciuravo di se stesso: – Domane prento l’autobussoalleore5emini vatoaCatania.Eaquellacon tutte queste solde non la vogliopiú! Alla matina, alle 4 e menza, si alzza come umpazzoedaverosen’antòa prenterel’autobussoepartio per Catania. E cosí, si fenio tutta quella quantetà di solde che ni stapevino fanno scemonireatutte. L’estate seguente, doppo che venne di Messina, Giovanni ci deceva la testa che voleva partere per farese una cita, e poi ha cirato tutto Raqusapercercareunozaino. E zaine, Ciovanne, ni ha trovato 4; e di tutte 4 zaine, prese lo piú crante e lo cominciavaaprincire17. Cosí, Ciovanni era pazzo che per forzza si ne voleva antare a cirare l’Italia, la Spagna, la Francia, tutta con l’autotoppe,eiocidiceva:– Ciovanni, reposete. Che vuoi antare a tastare la fame!? Perché tu non sai che quanto si va forianto 18 ci voglino assaisolde!? E Ciovanni, per forzza, si ne doveva antare. Io, che bastonatenonnisapevadare, e Ciovanni faceva come ci piacevaalui.Poi,iopiúassai cipotevadarelire50.000,che li teneva sempre di reserba, ederonopoco,machecosaci poteva fare? Quinte, magare che non voleva, lui si n’antavalostesso. E poi, l’altra butta che mi dava, che era l’unica scupetatachemidava,chemi diceva: «Io, se tu non mi manteallacita,non vado piú all’università». Cosí, la mia vita era sempre a mienzo queste farsse, ma faceva pacienza. Voldire che io fu nato per vederetuttequestequaie... Cosí, Ciovanni, di ritorno dal viaggio, parte e va a Missina per farese il trasferemento da Missina e portarasello a Bulogna, perché a Bologna, Ciovanni aveva preso amicizia con quella dottoressa della casa editricecheloavevamantato a chiamare per volerllo conoscire che persona era, questomiofigliochescriveva queste belle puisiei. Che questa dottoressa si n’aveva troppo innamorato, di questo ciovenescritore,einquelle8 ciorne che Ciovanne fu ospitata di questa, questa ci aveva detto: – Ciovanni, perché tu l’anno che viene, voldire 1968 e 1969, non ti scrive a Bologna come avocato, che Bologna ene mieglioassaidiMissina? Cosí,Ciovannisiammesso quello penziero nella testa e volevastudiareaBologna. Quente, Ciovanni disse comedisseilduce:«ORoma omorte!»CosífeceCiovanni, quanto io ci diceva: «Ciovanni, studia amMessina!»:«Omimantea studiare a Bologna o altremente mi ni vado a Milano,opureinAfrica!» E io ci ho detto: – Ciovanni,vatene,edovevuoi studiare studia, bastiche studie. E cosí, Ciovanni antavo amMisina per farese il trasperemento per Bologna. Maful’annodellescioperedi tutte li oneverssetà di tutte li cità d’Italia, e Ciovanni il trasferemento non ci veneva mai. Ecosí,Ciovannipartioper Bolognasoltantoallafinedel 1968.Emirecorddochenon zi affatto il Natale del 1968, che fu il primo Natale che Ciovanni si affatto lontano della famiglia. E al febraio 1969 non si ha dato nessuna materia, perché, prima che c’era bordello in tutte li oneversetà, e poi perché Ciovanni il trasferemento ci ha venuto con retardo e li suoi profesore non le conosceva. Cosí,aCiovanniperquatro mese non l’abiammo visto piú. Scriveva una volta alla setimana, voleva sempre mantate solde, diceva che stava bene. Poi, noi ci abiammo detto che ammeno per Pascua vineva quanto lo vediammo. E Ciovanni, 20 ciorne prima di Pascua, venni. Noi nicrediammochestapeva15 o20ciorne,enoiaCiovanni ci avemmo comperato un bello materazzo e una rite nuova, ma Ciovanni venni, volle lire 70.000 mila lire e, come si corcavo una sera, ci hanno preso li nerve, ni ha detto che Raqusa faceva schifoeall’indomaniparte. Cosí,Ciovanni,tuttinoini avemmo creduto stava con noi 20 ciorne, e invece ci ha stato24ore! Noi pinzammo che Ciovanni a Bologna doveva staremale,einveceCiovanni stava miglio di stare a Raqusa, che ni lo aveva assecurato Tanuzo che ci aveva stato. Ma ci voleva antare io a Bologna a vedere a Ciovanni, ma però non come a Tanuzzo, che spese tantesolde... E davero c’era una leggie che, dal 4 novembre 1968 al 24 maggio 1969, tutte i compatente della querra 1915-18chevolevinovisetare i luoche della querra ci potevino antare con il 75 per cento, che cosí, se io voleva antare a Curizia e voleva passarediBologna,iopagava lire4.000o4milae500lire. Cosíiocheerafessa,chenon parteva e antava a Bologna a vedereaCiovanni? Cosí,vadonellaSocitàdai combatente di Raqusa, mi ho fatto fare i docomente, atestanto che io era compatente, vado nella stanzione delle carabiniere, mi ho fatto fare un altro ducomento che ci voleva, preparai tante cose per manciareepartieperCurizia. E mi recorddo che era il ciorno 16 maggio 1969, che poi questo biglietto aveva la durata di 15 ciorne, e il decreto termenava il 24 maggio, propia doppo 10 ciorne, che poi non zi poteva parterepiú. Cosí partiemmo, e alle ore 7 abiammo passato Mesina. Io era molto contente di fare questo viaggio, stava sempre afacciato,nondormevamaie, perché non vedeva l’ora che videva a Ciovanni, che era il figlio piú picolo di tutte, ma era il piú servaggio di tutte, perché aveva desartato 19 il primo della mia casa, che mi faceva capire che la Sicilia faceva schifo. E io penzava: perché questo Ciovanni era deventato cosí contrareo a questanostraterra? Cosí, alle ore 11 e 30 fuommo a Napole, e alle ore 4 di mattina passamo di Roma,ealleore7delciorno 17 maggio fuommo nella bella cità di Ferenze, che io penzava che ci aveva stato, nel1920,13mese(cheilmio reggemento, il deposito, l’avevaaFerenze)eaveva50 anne che aveva stato a Ferenze, e disse: «Per ora vado a Bologna, vedo a Ciovanni, e vado a Curizia, ma, al retorno, mi devo fermare a Ferenze», ed era tantodesederusodistareceun ciornno. Ecosí,alleore9emenza, fuallastanzionediBolognae scentivo. Mi sono messo a quardare per vedere a Ciovanni, e come vette a Ciovanni, mi sono emuzionato che ci voleva pocoametteremeapiancere. Ma era nella faccia colorito, piú crosso nella vita, e io desse: «Per questo che Ciovanni non può vedere la Sicilia, perché a Bologna si stape bene, opure sta bene Ciovanni».Eiodisse:«Cheil Dio lo possa aiutare! Quanto uno trova umposto che stape bene,nonlodevelasciare!» Cosí, mi affatto forriare umpoco di antichetà di Bologna, che poi io allintai, voldiremistancai,epoiciho detto: – Ciovanni, io devo antare a Curizia, perché mi devofarefermareilbeglietto, e poi arretorno, e potiemmo passeare 20 per Bologna –. E ci ho detto: – Tu ci vuoi venire a Curizia? – E Ciovannuzzo mi ha detto: – Papà, solde si ni spentono assai –. E io ci ho detto: – Siente, il beglietto ti lo paga io –. E lui mi ha detto: – Invece di pagareme il biglietto, perché quelle solde nonmililasciaamme?–Eio ci ho detto: – Sai che quelle soldeperte,perlasciaratelle, lire5.000milalire,cil’holo stesso. E Ciovanne mi ha detto: – Sei il padre il piú bravo di tuttelipadre. Ecosípresemoiltrenoche antava a Curizia; e Ciovanni, antata e ritorno, ha pagato forsse lire 4.000. E cosí partiemmo. Ma io, per fina che passammo Padova, non stava affaciato, perché a Patovaquerranoncin’aveva stato.Poi,antammoaMestre, che doviammo campiare per fina a Monfarcone. E cosí, partennodiMestreperfinaa Monfarcone, erino tutte luoche dove ci aveva stato la querra, ma il treno era deretissimo e con la corssa viloce non zi poteva fare persovaso per niente dove io erastato52annifa,quantosi aveva fatto la querra. Cosí, disse: «Al retorno prento l’autobusso,ecosípassape’ tutte li paiseddi, e mi posso farepersovasomeglio». Cosí, io e Ciovanni a Monfarconecampiammo21,e alle 3 e menza fuommo a Curizia. Ciovanni fece una telefonata a Bologna alla sua amica e ci ha detto che si trovava a Curizia perché dovevafareunaaffare,eciha dettochequestanottealleore 2doppomezzanotteveneva. Cosí, io e Ciovanni ni abiammo messo a cirare. CertocheCurizia,difrontea quello che era quanto l’ollasciato io, non zi poteva farepersovasopiú,perchénel 1918eratuttofracellato,eora eratuttonuovo. Poi, io mi recordava del fiume l’Isonzo, e ci l’ho portato.Poi,c’erinoancora3 puonterottedellaquerra,che restareno come monomento nazionale,enonlifannopiú, perché devono restare per recordeto.Mamihannofatto capire che la stanzione di Curizia antica, che io la voleva visetare, e mi hanno dettochequellastanzioneche c’eraprima,doveiociaveva fatto centenaia di ciorne di quardia, l’Italia non l’aveva, perché aveva tocato alla Iucoliavia. E disse: «Pecato chenonlapottecirare…» Cosí, ci n’era una che era nuovastanzione,perl’Etalia. Cosí, con Ciovanni erimo stanche, no potiemmo piú camminare, speciarmente io, che era piú stanco di Ciovanni, cosí antiammo alla stanzione di Curizia e ci abiammo seduto. Mentre si facevino li ore 8, e cià il microfono diceva: «Fra una menzura il treno parte per Monfarcone». Ciovanni mi ha detto: – Come faciammo, papà? Che fa, partiammo o n’arestammo?–Cosí,iociho detto:–Chefossemiglioche iomiarrestasse,tupartessito, cosí tu ti facesseto una bella dormutaaBologna,ealleore 9 ti alzassito e cosí non perdisseto domane la scuola, e io mi arrestasse qui, mi n’antasse all’aberico, dormisse fina che mi sbegliasse, e cosí mi facesse domane una bellissema camminataepoipartesse,non con il treno, ma magare con l’auto bussu –. Che cirava tante paisieddi che io mi recordava ai tempe della querra.Ecosí,poi,prentevail trenocheantavaaBologna,e ci vediammo alla stanzione, conCiovanni. Cosí, Ciovanni questa pinzata ci ha piaciuto tanto e fecimo davvero cosí. E io disse: «Ora, come partte Ciovanni,mifacciounacirata per Curizia e poi mi vado a dormire». L’acqua dell’Isonzo era tutta per fare ciardina e ortaggio, e il fiume non faceva tanto impresione, e pareva bello. Mentre, quanto c’eralaquerra,facevapauraa quardallo,perchéerapienodi proieteleebommeammanoe tante muortte, che per non le potere prentere, perché c’erino tante bombardamente continive,elí,questemuorte, smacievino 22, e il fiume, l’Isonzo,facevatantapauraa tutte, mentre ora era tanto bellissimo. Cosí, io era spaventatodiquantoerabello questo fiume, e mentre, 52 anni fa, era spaventato di paura che questo fiume ci avevino muorto diverse centenaia di migliaia di soldate italiane e di tutte li nazionecheerinoinquerra.E quante civile hanno morto in questofiumel’Isonzo! Cosí, erino le ore 10 e mi nesonoantatoall’aberecoper dormire, che quella, la padrona, mi aveva preparato un bellissimo letto, tutto il materazzoelicoscinetuttodi lana,bellomorbito.Enonmi poteva adormentare, perché penzava quanto io aveva 18 anne e 19 anne, che era piciriddo ed era a Gurizia, e con la mia compagnia abiammo sepelito tante migliaiadimuortteracoltedi tuttelipartedellacontradadi Gurizia, e li dobiammo fare propia noi, questo lavoro di bichine... E penzava che erimo tutte povere descraziate, picole soldate che non dormemmo mai sopra il letto e sempre dormiammo fuore, e butate piedepiede,etuttestrapatee tuttepienedifancoepienedi priucchie 23, e speciarmente d’inverno, che faceva molto freddo, e tanta fame che avemmo. E ora io, a Gurizia, era corcato in quello bello lettodilana,etramepensava propia a quella mia brutta cioventú passata, e ora, nella vechiaia tutto questo bello confurtto... Cosí,misonoadormentato e,dalle11disera,tuttoinuna trata 24, io ho sbegliato all’indomane,alleore7.Cosí, mi alzo, paga il letto, mi faccio dare la tessere, e vado allastanzione. Cosí, mi hanno detto che c’erino magare autobusse di linia che antavino amMonfarcone: – E parte adesso. Però, cira di tante picole paese e magare passa di Sacrato Redipuglia, Fossa Alta e Fornace, e tante altre paese,epoivaaMestre,epoi puoleprentereleiperPadova, epoiperBologna. Cosí,iodisse:«Semivalca questo biglietto di militare sono a posto». Domantai, e mi hanno ditto che poteva antare dove voleva, bastica antavasempreperBologna,e poicheerapercerarenonmi decevino niente. Cosí, mi ho fatto fermare il visto per partire. E parto, e la prima fermatalafeceaMonfarcone e stese un’ura fermmo, e mi sonosodisfattotutto,cheioci avevastato. Poi,presel’altracorsaeha cirato per tante paisette dove iociavevastato,maeratutto campiato,tuttofattonuovo,si vedevaperòchec’erinotante trenciei della querra, tutte lasciate come monemente nazionale. Passai di Fossa Alta,delliFornacie,passaidi Santa Donato del Piave, passai di Latesana Tagliamento25,doveioaveva vistotantepeneetantafame. Poi, penzava che, quanto passaidiFossaAlta,io,il24 ciogno 1918, che mi avevino presopricionieroeavevaauto tantebastonatedelleaustrice, perché era priciuniere, penzavalafamecheioaveva, e in quelle luoche, in quei tempe, c’era tanto sanque e tante pene, e ora c’era tanto bene... Come cancino a tempe 26! Cosí, io aveva nel cuore mio una crante sodisfazione a vedere quelle luoche, che non cercava neanchemanciare. Cosí,vadoaMestre,prento il treno per Bologna, e a Bologna trovaie a Ciovanni, che tutte li trene che vinevino, dalle 2 alla sera, tuttelipassaciereliquardava. Efinarmenterevaieio. Cosí, erimo un’altra volta inziemme. Cosí manciammo, ci abiammo fatto una camminata, mi ha fatto vedere tante belle luoche merevegliose e mi sono stancato un’altra volta, e Ciovannimihadetto:–Papà, se vuoi stare que, puoi stare –.Maiocihodetto:–Ionon posso stare tanto con te, perché li solde cià si sono fenite, e se staio con te un’altra ciornata si fenescino li solde, e per me è male, e nonpossovedereFerenze. E partio con tante crante sodisfazionecheCiovanniera bene conbinato. Cosí, alla sera, io, versso li 8, fu a Ferenze. Ma non era piú reconoscibile, Ferenze, perché, come si scenteva della stanzione, c’erino tante strade fatte di sotto di Ferenze, che antavino a piazza Signoria, e li tabelle erino nei sotto passaggie per farese capacie dove doveva antare. E cosí, io camminava perisottapassaggioevedeva lí dentra che c’erino tante nicozie, tante cilatariei, tante orificiarie. E compure che io ciavevastato13meseedera sicuro che era prateco di Ferenze, dovette domantare tantecose. Cosí, arrevai a piazza Signoria, e lí solo era lo stessodiquantolosapevaio. Poi, tutto era campiata, tutte ventevino cilate e cone e pizze, mentre, quanto ci avevastatoio,ventevinosolo castagnaccio. Poi, mi ne sono antato al PonteVechio,ederalostesso di come era 52 anne fa, con tante nicozia di arcentaria e tante ociette preziose di centinaiadimiliarde. Miavevapresotantecone, che erino cone che a Raqusa non sono capace di farlle, perché erino merevigliose, belle costose. Cosí, mi sono stancato e, doppo 4 ore di camminare, mi la penzai bene: lire 2.000 cià se n’avevino antato, aveva altre lire 7.000, e disse: «Facio meglio che prento l’auto che va alla stanzione e la prima corssacheparteperlaSicilia minevado». Cosí, davero vado alla stanzione, prente il treno, e partieperlaSicilia.Eramolto stanco, ma sodisfatto. Poi, penzava a Ciovanni, che io diceva: «Questo ragazzo è persope’me,chilosapeseci vieneconnoipiú…» E io penzava che voleva vedere a mio figlio avocato, perché Giovanni nella scuola avevastatopiúbravadituttei miei 3 figlie, perché a Turiddo ci n’aveva fatto reparare piú assai materie di Ciovanni,doranteli5annidi licevo scentifico, e quinte io lo reconosceva piú abile di Turiddo;peròTuriddoerapiú studioso, mentre Ciovanni penzavatantecosi,penzavaa romanze e poisiei, e quinte non poteva dare aiuto a tutte queste materie, mentre Turiddo penzava solo all’ingegneria e venni uno ingegniere di quella co’ li coglione! Poi, Turiddo aveva il caratele di suo padre, che voleva bene la famiglia e, quanto aveva solde, mi le dava. Questo Turiddo amme midavalire100.000milalire al mese. Pareca a questo Turiddo,dentralamiapovera famiglia, ci l’aveva portato il Patre Eterno. Cosí, noi stiammo antanto avante e, se non ci forra 27 Turiddo, li solde mieie della penzione non ni abastassero mai. E se nonc’eraTuriddoioprenteva acquaelanavesiafontava. Quinte, il tempo doveva campiare per Vincenzo Rabito, magare c’aveva anni 70noncifacevacaso,perché avevaunasalutebenissemo. Eintanto aspetava un’altra consolazione a vedere il mio figlio Tanuzzo ciomitra, che era il mio figlio piú dificile nellascuola,ma,comevolere bene alla famiglia, era il piú megliore, perché era molto afezionatoemoltopiúbravo, forsse perché era piú intietro nellascuola.Ioquestononlo so, perché io, per queste figlie, defrenza non ci n’ho fatto, per me tutte sono buone. E cosí, questo viaggio io, di Ferenzi a Raqusa, lu ho fattosemprepensannoaimiei figlie. Tano, tutto il mese di maggio e ciugno, studiava come umpazzo, che se ci avesse auto la volentà come cil’avequestoanno,Tanuzzo se avesse lauriato magare, perché era spertto, solo che aveva il defetto che era fiacune 28, che non voleva lavorare. Cosí, finarmente, nel mese diluglio,hannocominciatoli asame e a Tano li suoi profesoraciavevinodettoche era stato molto bravo tutto l’anno, ora si stava alla commissione che venevino dell’alt’Etalia, e bisognava magare di avere fortona nel gliesamedimaturità. Aluglio,Ciovannimantavo una lettra di Bologna che diceva: «Verso il ciorno 15 siammo di presenza». Io, sentento «siammo di presenza», disse: «Ma come “siammo di presenza”, e non dice “io sono di presenza”? Perché,questomiofiglioche vieneincompagnia?Oviene solo?» Poi, io lo disse a Tanuzzo che la letra diceva «stammo venento», e Tanuzzo mi ha detto:–Sí,sevieneCiovanni non viene solo, ma vencono collarrollotta, e viene Ciovanni, la professoressa Ciuliana,ilfiglioCallettoela cameriera, che si chiama la Nazzerena. Perché Tanuzzo lo sapeva, perché Tanuzzo Pascua si l’aveva fatto a Bologna, e Ciovanniciavevadettocheli vaganze si l’aveva affare in Sicilia, con questa amica professoressaCioliana. Cosí, io aspetava tutte li ciorne. Cosí, un ciorno davero ci ene una lettra espressa di Ciovanni che diceva: «Caro Tano, vede, vai alla stanzione, che c’ene uno bavilo nostro. Vai a prenterllo, perché altremente sipacheràlasosta». Ecosí,TanovaallaPostae hatrovatounbellobaolo,con tanta biancheria dentra. Quinte, si vedeva che questo bavolo aparteneva a persone non ignorante, ma corte, perché si vedeva lo bavilo comeera.Equinte,Ciovanne erimosicurocheveneva. Cosí, una sera, davero, all’improviso, abiammo visto che dalle scale del portune salire a Ciovanni e la sua amica senza nessuno avviso. Chi era questa? E hanno entrado dentra con tanta facilità che pareva che avessemostatoamiceditante anni. Cosí io, certo, al solito mio,vadoacomperarepaste, e ci abiammo ofertto tante cosi, di quello certo che potemmo. Cosí, Ciovanni, doppo che aveva tante mese che non era inziemme annoi, che lo spentammo con tanto affettodifiglio,mihadetto:– Papà, ci ne dobiammo antare a Marina di Raqusa, che ci avemmolipuosteprenotate–. Che nessuno lo sapeva di queste puoste, ma quello furbacionediTanolosapeva, ma amme non mi l’aveva volutodire,eneanchel’aveva detto a Turiddo. Vedete che figlie che ave questo Rabito Vincenzo! E cosí, doppo che aveva tanto tempo che precammo per venire questo figlio, lo piúpicolodiquestafamiglia, ne venniro 4, e potte stare questo figlio Ciovanni una sera, e partio per Marina di Raqusa con la rollotta, che delle rollotte a Raqusa si ne vedevino poco e niente in ciro. Cosí, all’indomane, venni, evenevatutteliciorne,stava una ora, 2 ore, e poi si n’antava amMarina. Ma un ciorno, senza che uno di noi lo sapesse, Ciovanni e la sua comitiva, forsse che sentevino molto caldo amMarina di Raqusa, penzarenodipartireepassare 3o4ciorneallaMadonnadi Qulfe. Cosí, la signora, con le stesse caratele di Ciovanni precise, con quella rollotta, prima si n’antareno a Chiaramonte, che a Chiaramonte, paese picolo, che era sempre stato immienzo alla miseria, e poi cusiretuse, vile e acente smormerature e invediose 29, epoicherollottanonavevino visto mai di presenza a Chiaramonte – solo se l’aveva visto e se l’aveva conosciuto qualcuno alla televisione, e poi basta –, quinte, vedento a Chiaramonte, propia nella piazza,fermataunarollotta,e in compagnia c’era Ciovanni e2donnecontenentalevestite di turiste, tutte correvono come scimie a quardare questa rollotta. E poie, la cente si marevegliava che c’era Ciovanni. Che Ciovanni, a Chiaramonte, lo canoscevinochieraCiovanni, echitipoeraCiovanni.Cosí, Ciovanni, senza nessuna difecortà, a queste li ha portato ammanciare nella osteriadiAngeloloMutelato, senzaafronto30cheusiammo nella Sicilia. Manciareno, antarenoaprenterelarollotta, si ci hanno messo e hanno partito per il santovario della MadonnadiQulfe. C’erino quase quase una cinquantina di curiuse che hanno assestito a questa partenzadirollotta. Cosí, si n’antareno affermarepropiaalsantovario che c’erino l’albere. Cosí la dottoressa, il posto, ci ha piaciuto, perché c’erino l’albereel’acquabellafresca. MaCiovannierapicoloenon si faceva capace che al santovario turiste belognese noncen’eranostatemai,che ai sante tanto assai non ci credono. E poi lí, propia in quello santovario, donne vestite cosí, con le veste troppo corte, non ci ni hanno maie state, perché lí non posseno stare donne di quel cenire, non adette a fare le bezocche31. Cosí, dopo, Ciovanni e la signora, con la machena, hanno venuto a Raqusa per fareme sapere a tutte noi che amMarina di Raqusa piú non c’erino e si trovavino nel santovario della Madonna di Qulfe.Epoi,sinesonoantate a Chiaramonte, facentomi capire che si dovevino fare camminate campagne campagne per chercare robba vechia di mobile vechio e chiave di caretta vechie 32, e ci abiammo salutato, e loro hannopartito. Maio,cheeralupovechio dellaMadonna,esapentoche quelle 2 donne erino troppo sportive e venevino quardate di tante curiose e di tante stubite chiaramontane, e poi io sapeva che Ciovanne era capace, se quarcuno voleva farel’opira33,dirompericela testa, e cosí io disse: «Domaneparttoeminevado a Chiaramonte, che ene il ciorno 25 luglio, – e doveva prenterelapinzione,–ecosí, poi,vadoallaMadonna»,per vedere quello che faceva Ciovanni con quella compagnia. Epoi,iomagarecidoveva annonziare che Tanuzzo avevastatopromosso,perché io aveva 3 ciorne che faceva viaggie della scuola, e li medie non l’avevino fessato. Ma l’ultimo ciorno li fessareno,eiopreselanotizia che Tanu era stato promosso con la media di tutte 7, che Tanozzo tutto mi poteva credere ma no essere promosso con quelle mangnifiche punte, che erino unveropiacereaquardalle,e tuttedicevinolialtrestudente che Tano aveva stato un valeroso. Cosí, io prento la pinzione e calo alla Madonna, per vedere quello che faceva Ciovanni.Eccocheeraquello che diceva io, pare che mi parlava il chore: che, come sono arrevato alla Madonna, Ciovanni, cià di mattina, aveva fatto costione con il vadiano della Madonna. Che quellocritinovedevaaquelle donni con li vestine corte, ci prentevino li nerve, non si sapevaquellochevolevafare, estavauscentopazzoeconli tantenervacheaveva,perché vedeva quelle campe... e Ciovannicistapevarompento ilmusso. Poi, questo critino, vede avicenareamme,echisache cosaavessepenzato,vedeche allaMadonnaerimoassaie,si prese di paura, si prente la Vespa e parte e va a Chiaramonte a direce al pareco che nel santovario c’era troppo scandolo, che c’erino turiste contenentale con vestine cortte. Cosí, lo gnoranteparecohatelefonato ai carabiniere per direce che alla Madonna c’erano turiste che nel santovario non potevino stare e, per favore, sec’eralabatugliacomantata che, per centelezza, passassero della Madonna e abisasseroaquesteturistache erino con Ciovanne, facendoci capire che si n’antasero. Cosí, davero hannopassatolicarabiniere. Io,chemiloficuravachelí non zi poteva stare, e cosí ci ho detto alla signora e Ciovanni: – Camminate comme,cheionellacontrada Parascuola 34 ci ho uno amico, propia vero amico, che ci ave una campagna, e cosí vi facete 5, 6 ciorne di stare lí –. Che c’erino tante albere e tante cose per manciare. Cosí, davero la signora prese la machena, e cosí, antiammo nell’amico mio Lucio,ecihafattotantebelle cose, ci ha fatto piazzare la roulottesuttouncrantealbere di cerzzi, e ni ha detto: – Potetestarequantovolete! Cosí, lí avevino queste vachi,calline,capre,ortaggio, vino buono, che alle bolognese ci piaceva assai il vino buono, c’erino uova fresche, latte fresco, pane di casa, era magare terra di ortagio,chec’erinozuchinee pomedore... Cosí, io disse: «Questo era il posto che si doveva cercare, non antare allaMadonna!» Poi, dopo 3 giorni, hanno partito e hanno venuto a Raqusa, che dovevino antare a Taurbina 35, ma menomale cheavevavenutoTanuzzodi Catania, altremente non zi avesse potuto fare la festa di Tano, perché si aveva diplomato. Cosí, alla stessa sera, io prese una tortta e tante dorce, e abiammo fatto unabelladivertuta. Ecosí,Ciovanne,doppo40 ciorne di cirare l’Italia e la Sicilia, il 28 aqusto si trovareno a Bologna. Che bella fortuna che ave Ciovanni che, senza spentere solde,sihaceratol’Italiaela Sicilia! Che belle ebiche che sono questeperimieifeglie! Che bella ebica hanno capitatotuttaquestacioventú! 1 afocarese:strozzarsi. 2 ilcanivo:lacanapa,lacorda. 3 magare che avevino impicicato cartte: anche se avevano soltanto attaccatomanifesti. 4 lonacava:locullava,loprendeva ingiroilludendolo. 5 NeicongressiprovincialidelPsu (Partito socialista unificato), che precedettero ilcongresso del 1968, il partito si presentò diviso tra seguaci di cinque correnti. Tra queste,appunto, quellediFrancescoDeMartinoeMario Tanassi. 6 siavevaabiato:sieraavviato. 7 ammotare:spintoni. 8 sportato:spostato. 9 Sudafrica. 10 PaternòArezzo. 11 reconoscenza:lepresentazioni. 12 stentiania:istantanea. 13 vetimo:abbiamovisto. 14 secerata:esagerata. 15 assicotanno:cacciandofuori. 16 lamorttechepottefarelafece: misentiimorire. 17 princire:riempire. 18 sivaforianto:sivaingiro. 19 desartato:disertato. 20 passeare:passeggiare. 21 campiammo:cambiammotreno. 22 smacievino:marcivano. 23 priucchie:pidocchi. 24 trata:tirata. 25 Latisana. 26 cancino a tempe: come cambianoitempi. 27 forra:fossestato. 28 erafiacune:battevalafiacca. 29 cusiretuse… invediose: curiosa, vileegentepettegolaeinvidiosa. 30 afronto:vergogna. 31 bezocche:bigotte. 32 Lachiaveèl’assechecollegatra loro le due ruote del carretto siciliano, spessodipintaconscenedell’Operadei Pupi. 33 sequarcunovolevafarel’opira: sequalcunovolevafarescenate. 34 Paraspora. 35 Taormina. Capitoloventiduesimo Cosechenonzipossino dementecare Un giorno, ancheTanozzo partio in cerca di fortuna, e poi che diceva: «Io mi ne vado a Bologna e mi scrivo all’oniversetà»,cosí,dopoun poco, scrisse Ciovanni che Tanovolevatantedocomente, che erino molto deficile a Chiaramonte per farece il certificatodiresedenza,poiil certificato di nulla tenenza, poiilcertificatodipenzione. Quanto acente dovette pregare, per questo schifio di docomente... E, tra docomente e scriverese all’oneversetà e tantealtresoldecheioaveva uscito, Tano aveva costato, conl’antataaBologna,quase 250 mila lire, senza conchiudere ancora niente, perchéGiovannimihascritto che Tano voleva venire di nuovo a Racusa, per studiare aRacusaepersparagnare1. Che bello sparagno che faceva questo Tano, che queste solde dovevino essere butate per antare e venire di Bologna. Perché Tano, a Bologna, non ci antavo per cercare lavoro e studiare, ma ci antavo solo per cercare fascista, come era lui, e fraquintarelaCasadelfascio. E questo erino li procopazione vere di Tano, non di cercare lavoro e studiare, solo cercare fascio. Iociavevaautotantopiacere che Tano, esento a Bologna, che sono tutte comuniste, Tanosiavessedimentecatoil fascio, e invece era adeventato piú fascista di Chiaramonte e di Raqusa. E quinte, ci ho penzato troppo tardi: per farece dementecare ilfascioaTano,olomantava a Bologna o lo mantava magareaMosca. Mapoi,unciorno,aTano, cihadettolatestadidireme: – Papà, io voglio antare a Bologna per studiare un’altra volta, tanto li tasse dell’oniversetàsonopagate. E io, povero babbo credente, ci diceva: – Sí, Tanuzzo, fai come meglio ti conviene, bastica studie e ti faie uno bello avenire –. Ma però io ci diceva: – Caro figlio, se vaie a Bologna non cercarequestefasciste,perché tu sestimazione non ni trove maie –. Poi che mi l’aveva detto magare Ciuliana che a Bologna li fasciste non sono potuto vedere di nesuno, ed era per questo che Tano non poteva trovare lavoro, perché era fascista. Ma Tano mi aveva assecurato che fascista nonc’erapiú,che,seantavaa Bologna, antava per studiare epercercarelavoro. Cosí,Tanosiavevaportato altrelire50milalire,equinte questo era lo sparagno che faciammo con la studiata di antare a Bologna… Però, Ciovanne mi aveva fatto sapere che Tano si aveva messo a studiare. Cosí, io, con quello che diceva Ciovanni, ci aveva critto che Tanostudiava.Invece,eraper fareme stare contente, perché non stava studianto neanche Ciovanni, che io l’ho saputo, perché io voleva essere mantato uno certificato per l’Inadelle e un altro per le penzione delle Provedenza sociale,pernonmifarelivare li suoie asegne, cosí, sebbe che Ciovanne se n’antava a Ferenze a preparare un altro romanzo. E cosí, io ci ho detto:–CaroCiovanne,setu non mi mante queste 2 certificate di fraquenza, io soldenontinemantopiú!–E cosí,Ciovannemihadettola veretà, che ancora non zi aveva scritto per l’anno 69 e 1970, perché non aveva auto lisoldeperscriverese,perché lisoldeciavevinoservitonon per studiare, quelle che io ci aveva mandato, ma ci avevino servito per fare romanzie. Che stuorte figlie chesonoCiovanneeTano! Cosí io, subito subito, ci ommantato li solde, e Ciovanne si ha scritto, e finarmente mi ammandato li 2certificatadifraquenza,eci l’ho dato alla Provedenza sociale e all’Inadelle, e ci ommantato lire 80 mila a questo Ciovanni. E cosí, Ciovanni si ha messo a studiare e lasciare stare di fare li romanze, e inni una materiahapreso27eun’altra materia ha preso 24. Cosí, io mihomessoilcuoreimpacie, cheTanostudiavaeCiovanni studiava. Poi,unciorno,mihovesto arrevare a Tano di Bologna, perché si avicenavino li feste diPascua,eluiedicevachesi doveva fare li vaganze a Raqusa, tanto che ci aveva stato sciopero a Bologna e all’oneversetà avevino rotto tutto, li studente, l’avele dell’oneversetà. E quinte, Tano disse: – Mi faccio li vaganze e studio a Raqusa, e mi sparagno di pagare lire 17.000 mila lire di penzione. Caro papà, io sono molto sfortenato, penzava di prentere il preselario e non me ne danno, e per causa a questosciopero! Io ci faceva coraggio e ci diceva: – Caro Tanuzzo, vattineallostudio,chementre c’è tuo padre vivo ti può ammantenire ancora alla scuola, se vuoie studiare –. Perché Tano, se si scriveva a Catania, con 20, 30 mila lire lo poteva ammantenere. Magarechelisoldecheaveva nella libretta li avesse fenito tutte, e magare che non avesse preso il preselario, bastica aveva una buona volentà, io era capace di ammantenillo ancora a studiare,maperònonstudiare a Bologna, ma studiare a Catania. E cosí, per davero, disse Tano:–Orastudio. E cosí, io, con questa discorsione di Tano, mi avesse critto che Tano per davero si avesse messo aposto. Mentre si avecinava la festa di Pascua, ha telefonato Ciovanneedicechevenevino con Cioliana e Calletto per farese li feste di Pascua inziemme.Ioparecheavesse preso il terno a sentire che dovemmo fare la feste tutte inziemme, speciarmente che venevaCiovanne,cheperme era chiamato «il figlio piú lontano». Ecosí,davero,ilciorno27 di marzo, davero, è arrevato Ciovanne, con Ciuliana e Calletto, suo figlio. Vedete checontentezzacheabiammo auto in famiglia, che venne Ciovanne a farese Pascua inziemme (mentre Tano ni avevadettocheCiovannenon veneva, perché doveva studiare). Cosí io, subito, ho cominciatoacomperaretanto manciare: abiammo fatto 10 scaccie di recotta, pastiere, biscotte, 10 cuoste di maiale, 5litredivinoavevacomprato a Chiaramonte, di quello di 18crade,pastieredispenacia edibirocole2,tanteporpette, tantochefuassaieilmanciare che avemmo preparato che 6 scaccie di recotta li dovettemo butare via, perché non ci fu nessuno che si li manciava. Cosí,ilciornodiPascuaio ho comperato 2 polli alli bieco3,epoietantepasteche ha comprato Ture. Abiammo fatto una bellissima festa di Pascua dell’anno 1970, tutta lafamigliainziemme. All’indomanedellunedídi Pascua,aCiovanneciserbeva un nulla vosta per uno renovamento dillo suo passaporto, perché doveva antare all’estiro per una ventina di ciorne, e quinte, prima di partire per Bologna, era meglio che questo nulla osta si l’avesse fatto Ciovannepropia. Cosí, tanto Ciuliana ci doveva antare a Siraqusa per comperare altre cose antiche, che ci aveva mandato a dire iodoveeraquestareventitadi antecuriane. E cosí, Ciovanne, Ciuliana e Calletto partierino per Siraqusa, e io e mia moglie siammo antate a racoglire lasene, per farle manciare a Ciovanne e Ciuliana e Calletto, che mamma e figlio questa verdura non l’avevino maiemanciato. Mentre venevino, Ciovanni,CiulianaeCalletto, di Siraqusa, mi hanno comperato una torta per me, perché aveva fatto il compilianno, perché il compilianno lo faceva propia il31delmesedimarzo1899. E in vita mia nessuno mi aveva fatto il compilianno, e una professoressa amica di mio figlio Ciovanni, di una delle piú migliori famiglie di Bologna, mi ha fatto il compilianno:cosechenonzi possinodementecaremaie… Cosí, il tempo passava. Ed erimo impieno tempo che c’era la campagna elitorale per i comune in tutta l’Italia, quanto sento a Turiddo che midiceva:–Papà,chefa,mi lo daie il voto che mi sono presentato consigliere nella Democrazia come cantitato a Chiaramonte?–Respontoio, e ci ho detto: – Come non ti lodo,achilodevodare!? E cosí, ha cominciato il lavoro per me. E cosí, cominciaie io a fare la propacantaperlaDemocrazia cristiana, che io, in vita mia, per requardo al partito, propagantanonniavevafatto maie. «Ma per mio figlio Turiddo, – dicevo, – ce devo farelapropaganta!» Ecosí,iotramestessomi sono conzigliato come dovevafarelapropagantaper Turiddo: che quanto vedeva uno amico mio di campagna, che era stato socialista como me, ci diceva che io aveva presentato un figlio come conzigliere nella Dimocrazia cristiana:–Cilovuoiedareil voto?–Equestomidiceva:– Ma Vincenzo, come si puole fare,cheiosonostatosempre socialista, ora devo votare democristiano? – E io ci responteva: – E io che non sono stato socialista come te, eprimadite!? E cosí, io ci diceva che: – Perquestoannopacienza,–a qualc’amicosocialisto,checi voleva dare il voto al mio figlio,l’incegnire.–Pacienza, ci areposammo. Per quest’annolafalcieemartello lalasciammo. Cosí, mi ne sono antato in campagna a cerare, e tutte quelleamicechevedeva,che erino socialiste, sempre ci diceva lo stesso fato, che per questa volta la favice e il martello la lasciammo, che poie, nelle lezione politeche, la favice e il martello la prentiammoun’altravolta. EmiofratelloVito,cheera presentato come conzigliere nelpartitoComunista,votede partito Cuminista ni ha preso 7, che non si sapeva chi ci l’avevadato! Poie,c’eraTanopresentato come consigliere comunale nel Ms italiano, nel comune di Raqusa, e quanto alla sira era a Raqusa, e vedeva a qualche cantoniere, che reconosceva che era fascista, ci lo diceva, per faore, di darecelaprefrenzaaTano. E cosí, la cente che sapevino come era composto io, dicevino: «Don Vicento per questo si ha cominato bello: a Chiaramonte fa propaganta per il suo figlio, l’incegniere, per la Democrazia cristiana e arRaqusa la fa la propaganta perilsuofigliociomitra!» Eperunasettimanaintiera, diciornosempremilafaceva a Chiaramonte per direce a chi conosceva per darece la prefrenza al n. 26 nella lista della Dimocrazia cristiana, e arRaqusaallaseraperdarece il n. 34 per Tano. E cosí, ho fattotantemalecomparseper queste10ciorne. Turiddo, però, non era capace di diracillo annesono: «Dateme il voto». Quinte, se non avesse stato io e tutte i mieie parente, Turiddo era dificileresoltare. E poie sentire a quella cretina di mia moglie che diceva che i mieie parente votononcinedavinoaTure. Vedete che razza di critina che io dovette capitare per moglie... che tutte i mieie fratelle davino il voto a Turiddo, compure che erino comuniste! Cosí, si hanno fatto li lezione comunale del 7 ciugno del 1970 e, a forza di bordello, si ha chiusu la campagnaelitorale. Alla domineca matino io, alle ore 6, mi doveva trovare a Chiaramonte al Piano del Salvatore,chevenevinotante machene comantate della Democrazia e tante auto busse comantate della Dimocraziapervotare,edera propia a queste che si ci doveva dire, certo all’amice che riconosceva che erino amice vere, ed era propia a questechesicidovevadiredi darelaprefrenzaaln.26,che eral’incegniereRabito,eche erailmiofiglio. Cosí, mi alzo presto, vado nell’avoto busse alla stanzione e vede se c’era qualchepassaggio,manonni poteva trovare. Quinte, per forza, doveva partire alle ore 8coniSchemmire 4,maalle ore 8 era troppo tarde; ma comedovevafare? Cosí, ciranto ciranto, vedevachec’eraunaLapa 5, cheantavaversoCarpentiere, e questa Lapa antava a prentere latte. Mi ce sono messo, perché io a questo lo conoscevadiquantofacevaio serviziodicantoniere. Ecosí,iopartie.Edavero, alle ore 6 e menza, mi sono trovado a Chiaramonte. Cosí, il mio scopo era cià compiletato, che ci sono revoscito. Mi sono preso una menza cranita, umpanino picolo manciaie, e mi sono presentatoalPianoSalvatore, emihotrovatoilprimodelle altre. Io mi aveva parso che doveva fare un crosso afare, ma non ho trovato ancora annesuno, ma ho trovato a NelloRossocheciravaperla piazza, e mi ha detto: – Don Vicenzo,Turiddodoveene? E io ci ho detto che lasciavo amme: – E ora ene antato verso il Pedalino, ad antareaprentere4votante–. Mentre Turiddo era a Raquasachedormeva... Recordo che era il lunedí, che ancora si votava, che poie, verso li ore 4 cominciava lo spoglio. Cosí, io e il mio fratello Paolo cominciammo a cirare per tutte li sezione, e si aveva cominciato a chiamare, e a tutte sentemmo chiamare delle schiede della Democrazia cristiana, chi uno, chi due, chi tre, chi quatro delle prefrenze, ma il numero 26, che era quello di mio figlio, non lo senteva chiamare neanche una volta. Tutte li nomera si sentevino chiamare,forachi6iln.26. Mi sono arrabiato, io e Paolo, e ci ne siammo antate a sederene nella Socità, che aveva 40 anne che sempre ni ci abiammo sedute. Io era preso tanto di collera che macare sodava, e ci ho detto ammio fratello Paolo: – Tu, se ci vuoie antare a sentire comevannoliafare,vaipure, ma io non ci vado e non ni vogliosentirepiú! Tureddo si aveva restato a Raqusa, ed era meglio che non aveva venuto... Perché, se sapeva uno fatto simile, certochesiarrabiava! Eio,ilmioconfortoerala bastemia, e diceva: «Che bellapresaperfessachefosse se non resoltasse Turiddo...» Che tante mi avevino detto: «Non ti priocupare Vincezo, che il voto a tuo figlio ci lo dammo», e avesse stato meglio che mi avessero ditto dino,invecedidiremedisí. Cosí, stapeva arrabiato, mentre vedeva che li acente cheantavinoevenevino,tutte dicevino: «La Democrazia quest’annoavelamacioranza ossaluta». Io mi priava, perché diceva: «Non credo che questa maggioranza ene tutta contraria al mio figlio! Ma allora io, questa propaganta che ho fatto, che foveleno?» Cosí, Paolo davero si ha fatto 2 passe piazza piazza, e vede che tutte li esponente della Democrazia cristiana, come sempre, erino state tanterofiane,cheportavinoli resoltatialpareco,pervedere la Democrazia cristiana dove erinoarrevatacoiresoltate.E laDemocraziaerasemprepiú avante di tutte e, anzi, sicuro che prenteva la maggioranza ossaluta.Eiodiceva:«Mase prente la maggioranza assaluta, il mio figlio perché nondovesseresoltare?» Cosí,allasera,versoliore 8 o 9 che erino, ha venuto uno e mi diceva: – Don Vincenzo, il suo figlio è cià resoltato conzigliere, perché hosequitolospogliointante sezione e ho inteso chiamare diversevolteiln.26–.Eioci diceva: – Non mi contare fissarieie, che non può resoltare, perché luie propaganta non si ni ha fatto e non ci l’aveva detto annesuno di darece il voto, e poi che il mio figlio non ci tiene, perché, magare che resortasse, all’indomane si dementesse, perché ave tante lavore a Chiaramonte e, esentoconzigliere,nonlipole fare, e quinte ci perde –. Mentre io, nel mio penziere, diceva: «Se fosse vero, che piacirecheioprovava...» Cosí io, quanto lo inteso dire tante volte che Turiddo aveva resoltato, ho preso di coraggio e mi alzaie della sedia, che aveva piú di 3 ore che era seduto, e mi sono messo a camminare per cercare dove era il mio fratelloPaoloepersapereche cosaavevaintesodireluie.E cosí, ho trovato a Paolo, e ci abiammomessoacamminare piazza piazza, e lo senteva dire da tante che Turiddo era cià conzigliere ed era al monicipio con Pipino Cafa, che Pepino Cafa aveva auto un numero di vote maggiore per fare magare il sindaco, e Turiddo cià ci hanno cominciato a dire che era cià nominato assossore alle Lavorepublice. Ecosí,iohopresorespiro, che cominciaie a essere allecro, e piú contente di me nonc’eranesuno. Cosí, erano le ore 10, quantovedochemicercavail provessore Failla come un pazzo,el’avevadettoatante: «Dove ene don Vicenzo?» E finarmentemihatrovato,per diremecheilmiofiglioaveva salito consigliere, e mi ha venuto a baciare con una impresione, come quanto 2 parente, che avevino stato inni una precolosa battaglia difecile, e sono restato vive. Io, con quella baciata, per dire la verità, mi sono sfrontato di fronte a tante acente che mi hanno quardato, ma che cosa ci ho pututo fare? Certo che il professore Failla, a Chiaramonte, non ene un essere lazzarone, ma ene uno de brave acente di Chiaramonte, e il bacio che mi ha dato ha stato senza malizia. Perché luie bene sapeva che io aveva stato sempre socialisto, e tutte i mieie fratelle socialiste e comuniste, e ora ni avemmo fattodemocratechecristiane. Ecosí,Turiddo,cheaveva stato al municipio a contrellarese li suoie voto, che foruno tutte, tra vote di lista e prefrenze, che foreno in tutto 227, antiammo a Raqusa, che arrevammo alle ore 11 e menza, tante sodisfatte. Poi, alle ore 12, enearrevatoTanuzzo,edisse che aveva preso luie nella lista del Msi a Raqusa 297 vote, ed era sodesfatto magare, e diceva che magare luie poteva resoltare conzigliere cumunale nel comune di Racusa. E quinte, Tano era il 4 di quelle che avevino auto li piú assaie vote, e Cutine, l’on., diceva che si demeteva, perché era malato,equinte,dicevaTano chedovevafareilconsigliere comunaleaRaqusa. E quinte, io era molto sodisfatto per tutte 2 queste mieie figlie, ma per Tano io non era sicuro di fare il consigliere, perché quelle 2 non si demetevino, perché il seggiononlolasciavano,poie che a Tano si l’avevino sempre giucato, perché Tano eraunragazzomoltosincero, e non era cosa di stare nel Msi, che avesse stato meglio se non ci avesse stato maie, perché Tano, causa a quello schifio di partito, ha stato sempre la sua sfortuna. Ma perTuriddociàerasicuro. E penzava le collere che aveva preso quella sera, al principio dello sfoglio, che per un’ora non aveva sentito chiamare il nomero 26, che della rabia stava morento, senza sapere che Turiddo cià eraresoltato,ecivolevapoco per resoltare Tano macare a Raqusa.Equinte,magareche solde non ni quadagnino, si trattailpiacere!Perchénonsi vivepersolesolde,masivive magarepersodisfazione. Cosí, Tanuzzo decise di partereperBologna,perchéli lezione si avevino fatto, e la custura,doppotantoaspetare, mi ha dato il passaporto per Ciovanni, e quente ci lo dovemmo mantare. Ma, ciustociusto,propiainquello ciorno, fece una telefonata Ciovanni, perché Ciovanne sempre ci antava a chiedere all’universitàperilpreselario di Tano, e questa telefonata diceva: «Caro Tano, ti hanno acordato il presalario, ti li puoievenireaprentelloe,nel medesimotempo,sièpronto, miporteraieilpassaporto». Io, della contentezza che Tano, doppo tanto aspetare perquestopreselario, l’aveva ottenuto, pare che avesse diventatoricco. Ecosí,Tanoparteteeciha portato il passaporto a Ciovanni a Bologna, che nel medesimo tempo si prenteva il preselario. Cosí, doppo tante sacrificie che io aveva fatto per questo passaporto, nonhavalitoniente,chetutto a distretto mi l’avevino fatto sbagliato! Cosí,io,unabuonamatina, mi alzo alle ore 3 e come assolitominevadoaprentere l’auto busso per Siracusa, e disse: «Ave 4 mese che per questo passa porto staio lavoranto, e per questa volta mi lo devino fare per forza, perché ene una vercogna questocovernoitaliano!» Cosí, ho partito resoluto propia per fare bordello. «E sequestecornutedeldestretto non mi lo danno in ciornata, faròqualchefissaria!» E cosí, a forma di «crugno» 7 come dice mia moglie, come arrivo a Siraqusa mi sono presentato all’impiato 8. E la prima parolachemihannodetto,mi hanno detto: – Questo passaportoquinonn’asiste–. Cosí, mi sono mensso a fare bordello. Mentre,percomminazione, passavailmarescialloAzardo e volle sapere di che cosa si tratava. E cosí, pare che a questomaresciallocil’avesse detto il Padre Eterno di passare, che nel ciro di 20 minute l’impiegato mi ha dato il nulla vosta e mi ne sunoantato! Tano, come venne di Bologna, non volle studiare piú, perché Turiddo, come l’hanno fatto asosore, ci ha dettoche:–Nonapenacisarà umposto al municipio, e si darà al concorso, speriammo chetulovinceie. E cosí, Tano si ammesso allavorare nello studio di Turiddo,per25o30milalire almese. Pacienza. Quelle solde de preselario ci l’abiammo conserbato allo scopo che, quanto prente qualche posto, ci serbono per comprarese qualchemachina. Etrammolavita. Cosí, Turiddo, intanto, si ha fatto fedanzato ofecialmente. Un ciorno, ci ha fatto fare la reconoscenza a padre e madre. Ora, tutte li ciorne si nevanellafidanzata,edentra con noie non ci mancia piú. Ora, vediammo come fenerà inapresso9. LazitadiTuriddociviene spessodentralanostracasa,e magare ci viene con sua madre. Eterammolavita. Cosí,Ciovanne,conquello passaporto, per primo ha scritto una cartollina dell’Austria, la 2conta cartollina la scrisse di Berlino, la 3 cartilina la scrisse di Storcarla 10, la 4 cartilina la scrisse della Francia, dove diceva che voleva essere mantate qualchecosadisolde,eioci l’ho mantato. E ci l’ommantato come aveva mantato a dire luie, con la derazionechemiavevadetto luie: «Al signore Rabito Ciovanne, ferma imposta Madride(Spagna),passaporto N.5399902IP». Cosí, io subito ci l’ho mantato con un vaglio telecrafico,chemihacostato lire quase 4.000, e doppo 8 ciornel’hareceutoescritto2 altre cartoline della Spagna: uno era di Valencia. E cosí, Ciovanne diceva che viene a settembre. Cosí, io stava tranquillo conquestamantatadisoldedi Ciovanne.Manondoròtanto la mia tranquilletà. Perché vennelafestadelSalvatoree, io e mia moglie, Turiddo ci ha portato con la machina a farenevederelafesta,eciha fatto scentere alla strada nuova. Cosí, Turiddo si n’antò e io con quella mia moglie antiammo alla villa per sederese e prentere unmpoco di aria chiaramontana,perchéfaceva un cardo di morire. Cosí, abiammo stato un’ora e poie abiammo partito per antare a bedere uscire il santissimo Salvatore. Propia nello uscita dellavilla,percompenazione, mi ho vido presentare al mio fratello Paolo e il suo cenero e ci hanno domantato come stiammo di salute. Certo che mia moglie, se d’era veramente figlia di acente nobile, non c’era di bisogno di scapare come una lavantaia, che pare che a vedere al mio fratello Paolo avesse visto a uno cane rognoso che ci avesse mischiato la rugna. Vedete checolleracheiohopresoin quella disonesta partaccia di donna! E sapete quanto si leva questo veleno? Quanto si compessa e mi dice: «Haie raggione, Vincezo. È vero che tu mi haie fatto nobile con queste figlie che avemmo». E cosí, potissemo livare questo veleno e fare una vita felice. Masonosicurochequesto velenocontinia! Poi, il ciorno 23 acosto, erimo belle quase che avemmofenitodimanciare,e abiammo sentito che c’era una telefonata della Tonisia. Io, mia moglie e Tano dissemo tutte spaventate: «Ma che potesse essere a telefonare annoie?», sapento sentere che Ciovanne era nella Spagna. Ma era propia Ciovanne che, della Spagna, sineeraantatoinTunesia.E cosí,cihadetto:–Caropapà, ci hanno fregato li solde, mantateme lire 50.000 a vaglia telecrafica, che fra 3 ciorne siammo di presenza a Raqusa. Quinte, era la domineca, il ciorno 23 acusto, e quinte, il mercolidí, Ciovanne veneva. E quinte, io penzaie che non erino solde che ci l’avevino fricato, ma erino solde che l’avevino fenito, ma io, che per i mieie figlie non ho quardato maiei intresse, all’indomane, voldire il ciorno 24 acosto, come si ha fatto ciorno, che nella notata non ho dormito perché ci doveva spedire queste solde, mi alzo e vado al banco a prenterelire60.000efareceil vaglio telecrafico di lire 50.000 mila lire, con questo intrizzo: «Rabito Ciovanni, fermapostaTunise(Tonisia), passaportoN.5399902IP». E cosí, aspetiammo che viene questo figlio, che si ha cirato l’Austria, Cermania, Portocallo, Inchiliterra, Francia, Spagnia e Arceria e Tunisia. Cosí io, con tutte li solde che ho speso, non mi fanno impresione, bastica il mio figlio viene con una buona salute e se ne va a studiare e si lauria e penza perl’avenire. Io, alla matina, che era il mercolidí, aveva comperato tanto manciare, perché alla sera vineva Ciovanne, ma erino li ore 11 e Ciovanne nonveneva.Cosí,erimotutte priucopate. Cosí, io e tutte penzammo che, secome i ciornale portavino che nel Medio Oriente c’ene il qualera 11, e tutte li turiste straniere che dovevinorientrareinItaliaci dovevinofarelavacinazione, equinte,io,pertuttalanotte del mercolidí, che poie doveva aciornare il 27, non dormie. E cosí, spetammo per tutta la ciornata del ciovedí, e ancoranonvieneCiovanni.E hanno passato altre 3 ciorne senza avere notizia di Ciovanne. Ma, finarmente, alla dominica, abiammo receutounatelefonata,edera propia la voce di Ciovanni chediceva:–Io,conCiuliana eCalletto,siammoarrevatoa Bologna con l’aerio, e fortenatamente che abiammo trovato il posto, perché in Tunesia c’ene umprincipio di malatia di quarela e ci doventerovacinareperpotere rientrareinItalia,eneancheli lire 50.000 mila potte prentere. Cosí, io ho preso una crante preocupazione con tutta la famiglia, che Ciovanninonpotteprentereli solde e malate potevino essere. Ci ho domantato quanto veneva e mi ha detto che veneva fra 6, 7 ciorne, e mihadetto:–Sequellesolde vi le danno, mi li mantate, e altrementeniente. Cosí io, tutte li matine, faceva viaggie alla Posta per vederesearretornavinolilire 50.000, che aveva mantato a TuniseaCiovanne,epenzare se vineva Ciovanne da Bologna, per vedere se era bene di salute o era ammalato. Il dattiloscritto si interrompe qui, all’agosto del 1970. Durante gli ultimi anni della sua vita, Vincenzo Rabito nonpotéscriverepiúniente. Moríil18febbraio1981. 1 sparagnare:risparmiare. 2 birocole:broccoli. 3 polliallibieco:polliallospiedo. 4 GliSchembari. 5 Lapa:Ape. 6 forachi:tranne. 7 a forma di «crugno»: facendo l’ingenuo. 8 impiato:impiegato. 9 come fenerà in apresso: come finiràinseguito. 10 Stoccarda. 11 qualera:colera. Illibro L’autore Indice Terramatta Notadell’editore. Notadeicuratori. Terramatta I.Comegarzonello II.Caruse,ilsoldatopassa! III.Trenceia IV.AtuornodelPiave V.Lafebrespagnola VI.Vintalaguerrapersoil manciare VII.Alliconfini VIII.Revolozione IX.Chitarreemandoline X.Camicianera XI.Licantieredell’Ogadenne XII.Impriacodinobilità XIII.Laquerraincasa XIV.IlcarbonedellaCermania XV.Hannotrasutoliamirecane XVI.Trabrecanteecarabiniere XVII.Ilpilonell’uovo XVIII.Costòquantocostò XIX.L’oniversetà XX.Lostudioperl’incegniere XXI.Larollotta XXII.Cosechenonzipossino dementecare Illibro L’autore Copyright