6 - DropPDF

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6 - DropPDF
LDB
VincenzoRabito
Terramatta
AcuradiEvelina
SantangeloeLuca
Ricci
Einaudi
Notadell’editore.
Vincenzo Rabito ha scritto
la sua autobiografia, su una
vecchia Olivetti, per sette
annidellasuavita,trail1968
e il 1975. Il prodotto di
questo lavoro è un’opera
monumentale, forse la piú
straordinaria fra le scritture
popolarimaiapparseinItalia:
si tratta di 1027 pagine a
interlinea zero, senza un
centimetro
di
margine
superiore né inferiore né
laterale, come si può vedere
dalla prima pagina del
manoscritto, che riportiamo
inaperturadellibro.Dopola
morte dell’autore, l’opera è
rimasta in un cassetto fino al
1999, quando il figlio,
Giovanni Rabito, l’ha inviata
all’Archivio
diaristico
nazionale di Pieve Santo
Stefano, presso cui è
conservataeconsultabile.Nel
2000 ha vinto il «Premio
Pieve - Banca Toscana» per
diari, memorie, epistolari
inediti.
Può essere utile qui
riportarelamotivazionedella
giuria:«Vivace,irruenta,non
addomesticabile, la vicenda
umana di Rabito deborda
dalle pagine della sua
autobiografia. L’opera è
scritta in una lingua orale
impastata di “sicilianismi”,
con il punto e virgola a
dividere ogni parola dalla
successiva.
Rabito
si
arrampicasullascritturadisé
per quasi tutto il Novecento,
litigandoconlastoriad’Italia
econlamacchinadascrivere,
ma disegnando un affresco
dellasuaSiciliacosídensoda
poter essere paragonato a un
Gattopardo
popolare.
L’asprezza di questa scrittura
toglie la speranza di veder
stampato, per la delizia dei
linguisti, questo documento
nella sua integralità. “Il
capolavoro
che
non
leggerete”, cosí un giurato
propone di intitolare la
notizia
sull’improbabile
pubblicazione
di
quest’opera».
La presente edizione si
cimenta proprio con la
scommessa di poter far
leggere
il
«capolavoro
impossibile»: si tratta di una
versione
ridotta,
ma
restituisceconfedeltàiltesto
dell’autore. Per arrivare a un
simile risultato sono stati
preziosi i contributi del
ministero per i Beni e le
Attività culturali, nell’ambito
delle
pubblicazioni
di
rilevanteinteresseculturale,e
della Augustea, società
sicilianadiattivitàmarittime,
che hanno consentito la
trascrizione e la prima fase
dellacuracriticadeltesto.
Quel che ci preme ancora
aggiungere è che si è voluto
rispettare in ogni modo lo
stiledell’autore,cosícomelo
spirito battagliero che anima
le sue pagine dalla prima
all’ultima: l’immediatezza
espressiva e linguistica che
caratterizzal’interotestoèun
tratto peculiare e ineludibile,
ma per tutelare le persone
citate abbiamo deciso di
modificare i nomi, e di
eliminare gli elementi di
riconoscibilità.
Notadeicuratori.
Il testo che qui si presenta
èunasceltadalle1027pagine
deldattiloscrittooriginale.
I criteri cui ci siamo
attenuti hanno inteso dar
conto dell’intero percorso
biografico dell’autore e della
sequenza
dei
blocchi
narrativi. Inoltre abbiamo
voluto a ogni costo rispettare
le
scelte
linguistiche
dell’autore, conservandone
quasi
integralmente
la
peculiare grammatica. Nostra
è invece la suddivisione in
capitoli,
paragrafi
e
capoversi, dove l’originale si
presenta come un flusso
continuo. Abbiamo operato
alcune integrazioni solo nei
casi in cui si rendevano
necessarie
per
la
comprensione di frasi o
passaggi narrativi. Tali
interventi sono limitati al
minimo indispensabile e
sempreindicaticonilcorsivo.
I principali interventi si
sono
concentrati
sull’ortografia
e
la
punteggiatura. Nel primo
caso si è cercata una
mediazione tra leggibilità e
caratteristiche espressive. In
particolare, abbiamo inserito
l’h nel verbo avere e i segni
diacritici secondo l’uso
corrente. In alcuni casi
abbiamo scomposto le parole
che
Rabito
scriveva
abitualmente
unite
(diaiutarle,famorire), in casi
sporadici abbiamo viceversa
ricostruito unità lessicali che
si presentavano graficamente
scomposte (inafabeto per i
nafabeto).
La punteggiatura originale
prevedeva un uso ipertrofico
del punto e virgola, e un uso
sostanzialmente casuale delle
altreformedipunteggiatura.
Il
nostro
criterio,
finalizzato alla leggibilità, è
stato di regolarizzare la
punteggiatura cercando, nel
contempo,
di
restituire
l’oralità propria di questa
scrittura.
Le note a piè di pagina
sono di contestualizzazione
storicaegeograficaoppuredi
tipo linguistico, per chiarire
termini dialettali o l’idioletto
dell’autore.
Lospiritoconcuiabbiamo
lavorato è stato quello di
restare il piú fedeli possibile
alle intenzioni dell’autore, al
suo desiderio di raccontare
con semplicità e a tutti le
proprieesperienzedivita.
Terramatta
Capitoloprimo
Comegarzonello
Questa è la bella vita che
hofattoilsottoscrittoRabito
Vincenzo,natoinviaCorsica
a Chiaramonte Qulfe 1,
d’allora
provincia
di
Siraqusa, figlio di fu
Salvatore e di Qurriere
Salvatrice, chilassa 2 31
marzo 1899, e per sventura
domiciliato
nella
via
Tommaso Chiavola. La sua
vita fu molta maletratata e
molto travagliata e molto
desprezata.Ilpadremoría40
anne e mia madre restò
vedova a 38 anne, e restò
vedova con 7 figlie, 4
maschele e 3 femmine, e
senza penzare piú alla bella
vita che avesse fatto una
donna con il marito, solo
penzava che aveva li 7 figlie
da campare e per darece
ammanciare.
Ilpiúcrantediquestefiglie
si chiamava Ciovanni, ma
Ciovanni di questa nomirosa
famiglianonnivolevasentire
per niente; se antava
allavorare,quellepochesolde
che
quadagnava
non
bastavino neanche per lui, e
quinte quella povera di mia
madre era completamente
abilita 3. Mio padre, con
quelle tempe miserabile, per
poterecampare7figlie,conil
tantolavoro,nimoríconuna
pormenita 4, per non antare
arrobare e per volere
camminare onestamente. Ma
il Patreterno, quelle che
voglino vivere onestamente,
in vece di aiutarle li fa
morire.
Cosí, il seconto di questa
nomerosa famiglia era io. Ed
era io, Vincenzo, che cosí
picolo sapeva che mia madre
aveva molto bisogna dai
figlie, perché era senza
marito. Io non la voleva
sentire lamentare perché non
aveva niente per darece
ammanciare ai suoi figlie. I
tempe erino miserabile, li
nostre
parente
erino
miserabile come noie. E
quinte, non zi poteva antare
avanteinnesunomodo.
Quinte,iofuinatoperfare
una mala vita molto
sacraficata
e
molto
desprezata. Quinte, mia
madre era con la stessa
mintalità di mio padre, che
non voleva antare arrobare
per campare ai suoi figlie, e
neanche mia madre voleva
fare la butana, come tante
famiglie che fanno tutte le
porcarieie per potere sfamare
ai suoi figlie, mentre mia
madtrevolevaantarereavante
onestaamente.
Io era picolo ma era pieno
di coraggio, con pure che
invece di antare alla scuola
sono antato allavorare da 7
anne,
che
restaie
completamente
inafabeto.
Quinte io, che capiva che
cosa voleva dai suoi figlie
miamadtre,perfaresoldeimi
n’antava magare 5 allavorare
lontano di Chiaramonte,
bastiche 6 io portava solde a
miamadre.Perchémiamadre
non dormeva alla notte,
perché penzava che aveva 7
figlie:chelopiúcranteerada
14o15anne,ioVincenzoni
aveva 11 o 12 anni, e la piú
picolafiglianiaveva3mese.
Quinte io solo penzava che
per manciare ci volevino
solde,pernonmoriredifame
questa famiglia senza padre.
Cosí, mia madre sempre
diceva: «Menomale che
c’ene 7 Vincenzo che porta
qualche lira per dare aiuto
alla famiglia». E deceva
sempre che quanto portava
solde «mio figlio Vincenzo
sempre veneva cantanto e
allecro», ma quanto non
portava
solde
«veneva
arrabiato e bestimianto,
perché non poteva sentire
lamentare alla sua madre
perché non c’era niente che
manciare».
Che brutta vita che io
faceva! Ciovanni neanche ci
penzava,Vitoeradi9annee
magare che faceva qualche
cosafacevadasé,miasorella
aveva 7 anne e antava alla
scuola, ma, con quelle
miserabile
tempe,
il
desonesto coverno non dava
neanche uno centesimo per
potere
comperare
uno
quaterno, perché voleva che
tutte li povere fossemo
inafabeto, cosí io questo lo
capeva. Pure, poi, il
desonesto coverno che
comantava non dava maie
asegne, e dovemmo stare per
forza non inafabeto solo, ma
magaremoltedifame.
Ma io mi piaceva il
manciare, ma mi piaceva
magare di cercare il lavoro,
perché era sempre pieno di
coraggio e di cercare lavoro,
compureche 8 aveva auto la
sventura che restaie senza
padre e mia madre senza
maritoeipoveremieifratelle
e li picole 3 sorelline
restammo tutte senza quida e
senza nesuno che ci
comantava.
Tutte
comandammo e la pendola
nonbollevamaie.
Cosí, venne il mese di
setembre. Io sapeva che a
Vitoria 9 era tempo di
ventemmia. Una matina alle
ore 2 mi alzo con 4 mieie
compagne piú crante di me e
ci ne siammo antate a
Vettoria di notte a piede.
Cosí, alle 6 di matina,
fuommo a Vittoria. Per
strada, certo che avemmo
manciato tanta racina 10
perché ni l’avemmo fotuto
dorantelastrada.
Cosí, a Vittoria, invece di
cercare lavoro, con i mieie
compagnecheavevino6anne
impiú di me, mi hanno
portatoalcasinodovec’erino
li putane, che il prezzo di
questeputaneeradi5soldee
ioqueste5soldenonliaveva,
solo che aveva il manciare
per 4 ciorne, che mia madre
mi aveva dato 4 pane di un
chilo. E quella era la mia
propietà.
Quinte, li mieie compagne
hanno fatto quello che ci ha
piaciuto e poi amme mi
hanno detto: – Vicienzo, e tu
chefai,niente?
Io aveva 12 anne, e certo
che queste putane, per lecie,
nonmidovevinofareentrare,
masecomeiocihodettoche
ni aveva 18 come li mieie
compagni, ebbi la fortuna di
entrare pure. Cosí, i miei
compagni hanno messo un
soldoperunoecihannodetto
a queste putane che solde io
nonniaveva:–Cosí,sevuoi
che questo fa cosa, ti deve
acordare con poco solde –.
Ma la putana ha detto sí. E
cosíio,permioconto,ebbela
crantefortunadiconoscirela
primavoltalidonne.
Cosí manciammo, ciusto
che il primo lavoro
l’abiammofatto.
E ci n’antiammo impiazza
per vedere se c’era qualcuno
che ni voleva portare
allavorare. Ma io fui uno dei
fortonate,conpurecheeralo
piú picolo, che vedo a uno
che erino amice con il mio
padre, che sapeva che era
morto, e mi ha detto: –
Vicienzo, ci vuoi venire a
straportare racina con uno
cavallo, che il quadagno ene
di70centesimealciorno?
E io ci ho detto che erino
poco. E lui mi ha detto: –
Vicienzo, vede che tu sei
picolo?Equantoaunocrante
nonlopuoiquadagnare...
Cosí, io ci ho detto che ci
antava, perché diceva che 4
soldealciornomilimanciava
di pane e 10 solde mi
arrestavinoperportalleamia
madre.
Cosí, lascio perdire ai
mieiecompagnieminesono
antato con quello, che mi ha
portato a Santa Tresa 11,
vecino al paese de Adecate,
che in quei tempe lo
chiamammo
«Bischere».
Cosí, mi hanno dato un
cavallo con 2 crosse
canciedde 12, che d’ogni uno
ci mitevino 100 chila di
racina, e io la doveva
trasportare con il cavallo al
palmento 13.Quinte,illavoro
era per me molto bello,
sempreantavaacavallo.
Ma si quadagnava poco.
Perché quelle che erino
crante, che avevino 20 anne,
quadagnavino 2 lire, quente
prentevino per 3 volte piú di
me. Ed io penzava: «Che
fosse bello se trovasse un
lavoro per quadagnare lire 2
magare io, quanto portasse
piú solde ammia madre». E
daverotantolodicevacheha
cascato malato uno dai 6
operaie che raccoglievino
uva. E secome per forza
dovevino essere 6 per fare
pareepercarecareilcavallo,
cosí penzareno che il figlio
del padrone straportasse
racina e io fare il lavoro che
faceva quello ammalato. E
tutte mi hanno detto che se
eracapacedifareillavorodi
quello io quadagnava lire 2,
comelidavinoaquello.
Cosí io, come mi l’hanno
detto, pare che mi avessero
dato una bella colomba di
Pascua:lascioilcavalloemi
metto con il cortello
comisano, che io sempre lo
portava, a coglire racina, che
per coglire racina era miglio
diquelle5uominecrante.Poi
che queste conoscevino alla
buon arma di mio padre e ci
l’avevino tutte a piacere che
io quadagnava quanto uno
crante. Tanto che, quanto io
butava l’uva sopra il cavallo,
vedevino che io non ci la
potevabutare,perchéeraalto
il cavallo, e ci la butavino
loro, e io racoglieva altra
uva.
Sempre cosí, ho fatto 15
ciorne di quello lavoro con
una sola camicia e con uno
solovestito.Perchénonc’era
alltro, perché non ci poteva
antare al Chiaramonte a
campiareme, perché doveva
antareapiede,eselasciavail
lavoro, poi non lo trovava,
perché c’erino tante acente
checercavinolavoro,equinte
doveva stare sempre con lo
stesso vestito, che poi, nelle
ultime2ciorne,dallacamicia
nonc’erarestatonientepiú,e
neanche delle pandalone,
tutto aveva strapato, e tutto
sporco era. Ma io a questo
noncipenzava,solopenzava
ammanciare e li lire 2 che al
ciornoquadagnava.
Cosí, sempre pieno di
enercia, si ha fenito il lavoro
e cianno dato a tutte 6, 10
chilediuvae4litredivinoe
50 cocia di salda salata 14,
perché era una conzetutene
antica. Cosí io prento quella
uva, la metto in uno
recepiente, che io lo
chiamava «panaro» 15, che
l’avevafattoiostesso,eli50
cociadisaldaelapagacheil
padronemihafatto,a2lireal
ciorno, quanto dava a quelle
crante. Cosí mi ha liquitato
lire 30, che il patrone mi la
datto tutte spicile, che ho
preso una carzetta e ci lo
messo, e cosí li altre 5 si ne
sono antate a Vittoria per
vedere se trovavino ancora
lavoro, ma io era tutto
spaventato
che
aveva
quadagnato lire 30 e lavoro
non ni voleva cercare piú.
Cosí parto con quello panaro
diracinasopralispalle,vado
chec’eralastradacheparteva
de Bischire e antava a
Chiaramonte, che c’erino piú
di15chilomitre.
Lalecriachecifuinquella
casa, con quelle lire 30 e
quellauva,lipiciriddenonsi
lo potevino dementecare
maie. Cosí, mia madre,
poveretta, si arrechito con
quelle solde. Che ebiche di
meseria che erino nel 1911 e
1912, che c’era la querra a
Tripole e mia madtre sempre
lo diceva: «Figlio mio, se io
non avesse a te, potesse
morire, e il Dio te lo deve
recompenzare».
Cosí io, non potento
trovarelavoroaChiaramonte,
mi veneva magare la
provedenza di furostiere,
tanto che un ciorno si ha
presentato uno amico di mio
padre, e ammia madre ci ha
detto: – Gnora 16, ciusto che
siate
in
una
brutta
setovazione, – che questo
sapeva il bisogno che c’era
nellafamiglia,–quinte,c’ene
uno
amico
mio
di
Rammichele 17 che ave di
bisogno di umpiciotieddu
come garzonello. Se ci lo
voletemantareViciento,cilo
potete mantare, che ene uno
pagatore questo, figlie non ci
ne ave, e sua moglie lo
respetta.Cosí,cidàunamano
di aiuto a suo marito a
travagliarenelleterre.
Io,chemitrovaiepresente,
che per quello momento
lavorononniaveva,subitoci
ho detto: – Massaro Rosario,
quantomidàognimese?–E
luimihadettochemifaceva
dare2tumila18dicranoelire
5d’ognimese.Eiosubitoci
hodetto:–Civadovolentiere
–.Mamiamadrenonvoleva,
perché era lontano questo
paesediCrammichele.
Ma io, sempre pieno di
anercia e di coraggio, ci
deceva sempre che ci antava.
Cosí, il massaro Rosario mi
ha detto che mi dava magare
da manciare. Io, che per
manciare era molto bravo, ci
ho detto che ci antava subito
subito, però, prima voleva
essere pagato anticipato, non
con li lire 5, ma con li 2
tumila di crano, perché
sapeva che mia madre farina
dentracasanonniaveva.
Cosí,daveropartiemmo,io
a cavallo allo scecco 19 del
padrone,eilmassaroRosario
con il suo scecco. Cosí, di
Chiaramonte a Crammichele
c’erino piú di 30 chilomitre,
ma per me che aveva 12, 13
anne, esento a cavallo
all’asino, ce ne potevino
essere magare 50, era lo
stesso, tanto che io ho
salotato a mia madre e partie
cantanto.
Erino li 2 di notte quanto
partiemmo. Faceva freddo,
ma io non lo senteva, perché
era sempre allecro quanto li
cose mi antavino bene e
quadagnava. Io era desperato
e bastemiava quanto non
avevalavoro.
Recordo che erino i prime
ciorne di marzo del 1912 e
alle ore 8 di mattina il
massaro
Rosario,
il
Picireditto, mi ha portato a
Crammichele e mi ha
presentato al padrone, che
questosichiamavailmassaro
MatteoAluzzo.
Cosí, questo mi ha fatto
parlare magare con sua
moglie, che era una berava
donna, che, compure che io
era di 13 anne, li donne li
conoscevacomeliconosceva
uno crante. Ma, per dire la
verità, lui, il padrone, amme
mihaparssozaurdo20perché,
come abiammo arrevato, mi
hadetto:–Cometichiame?–
Eiocihodetto:–Vicienzo.–
Siete revate tardo! Oggie
lavoronipotiemmofarepoco
–.EilmassaroRosariociha
dettochepartiemmoalle2,e
perstradamagarehapiuuto.
Che volete fare? Era ebica
miserabile, che li padrone
comantavino e l’operaie se
dovevino mettere sempre
solattente quanto parrava il
padrone, e l’operaio non
dovevaparlare,perchésubito
lolicenziavino,perchéleggie
noncin’era.
Cosí,lasignoraRosamiha
fatto 2 uova fritte subito
subito, mi ha dato una bella
pagnottadipanebellofresco,
un fiasco di vino, un bel
pezzo di formaggio. Con il
massaro Rosario si hanno
salutato,chequelloavevauna
campagna vecino, e io quella
crante pagnotta di pane di
massaria, che era piú di 2
chile la stapeva consumanto,
perché aveva una fame di un
lupo.
Il
massaro
Matteo
quardavolapagnottaeilvino
eilformaggioesihafattola
croce, perché io aveva
manciatoassaie.Esuamoglie
restavo con la bocca aperta a
vederememanciare.
Cosí, il massaro Matteo
avevamessopronte2animale
con li valde 21, non piú
sceche, ma 2 mule. Cosí, mi
ha detto: – Vicento, ora che
haie manciato antiammo
allavorare –. Aveva tanta
fretta per partire, mentre che
sua moglie, compure che era
una donna, gli diceva: –
Matteo, questa matenata non
ti conviene di partire, perché
io ho quardato del barcone e
sta per venire l’acqua, che,
avante che arrevate sul
lavoro, piove, e vi la pasate
malavialtreemagarelimule.
E cosí, il massaro Matteo
ha fatto li prime chiachire di
fronte amme con sua moglie,
dicenduce che li donne, di
campagna,nonnicapiscinoe
sonostubite.Lasuamoglieci
ha detto: – Bagnite come un
maiale, che non importa
nienteamme.Midespiaceper
Vicenzo, lu caruso 22, che si
bagna e per li mole –. E si
n’antò.
Cosí, ci abiammo messo
uno capotto di campagna per
uno, cravacammo 23 sopra li
mule e partiemmo. Io non
tinevapauracheeraacavallo
allemule,mamifacevamalo
il culo, perché aveva stato a
cavallo 5 ore di Chiaramonte
a Crammichele e il culo
l’aveva tutto limato, ma non
mi ne curava per niente,
bastica era a cavallo alla
mula.
Cosí, partiemmo per la
contradaversoMezzarone 24,
che in quei tempe non era
paesecomeora,c’eraqualche
casaepoibasta.
Cosí, camminammo per 3
oreesiammessoapiovere,e
io diceva tra me: «Aveva
racione sua moglie che ci ha
detto: “Tu, nella tua vita, sei
statosemprebestia”».
AmMezarone c’era uno
pagliaio e ni ci abiammo
messo dentra, ma era lo
stessodiesserefuore.Cosí,ci
abiamo bene bagnato dalla
testa alle piede, e il padrone
mi ha detto: – Vicienzo, per
oggi lavoro non ni potemmo
fare, non ci abiammo
quadagnato neanche il pane
che ni abiammo manciato –.
Cosí, ci abiammo messo a
cavallo e partiemmo per
Crammichele.
Finarmente, revammo e
suamogliecihadetto:–Che
ti lo diceva che piuveva! – E
lui, con la rabia che non
avevaraggione,cihadetto:–
Rosa, statte muta, perché
prento la capezza 25 e ti do
tante bastonate –. E sua
mogliecidiceva:–Che,vuoi
fare vedere che sei sperto 26,
che c’ene Vicienzo lu
chiaramontano? – E lui,
arrabiato come un cane, la
voleva aferrare 27, ma lei si
n’antònelpianodisopera.
Cosí,
doppo
che
manciammo, potevino essere
li 7 e menza di sera, che
poteva avere una ora che
aveva tramontato il sole,
quanto ci sento dire a questo
zamarro: – Vicenzo, fai
presto ammanciare che
dovemmo antare a dormire,
perché oggie lavoro non zi
n’ha
fatto,
e
quinte
speriammo che lo faciammo
domane. Quinte, all’una
questa notte partiemmo.
Quinte,antantoadormirealle
8,sono5oredisuonnocheci
faciammo.
Io ho detto: – Come,
massaro Matteo, io questa
nottemisonoalzatoalleore2
e sono morto di sonno e ora
vossia mi vole fare alzare
all’una? E cosí io quanto
devo dormire? – E allora mi
hadetto:–Io,perchétipago?
Tu, figlio mio, ancora sei
piciriddo e non sai che il
padrone ti paga e, come ti
paga, tu ce deve dare il tuo
lavoro.
Per la prima sera, davero,
come mi sono corcato nella
stalla, mi sono dormintato
subito. E sua moglie venne e
mihadetto:–Sesientefredo,
tiportoun’altracoperta–.Ma
iocihodettochefredononni
senteva.
Cosí, davero, questo
zaurdo, propia quanto io era
nel miglio suonno, mi sento
chiamare: – Vicienzo, alzite
cheèl’una!–Iocertochedel
letto non mi poteva
specicare28,eluie,conlasua
zaurdane che aveva, mi ha
levato la robba di sopra e mi
hotrovatoscoperto.Eluiche
stava preparanto li mule per
partire.
E partiemmo, non piú per
Mezzarone, ma partiemmo
per un’altra contrada che si
chiamava Ciurfo. Ma per
Ciurfo, di Crammechele, ci
volevino, come diceva lui, 4
ore. E quinte, partendo
all’una, revammo alli ore 5.
Quinte, secondo questa
bestia, che cosa dovemmo
fare alle ore 5, che aciornava
alle6emenza?
Cosíio,quantosonorevato
a Ciurfo, lui lavorava con
quelle 2 mule e io apresso
apresso seminava li cece, ma
iodinottenonvedevaniente.
Cosí, venne la prima
domineca; e alla domenica il
massaroMatteovolevacheio
doveva alzareme presto per
antaremeasentiremelaprima
messa, mentre la sua moglie
ci antava verso li ore 8, a
sentirese la messa. E mi
avevatantafiduciaammeche
io ci doveva antare di dietro
alla sua moglie, senza che io
mi facesse vedere di lei, per
vedere se sua moglie, per
strada, quanto antava alla
messa,parlasseconqualcuno,
e poi io ci lo doveva dire. E
cosíiohoprovatochequesto
era umpezzo di zaurdo, e
cornuto, chi voleva sapere
propia di uno ragazzo come
me, per vedere chi parlava
con zua moglie, e io ci
doveva dire il punto dove se
fermava.
Che bestia che era! Che
aveva feducia amme, che io,
se lo poteva abruciare lo
bruciava, perché mi faceva
lavorare notte e ciorno, e
29
sparte
sempre
minazandome di bastunate...
E io, invece di metereme di
acordo con lui, mi sono
messo di acordio con sua
moglie, che mi respetava
daverocomeunverofiglio,e
sparte, quanto mi veneva a
dire nella stalla: «Vicienzo,
chevuoiqualchealtracoperta
per il freddo?», vineva sopra
il mio letto a stoziniareme,
cheseiovolevafarecosa,era
sempre pronto, questa bella
padrona!
E,finarmente,ioperquelle
marito e moglie aveva
deventato piú sicuro di uno
figlio.EilmassaroMatteomi
ha detto: – Vicienzo, vaie a
compagnareallasignoraRosa
alla messa –. Perché era il
Ciovedí Santo, che messe ci
n’erino piú assai. Quinte lui
erarileciuso,comecapevaio,
maconsuamogliaallamessa
non ci voleva antare, perché
era celuso, perché la moglie,
esentoconilmarito,nondava
compedenza annesuno e
Matteo non poteva vedere
niente, mentre, antantece io,
quella sapeva che io era
forostiereeparlavaconilsuo
amico.Certocheiociaaveva
capito tutto de che cosa se
tratava: che lui era molto
lavoratore, troppo zamarro,
ma era troppo cornuto. E se
per caso sapeva che io era
dacordio con sua moglie,
certo che qualche notte io
antava a fenire butato nel
fiumediCiurfobastonato.
Cosí, piú ciorne passavino
piú paura io teneva di questo
zaurdo,poichelidonnesono
tutte li stesse, che qualche
volta, bisticianto con il
marito, la signora ci poteva
dire che era uno uomino
inutele, perché gli diceva:
«Tu haie feducia di uno
caruso, vercogna!» E si
potevinoscoprirelecarte.
Cosí, penzava alla fuca.
Tantolilire5mil’avevafatto
dare.
Cosí, una notte, io fece
finta di dormire, ma doppo
che passareno 2 ore, mi alzo
piano piano e escio della
porta che c’era nella stalla
dove noi usciammo con li
bestie.Vedoiltempocheera
troppo bello, la luna c’era,
l’ario era scoperto. Mi sono
vestito di coraggio, acente 30
per le strade non ni
passavino, non zi senteva
nesuno romore. Escio fuore
piano piano, chiudo la porta
piano piano, e parto a Dio e
alla fortuna. Io che aveva
fattotuttelimaleserviziecon
questa famiglia, io che
doveva scopare macare la
stalla, io che aveva a dare
sodisfazione a sua moglie, io
che la domenica aveva
acompagnareallasuamoglie,
io che mi doveva alzare
sempreall’unaediceva:«Per
questo che li piciotte non ci
volenostare,perchésifaceva
malavita», e questa malavita
io non la volle fare piú, e
alzaiel’incegnoescapaie.
Cosí, senza vedereme
nesuno,hotraversatoilpaese
e ho preso la trazera 31 che
antavaaCraniere32,cheiolo
sapeva che poi caminanto,
con la luce della luna, mi
faceva capace dove era, che
quellastradaportavaalfiume
chiamato «il fiume di
Mezzarone»33.
Teneva paura che, come
era l’olario che si alzava
quella bestia di Aluzzo,
antanto nella stalla e non
vedento
amme,
avesse
montatodifuriaeprentessela
mula e partisse a cercare
amme strade strade, e se mi
avesse trovato mi avesse
bastuniato. E io camminava
quantopiúfortechepoteva.
Cosí,
finarmente
ho
passatoilfiume,pacienzache
ponte non ci n’era e dovette
passare con tutte li scarpe. E
menomalecheacquacin’era
poco. Camminava come un
desperato a passo di
bersagliere.
E cosí, a mezzociorno, io
fu a Chiaramonte. E mia
madre, come mi ha visto, si
ammesso a piancere, che
aveva 20 ciorne che non mi
vedevapiú,chesapevacheio
eraarRammichele.
Poi che era tutto sudato e
una tosse fortisema che
aveva, poi che il suo marito
aveva morto con una
pormonita, ci pareva che io
avesseafarelafinechefeciil
mio padre. Cosí, mi ha fatto
corcare,mihafattounatazza
di vino bollito zuccarato, e
cosíiocihoracontatotutto.
Poi, recordo una volta che
non potiamo fare niente a
Chiaramonte che lavoro non
ci n’era. Io e Ciovanne
sapemmo che arRadusa 34
c’era lavoro, che ni l’aveva
dettounoamicodimiopadre.
E io e Ciovanni partiemmo a
piede.
L’amico di nostro padre si
chiamava Lavoria. Questo
aveva umpezzo di terra
simenata a fave e secome ci
avemmo detto che cercammo
lavoro ni ha detto: – Caruse,
se volete lavorare, scepate 35
erbanellefave,cheiovipago
aunaliraalciorno–.Quinte
noi, che sentenno una lira al
ciornoerinobuone,perchéni
abiammo fatto il conto che,
facento 15 ciorne, erino lire
15–l’ebicheerinomiserabile
davero –, ci abiammo messo
allavorare.
Fupropiaquellotempoche
si cominciava a sentire dire
chelaCermania,laFranciae
l’Ichilterra si dovevino
antrare in querra propia nel
1914. E tutte li ciornale
dicevinochedovevascopiare
unaquerramontiale,chetutte
li piciotte dovevino antare in
querra. E mio fratello
Giovanni mi deceva: – Per
ora,conisoldimegliocheci
adevertiemmo36perché,seci
chiamono, delle solde non ni
avemmochecosafarene.
E io, che era piú picolo: –
Poi, quanto li fenisci, li vuoi
essereprestatedime...
E per questa parola che io
ci ho detto, ni abiammo
aferrato 37,chepoivenniro2
a farene fare pace, e quanto
hanno saputo che erimo
fratelle (perché quello aveva
preso ammio fratello per li
spalleperbotalloaterra,eio
inveceavevaaferratoaquello
che ci stava facento un malo
ammio fratello), mi ha detto:
–Ahsí,fratellesiate?Perme,
ora vi potete rompre l’ossa,
ora che so che siete fratelle,
perché che sparte ave la
meglioparte38.
Cosínihannodetto:–Fate
come cazzo vi piace –. E ni
hannolasciatofotere.
Cosí, io ci ho mantato lire
15 ammia madre, ma
Ciovanniniente.
Io e mio fratello Ciovanni
erimo inafabeto, perché alla
scuolanonciavemmopotuto
antare, però, con la boca che
ci avemmo, nesuno si lo
poteva credere che erimo
inafabeto. Cosí, diciammo
che solo con una crante
querra potevino respetare ai
lavoratori. Io e Ciovanni
erimofortesocialiste,manon
sapemmo né lleggire, né
scrivere, e passava questa
mincia 39. Solo la cente
potiemmo sentire parlare e
c’imparammo qualche cosa
permezzodellacente.
Cosí, davero il 24 maggio
1915, che a mia madre ci
stavino crescento li figlie per
quadagnare solde, scoppiò la
querra. Io diceva che aveva
15anneemagare16,cheper
arrevare a chiamare amme ci
volevino 4 anne. E quinte, io
erasicurochelaquerranonla
faceva.MaCiovanni,cheera
piúcrante,lapotevafare.
Cosí io, quanto vedeva il
librodimiasorellacheantava
alla scuola, mi veneva la
voglia di cominciare a fare
«a, i, u». Quinte, cercava di
ampararemequalchevocalee
linumira.Ecosí,pianopiano,
quanto una volta ho fatto un
nume 40diummiocompagno
di lavoro che si chiamava
Vivera, e io, quanto sono
stato capace affare «Vivera»,
mihaparssocheavessepreso
il terno! E cosí, piano piano,
senza esserre prodetto 41 di
nesuno, fra poche mese mi
sono imparato a capire cosa
voldirelascuolaeconoscire
linumira.
Ecosí,lecevailciornale,e
cosí cominciaie a capire
quantosoldatemorevinonella
querra, che piú va, piú aspra
sifacevalaquerra.
Matuttomipotevacredere,
menocheiodovevaantarein
querra.
Cosí, un ciorno hanno
chiamato a mio fratello
Ciovanni, ma lo hanno fatto
revedibile perché era troppo
corto. Quinte, mia madre si
ha fatto il cuore e dice: – I
mieifigliesonotroppocortee
soldatononnifanno.
Cosí, con questa scopiata
di querra, cominciareno a
chiamare uomine per fare li
soldate. E certo che il lavoro
cominciava ad esere umpoco
abondanteelamiafamigliasi
stapeva comincianto a stare
bene, perché c’era magare
Vito che lavorava. Ma Vito,
magare che lavorava, solde
nonniportava,macomunque
bastica faceva per quanto
manciava. Io e Ciovanni
antiammo
forostiere,
e
magare che tante solde non
portava, ma sempre non era
come prima, che c’era piú
miseria e noi che erimo piú
picoleenonlavoravanesuno.
C’era io che portava sempre,
ma con quelle solde che
portavaio,difrontea7figlie,
chepotevafarequellapovera
di mia madre? Ma ora che
c’era questa crante querra il
lavoro c’era e mia madre
diceva: – Figlie mieie, come
Vitosimetteallavorare,pure
siete 3. Pavolo era nella 2
elimentare, e come fa la
quarta viene allavorare con
voi altre, e cosí siete 4. E io,
con 4 che lavoreno,
potiammo comperare una
casa!
E il conte del povero non
resoltamaie42…
Cosí,miamadre,quantoci
portammo solde, poveretta, li
salvava,
propia
perché
penzavacheerasenzacasa,e
poi che aveva 3 figlie
femmene: una che aveva 11
anne che antava alla V
elimentare, che era molto
intellecente e mia madre la
voleva mantare sempre alla
scuola perché era donna; poi
c’era Pipinedda che aveva 5
anne e Lucia che ni aveva 3
anne.
E
campammo
discretamente perché mia
madre ci aveva messo solde
daparte.
Si aveva trato il conto che
in 2 anne, con li solde che
portammo,potevafareladota
alle 3 figlie femmine e
magare qualche picola casa
poteva comperare. Ma conte
fatte che non puotino
renesciremaie!
Io era cacomioso 43 per
natura,emiamadrelostesso,
poicistapemmofannocrante,
ni cominciava a piacere di
ampararene aballare, ni
cominciava a piacere il
vestire biduzze, perché non
erimo persone arretrate che
stiammo
sempre
a
Chiaramonte. Io avia cerato
tante paese, aveva cirato
Catanie,quintemipiacevadi
quadagnare solde, ma mi
piacevadivestirebene.Cosí,
tutte diciammo che, se
sequitammo allavorare, cosí
la nostra famiglia si alza.
Conte male trate! Che ci
faciammo li conte senza il
propietariodellataverna!
E cosí, amme mi aveva
venuto una chiamata per
antare a fare uno mese di
lavoro alla Contessa vecino
traCela44eVittoria.Emine
sono
antato
lontano
apositamente per quadagnare
lire 5 al ciorno. Che, fenento
queste15ciorne,venevinole
festediCarnevale.
Che, in queie tempe
miserabile, quanto veneva
Carnevale, nelle famiglie
povere era una festa crante e
una festa di allecria e di
aballare e festa di manciare,
perché si manciaveno li
macaroneeillardodimaiale,
perché, per tutte li ciorne,
della pastasciutta non zi ne
poteva manciare, perché per
le famiglie povere il Patre
Eterno la crazia di manciare
pastaasciutoilpoverononci
l’aveva concesso, che ci
l’aveva concesso solo il
ciornodiCarnevale.
Cosí,
cominciammo
allavorareeabiammofattola
quindicina. Che al veneredí
sera dovemmo antare al
Chiaramonte,
che
la
domenica doveva essere il
maledetto
ciorno
di
Carnevale, e quinte certo che
c’erapreparatopastaasciutta,
lardo di maiale, vino e fave
atorrate45perultimo.
Quanto allecria che c’era
nella famiglia nostra con
quellapendolacrantepienadi
macarrona con il suco di
lardo di maiale! Ricordo
sempre quello momento che
erailciornodidominicail18
febraio. Erimo tutte i figlie a
tavola che era mezzo ciorno.
Tutte
rediammo,
tutte
contiente e allecre, e stavimo
penzanto che dovemmo fare
magareunafestaperaballare
tra noi ciovenotte, perché
contente
come
questo
Carnevale,consoldeassaiee
con manciare assaie, non ci
avemmostatomaie.Epoiche
la nostra famiglia erimo tutte
a tavola senza che nesuno
mancava. E mia madre che
tuttasepriava46perchéaveva
li suoi figlie tutte presente. E
quanto abbiammo inteso
abossare alla porta e mia
madre va a vedere chi è, e
vede uno appontato dai
carrabiniere che dice: – Non
si spaventasse, signora, che
non c’è niente di male. Chi
staquiRabitoVincenzo?
E mia madre responte: –
Sí,èmiofiglio.
E cosí l’appuntato dice
che:–Ogginiabiammo18,e
il20febraio,alleore10, suo
figlio se deve trovare a
Siraqusa perché il coverno,
per resistere affare la querra,
ave di bisogno dei piciotte
della chilassa del 1899 dei
prime4mese,equestaenela
cartolina precetto –. Mentre
hanno chiamato amme e
l’appuntatomihadetto:–Tu,
ciovenotto, fatte coraggio,
che deve antare a fare la
querra. Quinte lunedí de sera
dovete essere tutte pronte. E
che non parte, deve partire
conicarrabiniere!
Eccomo come antavo a
fenire tutto il devertemento e
tutta l’allecria di pianto...
Cosí,tuttelibellepenzateche
aveva fatto Vincenzo si
hannobruciatotutte.
Cosí, restammo tutte
spaventate. Io che sempre
diceva che per antare soldato
civolevinoancora3anne!
Cosí, nel paese assocesso
una rebeglione, perché tutte
erimo 35 che dovemmo
partire, e a Chiaramonte ci
n’abitammo10elialtreerino
in campagna. Quinte, il
maresciallo e il sindaco
hanno chiamato a un certo
Fortonato Paolo e un certo
PaololoCavallaro–chetutte
2questePaole,unoeraquello
che vanniava li sceche 47
quanto erino messe all’asta
conilpugniramento(chetutte
li domeniche, con lire 5, si
poteva uno liberare uno
scecco di queste fallite
padrone), l’altro era che
vanniava li pescie e il
tampuro sonava paese paese
quanto c’erino fallenzie 48 di
picole nicozie. Cosí, il
maresciallo e il sindaco
presero a queste 2 Paole con
il tampurino e partiero per
tutte li campagne di
Chiaramonte per direce che
tutte li piciotte che erino dai
prime 4 mese della chilassa
1899 che domane devino
partire, e se non partino,
partenoconicarrabiniere.
Cosí,intuttoilterretoriodi
Chiaramonte, ci ha stato un
casodeldiavolo.Parterecosí
allampo49!
Cosí, tutte ni preparammo.
Chepianceva,pianceva…
Certochesidovevapartere
perché era tempo di querra e
se uno non parteva certo che
lo potevino magare fucelare.
Cosí, di queste partente, ci
n’enecheavevinolimulecon
licarrette,elihannomessoa
desposezione.
1
Chiaramonte Gulfi, oggi in
provinciadiRagusa.
2
chilassa:classe.
3
abilita:avvilita.
4
Il padre Salvatore
morí di
polmonitenel1908.
5
magareomacare:persino,pure.
6
bastiche o bastica:purché,basta
che.
7
c’ene:c’è.
8
compureche:benché.
9
Vittoria, oggi in provincia di
Ragusa.
10
racina:uva.
11
Santa Teresa, frazione del
comune di Acate, che prima si
chiamava Biscari. Oggi in provincia di
Ragusa.
12
canciedde:canestri,gerle.
13
palmento: grande vasca per la
pigiatura dell’uva e la fermentazione
delmosto.
14
50 cocia di salda salata: 50
sardesalate.
15
panaro:cesto.
16
gnoraogna:signora.
17
Grammichele, in provincia di
Catania.
18
tumila:tomoli.
19
scecco:asino.
20
zaurdo:zotico.
21
valde:bisaccechesiappendono
aifianchidelmulopertrasportarecibo
esementi.
22
caruso:ragazzo.
23
cravacammo:montammo.
24
Mazzarrone, un tempo frazione
delcomunediCaltagirone,inprovincia
diCatania.
25
capezza:redini.
26
sperto:furbo,ingamba.
27
aferrare:colpire,picchiare.
28
specicare:staccare,spiccicare.
29
esparte:epergiunta.
30
acente:gente.
31
trazera:stradasterrata.
32
Granieri,frazionedelcomunedi
Caltagirone.
33
Il fiume Dirillo, che segna il
confine tra le province di Catania e
Ragusa.
34
Raddusa, in provincia di
Catania.
35
scepate:strappate.
36
ciadevertiemmo: ci divertiamo,
ciscialiamo.
37
ni abiammo aferrato: ci siamo
azzuffati,siamovenutiallemani.
38
che sparte ave la meglio parte:
chifaleporzionihapersélamigliore.
39
epassavaquestamincia: e non
servivaaunaminchia.
40
unnume:unnome.
41
prodetto:protetto,allievo.
42
Eilcontedelpoverononresolta
maie: e il conto del povero non torna
mai.
43
cacomioso:pocospendaccione.
44
Gela.
45
atorrate:tostate.
46
sepriava:sicompiaceva.
47
vanniava li sceche: bandiva,
urlando,gliasini.
48
fallenzie:fallimenti.
49
all’istante.
allampo: all’improvviso,
Capitolosecondo
Caruse,ilsoldatopassa!
Edaveroillunedí,alleore
11,erimotuttenellapiazzadi
Chiaramonte con 8 carrette,
che tutte ci abiammo messo
tutto il manciare che ni
avevino preparato li nostre
mamme.Cosí,recordochela
piazza di Chiaramonte quella
nottedel19febraioerapiena
come fosse la festa della
Madonna, perché tutte li
famiglie, picole e crante,
erinonellapiazza.
Iociavevaammiamadree
i mieie fratelline e sorelline
chepiancevino,manonc’era
niente che fare, si doveva
partire per forzza, perché li
carabinierel’avemmosempre
a tuorno a tuorno, che erino
nella piazza per vedere chi è
chenonvolevapartire.
E poi, dovemmo antare a
raciuncere Modica con li
carretta,chiapiede,chisopra
li carretta, perché Modeca in
quei tempe era il cercontario
di Seraqusa. Che poi da
Modecadovemmoprentereil
treno che ne portava
deretamente a Siraqusa, che,
in quelle brutte momente,
trene ce n’erino poco, e
magare
che
c’erino,
camminaveno quanto un
cavallo con la carrozza,
perché sempre se fermaveno,
che sempre mancava il
carbone.
Io penzava che per
chiamare amme chiamavino
magare a Ciovanne, perché
era piú crante di me, e
penzava che mia madre
ancora che diceva che ci
avevino cresciuto li prime 2
figlie, che poteveno dare
aiuto a quelle picole, e, per
causa a questa querra, non
potenodareaiuto,cheinvece
di portare solde ammia
madre, li doveva mandare lei
annoie, che il ladro coverno
ni ha chiamato per antare a
fareneammazare.
Alleore7diserarevammo
a Siraqusa. Che bello
Carnevale!
Che
bello
devertimento che abiammo
fatto! Che belle conte che io
miavevatratocheconquelle
2 mese di lavoro che io
dovevafaremidovevavestire
polito, mi doveva fare
fidanzato per la festa della
Madonna!
Che
conte
sbagliatechehofatto!
Cosí, io a Siraqusa non ci
aveva stato maie. Cosí, ci
hannoportatoatuttedentraa
unachiesa,cihannodatouna
scatoletta di carne e una
pagnotta. Che ni avessero
potuto fare ammeno, perché
ci avemmo tanto manciare
checil’avevinodatolinostre
mamme. Ma noi non
volemmo
niente,
ma
volemmo uscire fuore. E
invece niente. Nella porta ci
hannomessolisentenellecon
il fucile, soldate di quelle
anziane, che, se parlammo di
uscire, queste ni decevino: –
Povere capelle, ora cià vi la
speciate... 1. Avete voglia di
piancere! Questa volta vi
hanno capitato qua, qui non
siete piú a casa vostra, che
c’ene la mamma che vi
conforta,quisietesoldate.
Quinte, queste anziane
soldatenispotevino 2,invece
di farece coraggio. E
restammo dentra quella
chiesa come li salde, strette
strette, con poco di paglia,
senza materazzo e senza
niente – e questa paglia era
pagliadegliealtresoldateche
avevino venuto prima di noi.
E poi ci hanno dato una
picola coperta da campo, che
non si poteva neanche
comigliare 3unametàdinoi,
compurecheerimopiciridde.
Che bella festa di Carnevale
cheabiammofatto!
Alle ore 7 sonavo la
sbeglia e vennero 5 soldate a
portareceilcafè.Madelcafè
non ni avemmo di bisogno,
perché erimo tutte morte di
sonnoetuttearrabiate,perché
ni avevino messo dentra
quella chiesa strette, che
come noi non c’erino messe
neanche quelle della cella.
Qualemaloavemmofatto?
Cosí, preso il cafè, venne
un capitano a compiarece 4
perlaprimavoltalicoglione,
facendoce capire: «Ragazze,
non siete piú borchesi ma
sietesoldate».
Cosí, per tutta la ciornata
di Carnevale, che era il
martedí,nonfacevinoaltrodi
domantarece di dove erimo,
quanto anne avemmo, di chi
erimo figlie. Per tutta la
ciornata ci hanno rotto li
coglione, invece di farece
uscire,evedereSiraqusa.
Mentre si hanno fatto li 6
disera,ecihannodestrebuito
il vestito di soldato a tutte,
senzasaperecheeraluoncoe
chieracorto,senzasaperechi
eracrossoechieramacro.Il
necesario era che ci
vestievinodisoldato.Quente,
in quella chiesa socesse una
crante composione: che
c’erino ragazze che la ciacca
non ci antava, e invece ce
n’erino che li pandalone ci
n’antavino 2 di noi. Che uno
diquestoerapropiaio,cheli
mieiepantaloneerinoperuno
che era ummetro e 90, e
quinte io poteva essere
ummetro e 50, quinte, quelle
altre 40 centimetre, dove li
dovevaprendere?
Cosí, cominciammo a
scampiare tutte uno con
l’altro. E per 2 ore dentra
quella chiesa menomale che
sante non ci n’erino, perché,
con le tante bestemie, certo
chelifaciammosperire.
Poiliscarpe,tuttedi44.A
tutte stavino lareche. Poi
c’erinolichiode,comequelle
che metevino quanto ci
campiavono li scarpe alle
scecche, che apena erimo
nella strada non potiemmo
camminare perché cascammo
per terra. E cosí, ci abiammo
fatto subeto persovaso 5, che
dinascostoconlabaionettaci
abiammo terato li chiode. E
cosí fommo sicuro di
camminare.
Cosí,cihannodato2liredi
trasferta, un’altra pagnotta e
un’altra scatoletta e il zaino
conilcorreto,chenoiancora
non sapemmo che cosa era
questo correto. Comunque ci
hanno riempito lo zaino, ci
hanno dato il fucile, il tasco
dapanepienodicarrecatoree
altrecosechecivoglionoper
uno soldato, che noi ancora
nonlosapiammo.
Come tutte fuommo fuore
della chiesa, il capetano ci a
dette: – Attente! Avante,
marcia! – E ci hanno portato
allastanzionediSeraqusa.
Cosí, potevino essere li 11
di sera, propia nello stesso
ciornodimarte,allastanzione
c’era la tradotta pronto, che
erafattapropiapernoi.Cosí,
d’ognivaconecimetevino40
di noi, mentre che, quanto
questevacuneportavinomole
o cavalle o asene, ci ne
metevino 8. Quinte, nel
vacone stesso c’era scritto:
«mule o cavalle 8 e soldate
40». Quinte ci hanno ratato
moltobene!
Poi non c’erino neanche
sedile,
quinte
tutte
allempiede, quinte fuommo
ancorapiústrettemessedella
chiesa. E cosí, il nostro
confortoeralabestemia.
Poi, per tutte le vacone,
c’erano2soldateanziane,che
ci decevino: – Non fate
bordello perché alla prima
stanzione, come se ferma il
treno, io haio ordene di
refedello al capitano e antate
afenirealtrebonalemiletare,
e quinte fate meglio che fate
selenzio!
Cosí, il treno partio e fu
terza notte che non abiammo
dormito. Che descraziata vita
checihadatoilPatreEterno!
Cosí,
allindomane
arrevammo a Palermo. Cosí
io, Palermo, non lo
conosceva. Ci hanno portato
nella caserma Basso. Non
tutte, ma una cinquantina di
noi, mentre li altre l’hanno
portato a altre caserme.
Quinte, ci hanno asegnato un
letto e ci hanno detto che ce
dovemmo spedire li robe di
borcheseallenostrefamiglie.
Chequestoful’ultimodolore
per noi, perché spedianno li
robbe non c’era speranza piú
di vestirene di borchese. E
noi,conlilacrimealleochie,
abiammo spedito li robe, che
per le nostre famiglie era un
dolorelostesso.Poi,cihanno
datol’intrizzocheeraquesto:
al soldato Rabito Vincenzo,
310 bataglione, caserma
Basso,Palermo.
Che poi ci hanno dato 2
ciorne di reposo e un ciorno
di libera uscita per cerare
Palermo. E poi noi, Palermo
Palermo, con quelle robe di
soldato che avemmo messe,
che non erino ammisura per
noi, e carose che erimo, ci
atocava6difarecostionecon
li palermitane, che di dove
passammo ci facevino la
frinza7,ciprentevinoinciro,
specielipalermitane,cheper
naturasonostomacose 8, che
quanto parlavino facevono
cerare li coglione con quello
parlarestubitocheavevino.
Ma pacienza per i prime
ciorne, che non erimo forbe.
Ma, piano piano, abiammo
fatto coraggio, poi che ni
stiammo dementecanto alle
nostre mamme e li nostre
famiglie, e cominciammo a
fare strincere li robe e fare
vedere che erimo soldate, ed
essire magare spereduse 9
comelisoldate.
Cosí, cominciammo a
cerare tutte li casine che
c’erino a Palermo. Ma io
soldenonniaveva,perchémi
avevaportatolire10,cheper
fortuna mia madre ci l’aveva
salvate. Ma con lire 10, che
cosapotevafare?ASeraqusa
miavevinodatolire2,edera
padronedilire12.Cidaveno
2 solde al ciorno. Menomale
che non fumava, perché
ancora non mi aveva
imparato a fumare! Li donne
del casino volevino lire 0.50.
Quinte, d’ogni 5 ciorne ci
davino10solde,machecosa
potiammo fare? Io con lire 5
mi aveva fatto aciustare la
ciacca e i pantalone e mi
hannorestatolire7.
Poi, certo che passavino li
ciorne, e piú va, piú furbo io
mi faceva. Che c’erino
soldate anziane dentra la
caserma con noi che ni
potevinovenirepadre,perché
noi avevamo 17 anne e loro
ni avevino 42 (perché il
coverno per la querra aveva
chiamato sutto li arme 25
chilasse, dal 1875 al 1899).
Quinte, c’erimo padre e
figlie, tanto che in quella
caserma
c’erino
2
chiaramontane soldate vechie
che mi decevano: – Qui,
soldato, se non zi arrancia 10
nonpuòandareavante.
Quinte, io ho cominciato a
capire che cosa voleva dire
«arranciare»echevolevadire
fottere qualche paio di
pandalone a quelle soldate
sacie 11 e irasenne 12, uscire
della porta con 2 para di
bandalone–cheeral’inverno
esiportavailcapotto...
E cosí, cominciaie a
ranciareme, perché senza
solde non poteva camminare.
Perchéiomiavevacastiato13,
che una sera ho fatto una
brutta comparsa 14: che mi
n’avevaantatoalcasino,cosí
io, che non aveva solde, mi
stava seduto dentra il casino.
Poi, li donne si sedevino di
sopra di me, ma io non mi
voleva smovere, perché
sapeva che solde non ni
aveva. E la donna si
arrabiava.
Cosí,aunacihannopreso
li nerve, si ha preso il
berretto, si l’ha portato in
camira, si ha corcato, si
ammesso nuda facendome
vederetutto.Io,checiantava
apresso per fareme dare il
berretto,ecomehovestoche
eracontuttofuore,nonciho
dettochesoldenonniaveva,
mi ci ho messo di sopra, e
come io fece quello che mi
piacevadifare,mihopresoil
berretto. Ma quella donna
volevaesserepagata.Iosolde
non ni aveva, e la dovette
pagare con 2 tempolone 15
che mi ha dato lei, e sparte
selensio dovette fare, perché
lí dentra c’era l’ordene che
chi non pagava veneva
denonziato. E mi ha detto: –
Figlio mio, quanto uno è
picciriddo e non have solde,
nellecasenoncideveantare.
Ma io il piacere mi l’ho
passato,e2tempolonediuna
donna non mi hanno fatto
niente, e diceva: «Magare
d’ogni sera mi potesse fenire
cosí, che con 2 tempolate io
mi passasse questo crante
piacere!»
Ma, comunque, io senza
solde non poteva camminare
e cercava sempre come
poteva fare solde. Poi io non
ene che era stato un tipo
colleggiale,ioerauntipoche
aveva stato campagniolo, e
nella campagna sempre il
contadinosiarrancia.
Ma poi abiammo fatto il
ciuramento,
siammo
deventate anziane, e tutte li
lavore li facevino fare annoi.
Ecosí,pernoi,hacominciato
unavitadacane.
Il manciare era poco,
istrozione tutte li ciorne,
marcie tutte li ciorne, tire di
fucileedimitragliatricetutte
liciorne,tiredibombetutteli
ciorne, e magare c’era
qualche ferito, perché certi
volte le bombe non
scopiavino bene e scopiavino
sopra di noi stesse. Quinte,
non vedevimo l’ora che ci
amparavino a sparare e ci
portavinoalfronte.
Un ciorno, non ho potuto
capire il perché una mattina
nella nostra camerata socesse
l’iferno, che tutte quelle che
dormemmo
in
quella
camerata non ci hanno fatto
uscire neanche per antare a
fare la marcia, ci hanno
lasciato dentra, e sparte ci
hanno messe li sentenelle
davante la porta per non fare
uscire annesuno. Che poi ni
hanno fatto capire che
c’erimo 35 soldate in quella
caserma e tutti e 35 dicevino
lemedececheavemmiiltifo
e una specia di tifo che
magare mischiava alle altre.
Cosí, noi fuommo piantonate
tutte, che non potemmo
parlare con li altre, ma io
però, per conto mio, non mi
sentevaniente.
Cosí, partiemmo per
portarene allo spedale, ma
quantorevammoallospedale,
mi recordo bene che non
c’erino puoste e hammo
telefonato per dove c’erino
puoste libere per noie. E ci
hanno portato allo spedale di
Trapone16.
Io a Trapene non ci aveva
statomaie,maeratuttocirato
dimare,elitrampe17c’erino,
e ho visto che era una cità
bellissima. Cosí, ci hanno
portato allo spedale e ci
hanno fatto l’analese, e io e
altre5nelsanquietifononni
abiammo.Cosí,noirestammo
umpoco libre, che potiammo
uscirefuore.
E ci facevino fare i
serviente, che ci mantavino a
fare la spesa a tutte 6 per
comperareilmanciareatutte
li ammalate, non quelle che
avevino venuto di Palermo
sole, ma a tutte li ammalate,
che ci n’erino piú di 400
cento. Cosí, stesimo 20
ciorne, ma 20 ciorne di
parariso. Che bella vita di
Traponecheioelialtre5che
abiammo fatto! Pecato che
fenemmo, perché il tifo
quario a tutte e dovettemo
reantrare a Palermo un’altra
volta...
Poi, un ciorno venne
l’ordene di partire e lasciare
Palermo, dandoce, come
quandoabiammovenuto,una
pagnota e una scatoletta. E
dovevamo partere per la
stanzione, prentere la stessa
tredotta con le vacone che
c’era scritto: «cavalle 8 e
uomine40».
«IlFante» 18 l’aveva detto
tante volte, per fina che 19
daveropartiemmo.
Cosí, revammo a Siraqusa
e perdavero ci hanno portato
al destretto, che c’erino tante
medice. Ci hanno fatto
spogliaretuttinude,echiera
abile per la fanteria lo
lasciavinostareinfanteria–e
ni hanno portato nella solita
crante chiesa –, ma chi era
abile per i bersagliere li
mantavino alla stanzione per
antare a raciuncere il suo
recemento.Poi,magare,cine
foreno 2, che erino di
Auqusta 20, che erino tutte 2
piú di 2 metre – che a
Palermo, quanto marciavino,
erino una mereviglia di
quant’erino lunche, e li
meteva il capitano sempre
davante–,equesti2lihanno
mantatoaRoma.
E cosí, tutte ci abiammo
deviso, e restammo tutte
quelle che dovemmo fare la
fanteria.
Cosí:
«Adio
Palermo,–iodisse.–Nonci
vediammo piú. Adio soldate,
–cheaveva4mesicheerimo
amice, che avemmo fatto
l’istrozione anziemme. – Chi
losasecivediammopiúcon
questa querra! Che lo sa
quanto ni potemmo restare
vive!»
Cosí, ci hanno messo
dentraaquellachiesa,sempre
con lo stesso sestema di
umpocodipaglia,semprecon
quella sola coperta. Solo che
4 mese prima faceva molto
freddo, che era febraio, e ora
famoltocaldo,cheerinoli19
ciugno. Quinte nella chiesa
con il tanto caldo, e poi che
erimoassaie,nonzicipoteva
stare.
Però, come si deceva,
erimo lasciate libere, senza
fare né strozione e né niente.
C’era la sbeglia per il cafè,
c’eraladonataperilrancio,e
poi c’era la donata per la
retirata alla sera alle ore 9,
perché c’era la pello per
vederecheèche21eraasente,
che non veneva a dormire,
che
veneva
dichiarato
«deserture» e mandato al
carceredoppolaquerra.
Però, si deceva, che
dovemmo stare 5, 6 ciorne e
poi dovemmo partere da
Seraqusa per una ingnota
distinazione, che c’era scritto
nelle ordene del ciorno. E
certo che tutte diciammo che
questa distenazione ingnota
era che ci dovevino portare
allaquerra!
Poi, c’era l’ordine che
quelle che erino vicine delle
paese di Siraqusa c’erino
premie di permesse, ma
quelle che erimo di Modica,
Vitoria, perfina a Pozallo,
queste premie di permesse
non c’erino, perché erino
lontano,checivolevino2o3
ciornediviaggio.
Cosí io, che era di
Chiaramonte, speranza di
avere permesso non ci n’era.
Quinte, da parte mia, diceva
che, partenno di Siraqusa, se
partevaperfareceammazzare
e la mia famiglia non la
vedevapiú.
Cosí, per la prima sera,
corcatodentraaquellachiesa
strette strette, e il caldo che
faceva, penzava che voleva
tagliare la corda per antare a
Chiaramonte. E cercava uno
buono compagno che avesse
auto la stessa edea mia di
scappare,perchéallaseraalla
pello cenn’ereno 30 e 40 che
scapavino, tutte soldate dei
paese vicine, che poi, come
vedevino la sua famiglia,
venevino e li mitevino
impreciune, ma li suoi
famigliel’avevinovisto,però.
«Quinte io, – pensai, – se
trovo umpaisano che ave la
stessa mia testa, scapammo e
ci
n’antiammo
a
Chiaramonte,ecomefeniscie
feniscie, tanto la mia vita eni
fenita che, se partiemmo di
qui, ci portino in querra, e
non c’ene speranza di restare
vive, quinte ammeno 22
scappoevedoammiamadree
imieifratelle».
Cosí, passai una notata di
penzareacheèchel’avevaa
dire per scapare, di tutte li
paisane che c’erino. Quinte,
io penzai di dillo a un certo
Panasia Vito, che era lu piú
saggio e lu piú amico di me.
Perché Vito Panasia tutto
quello che diceva io lui
faceva, e di notte era capace
di camminare, e malavita ni
avevafattopiúassaidime,e
poi che era campagniolo
come me, e poi sempre era
apressodime,chetantepasse
facevaioRabitoetantepasse
faceva Panasia, solo che io
era con uno puoco di
chiachira e Panasia non
parlava tanto. Quinte io,
come aciornava, non c’era
tempo di perdere di direce a
Panasia:
«Vito,
n’aie
coraggio?Lovuoifarequello
che dico io, di partire per
Chiaramonte e antiamo a
vederelinostrefamidie?»
Cosí,ciabiammofattouna
camminata, e racontatece se
voleva scapare, e lui non si
l’hafattodire2volte,chemi
ha ditto: – Vicienzo, come
dicetu,partiemmo.
E io ci ho detto: – Questa
serastessa.
Cosí,allaserastessa,piano
piano preparammo li zaine
nella chiesa, che non c’erino
tante soldate, perché tutte se
neantavinofuorescapate,ma
non quelle lontano di paese
comenoi,maquellecheerino
di Noto e del cercontario di
Noto; poi quelle di Vittoria,
Modica e Raqusa niente, e
stavinocirantoSiraqusa,epoi
qualcuno che stava bene di
famiglia,chemagareerinodi
Chiaramonte, ci venevino li
propia famiglie a trovare alle
figlie. Ma per me, Vincenzu
Rabito, non ci veneva
nessuno a trovallo, perché
miamadtrenonpotevavenire
a Siragusa a trovaremi,
perchécivolevinosolde.
Poi che, propia in quello
mese,avevapartitomagareil
mio fratello Ciovanni per
soldato e mia madre aveva
perso li 2 figlie piú crante,
che ci dovevino dare
ammanciare.
Cosí, io preparai lo zaino
bello pieno di quanto piú
assaie robba ci pote mettere,
magare ci ho messo 20
cocchiaia, che amme una mi
l’avevino robato e io per
ventecazione mi ne ho preso
20, perché aveva deventato
unolazzarone.
Ci abiammo carrecato lo
zaino, il fucile, l’irmetto, ci
abiammo calato il sottocola
come per fare capire che
erimocomandateperantarea
fare la sentenella alla
stanzione,checosíilpiantune
della porta ni avesse fatto
uscire.
Cosí,ioaVitocihodetto:
–Tuvieneapressodime,non
dire niente, lascia parlare
ammesolo.
Cosí,arrevammoallaporta
della chiesa, mi ha detto il
piantone(cheerimoamice):–
Doveantate,Rabito?
Rispondo io e ci dico: –
Non mi fare bestimiare
magare tu, perché in questa
vitaiosonosfortenato,perché
ciusto ciusto che aspetava
domane la mia famiglia mi
hanno messo di quardia alla
stanzione, amme e a questo
poveroPanasia.
E bistimiava, e diceva: –
Maledetto di quanno fu che
mi hanno fatto abile per fare
ilsoldato!
E usciammo bestimianto.
Ma Vito era come il
cucuzune23,chenonparlava,
e parlava io solo. Cosí,
usciammo e partiemmo con
quelle zaine e il fucile, che
tante oficiale che c’erino e
tante ronte di soldate che
c’erinopiedepiede,nesunoni
hadettoniente.
Cosí,
alla
stanzione
revammo verso li undice, le
ore 11 di sera, che non c’era
tanta composione. Ma,
secome ni vedevino armate e
con il zaino pasare, li
carabiniere che erino che
facevino
servizio,
tutti
dicevino che, esento soldate
che avevino il zaino e il
focile, non si potevino
crederechestavimoscapanto.
Cosí, domantaie se c’erino
trenicheantavinoaCataniae
mi hanno detto che ce n’era
unopronte.
Cosí,presemoquellotreno
mercio.Eiltrenopartio.
Cosí, il treno merccie
camminava piano e verso li
ore una e menza il
capostanzione diceva: –
Lintine24!
Cosí, io e Vito, sentento il
nome Lintine, scentemmo
non della parte della
stanzione, ma, a forma di
fessa25,scentiammodell’altra
parte, che non c’era nesuno
checichiedevadovestavamo
andando, lo stesso che alla
stanzionediSiracusa, perché
erimoconlizainaeilfucile.
Cosí, avante che il treno
partio, io e Vito presemo per
li campagne e non ci hanno
vistopiú.
Io di quelle luoche era
molto prateco, perché ci
aveva stato a travagliare. Lí
c’era, a quei tempe, il
biviere26diLintine.
Era il mese di ciugno e di
notte veneva il piacere a
camminare, perché faceva
fresco.
Cosí,ioeVitoammopreso
una trazera che portava al
biviere, e cosí revammo
all’Agnune27,cheiociaveva
magaredormito,eioavevala
sfaciatacine di domantare al
capostanzione di l’Agnune di
quanto passava il treno per
Caltacirone 28, e il crante
calantuomo mi ha detto alle
4, 4 e menza, che parteva di
Catania, e invece se avesse
stato un altro desonesto
diceva: «Ma come va che di
soldate sieta qui?» E poteva
avesare anche ai carabiniere,
ma secome era uno che si
facevalicazzesui,nonniha
detto niente. Quinte, c’era di
farese 3 ore di suonno. E ci
allontanammodellastanzione
eciabiammomessoadormire
inunaapertagampagna.
Cosí, subito presemo
suonno e secome lí c’erano
tantezanzareemuschitte 29–
chec’eraunafortemalariain
quei tempe, che chi dormeva
fuore se lo manciavino e ci
prenteva subito la malaria –,
doppo tre ore, davero ci
siammosbegliate.
Cosí,aspettammoiltrenoe
finarmente venne, questo
treno!
E chi sa quale santo ci ha
fatto
questo
miracolo,
arrevammo alla stanzione di
Vezzine30-campagna.
Cosí, con quello zaino a
spalla, dovemmo passare del
mulinodisotta,vicinecheio
sapeva che c’erino magare
albere di cilieggie, che era
propia il suo tempo delle
cilieggieperpoteremanciare.
E io voleva vedere se li
albere, di queste cilieggie, ni
avevino, perché, se ni
avevino, ci le manciammo e
poi ci arreposammo, perché
malaria lí non ci n’era, che
eramoltomontagna.
E davero cosí abiammo
fatto, che antiammo sotto a
quelle albere. E delle
cilieggie ci n’erino tante che
avemmo voglia di manciare,
che ciliaggie sopra di quelle
albere ci n’erino piú assaie
dellepampene31!
Cosí,
senza
passare
permesso
annessuno,
abiammoscarecatolizaine,il
fucile l’abiammo messo a
pesoall’albero,eciabiammo
messo ammanciare cirase 32
con Vito, frutto tanto
piacevole. E poi che erino
bellematureefrescheelibere
(cheerinopiúmegliodinoi),
perché non c’era nessuno –
senza pensare che erimo
soldate scapate che potemmo
antareallotrebunalemiletare,
e magare potiemmo essere
fucilate, se per caso
mancassemo 48 ore, perché
era tiempo di querra e
partiemmo senza nessuno
auterezazione–,manciammo,
pacifeche, cirase, e senza
pericolodiessereviste.
Vitosaleval’albero,perché
non ci parevino buone quelle
che si potevino manciare di
interra–poicheerapiúcorto
di me, Vito Panasia –, e io
manciava con quelle che si
potevinocoglierediterra.
Io aveva 4 mese che non
vedeva alla mia famiglia e
Vito lo stesso, quinte tutte 2
diciammo: – Faciammo
presto arriempire la pancia,
che poi ci arreposammo 2, 3
ore e partiemmo per
Chiaramonte
–.
Senza
prendere maie la strada,
sempre per la campagna, per
paura che ci avesse stato una
batugliadicarabiniere.
Emanciammo.
E con la contentezza che
erimo libere, io non mi
corava tanto che aveva
portato quello crosso zaino
pesante ed era tuttu sodato, e
mi aveva messo al fresco
ammanciare cirasa, perché
c’era magare acqua fresca e
mi l’aveva beuto senza
penzare che poteva prentere
una pormonita. Ma secome
eracarusoenoncapeva…
Cosí, sopra di dove erimo
noie, c’era un sentiero, e
questo sentiero era alto circa
4, 5 metre, ed era al paro
delle cime dell’albere delle
ciliaggie,chepoic’eralacasa
dove c’era il molino, e dal
molino se vedevino li cime
dell’alberochesinagavino33,
perché c’era Vito sopra
l’albero, e io che cià era
pronto per salire. Perché
quelle che erino basse
cilieggie si avevino fenito. E
io stava per salire ancora piú
in alto, e Vito si arrestò 34
nelle rame piú basse. Erimo
molto felice che manciammo
cilieggie.
Ma questa felicetà durò 7,
8 minute, che abiammo
sentitoabaiareuncrossocane
dimasseriaeilmolinaroche,
sentento al cane abaiare,
hanno venuto sobito a
faciaresenelsentieroehanno
visto amme che era sopra
l’alberochemanciavacerasa.
Cosí,conilcaneèarrivato
ilmolinaro,chesiammessoa
terarepietresopradime,eil
cane con la bocca aperta ha
cerato sotto dove cera Vito,
chelovolevamuzecare.
Restammo spaventate, io
con li pietre e Vito con il
cane. E diciammo: –
Maledettalapancia!
Ma non era questo lo
spavento. Che non venne il
solo molenaro, che venne
magare la molenara a terare
pietre e fare tanto bortello,
arrabbiate tutte piú forte del
cane, e tiranno pietre e
dicento:–Descraziate,stanno
venento li carabiniere e cosí
vi porteranno in calera, e ora
vi ammazammo a corpe di
pietra!
E poi che loro erino di
sopra, e noi di sotta – ma la
donnaccia era piú che una
iena di come era arrabiata –,
iocheeradisopraall’albero,
e aveva preso un bello colpo
di pietra sulla testa, mi sono
confuso, perché non mi
davino il tempo di scentere,
perché le pietre erino assaie
che travino, e io non sapeva
come fare, aveva voglia di
direce: – Avete racione, ve li
pagammo!
A Vito il cane lo stava
muzicanto. E quinte, ci fu
ummumento di uscire pazze
con queste molenare e con
questocane,senzaaverepietà
pernoi,questedescraziate.
Ma poi la molenara, che
erapiúdiavolodesuomarito,
si n’antò alla parte de sotta
dove c’era il cane, perché se
lo ficorava che, scentento io
dell’albero,
potevamo
scapare.Equantolamolinara
arrevavo sotta quell’albero
dove c’era il cane che si
lotava con Vito e ha visto li
zaine con li lermette 35 e
conoscio che noi 2 erimo
soldate, invece di trare pietre
e dirime: «Latre, vi
miritereste ammazate!» –
come ni l’avevino detto –, si
hanno messo a piancere.
Perché prima non ni avevino
visto, poveraggie, che erimo
2 soldate. E cosí, piancento
piancento, ni hanno detto: –
Figlie mieie, manciateve
magarel’arbiro!
EioeVitorestammosenza
parola.
Cosí,hannoatacatoalcane
e ci hanno portato al molino,
dicendoce: – Figli mieie,
perdonatoce, perché noi
magare ci avemmo 2 figlie
come siete voialtre soldate –.
E piancevino, facendoce
vederelifatocrafieiedeisuoi
2figlie.
Cosí, ci hanno fatto la
pasta asciuto con uno bello
coniglioaspezatinoevino,e
abiammomanciatotantobene
che io e Vito cosí non ci
avemmomanciatomaie.
Cosí,ciabiammofattouna
bellissema parlata, che ci
hanno inteso tanto piacere. E
poi ci abiammo detto che
dovemmoantarearraciuncere
Chiaramonte.
Alla vista di Chiaramonte,
impaziemmo vedento il
paese.
Edidiscesa,in10minute,
fuommo nella chiesa della
Madonna delle Crazie, che
abiammo fatto la prechiera
doppo tante bestemie che
avemmo fatto con quelle
molenare che ci stapevino
ammazando a petrade e con
quello cane che ci ha dato
ummuzeconeaVitocheciha
strapatolipandalone,eiouna
pitradanellatestahopreso.E
perché?Perlacerasa!
Cosí, prese l’acorciatoio
perantarealcemitero,eVito
Panasia vedeva che di fronte
al cemetero, propia sopra la
beveratoia, che c’era il suo
padre che stava beveranto la
ciomenta. E Vito dice: –
Vicienzo, lo voi vedere che
quelloeneilmiopadre?
Cosí,daveroerailpadredi
Vito. Cosí ci abiammo
baciato. Il massaro Peppe
piancevavedentoasuofiglio.
Poi il massaro Peppe ni
portò nel posto che ci aveva
umpezetinoditerrachestava
mitento 36 e ci ha dato
ammanciare. Ma noi erimo
molto piene di manciare,
perché
quella
ciornata
avemmo manciato assaie.
Cosí, il padre di Vito disse
subito: – Partiemmo per la
casa.
Ma io non mi piaceva che
cin’antassemosubito,perché
ancora il sole non era
tramontato, e diceva al
massaro Peppe che, se prima
nonfacevabuio,alpaesenon
mi presentava. Perché io
stapeva vicino alla piazza e
doveva scentere per forza
dalla descesa di San
Ciovanni, che ciusto ciusto
era la sera del ciorno 23
ciugno, che aciornava il 24,
che era la festa di san
Ciovanne. Che propia delle
strade di dove io doveva
passare
c’era
tanta
lominazione e tante e tanta
cente – che a Chiaramonte
venevino dalle campagne per
vederese questa crante festa
–, e io che era vestuto di
soldato, con il zaino
afardellato, il fucile, il
lirmetto...CheaChiaramonte
ci n’erino soldate tante,
perché venevino alla licenza,
ma non come me, che era
vestitocontuttoilcorretoche
pare che stapeva antando in
querra! Avemmo magare il
pognale e li baionette e li
carrecatorenellicerbenne37e
il lermetto nella testa. E con
quello zaino pesante e con
quellescapponedimontagna,
che con quelle chiode non
erinoscarpepercamminarea
Chiaramonte, perché si
scevolava e se poteva
rompereilcollo!
Cosí, ho stato una ura
nascotto in una cgrotta nelle
terredellemonicediCesú.E
poi, carrecaie lo zaino e
partie, a Dio a la fortuna. E
mi misi a studiare come non
mi doveva fare vedere dalla
cente.
E cosí, prese dal piano di
San Ciovanni, penzanno che
tuttelacentedelladescesadi
SanCiovanneaquelloorario
erino nella piazza perché
c’era la musica e la strada
avesse stato diserta. Io il
conto mi l’aveva trato per
conto mio perfetto, ma non
miarrenesciuto38.Che,come
passaie dal piano di San
Ciovanni, ciraie dal castello
per non passare davante la
chiesa, per paura che mi
vedevino. Ma quanto uno è
sfortenato e deve ed è natto
sempre per bestimiare,
sempredevebestimiare...
Cosí, il diavelo voglia che
nella discesa c’erino una
filotta di 20 caruse che
ciocavino a muciarella 39.
Hanno visto amme e tutte
hanno credato forte: – Il
soldatopassa,chevienedella
querra!
E queste piciridde, che
potevino avere 8, 9 anne per
uno, non li potte lifare 40 di
vecino
amme,
sempre
credatto 41: «Carose, il
soldato
sta
pasanto!
Corriemmoevediammodove
va!»
Ah,cherabiacheioaveva!
Ma piú turnare indietro non
poteva, perché era quase
quase all’acquo 42 della
Nonziataequinteunamitàdi
strada era cià fatta. Ma
quardanto intietro amme
c’erino piú di 40 carose che
vanniaveno «il soldato
passa!» E mi ho dovuto
fincerisoldo,chetuttoquello
chemidicevinolicarusenon
ciresponteva.
E mentre caminava di
corsa, io ni aveva 2 paure:
una perché se c’erino
carabiniereocuardie,vedento
quella folla, venevino e
volevino sapere tante cose, e
l’altra paura era che poteva
prentereunoscivolone.
Efinarmentesonoarrevato
alla strada del cafè, che
doppo10metrec’erailcoltile
dove stapeva io. Cosí, io
disse: «Finarmente sono
sarbo».Chequartantointietro
non erino li sole caruse
apressoamme,macen’erino
magare crante. E cosí, nel
cortile non ci hanno venuto,
perchéilcoltilenonspontava.
Elicarusemihannovistoche
iomihovoltatoeconilfucile
ci ho detto: – Avicenate,
figlie di cramputana, che se
entratenelcortilevisparo!
Io era arrabiato come un
cane, della mala comparsa
che aveva fatto, e menomale
chenonhocascatoconquelle
scarpona, perché altremente,
chi lo sa come mi antava a
fenirequellaseraamme!
E cosí, entro nel coltile,
vedochec’eralaportaaperta,
mitraso,etuttequellecaruse
sinesonoantate.
Il cortile pareva deserto.
Mi traso dentra, e nella casa
non c’era nesuno, che
neanche mia madre c’era.
Senteva la museca sonare
nellapiazza.
E cosí, dopo un poco,
venne mia madre. Io stava
scarrecannolozainoaterrae
cihodetto,aimieifratelli:–
Non piancete, che sogno
Vinciento.
Cosí, mi hanno venuto a
baciare tutte, che poi tutte,
prima piancevino per paura,
ma ora piancevino per
allecria.
Quinte, ci ha stato una
natata 43 di allecria e di
pianto.
Io ci ho racontato tutto
quello che avemmo fatto. Ci
ho racontato che aveva
scapato di Siraqusa, che li
pregava di fare silenzio, che
io aveva venuto per vedere
soltanto la famiglia e poi mi
ne doveva antare subito a
Seraqusa, perché, passanto li
40 ore, mi potevino fucilare.
E mia madre pianceva. Cosí,
cihodetto:–Vedetechecosa
vi ho portato dentra quello
crosso zaino, che è tutto di
vialtre.
CosíPaolo,Turiddaetutte,
prima se lo volevino
carrecare 44 e non zi l’hanno
potuto carrecare, e poi non
sapevino come l’avevino a
sciogliere. Cosí, io lo
scioglie. E mia madre, come
havistotanterobe,sihafatto
il cuore, e mi ha detto: – Mi
haie recheto 45 con tutte
questerobe!
Cosí, ci ho detto: – Ora vi
n’antate a busare alla Patte,
che vi fanno 2 tumina di
pane,scacie 46epastiere,che
io il zaino mi lo porto pieno
di pane e pastiere e la roba
che c’era dentra quello zaino
lalascioqui.
Cosí io, da parte mia, non
sono uscito di casa quello
ciorno, perché teneva paura,
perché erimo desarture di
tempodiquerra.Eio,alleore
11 prima di mezza notte del
ciorno25,minesonoantatoa
trovare a Vito Panasia, che
alle ore 4 fosse bello di
partire.
E cosí, verso li ore 4, mia
madreavevareimpitoilzaino
di manciare, di scaccie di
recotta.Ioincampiociaveva
lasciato:2camicie,2coperte,
li 20 cuchiaia, un paio di
scarpe,cheVito,miofratello,
mi ha detto: – Queste, per
pestare racina, quanto viene
la vendemia, sono buone –.
Ci aveva lasciato 4 maglie, 6
paia di calzette, e tante
panciere e tante altre cose, e
magare la cavetta e la
burracia.
Cosí, i miei fratelli Vito e
Paolo mi hanno venuto a
compagnare per fina al
cimitero, e cosí ci abiammo
baciato con Vito e Paolo, ni
abiammo messo a piancere
uno con l’altro. E io e Vito
Panasia presemo deritto
derittoperCostaprena47.
Revammo sudate alla
stanzione,ched’alloraancora
trenononcin’era,epresemo
la strada per Raqusa, sempre
con lo zaino a spalla, che
paremmo soldate di servizio.
Ma però piú paura non
n’abiammo,
perché
li
famiglie li abiammo visto.
Quinte, magare che ci
avessero
pescato
li
carabiniere, ci avessero
potutoportareaSiraqusa,ma
noi cià ci stapemmo antanto.
Quinteerimoaposto.
Vito Panasia dentra lo
zaino ci aveva 2 butiglie di
vino di quello della
Fondanazza 48, bello forte.
Vicino Carpentiere 49 ci
arreposammo, manciammo
scacce,pastiereeunabutiglia
di quello bello vino ci
abiammobeuto,eciabiammo
messoinmarcia.
Poi c’era un carretiere che
antavaaRaqusaenihadetto:
– Io vi posso portare propia
alla stanzione, che prentete il
trenoperSiraqusa.
E alla sera, verso li 9, ci
abiammo presentato alla
chiesa di dove avemmo
partuto. Cosí, abiammo
quardato dove c’erino fessate
li ordene del ciorne e ci
notavavino li 48 ore della
nostra asenza. Però, doppo
una mezza ora, hanno
chiamato l’apello. Lo zaino
l’avemmopienomaerapieno
di pane. All’apello avemmo
resposto, quinte non forino
piú 48 ore di assenza, ma
forenosole24.
Alla notte, io e Vito non
abiammo potuto dormire,
perché ci avevino detto che
per forza doviammo essere
ponite. Cosí, all’endomane
spetammolanostracondanna
checidovevinodare.
E invece, verso mezzo
giorno, invece di sapere la
ponizione che dovevino dare
annoi, ha venuto una
bellissema ponizione per
tutte. Che ha venoto un
folecramme orcente, che la
chilassa del 99 – voldire il
310 che aveva venuto di
Palermo – dovemmo partire
subito subito per antare alla
stanzione e cosí prendere il
treno e antare a EmpoleCampagna 50, che dovemmo
fare 20 ciorne di campo e di
tatiche di querra. E questa fu
la ponizione, non per mia e
Vito Panasia, ma fu una
ponizione per tutte. Che non
c’era remedio. Si doveva
antare a fare crante manobre
diquerra.
Cosí si ha fenito la nostra
babiata51diquestaponizione
chedovevinodareaRabitoe
Panasia, che li cose stavino
per improgliarese. E cosí, tra
noi diciammo sempre: «Ci
portino a farene ammazare»,
piano piano. E quella paura
che avemmo auto con Vito,
quanto avemmo scapato, ni
avevafenito,maquestapaura
chedovemmoantareafareli
crante manovre di querra,
questa paura non poteva
passare,
e
diciammo:
«Menomale che avemmo
visto li nostre famiglie!» E
tutte unite diciammo: «Come
vuole
Dio
faciammo».
Mentre che non ci veneva il
penzierodibestimiare.
E cosí, davero, alla sera
partiemmo della chiesa. Ci
hanno portato alla stanzione
con il zaino affaldellato, ma
io,ilmiozaino,nonciaveva
niente. Però, per fare vedere
lo zaino che era compio, il
manciare che aveva, li
ommesso nel tascapane, e
poi, mentre che nesuno si
avesse accolto di quello che
io faceva, ci ho messo
umpoco di paglia, nello
zaino, per fallo deventare
compio.
Edicevaframe:semaisia
fanno una revista nel zaino,
cheammemimancavatuttoil
coreto, e mi lo debitavino, ci
volevino 4 anne per fenire li
debite. Ma mi ne foteva. Io
l’aveva lasiato tutta a mia
madre, che mi aveva detto
che era io che sempre la
recheva.
Arrevammo a Salerno e
scintiammoecihannoportate
aEmpoli-Campagna,chelíci
hannodetto:–Fatevelitente
perogni6,chequidovemmo
fare il campo e li crante
manovre di querra –. Che
questo campo fu la nostra
rovina, che tra struzione di
querra e ordene e passo e
marcie si stava pegio di
quantoerimoaPalermo.
Un giorno, quanto hanno
deviso la posta, per me posta
non ci ne fu. Ma ci fu per 5
paesane, che uno di questo
paesanochereceviounalettra
era un certo Vituzzo
Scaghiola, che tanto sperto
non era, questo Vituzzo
Scaghiola, che era fesso. E
quella lettera ci l’aveva
mantato un certo soldato
Pipino Arabito che era
chiaramontano, e questo
chiaramontanosapivachecon
questo Vituzzo Scaghiola
c’era io, che facciamo li
zoldate inziemme. Io non zo
come questa lettra non passò
dallacinzura.
Cosí, questo stubito di
Vituzzo Scaghiola liceva
questa lettera, e Peppino
Arabito ci deceva che in uno
compatemento
amMonte
Cavallo, sopra Gurizia, per
uno miracolo aveva restato
vivo. E poi ci faceva capire
che con lui c’erino Ciovanni
Paolo Cianninoto e Rabito
Ciovanne, che remasero
ferite. Ciovanni Paolo fu
ferito liggiero, ma Ciovanni
Rabito è ferito cravamente, e
cidiceva:
«Ti preco, non la fare
sapire a Vincenzo, che ene
conte,locaruso,perchécerto
che
si
farà
qualche
pianciuta».
Ma Vituzzo Scaghiola, per
natura stubito, la lettera la
leceva forte per faramillo
sentire. Cosí io, sentento
questa lettera, mi ho messo a
piancere, e Vituzzo mi ha
detto: – Non è vero, lo stavo
facentoperfaretearrabiare.
Mentreiovolevaleggirela
lettra e questo fesso la lettra
l’ha fatto sparire. E secomi
sempre questo babiava, che
era fesso per davero, restaie
con quello penziero, poi che
lettredimiofratelloiononni
aveva receuto, e bistimiava,
perchéquellocretinolalettra
nonmilavolevafarevedere.
Ma io tanto fece, che alla
notte, piano piano, dentra la
sua tenta entraie. Lui era il
primo.Vedodoveciavevala
ciaccaehopresolalettera,e
daverolalettradiceva:
«CaroVituzzo,iosochetu
sei con Vincenzo, che mi lo
ha detto Ciovanni Rabito.
Non ci lo fare capire quello
chec’eneinquestalettera.Ti
faccio sapere che il mio
reggemento ha fatto una
vanzata a Monte Cavallo,
sopra di Curizia, e ha stato
destrutto».
Cosí,ioebbilasfortunadi
capitare questa brutta lettera,
che sebbe che mio fratello
Ciovanni
era
ferito
cravamente,emihofattouna
pianciutachecascaieinterra,
chemiavevaacubato52.
Epoi,doppo10cionne,io
recevetti una lettra di
Ciovannicheeraall’ospedale
di Pistoia, cià fuora pericolo
di non murire. Però la lettra
diceva che quanto quareva
doveva camminare con li
stampelle, perché forse ci
dovevino levare una campa.
Cosí,iomisonocompiaciuto
e disse: «Menomale non
muoreCiovanni».
Poi, da mia madre ni ha
fenito 53 un’altra notizia:che
Lucia, la mia sorellina piú
picola, stava molto male.
Mentre io aveva saputo da
altri compaesani che era
morta.
E cosí, di ciorno e ciorno,
mivenevalapacienza,perché
ammazare non mi poteva.
Penzava ai carzerate, quanto
erinocondannateinnociente.
Poicheiononerasoloche
faceva questa malavita, ma
erimo tante. Quinte, se
bestimiavatutteinziemme.
Epoi,quantomipassavino
larivista,chevolevinovedere
tuttalarobbacheavemmoin
consegna, e io non ni aveva,
come doveva fare? Quale
bucia ci doveva dire io, che
nel zaino mio non aveva
niente?
Quinte io mi la spetava,
questa ponezione. Quinte io,
quanto andiammo a fare
qualche marcia e li nostre
comantante volevino che ci
dovemmoantareconlozaino
pieno, io lo riempia di paglia
e il zaino mio compareva
cometantezainecheavevino
lialtre.
Cosí, finarmente, venne
l’ordene che dovemmo
passare una revista cenerale
per tutte li compagnieie, per
vedere la robba che ci
mancava. Che in quello
campo avemmo deventate
tantedelinquente...
Ecomemisentochiamare:
– Rabito! E tu perché non ci
haie niente? – con una forte
voce del capitano. – La roba
tua dove l’haie versata? –
Cosí,ommintatosubitosubito
una fortissima bucia, che ci
ho detto: – Io, segnore
capitano, a Palermmo ho
cascato ammalato con una
malatia infetia che si chiama
«il tifo» ed erimo 35 soldate.
E, per non ci essere posto a
Palermo, ci hanno mantato
allo spedale di Trapone, e lo
zaino e tutte le nostre robe
che ci avevino dato in
consegna ci l’avevino fatto
versareallaforariadiPalermo
–. Io, questo, ci lo diceva
bello sfaciato. – Poi, quanto
abiammo quarito e ci hanno
portato un’altra volta a
Palermo, ci hanno dato 10
ciornedireposo,maiononci
l’ha chiesto, il mio zaino.
Cosí, doppo che ho fenoto il
reposo, all’endomane venne
la chiamata per antare a
Siraqusa.Mihannochiamato:
«Rabito,portatequestozaino,
che non fa niente se ene
vuoto, tanto, vialtre che
ancora siete arreposo, a
Siraqusavidannotutto».
Cosí, i superiori hanno
scritto a Palermo, e io non
potette sapere quello che ci
hannorespostoperintanto.
Cosí, senza correto soldate
non ci n’erino, e un soldato
senza correto non poteva
stare,emihannodatotuttoil
correta bello nuovo nuovo, e
io diceva che: «Se potesse
scapare, lo portereie un’altra
voltaammiamadre...»
Una matina, 5 tente vicino
ai cabinette – che in uno di
queste tente ci dormeva io –
abiammo cascate malate di
una brutta malatia che li
medece la chiamavino «il
parratito» 54, che ni hanno
compiato a tutte quelle che
dormiammo li canarozza 55,
che paremmo tutte con il
gozzo nel collo e non
puotimo ignutere 56 piú il
manciare, e questa malatia
magareerainfetiva.
Cosí, subito subito, ci
hannomantatoallospedale,e
la paglia e tutte li zaine che
erono di noi che avemmo
questamalatia,tutto,comene
antiammo noi, forene tutte
bruciate. E magare li tele da
tenteforenobruciate.
Cosí li mieie robbe tutte
nuovehannovenutobruciate,
equinteilmiocorreto,cheio
l’avevadebitato...
Cosí,cihannomessosopra
l’auto bulanze e ci hanno
portato allo spedale di Cava
dei Terrene 57, che era un
paeseciratodimare,vicinoa
Salerno e al paese crosso di
Nocera, che questo paese di
Cava dei Terrene era quase
un’isolatottociratodimare.
E quinte, erimo 25
soldatine tutte con la stessa
malatia, e magari avemmo
fame e non potemmo
masticare e neanche ignutire,
che il collo l’avemmo
compio, e quase quase non
potemmoneancheparlare.Io,
tra me, deceva che, se maie
sia che perdeva la parola
senzaantareinquerra,erapiú
arrovenato di mio fratello
Ciovanni. E poi, se lo avesse
saputo quella povera di mia
madre,chelosachespavento
avessepreso...
Cosí, tutte 30, o pure 25
che erimo, che non recordo
bene,cihannoportatoinuno
castello che fonzionava di
spedale, e nelle mura di
questocastellociabatevinoli
onte del mare, quinte erimo
isolateditutte.
Cosí, c’erino li croce
rossine per serbere 58 annoi,
che facevino di sorelle e di
infermiere. E li medice alla
prima matina ci hanno
ordenato 4 rosse di uova per
ogni uno di noi soldatine al
ciorno, e 2 litra di latte al
ciorno e poi 4 inezione al
ciornoantitoleriche59.
E la cura la faciemmo
esalta, però sempre erimo
caruse e sempre faciammo
parte di caruse e di
delenquente caruse. Perché,
quanto venevino queste
signorine crocerossine tutte
infaciolate e desompetate 60
per farene l’infasciatore nel
collo, noie, che sapemmo
l’olario quanto venevino
affare l’ampasciatura, ni
faciemmo trovare tutte
corcate nel letto. Non perché
non
potemmo
stare
all’empiede, perché febbre
non ci n’avemmo, ma ni
corcammo tutte per essere
lazarone, perché, venento nel
letto,noifaciammofindache
avemmo la smania e li
tocammo, mentre che ci
facevino l’ampasciatura nel
collo. E alloro, che potevino
avere20anne,tuttesignorine
figlie di centa ricca,
volentarieecommoltascuola,
ci piaceva lo scherzo, e poi
magareciperdonavinoperché
avemmo quella bruttissima
malatiaesilasavinotocare.E
noi, di malate che erimo, ni
pareva un devertemento
quellospedale.
Quando uscimmo, li
ciornale portavino che al
fronte ci dovevino portare
alle ragazze del 99, perché
c’ereno molto di bisogno e
dovevino partire subito
subito.
Cosí, al campo, alla sera,
ha socesso il caso del
l’inferno. Tutte li soldate si
faceva bordello. Erimo tutte
6.000 soldate, che avemmo
ocupatounfevito61,diquante
tentec’erinostatefatte,etutte
li condatine di quello fevito
avevinoautofattotantomale,
perchénonerimosoldateche
ci avemmo stato, ma erimo
state 6.000 diavole! Quanto
albere ci avemmo rotto! E
tutta la prodezione aveva
stata destrutta per quello
anno.
Tutte quelle che erino
vicino, nella stessa notata, si
ne sono antate assalutare alle
loro famiglie. Ma i soldate
che non avevino famiglie
vicine se ne sono antate a
cercare dove c’erono frutta
permanciareefarecompiare
li coglione a tutte li
condadine.Ecosí,erailmese
di acusto e si hanno cerato
tutte li campagne che erino a
4 e 5 chilomitre di destanza.
Cosí, quella ultima notte, ci
ha stato tante sparatorie tra
condadine e soldate, che ci
foreno magare ferite, quella
notte. E poi, magare li frutte
che non erino mature foreno
prese e poi butate. E li
padronechepiancevino!Che,
alla matina, come si ha fatto
ciorno, si hanno presentato
tutte all’acampamento, ma
annoi non ci ha importato
niente, perché dovemmo
antare sicuro ammorire, e
avevinovogliadipiancere...
E con tutte quelle stracie
che avemmo fatto nelle
campagne a quelle povere
borchese – che quante volte
avevino venuto a recramare
senza che nesuno ci dava
raggione,eanzibrutteparole
ci avemmo detto... – e
compure, quanto ni hanno
visto che stavimo per partire,
queste povere condadine si
hannomessotutteapiangere,
e poi ci dicevino: – Povere
picirillivoglioincelle62,come
listannoportantoalmacello!
Povere ragazze! – Perché ci
l’avevinomagarelorolifiglie
inquerra,efratelleemarite...
Ecosí,venneilcomantante
del campo, zaino a spalla e
partenza per antare ad
Avellino, che il nostro
reggementoperquellociorno
era il 32 Fanteria e il nostro
depositociavevinodesegnato
Avellino, e di tutte le 6.000
soldate che eravamo, hanno
fatto tante spartezione e ci
hannodiveso.
Doppo2ciornedistaread
Avellino, ci hanno asegnato
al 69 reggemento Fanteria,
brecataAncona.
Cosí, presemo il treno a
Salerno e partiemmo per una
ingnotadestinazione.
PoirecordocheaNapoleci
hannofattofare3oredisosta
eiohovistoNapole,chenon
l’avevavistomaie.
ANapoleerailcomantodi
tappa. Ci hanno dato
ammanciare.
E
poi
partiemmo e ci fermammo a
Ferenze, che il nostro
deposeto era a Ferenze, e ci
hanno desegnato al 2 reparto
Zappatore.
E dietro alle nostre
domante che noi ci avemmo
fatto, ci hanno passato una
visita. E amme mi hanno
detto: – Tu, Rabito, è propia
il tuo mistiere di fare il
zapatore, e sei abile per fare
trencieie, e quinte è inutele
che marche visita, e poi che
quellechesietedesegnatenel
reparto Zapatore quadagnate
11 solde al ciorno, mentre li
altre soldate, che non sono
zapatore, ni quadagnino 10
soldealciorno.
Io era tanto contente che
antavaafaretrencieieenona
combattere, e poi che mi
avevenodittochequadagnava
un soldo in piú, che con
quelle ebiche miserabile un
soldo era qualche cosa. E mi
ho trato il conto che, esento
zapatore, ci potevino fare
lavorare e pagare affare
callerieie e, forse forse, che
con li austriece non ci
vediammo.
1
Povere capelle, ora cià vi la
speciate...: povere reclute, ce ne vorrà
ditempoprimachevenetiriatefuori...
2
spotevino:sfottevano.
3
comigliare:coprire.
4
compiarece:gonfiarci.
5
ci abiammo fatto
subeto
persovaso:abbiamosubitocapitocome
funzionavalacosa.
6
ciatocava:eravamocostretti.
7
ci facevino la frinza: ci
sfottevano.
8
sono stomacose: sono di palato
fine.
9
spereduse:spiritosi.
10
nonziarrancia:noncisidàda
fare.
11
sacie:anziani.
12
irasenne:andarsene.
13
io mi aveva castiato: io ero
rimastoscottato.
14
bruttacomparsa:bruttafigura.
15
tempolone:schiaffi.
16
Trapani.
17
trampe:tram.
18
Bollettino d’informazione
diffusofraletruppe.
19
perfinache:finoache.
20
Augusta, in provincia di
Siracusa.
21
cheèche:chièche.
22
ammeno:almeno.
23
cucuzune:zuccone.
24
Lentini.
25
aformadifessa:facendoifessi.
26
biviere:stagno.
27
Agnone,frazionediAugusta.
28
Caltagirone.
29
muschitte:moscerini.
30
Vizzini.
31
pampene: pampini, e foglie in
genere.
32
cirase:ciliegie.
33
nagavino:dondolavano.
34
siarrestò:rimase.
35
lermette:elmetti.
36
mitento:mietendo.
37
cerbenne:giberne.
38
non mi arrenesciuto: non mi è
riuscito.
39
muciarella:nascondino.
40
lifare:levare,allontanare.
41
credatto:gridandomi.
42
all’acquo:all’arco.
43
natata:nottata.
44
carrecare:prendereinspalla.
45
Mi haie recheto: mi hai
arricchito,mihaifattodiventarericca.
46
scacie:tipodifocaccia.
47
Una scorciatoia che porta dal
cimiteroallastazionediChiaramonte.
48
Fontanazza, contrada di
Chiaramonte.
49
Carpentieri.
50
EbolieCampagna.
51
babiata:scherzo,sciocchezza.
52
acubato:soffocato.
53
nihafenito:cièarrivata.
54
parratito:paratifo.
55
licanarozza:lagola.
56
ignutere:inghiottire.
57
CavadeiTirreni.
58
serbere:servire.
59
antitoleriche:anticoleriche.
60
infaciolate e desompetate:
fasciate (con una mascherina sulla
faccia)edisinfettate.
61
fevito:feudo.
62
voglioincelle:guaglioncelli.
Capitoloterzo
Trenceia
Cosí,cihannoportatonella
provinciadiVerona.Recordo
che erino li prime ciorne del
settempre. E cosí, i nostre
comandante ni hanno detto
comeerailnostrointrizzoper
scrivere alli famiglie. Ed era
cosí: al soldato Rabito
Vincenzo, 69 reggemento
Fanteria di marcia, 2
battaglione,
2
reparto
Zappatore,zonadiquerra,per
dovesitrova.
E tutte noi ci abiammo
quardate in faccia sentento
che erimo nella «zona di
querra». Ni ha cominciato la
paura. E comincianto da me,
diceva:«Maallorasiammoin
querra!?» E io diceva: «Ma
come lo sente mia madre
“zona di querra”, sapendo
sentere che Ciovanni era allo
spedale a Pistoia, chi lo sa
quanto pianto deve fare
questamiamadre!»
Cosí, passareno 15 ciorne,
sempre ciranto tutte li
provincie del Venito, sempre
zaino a spalla, facento
teniche 1 di querra e tire di
fucileedibombeammano,e
semprecamminarecurbeeda
carpone, e sempre caminanto
a piede, senza che una sera
avessemo dormito come li
cristiane, sempre dormire
sedute, opure mentre che
camminammo aderetura, che
tutte, se ni avessero pesato,
avemmodemacrito5chiledi
ognuno di noie. Che poi ci
facevino camminare macare
conlapanciaastrescioneper
terraeparemmotantemaiale,
esemprefacentotantecorsee
senzalevareneliscarpemaie
maie, e senza campiarece
maielabiancheria.
E come passareno li 15
ciorne, ci hanno portato a
Scio 2, vicino al fronte, dove
dinottesevedevinolimonte
dell’altopianodiAseaco 3. E
il ciorno ci facevino saltare
tante fosse e di notte si
vedevino li monte, che annoi
ni pareva che doveva fare
malotempo, e invece erino li
cannonatechelampeciavinoe
sisentevinolituone.
Iodicevaetuttediciammo:
«Se ci porteranno lí, siammo
sicurochemoremmoeconla
famiglia non ci vediammo
piú!» Tanto lettere macare
che scrivemmo, non ne
arreciviammo, e magare che
qualche letra la reciviammo,
eratuttascancellata,perchéla
cenzura, se vedeva che c’era
scrito: «Figlie mieie, state
atento! quardatete!», non
potevaesserediscrivilloelo
scancellavino. Solo non
scancillavino quanto la
famiglia scriveva: «Bisogna
di morire per la Madre
Padria!» E noi ci potemmo
mandareadire:«Caramadre,
io faccio il soldato per
defentere la Madre Padria!»
Che io e tutte, nel nostro
penziero,
diciammo:
«Maledetta la Padria, che ci
stanno fanno morire prima
cheantassemointrencieia...»
Perché, per 15 ciorne, non ci
hanno fatto dormire neanche
unanotte!
Cosí, una matina ci hanno
fatto la revista uno per uno.
Cihannodatounpugnaleper
uno, 8 bombe ammano, altre
carrecature, altra robba,
coperte, maglie di lana, un
bello capotto, 2 scatolette, 4
callette, una maschera. Ci
hanno armato come se
fossemodifrontealnemicoe
questa era la nostra
conzolazione. Poi, annoi ci
hannodatooltre,unapalettae
unamazottaimpiúdellealtre,
perché erimo zapatore. Ci
hanno carrecato come li
bestie, perché erimo del
reparto Zappatore. Poi, come
ci hanno carrecato come li
mule, ci hanno fatto fare una
tonata, che ci doveva parlare
il comantante della bricata
Ancona, che ci hanno fatto
capire che noi apartenemmo
allabricataAncona.
Ecosí,ilbravoceneraledi
bricatacihadetto:–Ragazze
del 99, fate attenzione che
questa notte si parte per la
primalinia.Equantosiammo
lí, non ci antiammo per stare
bene o pure per lavorare e
stare bene, ma ci antiammo
per un solo scopo, per
defentere la nostra Madre
Padria.Poi,partemodaquie
passammo quelle montagni.
Questanotteciàsiammosotto
il tiro delli austriece. Quinte
dobiammo
camminare
sempreordenateeinselenzio.
Io lo so che siate picole
soldate tutte, ma, comme
reverete in trenceia, vi
metteranno immienzo alle
soldateanziane.
E poi ni ha detto, questo
bravo cenerale, che: – Tutte
quelle che siete state ponite
per desezione perché si
n’antato a casa, perché ha
fatto il delenquente, che ave
debite da pagare, sarete tutte
perdonate. Perché io sono
securo che vialtre ciovene, la
Padria, la defentete come
defentessevo li vostre madre,
sesetrovasseroimpericolo.E
lo so che il 99 la defente la
Padria, perché ha stato
chiamato propia per quello
motivo.
Io, sentento che tutte li
debite che aveva non li
pagava – perché non lo
diceva
uno
oficiale
qualunqui, ma lo diceva il
cenerale –, io ci ho creduto
che non pagava niente. E poi
hadetto:–Questodonovilo
fa il nostro comantante
cenerale della 3 Armata, e
verranno pagate magare li
arreterate e li tratenute che
aveteavutofatte,evipacherà
ilforiere,eoggistesso.
Cosí io desse a voce forte:
– Menomale, che cosí se
moremmo,
moremmo
contente, perché moremmo
senza lasciare debite, quelle
cheavemmodebite!
Mentre vicino amme
c’erinotanteamicemieieche
hanno detto: – Quanto parla
Rabito, per forza si deve
redere.
Cosí,ilcenerale,primache
si n’avesse antato, ci ha fatto
dire la messa al capillano, e
poi il foriere ha stato
chiamato per farece subito la
cinquina. E ci hanno dato
perdavero tutte li tratenute di
2 mese, che a quelle che ci
avemmo debite ci ha pagatto
tutto. Io aveva che non
prenteva solde di quanto fuie
a Siraqusa, cosí mi hanno
datoquaselire30!
Cosí, li solde fanno venire
la vista alle cieche. Io mi ho
preso di coraggio e mi ha
passatolastanchezza.Tutele
lire 20 li ho dato a uno che
eraalcomantodibattaglione,
che era addetto alla posta, a
fare vaglie, e ci ommantato
lire 10 al mio fratello
Ciovanni a Pestoia allo
spedale, e lire 10 li
ommantatoallapoveradimia
madre,cheiomifecoravache
mantarecelire10perleieera
unabuonanotizia.
E come il cenerale si ne
antò, ci abiammo messo il
cuore impace e spetammo il
momento che dovemmo
aprentere il posto dove
potemmomorire.
Alla sera, cominciammo a
camminare verso dove c’era
la querra e cominciavo a
piovire, e camminammo con
la strada tutta infancata, poi
che erimo carrecate come li
vero mule ed erimo sempre
stanche e bagnate, con la
bocca aperta coma li cane
arrabiate,ebestimiammo,che
d’ognunobestemiavaalsanto
prodettoredelsuopaese.
Cosí,passareno3ciorne,e
mentre che camminammo,
venneunoportaordene,tutto
sudato,chebestimiavaedera
arrabiatopiúdinoie.Equesto
ordene era propia l’ordene
chedovemmoantareimprima
linia,cheerimolondanocirca
20chilomitre.Equestastrada
nonerastradacarrozabile,ma
era una strada che potevino
camminare solo li animale
perilpascolo.
Cosí, camminammo tutte
per forza, come quanto ni
avesserodatotantebastonate.
E, per quella brutta notte, ci
hanno fatto fare 10
chilomitre, e poi ci hanno
fatto reposare. E con queste
ultime chilomitre di salita,
cominciammo a vedere
qualchebarellacheportavino
feriteeun’autobulanza–che
c’eraunastradacarrozabile–
che queste ferite di queste
barelle, li prenteva e li
portavino allo spedale verso
Vicenza.Epernoicheancora
ferite non ni avemmo visto
tante,chemacarecheferiteni
avemmo visto non piú di il
massemo2,nihaparsomolto
impressionanteavederetante
ferite. Poi io, che era
piaciruso 4, ci domantava a
queste ferite di dove
venevino,equalchedunoche
potevaparlaremidecevache
erinostateferiteaValbella.E
unmiocompagnocihadetto:
– Che ene lontano di qui
questopuntoValbella?Cheè
unpaese,opureunmonte?
E il ferito ha detto che era
una crante collina e ni ha
detto che ci volevino 8, 10
chilomitretuttadisalita.
E infatte, alla seconda
notte, venne un altro ordene,
che il nostro reggemento
doveva antare arraciuncere la
Collina dai 7 comune 5, che
questa collina era propia
sopral’altopianodiAseacu.
E mentre camminammo e
avemmofatto8,9chilomitre,
che stavimo atraversanto
umpezzodipineta,checosísi
camminava nascosto, ma da
una tratto, senza che nessuno
ci avesse avisato, li austriace
cihannofattounascarrecadi
cannonatechepernoihastato
il primo crante spavento, che
di noi all’impiede non ci ne
siammo restati neanche uno,
tutte piancento e sbampazate
a terra 6. E queste corpe di
cannone erino state sparate
propia per noi: che sa che ci
avesse stato qualche spia...
Ma li cannonate menomale
chenonhannofattobersaglio,
perchédinoicifuunmuorto
e una 10 ferite, ma noi
abiammo cascato tutte per
terra piancento. E cosí, il
maggiore Tordo disse: – Che
cosa ci porteno affare queste
racaciazze che mi pareno
soldate di paglia, che quanto
hanno veduto e hanno inteso
4 cannonate tutte piancino.
Che soldate vercognose che
mistaioportannoaValbella!
Quinte, il maggiore Tordo
ci ha fatto prentere un’altra
strada, perché colla nostra
venuta ci aveva stato per
davero la spia e per questo
hanno fatto fuoco, li
austriece.Epoisebimocheli
muorteerinostato2eliferite
15.
Cosí, piene di paura,
camminammo. Cosí, recordo
che pioveva, e piano piano,
sempre stanche, siammo
revati nella seconta linia
verso le ore 4 doppo
mezzanotte, tutte tremante.
Cosí, c’erono li ordene
pracise. Cosí, ci hanno fatto
fermare sempre in silenzio e
ci hanno destriboito tante 20
soldate 7 e ci hanno fatto
prentere tante caminamente
per destribuirese per dove
dovemmo essere distenate
delleposteavanzate.
Io tremava come la foglia,
per conto mio. E dicevo tra
me: «Ma dove ci voglino
portare queste, all’enferno?»
C’eraunanebiacheparemmo
dentra a una calleria senza
luce, e poi macare piuveva,
poi che erino li prime
momentecheerimoinquelle
brutte luoche ed erimo tutte
spaventate, e poi che di
querra ancora non ni
capiemmo,epoicheneanche
loro, li sercente, lo sapevino
dovenidovevinoportare,che
era magare per loro la prima
volta che venevino in quella
posezione...
E cosí, prima di arrevare
nelpostoavanzato,sempreal
buio, la sentenella ci ha
questolaparolad’ordine,che
io questo ancora non lo
sapeva. E comme c’era un
sercente e un caporale, e mi
hanno detto: – Tu, Rabito,
prente la tua robba e viene
comme.
E mi hanno portato dove
prima quello del posto
avanzato
montato
di
sentenellacihadetto:«Parolo
d’ordene».Che,conlapaura,
non penzaie che cosa ci ha
detto prima. Cosí, entrammo
in quello posto, che c’erino
sachette piene di terra e poi
c’era uno raficello 8 con una
crotecella che l’avevino
scavato i soldate. Cosí, il
sercente mi ha detto piano
piano:–Rabito,prentesoloil
fucile, il pognale e li bombe,
eilzainolomettelí,dentraa
quello picolo nascontiglio,
chepoiloprente.
Io, tutto tremanto, faceva
come diceva lui. Cosí, mi ha
conzegnato a uno vechio
soldato che era di vedetta, e
solo ho inteso dire: – Ti
arrancie tu, Ciampietro!
Questoèiltuocompagno.
E il sercente e il caporale
senesonoantate.Eiorestaie
con quello. Che poi, secome
erino li ore 5, che non era
ancora ciorno e la nebia che
c’era, io pareva che non era
io, dacomestavoinsilenzio,
perché, se prima non faceva
ciorno,nonconoscevachiera
il mio compagno. Cosí, era
messo li lato, con il fucile
carreco, il tasco da pane
pienodibombeammano,che
se avessero scopiato io
m’avese bruciato. E mi sento
mettere li mano sopra li
spalle: – Coraggio, piciotto
mio,nontiprenteredipaura,
che solo una volta si può
morire,mannaiaasanNicola!
Cheseisiciliano?
Epianopianoiocihodetto
disí.
–Eoratudevefarecometi
dicoio,perchéioave6mese
che sono in queste monte di
Asiaco e mi saggio bene
recolare, mentre tu seie
venuto ora, quinte seie
impaurito. Io sono calabrise.
E la Sicilia e la Calabria,
mannaia alla Madonna, ci
capiemmosubito.
Mentre cominciava a
poteresevedere.Emideceva:
–Ioho30anni.
E io, tutto pieno di
spavento, ci ho detto che ci
n’aveva18anne.Eluimiha
detto: – Sí, lo so, perché ci
hanno messo uno di voialtre,
che siete picoli, e uno
anziano,chesiammoprateche
diquerra.
E cosí, io vedeva che
questo era un vechio con la
barba lonca e ni demostrava
non 30 anne, ma mi pareva
cheniaveva60anne,dicome
eraredutto,poverocalabrese.
Eio,demiopenziero,diceva
che cosí, se non moreva,
dovevadeventareio.
E cosí, quello mi
cominciava a dire che non si
dovevaparlareforte,perchéli
austriece erino vicine e ci
sentevino e ci ammazzavino.
Equestoparlavasenzapaura,
che pare che era nella
Calabria, tanto era pacifico.
Però,miparevaunobrecante
con quella lunca barba e li
capelle che non si l’aveva
aciustato maie. E poi mi ha
dettochedoveerimonoieera
uno posto buono: – Perché li
austriece sono di sotta e noi
di sopra, quente non puono
venire qui a prentirece, solo
che ci posseno sparare se
sentonobacano.
Cosí, io cominciaie a
prentere
coraggio
e
cominciaieaquardaretutteli
posezione delle firetoie, e
Ciampietro mi mollava
qualchecozata 9. Mi deceva:
– Stai fermo, non essire
semprecomelicarusacci!
Poi, mi ha fatto vedere
dovec’erailpaesediAseacu,
che mi ha detto che non era
né nostro né dell’austriece.
Poi, mi ha detto: – Ora
manciammo. Che cosa hai
portatodibello?
E io ci ho detto: – Pane e
formaggio–.Epoiciavevali
scatolette. E lui mi ha detto
che li scatolette e li callette
non zi devino manciare
perchésichiamino«viveredi
reserba». Cosí io, che mi
pareva mio padre con quella
barba, lo voleva chiamare
«zio Pietro», e lui mi
arremproveratoperlaseconta
volta, che mi ha detto: – Qui
ci dobiammo chiamare tutte
di tu, per fina al sercente
maggiore, perché li anni qui
nonpasseno.
Cosí, si ha cominciato a
fare
bello
ciorno.
Manciammo. E Ciampietro
pareva nelle suoi terre di
come era pacifico. E cosí
passavo la prima ciornata di
trenceia.
Per
me,
cosí,
mi
cominciaie assecurare, e
fermo non ci poteva stare,
sempre che voleva uscire
dalla trincieia. E Ciampietro
ci cominciaro a compiare li
coglione e mi ha dato una
tempolata e mi ha detto: –
Figlio mio, siammo state
questacompagnia,chenonci
siete state vialtre capellone
soldate, e non ci ha socesso
niente, e ora che siete venute
vualtre, li austriece ci
potessero ammazare, perché
nonvistatealvostroposto!E
siancorafaiecosí,chenonti
staiealtuoposto,chevienela
spezione, ti faccio dare il
campio e comme ci viene un
altro!
Cosí, di quello ciorno, io
faceva come diceva lui. E
cosí, alla notte che venne,
verso mezzanotte, ci hanno
portatoilrancio,cheioaveva
ciorne 10 che non manciava.
Poi che io e Ciampietro,
quello picolo recovero,
l’avemmo larecato 10, per
quanto, a uno alla volta, ci
potessemo fare 2, 3 ore di
sognio. Perché il cambio,
Ciampietro, non lo voleva
maie, perché quello posto
avanzato era lo piú meglio
postochec’eraneidetorne.E
davero se stava bene, e
compattemente
non
ci
n’erino. Se sentevano tante
cannonate, ma non erino per
noie, che nelle posezione
nostre c’era la carma. E
Ciampietro diceva: – Vede
quello monte dove spareno
sempre? Si chiama Monte
Fiore –. Ed era umposto
avanzato per li austriece. E
secome era molto alto, per
questo che non potiammo
avanzare,l’italiane,acausadi
questoMonteFiore.
E neanche potiemmo
antarealpaesediAseaco,che
c’eratantolavorodifare,che
ad Aseiaco c’era un crante
diposetodifilospenatoenon
sipotevaantareaprentereper
fare li ratecolate, perché li
austriececisparavino,cheera
tutto alla vista di questo
MonteFiore.
– Ma qualche volta,
Rabito, – mi deceva
Ciampietro, – se vedrà
qualche spavento, che li
taliane, tra qualche ciorno,
vedraiechevienel’ordenedel
comando cenerale, e lo
prenteranno sicuro. E tu
vetraie quanto morte e ferite
che ci devino essere... – Che
poi mi racontava, questo
Ciampietro, che questo
Monte Fiore l’avevino preso
li austriece da un anno. E
cosí, tutto quello che diceva
Ciampietroeravero.
E cosí, venne il porta
ordene, che gli faceva capire
– non derettaminte ai soldati,
ma l’ordine lo portava al
comando di battaglione, che
noi lo abiammo saputo lo
stesso–chefra4,5ciorneci
doveva essere l’ofenziva per
prentere Monte Fiore, e la
nostra bricata doveva fare
questosacrafizio.
Cosí, di Vecenza hanno
fatto venire 2 battaglione
dellacompagniadimorte,che
questi battaglione di morte
erino tutte Ardite, e tutte
delinquente, tutte fatte uscire
a posetamente della galera
propia per queste deficile
imprese. E poi, d’ogni
battaglione di queste, erino
1.000 soldate di queste
soldate delenquente, quinte
erono3battaglione.Elistessi
oficialeerinodelinquente.Poi
queste,
quanto
davino
l’asalto, quello che dovevino
fare l’avevino a fare in 3, 4
ore, e in queste 3 o 4 ore la
posezione vero che la
conquistavono,enipartevino
3.000 di queste malantrine
soldate vive, ma ne potevino
retornare 300, perché totte li
mazzavino, perché certo che
uno che va nella casa
del’altro sempre ci aveno la
peccio. E poi che, queste
Ardite, dell’austriece erino
prese di mira, perché
portavino il destentivo della
morte.Equantoliprentevino
pricioniere,primacifacevino
tante sfrecie, che magare ci
bruciavino li coglione, e
doppo che si passavino tante
piacere, non li prentevino
pricioniere,malimazavinolo
stesso,perchéquellocheloro
facevino
lo
facevino
volentarie, mentre annoi, se
niprentevinopricioniere,non
niammazavano,nilasciavino
vive.
Cosí,questeerinoilveleno
dell’austriece.
Cosí,quellamattina,hanno
venuto
queste
fanatice
soldate, senza portare né
zaino e coperte e né niente,
neanche manciare, solo una
ciaccachedidietroallespalle
c’era una crante tasca, la
riempevino di bombe, il
pugnale nella bocca e il
moschetto con la baionetta
incastata 11 e partevino come
tante cane arrabiate. E poi,
prima che partevino, si
bevevino mezzo litro di
licuore, e magare se
umpriagavino. Manciavino
bene,lamosecaavevino,una
bamdieraitalianaportavino,e
partievino con tutto il
coraggiocheavevino.
E quella matina, verso le
ore5,hannodatolasaltoalla
fortezza di Monte Fiore
all’improviso,butantobombe
in quelle trencieie come li
diavole, che hanno fatto una
carnificina; li artigliarie che
sparavino, sia li nostre e
chelle suoi, che il Monte
Fiore era deventato una
vampa. E cosí, alle ore 10,
MonteFioreeraun’altravolta
italiano.
E compuro che c’era la
nebia si vedeva che il monte
erarosso.Etantoromoreche
se senteva di bombe e di
cannonate,epoichelicridee
il pianto si senteva di dove
eraioeilcalabrise.Elaterra
tutta tremava, e io e
Ciampietro tremammo come
tremava la terra, perché
avemmotroppopaura.Amme
mi pareva una festa, a
quardare quel monte, perché
aveva visto tante fuoche alte
uficiale 12. Ma Ciampietro,
che ci aveva stato nelli
bataglie, si vedeva che ci
stavino scapando li lacrime,
perché sapeva che, quanto li
Arditeprentevinoquelmonte,
poi tocava annoi antarece e
starece per adefenterlo,
perché le vero quaie erono
doppoconquistato.Chepoili
Ardite – quelle che restavino
vive – si n’antavino, e noi
dovemmostarelí,anonnilo
fare levare un’altra volta,
perchéliaustriacefacevinola
contra afenziva e noi la
dovemmoreparare.
Cosí, venne l’ordene di
avanzare anche noi, e antare
in quello Monte Fiore pieno
di
catavore.
Povere
descraziate,
quanto
ni
morevino! Cosí, tutta la
bricata Ancona antiammo lí
per fare la resestenza, che li
austriecehannocontraatacato
e li nostre comantante
credavino: «Avante Savoia!»
E noi, tutte con bombe
ammanoebaionettaincastata
e pugnale e bombe, che li
Arditelistapevimofannonoi,
che prima di arrevare al
monte, caminanto caminanto,
di quanto morte e ferite che
c’erino, non avemmo dove
metterelipiede.
Questa fu la prima
battagliacheiohofatto.Che,
della nostra bricata Ancona,
ni hanno ammazato, li
austriece, piú della mità, che
poi pianto e lacrime ci ne
forenotante...
Cosí, Monte Fiore restavo
ammano annoi e li austriece
sinedovetteroantare.Ecosí,
anoizapatore,cihannodetto
che vedetta non ci ne
facevino fare piú, e ci
facevino fare di sepolire
muorte,faretrenceieefareil
soldatozapatore.Cosí,ebimo
iltempodisepolireunametà
di catavere, e facendoce li
buche nella terra, metendoce
una delle suoi coperte e
levandoce il piastrino di
reconoscimento per vedere
comesichiamava.Poi,doppo
seppellito, ci metiemmo una
crocetta.
E cosí, amme, tutta la
paura che aveva, mi ha
passato, che antava cercanto
li morte magare di notte, che
deventaie un carnifece.
Impochi ciorne sparava e
ammazava
come
uno
brecante, no io solo, ma
erimo tutte li ragazze del 99,
che
avemmo
revato
piancento, perché avemmo il
cuore di picole, ma, con
questa carnifecina che ci ha
stato, deventammo tutte
macellaiedicarneumana.
Cosí,
avemmo
visto
milliaia di ferite che
credavinoecorrevinocomeli
pazze,coniltandodoloreche
sentevino, poverette, e ce
n’erano che moreva nella
barellaementrechecorreva.
Cosí, quelle che restammo
vivi cercammo li amice, e li
amice non si potevino
trovare, perché chi era morto
e chi era ferito e chi era
pricioniere.Ilfattostacheio,
aCiampietro,nonl’hopotuto
vederepiú.
Epoicheliaustrieceper2
ciorne non ci l’hanno voluto
fenirepiúditerarecannonate
sopra Monte Fiore. E per tre
ciorne fuommo abandunate
del Padre Eterno, senza
rancio e senza dormire,
perché li mule che dovevino
portare la spesa erino morte
pure, e poi che la strada era
tuttavoltatasottaesopracon
li cannonate. Ed erimo tutte
strapateepienedifanco.Eil
nostro elimento era la
bestemia, tutte l’ore e tutte li
momente, d’ognuno con il
suo dialetto: che butava
besteme alla siciliana, che li
botava venite, che le butava
lompardo,echeerafiorentino
bestemiava fiorentino, ma la
bestemia per noie era il vero
conforto.
E menomale che in certe
taschedellemorteaustriececi
trovammo una scatola di
trenciato per fare segarette e
fumare, e magare qualche
scatoladicarne,matenemmo
paura che avesse potuto
essere macare avvelenata e
tiniemmo
paura
di
manciaranilla e moremmo di
fame. Che brutta vita che ha
passato,
questo
Rabito
Vincenzo!
Cosí, tutte quelle che
restammo vive del 2conto
reparto
Zapatore,
tutte
fuommo chiamate per vedere
quanto ni avemmo restato
vive. E cosí, vennero altre
soldate e hanno di nuovo
remporzato il reparto, che
erimoun’altravolta70.
Tutte erimo redotte senza
penziero,
erimo
tutte
inrecanoscibile, erimo tutte
abandonatedelmonto.
Poi,iohaparlatodiunodei
portaferite che volevo sapere
se dorante questa sanquinosa
bataglia se avesse carrecato
nella barella un certo
Ciampietro Francesco, che
l’avessero portato per caso
all’ospedale. E responte un
altrochemihadetto:–Sí,ci
l’ho portato propia io
all’ospedaletto da campo, e
però era ferito cravemente e
nonsisasecampa,perchéera
ferito di una schecia di
cranata.
E
cosí,
io
disse:
«Poveraggio,chefacevatanto
coraggioamme,eavevastato
2volteferito,ela3,forse,ci
ha tocato di morire. Povero
zio Pietro, come mi voleva
bene,comeseavessestatoun
suofratellopicolo...»
Per 2 ciorne si ammesso a
cascareneve,emuortenonzi
ne potteno cercare piú.
Quinte, per sepolire muorte,
doveva venire la primavera.
Ma li muorte che restareno
sutta la neve, certo che non
puzavino. E quinte, venne
l’ordene di lascialle stare. E
quinte,dissemocheinaprile,
se siammo vive e siammo
ancora qui, reprentiammo il
lavoro e siquitammo a fare li
bechine.
E quinte, tutte li ciorne
cascavaneveefacevafreddo
da morire, ma non zi
compateva, però. Quinte,
quelle
soldate
delle
compagnie
facevino
li
vedette, e li zappatore
antiammo allavorare tutte li
ciorne.
Ammenzanotte veneva il
rancio e manciammo il
rancio. Lo portavino con li
mule. Certo che noi
dovemmo fare magare la
manotenzioneallastradache
portavino il rancio, che certe
volte li altigliaria austrieca
rompevino la strada, e noi
zapatore subito, di notte, la
dovemmo reparare, perché
altremente il manciare non
veneva.
Semorevadelfortefreddo,
che tutto chiachiava 13. Li
piede ci achiachiavono tanto
che c’era una scuadra di
portaferite a posetamente per
incrasare 14 li piede, per non
ni concelare. E poi pasavino
magare i comantante per
vedere se li piede l’abiammo
incrasate. E se non ci le
volemmo incrasare, non ci
davino da manciare per
ponezione. E con tutto che li
piedeliincrassammosempre,
4, 5 al ciorno partevino per
l’ospedale con li piede
concilate, poi che soldate ce
n’erinotantedelinquenteche,
perfareseconcedare,lipiede,
prima si le facevino
incrassare e poi si lavaveno
con la neve, e poi ci li
mettevino aposta immienzo
alla neve, per non fare la
querra. Ma io questo non lo
faceva, perché uno male
sopra la mia persona non
l’aveva il coraggio di
faramillo.
Cosí, una notata io mi
senteva che mi stava
comincianto a concelare il
ditocrantedelpiededestroe,
subito subito, lu ho detto al
capitano medico e mi hanno
mandatoall’impermaria.Eio
miavevafattoilcontochemi
lo dovevino curare, e invece,
senza che io mi ne sono
alcolto15,commehannofatto,
mihannofattomettereafacie
abucone16sopraunletto,mi
hanno detto che mi
incrasavino li piede, e invece
questo lazzarone capitano
medecoprentelaforbiceemi
ha tagliato mità del dito,
quella mità che stava
concidanto, che mi ha fatto
sentere un dolore di morire e
iohobutatounauce 17chea
tutte li ammalate li ho fatto
sbegliare.Eilcapitanomiha
detto: – Hai fatto bene a
venire al tempo ciusto,
perché, se ancora non
venevito,ticoncelavatuttala
camba.
Mapropiaquellanotte,non
zipottecapirecomehastato,
selasentenelladormeva,seli
contecentehannosbagliatola
strada, opure c’era qualche
spiata piede piede (perché
con noi c’erino che facevino
li soldate magare citadine di
Aseaco), il fatto sta che li
contecente, invece di portare
il rancio annoi, lo hanno
portato alli austriece. E io,
quella notte, dovette sobire il
dolore, e il manciare non
venne.
E, quella notte, neanche li
sentenelleaustriecesinesono
acolte che nella linia
entravino li contecente
italiane che portavino il
rancio. Cosí, li austriece,
tantecentile,sihannopresoil
manciare. Li condecente
neanchesinesonoacorteche
erino con il nemico, perché
erino vestite di bianco, e
l’italiane erimo vestite di
bianco pure. E li austriece si
hannodevisoilrancio.
Mailcaporaleitaliano,che
come consegnava il rancio ci
dovevinofermareilraportino,
ehavistocheerinoimmienzo
alliaustriece,sihannomesso
a piancere, li nostre
contecente, che poi questo
fatto mi l’hanno racontato
loro. E mi decivino che
quanto li hanno mantato
intietro, e li vedevino che
piancevino, li austriece ci
decevino:–Nonpiancete,che
non
vi
prentiemmo
pricioniere e non vi
sparammo, anzi, ci dovete
direaivostrecomandanteche
domane notte lo dovete
portarepiúprestoilmanciare
–.Eciavenodettomagare:–
BuonefestediNatale.
E
quelle
sbenturate
contecente, compreso il
comantante, si ha presentato
nelle nostre linie senza
portarene manciare. E tutte,
con la rabia che avemmo,
perché restammo senza
manciare, alli condecente li
voliammoammazare.
Recordopoicheerapropia
il ciorno di Natale, e propia
quella notata si aveva
presentato
alle
nostre
posezione
un
soldato
austriecocheparlavaitaliano,
e forse era di Trieste, e disse
che si voleva rentere come
pricioniere, e cosí la
sentenella non ci ha sparato.
Eiolotenevainconsegna.
Propia quella ciornata era
di dominica e il prete ci ha
portato sotto li albere per
farenesentirelamessa,come
tantedomeniche.Ecosí,ciha
venutoilpricionierepure,alla
messa.
Cosí,quantoilpreteaveva
fenito di dire la messa, e
cometantevolterepetevache
ilDionidovevadarelacrazia
di vincere questa sanquinosa
querra e scacciare il nostro
potente nimico, che come il
pricioniere intese quella
parola del prete, che «il Dio
ni doveva fare la crazia di
scacciare
il
propotente
nimico»,siammessoaridere
e senza tremare ha detto: –
Qualdachesonotuttelistesse
li prete, che la domenica
passata il nostro prete ci ha
detto,quantocihannoportato
allamessa,cihadettopropia
li stesse parole, che il Dio ci
aveva a fare una crazia, che
l’Austriadoveva«scacciareil
suopotentenemico»,cheene
l’Italia, e «vincere questa
sanquinosa querra»… – E il
triestino redeva, e non
sapiammoperchéredevaeni
parevacheerapazzo,epoini
ha detto perché rideva e ha
dettocheforsecisono2Patre
Eterne, uno è in Italia, e uno
ene in Austria, e non ci
capeva niennte, e rideva e
feceredereatutte,cheilprete
siavevacompiatolicoglione
e ni ha detto: – Che ci l’ha
portatoaquestochevacontra
la relicione? Portatolo fuore
dellamessa!
Cosí,iominesonoantato,
perché il prete si aveva
innervosito. E poi lo hanno
portato al campo di
concentramento, ma era uno
chedicevalaveretà.
Quinte, se senteva molto
freddo,manonsecombateva.
E poi che la neve aveva
celato, faciammo recovere
propiasottalaneve,perchéil
chiaccio era piú forte della
pietra, e poi, dentra queste
picole recovere, magare
faceva caldo, e quanto
pioveva e cascava neve
stiammo dentra a queste
recovere e ciocammo alle
carte. E cosí passammo
quello maledetto tempo. Per
noie queste recovere fatte di
neve e chiaccio pare che
fossemodentralicafè!
Poi,quantononnevecavae
non piuveva, faciammo
trenceie. Poi, noi zapatore
avemmoilcompitodimettere
li trapole nei poste avanzate,
propia vicino alle retecolate
nemice, che queste trapole
erino come li trapole dello
celle 18. Però, quelle dello
celle erino picole, perché
servevino per incagliare
ucelle, mentre quelle trapole
chemitiammonoi,dilàdella
prima linia, erino trapole
crante, per incagliare soldate,
con un circolo e spontune
crosse,chequantounsoldato
camminava a strescione per
terra,
basta
tocarlle
ammalapena con una mano,
macare liciera 19, e quelle
sparavino 20, e il soldato
restava impecicato, che se ci
incagliava il collo, quanto
camminavaconlapanciaper
terra, poteva sofogare e
morire, e invece, se lo
prenteva per una campa,
remanevaferitocravamentee
nonpotevacombatterepiú.
Poi, noi zapatore, avemmo
il compito pure di fare
cavallette di Frisa 21, e poi,
doppo fatte, li dovemmo
antare a tacare 22 nei
reticolate. E sempre questo
lavorosidovevafaredinotte
tempo. Quinte, come li
facemmo, li carrecammo e li
portammo dove ce volevino,
perché li austriece, certe
notate, con li pinze li
tagliavono, allo scopo di
farese dei passacie. E cosí
noi,
queste
rotte,
li
sostotoveremo. E cosí,
portammo sempre cavallette,
equestecavallettediFrisadi
filo spenato venevino fatte
dentraaunacrantecrotta,che
l’avemmo fatto noi stesse,
lontano dalle poste avanzate.
Poi, alla notte, li antiammo a
tacare ai retecolate, propia a
50metredeliaustriece.
Con la trasuta dell’anno
nuovo,pernoifuunafortuna,
che lí, amMonte Fiore, ci
hannoportatounobattaglione
diamirecanecheconfenavino
conlanostrabricataAncona.
E cosí, il manciare annoi in
trenceia ci n’arrevava piú
assaie,perchénoi,conladata
delprimodell’annodel1918,
ci l’abiammo passata meglio,
perché c’erino allato di noi
l’amirecanechecombatevino.
Poièche,conquellapresa
di Monte Fiore, si poteva
lavorare magare alle porte di
Aseaco, mentre prima non si
ci poteva lavorare, perché
Aseaco non era né italiano e
neanche austrieco, e quinte
solo li patuglie ci potevino
antare, sia li patuglie
austriece e sia le patuglie
italiane, alla notte. E co’ ’sta
presadiMonteFioreerimoa
posto. Pacienza che avevino
morto 8 mila soldate dei 3
battaglione della compagnia
di morte, che quase quase
stavino morento tutte in tre
ore di combattemento, e 12
milaforenoiferite!
E magare il tenente
Sparpaglia
era
antato
allospedale, emmacare io
aveva auto ferito un crante
amico mio che si chiamava
Strano Ciovanni, che era di
Ciarre 23, vicino Catania. E
Sparpaglia mi ha detto: –
Rabito, tu non antavito di
acordio con quello che
portavitolicavallettediFrisa
nellenostreretecolate,maora
ti viene il compagno, che io
oggi sono stato allo spedale,
pervederesenelbraciocisia
qualchepallotela,ehovistoa
Strano, che sta reantranno
qui,epertequelloeneilvero
compagno, che io so che
antatediacordio.
E cosí, alla sera, davero
venni Strano Ciovanni. E,
come venne, subito ci
abiammo baciato, e mi ha
detto:–CaroVincenzo,sono
sfortenato,cheperforzadevo
morire. Io, alla mia famiglia,
ciavevascrittocheeraferito
ed era fortenato che, come
quareva,midavinolalicenza,
e la mia famiglia mi
aspetavino
per
questo
maledetto Capo danno, e
invece mi hanno portato qui
–. E bestimiava come un
zeracino 24, perché aveva 10
mise che non vedeva la
famiglia.
E io ci diceva: – Pacienza
faciammo, Strano... – e ci
comportammo uno con
l’altro 25. E una volta
bestimiava io, e una volta
bestimiavalui.
E se faceva una vita che
non la fanno nessuno dei
pecciocondannatedelmonto:
stare immienzo alla neve e il
chiaccio, a 17, 18 anne, e
anze,
menomale
che
abiammo al bravo tenente
Sparpaglia, che per noi 2 era
unveropadre.
Cosí, io e questo Strano
Ciovanne erimo come li
coglione, che sempre erimo
inziemme.
Cosí,ioeStranoCiovanni,
questo cavalletto, di matina
alla sera lo preparammo, e
poi, quanto era fatto,
stapiemmo dentra alla crotta.
Ecomevenevalanotte,nilo
carrecammo sopra li spalle e
via. E piano piano, senza
farere romore, andavamo a
posizionarlo. Io, la strada, la
sapeva, perché ci aveva
antato prima. Però, la strada
nonerastrada,maeraterreno
pieno pieno di pietre, e
terreno pieno di scatolette
vuote, che prima in questo
punto c’erino li cucine, che
un anno prima, voldire nel
1916, ci ha statto una forte
sconfitta per l’italiane, che li
austriece hanno avanzato
circa 10 chilomitre, che fu
propia cuanto hanno preso
pricioniere a Cesare Batista,
che ci ha stato una crante
perdetaperl’italianeche–ci
lo decevino quelle che ci
avevinostato–sichiamavala
«retradadelTrentino»26.
Cosí, li terre restareno
piene di latte vuote. E se
camminava, speciramente di
notte, carrecato, non sapeva
dovemetterelipiede.Esele
metteva sopra queste latte e
faceva sentire al nemico, il
nemico, come senteva,
sparava.Emagareunodinoi,
conlipiede,siimprogliavae
cascava per terra, e cosí li
austriece ci ammazzavino. E
poi magare, cascanto, se
poteva rompere la faccia e il
nemico poteva sentire il
romore.
Epoichenonc’eranesuno
che ci dava aiuto, perché
erimo sole, io e Strano, e
quinte, quanto ci socedeva
unadescrazia,lopiúassaiche
poteva fare era che uno si
doveva carrecare all’altro
senzafaresesentire,perchéil
puntodovedovemmoatacare
questecavalletteeraalleporte
del paese di Aseaco, che il
paese era diserto e nella
citatella d’Aseaco era stata
bombardata diverse volte, e
tutte li case erino rotte, e
qualche
soldato
che
conoscevaAseacodicevache
ci potevino essere una
cinquantina
di
persone
paesane, ma paesane stubite,
perché se non erino stubite
non ci stapevino, perché si
moreva sicuro. Ma queste
erino acente molto vechie e
non avevino paura della
morte, e poi perché non
volevinolasciarelasuacasa.
Poi del paese non avevino
scapato solo li acente, ma
avevino scapato tutte li
animale volante, voldire li
colompe e li ocelle tutte, e
avevino scapato li gatte, e
hannorestatosololitope,che
letopesenzadellegatteerino
deventate
come
tante
coniglie.
Quinte, io e Ciovanni,
quanto faciammo il viaggio
perportareilcavallettoopure
li trapole, erimo perecolose
sempre, perché queste tope il
manciare l’avevino, prima di
tuttoperchéc’erinouncrosso
concimaio di osse, come una
specie di crante fosso, che
l’anno prima, quanto c’erino
li cucine, tutte li osse della
carne li portavino in quello
deposito,
e
li
tope
camminavino a 100, a 150
tutte inziemmo, e apena
sentevinoromure,liaustriece
ci pare che erimo l’italiane
che volevino entrare, con
quelloromorechefacevinoli
tope, e sparavino, e
stapemmo, io e Ciovanni,
tanta piene di paura sempre.
E poi, certe volte, quanto se
smovevino tutte un corpo,
queste crosse surcie, ni
parevachestavinoentrantoli
austrieceadAseaco.
E cosí, questa vita si ha
fatto di antare immienzo alla
neve per fina al mese di
l’urtime di marzo. E
lavorantoconunopuntiglio...
neanchefossemoinunaditta.
Senza che nesuno ci pagava.
Era la butana Madre Patria
che ci doveva pagare con 12
soldealciornoesenzadarece
un soldo alle famiglie che
morevino
di
fame,
comincianto di mia madre,
che aveva 2 figlie, uno allo
spedaleferitoeiochedauno
momente all’altro poteva
morire.
Che
descraziata
vita
passata!Quantotempeamare
io ho passato in questa mia
descraziata vita! Quanto
doloreiohosentitonellamia
vita!
Cosí,lapagachecidavino
era solo che, d’ogni 15
ciorne,cifacciammolire8.E
questa era la paga del lavoro
perecoloso che faciammo! E
di ogni mese potiammo
quadagnare lire 15 o 16, e
d’ogni tanto receviammo
qualche
lettera
della
famiglia... e tutte li parole
scritte erino scancellate. E
quelle che scrivemmo noie,
quelle che dicevino: «Cara
madre, stiammo bene e
servemmolaPadriacontutto
ilcuore»,lacenzuralilassava
passare, queste lettere, e
lassava passare piú presto
quelle che scrivevino: «Cara
madre,iovogliomorireperla
Padria». E ora, questa
desonesta Padria, doppo 50
annediaspetarequestorecalo
che ci ha promeso di una
fedenzia di lire 5 al mese,
quelledesonestepiúdiprima
non ci li vogliono dare,
descraziateecornute!
E ancora hanno la
sfaciataginedidire:«Padria»,
chesonodelenquente,cheio,
semuoro,quellochel’ultima
parola che io ce devo dire è:
«Sputatece a questa Padria,
perché non hanno coscenza
pericombatentedellaquerra
15-18!»
Ognitanto, recordo che se
prenteva qualche pricioniere
che se presentava alle nostre
linie perché con li austriece
piú non voleva combatere, e
poi che queste che se
rentevino non erino vero
austriece,maerinoquelleche
dovevino essere italiane,
voldirediTrento,diTrieste.
E poi ni decevino, questi
prigionieri, che li austriece e
li tedesche stavino per fenire
il manciare. E secome di
questecin’erinocheavevino
molta scuola, e ni facevino
capire che verso maggiociugno li austriece e li
tedeschesistavinopreparanto
per fare una crante ofenziva,
che volevino a trapassare il
Piave e volevino conquistare
tutto il Venito e dovevino
portarel’ItaliaperfinaalPo,
che cosí prentevino tutto il
manciare che c’era nelle 7
provincie del Venito, che
volevino
fare
un’altra
avanzata lo stesso di quella
cheavevinofattoaCaporetto.
E questo lo dicevino li
pricioniere che prentiemmo,
che li austriece stavino
morentedifame.
Quinte,sivedevacheerino
piúdescraziatedinoiitaliane,
queste
povere
soldate
austriece,perché,provanisia
che, quanto c’era ummourto
austriaco e ci volemmo
quardare che cosa ci avevino
nelletasche,noncitrovammo
mai cose per manciare, solo
ci trovammo fomare e
cartuccie e bombe ammano.
Sempre avevino cose per
ammazare,nonpermanciare.
Quinte stavino piú male di
noe.
Poi,
come
dicevino
l’antiche,cheilprovebionon
sbaglia: «Quanto scuaglia la
neve, si dovevino vedere li
portusa 27». E si aspetava
propio questa discrazia della
primavera di scuagliare la
neve.
Da quando c’era stata
quella crante e sanquinosa
batagliadiMonteFiore,tutte
li catavere che non avemmo
potuto sepelire li zapatore,
perché si erino sepellito di
neve,ora,scuagliantolaneve,
cià si cominciavino a vedere.
E siccome avemmo l’ordine
di cercalle e usciemmo fuore
della trinceia, li austriece
sparavino. E ni stavimo
rovenanto, con il tempo
buono... Ed era meglio
l’inverno che, magare che
c’erino tempeste, si cercava
direparare,manonsimoreva
come si muore ora, con
questebelleciornate.
E annoi ci avevino pure
abisatocheliaustriececiàse
stapevino preparanto per
butare casse 28 e farene
morire piú presto. E noi
aspetavimo propia questo
bellaprimavera!
Cosí, noi cominciammo a
riempiretantesachedipaglia
fraceta e bagnata, e meterle
dentra alle trinceie, e quanto
sonava la larme, che li prime
che lo sentevino decevino:
«Gasse! Casse!», tutte li
soldate dovemmo dare fuoco
a quelle sachie bagnate di
paglia,
immaniera
che
facevino fumo e il casso si
n’antavaperl’ario,ecomese
n’antava il fomo, si n’antava
il gas. Cosí, non si moreva.
Ma se, percaso, non ci ne
acorceva nesuno, di questo
casse che abutavino, in 5
minute potiemmo morire
sofocate tutte, perché la
maschera non c’era tempo di
poterlla mettere. E quinte, li
coseantavinopecioranto.
E recordo un ciorno, che
stavimo facento un crante
fosso per sepelirece una
ventina tutte in una volta di
catavere, che il capellano
venne aposetamente per
derece la santa messa e
sepelille tutte inziemme, per
non fare tante fosse. E poi,
come li abiammo sepellito, il
tenenteSparpaglianihadetti:
– Rabito, ora fatemi il faore
che ci sono 2 mule muorte
che fanno puzza, con queste
belleciornate.
Cosí, li abiammo sepellito
di notte, facento una fossa
prefonta,epoi,conlacetta29,
ciabiammotagliatolicampi,
perché non li potemmo
sepelire. Ed era di notte, e
forsecheilcechinohainteso
remore ha cominciato a
sparare,perchésicredeviche
stavimocostruentounfortino,
e cominciavo a trare
cannonate propia in quello
fosso che avemmo fatto. E
c’erino 3 che stavino livanto
la terra, e io e Strano erimo
messe dentra il recovero per
fomarene una sicaretta, e
intantoquellibutavinoconle
pale la terra fuore, che ci
dovemmometterelimuleche
puzavino.
Venne
una
cannonata austrieca di crosso
calibero, che per mezza ora
cascavino terra e pietre
dell’ario, ma annoi non ci ha
fattoniente.
Quelle3poveredescraziate
che levavino terra invece
foreno sbatute per l’ario, con
quella micidiale cannonata, e
icorpidellemoleforenototte
spezate, che non ni abiammo
fatto capace piú dove era
antata la carne delle mule. E
li 3 morerino e il fosso si ha
fatto per 20 volte piú lareco
diquellochestavimofacento
noi. E cosí, quello fosso non
serbevo piú per li sole mule,
ma servio magare per li 3
soldate, che li dovettemo
sepelire tutte in quello crante
fossa, inziemme alle mule,
che non sapiemmo se era
carne di mole o carne di
soldato.
Ormai aveva 6 mese che
erimo nella trinceia, e il
comantante della bricata
Anconaforseforsecheaveva
fattoladomantadifaredareil
campio.
E davero passareno 10
ciorneesisebelanotiziavera
che ci ne dovemmo antare,
chelabricataAncona,doppo
6mesedistareimmienzoalla
neve e immienzo al chiaccio,
finarmente si n’antava a
reposo, che ci dovevino dare
il cambio 2 reggemente
francese,che,comesideceva,
li francese con li Alpe e con
la neve c’erino piú abitovate
dell’etaliane. Io diceva: «Ma
allora questa querra deve
durare ancora un altro anno,
perdirecechelifrancesecon
laneveerinopiúcapace…»
E cosí, per il primo,
abiammopartitonoizapatore.
Tutte in zelenzio. E ci
abiammo portato tutta la
robba che avemmo, che uno
dinoilopiúpococheportava
di peso portava 50 chile. E
poi l’altra robba l’hanno
carrecato sopra li mule del
battaglione e per tutte quella
notte ci ha stato una crante
cioia,checiallontanammode
quelle brutte posezione. Non
potiemmo cantare, perché li
austriece ci sparavino, e ’sta
partenza fu fatta senza dire
unaparola.
Pare che avemmo state 30
anne in carcere e fuommo
acraziate, di come erimo
contiente. E cosí, di notte
sempre, incontriammo una
fila di soldate francese che
salevino piano piano, pare
che staveno antanto alla
forca.Maquantopassareno2
ore,chepotevinoessereliore
3, che noie ci abiammo
allontanato 8 chilomitre dalle
posezione, si ha aperto un
forte bombardamento. E
questo ha stato perché di
quelle posezione ci avevino
levato all’italiane e ci hanno
portato alle francese, che ci
forenotantemigliaiadimorte
di taliane che stapevino
smontando e di francese che
stapevino montando. Quinte
li austriece sapevino tutto. E
il nostro reparto Zapatore
presemo il solo spavento, ma
nonhamorutonesuno,perché
fuommo
fortenate
che
abiammopartitodaiprime.
Non ci deceva nesuno la
veretà dove ci portavino, ma
cantammo, compure che
erimo stanche, perché ni
avemmo levato di quelle
monte, che li francese, a li
austrieche,
come
ci
n’antiammo noi, ci l’hanno
levato. Ma poi, doppo 3
ciorna di camminare con le
zainapienedirobeecontutte
quelle atrezze di zapatore,
non ci la faciammo piú, e
invece
di
cantare
bestimiammo e dicemmo
tutte: «Ma perché non ci
dovevino fare morire ad
Aseaco che ci stanno fanno
morirestradestrade?»
Li oficiale quardavino e ni
lasciavinoparlare,maperòlo
dicevino
che
avemmo
raggione, ma loro però zaino
non ni portavino, e poi come
ni sentevino, ni decevino: –
Fate silenzio! Non parlate
assaie,chestiammorevanto.
1
teniche:esercitazioni.
2
Schio.
3
Asiago.
4
piaciruso:curioso.
5
L’altopianodeiSetteComuni.
6
sbampazate a terra: buttati per
terra.
7
tante 20 soldate: in gruppi da
venti.
8
raficello:interstizio.
9
cozata: botta
scapaccione.
10
larecato:allargato.
11
incastata:incanna.
sulla nuca,
12
fuoche
alte uficiale: fuochi
artificiali.
13
chiachiava:ghiacciava.
14
incrasare:mettereilgrasso.
15
alcolto:accorto.
16
afacieabucone:conlafacciaa
bocconi.
17
hobutatounauce:hogridato.
18
dellocelle:degliuccelli.
19
macare liciera:
anche
leggermente.
20
sparavino:scattavano.
21
cavallette di Frisa: cavalli di
Frisia.
22
atacare:adattaccare.
23
Giarre.
24
zeracino:saraceno,turco.
25
ci comportammo uno
con
l’altro:ciconsolavamoavicenda.
26
La cosiddetta Strafexpedition
austriaca, iniziata il 14 maggio 1916 e
conclusasiil2giugno.
27
liportusa:ibuchi.
28
casse:gas.
29
lacetta:l’accetta.
Capitoloquarto
AtuornodelPiave
Fenarmente, doppo 4
ciorne di marcia, sempre
caminantoapiedeecarrecate,
e non in una strada, ma
camminare
montagne
montagne, dove li strade
erino rotte delle cannonate e
bombardate, e ci hanno
portato nella provincia di
Venezia, vecino umpaisetto
chiamato Fornacie, e vicino
MeviloeFossaAlta,evecino
SantaDonatodelPiave1.
Avemmo fatto piú di 70
chilometre!
Erimo lontano 10, 12
chilomitre del Piave, voldire
12chilomitredellaliniadove
c’era il nostro nemico. E
abiammo fatto li tente,
compurecheerimostanche,e
ci abiammo messo a dormire
impace. E questa fu la prima
notte che abiammo passata
tranquilla.
Allamatina,sbeglianonci
ne fu, solo che ci hanno
destrebuito il cafè, ma senza
direce: «Alzatevi». E cosí,
doppo preso il cafè, ci
siammo dormentate un’altra
volta, poi che erimo racazze
che, facento una buona
dormitaeunabuonareposata
di 15, 16 ore, cià erimo a
postoun’altravolta.
Io,
con
Strano,
cominciammo a vedere
borchese fimmene e uomine,
chespeciarmentecheaveva6
mese che avemmo deventato
tutte impotente, che non
avemmo auto contatto con
donne.
Poi, cercammo dove c’era
ilpostodovefareneilbagno,
che c’era una crante stanza
con una bellissima vasca a
pacamento,conacquacaldae
fredda. Cosí, uno con l’altro,
ci abiammo zaponato, che
aveva venuto una spedezione
di 4 persone con uno tenente
di ogni compagnia, e poi
volevinosapereseciavemmo
lavato bene. Poi, ci hanno
campiatotuttalabiancheria,e
cosí, davero, ci abiammo
sentitodiessereimparariso.
Per 3 ciorne nesuno ci ha
comandato; ci hanno tenuto
libere; magare nella libra
uscitanoncifuappelloper3
ciorne,
che
quanto
vogliammo
rientrare,
rientrammo.
E cosí, povere borchese
che hanno capitato immienzo
annoie,poveredonne,povere
signorine! Tutte voliemmo
essere
fidanzate,
tutte
volemmo
avere
una
innamorata per conto propia,
tutte scrivemmo lettere
d’amore alle donne, magare
cheerinomaretate.
Poi che ci avevino fatto
tante pache nell’alto piano di
Aseaco, e solde non
l’avemmo speso, perché non
c’era stato maie niente di
comperare – ma io però, li
solde, l’aveva mantato a mia
madre, ma ce n’erino tante
chel’avevinonelletaschie.E
cosí, hanno cominciato a
comperare butiglie di licuore
e butiglie di profumo e fare
recale a queste ragazze, allo
scopo di farese amice e
poterlle fottere. E cosí, con
questalibertàcheavemmoha
dorato poco, perché ha
socesso un bordello, e si ha
fenuto presto questa libertà,
che ci foreno migliaia de
recrame, perché noi non
lasciammo impace alle
borchesi.
Edoppo5ciornediquesta
vita
di
mascalsone,
cominciarenoun’altravoltali
marcie, li sofrenze, il lavoro,
lo zaino a spalla. E per tutte
le strade del Venito ci
facevino marciare. E per le
strade,quantosiincontraveno
femmene,tuttelidiciammola
nostrae,povereragazze,non
li lasciammo camminare
impace.Epoie,magarec’era
qualche soldato di quelle
delinquente che erino capace
didareceunobacioperforza,
e venevino stuzicate tutte, e
magarepizicunaerinocapace
di darece, e quelle ragazze
erino tante scantalizate che
magareprentemmotempolate
nellafaciaelioficialesempre
scrivevino
bigliette
di
pricione.
Una
volta,
amme
personalmente,mihacapitato
propiamme che io mi aveva
fattoamicoconunafamiglia,
che in questa famiglia erino
umpadre,unamadree4figlie
femmene,epoiciavevinoun
figlio mascolo. E queste 4
figlie
fimmene
erino
signorine,etutte4facevinoli
saltepervestitemiletare.Non
erinosaltediquellebrave,ma
si chiamavino salte lo stesso,
emagaresteravinoelavavino
biancheria. E quinte, dentra
quella famiglia, alla sera
sempre c’era trafico di
soldate. E uno di queste era
io, che sempre ci antava a
passareme il tempo e poi
portarece della roba per
faramillalavare,perchéaveva
io la fortuna di faramici
amico,perchécommec’erail
fratello di queste signorine
chefacevailsoldato,maperò
non era zapatore, era della 5
compagnia, sempre dello
stessoreggimento.
Cosíio,quantociantavaa
passareme umpoco di tempo,
non ci antava maie con
amice, e neanche a Strano
Ciovanni ci portava, perché
quanto uno porta amice dove
cisonodonneciportanimice,
perchéc’enesempreciolisiae
disoldene. E quinte, io ci
antavasempresolo.
Cosí, una sera, io ci aveva
portato umparo di mie
pantalone per fareamille
aciustareepoiperpassareme
umpoco di tempo, e poie che
questa famiglia ci avevino
una machina parlante e una
chitarra, sempre c’era di
devertirese, paura non ci
n’era,chelaliniadifuocoera
molto lontano. E poi che si
potevadevertire,perchéc’era
uno acordo per tutte li
nazione che erino in querra,
che non potevino sparare
dove abitavono popolazione
civile, non si poteva
bombardare, e quinte si
potevinodevertireassonare,e
tutte li voce che se potevino
fare, si potevino fare, che
bombenonnibotavano,néli
austrieceeneanchel’italiane,
equintenonc’erapaura.
E quinte, io ci ho portato
queste
pandalone
per
aciustare e poi prenteremille
all’indomane sera. Con
questotraficochec’eradentra
a questa casa, certo che li
stubiti soldate ci pareva che
c’era bordello. E tante
soldate, che vedevino soldate
lí dentra, penzavino che si
facevacosa,esifacevapilo2
dentra a quella casa.
Specialmente quelle soldate
che erino della terra matta di
Sicilia penzavino che in
quella casa ci fosse il casino
con quelle 4 sorelle, mentre
nonc’eranientediquelloche
penzavino queste stubite
soldate.
Ma io era sempre
solbegliato di un mio stubito
paesano che voleva sapere
tutte le sere dove io antava,
perché ci faceva rabia; che
questo cretino paesano era
che si credeva che era piú
bello di me e amme questa
famigliamidavacompedenza
e lui niente. Ci aveva una
rabia e una ciolizia 3
incredibele, che per forza
volevaentraredoveantavaio,
ed era per questo che mi
faceva la posta, per vedere il
perché io aveva questa
amicizia. Questo si chiamava
Tano Saponaro, che erimo
amice d’infanzia, ma io, alla
sera,commenoncilovoleva,
perché era una bestia nello
raggionare,
speciarmente
quanto c’erino femmene: lui,
magare che vedeva una
cane 4, sempre la faceva
fenire a bastonate. Era per
questo che io ci antava
semprenascosto,eluisempre
si arrabiava con me, perché
lui da solo non era capace di
cercarese una famiglia alla
sera di passarese il tempo, e
voleva che io mi avesse
portatoallui.
Cosí, io mi ho trovato ad
antareaprenterelipandalone,
e questo pezzo di zamarro
sapevacheioantavainquella
famiglia, allora partio prima
ecihadetto,questozamarro,
aquestafamiglia:–Chièqui
Rabito,ilsoldato?–Chepoi,
questo stubito si credeva che
ci avessero detto: «Sedite e
aspettacheviene».
E invece non fu cosí. Che
quelle signorine lo hanno
remproverato e ci hanno
detto: – Perché lo venite a
cercarequi?–Eduediqueste
signorine usciero fuore e ci
hanno detto: – Maleducato,
vatenediqua!–Esecomeera
bestia, quanto si l’ha visto
vecino,cihadatounamanata
nel petto, credendose di
farece una carezza. Cosí,
questa, vedentese tocare il
petto, ci ammesso a darece
tempolone e fare voce,
mentredentrac’erailfratello
che non sapeva niente, ma
come sente che sua sorella e
tutte2sorelleavevinodafare
conunosoldatochesistavino
prentento a bastunate, cosí il
fratello prente un forcale 5,
l’altre 2 sorelle si armareno
conilbastoneelascopa,eil
suo padtre prente il fucile, e
quello zamarro di Tano
dovette scapare, e tutte 7 ci
antareno apresso, che lo
volevino ammazare se lo
prentevino.
Mentre stava venento, io
vedeva a Tano con la testa
rotta che aveva auto
bastonate. Io non sapeva
niente, stav’antanto per
trovare
all’amico,
per
prendereme li pandalone, e
invece sentiva de quella
famiglia:
«Descraziate,
sicilianeterramatta,venitequi
se avete coraggio, che a
vialtre desoneste siciliane
siammo
capace
di
ammazareve,noi!venite!edi
spotarevenellafacia!»
Io, che stapeva antanno in
quella casa, e vedo a
Sapunaru che correva, che
queste ci teravino magare
pietre e piezze di ferra, capii
che se ancora mi avicenava
c’eralaprobabiletàcheunadi
quelle pietrate la poteva
prentere io, come uno colpo
di pietra cià lo presi, e
menomalechefunellespalle,
ma se mi prentevono la testa
potevamagaremorire,opure
antareallospedale,poicheci
senteva dire: «Siete tutte
descraziate li seciliane!» E
poi che una di queste
segnorine ci aveva lovato il
cappello a Tano, che c’era il
numerodel69reggimento.
Con il tanto correre, c’era
unfossopienodiacquaeuna
crada6–chel’abiammorotto
con la testa e ci abiammo
rotto la testa, che magare
nellacradac’eraciratoilfilo
spenato – e ni abiammo
botatto in quello fosso pieno
di acqua sporca, che per uno
miracolo restammo vive,
quella brutta sera, causa a
questo cretino. Sempre
perché? Per cercare delle
donne!
Tutte bagnate e con la
faccia rotta, verso mezza
notte reantrammo nella
acampamento. Sempre in
selenzio ci abiammo corcato,
bagnate,conlafaciapienadi
sanquie, e non ni potemmo
dire niente perché potemmo
antareincaleraseparlammo.
Tano,però,tenevapaura,che
non ci aveva il berretto, e
all’endumane, se antavino a
recramare,lopotevinopunire
perchénonavevailberretto.
Ma, alla matina, non ha
venuto nessuno arrecramare.
EcosíioaTanocihodetto:–
Lovedeperchéiononvoglio
camminare compaesane? Chi
cazzo te l’ha fatto fare di
antare in quella famiglia a
direce: «Che c’è Rabito
qui?», che ti stavino
ammazanto e stapevito fanno
ammazaremagareamme?
E
io
ciuraie
che
compaesane non ci devo
camminarepiúecideceva,a
questo zaurdo di Tano: – Io
per questo non volle antare a
Chiaramontecontequantoho
scapato di Siraqusa, e me ne
sono scapato con Vito
Panasia, perché Vito Panasia
tutto quello che dico io lo
faceva,etuinveceno,cheio
ti aveva detto che prima che
antavitoinquellafamiglia,se
prima non ti lo diceva io, tu
noncidovevitoantare!Eora
io come devo fare per
poterece antare, che con suo
fratello siammo amice?
Speriammochenonmihanno
reconosciuto iere notte. Io
questaseracivado.
E Tano mi pregava di non
faresaperenienteannesuno.
E cosí, alla sera, alla libra
uscita, vaddo in quella
famiglia senza che io avesse
saputo niente del fatto. –
Buonasera. – Buonasera –. E
ho trovato l’amico mio
soldato arrabiato come un
cane e mi ha detto: – Caro
Rabito, che tu ti arrabie
quanto ti diciammo «tirun» a
vialtresiciliane…–Eiocerto
che faceva il fesso di non
sapere niente, e io ci deceva:
– Che fa, mi vuoie sfottere
questa sera, che mi staie
cominciantoadiretirun?–E
cosí li suoi sorelle si hanno
messoarridereeiofecefinta
di arrabiareme. E lui mi ha
detto: – Non ti arrabiare, che
li siciliane siete tutti terun e
avete il coraggio di volereve
fare fedanzate –. E io mi
arrabiava.Epoiemihadetto:
– Sai che cosa hanno fatto
iereseralituoiepaesane,che
hanno preso per butane alle
mieie sorelle? Ma le mieie
sorelle alle tuoi paesane
siciliano ci hanno rotto la
facia!Epoi,avevavenutoun
altro siciliano piú zaurdo di
quello, che una delle mieie
sorelle ci ha levato magare il
berretto, e quello che aveva
venutoperaiutohapresouna
petratanellespalle.Efortuna
dilorochehannoatrapassato
il fosso, che io e tutte noi
quellofossoloconosciammo,
che ene molto precolosa, e
cosí li abiammo spersso, ma
senonarrevavenoapassareil
fossoliavessemopreso…
Io ci faceva capire che
hanno sbagliato, che non
erino seciliane. E cosí mi
hannofattovedereilberretto,
ecosífenioababiata.
Quellaseraiocihodetto:–
Questo berretto lo meterete
nel fuoco, non ni facete
parola piú, perché poi questo
fattolosannotanteedenepiú
peggio per vialtre. Cosa ci
puoi fare? Eni tempo di
querra... E poi, li siciliane,
vedento alle tuoi sorelle che
sono molto belle, e ci
volesserofarel’amore,quinte
non hanno venuto per
arrobare…
Cosí, padre e figlio si
hanno messo a ridere. 2
butiglie di vermuto abiammo
comprato, e passavo tutto. E
ci abiammo fatto una bella
seratadidevertemanto.
Nei prime ciorne che
avemmo venuto di Valbella,
chesolde,cominciantodime
– compure che io li aveva
mantato a mia madre e
ammio fratello Ciovanni a
Pistoia –, mi n’avevino
restato sempre assaie; e
quintetutteisoldateavemmo
solde. Ma ora tutte avemmo
spesolisolde,ecertoche,se
non avemmo solde, li donne
piú non davino compedenza,
speciarmente a quelle che
erimodellabass’Etalia.
Perché li donne che
facevino
questo
faore
volevino essere pagate assai.
Lisoldatequestesoldenonli
avevino, ed era per questo
che
socideva
sempre
costione, poi che c’erino
soldate amirecane, francese e
inchilise,
e
queste
quadagnavino lire 8, mentre
noi lire 0.55, e li donne
preferevino alle soldate
straniere perché pagavino
meglio.Ederaperquestoche
c’ereno tutte queste recrame
al comanto di battaglione,
perché li solde, alle soldate
italiane, non ci abastavino
neancheperscrivereacasa.
Cosí, il comanto di bricata
penzarenodiaprireuncasino
per asfamare a tutte queste
soldate,cheerinoprezzofisse
militare.Ecosí,sonoantatea
prentere 20 ragazze di
mistieropropiabutane,propia
di un casino di Bologna o di
Milano, che io non recordo
bene di dove sono venute, e
doveva servire propia per
quelle soldate lebetesose 7,
che senza donna non ci
potevino stare, che cuanto
vedevino donne erino come
tantecane.
Inquellopicolopaesec’era
unconventochec’eronotante
picole stanze e uno corretoio
e2entratec’erino.Cosí,c’era
uno impresario che era
prateco del mistiere, che
prima aveva l’alberco a
Utene 8, e per causa della
querra di Utene aveva
abandunato tutto. E questo
borchese, li solde, li aveva e
magare era molto sperto. Ci
antavo propia lui a prentere
queste putane, e magare una
bella patrona di casa. Questo
borcheseavevatanteamicizie
contantedonnedimalafaree
li conosceva bene dove
doveva antare. Cosí, nel ciro
di una settemana era tutto
prontochefonzionava,questo
bordello.
Però, queste donne, prima
che siano messo in servizio,
ci hanno passato una visita
meglio di quella che passeno
ai soldate quanto deveno
partireperfareilsoldato,per
verificare di essere di sana e
robusta costutuzione, perché
avevino a sfamare 6.000
soldate.
Poi,diunaentratacihanno
messo 3 soldate e uno
caporalecomeseavessestato
una porta di caserma, c’era
unastanzettacon2infermiere
e tutte li medicenale che
c’erino di bisogno, che cosí
d’ogni soldato che entrava in
questo casino doveva essere
desempetato, e un sotta
tenente midico c’era, di
maniera che d’ogni soldato
che entrava, se era malato di
malatia di donne, non lo
facevinoentrare.
Cosí, una volta dentra, si
n’antava nel corretoio che
c’erono tutte belle esposte li
fatograficidiquesteputane,e
quanto ci faceva sempatia
una, lo decevino alla patrona
della casa e ci dava lire 0.50
centesimeelamarchetta,che
lí, chi entrava, non doveva
entrare per babiare, ma
dovevaentrareperpagare,se
volevafarecosa.
Cosí, questo soldato, con
questa marchetta, si n’antava
al numero ichese, dove c’era
la ragazza da lui scerta, e
l’antavaatrovarenelnumero
dove era esposta. Cosí, in 2
minute,quellosoldatofaceva
tutto e subito doveva uscire
fuora di quella ragazza, che
c’eral’altrosoldatofuoreche
spetava. Cosí, questo soldato
uscievadell’altraentrada,che
c’era lo stesso servizio di
doveavevaentrado,chec’era
la visita passata, e veniva
desompetato e via. E cosí,
non c’era pericolo che li
soldatecascavinoammalate.
E cosí, tutte noi soldate,
tutte 6.000, queste 20 belle
donne ci hanno sodisfatto a
tutte, che queste belle donne
erino capace di farese piú di
80 marchette per uno a
ciorno.
Poiioreceveieunalittradi
mia madre, che aveva l’altra
figlia malata cravamente, e
mi deciva, mia madre, che
aveva un anno che non
vedeva amme e Ciovanni. Io
mi sono fatto mezza ciornata
di pianto assentire che l’altra
sorella Pipinedda era malata
cravamente, e tanto io
penzava che poteva essere
morta. E davero fu. E io
diceva:
«Quardate
che
desastrio di famiglia che
siammo… Prima il padre
morto, poi 7 figlie, che li 2
crante, che potevino dare
aiuto,parterepersoldate,poi
mio fratello con li stampelle,
poi 2 sorelle morte. Che
descraziata famiglia che
siammo...»
Cosí, si ha fenuto il mese
di maggio e solde non ni
poteva avere e, col tanto
cardo che faceva, io era
deventato umpoco discreto
nella faccia, perché con lo
stare bene mi aveva rafinato
umpoco e magare ero
diventato un ciovenotto
elicante, e aveva il penziero
divolereantareallicenza,che
c’era un decreto che al
soldato in querra, passato un
anno, ci atocavano 30 ciorne
di licenza – 15 di viaggio, e
15, 16 di stare a casa –, e
questalicenzalachiamammo
«licenza straordenaria», che
tocava a tutte li soldate della
chilassa 1899. Però, tocava a
quelle dei prime 4 mese, che
uno di queste soldate era io,
cheavemmofatto16mesedi
soldato e ancora licenza non
niavevinodato.
Ma non potte avere il
piacere di avere la licenza,
che, a colpo, venne
nell’ordene del ciorno che
avevino sospeso tutte li
licenze e tutte li permesse.
Ah, che colpo moltale che
abiammo receuto tutte quelle
cheavemmoautolasperanza
dellalicenzaeoral’abiammo
perduta.Ah,chebestemieche
ciforeno!Pertutteparecheci
avessero dato un colpo di
legnosopralatesta.
Epoi,3ciornedopo,venne
nell’ordene del ciorno che li
licenze si avevino aperto. E
noifessechecicredemmo!E
cosí, un’altra volta ci ha
venutol’allecria.
E intanto ci facevino fare
marcie lunche, e carrecate,
tutte i ciorne, e ni voglievino
di cantare tutte a core 9
dorantelimarcie.Emagareci
davino un premio alla
compagnia che cantavano
miglio.
Cosí, ci facevino cirare le
strade sempre vecino, a
tuorno a tuorno del Piave, e
sempre 15, 20 chilomitre
lontano del Piave, e cantanto
sempre li canzone di querra.
Però, fuore di cantare «La
canzune del Piave», perché
ancora questa canzone non
aveva uscito, perché li
austriece,ilPiave,ancoranon
l’avevino passato e perché la
battaglia del Piave non ci
avevastato.E,liaustriece,la
sua prima linea era il Piave,
della parte sua, e la nostra
primalinia,dellapartenostra,
era pure il Piave, e si stava
sempre ferme. Però, il
ciornale dicevino che in
ciugno ci doveva essere una
crante offenziva, e magare ci
l’avevino detto li pricioniere.
E questa offenziva la
dovevinofareliaustriece,che
dovevino passare il Piave. E
magare li ciornale austriece
dicevino che l’Austria aveva
preparate 24 divesione con
mezze li piú migliore che
avevino l’Austria e la
Cermania,cheerinol’impero
tutte 2: Cicco Peppe,
l’imperatore dell’Austria, e
l’imperatoreColliermodiuna
crante
Cermania,
che
facevino tremare il mondo
intero.
«Altro che licenza!», io
diceva.
E quinte, lo dicevino tutte
cheinquestomesediciugno
liaustrieceperforzavolevino
prentere tutto il Venito,
perché avevino fenito il
manciare. E quello pesce
crosso che comandava le 24
devizione che per forza
dovevinoprentereilVenitoci
hadettoattuttol’esercitoche,
se volevino il manciare,
dovevino conquestare tutto il
Venito. Perché, secome
avevino fatto quella avanzata
di Caporetto, se credevino
che sempre vincevino. Ma
questa volta l’Italia aveva
campiato magare il comanto
sopremo, che al posto di
Cadorna, per comantare, ci
hanno messo al cenerale
Diazzi10.
Cosí, davero tutto quello
che si diceva cià era tutto
vero.Cheil15ciugno1918li
austrieci hanno passato il
Piave alle ore 4 di mattina
riempento tutto il fiume di
barche, e nelle prime linie
nostre ci hanno butato li
casse 11 e quelle soldate che
c’erino dovetteno morire. E
poi tante ciovene austriece
erinovenutedelfronterusso,
che la Rossia non volle
compattere perché fece la
revoluzione. E cosí, con li
gasse e con li lanciafiammi,
tutte li soldate italiane che
erino schierate lunco la linia
foreno tutte bruciate e
qualcono, per salvarese,
dovettero scappare. E cosí,
queste austriece e tedesche
avanzarenocirca8chilomitre
dellapartenostradelPiave.
Cosí,revarinoperfinadove
c’era
la
popolazione
borchese, e facevino straggie
atutteeammazavinoatuttee
abruciavano tutto di dove
passavino.Cosí,eradiciorno,
quardanto verso il Piave era
tutto rosso di fuoco,
speciarmente Montello e
Monte Crappa era tutto una
crantefiamma.
Quinte, tutte li soldate
italiane ci abiammo trovato
immenzoalfuoco.Lisoldate
cascavono per terra, senza
chenesunoavemmotempodi
vedire se era vivo o morto,
opure
ferito.
Perché
d’ongnunodovemmopenzare
per noie. Morte per terra ci
n’erino tante che, con lo
spavento che avemmo, non
zapiammo dove mettere li
piedeemagarecascammoper
terra, e certe volte magare
mitemmo li piede sopra li
morte e sopra li ferite. Cosí,
tuttenonsihapenzatoaltro–
quelli che erimo vive –:
«Questa volta, si muore»,
perchénonc’eraaltroscampo
che la morte, perché non se
combateva con il fucile a
sparare,masetravinobombe
ammanoditutteliparte.
Poi, c’erino soldate con li
pombe 12 messe sopra li
spalle, come quelli che si
pompiono li vegnite, che
quelle butavino acqua per la
malattiadellaprenostica13.E
invece,lepompecheavevino
i soldati del Piave, butavino
fuoco per fina 10, 12 metre
lontano, e di dove passavino
questefiammebruciavatutto,
macare l’irva delle campe 14.
Quente, tutte restammo
immienzo al fuoco. E poi,
immienzo a questo fuoco, si
ce trofavino magare li
borchese, poverette, con tutte
li piceridde e con tutte li
massirizze: mule, cane,
piecore,maiala,etuttolesuoi
misererechezze...
Cosí, a tutte ci hanno
botatoamienzoquellacrante
vampa verso il Piave. Cosí,
tutte li altigliarieie sparavino
tutte nello alcine del Piave
per non fare passare altre
forze nuove della parte di
dove c’erimo noie. Cosí,
socesse un vero macello. E
cosí, come dice la Storia, si
hanno destinto li ragazze del
99,checihannoportatotutte
nel Piave cridanto: «Di qui
non zi passa!» Perché noi
ciovene del 99 erimo piú
sencere per fare la querra,
perché l’abiammo defeso per
davero la padria, perché
quelle che avevino fatto 2
annediquerraerinopiúfurbe
per scapare per non si fare
ammazare, come hanno
scapato nella retrata di
Caporetto.
Cosí, per fare fermare a
queste 24 divesione – li piú
meglioreesercitocheavevino
queste 2 crante impere –, ci
havolutolabuonacoraggiosa
volentà delle ragazze del
1899,perchélaprovachepoi
cifuèche,diquestevalerose
ciovene,nellacrantebattaglia
del Piave, ni hanno morto il
50percento,eil75percento
forino ferite e pricioniere, e
quente fummo pochi quelle
che restammo, che uno è
questo Rabito Vincenzo, che,
per racontare queste fatte,
quello che scrivo non sono
bucie,masonofattevere.
Poi, con lo tanto spavento
che avemmo tutte, non
sapemmo la nostra linia di
defesa dove era, e sparammo
e trammo bombe verso il
punto da dove venevamo
prima.Ebasticheerinovestiti
conlirobeaustriece,ovestiti
ditedesche,perchécen’erino
che si avevino dato
pricioniere,enoilimazammo
lo stesso. Piú non erimo
soldate crestiane, ma erimo
deventate come li carnifice,
erimo tutte deventate pazze.
Che magare certe volte ni
sparammotranoi,perchénon
sapiammodoveerailnemico,
perché c’erino tante spieie
austrieche e tedesche che
sapevino parlare italiano: ci
lovavino li robbe alli soldate
italiane morte e facevino
capire che erino italiane. È
per
questo
che
ci
ammazammo tra noi, perché
non sapemmo che era il
nemico nostro. Poi, li ferite
non venevino curate, né
quelle italiane, e né quelle
nemice, perché non c’era
tempo di medicarle. Perché
umpezzoditerraunaciornata
era delli austriece e una
ciornata era nostra. Si faceva
di una trenceia una volta per
uno. E quinte c’erino
centenaiadimigliaiadiferite
senza che nesuno aveva
tempo di mirecalle 15, queste
povereferite,eabramaveno16
e butavino voce forte e
piancevino con il tanto
dolore, piancevino, e che era
capace
di
bestimiare
bestimiava,senzachenesuno
cidavaaiuto.
Erino
momente
che
nessuno uomo al monto si
avesse potuto fare capace.
Poi, non c’era un mitro di
terra, in quelle ciorne
sanquinose,senzadiersece17
un soldato morto o pure un
ferito, sia nella terra che
avevinoliaustrieceesianella
terra che avevino l’italiane.
Quinte, non si dormeva, non
si manciava, solo che se
fomava, e con la scuma 18
della bocca se sparava, e che
erimospaventatetutte.
Poi, io e un’altre 4, ci
aveva stato un nostro
capitano ferito e chiamava
aiuto, e secome era stato un
bravo padre di famiglia, ci
volemmo dare aiuto. E come
lo volemmo portare dietro
ummuro per vedere se lo
potemmo salvare e passavo
uno maggiore midico e ni ha
detto: – Lasciatolo stare, che
io lo conoscio a questo
capitano.
Ecosí,lohavesetatobene.
E noi quardammo. E poi
volsesaperetantecose,enoi
fesse che ci abiammo detto
tante cose. Cosí, il maggiore
nihadetto:–Lasciatolostare,
che io comanto a quelle con
labarellaecipenzoio.
Equando,doppo5minute,
lo abiammo visto immienzo
all’austriece, che questo
dilenquente era una spia
austrieca, che l’abiammo
visto con una mitragliatrice
chesparavaversodinoie(che
diquellecheerimo,restaieio
solovivopercompenazione),
io mi muzicava li mane, che
mai, maie, mi poteva crede
che questo lazzaro era
maggiore austrieco, che lo
potemmo
ammazare
benissemo e una decorazione
cepotevenodare...
In tutte li parte c’erino
austriece e tedesche che
sparavino,esidovevamorire
per forza. E c’era vicino
ammeun’altracompagniache
si stapevino trenciranno per
fareseunatrenceiadidefesae
per sparare nelle arcene del
Piave. E io, che aveva a
Strano vicino, ci deceva: –
Ciovanne, che fosse bello,
mentre che ci trovassemo
dietro questo bello reparo e
c’è questa altra compagnia
chespareno,checipotessemo
fare un’ora di suonno… – E
Strano,lamiaproposta,ciha
piaciuto. E io aveva 4 ciorne
chenonmilevavalescarpee
aveva li piede impicecate.
Volemmo profettare che a
vista non c’erino oficiale,
perché poi propia in quelle
brutteciornelioficiale–non
tutte – camminavino senza
crade,perché,seliprentevino
li austriece, vive non li
lasciavino, e quinte avevino
paura e facevino capire che
erinosoldatesemplici.
Cosí, io e Strano ci
abiammo messo a dormire,
perché altrimenti dormemmo
mentre che sparammo. E mi
sono levato le scarpe, perché
licarzetteerinociàfracete.E
come mi ho levato li scarpe
pare che avesse entrato nel
paradiso e, subito subito, mi
homessoarrompare19.Epoi,
con quello sogno che faceva,
io sparava che pareva
umpazzo, che nel sogno
faceva voce forte e sparava,
perché mi sognava. Ma non
era io solo che faceva questo
nel sogno, ma erimo tutte li
soldate
che,
quanto
dormemmo,sparrammocome
li pazze, perché erimo prese
di spavento e di paura, e
piancemmo
quanto
dormiammo.
E cosí, in queste momento
che io e Strano dormiammo,
passava
uno
uficiale
d’ispezione. Il primo vede
amme che dormeva, mi ha
visto con il piede di fuore e
mi ha dato una bachetata nel
piede senza calzetta e mi ha
fatto sentire un forte dolore,
cheiohofattounavoceforte
epoiiohodettoforte:–Che
èstatoquestodescraziatoche
hafattoquesto?–Eioaveva
preso un coraggio, come che
mi ha sbegliato a colpo, che
hodetto:–Oratiammazzo–.
Ementrevedoall’oficialecon
la pestola puntata che mi ha
detto: – Non ti smovere
perché ti ammazzo –. E io,
vedento che era uno oficiale
cihodetto:–Scusa,perdono,
segnore capitano. Aveva 4
ciorne che mi stapevino
impracitento 20 li piede e mi
sonolevatolescarpe–.Emi
hadetto:–Tiperdunoperché
seiragazzoeteconoscio.
E cosí, se io non ci
ademantava perdono, non mi
avevino
ammazato
li
austriece e mi ammazava
questo capitano! Perché, in
quelle
momente,
c’era
l’ordene che chi dormeva li
oficiale ci sparavino, e
magare li soldate potevino
sparare allo feciale. Poi
c’erino tante carabiniere che
magare avevino l’ordene di
sparareachedormevaeachi
non voleva antare avante. E
quinte, c’era una lotta
sanquinosaunoconl’altro.
Cosí, il ciorno 19, con il
ciorno20ciugno,recordoche
versomezzociorno–ciornata
maie che non posso
dementecare –, che erimo
lunco una saia 21 piena
d’acqua, io era sempre con
Strano, erimo messe dentra
questa saia, che per noie era
una trinceia nemica, che era
profontaummetroemenzo.E
circa 2.000 soldate erimo
messe contra a quella saia,
che l’acqua ci arrevava alla
fine delle campe. E li
austriece, arrabiate come li
cane, che per forza ni
volevino
livare
questa
trenceia piena di acqua, e
noie che non ne la volemmo
farelivare,elloroperforzasi
volevinoavecinareannoi.
E cosí, lo stesso nostro
comantante non si sono
messe di acordio: c’erino
quelle che volevino uscire
fuore del fosso e mettersi a
cridare: «Avante Savoia!», e
c’era chi diceva di aspetarle
qui, a queste arrabiate
austriece. Ma non zi poteno
mettere di acordo, tanto che
uno tenente e uno sercente
maggiore, che comantavino
una compagnia di lancia
fiammi, composta di 30
soldate, che li altre avevino
morto, lui, questo nervoso e
mafiosotenente,hannouscito
fore credanto: «Avante
Savoia!», che ci ha detto la
testazza di volere fermare li
austriece che erino cerca
2.000. E cosí, li austriece,
vedevino a queste sfortenate
soldate, per essere cretine
sercente e tenente, che si
hanno fatto ammazare tutte,
che, per il primo, hanno
morto il nervoso sercente. E
questo forte numero di
nemice hanno fracellatto a
tutte. E quinte quelli sono
state eroie… ma eroi fessa!
Mentre il nostro reparto, che
erimo circa 70, li abiammo
aspetato nella trincea, gli
austriaci, e la morte di fessa
l’hanno fatto loro, che tutte
queste austriece morerino, e
se si ha salbato qualcono, si
ha salvato perché non zi ha
vecinato annoie. E, con
l’ordene dato ciusto, sí, ni
moremmo, ma ni moremmo
poco.
E poi, propia in quella
ciornata, abiammo visto dare
una carreca uno scuatrone di
cavalleria austrieca con uno
nostro scuatrone di cavalleria
pesante italiana. Che non se
vede neanche nelle cinima di
come si hanno fracellato tra
cavallaria e cavallaria! Che,
dellecavalle,siaitalianeesia
austrieche, non ni sono
restato neanche uno libiro di
non essere ferito o morto.
Perché d’ogni cavallo aveva
preso una trentina di
pallotole, perché al cavallo
non li sbagliava nesuno,
perché avevino un bello
bersagliosopradiloro.
C’erino tante albere di
celse 22, che li campagne
erino tutte vegnite, e c’erino
tanteprievole 23 con uva che
ancoranoneramatura,etutte
lilerme24cheavevinoquelle
fanti sulla testa restarino
apese su quelle albere. E li
cavallemuorteeferite,chesi
ne potte salvare solo uno, di
quellecrossecavalle.
Poi ci fu ummomento che
c’era la carma, perché li
austriece erino abatute. Io e
Strano dissemo: – Cà, come
dobiammo fare, che della
famenonpotiemmostare?
Poi, perché avemmo stato
ammienzo
quell’acqua,
magare che c’era chi aveva
una calletta, con l’acqua non
sepotevamanciare.
Cosí, io e l’amico Strano
penzammo che c’era una
strada e c’era una casa. E
secomeeraa12,13metredi
distanza, calate 25, ci
antiammo,perché,sepercaso
avessemospintolatestainsú,
di quante pallotole che
c’erino in ciro, qualcuno
l’avessimopresonellatesta.
Cosí,ioeStranoentrammo
inquellacasa.
Davero
dentra
un
cammarone c’erino tante
sachedipagnote,cheforseci
l’avevino portato un giorno
prima e non li potero
destribuire perché c’era tutto
quello inferno. Ma non
c’erino li sole pagnotte, ma
c’erino pure una trentina di
ferite che piancevino, con il
tanto dolore che avevino. E
quanto noi volemmo mettere
il piede dentra, dove era
questolamento,unodiqueste
feritemihapresoperipiede
emihafattocascaresopradi
lui. Ciovanni, che mi voleva
dareaiutopersollevaremi,un
altro ferito ci ha detto: –
Vigliacche, perché non ci
date aiuto che stiammo
morento? – E piancevino. E
noi ci abiammo messo a
piancere magare, e ci
abiammo detto: – Lo
sapiammo che cosa vialtre
volete, ma non c’è tempo di
poterive dare aiuto –. Perché
poi non erino tutte italiane,
questeferite,maerinomacare
austriece. Cosí, ci abiammo
detto:–Piúassaiediunsacco
di quelle pagnotte non vi
potemmodare,perché,senon
se fenesce questo inferno, li
ferite non li potiemmo
medecare –. Cosí, disse uno
di queste ferite: – Stammo
morento e non cercammo
manciare!
Cosí,ioeStrano,diquella
casa ci n’antiammo. Ci
presemo 2 pagnote per uno.
Ma chi l’aveva ammanciare,
contuttoquellolamento…
Li austriece, quelle che
restareno vive, si arretraveno
verso il Piave, di dove
avevino fatto lo sbarco. Che
la battaglia l’avevino perduto
e renfuorzze non ci ne
potevinovenirepiú.
E cosí, il tenente
Sparpaglia – che ancora era
vivo, come erimo vive io e
Strano – si ha fatto il conto
che del nostro reparto, di 70
che erimo, ni avemmo
remasto 30, e 40 non zi
sapeva se erino muorte. E
cosí,
in
continuazione
venevino rempuorze. E cosí,
ci abiammo fatto un’altra
volta 70 zapatore. E cosí, il
tenente Sparpaglia ni ha
detto: – Ragazze, da domane
impoie, il nostro reparto non
zichiama«Zappatore»,chesi
chiama«repartodiArdite»–.
Matuttenoidiciammoche,o
Arditeofanteria,mipareche
citoccadimorireatutte.
Noi erimo, tutte l’italiane,
inrecanoscibile. Tutte piene
di fanco, perché stapemmo
tutte li ciorne immienzo alle
fosse dell’acqua, perché le
terre del Venito sono tutte
con molta acqua. Erimo tutte
strapate, perché aveva 5
ciorna che si sparava. Ma li
povere austriece erino piú
inrecanoscibile di noi, che
non
potevino
stare
all’empiedeesedavenotante
pricioniere
e
dicevino:
«Abiammopersolabattaglia.
E l’Austria non la puole
sostenire, senza manciare,
questaquerra…»
Ed erimo sempre allo
stesso posto: una volta
antiammo avante e una volta
antiammo intietro, di questa
maledetta terra vicino al
Piave. Una casa, un ciorno
era sua e un ciorno era dalle
italiane. Non ze poteva stare
piú all’empiere. Che propia
erino li ciorne che abiammo
lasciatounaStoria,liragazze
del99,cheerimoincenove26,
e dove ci dicevino di antare,
antiammo.
Epoi,iltenenteSparpaglia
ci ha detto: – Racazze, ha
venuto un folecramma che la
vittoriaèdell’italiane,perché
li austriece non posseno piú
avereremporze.Quinte,resta
soltanto che queste che ci
sonolidobiammofareantare
dilàdelPiave.
Cosí, il bravo tenente
Sparpaglia,dinoidelreparto,
ni ha fatto 4 scuadre per
antareasolbegliareilPiavee
fare servizio di patuglia.
Erimo armate, con tutte li
previsione, con bombe,
pognale, fucile a baionetta in
canna.
Io cercaie di potereme
nascontere con l’amico
Strano, che con questo
sempre
diciammo
che
dovemmo morire inziemme,
opure essere uno ferito e
l’altropoterllosalvare.
Erecordochequellanotte,
potevino essere li 11 prima
della mezzanotte – che maie
io posso dementecare queste
brutte momente –, certo che
la luce che c’era era quella
chefacevenolicannonateeli
lanciafiammi,olirefretoia 27
elibombechebutavinosiali
austrieceesial’italiane.Cosí,
io e Strano ci abiammo
nascostoinunatrenceiaecon
la scuadra non ci volemmo
antare, perché non potemmo
stare all’empiede. E cosí, ni
abiammo antato per questa
trinceia, a Dio e la fortuna.
Madoppofatte10passe,allo
scopo di allontanarene della
strada, perché ci potevino
pescare, vicino senteiammo
un crante lamento, e io a
Strano ci ho detto: – Noi
antiammo cercanto la morte
con la lanterna, che
cerchiammodinascontereper
starebene,maquisesenteun
forte lamento e non
potiammo stare –. Quinte,
avanzammoaltre2passe.
E lí c’era botato per terra
unsoldatocheeravestitocon
li vestite di tedesco, ma però
parlava beni italiano. Ma
questoeramoltocrosso,epoi
non era soldato, ma era uno
maresciallo tedesco, che se
volemmo
passare
ci
dovemmo mettere li piede di
sopra, perché la trinceia la
occupavatuttaluie.
Equestopezzodicristiano,
alla vista nostra, faceva piú
voce. Quinte, li austriece
erino vicine e ci potevino
ammazare. E diceva: – Per
faure, datemi aiuto! – E cosí
cercammo di farece fare
selenzio, perché era peggio
per noie. E cosí, abiammo
detto: «Vediammo come
poteddemo fare, per non ci
fare fare uce 28». E cosí,
abiammo costatato che lui,
con li suoi mane, ha preso li
mieie mano e mi ha detto: –
Vedete cosa ci ho, che staio
morento.
Cosí, io e Strano abiammo
vistochenellacosciaciaveva
umpezzo di cranata, e quinte
stavadesanquanto,econforte
dolore stava morento, e
diceva:–Datemeaiuto!–Ma
che aiuto ci potemmo dare
noi, che lo volemmo noie,
l’aiuto? Che avemmo preso
quello refuccio per salvarese
e invece c’era questo che
facevauce!
Cosí,conpocodipacienza,
ci abiammo levato quello
pezzodiferrocheavevanella
coscia, ci abiammo messo
umpoco di tentura di
voglio 29, perché ni aveva
fatto compasione, che ni
avevadettocheeradiTrieste
ed era di razza italiana come
erimo noie, e poi ni aveva
detto magare che li austriece
sonoa15metrediqua.
Cosí, abiammo detto a
quellochenoicin’antiammo,
che vediammo se potemmo
trovare una barella che ni lo
portassemo.Eaquestopezzo
di uomo ci ha piaciuto il
nostro fare, di antare a
prentereunabarella.Forselui
sehatratoilcontoche,come
ci allontanammo, lui, con il
frico 30,opureconilsegnale,
facevaavanzarealliaustriece,
equandonoiretornammocon
la barella, davero ni
prentevino pricioniere, con
tutta la barella che noi
portammo.
Mentre, io e Ciovanni, nel
nostro penziero, diciammo
chel’unicacosafosse,senon
volemmo
morire,
che
dovemmoscaparedilí,senza
farece capire niente al
maresciallo.
E davero, basse basse,
partiemmo,perchéliaustriece
erino a 5, 6 metre lontano di
dove erimo noie, perché li
sentemmoparlareeperchéla
trenceia era fatta con tante
curve. E poi la descrazia era
chenonzisapevadoveerala
nostra linia, e neanche se
sapevalaliniacheavevinoli
austriece,
perché
si
combatevacasapercasa.
E cosí, partiammo e
antiammo nella strada, che
trovammoaVitoPanasia,che
con la patuglia non ci aveva
antato,perchéciavevalicalle
nelle piede e non poteva
camminare. E il sercente lo
sapevacheVitoavevalicalle
enonpotevacaminare.
Cosí, io e Ciovanni
abiammo deciso di antare
apresso alla patuglia. E uno
dei2sercentesihaavicenato
amme e mi ha detto: – State
atente, Rabito, che qui a una
ventina di metre ci sono li
austriecepropiadentraquella
trenceia –. E poi ni ha detto
che oggie, qui dove siammo,
versomezzociorno,erastato
ocupato dell’austriece. E io e
Strano ci abiammo detto che
noi, propia 10 minute fa,
siammo state in questa
trenceianascosteetrovammo
un maresciallo tedesco che
pianceva e parlava italiano e
annoi ci pareva italiano, e
questocredavacheeraferito.
E il sercente ni ha detto: –
Vialtre siate ancora troppo
sencere,perchéaquellarazza
maledetta ancora non la
conosciete, e bene non zi ci
nefa–.Eiocihodetto:–Ma
come, sercente, se quello
parlavaitalianoenihadetto:
«Per favore che io staio
morento!» – E il sercente mi
ha repituto: – Ancora vialtre
siate caruse e non sapete che
cosa voldire nimice, perché
quelle, come se vedeno,
subitosiammazzino!
E diceva ciusto, quello
sercente, che con Strano,
comeilsercentesin’antò,per
puracoriosetà,siammoantato
in quello punto, e il
maresciallononc’era...
E il bravo tenente
Sparpaglia:–Fatepresto,che
la vostra patuglia ene a 10 o
15metrediqui!
Ederalastratatuttaalbere
e tutta sacchette di sabbia e
retecolate,epoinonzipoteva
fare neanche una vuci e non
zi poteva dire una parola,
perché queste movemente si
facevinosenzaparola.
IntuttelistradedelVeneto
ci sono dai late li
capecanala 31, e queste
capicanala, nelle strade del
Venito, erino piene di acqua,
poiché li campagni, lí, sono
senza pennienza e l’acqua
non caminava tanto e
restavino sempre piene. E
tuttointorno,erbacranteera,
perché nesuno l’aveva potuto
metre 32, perché c’era la
querra, e questa erba era alta
quasequasecomelisoldate.
E caminammo. La nostra
patuglia era composta di 17.
Io aveva una sicaretta messa
nelle dita per fareme una
fomata, e li cerine mieie non
volevino adumare 33 perché
erino bagnate, e ci stapeva
dicento: «Strano, damme li
cerine» che, dalle tutte 2 li
latedeicapocanale,daquella
crante quantetà di erba,
abiammo inteso: «Urra!
urra!», che ci abiammo visto
acchiappate da piú di 100
austrieche, che erino lí per
defesa del Piave. E noi non
abiammo fatto altro di
mettereneconlimaneinalto
tuttalapatuglia,cheerimo17
e con uno maresciallo
diciotto, di non dire neanche
una parola, che ni hanno
strapato tutto, comincianto
della ciacca e la camicia.
Abiamo cetato li arme come
li stunate 34 e li fessa. E
queste meserabile, senza che
noi ci avemmo fatto niente,
perate e calce e quolpe di
fucile...niabiammopreseche
non
puotimo
stare
all’impiede, e ci hanno fatto
cascaretutteperterra.
Cosí, vedento che io e
Strano erimo cetate per terra,
quelle 5 bestia che davino
bastonate annoie si hanno
voltato nella parte di tutte li
altre, forse che tra loro non
sapevino dove ni dovevino
portare. Io ho profetato che
erino voltate, mi alzo e
scappo come una lepre
quanto si trova in mienzo a
tante cane caciatore. Che, in
un momento cosí difecile, di
scapare io neanche se mi
l’avessesognato.Cosí,corro;
e mentre che correva, mi
hanno sparato tante colpe di
fucile.Masecomelastradadi
questo
paesetto
tutto
bombardiato,chesichiamava
Fossa Alta - Fornace,
corbava, mentre li pallotele
camminavino diritte, per
fortuna non mi ne ha cuciato
neancheuna 35.Ecosí,mine
sonoscapato,contuttequelle
bastunate, che era pieno di
sanquie e di paura, e con la
scumanellabocca.
E poi, mentre che correva
tuttostrapato,chenonpareva
soldato, che pareva uno
scapato del carcere con 20
carabbiniere che lo volevino
pigliare, nella strada c’era un
filo di telefono che
l’atraversava, propia messo
alla mia alterza, che mi ha
sbatutonellafacia.Cascoper
terraemiarrottoilmusso.Ed
ecco che mi ha spacato la
fronte, e mentre c’erino li
austriece che sparavino e li
pallottele che mi passavino
vicini... Voldere che non
aveva venuto l’ura di
morire...
Cosí, mi alzo con tutta la
fronterotta,conlatestapiena
disanquie,mialzoeprentola
corsa. Non ho passato piú
dalla strada che aveva fatto
prima. Io non mi faceva
capace di dove passava,
perché era cià pazzo, e poi
cheerastonato,epoicheera
di notte, ed a un tratto mi
sento dire: – Chi va là!
Altolà!–Esubitouncolpodi
fucile è sparato, che la
palotela mi ha passato nella
mano, ma non mi ha fatto
niente, solo che intese un
picolo dolore, che ancora ci
ho una tricacrice. Ma io non
ci ha dato tempo di trare
ancora colpe, perché subito
respose:
–
Butana
dell’infierno! – colla scuma
nella boca. – Che? Non lo
vedetechesonoitaliano?–E
subitocihodetto:–Nonsolo
quelle che mi hanno fatto li
cechine, macare vialtri ci
state stonanto li cugliuna 36,
che mi state ammazanto
cosí!?
Ementrecheiopiancevae
correva,econquellafucelata
sparata che mi stresciava
dellamano,certochemisono
fermato, e con il dolore e lo
spavento mi sono per forza
botatoaterra.
Cosí, subito venne un
capitano, che io al buio non
conosceva che era capitano
del 25 Fanteria, che mi ha
preso per uno pazzo di come
io raggionava e di come era
strapato e tutto insanquinato.
Non solo che aveva sanqui
nellespalleperlabastonatadi
focile, ma anche perché era
senzacamicia,epoiavevala
fronte rotta, e poi la mano...
Cosí, prese una lampadina
tascabile, il capitano, e cosí
mi ha fatto alzare, perché io
non mi poteva alzare. Mi ha
detto: – Che cosa seie? Che
seie soldato o sei borchese?
Saie che io sono un capitano
del25Fanteria?
Ecosínonpottescapare,e
quello volle sapire il perché
correvaeperchéioerasenza
fiato, e il cuore che mi
battevacomeunascattioladel
Ciovedí Santo 37, quanto
portavino al Cesú Critto al
Calvanio
sulla
crocie,
inchiuvato
e
tutto
insanquinato, e cosí era
Vincenzo Rabito, che il
capitano ci domantava e lui
non poteva parlare. Solo una
o 2 parole ci ha potuto dire,
che io era di patuglia come
Ardite, che erimo 18, e li
austriechecihannoacerchiato
perchéerinopiúassaidi100,
ehannopresopricioniere.
E il bravo capitano mi ha
detto: – Ora ti alze e piano
piano ti ne vaie nelle intietro
vieie 38, che lí ci sono li
portaferite e ti porteranno al
postodimedicazione–.Epoi
mihadetto:–Voglioprentere
apuntamentochiseieecome
tichiama–.Ecosí,cihodato
ilmiointrizzo,epoisequitaie
lamiacorssa.
E questo capitano subito
desel’allarmepertuttalasua
compagnia, e poi a tutto il
reggimento del 25 Fanteria,
che era venuto fresco fresco,
e antareno alla salto al
nemico,cheeraquellocheci
avevadettoio,che,senonera
per me, quelle austriece, che
ancora volevino avanzare, se
avanzavino,
prentevino
pricioniere a tutto questo
reggemento.Emenomaleche
aquestelihovisatoio...
Per fina che fu ciorno, in
quella zona di Fossa Alta e
Fornace ci ha stato l’inferno.
Hanno preso parte tutta la
divisione,tuttapercausamia.
E cosí, la matina del 24
ciugno hanno recaciato il
nemico di là del Piave, e la
bataglia per li austriece fu
compiletamentepersa.
1
Fornaci,Meolo,FossaltadiPiave
eSanDonàdiPiave.
2
sifacevapilo:siscopava.
3
ciolizia:gelosia.
4
magare che vedeva una cane:
anchesevedevaunacagna.
5
forcale:forcone.
6
crada:grata.
7
lebetesose:libidinosi.
8
Udine.
9
acore:incoro.
10
ArmandoDiaz.
11
licasse:igas.
12
pombe:pompe.
13
come quelli che si pompiono…
dellaprenostica:comequelliconcuisi
spruzzano d’acqua i vigneti, contro la
malattiadellaperonospora.
14
l’irva delle campe: l’erba dei
campi.
15
mirecalle:medicarli.
16
abramaveno: smaniavano, si
dimenavano.
17
diersece:checifosse.
18
scuma:schiuma.
19
arrompare:aronfare.
20
mi stapevino impracitento:
stavanodiventandofradici.
21
saia:canaleperl’irrigazionedei
campi.
22
celse:gelsi.
23
prievole:pergole.
24
lilerme:glielmetti.
25
calate:chini.
26
incenove:ingenui.
27
refretoia:riflettori.
28
non ci fare fare uce: non farlo
gridare.
29
tentura di voglio: tintura di
iodio.
30
frico:fischio.
31
capecanala:canalidiscolo.
32
metre:mietere.
33
adumare:accendersi.
34
stunate: rimbambiti,
rincoglioniti.
35
non mi ne ha cuciato neanche
una:nonnehopresaneancheuna.
36
stonantolicugliuna:rompendoi
coglioni.
37
scattiola del Ciovedí Santo:
battola o raganella usata in molti paesi
per annunziare le funzioni religiose
durante la settimana precedente la
Pasqua.
38
intietrovieie:retrovie.
Capitoloquinto
Lafebrespagnola
Per 20 ciorne fuommo
mobiletate per borrecare 1
muorte, perché annoi ci
facevino lavorare magare di
notte, che, con la puzza che
sentiemmo,
come
non
presemo una maletia fu uno
miracolo. E nella contabilità
che facevino l’incarecate, li
morte piú assaie erino quelle
racazze del 99, che ni
abiammomessoacompattere
piúsencere,epoivolentariea
defentereilPiave,chedavero
l’avemmo detto: «Di qui non
si passa», e per davero li
austriece non hanno passato.
E fatto il conto che ci hanno
stato in quelle battaglia piú
assaie delle muorte che
avevono muorto di quant’ave
che si aveva cominciato la
querra...
E cosí, il soldato italiano
presemo coraggio. Perché un
anno prima ci aveva stato la
retrada di Caporetto e il
soldato
italiano
aveva
deventato una schefezza e li
austriececonitedescheerino
li soldate li piú forte del
monto,
mentre
questa
battagliafututtaalcontrario.
Cosí, doppo un mese di
questo lavoro immienzo a
tanta puzza di vorrecare tutte
queste sbenturate muorte, ci
hanno portato arreposo a
circa20chilomitredelPiave,
sempre però nello provincia
diVenezia.
Mapiúdoveniportavinoe
portavino pareca querra nel
Piave non ci n’era piú, non
c’era quello bordello di
prima,checiornoenottenon
sipotevadormire.
Cosí, passareno queste
maledette ciorne di questa
battaglia e hanno cominciato
ammandare li notizie alle
famiglie: che era stato ferito,
che era stato morto. E questa
consolante notizia di chi era
mortocilaportavinoperfina
acasalicarabiniere.
E cosí, mia madtre sempre
domantava al postino, per
vedere se c’era una mia
lettera, che aveva ummese
che non arreceveva mieie
notizie. Invece, nel coltile
dove abitava mia madre, un
ciorno, invece di avecinari il
postino per portarece una
lettera, si ha vesto avecinare
unoapuntatodeicarrabiniere,
e domantò a mia madre, che
era seduta fuora con mia
sorella: – Che sta qui Rabito
Vincenzo? – Mia matre, che
sapeva che antantoci il
carrabiniere era una morte
secura, come avevino stato
sicure tante famiglie che ci
avevino antato li carabiniere,
si ammesso a cridare e
piancere, dicento: – Ecco
perché io non ho receuto
lettere!Miofiglioenemorto!
–Esistavapercominciarea
sceparese li capille, quella
povira di mia madre, mentre
il carabiniere ci deceva: –
Signora, il vostro figlio non
ene morto, e io sono venuto
qui per direve che vostro
figlio ha fatto uno atto di
valore e il comantante di
reggemento, alla mamma di
questo Rabito Vincenzo, ci
manta come premio lire 150.
Cosí, dovete antare nel
maresciallo per fermareci la
receutadiquestesolde.Epoi,
signora,antateallaPostaevi
antate a prentere queste lire
150.
Cosí, mia madre ora non
pianceva per dispiacere, ma
pianceva perché era troppo
contente.
In quella povira mia casa,
con quelle lire 150, pareca la
bataglia del Piave l’aveva
vinto mia madre, che quelle
soldeforinountresoro.
Intanto questa licenza non
veneva mai. E invece della
licenza ho provato un
dispiacere crante, che ci
hanno besognato 20 soldate
zapatore per antare a fare
servizio dentra a una chiesa
perunadicinadiciorne.
Questoserviziomipiaceva
tanto, che dovemmo fare la
quardia a un campanile, che
c’erino4mitragliepiazateper
l’ario, che se per caso
passavino apareche nemice
noicidovemmosparare.
E una sera abiammo fatto
una fessaria, che potemmo
antare sotto processo, che
menomale che li ofeciale ci
perdonavino, ma di quello
checomminammoerimocosa
diantareincalera.
Quinte 2 soldate erino di
sentenella nel campanile per
dare la larme se se vedevino
apareche, uno faceva la
sentenella alla porta con il
focile, con la baionetta
incastata, che, quanto veneva
li specione, voldire il
capitano, la sentenella ci
doveva fare il presenta
d’arme, e 7 soldate stavimo
presente sedute, e poi c’era
un sercente e un caporale e
uno caporale maggiore, e
avemmol’ordenechea3alla
volta ci potemmo fare
umpocodisogno.
C’erino tante casse. E,
cercanto cercanto, abiammo
trovato che dentra a una di
queste casse crante ci n’era
una che era inciovata, e noi,
coriose, ci abiammo levato li
chiode per vedere che cosa
c’era,etutte7diciammo:«Se
ci sono solde, ni le
fotiammo». I tre cratovate 2,
perfortuna,dormevino.
E cosí, in quella cassa,
invece di trovare solde,
abiammo
trovato
a
sant’Antonioconunacrocee
uno bambino nel braccio, ed
era bello intatto, che tutte li
cose che c’erino lí ancora
erino senza tocate, compure
che ci avevino stato li
austriece. Si vede che questa
statova l’avevino messa in
questa cassa per non essere
destrutta.
Ma noi fante, secome non
avemmochefareecercammo
sempre di farece ponire, lu
abiammo preso, a questo
sant’Antonio, lo abiammo
portatoallaporta,loabiammo
messo impiede, ci abiammo
messo il lermetto di uno di
noie, ci abiammo calato il
sottocola,ciabiammomesso
il focile umpostrano, poi che
l’artezza era quella di uno
soldato, e ci abiammo fatto
fare la quardia, e tutte noi
vicinochequadammo.Quinte
abiammo fatto cose che solo
le ragazze di 10, 13 anne
l’avesseno potuto fare... E
abiammo fatto questo: di
farece fare la sentenella
assantaAntonio!
Cosí, si ha trovato che
venne uno oficiale di
specione. E certo che era di
notte e come entrava
l’oficiale il soldato di
sentenella ci doveva fare il
saluto. Noi non ni avemmo
acorto che veneva l’oficiale.
Quinte l’oficiale entravo e la
sentenella non ci ha fatto il
saluto, e l’oficiale ci ha
messounamanonellaspalla,
decentoce: – Bestia, che faie
dorme!?
E sant’Antonio cascavo, e
quellocihadetto:–Animale,
io l’ho detto che davero
duorme!
Cosí,
responte
uno
napolitanocheintialettociha
detto:–Che,nonlovedeche
quello eni sant’Antonio, e lei
cihadetto«animale»?
E cosí, socesse la fine del
monto, quella notte, che
l’oficiale ni voleva sparare.
Poi si alza il sercente, il
caporale e il caporale
maggiore... E menomale che
ciperdonareno...
All’indomane mi hanno
chiamato in forreria e mi
hanno detto che mi teneva
pronto, che si avevino aperte
lilecenzeeioeradaiprimea
essere chiamato. E quinte io,
conl’emuzionecheprese,mi
hanno scapato li lacrime, ma
però non ci credeva se prima
questa benedetta licenza non
l’aveva nella tasca, perché io
ciavevacapitatoaltrevolte,e
poipenzavacheeratiempodi
querra, che di ummumento
all’altro sospentevino, e io
restavadifessa.
Ma poi, alla sera, verso li
ore 6, il foriere mi ha
chiamato e mi ha detto: –
Ecome qui la licenza, che tu
non ci credevi, perché sei
testa dura di Monte Rosso 3!
– (che questo fuoriere forse
che era di Vezzine). E mi ha
fattometterelafirmaemiha
pagato la trasferta, e lo
scontrino mi ha dato. Io ero
tanto contente che aballava
solo,senzamusica,diquanto
eracontente...
Io aveva piú di 15 ciorne
che cercava qualche cosa di
robbaperportaramillaacasa.
E cosí, mi ho portato 2
maglie,2paiadipandalone,2
paiadimotantee2cammicie,
etantecalzedilanaeunbello
paio di scarpe. E tante altre
cose che facevino di bisogno
alla mia famiglia. Aveva una
bellisema cassetina, che
durante il mese che avemmo
sepelito muorte mi l’aveva
precorato, e quinte l’aveva
piena di tante cose, e
servevino
per
antare
allavorare i mieie fratelle in
campagna. Io, queste robbe,
mi le poteva portare, perché
tanta disciplina non c’era, né
permeenéancheperlialtre,
perché
penzavino,
li
comantante, che nel Venito
robi di soldato non si ne
comperava nesuno, perché li
borchese,robbedisoldato,ni
avevino tante, perché nella
batagliadelPiavetuttequelle
che hanno restato vivi si
avevinoprecuratoqualcosa.
Allastazione, c’erino tante
soldatechespetavinoiltreno,
che
dovevino
antare
allicenza. E questo treno che
doveva venire era propia il
trenochepartevadiMevilo 4
e antava deretto a Villa San
Ciovanne. E io quardava la
licenza.Elalicenzaeradi15
ciorne, piú 15 di viaggio, ed
erino un bellissemo mese di
starelontanodellamorte.
Cosí, venne il treno e
partiemmo. E avante che
fureno li ore 9 del mattino
forimo a Ferenze, doppo che
avemmo camminato con il
treno2nottee2ciorne.Ein
tutte li cettà, comincianto da
Padova, sentemmo cantare
questa canzone del «Piave
mormerava», speciarmente
quanto passavino soldate che
venevino con il treno del
fronte. E antammo con il
treno. Sempre sentemmo
questa canzone, «Il Piave
mormerava», di tutte li
ragazze, speciarmente nel
passare di Roma e Napole. E
in 5 ciorne fuommo
amMesina, che poi per
Catania ci volle un altro
ciorno.
Quinte penzaie che per
potere quadagnare un ciorno
miconvenivaprentereiltreno
che antava a Caltagirone, e
poi scentere a Vizzinecampagna, e poi doveva
cercareuncarrettocheantava
a Chiaramonte, o pure mi la
dovevafareapiede.
Eperstradadaveroc’erino
tante carrettiere che antavino
verso la casa cantoniere del
Filo Zincoro 5. E menomale
che uno mi ammesso la
cassettasulsuocarro,perché
io cià mi aveva stancato. E
certo che piú assaie che
poteva arrevare era a
Licordia6.
E io diceva tra me:
«Macare lo dico io al
carretiere che mi carica la
cassetta sul carro». Ma non
ce ne fu bisogno, che aveva
stato fortenato. E cosí, io
aveva secarette, lui era un
bravo fumature, e ci ne sono
recalato uno pachetto e ci
siammomessoaparlare.
Ecosí,miracontavache:–
Qui, in tutte li paese, c’eni
una febre spagnola, che a
cente ni stanno morento piú
assaiedellaquerra–.Eciho
detto che lo sapeva che c’era
questa febri spagnola, perché
l’avevasentitodireaNapole,
amMissinaeaCatania.Maio
della spagnuola non mi
impresionava, perché veneva
dell’inferno, e poi che
penzava che doveva antare a
vedereatuttalafamigliamia,
perché aveva 18 mese che
nonvedevaammiamadre.
Cosí,revaieaChiaramonte
esonoentratonelcoltile,che
c’era un lampione aceso che
sipotevavedireperforzzala
portadoveiociavevaabitato
di quanto era nato, e vedeva
che c’era uno seduto davante
la porta. Era propia il mio
fratello Ciovanni, culli
stampelle.Iomisonomessoa
camminare piano piano,
senza fareme sentire, poi che
aveva quelle crante scarpone
e stava scivolanto, che mio
fratellosièalzatoedisse:–E
questo soldato che è,
Vincenzo? – E con la
prescia 7 stava cascanto lui,
che se cadeva era un quaio.
Cosí, con lo forte spavento,
venne mia madre che era ni
una vecina. Mia sorella non
c’era, che era colle suoi
compagni. E cosí, ci
abiammo baciato tutte,
mentre vinevino li mieie
fratelleemiasorella.
Cosí, quella sera che io
sonoarrevatoacasa,ioaveva
una fame di un lupo, e mia
madre subito se n’antò a
cercarza uova nelli vecine. E
cosí, mi ha fritto 4 uova. Il
panel’avevinofattofresco,il
vino ce n’era tanto perché
c’era la febre spagnuola e ci
volevavinopernoncivenire
la febre. E mio fratello
Ciovanni e Vito, per cercare
vino buono, erino brave
molto. E per non prentere la
febre si doveva bere vino e
mettere caucina 8 squagliata
con l’acqua davante la porta,
per ammazare a tutte
l’inzerte. E il mio fratello
Ciovanni per questo lavoro
eraottimo.Mailmiofratello,
delle inzerte, non zi faceva
muzicare, perché fomava e
bevevavino.
E cosí, con quella mia
venuta, nella mia casa non zi
potte dormire, perché stava
per farese ciorno e ancora si
parlava di querra: lui
racontava li suoi e io
racontava li mieie. E li mieie
fratelle e mia madre
piancevino di allecria, e mia
sorella pure, delle cose che
noiracontammo.Epoiilmio
fratello mi ha detto: – Ora ti
ne vaie adormire, e poi deve
stare atente che qui a
Chiaramonte,
con
la
spagnola, ni moreno magare
20 o 24 al ciorno. Tu ti deve
stare nascosto come ti faie
fermarelalicenza,perchéqui
il maresciallo ave l’ordene
che tutte li soldate che
vencono allicenza, che li
vedevino li carrabiniere in
ciro, per 3 ore al ciorno
dovevino antare a cimetero
perfarefossepermuorte.
Cosí io disse: «Che bella
cuoppiladimincia,chevenne
quiperfarelobechino!»
E cosí, mi ha fatto 10 ore
di dormire, e poi venne mia
madre a sbegliareme. E mia
madre mi ha detto: – Figlio
mio, io non ho dormito per
nienteasentirearromparete,e
quanto discorse brutti haie
sognato.Mihaifattopiancere
di quello che haie detto nel
sogno. Come sei retornato
vivo ha stato uno miracolo!
Che ave di quanto ti sei
corcato che sparre 9 nel
sogno, sempre che ti haie
sognatodisparare.
Io, certo che come sono
revato, io e Ciovanni abiamo
racontato fatte di querra, e
certochemil’avevasognato,
e del letto magare aveva
cascato.
Cosí, mi sono alzato e
subito mi ne antaie nel
maresciallo per fareme
fermare la licenza, e il
maresciallo me ha detto: –
Rabito,quic’enel’ordeneche
li militare che vencono
illicenza, per 3 ore al ciorno,
devonoantarealcimiteroper
farefosseperimorte,perché
noncisonouomine,equinte
tudevefaretreoremagare.
Responto io a colpo,
perché era stato avisato di
Ciovanni, e ci ho detto: –
Signore maresciallo, che per
domane io non ci posso
antare perché subito subito
devo antare amMezzarrone,
che quella poveretta di mia
madre
sta
spetanno
propiamme
per
ventegnarlla 10, perché ci
doveva antare il mio fratello
Ciovanni, che ci ave li
stampelle e non ci pole
antare,equente,senonvado
io a coglire questa racina, si
perdetutta.
E il maresciallo ci ha
scritto la licenza e mi ha
detto: – Va bene, poi mi
porteraie umpoco di uva di
tavola.
E poi il maresciallo mi ha
detto: – Tu seie Rabito, il
figlio di quella signora che il
recemento ci ammantato lire
150 di premio per i fatte di
querra?–Eiocihodettoche
erapropiaio,eilmaresciallo
m’hadetto:–Vateneenonti
farevederedaicarabiniere.
E cosí, mi ne sono antato
con il permesso del
maresciallo, che lo hanno
inteso
magare
altre
carabiniere che erino dentra
alla caserma. E io pare che
avevapresoilterno.Maperò
penzava che ci aveva a
portare l’uva. Ma poi, alla
sera, mi ammantato a
chiamarepropiaperdiremedi
non portare l’uva, perché
come li suoi figli vedevino
l’uva si la manciavino, che
c’era
questa
maledetta
spagnula, e lui teneva paura
che ci morevino. Che erino
propia li frutte che hanno
fattovenirequestaspagnola.
E cosí non antaie a fare
fossa.
Io,pernatura,stavasempre
arrabiato, perché li solde,
quellecheavevinodatoamia
madre, non ci n’erino piú.
Cosí, io voleva fare solde.
Poi,domandaieamiofratello
Vito, e ci ho detto: – Ma tu
dove vaie a travagliare? – E
mi ha detto: – Mi ne sto
antanto a Vettoria –. Perché
per racoglire l’uva si
quadagnava 25 lire al ciorno,
perché non c’erino uomine a
racoglira, perché tutte li
uommine erino soldate.
C’erino li sole femmene che
potevinoracoglirequestauva,
malaspagnolafacevamorire
alle donne, propia quelle che
avevinodi18a30anne.
Cosí, ammio fratello Vito,
ci ho detto che ci antava
magareio,perchéio,sentento
lire25alciornodiquadagno,
impazie e disse: «Di la
spagnolanontencopaura».E
daveropartie.Perchéiodisse
che se faceva 4 ciorne
quadagnava lire 100, e lire
100 io non l’aveva visto
maie...
Che, con quelle solde che
ioavevaquadagnatoacoglire
racina, mia madre si ha
comperato 5 tummina di
farina e tante altre cose per
manciare, e vino che quanto
piú assaie si ne poteva bere
quantopiúmeglioera.
E poi, gli altri giorni, io
dovevastaredentracomeuno
recercato, per non mi fare
vediredaicarabinierecheera
inciro.
Ma li ulteme 3 ciorne mi
ha vestuto di coraggio e,
caminanto, queste ultime 3
ciorne, mi sono acorto che a
Chiaramonte con la spagnola
ni morevino piú di 20 al
ciorno: li carrecavino con li
carrette, e poi la cascia ci la
facevinocon4pezziditavola
qualunquie,
bastiche
li
portavinoalcimetero.Perché
limuortenellifamiglie,come
morevino, subito li quardie
stavino
pronte,
e
li
carabiniere ci li facevino
portare subito al cimitero,
perché con la puzza facevino
morireaquellevive.Equelle
chenonavevinoparentecile
portavailcomune,aspesedel
comune. E poi il comune ci
sventeva quello che il morto
lasciava, e cosí il comune si
pagava con la propietà che il
mortoaveva.
Poi,
a
Chiaramonte,
c’ereno
40
pricioniere
austrieche,chelitenevinoper
fare pulizia nelle strade del
paese, e magare vurrecavino
muorte. E certo che queste
pricioniere, un ciorno che
facevinopulizianelcortile,io
mi trovava seduto davante la
portadicasaconmiofratello
Ciovanni, cosí, comincianto
dimiamadre,aquestepovere
descraziatepricioniere,tutteli
vecine s’intresavino per
darece ammanciare, metento
unacosaperognunavicina,e
ci daveno magare il bichiere
del vino, perché ci facevino
piatà, perché poleziavono le
strade.
Maquestestubitefemmene
perché lo facevino? Perché
nonavevinofattolaquerra!
Ma mio fratello Ciovanni,
che quardava che queste
vicine avevino tutto questo
puntiglio
di
darece
ammanciare, si arrabiava,
perchépotevinoesserequelle
propiacheciavevinorottola
campa.Ehapresoperbutane
a tutte li vecine, e magare la
stampella
trava
alli
pricioniere che manciavino,
con il tanto nervoso che
aveva...
E io mi recordo che ci
deceva: – Vannuzzu, hai
raggione, ma quelle sono
state comantate per fare la
querra
come
fommo
comantatenoie!
Cosíio,perarracionallo11,
mi l’ho portato con li
stampelle a camminata, e
sempre dicentoce: – Che ci
puoi fare? E allora io che
prese tante bastunate e mi
hanno lasciato perché ci
pareva morto? E, poverette,
queste pricioniere sono state
comantate per sparareme
magare amme e dareme
bastunate.Epurechecosase
cepolefare?
E mio fratello pianceva e
mi deceva: – Tu haie preso
tante bastunate, ma camine
come prima, mentre io sono
rovenatopertuttalavita!
Certo che aveva raggione,
Ciovanni, che a 22 anne
camminare con li stampelle
eraunafortedescrazia!
E io fenie questa
devertente licenza, e doveva
partire,eliciornaleportavino
che si doveva fare una forte
offenziva per tuttu il fronte
italiano, che era la resposta
che l’esercito italiano doveva
dareallasercitoaustrieco.
Esapevachecomeparteva
diChiaramonteun’altravolta
doveva antare ammorire
come le brutte ciornate del
Piave.
Iopenzavachemiofratello
pianceva che camminava con
listampelle,peròcidiceva:–
Ma tu sei vivo e alla fine
della
querra
prenteraie
umposto come mutelato, e la
penzione te la danno, ma io
non sono securo di venire a
Chiaramonte…
I mieie fratelle, mia madre
e mia sorella, vedenteme
antare nel maresciallo per
fareme mettere il visto di
partenza, piancevino, tra la
spagnola che c’era e io che
avevafenitolalicenza.
Poimenesunoantatodalla
mamma di Tano Sapunaru
(cheeranelmioreparto),per
direcesecivolesseromantare
qualche cosa di manciare.
Cosí, la gnura Immacolata
conli2figliefemmine–che
avevino sempre in campagna
ammazatoilmaiale,epoiche
madreefiglieavevino6mese
cheaspetavinoaTanuzzuper
venire allicenza e non era
licenza che ci davino, e il
maialecheavevinoammazato
la salsiccia era ancora apesa
–,quintelagnuraImmacolata
e i suoi figlie, come hanno
capito che io parteva, subito
mi hanno fatto umpacco per
portalloaTanoSapunaru.
E cosí io, tra me, diceva
chequestopaccoperforzami
lo doveva manciare, perché
da
Chiaramonte
al
reggementocivolevino7o8
ciorne,eliprimedisetembre
cheerinoefacevacaldoicibi
se scontizionavino. E poi,
quantoioarrevavaaBassano
ci volevino altre 4 ciorne per
trovare il reparto, e poi che
erino in trinceia bisugnava
camminaredinotte,eilpacco
che pesava 10, 12 chila...
C’erino bescotte, c’era
salsicia, c’erino noci, c’erino
mandole e tante cosi, e poi
c’era una butiglia di vino
vechio, e poi che io ci aveva
detto:basticheerinocosaper
manciare,tuttomiportava.
ArRaqusa arrevammo con
uncarrettoehopresoiltreno
per Catania, Napole e
Padova, perché il comanto di
tutte li forze compatente era
tutto a Padova, e lí mi
sapevino dire dove era il
reggemento.
Quintecihannodettocheil
69 reggemento Fanteria,
bricata Ancona, si trovava a
Bassano del Crappa, e treno
non ci n’era, che besognava
difarlaapiede.
C’erino altre 3 soldate che
dovevino venire pure, ma io
in compagnia non ci voleva
camminare se prima non li
conosceva.Epartiesoloperli
strade del Venito, quase che
io li sapeva a memoria,
perché marcie ci n’avevimo
fatto tante, e quente non mi
poteva sbagliare per antare a
Bassano del Crappa. Poi che
mi trava il conto che li
soldate quanto manciare
aveva io non l’avevino, e
quinte, magare che io
manciava, senza volere, per
forza, qualche cosa ci la
doveva dare. E quinte, era
meglio che mi n’antava solo,
perché la salsiccia che mi
avevino dato per Tano mi la
voleva fenire di manciare
solo.Epoi,tantodesederiodi
arrevare presto non l’aveva,
perché piú tardo revava al
reggemento piú meglio era,
tantoilvisto«arrevare»nella
licenzamicil’avevinomesso
aPadova,ederaciàaposto.
E sono revato a Bassano e
mi cercaie umposto per
arreposareme e fareme
umpezzo di suonno propia
allato del ponte di Bassano,
cheeratuttobombardato,che
intuttelimarciecheavemmo
fatto nel Venito sempre se
cantava questa canzune «Sol
ponte di Bassano», senza
sapere cosa era il ponte. E
cosí,
per
questa
compinazione, ho visto
questo sempre cantato «Il
ponte di Bassano» di tutte li
soldate.
Io non ci aveva stato mai,
maeraumpontecometutteli
altre ponte, solo che la
bellezzaerachequestoponte
atraversavailpaese.Intempo
di pace tante paesane, e
magare fuorestiere, si ce
facevino la passegiata, di
sopra il ponte, ed era
mereviglioso perché, di sotta
lí, passava il fiume Brenta
chevenevadiTrento.Maora,
conquestaquerra,liaustriece
l’avevinodistruttoenonc’era
niente di bello, anze, si
doveva stare atente che ci
sparavino sempre, e uno che
voleva vedere il ponte ci
potevaapezzarelapelle12.
Poi, mi sono seduto e mi
sono messo ammanciare, e
mentre che manciava hanno
venuto 4 racazzette per
vedereilponte.Iomanciavae
queste
ragazze
mi
quardavino.
Alloracihofattosegnalee
hannovenuto.
Io mi pareva che erino
come li picciridde della
Sicilia, che ci piaceno li fave
attorrateelicicere 13atorrate
e le nocidde mirecane
attorrate. Io ni aveva portato
tante di Chiaramonte per
passareme
il
tempo
emmanciare, perché era piú
picolo dei picole per queste
cose.
Cosí, questi ragazocci
vennero e io ho preso
umpugno di queste cose
attorrate e l’ho dato a queste
ragazzediBassano,ecomeci
l’ho dato non si l’hanno
voluto prentere e mi hanno
detto: – Queste li deve dare
alliarmale,nonannoi–.Emi
hanno remproverato. Cosí, io
mioffattoilcontochequeste
ragazze non fanno per noi,
perchésonoaustriecheesono
cosa14dimanciarepolenta…
Come unscie Bassano e
fece 400 metre, vedo che
c’era un bel palazzo con una
velletta. Cosí, io mi sono
fermato alla vista di questo
crante caseciato e vedo
nell’entrata che c’era una
tabella che la lesse,
menomale che senza antare
alla scuola qualche cosa la
sapeva, che tutte li mieie
rechezze erino queste: di
essere curiuso a lezzicire 15
tutto quello che vedeva. E
cosí,pianopianolessequella
tabella, e c’era scritto:
«Comanto della bricata
Ancona.69e70Fantaria».
Iomisonopresodiallecria
che alleggere quella tabella
pare che avesse liciute
l’intrizzodicasamia.Ecosí,
disse: «Ecco che cià ci
siammo!»,compurechestava
per raggiuncere la trinceia e
trovareilreggemento.
E cosí, mi sono presentato
al comando della bricata per
direcedoveerail69,chepoi
doveva antare a trovare il
reparto Zapatore. Cosí,
l’oficiale de servizio mi ha
detto che: – Al momento
parteno li contecente che
portino il manciare alla
Valsocana 16 e ti ne va con
loro,chetiporterannopropia
al2battaglione,dovetudeve
antare, che lí c’ene il
comandodibattaglionechelo
comanta il maggiore Tordo,
che tu, come lo vede, lo
conoscie,
perché
ene
catanese,
questo
bravo
capitano.
Poi, mi ha domandato: –
Che se ne dice di questa
spagnolainSecilia?–Eioci
ho detto: – Signore capitano,
ammiopaese,aChiaramonte,
nella provincia di Siraqusa,
mentre che io sono stato
allicenza, ni moreno dai 20,
24 al ciorno. E certe paese,
che sono vecino ai fiume,
stannomorentotuttelidonne
ciovine con questa malatia –.
E il capitano mi ha detto: –
Figlio mio, è sempre causa
della querra, che c’ene la
destruzione per tutte! – E io
ci ho detto: – Signore
capitano, questa malatia che
la chiamino «spagnola» che
non feniscie maie!? – E
recordochemihadetto:–Tu
ancora sei ragazzo e non lo
puoi capire, perché d’ogni
cosadevefareilsuocorso–.
Emihadetto:–Racazzomio,
fatte coraggio, che la
spagnolaèquasefenita,efra
2 mese feniscie magare
questamaledettaquerra.
1
borrecare o vorrecare:
seppellire.
2
cratovate:graduati.
3
MonterossoAlmo.
4
Meolo.
5
Filo Zingaro, una località sulla
strada che conduce da Vizzini a
MonterossoAlmo.
6
LicodiaEubea.
7
prescia:fretta.
8
caucina:calce.
9
sparre: straparli
o piú
probabilmente,inquestocaso,spari.
10
ventegnarlla:vendemmiare.
11
arracionallo: farlo ragionare,
calmarlo.
12
apezzare la pelle: lasciare la
pelle.
13
cicere:ceci.
14
sonocosa:sonocapacisolo.
15
lezzicire:andarealeggere.
16
ValSugana.
Capitolosesto
Vintalaguerrapersoil
manciare
Mapoiilcapitanorestavo,
e io sequitaie a camminare
con li contecente. Ma,
arrevanno a uncerto punto, il
sercente che comandava
questa corbe di mule 1 ni ha
detto a tutte: – Permammice
umpoco, che prima che
passammo questa collina,
dobiammo fare con questa
bantiera a lampo di colore il
segnale alla vedetta di quello
monte di fronte, e vediammo
che cosa ci arrespondono –.
Che là ci avevino l’altra
bantiera allampo di colore,
comel’avevailsercente.
Eiocheormaieeraprateco
dellaquerra,ecapevamagare
che voleva essere questo
signale, disse tra me: «Ecco
chesiammopronteperpotere
morireun’altravolta».
Perchéammemipiacevadi
farelaquerraemagaresofrire
assai,marestarevivo,chepoi
quanto si n’antava concerato
racontava queste fatte di
querra. Ma quanto uno
muore, certo muore de fessa!
Cosí io diceva: «Mi piacesse
di essere ferito come
Ciovanni, e cosí, alla fine,
contasse tante cose di
querra».
E cosí, il sercente fece il
segnale e di quella parte ci
hanno resposto con la
bantiera
che
potemmo
passare.
Al comanto di battaglione
trovammo il maggiore Tordo
cheprimaeracapitano,econ
lavittoriadelPiavel’avevino
fatto maggiore, e il tenente
Sparpaglia fu proposto
capitano. Mi sono presentato
a questo catanese e mi ha
detto:–Tucheseie?aRabito?
–Eiocihoresposto:–Sí–.
E mi ha detto: – Ti sei
devertito allicenza? – E io ci
ho detto: – Che bello
devertemento,
che
il
maresciallo ci ha detto alla
carabiniere: «Tutte i soldate
che vedete passeggiare
portatavelle al cimitero per
farefossadimuorte!»–Cosí,
il maggiore si ammesso a
redire.
Quinte, mi ha dato tutto il
correto che aveva di bisogno
il soldato che era in querra,
piúmihadato2scatolettee4
callette, e mi ha detto: –
Rabito,nonmancialle,perché
tilefannopagare,chequesta
reserba si deve manciare
quanto non viene il rancio –.
E dovevino stare conzalbate
bene, e servevino, questa
reserba, magare per quanto
passavaqualchepezzocrosso
e li voleva vedire, e se non
avevimo li scatolette e li
callette,daveroniponevino.
Ecosí,quantoiomiaveva
preso tutto, che era bene
armato, sento parlare al
tenente, il patornise 2 che,
come sebbe che io aveva
arrevatodellalicenza,emiha
inteso
parlare,
spontaniamente ha venuto e
mihadatounobacio,chenon
l’averebbe fatto – questo di
dareme uno bacio – neanche
unofratello.
Che bravo tenente che era
questoperme!
E il maggiore e il tenente
poi si hanno messo a babiare
comme, e macare mi hanno
dato una cozata per uno. E
poi, mi hanno lasciato e io li
senteva arraggionare tra loro
edicevinochealpiúprestosi
doveva fare l’ofenziva,
mentre veneva umporta
ordene, e queste oficiale ci
hanno detto: – Portate a
questo soldato Rabito nella
prima linia, che non sape
dovedeveantare–.Ecosíio,
eradinottechemilorecordo
di preciso, mi carrecaie lo
zainoeminesonoantatocon
quello porta ordene, che mi
ha portato propia imprima
linia. Lí, mi ha consegnato a
un sercente, che io maie
l’aveva veduto. E il sercente
nonfecealtrochemihafatto
montare di vedetta in uno
postoavanzato.
Io, per la prima notte, non
conosceva annesuno, perché
erino tutte quase nuove
arrevate,enonpottetrovarea
uno che conosceva prima di
antare illicenza. E poi di
notte, che c’erino tante
soldate piede piede e non
sapeva come se chiamavino,
nonsapevasevicinodoveera
io c’erino soldate che io
avesse conosciuto. Tutte
erino soldate venute nuove.
Menomale che aveva trovato
alle 2 oficiale che si avevino
messo magare a babiare
comme,masennòpoi,quella
notte, mi pareva che fosse
pricionieroconliaustriece...
Cosí, fenie di fare questo
ciorno di vedetta e mi volle
informaredoveerinoantatea
fenire tutte li zapatore che
aveva lasciato, e antaie a
cercare al tenente Sparpaglia
– che piú non si chiamava
«tenente», ma si chiamava
«capitano»–,el’hotrovato,e
cihodetto:–Madoveantaro
afeniretutteizapatorecheio
conosceva, e ora non
conoscio annesuno? – E il
capitanomihadetto:–Tutto
ene campiato, tutte hanno
partito per la licenza. Io e il
catanese, il magiore, non ci
hanno mantato a casa perché
abiammo avanzato, quinte,
invece di mantarece illicenza
ci hanno fatto a Tordo
maciore e amme mi hanno
fatto capitano. E secome
oficiale ci n’erino poco,
annoienoncihannomandato
illicenza... Mi hanno mantato
tuttesoldatenuove,eiomiho
fatto mareviglia come a te ti
hanno mantato qui un’altra
volta comme. Ma ora
faciammo un’altra volta il
reparto
Zapatore,
ci
orcanizammo come prima –.
E io diceva: «Magare lo
facessino!»Perchéiosenzail
capitano patornise non mi
piacevadifareilsoldato.
E cosí, magare Tano
Sapunaru si ne era antato, e
per quello che io non lo
poteva trovare, e ho fatto
bene a manciareme tutto il
paccocheciavevaportato.
Edavero,doppo10ciorne,
si aveva orcanizato il reparto
Zappatore, e il capitano
Sparpaglia aveva un’altra
volta il comando. Ma dei
vechie soldate, quase che
c’eraiosolo.
E cosí, cominciammo a
fare caminamente e trenceie,
e se lavorava come se
fossemo a conto di una ditta
in Italia. E finarmente
abiammo fatto una bellisema
strada, per quanto li mule ci
potesseroportareilmanciare.
Poi,unanotte,versoli2o
l’una che poteva essere,
venneilrancioecistapemmo
preparantolicavette,eancora
c’eraunomulo,carrecoconli
casse, che aspetava che li
cuciniere scarecavino li altre
mule e poi scarrecavino a
questo mulo, che era lo piú
tristo mulo di tutte li mule,
per non fare bordello, che
erimoinunopuntoprecoloso.
Ma queste cechine austriaci,
non si sa di unne 3 ni ha
venuto questo tradimento, o
pure
sapevino
l’olario
precisa, ci hanno butato il
refreturio e si hanno messo a
sparare,cheinunominutoci
hannofattosperdireatuttedi
quellapiazola,cheerimotutte
prontepermanciare.Enoini
abiammo visto – che dalla
nebbia che c’era non ci
vediammo uno con l’altro –
trovate in una luce come
fossemo in una piazza
prencepalediumpaesequanto
c’eneunafesta.
Cosí, una cannonata
scoppiò propia allato di
quello mulo tristo e si hanno
rozelato4limarmitte.Ilmulo
si ha rozelato magare con
tutte li marmitte. E tutto il
rancio antavo a fenire nel
fiume.Ecosí,socesselafine
del monto, che per 2 ore
questecanesihannomessoa
sparare.Poicheilterrenoera
comelapinetadellaCrazia 5
aChiaramonte,tuttelimulee
li marmitte antareno a fenire
nel fiume Brenta, e senza
poterene vedere uno con
l’altro.
E quella notte fu la notte
piúdesonestadituttelinotte,
che tutto quello lavoro che
avemmo fatto fu destrutto. E
senzamanciarerestammo.
Io, per pura compinazione,
ho trovato umpicolo refucio,
quantocihoinfelato6latesta
e li spalle, e per fortuna non
ho preso nessuna sassata e
nessuna pallotela, perché il
mio destino era di vedire
tante sofremente e non
morire.
Come si ha smuzato il
fuoco e il refretorio hanno
levato, secome era a 4 metre
lontano di dove avevino
scarrecato il rancio, vedeva
una marmitta da campo, che
era la marmitta dove le
cuciniere portavino la carne.
E, per mia fortuna, questa
marmitta, causa che c’era
antata una pietra crossa di
lato,erestavaferma,eio,con
quello refiletorio che c’era,
l’aveva ochiata. Cosí, piano
piano,prentolamarmitta.Ma
c’era un altro soldato
nascosto come era io, che lo
sapeva macare di questa
carne. E tutte 2 dissemo:
«Muorte che muorte, ora
manciammo, che cosí, se
ancora spareno e ci
ammazino, per lo meno
moremmo co’ la pancia
piena!»
Poi, c’era magare un
varrelotto di vino, che era in
una fossa che avevino fatto
una di quelle cannonate, e
c’eraunaltrosoldatovicino,
che si chiamava Orlanto
Mario, che era siciliano. Ed
erimo 3. E con tutta quella
paura che avemmo, avemmo
tanta fame. Cosí ci abiammo
messo ammanciare come li
lupe afamate. Io mi aveva
fatto pieno di carne il
lermetto.Mariomihadetto:–
Tu, Rabito, come cazzo
combine,tilavedetu,checi
hai il lermetto pieno di
carne7...
E manciammo, senza
penzareallamorte.Epoitutte
dissemo che come ni passa
questa paura antiammo a
cercare acqua per bere.
Perché poi, carne che ni
avemmomanciatotanta,vino
che con quella carne ni
avemmo beuto uno litro per
uno,quintedellasetestavimo
morento. Io ne lirmetto ci
aveva10razionedicarneela
doveva lecare, perché il
lermetto era la salvezza della
nostra testa, e quinte mi lo
doveva mettere. E ci deceva:
– Vediammo se ci la
potemmo manciare e poi
vediammo come potiemmo
fareperbereacqua–.Ecosí,
davero
reprentemmo
ammanciare, che la nostra
panciaeratuttapienadicarne
e vino, e senza pane. E ci ha
venuto una sete di come li
canecaciatore,cheportenola
linqua di fora quanto non
hanno acqua. E cosí, ci ha
cominciato a farene male la
pancia, che non avemmo
mortoperpuracompinazione.
IoeMariodoviemmomorire
con il tanto manciare...
mentre il 3 di noi davero
forse che morio, perché si ha
rozelato nel fiume e non
l’abiammovistopiú.
Mentre il cechino, per la
sua bontà, ancora sparavino.
E non potiemmo antare a
cercareacqua.EMariomiha
detto: – Maledetto noi che
abiammo manciato tutta
quella carne e tutto quello
vino –. E tutte 2, io e Mario,
dopo che avemmo auto la
fortuna
di
manciare,
bestimiammo,
perché
avemmo una forte sete e il
dolorefortedipancia,mentre
quellealtrechecominciavino
a uscire fuore dalle loro
nascontiglie stavino morento
difame.
Cosí,iodisseamMarioche
sapeva uno sentiero che
quanto pioveva l’acqua
sculavaausounastizana8.E
cosí, ci antiammo. Lí c’era
macare una picola crotta che
non ci potiemmo entrare
all’impiede, ma comunque
erimosalve.
Ci abiammo messi la
cavetta in quella stizana e
aspetammochesiavessefatta
piena. E spetammo che poi,
quanto si riempeva, con uno
sorsone ni passava la sete,
cheavemmolaboccaasciutta
che magare ci ammancava il
respiro. Ed erimo messe a
quardare quella cavetta come
quarda il caciatore che mette
laferetta 9 dentra la tana per
far uscire il coniglio. E cosí
erimomessenoie,ioeMario.
Ma il diavolo non voleva
chenoidovemmobere,quella
brutta notte! Bello che la
cavettaeraquasepiena,chela
stapemmo
prentento,
passareno 3 soldate di corsa,
e con li piede, senza volerlo
fareapposta,fannocascarela
cavetta,cheparecheavessero
datounapedataaumpallone.
E la cavetta, rozzolanto e
facento bordello, si n’antò
pure nel fiume. E cosí li
austriece hanno fatto un’altra
sparatoria.
Ecosí,ioeMario,ilnostro
conforto era bestimiare.
Manco di fare acqua ci
veneva, perché altremente ci
avessemo beuto macare la
nostra orina, per vedere se ci
avessemo potuto bagnare li
labra.
Io,aquellechehannofatto
cadere la cavetta ci ho detto
tante volte «descraziate». E
uno mi ha detto: – Poi,
Rabito, ti faccio vedere che
siammo li descraziate, tu o
noi!–Ecorrevinoconquella
barella.
Fucile e bombe ce n’erino
tantepiedepiede.Eioteneva
tutto pronte, che, se
retornavino, era diciso che io
moreva per la site e loro
dovevino morire con un
corpo di baionetta. Tanto era
arrabiato quella descraziata
notte!
Che menomale che non
turnareno
piú,
perché,
poverette, con una cranata
che sparareno li austriece
morerino... E macare il ferito
morio!
E quinte, sempre al buio,
cercammo un altro pezzo di
latta,tuttasporcaditerra.Ma
la terra non faceva male.
L’abiammo messo da nuovo
sotta la stizana, e un’altra
volta
aspetammo
che
potissemo bere. Cosí, io e
Mario stiesimo di quardia a
quardarequellopezzodilatta
tutta sporca di terra. E chi ci
avecinava, magare erimo
pronte per spararece. Magare
che avesse venuto mio
fratello,
ci
avessemo
sparato... E finarmente,
butanadel’inferno,sihafatto
piena, quel pezzo di latta, e
con tutta la terra l’abiammo
beuto, che ci abiammo preso
tanto piacere a bere
quell’acquasporca,epareche
avessimo
entrato
nel
paradiso...
Poi, venne il mese di
otobre e venne il vero
inverno. E ho visto un’altra
notata che, questa, non la
possodementecare.Cheioho
visto che un caro amico mio
ha ammazato a uno sercente,
perché, per essere malacarne,
questo sercente lo era
davvero, sennò non moreva
ammazato. Ed ecco come
sonoiverofatte.
Questo amico mio, che si
chiamavaGramignaederadi
Salerno, ci ha venuto uno
telecramme, dove diceva che
il padre e la madre ci
stapevino morento. E quinte,
questo telecrammo aveva
venuto del comando della
bricata Ancona, che era di
resedenza a Basano. E il
telecrammo diceva che il
soldato Gramigna doveva
antareillicenza.
E secome tutte queste
ordene venevino sempre di
notte, li crosse comandante
nonlosapevino,equelleche
lo sapevino erino li sercente.
Quente,questotelecrammelo
ha preso questo desonesto
sercente,cheerailsercentedi
Gramigna. E secome, propia
quella notte, il Gramigna era
comandato di vedetta, il
descraziato sercente voleva
che per forza non doveva
partireperlalicenza,seprima
nonfacevalasentenella.
Cosí, tutte 2, che sempre
erino apicecate 10, dopo a
questa discussione che ci fu,
si hanno odiato piú assaie.
Gramigna voleva partire. Il
sercente voleva che prima
facevailservizio.Enonc’era
acordiochesipotevafare.
Cosí, tutte 2, parterino per
il posto avanzato. Ma il
Gramigna, quanto si ha visto
che il sercente per forza lo
stava portanto nel posto,
propia di fronte all’austriece,
cheeraumpostopricoloso,e,
prima di arrevare nel posto,
precava al sercente – che
stavamorentosuopadreesua
madre – di non fare questo
servizio, facendoce sapere
che ci trovava un altro
soldatoperquellanotte.Mail
sercente:–No!–cihadetto.
– Deve essere tu, e tu per
forza! – E si hanno messo a
farebacano.
Maliaustriece,cheerinoa
poche passe, ci hanno fatto
unascarrecadimitragliatrice.
Cosí,
il
salernetano,
profetanto
di
quella
sparatoria, non ci ha penzato
2 volte: ci ha terato un colpo
di fucile al sercente. Tanto si
n’avevino sentito tante colpe
difucile...
Come ha ammazato al
sercente, Gramigna partio,
che c’erino 18 chilomitre di
strada. E, avante che
aciornavo,fualcomanto.Eil
comanto ci ha dato la
votorezazione 11 di antare a
Salerno. Tutto perfetto li
contefattediGramigna...Ma
fu fessa, Gramigna, perché,
invece di avere la volentà di
partire subito, poteva vedire
seeraancoravivo,ilsergente,
che poteva parlare, cosí ci
dava un altro colpo e lo
liquitavapreciso.
Il capitano Sparpaglia,
vedento che il sercente non
veneva, che doveva antare a
dare il campio a un’altra
sentenella – cosí era l’una di
notte, che non lo posso
dementecare – il capitano
vedeammeeunaltro,edice:
– Rabito, antate per questo
caminamento.
EioeBasilepartiemmo.E
doppo che avemmo fatto 15
metre, sempre basse basse –
perché sempre pallotele ce
n’erino in ciro che poteva
morire sicuro –, io e Basile
abiammo
sentito
uno
mormerio di un soldato
morente, che aveva l’ulteme
respire. Cosí, fecimo altre 2
passi e ni l’abiammo
ammatito 12 colle piede, e
quanto l’abiammo quardato
bene, abiammo visto con
Basile che questo era il
sercente, propia quello che
cercava Sparpaglia. Cosí,
subito retornammo e lo
antammo a dire al capitano,
cheilsercenteeramorto.
Ma, però, non sapemmo
che
l’aveva
ammazato
Gramigna
e
neanche
sapemmo del telecrammo.
Perché io e Basile, se
sapemmo
che
l’aveva
ammazato Gramigna, tanto
era morto lo stesso, io al
capitano non ci lo deceva
subito che era morto. Ci lo
potemmo
dire
magare
passanto un’altra menz’ura,
che lo lasciammo morire per
quanto non poteva parlare e
direchel’avevaammazato.
E cosí, arrivo nel capitano
e gli dico che il capitano era
morto, non d’una parola in
piú. E il capitano subito
venne a vedillo, perché
doveva dare li ordene a un
altro sercente che doveva
dare il campio alle altre
vedette. E cosí, il capitano,
comelovede,livollemettere
uno stromento nel cuore per
vedere se era morto davvero.
Eilcuoreancoraciabatevae
per morire ci volevono poco
minute. E in queste poco
minute ebe il tempo di dire
questaparola:–FuGramigna
che mi ha ammazato! – E
come ha fenito di dire: «Fu
Gramigna…», cettò l’ultimo
respiroemorio.
E cosí, il capitano dovette
fare il raporto che il soldato
Gramignaavevaammazatoal
sercente.
Gramigna aveva preso il
treno per Salerno. E cosí, il
comantomantailtelecrammo
alli carabiniere di Salerno, e
Gramigna
non
potette
arrevare a vedire la sua
famigliachefusubitopresoe
portato a Bologna, che
doveva essere fucilato subito
subito. Ma secome il soldato
Gramignaeraverocheaveva
il padre e la madre
morebonte, tutte 2 con la
spagnola, e il telecrammo
l’avevanelletasche,epoiche
descenteva di cente che
avevino assaie solde, sobito
partiero 4 avocate, li piú
bravediSalerno,eotenneche
prima di focilallo di farece il
processo. E cosí, Gramigna
non fu fucilato, che si ha
scanzato la morte, e neanche
piúalfrontefuportato.
Cosí,quellanotte,alposto
che ci doveva antare
Gramignaperdareilcampio,
ci siamo andati noi. Il
capitano ci ha messo a un
altrosercente,equestovenne
beduzzo beduzzo a pregare
amme e a Basile. E ni ha
detto: – Per favore, Rabito e
Basile,questemezzanotataci
volete dare il campio alla
sentenella?
E cosí, io e Basile,
dovettemo fare, colle dolce
parole, la sentenella. Che li
austriece erino lontano 50
metre.
Poi, un ciorno del 16
ottobre del 1918, abiammo
visto arrevare tante soldate
belle fresce fresche. E lo
scopo certo c’era perché
arrevavino, perché l’avemmo
intesodirechesidovevafare
questa crante ofenziva, ma
nonsisapevalaciornata.Ma
ora se vedevino tante
remporze e tanta monizione
cheportavino.
E finarmente fu davero.
Che il 16 ottobre del 1918 il
bolletino «Fante» diceva che
l’italiane avevino atacato il
Piave e Monte Tompa 13, e
poi il 27 ottobre, nella stessa
ciornata e nella stessa notata,
l’italiane atacareno Monte
Crappa e Monte Corno, che
erino vicino annoie, e se
sentevino li cannone come
che ci fosse un terremoto
continio. Li altepiane di
Aseaco e Montello, tutto il
fronte, aveva deventato una
fiamma.
Sololinostreposezionese
stavino ferme, perché se
trovavino piú avante di tutte.
Ma erimo messe pronte per
dare l’asalto a quelle
posezionecheaveinostatola
nostraspiaeilnostroveleno.
Poi,ilcapitanonihadetto:
– Ragazze, di questo
momento impuie il nostro
reparto Zappatore non si
chiama piú «Zappatore», ma
si chiama «Cruppo di Ardite
Reggimentale»–.Equinte,ci
hanno dato uno tascapane di
bombe petarde, umpugnale,
razze, e tante pistole a razzo
che infiammavino di dove
passammo. E poi, ci hanno
dato li pompe come quelle
che li condadine pompieno li
vegnite,solochelipompedei
contadine escino acqua con
pietra cileste 14, e invece,
quella che hanno dato annoi,
butavino fuoco. E totte li
atrezze
dei
zapature
l’abiammolasciato.
Quinte, tutte li nostre
oficiale erino con uno
benochiloperunoeunacarta
ciocraficaperuno,pervedere
i movemente che faceva il
nemico. Erino momente di
paura e di morte. Tutte
tremammo, perché come li
ofeciale dicevino: «Avante
Savoia!»,certochesidoveva
partire. E aspetammo quella
infame e desonesta parola:
«AvanteSavoia!»
La notata del 27, che
doveva aciornare il 28
ottobre, erimo morte di
suonno e morte di fame,
perché,causaquestoaspetare,
rancio non ni veneva. Cosí,
verso li 4 o le 5 di mattina,
allato di noi c’era una
compagnia di mitragliatrice
cheerinopiúintietro.Quinte,
prima atocava alloro di dare
l’asalto. Queste erino piú di
500 soldate, tutte mitragliere
dellaSantatiene 15,eavevino
10 mitragliatrice. E quanto
abiammo intesa un colpo di
trompa e migliaia di voce in
tutte li monte che erino a
tuorno annoi che credavino:
«AvanteSavoia!»,noiancora
spetiammo quella crante e
desonesta parola. E non la
dicevino, perché la nostra
posezioneeraavanta.
Passareno 10 menute e
venne umporta vordene
dicendo che dovemmo dare
l’assalto pure noie. E cosí, il
nome dai zapatore, il nostro
capitano non lu ha detto:
«Avante Zapatore». Cosí, ci
hannodetto:«AvanteSavoia,
Ardite!» E noi andammo
all’assaltoconilpugnalealle
manoeiltascoapanepienodi
petarde e li pompe che
butavinofuoco.
C’erino tante oficiale, ma
non erino oficiale che noi li
conosciammo, erino oficiale
venute da lontano. E c’erino
oficiale con li fiamme nere,
quellecheerinovereArditee
nelle berette ci avevino il
destentivodellacompagniadi
morte. E diedro di noi c’eri
un battaglione di carabiniere
con li mitre belle pontante
che stavino atento: che se
qualcuno di noi si avesse
refiutato di avanzare, queste
avevino
l’ordene
di
spararene.
E cosí partiemmo, che
paremmo
uscite
del
manicomio, perché erimo
deventate tutte pazze. E cosí,
arrevammo alla prima linia
austrieca, che allinea d’aria
c’erino 25 metri. E se
avemmo ammisorare la
destanza,
che
prima
dovemmo fare la discesa e
poi passare il fiume e fare la
salita, c’erino piú di 200
metre di corsa, avante che
arrevammo ner fiume, con
quello terreno bagnato e
pietre e tanto filo spenato e
tante trapole che c’erono
messevorrecate.D’ognunodi
noiavevacascato20volte,di
quellecheancoraerimovive.
Poi, stavamo con la paura,
ché
li
austriece
ci
attaccavano con bompe
ammano e fuoco di
mitragliatrice,ched’ogni5di
noi ni moreri 3. E quinte,
quanto passammo il fiume,
che poi veneva la salita, a li
austriececivenivacommitoa
butare bompe, e magare
rozelavino crosse pietre.
Quinte, per forzza, tutte
dobiammomorire.
E finarmente, doppo tante
soldate morte, che erino tutte
morte e ferite nel fiume,
abiammo conquistato la
posezione. E cosí, tutte li
bompe che avemmo nel
tascapane, tutte ci l’abiammo
scarrecato dentra la triceia.
Che forino molto forbe, che
prima che revammo noie, si
ne sono scapate, queste
cechine! Perché noi, quelle
che per fortuna ancora erimo
vive, arrevammo nella sua
posizione con la scuma nella
boccacomecanearrabiate.E
tutte quelle che trovammo
l’abiammo scannate come li
agnellenellafestadiPascuae
come li maiala. Perché in
quello momento descraziato
nonerimocristiane,maerimo
deventate tante macillaie,
tanteboia,eiostessodiceva:
«Ma come maie Vincenzo
Rabito può essere diventato
cosí carnifece in quella
matenata del 28 ottobre?»
Cheio,durantetuttalaquerra
che aveva fatto, quanto
vedeva a qualche poviro
cechino ferito, se ci poteva
dare aiuto, ci lo dava. Ma in
questa matina del 28 ottobre
era deventato un vero cane
vasto 16, che non conosci il
padrone, che fu propia in
queste sanquinose ciorne che
mi hanno proposto una
midagliaavaloremiletare...
Ma poi, in quello ciorno,
per il nostro reggemento fu
una vettoria sencolare. Ma
non fu per noi solo, questa
crantevittoria,maunacrante
vittoria per tutte i fronte: che
l’italiane avevino passato il
Piave e li austrieche non
facevino piú resestenza e
scapavino,
e
l’italiane
avevino riaquistato Udine.
Quinte, la crante offenziva
era reuscita bene, che si
diceva che questa volta
l’italianesidovevinofermare
aVienna!
Cosí,revammoaunopaese
che si chiamava Terze 17. E
questo fu il primo paese che
abiammo conquistato. Ma
popolazione non ci n’era,
perché era stato preso dagli
austrieceunannoprimanella
retradadiCaporetto,equinte,
tutte li abitante che erino
italiane,tutteavevinosfollato
ed erino nel Venito. Ma il
paeseeratuttodestruttodelle
cannonate.
Lí, c’era una bella
sorciva 18 di acqua e tutte ci
abiammo riempito li borracie
perchétimiammochel’acqua
che scenteva del fiume – che
questo fiume veneva delle
montagni di Trento – ci
avessero messo veleno e
potessemo morire. E quinte,
con la sorciva erimo piú
sicuro.
Cosí, il seconto paese che
librammo
si
chiamava
Primolanno19.Equestopaese
era un bel paese crante e li
abitante c’erino. Ma, però,
questeabitanteavevaunanno
che erino state prese
pricioniere, e queste, se noi
all’austriece li cercammo per
prentelle pricioniere, loro li
cercavino per ammazzalle,
tante sfreccie ci n’avevino
fattopermentrecheerinocon
loro... E tutte li racazze di
Pimolanno, quanto hanno
visto arrevare a noi Ardite,
che fuommo i primi ad
arevarece, ni hanno baciato
come avessemo arrevato li
suoifratelle.
E poi lí, a Primolanno,
propia
nella
stanzione,
c’erino 4 vacone di cavole
capucci, che li austriece non
l’avevino
potuto
manciaraselle, e neanche
ebiro il tempo di potelle
devedere alla popolazione.
Perché, questa popolazione,
gli austriece la facevino
lavorareepoipiúassaiediun
cavolocapuciononcidavino
per paga, che ci aveno fatto
fare tutte li trenceie di quella
zona. E gli abitanti di
Primolano ni parlavino piú
maledinoi,degliaustriaci,e
quanto ni vedevino passare
dellastradatuttelazzariate20,
che facevino magare annoi
pena – che speciarmente io
aveva auto tante bastonate
checidovevaspotare,epure
mi facevino pena –, ci
portavino tutte quelle caule
capucci, che erino ormai
scafferoto 21 e fracite, e ci li
butavino in facie, e magare
petrate ci travino, tanto malo
ci avevino fatto queste
maleducateaustriece...
E
cosí,
antiammo
alleberare Feltre, che era
vicinoBelluno,cheFeltreera
un bel paese e Belluno era
una provincia. E aveva lo
stesso di Primolanno, che
avevano state sotto li
austriece pricioniere, e tutte
neparlavinomale.
Poi, noi soldate che
vedemmo a queste ragazze
che ci acoglievino tanto
festante, speciarmente noi
piciottecheerimoArdite,eni
babiavino come se fossemo
suoi parente fratelle, con
quellacompuzionecranteche
c’era, certo profetammo e
tocammodonne,emagare,se
c’era l’ocasione, ni facevino
passaretantepiacere.
E magare lo decevino li
nostre
comantante
che
l’italiane
avevano
reconquestatoilTagliamento,
etraoggeedomaneliberono
magare Gurizia. E quinte
tante soldate e ofeciale
anziane dicevino che, con
questa crante vettoria, la
querrafenisciepresto!
Cosí, il ciorno 30, noi
Arditeerimonellaperiferiadi
uno paese chiamato Butrio,
che la popolazione era mità
austriecaemitàitaliana.Non
eracomeFeltreePrimolanno
o Belluno, che avevino stato
sempreitaliane,inveceButrio
era al confine tra l’Italia e
l’Austria.
Abiammo fatto l’entrata a
Butrio, che abiammo trovato
tutte li barcuna con bantiere
bianche, senza sparare un
colpodifucile.Enellapiazza
dove sicuro che c’era il
monicipio c’era una crante
bantiera italiana, e noi tante
orcogliose, perché vediammo
questa bello trecolore che
sbendulava in questo prima
paeseaustrieco.
Recordo ancora, di queste
maledette ciorne, che io mi
trovavaapociatoalmuro,che
stava mancianto ed era
stanco, mentre passa uno
degliaustriecechesiavevino
arreso,sihapresentatoconli
mano aperte, come un
puveredune 22, per volere un
bocone di pane, che io ni
aveva assaie pane, e stapeva
fantolamossaperdaricillo,e
macare avesse voluto una
fumata, che stava morento di
fame e di fumare. Questo
parlava italiano, ma io non
sapeva che questo era
austrieco e aveva fatto tanto
male lí, a Butrio. E stapeva
prentento umpò di fumare e
uno pizitino di pane e ci lo
stava dando, e mi ho visto
aferrareilbracciodi2donne,
che con una bastunata mi
stapevinofacendocascaredel
muro, e mi hanno detto
magare:–Descraziato,perché
ci daie ammanciare a questo
descraziato?–Eiosubito,per
non mi fare ammazare di
queste 2 donne, ci ho detto
chemiapparsoitaliano,mail
bracciodell’austreico,chelui
avevapresentatoperprentese
ilpaneeiltabacco,li2donne
con una bastunata ci l’hanno
rotto, tante erino arrabiate,
quella mità di popolazione
che erino italiane, che
avevino stato pricioniere un
anno.
C’era una lotta fortissima
tra li cevile e gli austriece in
quellopaese.Poichenoinon
li potemmo conoscire chi
erino li nimice e chi erino li
amice, quinte si conoscevino
tra loro e tra loro si
ammazavino.
Poi recordo che era la
matina del 2 novembre. Il
bulletene di querra non
parlavino altro che di una
crante vittoria per l’italiane.
Io sempre diceva fra me:
«Che fosse brutto morire
l’ulteme
ciorne
della
querra...» Perché sempre ni
morevinosoldate.
Cosí,
quel
giorno,
antiammo sopra li montagno
delpicolopaesediRoceni 23,
e tutte li abitante delle
campagni erino secure nostre
nimice, e li oficiale ni
dicevino:«Stateatentequanto
entratenellicase,chemacare
l’acquavipuonoavvelinare».
Ecosípasammolanotatadel
2 novembre. E come
aciornavo quella benedetta
ciornata del 3 novembre, che
magareneanchenebiac’era,e
c’eramagareilsole,dall’aria
abiammo visto passare tante
apareche basse basse, che si
vedievino magare li pilote,
chebutavinomanefestineche
c’era scritto: «L’Austria e la
Cermania hanno perso la
querra. La Francia valerosa,
conliarmatefrancese,hanno
desfattoliarmatetedesche.Il
Bercio e l’Olanta si avevino
librato». E noi tutte, vedento
queste manesfestine, la
faciammo a botte per
poterene prentere piú assai e
bacialle e salvalle de
portafoglio per recordo. E
presemo coraggio e alecria e
cantammo
canzune
e
aballammo pietre pietre,
immienzoaquellemonte.
Mentre piú tarde, verso
mezzociorno, hanno passato
altre apareche che botavino
altre manefestine, piú belle
ancora di quelle che avevino
butato di matina, che
dicevino: «Da oggi, il ciorno
3novembrealleore3,soldate
di tutte li corpe e di tutte li
specie,eneproibitodisparare
al nemico per fatte di querra,
perché li austriece hanno
abandunato tutte li arme e la
3 Armata ha ocupato Trieste,
e Trento si allebrato da sola,
perché li austriece hanno
deposetatoliarme»24.
E cosí, recordo che quella
ciornata, verso li ore 3, ci
trovammo nel paese di
Rocegni,eciabiammopreso,
doppo tante pene che
avemmo visto, questa crante
cioia!Che,conlacontentezza
e l’allicria, tutte piancemmo,
penzanno che la querra era
termenata, penzanno che
restammo vive con questa
sanquinosaquerra!
Cosí, alla notte, tutte li
soldate che erimo su quelle
monte, tutte tagliammo
albere, tutte cercammo legna
per fare fuoco, che tante di
noi non avemmo potuto
acentere un cerino, perché ci
sparavino. E se dovemmo
acentere una sicaretta, ni
dovemmo mettere sempre a
faccia a terra per non fare
vederelaluce.
E cosí, si vedevino tutte i
monte allominate, che d’ogni
2, 3, 4 soldate bruciaveno
legna tutta la notata per
protesta, perché per 40 mese
non avevino potuto adumare
uncerino.
E poi, tutta la monezione
che avemmo la sparammo in
aria,sempreperprotesta.Per
l’allecriacheavemmo,tuttili
lanciafiammiforenoadumate,
e li oficiale redevino. E tutte
li bombe che avemmo delle
tascapaneliabiammosparato
quella notte, che fu la prima
che potemmo cantare e dare
fuoco come piaceva annoi,
speciarmente a quelle che
avemmo 18, 19 anne, che
erimo ancora caruse che
queste devertemente ci
piacevino.
Poi c’eri che penzammo
alle mamme, alle moglie, chi
penzava alle figlie, chi
penzava alle fidanzate, chi
penzava che, fenenno la
querra,
lo
dovevino
concedare. Quinte, quella
notte,sihapenzatoatutto.Io
penzava magare a quanto era
a Valbella, che portammo li
cavallette, e con li piede, di
notte, tocava una latta, e li
austriece d’ogni minemo
romore sparavino. E invece
questa notte, per tutte li
montagni,
si
sentevino
canzone e tanto bacano e
tanto fuoco, e nesuno ci
sparava.
E neanche se avessemo
automanciare,avessemoauto
ilpiaceredimanciare,perché
manciammo
allecria
e
contentezza.
Mentre si vedevino li
raggie del sole e si
cominciavaafareciorno.Che
erimo state tutte come quelle
antinate, che per raloggio 25
conoscevino li stelle. E cosí
erimo noi, perché avemmo
fattotantenottefuore.Perché
noi erimo deventate tante
boscaiole che vanno arrobare
lalignadinotte.Solocheora
che se stava fanno ciorno si
vedeva qualche aucidazzo 26,
che potevino essere li
cuorbe 27 che volavino. Poi
cheaRoncegnequerranonci
n’aveva stato, e per questo li
armale volante c’erino,
perché, nei monte dove ci
avevino
stato
bombardamente, io, in 18
mesi, non aveva visto una
moscavolare.
Cosí, ci ha fatto ciorno. E
ebimol’ordenediscentiredai
monteeantarealfiumedove
c’erino 2 strade, una a destra
eunaasenistradelfiume,che
vediammo lí centenaia e
cente 28, e migliaia di
pricioniere che venevino di
Borzano e Terento, e magare
avevino passato il Brenniro.
Che c’era una crante
confusione che uno che
voleva atraversare la strada
nonlapotevaatraversare.Era
lo stesso di quanto c’ene una
procisione che ci sono i
carrabiniere e dicono: «Non
sipuòpassare!»
Poi,tuttequestepricioniere
parevino
tante
arme
piancente29.Scentevinoverso
Basano con la testa per terra,
e magare ci n’erino che
piancevino, mentre noi
rompescatole cantammo e,
per falli arrabiare, ci
abatiemmo li mano e ci
diciammo:«Bravelicechine,
che bella fine che avette
fatto!»
Echeavevaautofattomale
perstradadavacolpadifucile
per ventetta, e macare ci
sputavinoinfaccia...
Cosí, recordo che il 4
novembre,ciornatachenonla
dementecheranno nesuno de
li uomine che sono nate e
quellechedevinonascire,che
verso li ore 10, prima di
mezzo ciorno, hanno passato
tante aparechi basse basse,
che
butavino
un’altra
collazione di menefesti, piú
segnificativediquellediiere,
che
dicevi
che
immidiatamente si doveva
scomprareunadelle2strade,
quella a destra che viene di
Bassano, che devino passare
una colonna di machene con
tutto lo Stato maggiore, che
dovevino antare a Trento a
fermarel’ommistizio.
Che bella parola «fermare
la pace del monto»! Perché
questa querra il nome che
aveva era «la Querra
montiale». E dovevino
passare di quella strada li
oficialedituttelinazioneche
avevino preso parte a questa
dannataquerra.
Cosí, la strada subito fu
scomprada. E li colonne dai
pricioniere, se volevino
camminare,
dovevino
camminareterraterra,voldire
campagnecampagni.
Efinarmentecominciavoa
passarequestanobilicolonna.
Però, prima passareno tante
machene bentate 30 e tante
puliziotte armate, di tutte li
nazione. Li tarche delle
machene erino di Roma,
Parici, State Unite, Austria,
Cermania, Francia, insomma,
tuttelimachenedellenazione
che avevino fatto la querra.
Cosí, io ho conosciuto al
maresciallo d’Italia Diezi 31,
cheavevastatoquellocaalla
fine aveva comantato questa
vittoriosaquerra.
Tutte li cenerali se vedeva
che erino sodisfatte, ma li
ofecialetedeschieaustriecesi
vedeva che pare che erino in
lutto, che erino le stesse dai
soldate32:chenoirediemmo,
e li austriece camminavino
conlatestabassa.
QuellastradadaBassanoa
Trentoerapienadibamtirine
trecoloreetantefiorebutatee
tante borchese che batievino
limane,etuttenoisoldatecol
presenda darme, perché
passavinoquestepezzecrosse
che antavino al castello di
SanCiustoaTrento–doveli
austriece hanno imporcato a
Cesare Batista –, per fermare
lapace33.
Cosí, ci hanno fatto
l’adunata, sempre senza
rancio, e hanno chiamato
l’apello per vedire che era
asente. Poi, ci hanno detto
che chi ave li callette e li
scatolette si li mancia, e
quelle che non ci n’abiammo
manciammo questa mincia, e
ci dovemmo contantare che
avemmo vinto la querra. E
tutte ci abiammo quardate in
faccia e tutte diciammo:
«Ancora manciare per noi
noncin’è.Abiammovintola
querra e abiammo perso il
manciare!»
1
corbedimule:filadimulilegati
l’unl’altroconuncapestro.
2
patornise:paternese,diPaternò.
3
diunne:dadove.
4
si hanno rozelato:
si sono
rovesciate.
5
La pineta della Madonna delle
Grazie.
6
quanto ci ho infelato: cosí da
poterciinfilare.
7
come cazzo… pieno di carne: lo
sai solo tu che cazzo stai combinando,
conquell’elmettopienodicarne.
8
sculava a uso una stizana:
filtravacomedaunafessura.
9
feretta:furetto.
10
apicecate:inlitigiotradiloro.
11
votorezazione:autorizzazione.
12
ni l’abiammo ammatito: ci
abbiamoinciampato.
13
MonteTomba.
14
pietracileste:solfatodirame.
15
LabrigataSaint-Étienne.
16
vasto:guasto.
17
Tezze.
18
sorciva:sorgente.
19
Primolano.
20
lazzariate:pienidiferite.
21
scafferoto:appassiti,marci.
22
puveredune:poveretto.
23
Roncegno.
24
Ilcessateilfuocofufissatoper
leore15del4novembre.
25
raloggio:orologio.
26
aucidazzo:uccellaccio.
27
cuorbe:corvi.
28
ecente:digente,dipersone.
29
arme piancente: anime
in
lacrime.
30
bentate:blindate.
31
ArmandoDiaz.
32
che erino le stesse dai soldate:
cheeranougualiaisoldati.
33
SanGiustositrovaaTrieste.A
Trento si trova invece il Castello del
Buonconsiglio dove fu impiccato
Cesare Battisti. L’armistizio tra Italia e
Austria fu firmato il 3 novembre 1918
nellacittàdiPadova,aVillaGiusti.
Capitolosettimo
Alliconfini
Ilciorno7o8novembreci
hanno fatto la sbeglia
prestissimo e ci hanno detto
chealabricataAnconaaveva
revato un ordine che doveva
antare a Trieste. E cosí, il
conto che ni avemmo fatto
non fu ciusto. Che invece di
concedarece ci portavino a
Trieste, che lí c’erino li
slavenne 1 che erino tutte
rebelle, e quinte ci portavino
un’altra volta nel pericolo. E
abiammovintostamincia!
La sera dell’11 novembre,
verso li ore 6, la nostranave
entrava nel porto di Trieste.
Recordo che il tempo era
malissemo. C’era vento,
acquafortechepioveva,c’era
la bora, che io a Trieste non
ci aveva stato, e questa bora
ci lo dicevino li marenare
pratiche che c’era il malo
tempo, e questo malo tempo
sichiamava«bora».
Come se fermò la nave,
quase tutte i soldate si hanno
messo a dormire. Ma io non
volle dormire, perché voleva
quardare Trieste. Perché in
vita mia aveva stato sempre
cosirietuso 2 per vedere tutto
didovepassava.
Recordochenellepereferie
di Trieste, dove noi erimo
acampate, c’erino tante
rebelle che volevino essere
italiane, ma ce n’erino piú
assaie che volevino essere
ancora austriece. E quinte,
quelle poco ciorne che
fuommoaTrieste,ilfucilelo
tenemmo sempre carrico,
perchétuttilinottesisparava.
E poi, una notte, che fu
l’ultimanotte,cihastatouna
sparatoria tra noi e li rebelle,
che ci foreno 4 morte e 27
ferite.Ecosí,iodisse:«Nonè
verochepermesihafenitola
querra». E tutte diciammo:
«Altro che ci concedeno, c’è
il tempo ancora per potere
morire…»
E poi al sesto ciorno ci
hanno radunato a tutte e ci
hanno detto: – Ragazze, è
revato un ordene che quelle
della chilassa del 1899, di
questo reggemento, che vole
faredomantaperl’Arbania,e
lafaccia.Chesipartesubito!
E cosí, tutte li siciliane,
quase tutte, hanno fatto
domanta perché tenevino
paura con queste rebelle. E
cosí, diceva io: «Che bella
notiziacheabiammoreceuto,
che invece di mantarene a
casa ci vuonno fare antare
ammorire in Arbania! Ma io,
percontomio,micontentodi
morire qui e fare pacienza
con i rebelle, e se muoro
muoro».
E cosí, quelle che hanno
fattoladomanta,partierino,e
quelle che restammo ci
armareno come ci hanno
armato quanto dovemmo
antare a compatere: bombe,
fucile e pugnale. Ci hanno
portato alla stanzione di
Trieste,cihannomessosopra
la tredotta, e via! Senza
saperedoveantiammo...
Per tutta la notata sopra il
treno ci l’abiammo fatta
bestimianno, perché non
sapiammodoveantiammo.
E, finarmente, ci hanno
portato a Gurizia. Ci hanno
fatto scentere. Gurizia era
tutto bombardiato. Non c’era
neanche una casa senza che
aveva receuto un corpo di
cannone. C’era soltanto
qualche famiglia che avevino
retornato là. Li case erino
tutte inabitabile. Solo che la
città era tutta piena di
bantiere trecolore. Però
Gurizia aveva stato tante
volte preso dalle italiane, e
tante volte li austriece ci
l’hannolevato.
Propia nella città, rebelle
non ci n’erino, ma nella
montagni ci n’erino tante,
quinte ancora erimo in stato
di querra, poco manciare e
poco dormire. E cosí, io
diceva: «Altro che concedo!
Chi lo sa quanto doviammo
sofrireancora...»
Poi,hannoformatoun’altra
volta il reparto Zapatore e ci
hanno mantato a Monte
Santo.Elíc’eraunconvento
di monice sloveni. Che
durante la querra, questo
convento,
aveva
stato
abandunato perché l’italiane
l’avevino conquistato e poi,
quantocihastatolaretradadi
Caporetto, li monice hanno
retornato.
Lí, c’erino statte tante
morte,inquelloMonteSanto:
muorte di questa ultima
ofenziva che si ha fenito la
querra. E non ci aveva stato
tempo per sepilirlle, e
aspetavinopropiaannoi.Non
erino sistimate e sepolite
come si dovevino sepellire,
erino uno qua e uno là. E
quinte si dovevino portare
tutte a una parte e fare
comparere 3 che ci fosse un
cemitero.
Cosí,
il
capitano
Sparpaglia, che sapeva che
tutte avemmo li scarpe
compie 4, e magare compie
l’aveva lui (perché non era
oficiale di carriera, che
quanto piú presto si
concedavameglioeraperlui,
perché a Paternò lui ci aveva
un ciardino di arancie e,
senza moglie che era, si ne
volevaantareacasamegliodi
noi), ed era molto furbo,
perché era siciliano, e ni ha
chiamatoatutteenihadetto:
– Ragazze, lo so che siete
arrabiate, ma per 3, 4 ciorne
bisognadifarepacienza.
Io, che con il capitano ci
aveva auto tanta confedenza,
ci ho detto: – Segnure
capitano,noifuommofateper
la pacienza, per la querra e
per fare magare li bechine, e
quinte, quanta pacienza
dovemmo avere? – E il
capitano mi ha detto: – Tu,
Rabito,seisemprequelloche
parle e ti lamente piú assaie.
Non lo saie che basta che
restammo vive e abiammo
resoltotutto?
E veramente quello che
diceva il capitano era ciusto,
che se arrestammo vive tutto
era resolto. Ma il capitano
non ci corpava 5 che ci
portarenoafarelibecchine.
E cosí, davero abiammo
fatto vicino al convento una
lunca trinceia, e poi, a uno a
uno, presemo i morti con il
tilo da tenta 6 e li abbiamo
portate tutte in quella lunca
trenceiaesepelite.
Poi,perlapuzza,ilnasoci
l’avemmo tapato con cotone
desempetante. E abiammo
fatto 4 ciorne di lavoro, e
davero fu come se avessemo
lavorato a cotimo. E
feniammo.
E cosí, alla matina
sequente, zaino a spalla e
lasciammo il convento che
avemmo manciato bene 6
ciorne, e scentemmo da
MonteSanto.
Recordo che c’era una
vallata che di lato c’era
Monte San Crabiele 7 e,
caminanto
caminanto,
antiammo a Monte Cavallo.
Lí, li terre erino state tutte
abruciate un anno prima,
voldire quanto l’italiane
avevino perso tutto, voldire
nellaretradadiCaporetto,che
avevino perso Gurizia,
Udene, Belluno, quinte
avemmo perso mità del
Venito, e tutte quelle terre
erinopiene,tutte,dicimitere.
Cosí, abiammo fatto 2
ciorneapiede,conlamidiadi
35chilomitrealciorno,econ
35, 40 chila che pisava lo
zaino, e poco manciare e
poco dormire. Mi pareva che
ancorra c’era la querra, di
comeerimostanche.
E cosí, camminammo e
siammo arrevate in uno
picolo paese che si chiamava
Pilanina 8.EquestoPilanina,
per quella popolazione, era
uno paese crosso perché era
di 3.000 mila abitante. Lí ci
abiammo fermato. Lí c’era
una piazzetta e una bella
chiesa,
che
tutte
li
picolisseme borcate che
c’erino a tuorno a tuorno ai
monte,alladomenica,tutteli
donnescentevinodeimontee
si sentevino la messa. Che la
popolazione slavenna e
austrieca erino piú releciuse
di totte i popole, perché,
quantoc’enemortarelecione,
c’enemortamiseria.
E cosí, ci hanno fatto fare
«zaino a terra», e il nostro
comantante di battaglione ci
hafattounaparlataperdirice
che siammo arrevate e il
nostro bataglione ha stato
destinatoqui,inquestopaese
chesichiamaPilanina.Epoi,
ci ha detto che caminassemo
tutte armate, che non
lasciassimo maie il focile,
perché Pilanina eni umpaese
pieno di rebelle. Non che
stanno nel paese, queste
rebelle,mastannoneimonte.
Poi, il capitano mi ha
chiamato e mi ha detto: –
Rabito, tu che sempre vaie
ceranto, staie atento che qui
nonziammocomeintempodi
querra.
Quitrinceianoncin’era,e
ilnemicosipotevapresentare
macare dentra a una amica
casa.
E poi, noi zapatore ci
hanno fatto fare 2 belle
baracchecrante.Poi,cihanno
fatto fare tante villette per
ciocare li bambine, perché
queste 2 crante barache ce
servevino per fare 2 scuole,
unaperleragazinechea7,8
annedevinoantareallascuola
e una per quelle ragazze
crante che se volevino
imparare la linqua italiana. E
ci abiammo fatto una
bellessima cucina per dare
ammanciareatuttequelleche
antavino alla scuola. Hanno
mantato a chiamare a 5
maestrefemmene.Ecosí,poi,
per cuciniere, per devidere il
manciare, ci hanno messo
amme. Ciusto quello che mi
aveva promesso quello bravo
capitano Sparpaglia, che mi
hadetto:–Rabito,avanteche
mi concedo, ti devo mettere
in uno puosto buono,
vediammo se ti lamente
ancora…
E l’importanza che aveva
io, distribuento il rancio alli
scolare,nonl’avevanesuno.
Poi,iomisonocercatouna
casa vicino alla cucina, che
c’era una stanza che io ci
meteva tutta la ruba che mi
restava e tutti li atrezze di
cucina.
La padrona di questa
stanzacin’avevatantecasee
teneva dentro una ragazza
cheerasignorina.Nonpoteva
capire se ci veneva nipote o
pure
l’avevino
per
cammarierra, il fatto sta che
ci faceva tutte li servizie che
avevino di bisogno, perché
figlie non ne aveva e faceva
tuttecosequestasignorina.
Aveva22anne,nonerané
bella,eneanchebrutta.
Io,inquellafamiglia,prese
tanta amicizia che pareva a
casa mia. La stessa signorina
che aveva 22 anne paremmo
fratelle e sorelle. La padrona
mi tratava come uno figlio.
Quinte, poi, venne assapere
che questa signorina, che di
nome si chiamava Francesca,
era figlia di una sorella della
padrona.
Con la tanta amicizia che
presemo con questa, mi
lavava magare li robbe e
magare si lasciava tocare
comeiovoleva.Però,aveva3
o4annepiúdime,esposare
non mi la poteva una che
anne ni aveva 22, 23, e poi
che ni demostrava 30 e
magare 35. E poi che con la
querra, che lo sa se aveva
magare fatto qualche figlio!
Quinte, io, con questa
Francesca,erimomoltoamice
deventate, perché ci portava
arancie, mandarine e tante
altrecose.
Ma questa stretta amicizia
non durò tanto: che tante
volte io, alla sera, vineva per
corcareme, questa nipote
veneva nel letto, mi faceva
tante stuzie, e io la voleva
fare mia, e questa nipote
semprem’inzortava9manon
sivolevadare,chemifaceva
capire la patrona, voldire la
sua zia, che prima vi sposate
epoivicorcateinziemme.
Poi, io, dentra a quella
casa, ci portava sempre cose
per manciare. Ci portava li
fontedelcafè,epoiquestelo
remacinavino e facevino
caffè, poi portava panine e
conserba e tante altre cose
cheliborchesenonl’avevino,
e magare per questo mi
volevinobene.
Il penziero mio era per
potereme sodisfare, e lei,
avisata delle suoi zie, mi
stapeva facento impazire. E
quinte, questa Francesca era
capace che certe momente io
con questa non raggionava
piú.
Ma,unavolta,inuna casa
vecina aballavino e lei mi
portavo a ballare, ma non ci
hauscitonientelostesso.Lí,
c’erino
tante
signorine
mieglio di leie che vinievino
allascuolaecen’eraunache
si chiamava Francesca come
leie. Quanto ni facemmo una
parlatina, io e lei, si vedeva
chepotevastareallatodime,
perché mi lo facevino capire
li altre soldate, perché aveva
4annimenodime.
Cosí,penzaiedipassareme
il tempo con questa seconta
signorina Francesca, che
faceva la salta e non era del
paese di Pilanina ma era di
Scalascire 10,umpaesieddodi
500abitante,equestaveneva
a Pilanina tutte li matine per
farese sarta e per impararese
l’italiano. E cosí, veneva
sempre a prenterese il
manciare e anze ci aveva
un’altrasorellina,chesempre
camminavino
inziemme.
Cosí,iocihopresoamiciziae
quinte, quanto ci poteva
recalare qualche mandarino e
qualchearancio,cilodava.
Cosí, un giorno, durante
una distrubuzione di rancio,
la prima Francesca mi ha
solbegliato. E, ciusto ciusto
quella volta, mi ho visto
presentare
quella
bella
ragazzacheiolavolevabene
perdavero,cheeralaseconta
Francesca di Scalascire e
faceva la salta. E io, come
vennecheusciodallascuolaa
prentere il manciare, ci ho
datoarancieemandarine.
QuestaprimaFrancescaha
vistotuttoecihannopresoli
nerve e se n’antò arrabiata
comeunacane.Pecciodiuna
donnadellaSiciliadicomesi
haciulisiato...
Io, a questa seconda
Francesca,
l’aveva
conosciuto per mezzo di uno
amico mio soldato che era
illetricista al comanto di
bataglioneederadelpaesedi
Feltre, paese della provincia
di Belluno. E questo amico
soldato, a queste acente, non
li poteva vedere, perché
avevino compatuto con
l’austriece, e li austriece ci
avevino fatto tanto male,
perchéavevaautolafamiglia
unannopricioniereaFeltre,e
mi racontava: – Caro Rabito,
io non lo posso capire come
tu ti annamore di queste
agente servaggie. Io, se
trovasse una ocasione, mi
ventecasse di questa razza
maledetta.
Poi, un ciorno che io non
potteantareadormire,perché
dovette antare a Gurizia per
prellovare cose di manciare,
non si sa se sono nasciute
tutte pazze 11, la padrona di
casa e sua nipote, hanno
busato12cheiononvenneper
dormire, hanno profetato che
io non era presente, hanno
presotuttelimieierobeemi
l’hanno butato tutte fuore
immienzolastradaelihanno
schifiato 13 tutte, e
signefecava che non mi
volevino che io mi corcava
piúinquellacasa.
Iocihoracontatoilfattoal
mioamicoelettricista.Ecosí
l’aletricista,adirecequestoe
parlare male, pare che ci
avesse fatto un crante recalo.
Subito subito mi ha detto: –
Tante crazie, Rabito. Io vado
cercantoquesto,oralivadoa
denunziare al comando di
bataglione che queste sono
rebelle, e poi verso li ore 4
aspetta amme che ci
antiammo a cercalle per fina
alla sua casa, e ti faccio
vederechecosafaccioiocon
quellarazzamaledetta!
E cosí, prima antiammo a
denunzialle come rebelle, a
questafamiglia.E,alleore4,
davero ci n’antiammo, e
davero abiammo trovato
propia a quella che io ci
avevadatotantacompedenza,
e tante cose ci aveva dato, e
leie mi aveva butato li mieie
robestradastrada.
Io mi aveva portato per
compagnia uno mio paesano
chesichiamavaChiaramonte
Ciorcieefacevailcaporale.E
cosí,
erimo
3:
io,
Chiaramonte e quello di
Feltre. E l’alatricista sempre,
quantocamminava,portavala
borza
con
l’atrezze
dell’aletricista. E senza
passarece
permesso
entrammoinquellacasa,eci
abiammotrovatoaquellasola
che mi aveva butato li mieie
robbestradastrada.
Eilprimoatraserefuiiodi
tutte 3, ma l’echise amica,
come vede me, mi ha detto
tante volte: «Bescie, bescie!»
E io queste parole non li
capeva, ma l’aletricista li
capeva che cosa voleva dire
«bescie», voleva dire «via,
via dalla mia casa». Macare
initalianosignificava«nonci
rompeteliscatole».
E cosí, come entrammo,
tutte 3 l’abiammo preso,
l’abiammo messa sopra, che
c’erauncrantetavilo,apanza
all’aria, ci abiammo levato li
motantine, il mio paisano
Chiaramonte ci ha fatto
chiudere la bocca per non
farece fare voce, io ci
ollarecatolicampe14,sempre
con li ordene che ci dava il
l’etricesta, perché quello li
capeva. Poi, lui, l’eletricesta,
avevaunapilachesiprenteva
la scorsa 15 come la
luceletrica, e ci l’anfilato
immienzo alle campe e ci ha
fatto prentere la corrente. E
quellaFranciscachemiaveva
butato li robbe strada strada
hacetatounavocecheioeil
mio paesano Chiaramonte
dissemo:«Maria,morio!»
E io ci deceva: – Per
favore,basta.Nonlafarepiú
sofrire che sta morento –. E
lui mi ha detto: – Tu, caro
Rabito, a questa razza
maledetta non li conoscie, e
non deve essere piatuso con
questecane,efortonatamente
che ti hanno butato solo li
robe fuorre e non ti hanno
fatto altro, ma, mentre che ti
hannofattodormireconloro,
ti avessero potuto magare
avelenare. E sei stato molto
fortenato, che ti ha fenito
buona...–Epoi,midiceva:–
Saie che cosa ci hanno fatto
allamiafamiglia,questecane
descraziate? Che la mia
famiglia,alFeltre,ciavemmo
una bellissima casa e mio
padre ci aveva l’osteria che
facevadamanciare.Poi,cifu
la reterata di Caporetto e il
mio paese ha stato preso
pricioniere. E della bella mia
casa, lo saie che cosa hanno
fatto, queste cane? Che, per
sfreggio,nellacasadovemio
padre faceva di resturante, ci
hannomessoicavalle,edove
noie ci teniemmo i cavalle ci
hanno fatto dormire la mia
famiglia. E poi, alla mia
famiglialafacevinomoriredi
fame, e 2 mieie fratelle li
hanno fatto morire di fame e
di desprezze, che ammia
mammaeilmiopadrequella
crante pena non ci pole maie
passare. E quinte, queste
sfrecie che hanno fatto alla
miafamigliaio,semidassero
carta bianca, io a queste li
brocereie tutte. E tu, caro
Rabito, ti stanno fanno piatà,
e faie male ad avere il cuore
cosí tenero con questa razza
maledetta!
Eiocihodetto:–Maora,
come venchino li suoi
parente, qui potessemo fare
unasparatoria!
Ma prima che venessero i
suoi
parente,
come
l’abiammo fenito di schifiare
tutta, l’abiammo lasciato
sopraillettotuttascancarata.
Certo che erimo state 3 iene.
E poi, ci abiammo fatto
ciorare che doveva dire
sempre: «Viva l’Italia». E
come l’abiammo lasciata,
prima che venissero li suoi
parente,questa,conlilacrime
alle ochie e tutta scancarata,
si n’antò a recramare al
comanto di battaglione, per
vedere se potesse avere
ragione e per denonziarece a
tutte3.
Ma al comanto, questa
echise amica mia ci ha
trovatoall’aletricista.E,come
arrevava, si ammesso tutta
piancento nel maggiore e ci
ha fatto vedere li coscie di
come era insanquinata. E al
comando, che erino stati
abisati dell’aletricista, ci
hanno detto: – Via di qua,
perché altremente viene
butata dal barcone! – E cosí,
ci hanno detto che li
prentevino come rebelle e li
facevino fucelare: – A te e
tutta l’intiera razza! – E
questa racazza, piancento
piancento,sin’antòacasa.
Io comunque lí ci stava
bene. Alla sera antava a
compagnare alla ragazza, la
seconda Francesca: da
Pilanina la portava a
Scalascire, che c’erino 2
chilomitre. Sua madre mi
recevevacomeunsuoparente
e come un amico sencero.
Suo padre aveva fatto la
querraeammemiparevache
non era tanto contente che io
voleva a sua figlia. Ma poi,
piano piano, si ha fatto
convinto,
perché,
per
requardo al madrimonio dai
figlie femmene, sempre
comandalamamma.
Quinte,
ecco
che
cominciaie a fare malavita:
scentereesalirediPilaninaa
Scalascire.Mapermeerauna
buonavita,perchémipiaceva
la ragazza e, se per caso non
ci
poteva
antare
a
compagnalla un ciorno, per
me la vita mi pareva un
trademento.
Ma, sapentolo ummio
paesano di questa malavita
che io faceva per questa
ragazza, sempre mi diceva:
«Vicenzuzzo, con queste
acente che sono descraziate
per natura un malo sempre ti
lo faranno, perché sono
sempre austriece, sempre
sononostrenemice!»
Intanto,
il
capitano
patornese, Sparpaglia, propia
in quelle ciornate, si ha
congedato. E io, a perdere a
questo capitano, pare che mi
hanno tagliato il braccio
diritto. Mi sono rovenato! E
quantociabiammospartito16
per me fu una ciornata di
lutto.
Ci abiammo baciato come
2soldatee,doppo30mesedi
stare inziemme, non ci
abiammovistopiú.
Poi, pare che ci fu il
diavolounamatina,inquello
paesediPilanina…Chetutto
in uno colpo venne uno
ordinecomeunformene,che
diceva che uno dei 2
battaglione dovevino partire
subito per Curizzia e
dovemmolasciarePilanina,e
noncifuiltempodipotermi
neanche salutare con la
fidanzata, che era la mia vita
diquantomivolevabeneedi
quantoiovolevabenealleie.
E quanto uno è soldato,
non zi può maie rifiutare,
perché lo porteno sobito al
trebunale militare. E quinte,
per forzza, dovette lasciare
Pilanina, che provaie un
crante dispiacire che ni ho
cascatoammalato.
Equellecheavemmostato
bene ebimo tutte tanto
dispeacere.
Nella stessa ciornata
fuommo a Gurizia. Lí, il
lavoro era un altro che
dobiammo fare. Piú non lo
faceva il cuciniere, di essere
padtrone di carne e pasta,
pane e vino, di come era a
Pilanina...
A Gurizia hanno chiamato
l’apello per vedere che
ammancava. E quelle che
erimo nei zapatore ci hanno
detto che ora dovemmo
lavorare con una compagnia
del Cenio miletare: – Che
dovete lavorare e vi pacheno
come lavoratore, e invece di
11 solde ve devino dare 22
soldealciorno.
Quinte, la nostra paga era
di una lira e 10 centesime al
ciorno. Però, ci hanno detto
chesidovevalavorare,certo,
cheGuriziaeratuttadestrutta:
e 6 puonte avevino fatto in
tempodiquerrae6puonteli
austriece
avevino
fatto
cascare con li cannonate. E
cosí, si doveva refare tutto, e
tutte li case erino destrutte, e
questo lavoro lo dovevino
farelisoldateciovene,perché
li anziane li dovevino
concedare.Maio,sententodi
quadagnare solde, era molto
contente.
Cosí, io la prima cosa che
penzaie fu di scrivere alla
bella Francesca, e cosí
Francesca mi scrivesse
subito,perchéciommantatola
miaderezione17.
E cosí, la prima matina
antiammo allavorare, e il
nostro lavoro non era di
aiutare a fare li puonte
destruttedaibombardamente.
Noi zapatore ci hanno
mandato a cercare muorte
nelle campagne di Gurizia e
nelfiumediLisonzo18...
E ci n’erino tante ancora,
muorte, compure che aveva
uno anno che aveva fenito la
querra!
Un giorno, fenarmente, ho
receuto una lettera di
Francesca che io la
desederava tanto, ma era
scritta slavenna e io non la
poteva capire. Certo che
Francesca, quanto ci ha
arrevato la mia lettera, era lo
stesso,chenoncapevailmio
scritto.Econquellaletteraio
camminava per trovare una
famiglia che doveva sapere
leggere e scrivere italiano, e
leggiereescrivereslavenno.
E entrai inni una osteria,
mi sono messo ammanciare,
che mi ho fatto portare
umpiatto di pasta, e alla
padrona che parlava italiana
cihodeto:–Signora,mifail
faore di fareme capire questa
lettera? – E la signora si ha
fatto una mereviglia come io
era fidanzato senza sapere
parlare. E cosí, quella brava
donna mi ha spiacato tutto e
poileiestessaciarresposto.
E la lettera di Francesca
diceva che lei con la mia
partenzacosí,senzavederene,
ni ha cascato malata, propia
come aveva cascato malato
io,emifacevasaperechetra
GuriziaePilaninac’erinopiú
di 50 chilomitre di distanza:
«Come dobbiamo fare per
vederene?» Perché treno non
cin’era,autobussecomeora
nonniasistevino,lipermesse
per i soldate erino sospese,
perché per lo meno ci
avessero voluto per antarla a
trovare3ciornedepermesso.
Intanto, il tempo passava.
Lilettere,unaniscrivevaioe
una lettra mi scriveva leie.
Che queste lettere che mi
mantava Francesca li faceva
leggere a tante dei borchese
di Gurizia, che stapevino
rientranno e si stapevino
aciustanno la casa, ed erino
tutte che sapevino leggire e
scrivere slava e tante
capevino l’italiano. E io ci
faceva leggire queste lettere
e,nelmedesimotempo,prese
tantebelleamiciziecontante,
e magare mi n’antava
amparantoqualchecosaio,di
slavenno. E per mezo di
queste lettire io trovava
donne per divertireme io, e
mi stava facento prateco di
Gurizia.
Poi, un giorno, hanno
venuto 2 mieie paesane, che
uno era Michele Principato –
che avemmo stato allavorare
inziemme da picole, ma poi
lui a 15 anne si n’antò in
Arcentina,eoracheciaveva
stato la querra dovette venire
per fare la querra –, e l’altro
paesano
era
Ciovanni
Bachietta.
Passareno 3 mese di
devertemento e di lavoro, e
poi a Ciovanne Bachetta lo
hannoportatoaun’altraparte,
e restiammo io e Michele
Principato, che il vero suo
nome si chiamava Michele
Diavulune; che poi questo,
come barbiere, faceva la
barba e li capelle al mio
maggiore,etutte2antiammo
pienamente di acordio, e
sempre mi deceva: «Caro
Vincenzo, lo devo precare
tanto al maciore mentre ci
facciolabarbacheatutte2ni
deve fare antare illicenza a
Chiaramonteinziemme».
Cosí, tanto Michele ci l’ha
detto, a questo maggiore, per
finachedaverociammantato
illicenza inziemme. Però,
secome era a turno, questa
licenza ordinaria ancora
annoienoncitocava,eallora
il maggiore, per farene
contente,cihadatounabreve
licenza, che si chiamava
«licenza premia di lavoro».
Quinte, ci ha datto una
licenza di 15 ciorne, che
potemmostare5ciorneacasa
e 10 ciorne di viaggio. Cosí,
subito subito, ci abiammo
fattolivaliceepartiemmo.
Era l’anno del 1919, che
tutte i soldate del 1895
l’avevinocongedateec’erino
4
chilasse
ancora
a
concedarece. Quinte, avevino
congedato 20 chilasse, che
erino tutte senza lavoro e
cominciavino in tutta l’Italia
scioperetutteliciorne,ec’era
laprobabilitàcheunosoldato
che antava illicenza, la
licenza, la feneva per il
viaggio, perché li ferraviere
facevino sciopiro e a casa, il
soldato che antava illicenza,
nonarrevavamaie.
E io e Michele partiemmo
con il treno e quanto
arrevammo arrevammo... Io,
per solde, stava bene, che ci
avevinofattolapagaeaveva
piú di lire 100, e a quelle
ebeche uno che possedeva
lire 100 era ricco. Michele,
che faceva il barbiere, ci
n’avevapiúdime,maionon
ci deceva che aveva solde,
checosíspentevalui,cheera
troppo splenteto, assaie
vanetuso, perché aveva stato
in America e spenteva a uso
Merica.
Ecosí,contuttelisciopere
che c’erino, arrevammo a
Chiaramonte e ni potemmo
chiamare fortenate. Ed io
arrevaie con lire 100 nella
miatasca!
Mia madre, che non aveva
statoabisatacheioveneva,e
mi ha visto entrare dentra, ci
ha parsso che la Madonna di
Qulfe ci aveva fatto uno
miracolo, a vedere amme.
Tanto che, come si ha fatto
ciorno, ci ha fatto subito il
viaggio,allaMadonna,antata
e ritorno a piede, perché
aveva venuto il suo figlio
Vincenzo.
Io mi ho fatto 10 ore di
suonno, che aveva tanto
tempo che non dormeva,
perché nel viaggio sapemmo
tutte che non zi dorme. Cosí,
come mi sono alzato, mi ne
sono antato nel maresciallo a
metirece il visto e poi mi ne
sono antato a cercare a
Michele Principato, che l’ho
trovato ancora corcato, che
avevastatoancheluichenon
avevadormito.
E chi lo sa che cosa ci ha
fatto capire alla sua famiglia
di quello che avemmo
ragionatoperilviaggio19...Il
fatto sta che, come io ho
tapuliato20laportaesihanno
assecurato che era io, mi
hanno fatto entrare, hanno
chiuso la porta e mi hanno
abraciato, tutte quanto erino,
come avesse venuto un altro
figlio suo. Bace e carezze mi
ne hanno fatto tante che io,
senza aspetare tutte queste
abrazuna,tramediceva:«Ma
che sono pazze, questa
famiglia di Michele, che,
senzasaperechisono,stanno
facento tante belle cose per
me?»
Cosí, hanno fatto alzare a
Michele, preso 4 uova,
umpezzo di lardo e fave
verde, che era il mese di
maggio, e hanno fatto un
bello pisceduovo 21 e tante
altre cose per manciare. Io
cheafrontuso22permanciare
non sono stato mai, anzi ha
statosemprebravo,cominciai
aberevino,emanciammo.
E ci abiammo fatto una
crantissema manciata, che
tutte 6 – 4 femmene e io e
Michele – ci abiammo beuto
5 litra di vino, che ci
abiammo umpriacato, che
non erimo capace di
raggiunare piú, e neanche di
poterestareall’impiede,tanto
chelamammadellesignorine
– c’era uno cammerino – mi
hanno carrecato e mi hanno
portato in uno letto. E io
neanche ci penzava chi mi ci
avevaportato.
Con la tanta allecria che
avemmo tutte, mi avevino
portato a Gnazina nel letto
per corcarese comme e mi
hanno chiuso la porta, e la
racazza cià era pronta per
potere fare tutto, che
volevanocheiomil’avessea
sposare; e io mi ce sono
voltato umpo’ brutto. E cosí,
uomino che era, e cosí
umpiriaco che era, ci ho
detto: – Parlateme di tutto,
maioquestecosecosí,senza
lamiavolentà,nonlofaccio;
che, quanto ci dobiammo
sposare,primaiolodevodire
a mia madre e ci vole il
conziento di mia madre, che
ancora non ha fatto io
neanche20anne.
Mentreparlavo,suamadre,
che era la capa di questo
fatto, mi ha detto: – Che
paresevobiduzzecorcatetutte
223!Paretemaritoemoglie–.
E io, a forma di uomino che
era, ci ho detto: – Signora,
cosí li vostre figlie femmene
livoleterovenare?–Emiha
detto: – Questo io lo faccio
solo con te, che so di co si
figlio24.
E, per questa tracica cosa
che voleva fare sua madre,
Michele Principato, che si ha
vergognato, ci ha detto: –
Mamma,iononvogliovenire
piú dentra questa casa –. Ma
poi io, che il cuore l’haio
buono,cihodettoatutte:–Io
lo sa che l’avete fatto perché
mi volete troppo bene –. E,
per lascialle a tutte contente,
ci ho detto che quanto mi
concedava mi la sposava, e
quinte, per ora, faciammo il
contochesiammofedanzate.
Ma,perquellapartechemi
avevino fatto e quello trucco
che mi avevino fatto, io non
la voleva piú, Ignazina,
neanche se era carrecato di
oro, perché mi faceva schifo
perquellastubitaazione.
Cosí, ossalutato tante
amice, baciaie alla mia
famiglia e la famiglia di
Michele,
che
l’abiamo
lasciato a tutte piancento, e
partiemmo.
Causa delle sciopere delle
ferraviere,ciabiammostato9
ciorne per il viaggio, e poi
che c’era ummuvemento di
propaganta di cioventú
fascista che era quidata di
questo
ciovene
Benito
Mussuline – un certo
ciornalista che aveva fatto la
querra con il crado di
caporalemaggiore.
E secome tutte quelle che
avevino
fatto
questa
maledetta querra che si
avevinocongedatoerinotutte
senzalavoro–cheerameglio
che la querra l’avessemo
perso, perché manciare e
lavoro non ci n’era –, quinte
stammo deventanto tutte
socciale comuniste come
nellaRussiae,perdestrucere
queste sociale comuniste e
fare fenire questa quantetà di
sciopere, ci volevino propia
questo movemento fascista
quidata di questo Benito
Musseline.
E con tante sciopere
portammo tanto retardo, però
ci lo faciammo ciustificare
d’ogni stanzione; ma per noi
era buono, che piú tardo
revammomeglioera.
Cosí, revammo a Gurizia.
Io subito mi sono intresato
per vedere se c’erino lettere
di Francesca, e davero ci
n’erino 2. E io l’ho fatto
vedere a Michele, e piano
piano li abiammo lette.
Michele, che aveva stato
pricioniere, poco poco li
capeva. E io che ci aveva
fatto vedere una fatocrafia,
Michele si ha merevigliato:
che Francesca era per 20
volte piú bella della
tapinara25disuasorella.
Cosí, io ci aveva detto: –
Michele,iononsoquantomi
marito,quinteioscrivoatutte
2–.MaMicheledicevadino.
E cosí, a causa di queste 2
lettere, che per forza li ha
voluto vedere, con Michele
abiammo
perso
completamente la bella
amicizia.
Ma poi venne un ordene
che di Gurizia dovemmo
spostare, e tutto il reparto
Zapatore dovemmo antare
vicinoalPiaveinniunopaese
che io aveva visto tante
spavente. E questo paese si
chiamava Fossa Alta. E io
diceva: «Avoglia che io
questa luoche non li posso
vederepiú,masempre,votae
forria 26, mi porteno qui,
semprevecinoalPiave,prima
per combattere e poi per fare
lobechine!»
Non si moreva certocome
quanto c’era la querra. Solo
che c’era qualche descrazia,
che d’ogni tanto poteva
scopiare qualche pitardo e ci
potemmo macare ammazare.
Ma questo non capitava tutte
li ciorne, capitava una volta
ognitanto.
Cosí, qualcono magare
moreva per la «crantezza
della nostra Padria!» Che «la
Padria ancora aveva bisogno
di noie!» E quinte, «se se
moreva per la Padrie, non zi
moreva!Echemorevaperla
Patria moreva di un bravo
soldato». Quinte, erino belle
parole «morire di aroie», ma
erino parole che facevino
compiare li coglione, se tutte
lapenzavinocomelapenzava
io. Che aveva 14 mese che
avevafenitolaquerra!
E cosí, un ciorno, per non
ci fare parlare piú, ci ha
venuto questo comando de
divesioneafareneunabuona
parlata. Venne magare il
comantante di recemento. E
questo
comantante
di
devesione ci ha fatto fare il
cuore, che ci ha fatto sapere
che,alpiúpresto,tuttequelle
che avemmo fatto la querra
dovemmo rientrare alle loro
deposete.Eiopenzavacheil
nostro deposeto era inni una
citta bellissima, che era la
cittadiFerenze…
1
slavenne:sloveni.
2
cosirietuso:curioso.
3
comparere:sembrare.
4
scarpecompie:scatolegonfie.
5
noncicorpava:nonavevacolpa.
6
tilodatenta:telodatenda.
7
MonteSanGabriele.
8
Planina, nella Slovenia
occidentale.
9
m’inzortava: mi stuzzicava, mi
provocava.
10
Scalascir.
11
non si sa se sono nasciute tutte
pazze:nonsisasesonodiventatetutte
pazze.
12
hanno busato: hanno
approfittato.
13
li hanno schifiato: le hanno
sparpagliate.
14
ci ollarecato li campe: le ho
allargatolegambe.
15
scorsa:scossa.
16
ci abiammo spartito: ci siamo
divisi,separati.
17
derezione:indirizzo.
18
Isonzo.
19
diquellocheavemmoragionato
per il viaggio: circa quello di cui
avevamodiscussoduranteilviaggio.
20
tapuliato:bussato.
21
pisceduovo:frittata.
22
afrontuso:timido.
23
Che paresevo biduzze corcate
tutte 2: come sembrate fatti l’uno per
l’altra,cosícoricati.
24
dicosifiglio:dichiseifiglio.
25
tapinara:puttana.
26
votaeforria:giraerigira.
Capitoloottavo
Revolozione
E cosí, con tanta cioia,
doppo 2 ciorne siammo
revate a Ferenze, nella
bellissima città artistica
d’Italia.
E,
quanto
scentiemmo e presemo le
strade di Ferenze, tutte li
barcona di dove passammo
c’era esposta una bantiera
trecolore. Poi, c’erino tutte li
museche che c’erino a
Ferenze,checihannovenuto
a prenterene alla stanzione, e
tutte li crosse auturità di
Ferenze. Cosí, di dove
passammo, ci abatievino li
mane, mentre paremmo tante
stracione, e ci hanno portato
alla caserma San Ciorcie.
Perché il deposito del 69
reggemento Fanteria aveva
che il suo deposito era lí, di
quanto aveva che si aveva
formatol’Italia.
Io, a Ferenze, l’aveva
sempre vista della stanzione
manondentralacità,quinte,
solo che l’aveva inteso dire
che era bellissima. E quinte
io, vedento Ferenze, era
megliodelcongedo,emeglio
di stare a Chiaramonte.
Perché io aveva stato
abitovato a dormire fuora,
senza maie conoscire che
cosa era un letto, che cosa
erino li linzuola e il
materazzo,eoraavevoinvece
una bellissema rite di ferro e
una
lampadina,
nella
cammerata, che con la
luceletrica si poteva lecere il
ciornale.Epoiannesunaparte
ni aveva luce cosí, perché a
Chiaramonte luce ancora non
cin’era.Eio,etutte,sempre
avemmostatoper30meseal
buio e ni ha parso che ci
hannoportatoimparadiso.
Ecosí,ciavevinofattofare
il bagno; che erimo tutte
incrasciate 1, piene di terra e
di sudure. E io, alla prima
notata, disse: «Non voglio
penzarepiúannesuno,perché
mitrovonellefelicetà».
Per 3 ciorne ci hanno
portatoilcafèinbrantasenza
direce:«Alzative!»Allasera,
per3ciorne,quantovolemmo
riantrare, riantrammo. Apello
per noi, per 3 ciorne, non ci
n’era. Quinte, alla sera tutte
liciammo il ciornale e ci
quardammo in faccia e
diciammo che erimo dalla
stalla alle stelle, e tutte
diciammo la stessa cosa:
«Questo paradiso, di dove ni
ha venuto?» E tutte
diciammo: «Questa ene la
verabellavita…»
E cosí, in uno mese di
questabellavita,antiammoa
caminata tutte li sere ceranto
Ferenze Ferenze, che tutte li
casine di Ferenze ni li
stapemmo imparanto, che io
ni aveva cirato tante: a
Catania, a Palermo, a
Siraqusa,etantealtre,ma,de
fronte alli casine di Ferenze,
tutte facevino schifo. C’era
tanta pulezia, li parete,
voldiredentralicasine,erino
tutte di toletta, che quanto ni
vedeva una ragazza pare che
ne guardava 6, con quelle
spechiechec’erino.
La prima ciornata che io
prese servizio in compagnia,
di quantave che 2 avemmo
venuto a Ferenze, mi hanno
mantato di quardia fissa per
20 ciorne al carcere delle
Morate 3.Chequestocarcero
sitrovainmienzoallacittà,e
laconsegnadiquestocarcero
era che tutte i passante di
quellastradadoveiofacevaa
la quardia era che non zi
dovevino fermare. Perché
tutte queste detenute di
questo carcero erino detenute
politece e tutte quelle che
passavino dovevino passare
senza fermarese, perché la
leggie–cheerimoisoldate–
teniemmo
paura
che
scrivessero qualche beglieto,
e poteva socedere una
revolozione.
Quinte, recordo che era
aprele del 1920. Ferenze era
tutta la cità socialista e
comunista 4. Solo li ricche
non erino socialiste, e quelle
che non avevino fatto la
querra. Ma poi tutte erino
revolozienarie, perché la
Russia aveva fatto la
revolozionedoppolaquerrae
l’Italialavolevafaremagare.
Quinte, a Firenze di mese e
mese si aspetava che nel
munecipio si ci doveva
metterelabantierarossa.
Io certo, a fare per 20
ciorne la quardia, alle
borchese che erino vicino
dovefacevalaquardiaio(che
erino
tutte
socialiste,
femmene e uomine) mi ci
avevafattoamico,perchéera
piú socialista di loro. Perché
io e mio padre e mio nonno
erimodirazzaedinaturacon
ilcuoredisocialista,equinte
io, a forma di soldato, mi
piacevino che avessero
acopato il munecipio e io mi
ciavessetrovatoapresso.
Io aveva 21 anno, piú
meglio di me per scherzare
con le segnorine del popolo
basso, che erino socialiste,
c’eramagareio.
Poi,permantenirel’ordene
publico, invece di custura 5,
avevino fatto il colpo della
ReggiaQuardia6,chel’aveva
fatto il coverno propia per
potere fermare i sociale
comuniste. E li borchese,
quantopassavinodellastrada,
li babiavino a questa Reggia
Quardia, perché era contraria
a queste che da un ciorno
all’altro dovevino ocupare il
monicipio.
E quinte, quanto queste
borchese vedevino passare li
soldatedellaReggiaQuardia,
si metevino a ridere, e io, a
forma di soldato che li
doveva remproverare, invece
mi ci miteva a ridere, perché
li piú assaie erino donne che
erinoacaniteeveresocialiste,
piúdelleuomine,eammemi
piacevino sempre queste
scenateequesteresatecheci
facevino a queste Reggia
Quardia. E i borghesi se ne
priaveno,cheiociavevadato
a capire che era socialista
come erino loro; solo che io
era soldato e non poteva
cantare «Bantiera rossa». Ma
loro erino una camurria 7,
sempre cantanno «Bantiera
rossa»... Io era soldato, e mi
diverteva a mettere fuoco
dicento: «Quanto mi piace il
socialista…»
Poicheeratempodiprima
vera, che tutte stavino sedute
fuore, e io era felice, sempre
parlanno con donne e con
signorine. Perché io era
caruso,equantounoècaruso
tutte ci danno compedenza,
però sempre quelle del
popolino.
E io, quella quardia, mi
pareva un cioco. Ma io
cercava sempre una ocasione
per fareme ponire, perché li
cazzemieienonmilefaceva
maie... Che, questa, l’ho
voluto io, per essere umpoco
strafotente,
che
propia
davante alla callitta dove io
facevailserviziodisentenella
si ha trovato a passare un
maresciallo della Reggia
Quardia con la sua fidanzata,
tantomafiusoechesicredeva
un cenerale, perché era a
fiancoallasuaragazza.
Equestomaresciallo,sotta
li fenestre dei detenute, si ha
fermato e cominciavo a fare
segnaleconlemano,doveio
era costretto a direce che qui
non si poteva stare. E il
maresciallo mi quardavo e
forse mi voleva dire: «Che,
non lo vedi che sono
unmaresciallo?» E poi che
c’era la ragazza ci ha parso
brutto, e piano piano si
n’antò. E all’altra fenestra,
un’altra volta si ha fermato,
che io con una resata e una
babiata (era tra la luce e il
buio, che il sole cià era
tramontato)cihodetto:–Ou!
Provessore, vedete ca lí non
zipolestare.
Cosí, a quella parola di
smarco, «provessore», si
ofese maledettamente e...
parte di corsa, va al colpo di
quardia, che c’era il
maresciallo che comantava
questesentenelle.Cosí,subito
subito, viene il maresciallo
checomantavaammeemiha
detto:–Rabito,smonta,dacie
la conzegna a questo e tu
vienealcorpodiquardia.
Ecosí,mihannoportatodi
fronte al maresciallo della
Quardia, che era pieno di
veleno contra di me, che era
iosoldatoeluimaresciallo(e
untenentedellacusturac’era,
perché ci aveva lue
telefonato). Certo che, di
frontealtenentedellacustura
e di fronte al maresciallo, io
era niente, però era bene
preparato, che paura non ni
aveva.
Iltenentedellaquisturami
ha messo sol’atente e mi ha
detto: – Quanto haie che faie
lu soldato? – E io ci ho
respostocheeradel99.
E cosí, parlavo il
maresciallo de fronte al
tenente: – Ora ti arrancio io.
Ti
faccio
fare
lo
revolezionario inziemme con
i tuoie amice borchese a
sfotterealtuosoperaiure!che
ti dovesseto vercognare a
dessere italiano! lo faccio
conoscire bene al tuo
soperaiure! ti faccio dire
«provisure»! ti faccio vedere
semidevesfottereinziemme
ai tuoi compagni comuniste!
iolosocheseisiciliano,che
li siciliane, quanto vogliono
sfotere, basta a dire:
«Provesore, baciammo li
mano»! (Mentre il tenente
rideva). Perché io lo so, che
ho fatto il pricatiere dai
carabiniere8anneinSicilia,a
Palermo,eliconosciobeneai
siciliane!–Cosí,mihadetto:
–Oratimanteròincalera!
E io ci deceva: –
Maresciallo, lei si sbaglia. Io
ci ho detto «provessore» per
usarece piú cortesia, non per
sfottere,comedicileie.
Ma lui sempre diceva che
mi doveva mantare in calera.
Cosí, io mi sono rabiato e ci
hodetto:–Quellochevuole,
fa. Io, esento in servizio,
esentodisentenella,esentodi
notte,nonconoscioneanchea
uno che macare fosse
cenerale!Io,perdespettarela
mia consegna, non conoscio
annesuno. Magare ci posso
sparare, perché mi sento uno
soldato e voglio respettare
l’ordenechemidannoimieie
superaiure. Quinte io, alleie,
maresciallo,cipotevamagare
sparare,perché,didoppoche
tramontailsole,nonconoscio
annesono. E quinte, anze, a
direce
«provessore,
si
n’antasse», perché mi pareva
chefosseunocrossoborchese
conlasuadonnaapasseggio,
mi deve rencraziare che non
ci sparaie. Perché io ho stato
imprima linia montato di
vedetta e capiscio che cosa
voli dire il dovere che devo
fare il soldato in querra,
mentre leie querra non ha
fatto, perché campagna di
querranelpettononcin’ave,
eio,invece,cil’ho...Cheleie
dicechefacioschifoaessere
nell’esercitoitaliane!
E cosí, il maresciallo e il
tenentesin’antaroeilpovero
RabitoVincenzo,quellasera,
passaieallapricione.
Ma, all’endomane, mi
recordo beni l’attema che
venne il mio sercente e mi
dice: – Rabito, deve antare
nel nostro comantante di
recemento che ti vuole
parlare.
E mi sono apresentato al
mio colonello, che, come mi
ha visto, m’ha conosciuto
subito.
Cosí, io ci ho detto: –
Signore colonello, se mi
dovessero fare fare servizio
un’altra volta, la consegna
non la respettasse piú, dato
che un soldato come me, per
fareilsuodovere,lomanteno
incalera.
Cosí, come mi ha intesa
parlare,mihabatutolaspalla,
il bravo colonello. Cosí, mi
ha detto: – Coraggio, Rabito,
chetilastaicavantobene!
E quinte, fui molto
fortonatissimo,perchépoteva
fenire in calera, se il mio
foglio matricolare non era a
posto e se il bravo colonello
nonmiaiutava...
Manefestazione
di
revolozione ci n’erino tutte i
ciorne.Equinte,tuttiisoldate
erimotuttelinottedipechetto
armato; speciarmente noi
ciovene, il fucile, non lo
lasciammomaie.
Poi, facemmo sempre
servizio nel centro della cità,
sempre a Palazzo Vechio,
sempre a piazza Signoria,
sempreilfucilecarrecocome
tiempo di querra, perché li
comunistevolevinoacupareil
palazzo, che lí c’erino tutte
l’oficiedelcoverno.Perchéli
QuardieRosseerinopiúforte
della Reggia Quardia, e
queste Cuardie Rosse erino
quidate dello onorevole
Ciacomo Mattiotte, che in
tutta la Romagna aveva stato
capace di ocupare piú di 60
comune, che ci aveva fatto
metterelabantierarossa.
Poie, recordo che tutte li
ciornaleportavinocheinuno
paese della Romagna c’era
stato il ciovene ciornaliste
Benito Mossoline che antava
ciranto, che nei comune
invece ci voleva fare mettere
la bantiera nera fascista;
quinte antava ciranto con i
ciovene fasciste e di dove
passavino bruciavino tutto e
facevino propaganta contra a
Matiotte.
Quinte,
la
revolozioneeravicino.
Poi,unanotteamMosolina
l’avevinofiliato 8doveera,e
cià lo stavino prentento per
ammazarlo, ma non l’hanno
pututoprentere,perchégrazie
al capo stanzione di quello
paese, a un certo Farenaccie,
che l’ha nascosto dentra il
bagagliaio, e non l’hanno
pututo prentere, li sociale
cumuneste9.
E poi, Mussoline, quanto
fecelarevolozioneedeventò
capo del coverno, per
recompenzo
l’ha
fatto
menistro, a questo capo
stanzionechecihasalvatola
vita.
E cosí, Ferenze, di uno
momento al’altro, si poteva
trovare tutto con li bantiere
rosse ed eremo pericolose lo
stesso come quanto doveva
scopiare una querra. E cosí,
noi soldate stiammo dentra il
Palazzo
Vechio,
che
dovemmo defentere questo
palazzo, che se venevino li
comuniste a metterece la
bantiera rossa ci dobiammo
sparare, e se venevino li
ciovenefascisteameterecela
bantiera nera fascista ci
dobiammo sparare pure.
Quinte, erimo imienzo 2
revolozione.
Ma a Ferenze questo non
poteva venire maie, di
acupare il municipio, perché,
compure che tutta la
popolazioneerasocialista–e
magare soldate ci n’erimo
tante socialista, comincianto
di me e che era capace di
antare
in
favore
ai
demostrante –, ma non si
poteva fare niente, perché
forza publica ci n’era assai
assaie, perché nelle crante
oficie e speciarmente nel
palazzo del coverno c’erino
migliaiaemigliaiadiQuardie
Reggie con mitragliatrice
messepiazatenellebarconee
pontatecontraidemostrante.
E inzamaie 10 davero
queste sociale comuniste
volessero
prentere
il
municipio, che lo sa quanto
muorte e ferite ci dovevino
essere!
Ma per noi soldate
potevino acupare quello che
volevino, perché avemmo
fattolaquerraeatuttequelle
cheerinostatecongedatenon
ci avevino dato niente, e
desocopateerino,equelleche
nonavevinofattonéquerrae
niente erino tutte messe
aposto, perché la lecie
desonesta che facevino era
quella: tutte avevino rechito,
chenonavevafattolaquerra,
e li fessa erimo noie che
abiammofattolaquerra.
Una notte, mi recordo che
erimo di pechezzo dentra il
Palazzo Vechio e dovemmo
stare
sempre
con
li
cermenne11messe,eliscarpe
neanchenipotemmolevare,e
neanche potemmo dormire.
Cosí, avemmo precorato un
mazzodicarteecipassammo
il tempo, per non dormire, e
ciocammo al Sette e menzo.
Ec’eraunsercentecheprima
ni faceva mettere li carte sul
tavolo, poi tutte mettemmo
fuore li solde per ciucare, e
questo mulo bastarddo
veneva e si prenteva tutte li
solde,elicartecistrapava.
Cosí,alla3volta,presemo
2 coperte, allo scopo che, se
avesse venuto un’altra volta,
tutte di acordio ci metiemmo
queste 2 coperte sopera la
testa, lo butammo per terra e
lo prentemmo a bastunate, a
questo desonesto sercente,
che era una specolazione che
annoicistapevafotennotutte
lisolde!
E davero cosí fu, che tutto
quellocheavemmoprocetato
ci arioscio. Che venne il
sercente e lo presemo a
pedate, che lo lasciammo
mitàmortoemitàvivo.Cosí,
nonzihapututoalzare.
Poi che c’era tanta
confosione, e poi che in
quello momento propia
assonatomagarelalarme,che
per noi fu una crante
fortuna... E il sercente che
cridava... E subito hanno
venuto tante di quelle
QuardieReggiechenonsiha
pututo capire che ene che
avevadatotantepedate,tante
pugna e tante muzicuna al
sercente! Poi hanno venuto
magaretanteoficialediquelle
del nostro reggemento e
volevino sapere come aveva
stato,enesunosapevaniente.
Etantacomposionechec’era,
ci abiammo fatto credere che
avevino stato li sociale
comuniste che avevino dato
tante bastunate al sercente...
Che, con quello allarme che
ci ha stato, per paura,
avemmo uscito fuore e
quanto siammo entrate
abiammo visto il povero
sercentebastonato...
Cosí, venne una barella e
l’hanno portato allo spedale
impricolo di vita, e noi ni
l’abiammo carrecato, e tutte
tante dispiaciute e diciammo:
«Pecato, che bravo sercente,
come l’hanno bastonato
queste desoneste Quardie
Rosse!»
E poi, secome tutte li
famiglie recona di Ferenze,
con questo movemento
revolozionario che c’era,
tenevino paura che di
ummomento
all’altro
entravino queste Quardie
Rosse nelle suoi palazze per
devastarece tutto e robarece
tutto,perpaura,antavinoalla
caserma San Ciorcie e
precavino al colonello per
darece 4 o 5 soldate bene
armate e macare una
mitragliatrice per defesa del
palazzo. Il colonello ci le
dava,peròapagamento,epoi
a queste 5 soldate ci
dovevano dare ammanciare e
tutto quello che ci atocava a
uno soldato. Quinte, uno di
queste,perfortuna,eraio.
E cosí, in quello palazzo,
abiammo trovato il paradiso.
Che, facento servizio in
quellafamiglia,simanciavaa
tavola, si beveva bene, si
fomavinosicarettedilusso,se
dormeva bene. E abiammo
fatto 40 ciorne di buona e
felicissema vita. Poi c’era la
cammirieracheaveva8anne
piúdime,cheseavessestato
di 21 anne, quanto ni aveva
io, di quanto era amorosa e
bella,mil’avessesposato.
E cosí, io fece queste 40
ciorne di buona vita e non ni
ho fatto piú, e in queste 40
ciorne mi aveva dementecato
a
Francesca
che
ci
scriviammo, e non ci ho
scrittopiú.
Poi,cihannomantatoaun
altre4soldate,emihaparso
molto brutto allasciare quello
bello servizio e quella bella
cammeriera. E ci hanno fatto
antare in caserma e, doppo
tanto servizio che avemmo
fatto,ammeeali2soldatee
il caporale ci hanno dato per
recompenzo 24 ore di
permesso. E quente, doppo
che unsciemmo alla matina,
con
quello
permesso
potiemmo rientrare alla sera
alle ore 24 e magare all’una.
Quinte per me fu una
rechezza, perché questo
permesso lo avevino fatto
cominciare dalla mezzanotte
e finire alla menzanotte, e ci
avevino dato magare per
piremio un beglietto franco
per il teatro, magare. E
recordo che il teatro era il
TeatroLaPercola 12, che era
lo piú meglio teatro di
Ferenze. E io disse: «Che
bella sodisfacione antare nel
piúbelloteatrodiFerenze».
E poi, alle ore 12, si fenio
lospetacoloeunsciammoper
riantrareincasermaeantarea
dormire, e poi che il
permessochesiavevafenito.
Cosí, strada facento, c’erino
unaventinadiciovenotteche
cantavino
e
facevino
bordello, che erino tutte
comuniste
e
cantavino
«Bantiera rossa», e io, per
compenazione, mi ce sono
trovato nel mezzo, e magare
li altre 3 soldate, e ni ci
abiammotrovatonelmenzoe
cantammo. Magare, per
comincianto da me, mi
piaceva di cantare «Bamtiere
rossa». E cosí, cantammo e
caminammo.
Io mi ho trovato che
camminava di un lato della
banchina, dove c’erino tante
sedutefuorechecipiacevail
fresco, perché era il mese di
aqusto. Tutte erino con li
ciacchielevate,chesentevino
caldo. Cosí, io cantava, e mi
hovistoachiapparepertutte2
li braccie, decendomi: – Ora
ti faccio antare in calere –.
Mentre li altre che cantavino
e camminavino, come hanno
visto che amme mi hanno
afferratoemmihannoportato
in una casa vicino, tutte si ni
hanno scapato, perché hanno
auto paura che amme mi
avevino
preso
qualche
capitanodellacustura.Eioci
ho detto: – Che cosa vi ho
fatto che mi state facento
tanto male a li braccia? – E
unodiquelle2mihadetto:–
Malelebracenientefosse!E
che deve antare in calera,
perché seie tu, da suldato,
revolozionerio!
Vercogna,
chesoldatoitaliano!
Cosí, mi hanno portato
nell’altra stanza piú dentra.
Cosí,vadoperquartareauno
di queste che mi aveva
afferato: era il tenente
colonello di cavallaria. E il
suoatendente,forseperchéio
era soldato, cosí mi ha detto:
–Oramidicechisonolituoi
compagni che cantavino
«Bantiera rossa» o che
altremente ti arrancie. Che
prima ti faccio mentere in
galera del tuo comantante e
poi, tutte queste soldate che
siate comuniste, io vi farò
spedire per la Cerenaica, che
lí avete da fare con i rebelle
nechire.
Cosí, questo tenente
colonello, vedente che stava
cominciantoapiangere,miha
detto: – Rabito, se te vuoi
librare di questa crante
ponezione,losaietuchecosa
deve fare, se sei furbo... Mi
dice che erino li altre che
cantavino«Bantierarossa».
E io ci repeteva sempre
che: – Se io l’avesse
conosciuto, io a quest’ora ci
l’avesse detto. Io sono stato
conmoltadesceplinaversoai
superariore, perché, come lei
mi ha chiamato, sobito sono
venuto, altremente io avesse
scapato come hanno scapato
li altre. Quinte, leie mi
potesse lasciare stare, perché
io sono innocente e non
cantava.
Cosí, mi ha tenuto una ora
emihadetto:–Domanetila
vede con il tuo colonello. Se
tivuoleperdonare,tiperdona.
Io devo fare il mio raporto
che tu cantavi. Lo devo fare
–. E mi ammantato fuore a
pedatenelculo.
IlcolonelloValentinovolle
sapere tutto il fatto socesso e
non mi ammantato neanche
imprecione, ma poi doppo 8
ciorne mi ammantato a
chiamareemihadetto:–Tu
sei un vechio mio soldato, e
seiestatosemprefurbacionee
per questa volta saraie
perdonato, ma quarda che ti
conoscio da 3 anne e non
voglio che vaie a fenire in
calera,perchétucantavitode
securo «Bantiera rossa»,
perché il colonello di
cavalleria non ene uno
buciardo –. Poi mi ha batuto
la spalla e mi ha detto: –
Coraggio Rabito, che la
chilassa del 1899 quanto piú
prestolaconcedeno–.Eio,a
questo colonello Valentine
chehadettoquestaparola,mi
pare che l’avesse detto un
santo, tanto era stuffo di fare
ilsoldato.Cheavevapiúdi4
anne e mezzo che faceva il
soldato e aveva fatto tanto
servizio che non aveva fatto
nesunacongesione 13,nonmi
aveva imparato nessuno
mistiere.
Io aveva una abitutene in
tutte li forrarieie di fareme
chiamare non con il nome di
Rabito, che era il cognome
propia, ma mi faceva
chiamare Arrabito. E il
motivo era questo: che,
quanto
in
compagnia
devedevino manciare opure
davino
la
cinquina,
prentevino
sempre
comencianto della «a», e io
che era della «erre» sempre
prenteva all’ultimo. Tanto
fecechemihofattochiamare
Arrabito, e mi chiamavino
tutte
quase
Arrabito
Vincenzo. Tanto che nella
midagliac’eneilmionomee
cognome
«Arrabito
Vincenzo».
E
quanto
devedevino
sigarette
e
cenquinaetantealtrecose,io,
che era della prima lettera,
sempreprentevadaiprime.
Ma questa volta mi ho
trovatofrecato…
E quinte, venne un ordene
che nella città di Ancona ha
scoppiato una revolta, e in
tutte li cetà d’Italia c’era
l’inferno.Ma,però,nellacittà
di Ancona ci fu una vera
revolozione, perché si hanno
messodiacordioisoldatecon
li borchese. Ed ecco come
forino i fatte: che ad Ancona
c’era uno reggemento di
bersegliere,quasetuttedel99
(della stessa mia età) e tutte
che avevino fatto la querra e
avevino fatto 4 anne di
soldato, e certo che
aspetavino il congedo! E
invece del concedo li stavino
imparcantoperantareafareil
soldato in Arbenia. E queste
brave e malantrine soldate
bersegliere non ci volevino
antare, poi che sapevino che
lanaveeraprontonelportodi
Ancona.Equinte,tuttehanno
dettocomedesseronelPiave:
«Di qui non si passa» alli
austriece, e non passareno. E
cosí hanno detto ad Ancona
questebersaglieretradiloro:
«Noi non antiammo in
Arbenia, che c’ene la
malaria».
E alla sera quardavino il
mare,elanaveerapronteper
partire. E quinte, hanno
preparato il piano come
dovevinofarepernonpartire.
Cosí,allasera,comesene
sunoantateallalibrauscita,si
hanno portato fuore tutte i
vestite di bersagliere impiú
che avevino, perché d’ogni
soldatobersagliereavevano2
vestite.Ecosí,antavinodalle
borchese revolozinarie e ci
davino uno vestito per
vestirese bersagliere, e li
soldate se vestevino di
borchese e li borchese
deventavino bersagliere. E
cosí, quanto revavo l’orario
della retrada, invece di
entrare i vero bersagliere,
rientravinolifarsebersagliere
borchese. E cosí, quella sera,
lacasermasiarreimpitopiena
direvolozinarie.
E quinte, li soldate che
dovevino partire erino piú di
1.500, ma li borchese non
erino 1.500, erino radopiate.
Quinte, erino 3.000, tutte
armate. E cosí, verso li ore
10, quanto il tenente di
servizio doveva chiamare la
pello per vedere che ancora
non zi aveva retrado, queste
revolozinarie, per il primo,
hanno preso al tenente e il
sercente e tutte li soldate che
facevino li sentenelle, ci
hanno tapato la bocca, li
hanno portato imprecione e
hanno fatto uscire a tutte li
pricioniere.Ecosí,laquardia,
la facevino li borchese che
erino i finte bersegliere,
mentre i vero bersagliere
erinofuoreconlasuadonna.
E cosí, nella caserma, tutte li
demostrante si hanno armato
come meglio potevino:
perché, nella caserma, arme
ce n’erino tante, e assaie
mitraglie, magare c’erino
tanta monezione della querra
epoichec’erinotutteliarme
che si dovevino portare in
Arbania. E queste arme
l’hannoportatofuore.
E cosí, Ancona si ha
trovato tutta ammano dei
sociale comuniste. Che il
coverno italiano non era piú
padronedellacitàdiAncona.
Magare tutte li nave che
c’erino nel porto erino tutte
con li bantiere rosse. Il
municipio era tutto rosso.
Certo che tutte queste finte
bersagliere erino tutte echise
soldata che avevino fatto la
querra e sapevino bene
sparare. E quinte, soldate e
borcheseerinotutteuno14.
Ecosí,l’ordenechevenne,
non a Ferenze solo, ma per
tuttelicitàvicinoAncona,fu
per antarece soldate a
compattere in questa città di
Ancona.
E quinte, queste soldate
che ci dovevino antare, li
prentevinodellaprimalettera
dell’ordine alfabetico e
fenevino nella lettra della
«emme». Quinte io, per mia
mala sfortuna, mi hanno
chiamatoilprimo!
Ed era per questo che la
mia brutta vita era sempre
arrabiata, perché sempre
penzava di fareme bello e
invece mi faceva tanto male,
perchéeranatoperbistimiare
sempre.
E come arrevammo ad
Ancona, davvero abiammo
trovato una querra: certo che
tutte li bersagliere erino tutte
armate, e li borchese erino
armate... Cosí, abiammo dato
l’assaltonellacitàdiAncona,
senza sapere che erino i
nostre nimice e chi erino i
nostreamice.
Poi, antiammo per vedere
se se poteva prentere la
caserma, ma la caserma era
tutta piena di mitraglieatrice
chesparavinoannoi,emuorte
e ferite ci n’erino come
fossemo nella querra. E cosí,
a forzza di sparare, e magare
dovettero venire aparechie
per butare bombe sopra
quella caserma, e al porto
abutanto
manefestine,
facendocesaperealleciovene
bersagliere che il comanto
suprema della querra li
perdonava e all’Arbania piú
noncilimantava,cheinvece
limantavaatutteincongedo,
si cominciò a sedare la
rivolta. E cosí, la caserma fu
cercontata e il porto
cercontato per 3 ciorne.
Mentre hanno fenito il
manciare e li monisione, e li
soldate hanno cominciato ad
arrenterese. Perché poi, per
farle arrentere, ci hanno
tagliato il tubbo dell’acqua,
per falle morire di site. E se
entra24oreliborchesestesse
nonmitevinobantierabianca,
c’era l’ordene che li
aparecche
dovevino
bombardiarelacaserma,echi
non si presentava dei soldate
intra24orevenevafucilato,e
chi se presentava subito
veneva craziato. E questo lo
portavinomagareiciornaledi
tuttal’Italia.
E poi i ciornale magare ci
facevino capire, sempre con
l’ordene dato del coverno,
chelacorpadiquestarevolta
non aveva stato dai ciovene
bersagliere, per levare quella
bercogna al soldato italiana,
ma la corpa la facevino
cascare tutta sopra ai
borchese,perchévolevinoper
forzza la revolozione come
nella Russia. E poi la «vera
corpa» la davino a chi aveva
dato l’ordene di volere fare
partire questo reggemento di
bersagliereinArbenia.
E cosí, mi recordo bene
che in 8 ciorne tutte li
ciovene bersagliere si hanno
presentato.
E per non lo fare sapere
alle altre nazione, il coverno
italiannoatuttelihacraziate.
E noi, che avemmo partito
da Ferenze piú di 500 per
fermare questa revolta, 10
soldateremaseromuortee70
foreno i ferite. E io ho preso
un corpo di bastone nella
spalla che per 15 ciorne mi
faceva male. Però, in questa
composionechec’erastatoad
Ancona, delle donne ci
n’avemmo auto quanto ni
avemmo voluto, e piacere
immienzo a quella revolta ni
n’avemmo passate tante.
Però,
quanto
siammo
reantrateaFerenze,piúdi70
erimo malate di malatia di
femmene di Ancona. E
quinte, quelle che avemmo
auto la fortuna di non essere
ferite, avemmo auto la
fortuna di avere la maletia
delle donne di Ancona; e io
dovette antare all’infermaria.
E quinte, abiammo rientrato
malateemortedifame.
E menomale che ho
quarito, e menomale che mi
hafenitobuona...
Io,aFerenze,noncipoteva
piú stare, tanto mi aveva
presodimalenconia,perchéli
sciopere erino notte e ciorne,
e poi che li amice vere li
avevapersetutte.Perché,con
liborchese,dellesciopereche
c’erino, non si poteva
prentere
piú
nessuna
amicizia. E poi, con quella
marciasuRomachesiaveva
fatto, i soldate non valevino
piú, e fare il soldato era
peccio di fare il fachino.
Avevinopiúvalorequelleche
avevino fatto la marcia su
Roma, voldire i fasciste, che
noi, che avemmo fatto la
querra. E quinte, i fasciste
avevino piú valore dei
soldate. E quinte, per
prodezione,
i
crosse
propetarie si prentevino ai
fasciste e non i soldate.
Quinte noi piú non avemmo
nessunovalore.
Nella nostra famiglia il
padre l’avemmo morto. Il
capofamiglialofacevailmio
fratello
Ciovanni,
ma
Ciovanni era mutelato, e
quinte, come capo famiglia
aparteneva amme di farlo.
Cosí, senza saperlo io, mia
madre e mio fratello ci
l’hanno detto al sindaco di
Chiaramonte, hanno fatto il
recramo e io sono passato
comecapodifamiglia.
Ecosí,c’eraludecretoche
tutte i figlie piú crante di
madre vedova c’era l’ordene
di concedalle. E cosí, senza
che io lo sapesse, mi ha
venutoilconcedo.
Conquestapartenzasubito,
non mi ho potuto portare
neancheunaspilla.
Poi che c’erino partenze
per antare nella Libia a
compattere con li rebelle, io,
cheeradellaprimalettera,mi
aveva preso di paura e non
vedeva l’ora che mi
fermavino la licenza e
levaremediquellabruttavita.
Quinte, non ebbe il tempo
di salutare annesuno, perché
doveva partire alla stessa
sera. Io aveva 14 mese che
era
a
Ferenze,
che
qualc’ameco l’aveva, ma il
soldato sempre ha stato cosí,
checomecidannoilcongedo
non
volle
conoscire
annesuno.
Cosí,prentosubitoiltreno
che pare che stapeva antanto
in paradiso, di quanto era
contento
antanto
a
Chiaramonte, che, se non
c’era mia madre e i mieie
fratelle, io non ci doveva
antare, perché umpaese piú
miserabile di Chiaramonte
nonc’è,perquellechenonci
avemmo nesuno pezzo di
terraeneancheaverecasaper
abitazione.
Come sono arrevato a
Napole, ho trovato a uno
soldato che con questo
avemmo stato da picolo
allavorare inziemme. E come
ni abiammo visto, ci
abiammo baciato, poi che
aveva 4 anne che non ci
vediammo.
Questo
si
chiamavaTureConsalbo.
E cosí, siammo revate a
Chiaramonte insieme. E se
ancora c’era strada da fare,
non l’avessemo potuto fare,
perché ci avesse tocato di
camminare scalze, perché li
scarpe io, della mia parte, li
aveva rotte. E per avere
servito questa maledetta
Padria, io e compare Ture
Consalbo fuommo costrette
adantrareaChiaramontecon
liscarperotteesenzasolde…
Recordo
che
a
Chiaramonte
arrevammo
verso l’una di notte. Cosí,
entro nel cortiglio 15. Certo
che tutte si avevino corcato.
Tapolio la porta, ma alla
prima a respontereme fu la
mia sorella Turidda, che
subito disse a voce forte: –
Maria! Vincenzo venne
congedato!
Cosí, lo sente mia madre.
Che socesse una sbeglia per
tutte e una crante cioia per
tutte, che io aveva venuto
concedato. La povera mia
madre sempre con le solete
frase che doveva antare alla
Madonna a piede scalze con
Turiddaafarecelorencreazio
alla Madonna di Qulfe,
perché aveva venuto il suo
figlioVincenzo.
E cosí, per tutta la notte,
con la mia venuta, nesuno
antavoadormire.
Poi, io aveva portato una
scatola di carne amirecana,
che era una scatola di un
chilo di carne in conserba. E
manciammo. Ma solo mia
madre non ni ha voluto
manciare, perché era troppo
contenta perché vedeva alle
suoi figlie, doppo tanto
tempo,
manciare
tutte
inziemme.
Poi, come per natura di
famiglia,
lo
stomico
l’avemmo tutte buono e per
manciareerimotuttebrave.E
con quella allecria che aveva
venutoio,abiammomanciato
tutta quella scatola di carne
cheeraunbelchilo,e4pane
e 3 litre di vino ci abiammo
manciato e beuto, che fu una
notte che maie io posso
dementegare.
E, parlanto parlanto, si
hanno fatto li ore 5 e si ha
fattociorno.Cosí,miamadre
e mia sorella partierino per
fare il viaggio alla Madonna.
E io mi sono corcato perché
eramoltostanco.
E cosí fenio la desonesta
vita mia di miletare, e ora
comincia la desonesta vita di
VincenzoRabitodiborchese,
che ene piú disonesta di
quella che io aveva fatto
militare.
1
incrasciate:sporchi,luridi.
2
diquantaveche:daquando.
3
L’excarceredelleMurate.
4
Il congresso di Livorno, con cui
nasce il Partito comunista d’Italia, si
terrànelgennaiodel1921.
5
custura:questura.
6
IlcorpodellaGuardiaRegia.
7
camurria:seccatura.
8
filiato:seguito.
9
Probabilmente,l’episodioacuisi
riferisce Rabito risale al 5 dicembre
1920 quando Mussolini presiedette a
Cremona l’assemblea dei Fasci della
Lombardia, eludendo i blocchi stradali
deisocialistigrazieall’aiutodiRoberto
Farinacci.
10
inzamaie:semalauguratamente.
11
cermenne:giberne.
12
LaPergola.
13
non aveva fatto nesuna
congesione:nonavevoconclusoniente.
14
L’episodio cui fa riferimento
Rabito accadde il 26 giugno 1920,
quandoibersaglieridell’XIreggimento
si ammutinarono rifiutandosi di partire
per l’Albania, mentre anarchici,
socialistierepubblicanisaccheggiarono
alcunearmeriedellacittà.
15
cortiglio:cortile.
Capitolonono
Chitarreemandoline
E poi che aveva venuto
quella maledetta dettatura
fascista, che aveva proibito a
tutte e lavoratore di amicrare
nelle altre nazione, perché
dovemmo morire sofocate
tutte, d’ongnuno ai suoi
paese, e neanche si poteva
antare allavorare in Francia,
perché Mussuline si aveva
sciarriato1contutte.Equinte
restaie senza lavoro e senza
niente, e non aveva imparato
niente con 5 anne di soldato,
solochemiavevaimparatoa
bestimiare.Equinte,lavitadi
borchese per me era una vita
peggio di quella che fece
miletare. E cosí, penzaie di
lasciare Chiaramonte, che
l’aveva tanto desederato di
venire a Chiaramonte, e ora
era
desposto
ad
antarammenne
all’inferno
allavorare, bastica faceva
solde e mantarle ammia
madre.
E cosí, mi ne sono antato
come un vero desperato a
Catania per fare qualche
soldoecomperaremequalche
vestito,perchéconquelloche
io aveva, piú non poteva
comparire con i mieie
compagni.
E cosí, sono partito. Cosí,
al solito, dovevo partire a
mezzanotte, a piede per fina
alLicodia, poi alla stanzione
di Vezine-campagna, che poi
con lire 2 prenteva il treno
perCatania.
E doppo tanto cirare,
finarmente, ho trovato una
picola pinzione tra il Piano
Fortino e la discesa della via
Acquicella, che era propia
vicino
alla
stanzione
dell’Acquicella. Cosí, la
padrona mi ha detto che
facevapagare0.50centeseme
allasera.
Alla matina presto, la
signora mi ha sbegliato e ci
abiammo messo a parlare, e
ci cominciava a dere che io
cercasseunlavoroe,setrovo
illavoro,cifacevacapireche
sempre mi corcava nella sua
picola penzione. Io a questa
la quardava e leie tutta si
stichiava2.Ioaveva22anne,
leie ni aveva 32 anne. Io
vedevacheeratuttoplorito3,
tuttachesivolevafarevedere
cheerabella.
Io cercava propia quella
compenazione per farimela
amice:vedevachecipiaceva
la mia chiachira e si lasciava
tocare. Cosí, io disse:
«Questaenesicuropocopoco
butana, vediammo che posso
fare…»
E subito cominciammo a
prentere amicizia. E cosí, mi
hadetto:–Cometichiame?–
E io ci ho detto: – Vincenzo
–.Emihadettocheseioera
educato, che alla sera non
veniva a notte fonda, mi lo
cercava leie uno lavoro. E
cosí io, come mi ha detto
questo, ci ho detto: – Se
vosia, signora, è capace di
trovaremeunlavoro,iofaccio
come dice lei sempre e la
vogliobenecomeunasorella.
Cosí, davero l’ha detto e
l’ha fatto, che mi ha detto: –
Oratifacciounobiglietto,eti
manto qui vecino nella via
Tistulla, che c’ene il
stabilimento del signore
Nicotra, che ene il padrone
dello
stabilimento
di
pumedoro, che lí fanno la
conserba, e uperaie ci ni ave
tante, uomine e femmene. E
cosí,
con
una
mia
racomantazione, tu vaie
allavoraresicuro.
E cosí, il segnore Nicotra,
come vede il bilietto, mi ha
detto: – Va bene, domane
vienealleore7e30,chesona
laserenaeentrinotuttequelle
che lavoreno, che ti faccio
lavorare–.Poi,iocihodetto:
– Quanto si quadagna al
ciorno?–Eluimihadetto:–
Quanto quadagnino li altre,
che quadagnino lire 9 al
ciorno,etantoquadagnitu.E
poi perché seie racomantato
della signora, vediammo
quello che faie, che ti posso
daremagarelire10.
E cosí, tanto contente, alla
matina la signora mi ha
chiamato alli ore 7, sempre
con il sorriso, venento nel
letto, che amme questo mi
piaceva tanto. Cosí io, per
mia abitutene, mi piaceva di
arrevare uno dai prime nello
stabilimento per fareme
benvulire.
Come
sono
arrevato nello stabilimento,
aspetaie10minute,hasonato
lacampanaetutteentrammo,
che erimo cerca 150
lavorante, tra uomine e
donne.
E 30 piciotte c’erino, che
facevino lí dentra, li caruse,
tutte i lavori di fachenaggio
che c’erino: carriare 4 casse
pienedibuvatte5distrattodi
conserba 6. Poi, c’erino 30
caruse di 10 a 12 anne, tutte
delenquente, che sempre si
prentevino a bastunate, tutte
caruse che alla sere
frecoentavino l’Opera dai
pupe e stampagno sempre 7
pupe dentro li mura dello
stabilimento. E c’era uno
uomoconunaluncabachetta
e magare un bello nerbo per
darece corpe, per quanto
lavoravino, queste piciotte, e
non mascheravino li mura 8
dello
stabilimento.
E,
compure che quello dava
bastunate tutte l’ure e tutte i
momente,
sempre
lo
prentevinoperfessalostesso,
che erino racazze che
comantavinoidiavole.
Poi che ni hanno pagato, e
con tanto stravordenario che
fecimo, io nella prima busta
cihotrovatolire235lire,che
mi ha parso che io avesse
presoilterno,cheiounapaga
cosícrantenonl’avevapreso
maienellamiavita.
Quinte, cominciava a
quardare qualche piciotedda
bellina, figlia di quelle
donacciechelavoravinonello
stabilemento, perché poi mi
sonocominciatoabistireme9
bene:piúnonparevadesceso
dalla
montagna,
come
dicevino nei prime ciorne, e
parevaunverocatanese.
Cosí, mi ho fatto amico
stretto con una donnaccia di
quelle, perché ci aveva una
bellessimafiglia.
Io,
sempre,
quanto
usciemmo del lavoro, con
questa donnaccia che aveva
questa bella signorina che si
stapeva imparanto salta, per
forza doveva passare della
suacasaperfaremevederela
dota di sua figlia, che
segnifecava
direme:
«Vicienzo, te deve prentere
alla mia figlia per forza», e
voleva che per forza mi ci
facevazito10.
Maio,checonoscevaasua
madre,checommeerapeggio
di una cane, che mi ne dava
quanto ni voleva, e quinte io
penzava e diceva: io,
prententeme a questa, mi
prenteva una figlia di una
butana, che mi poteva
reuscire come la sua madre.
Perché penzava che, esento
putanalamamma,eraputana
la figlia. Ma, intanto, io lo
dicevaconlabocca,dinonci
dare compedenza, e sempre
eralí.
Mi ho fatto prentere tanto
dibuonochecivolevapocoa
fareme corcare magare nella
sua casa… Perché io, tanto
forbo mi senteva, arevanno a
donne 11, tanto cretino mi
faceva, che mi lasciava
comantare di questa dopia
putana, come volevino
mammaefiglia.
E cosí, io non mi ho fatto
capace a chi aveva a volere
piúbeneditutte2donneche
mi facevino contente amme:
unaeraquelladellapensione
dove mi corcava e l’altra era
questa che lavorava comme,
cheavevaquestafigliachesi
stapevaimparantosalta.
Passanto 2 mese, io mi
cominciaie a sentireme male
percausaallastrettaamicizia
che aveva con queste putane,
sia con questa che aveva la
figlia femmina saltina e sia
con quella donna dove mi
corcava alla sera. E
cominciava a camminare
zuoppo, perché mi facevino
malelicoglione,senzasapere
che diavilo io aveva. Mi
avevino uscito 2 froncole 12
immienzoallecampe.Piúva,
piú assaie mi facevino male,
ma non le voleva dire
annesunodai2putanedonne.
Perché, se lo diceva a
quella dove mi corcava:
«Vedete cosa haio?», e mi
potevinodire:«Mascerato 13,
disonesto, questa maletia di
donna dove l’haie preso? al
casino?», e mi poteva dire
che io l’aveva rovenata. E se
lo diceva a quella che
lavorava comme: «Vede che
cosahaio?»,mipotevadirelo
stesso: «Maleducato, ti seie
rovenato». Mentre io ci
doveva sparare a tutte 2,
perchéforsechetutte2erino
impestate e hanno rovenato
amme,cheioaveva22anne,
e magare che ni aveva 23,
sempre era caruso, e la sua
malattia mi l’hanno dato
amme, cosí loro si hanno
polito li sanquie e io mi l’ho
sporcato.Ecosí,iolosapeva
che questa maletia si
chiamavino«bombona».
Dire, non ci lo poteva, sia
all’unaesiaal’altra,chemi
avevino rovenato, perché mi
potevino denonziare. Quinte,
mi conveneva di antare nel
signore Nicodra, fareme fare
lapaga,eantareacercareun
dottoreefaremecurare.
E cosí, ni ho trovato uno
che, quanto ci sono
domantato
all’infermiere,
subito volle una lira per
potere aspetare al dottore. E
finarmente doppo 2 ore ha
venuto il dottore e, come mi
ha vesetato, mi ha detto: –
Queste bummuna vogliono
essere tagliate per forza, ma
allospitalequiaCatanianon
ticonviene,perchésicuroche
ti costerà lire 500, ma, se te
nevaieaChiaramonte,questa
operazionetilapuoiefare.
Io ci aveva detto: –
Dottore, che ci vorrebbe per
farlescattare14?–Eildottore
mi ha detto che: – La vera
mirecina ene, per queste, il
cortello, che, una volta
tagliate,nonescinopiú.
Cosí, io aveva una rabbia
che mi stapeva mettento a
piangere, che per forza
volevino essere tagliate, e io
diceva: «Come, nella querra
nonmiavevinomaietagliato
e ura, de borchese, per forza
civoleilcortello?»Ediceva:
«Come sono sportenato, che
io da Chiaramonte aveva
scapatoperpazzo,perchénon
aveva lavoro, e ora aveva
trovattoillavoroelodovette
lasciare, e magare malato di
unamalatiadibutana!»
E mi ne sono antato nello
stabilimento del signore
Nicotra e ci ho detto che per
faore mi liquetasse tutte li
ciornate che io aveva fatto,
che mi ne doveva antare
subito subito a Chiaramonte
checihounasorellachedeve
partire per l’America, e
quinteladovevasalotareela
doveva acompagnare a
Ceniva15.
Cosí, il calantuomo,
sempre per respetto di quella
putana che mi aveva fatto
racomantare, mi ha fatto
pagare per fina all’ultimo
soldo. Ossalutato a tutte
l’amice che mi aveva fatto, e
non hanno saputo niente di
questa malatia che io aveva
preso.
Cosí, mi socideva come la
tartaruca, che stava arrevanto
al traquardo e all’ultimo
scalone16cascavo!
Io sapeva che il dottore
Cutello era lauriato di poche
ciorne ed era il megliore
dottore di tutte quelle altre
dottore, che forse aveva 2, 3
ciorne che aveva venuto a
Chiaramonte, e ancora lo
studio non zi l’aveva aperto.
Ma, però, io penzava che, se
lo chiamava io, sicuro che ci
veneva, perché il dottore
Cotello mi voleva troppo
bene. Io, con questo dottore,
cieraamicodipiceriddo.
E cosí, mi ha detto: –
Avante Vincenzo, tu sei il
primo mio chiliente –. Era
tuttoresolente 17, e rideva, e
tuttosiarrecriava 18.Emiha
detto: – Vincenzo, chi haie?
Chefa?Haiecapitatoqualche
buonoraloggino 19 catanese?
E mi lo ficuro che potesse
esserelatuabellamalatia…–
Luiredevaeiobestimiava.
Perciò, mi ha detto, il
bravo dottore, che domane,
alle ore 8, prenteva la borsa
con l’atrezze di dottore belle
nuove nuove: – Senza che
nesuno
malato
l’aveva
doperato prima di te… E
venco sicuro. Che con uno
picolo taglio, caro Vincenzo,
tutto va bene, e in 7, otto
ciorne ti ne puoi antare a
travagliare a Catania, e puoi
portare un altro bello
recalo…–Luisidevertevaa
babiare e io bastimiava, e
dalla rabbia mi muzecava li
mane, non per il dolore che
doveva sentre, ma per la
vercognacheiosenteva.
Mia madre, come intese
«taglio»,piancevacherestava
defettuso 20. E io, non solo
che doveva sentre il dolore,
magareavevaasentireamia
madre che pianceva per tutta
la notte. E poi, doveva
macare sentere a mia sorella,
che voleva sapere perché io
mi doveva fare questa
operazione.
Poi, mia madre sempre mi
diceva a bassa voce: «Figlio
mio, tu sempre parte per
circare fimmenazze». E
recordo che sempre mi
deceva che: «Con questa
malatia, magare li figlie
nascino defetuse, se ti marite
etinascinofiglie».Emil’ha
detto tante volte, perché non
dormeva, come non dormeva
io, che mi aveva fatto venere
ilnervosoche,senonerache
era sicuro che veneva il
dottore Cutello, mi stapeva
alzanto e voleva antare a
Vittoria, che c’era un amico
mio che era solo nella casa e
l’operazione mi la feceva a
Vittoria, o pure parteva per
Cataniaun’altravolta.
Cosí,finarmentesihafatto
ciorno.Miamadre,poveretta,
verso li ore 5, ha fatto alzare
alla mia sorella che aveva
un’ora che si aveva
dormentato. Cosí, ammia
sorella, mia madre ci aveva
dettochesinedovevaantare
ni donna Vituzza, che erimo
vicine, che doveva antare a
fare uno retapunto 21, perché
venevaalleore8ildottore.E
miasorellasin’antò.
Cosí, alle ore 9, recordo
che venne il dottore. Cosí, ci
ha detto a mia madre di
preparare una pegnata di
acquacaldaeunavacila22e2
tovaglie.
Il duttore, che era troppo
furiosu nel suo lavoro, che
quantopiúprestopotevafare
faceva, c’era uno tavulino,
mette la borsa sopra il
tavolino, prente tutte quelle
atrezze belle nuove nuovi, e
erino lucite come il colore
dell’oro. E io li quardava.
Cosí,mihadetto:–Questaè
la mia profesione, Vincenzo
–. Cosí, mi ha detto: –
Mettete il pannizzo 23 della
camicia nella bocca e con li
dente la tiene stretta, che il
dolorelosentepiúpoco.
E cosí davero feci io. Mia
madre pianceva, e il dottore
ci ha detto: – Signora, se
piancete uscite fuore magare
voie, e restammo io e
Vincenzo –. E cosí, mi ho
statofermo,ein5minutemi
ha levato il male. Io, dolore,
ni aveva inteso tanto ma,
costione di 5 minute, ho
resestito,cheildottoremiha
detto: – Bravo Vincenzo,
comeseieforte.
Cosí,
ha
fenuto
l’operazione, il doture, che
era la prima operazione che
fece a Chiaramonte, e mi ha
detto:–Setuttequellechese
devono operare fosseno tutte
come te, io fosse ricco,
perché non sono tutte
coraggiose come te, li
paziente.
Cosí, mia madre ci ha
detto: – Dottore, domane che
viene alla stessa ura? – E il
dottore ci ha detto: – Piú
Vicienzo non ave niente, piú
non c’è bisugno di duttore –.
Mi allasciato una butiglia di
acqua asecinata 24 e mi ha
detto: – Ci la mette d’ogni
matina e non c’è bisogno di
me.
Emiamadre,alsolitosua,
parteva sempre per antare a
fare il viaggio alla Madonna
diQulfe.
Cosí, recordo che ho stato
3 ciorne corcato e poi mi
sonoalzatoevenneildottore,
tantoperfaremeunavisita,e
mi ha vesetato, e arrestato
sodesfatto.
Come si n’antò il bravo
dottore,iomialzaieeprovaie
di fareme 4 passe per la
strada del caffè, per potere
vedere se poteva camminare.
Ma recordo che la testa mi
ceriavaeperforzamidovette
reterare, perché magare non
poteva stare all’impiede,
perchésanquiniavevabutato
assaieederamoltodebole.E
cosí, lo hanno saputo tante
che aveva preso quella
malatia, perché il paese è
molto corioso. Poi lo sebbe
Bastiano Parrino e, una uce
passa all’altro, lo hanno
saputo tante, ma amme non
mi ha importato niente,
perchétuttopassa,perché,se
all’uomoinquestavitanonci
incontro aventure, non ave
nientedarracontare.
Ormai comantavino li
scuatriste in tutte i poste di
lavoro, e tutte quelle che
cercammo lavoro, se non
avemmo la tessere fascista,
non
potemmo
antare
allavorare. Quinte, bisognava
difarenelatesserefascista.
Cosí, un giorno, don
VettorioRecottami ha detto:
–Vincenzo,orac’enecheper
antare allavorare te deve fare
latesserefascista,chepertee
tuo fretello Ciovanni, perché
siate
vere
compatente,
Mossoline vi la darà
cratese 25. Quinte, tutte per
avere la tessere fascista
dovevinopagarelire15enoi,
peressereunomutelatoeuno
decorato, ci l’hanno dato
franca,questatesserefascista.
Nella mia vita aveva stato
unoacanitosocialisteequase
quaserestaiemaleacampiare
partito, ma poi tra me disse:
«Non paganto niente…» E
cosí, mi l’ho preso e sono
deventatofascista.
Recordochemihotrovato
fascista con la data del 15
dicembre 1922, e dal 1923,
dal 27 marzo, passato alla
Melizia
di
securizia
nazionale 26, senza che io
avesse saputo niente, tutta
opera del dottore Cotello,
perché questo era capitano
dellaMilizia.
Però, io aveva fatto parte
sempre delle Quardie Rosse
di Chiaramonte, ma, a
Chiaramonte, fino ad allora,
non si aveva fatto niente, né
nei Quardie Rosse e neanche
nelle squatre fasciste, perché
non era paese di farese
portare respetto! Ma, nei
crante centre, certo che con
questo campiamento di
coverno ci foreno tante
muorte e tante ferite! Quinte,
Milano, Cheniva, Napole,
Torino, Palermo, Bare hanno
fattotantemesedisacrifiziee
tantemigliaiadiarreste,gente
portate a confine, al carcere.
Eatantecheavevinomiletato
nelle Quardie Rosse, che
avevino li poste covernative,
come venne la dettatura
fascista, ci hanno levato il
posto e l’hanno butato
immienzoaunastrada,senza
lavoroesenzaniente.Ecosí,
cominciareno a bestimiare
amMossoline. Che, della
stessa prima ciornata che
venne questa maledetta
dittatura fascista, si ha
cominciato a stare male, che
non c’era lavoro e c’era di
scapare di Chiaramonte uno
che non aveva lavoro, non
aveva terre. E uno di queste
era propia io, che, per
quadagnare solde, mi ne
doveva antare allavorare
forostiere.
Però, una volta, magare a
Chiaramonte ha socesso una
ciornata di casa del diavolo.
Che questa ciornata nesono
l’ha pututo dementecare, di
quelle che ci abiammo
trovato presente. Che, una
domineca matino, si hanno
presentato n. 50 scuatrista
commisane, tutte ciovene di
22a24anne,tutte50ciovene
delenquente, pagate del
scuatrisemo, che ci hanno
dato lire 100 per uno per
venire a Chiaramonte a
bruciare la bantiera della
sezione socialista – che
Chiaramonte,
come
socialisemo, era umpaese piú
forte della provincia, perché
c’erino esponente buone, che
il capo di queste esponente
era l’avocato don Pipino
Rosso,edonNittoRosso,che
poteva avere di 18 anne di
aità, che aparteneva della
corrente socialista pure. E
questa secione di socialista
eravicinoalloSalvatore 27e,
speciealciornodidomenica,
questa bantiera era esposta
fuore e sventolava, e li
fascisteperforzaladovevino
bruciare. E secome li
scuatristediChiaramontenon
erino capace di brucialla,
hanno fatto venire queste 50
delenquente del paese di
Comiso.
Ma queste, alla domenica,
non ebero il coraggio di
abrucialla e penzareno di
abrucialla alla ciornata del
lonedí, perché tutte li socie
condadine si n’antavino in
campagna, e cosí ci veneva
piú meglio, che c’era solo il
cammariere. Ma il conto,
queste fascista scuadiste, non
ciharevoscito,perchétutteli
socie vere socialiste hanno
capito che c’erino queste
cumesane che ci volevino
bruciarelabantierarossa,che
per loro era uno cioiello, e
allavorare per la ciornata del
lunedí non ci sono antate.
Cosí, i fascisti a malapena
hannofattosegnodibruciare
labantierachesihannovisto
tutte li soccie unite, che
sentevino dire: «Questa
bantiera rossa fa schifo,
questa bantiera rossa deve
essere bruciata». E non si
l’hanno fatto dire 2 volte:
escino fuore con bastone e
roncheefalcie,ehannopreso
a bastunate a quelle 50
ciovene.
Cosí, questa bantiera rossa
chiaramontana,ladefentevino
magaretuttelidonne.Ecosí,
ci ha stato una lotta acanita,
che tutte quelle 50 fanatice
commisane2morerinoe48si
ne sono scapate tutte
bastunate e ferite, con li
bracia magare rotte, che li
socialiste chiaramontane li
hanno percorso 28 a petrate
per fina alle 4 Capelle 29.
Cosí, li comisane non ci
hanno venuto piú a
Chiaramonte a dire che la
bantierarossafacevaschifo,e
liscuatristadiChiaramontesi
hanno nascosto. E lo stesso
provessoreSceverioNicastro,
cheeraumprincipiantedifare
il secretario politico di
Chiaramonte, per dodice ore,
si annascosto nel una cascia
della cira 30, per la paura di
prenterebastunate.
Poi, tutte i fasciste, la
bantiera rossa, non l’hanno
tocato piú, perché li
socialiste, a i fasciste, li
facevinotremare.
Io aveva la tessere dai
fasciste e non parlava, ma
però l’edeia l’aveva sempre
socialista.
Poi,intuttelicrantecentre
diventarenotuttefasciste,poi
che venne un oredene che
quello che dovevino fare i
socialistelofacevinoisindeci
fasciste, unite con il
maresciallo dai carabiniere.
Cosí, con l’ordene delle
prefetture,
ci
hanno
improgliato che ci dovevino
spartereliterreaicontadine.
E fu per levarene l’edeia
socialista e farese tutte
fasciste, poi che a quelle che
non zi volevino fare fasciste
cifacevinoprentereperforza
mezzolitrodiogliodiricine.
Cosí, quella conquistata di
terre fu una presa per fessa,
chepoivennesubitounaltro
oldene, che quelle terre si
dovevinolasciareechenonli
lasciavavenevadenunziato.
Poi ci avevino improgliato
che ci spartevino li terre ai
compatente,eneanchequello
fu vero. Quinte, con il
fascisemo ci hanno preso
ancorapiúinciro,eiodisse:
«Checosapossofare?»
Ora, di Catania aveva
portato una chitarra e
ummandolino.
Paolo
e
Ciovanni
si
volevino
imparare buone per forzza,
ma Ciovanni non ci poteva
maie reuscire, mentre Paolo,
che aveva 14 anne, si stava
imparannomoltobene.
Io ci aveva molta pasione
si mi imparava qualche cosa,
ma tanto per passareme il
tempo, perché poi io sempre
penzava di cercare lavoro e
nonmipotevaimpararebene
maie.
Poi Ciovanne, prima della
querra, era un bravo
lavoratore ma ora travaglio
non ni voleva per niente. E
secome era sballato lui, che
era lu piú crante, ci ha fatto
sballare a tutte. Però, amme
nonmihafattosballare,maa
Vito e Paolo non ci ha dato
unastradaciusta.
Una sera, sapeva che
doveva venire uno apartatore
per portarece l’acqua a
Chiaramonte, perché acqua
potabile non ci n’era. E
questo apartatore cercava
operaie
speratiche
di
mistiere31,perchépoimagare
a questo, a Chiaramonte, ci
paremmo tutte stubite e, per
ciunta, ci paremmo tutte
condadine. Io, con l’aiuto di
un amico, mi l’ha fatto
conoscire,
a
questo
carrapipano 32, e ci ho detto
se questo lavoro mi l’avesse
datoacotimo.
Io penzava che erimo 4
fratelle,equintepermefosse
una buona penzata a
prentereme quello lavoro,
perché tutte li scave della
condratamileprentesseioei
mieiefratelle.
E cosí, doppo avere fatto
una descursione cià, io con
questo apartatore incegniere,
tutto bene, e ci abiammo
messo di acordio per questo
crante lavoro e per questo
cammio 33 pieno di atrezze,
che mi l’ho fatto consegnare
tutte,facendocecapirecheio
aveva uno crante locale per
metirece tutto questo camio
di atrezze di lavoro, e ci ho
improgliato che io aveva
tante caseciate, mentre se
sapeva che io non aveva
neanchecasaperdormire...
Cosí che, verso le ore 5 di
mattina, ene arrevato questo
camio di atrezze con tante
piconeetantemazetteetante
paleetantepalanchine 34per
fare buche nella pietra e poi
metterecelaporbereesparare
per rompere la pietra dello
scavochefaciammo.
Eio,conquelleatrezze,ho
chiamatoaimieie3fratelle,li
abiammo portato dentra il
cortiglio, sempre di notte, e
cosí, li abiammo messo
dentra a una casa e, alla
matina, io e i mieie fratelle
siammoantatoallavorareeci
abiammo messo a fare lo
scavo. E poi, se c’era pietra
forte, ci dobiammo fare li
mine. E cosí, a forza di
porbere,
sparammo
e
scepammo 35 pietra, e come
non ci abiammo ammazato,
tutte 4 i fratelle, era un bero
meracolo.
Cosí, piano piano, ci
abiammo fatto la tessere di
piconiere e, piano piano, ci
abiammo fatto dare la
qualifica
di
minatore
all’oficio di collecamento, e
cosí siammo deventate
operaie,nonpiúcondadine,e
deventammo
operaie
specializate.Ecosí,magareci
abiammo fatto socie nella
SocitàVittorioEmanovele36.
Cosí, quanto abiammo
fattoilprimomesedilavoro,
questo desonesto incegniere
non veneva maie per
pacarece. E quinte, avemmo
fattotantespesedicomperare
porbere, di portare li atrezze
spontate nel ferraio, debite
avemmo nei tabachine e
debite
avemmo
dove
prentemmoilmanciare.
Però, avemmo 2 chitarre e
2 mandoline, che con quelle
strumente ci adevertemmo,
poi che Paolo era lo piú
picolo e sapeva sonare molto
bene, ed era consederato lo
piú meglio sonatore del
paese.Io,recordochesonava
biduzzo 37. Ciovanni e Vito
erinolipiúscasseditutte.Ma
Paolocoprevaatutte.
Equinte,recordocheerail
1924ederinoliprimeciorne
del mese di febraio, e non
c’era una notte che non
antiammoabballare.Etuttoil
quartiere di Santo Vito,
quanto si faceva festa da
ballo, sempre c’erimo la
famiglia Rabito, e in tutte li
sponzalizie c’erimo noi, poi
che a tutte ci veneva piú
facile di invetare annoi,
perché noi avemmo fatto i
campagniole.Equelleebiche
erinotempemiserabile,cheli
mascie 38facevinolifesteda
ballo tra loro mascie, li
contadine facevino feste di
aballo tra loro, li pecoraie
facevino feste da ballo tra
loro, ma noi, però, erimo
amicecontutte,conpicoraie,
conoperaieeconcontatine.E
quinte, perché sapiemmo
sonare,ciamitiavino 39 tutte.
E cosí ni pasava la vita,
sempresenzasolde,mapiene
sempredidevertemente.
E recordo che quella
povera di mia madre non la
faciammo dormire maie, e in
quello damoso 40 dove noie
stapiemmo sempre c’erino
festedaballo.Cosí,abiammo
preso la «dorci vita» e non
penzammoaltrocheafestedi
aballo. E tutte li mattine
sempre c’erino chiachire,
perché li mieie fratelle, il
divertemento, ci piaceva, ma
a ura di alzarese per antare
allavorare non zi volevino
alzare.
E secome li tempe erino
miserabile, tempe di dittatura
fascista, poi che era il 1924,
chec’eraunafamepertutte,e
li apartatore e li propietarie
erino li piú vegliache di tutte
e profetavino dalle povere e
quanto
uno
operaio
recramava il suo deritto
veneva subito malatratato, e
cosí, doppo che avemmo
lavorato
tanto
tempo,
avemmo lavorato solo per
quanto manciammo. E cosí,
ci avemmo devertito a
Chiaramonte,
ma
però
restammo senza lavoro e
senzasolde.
E poi che è fenito quello
lavoro dello scavo, altro
lavoro non cenn’era piú. Il
lavoro di campagna per noie
era vercugnuso, perché
avemmocampiatalaqualifica
e il contadino piú non lo
volemmo fare. Quinte, li
proposte erino 2: una che ce
stapiammo a Chiaramonte a
ballareeatastarelafame41,e
l’altraeraquelladiscaparedi
Chiaramonte per potere fare
solde. E quinte, era meglio
chescapammo.
E presemo la strada a
piede,tutte4fratelle.
Cosí, stava per venire il
mese di ciugno ed era una
bellaannataperlicampagne,
e sentiammo dire che a
metere crano uno operaio, se
era capace di resistere a
mietre, poteva quadagnare
magare lire 25 al ciorno. E
cosí, tutte 4 fratelle – e un
certo Turi Cucuzzuni c’era
con noie – ci abiammo
reunito tutte 5, ci abiammo
comperato una falce per uno,
antiammo alla stanzione,
presomoiltrenoepartiemmo
per Castraciovanni, che
ancoraMussolinenonl’aveva
fatto provincia, che poi ci ha
messoilnomediEnna.
Ma, però, quanto siammo
revato a Catena Nuova, nella
stanzionec’eraunopropitario
cheavevatantocranoametre
e ci ha detto se voliammo
mietre a Catena Nuova, per
lire 25 al ciorno e manciare.
Io,PaoloeTuriCucuzzunini
ha piaciuto e scentiammo,
mentre mio fratello Vito e
Ciovanni non hanno voluto
remanire e hanno antato per
Castraciovanni.
Cosí, io, Turi Cucuzzuni e
Paolo, ci ha piaciuto di
remanire a mietere a Catena
Nuova, ma veramente il
lavoro era troppo pesante,
speciarmente nel mese di
ciugno e luglio, che con il
cardo si moreva, poi che alle
ore 4.30 spondava il sole, e
prima di spontare il sole il
padrone ci faceva alzare e,
subitosubito,cifacevametre
il crano, e perfina alle ore 6
allaseracifacevalavorare.E
poi, con quello cardo forte,
dovemmo resistere, e quelle
lire 25 ci le dobiammo
bagnare di sudura, prima che
ci le davino. Ma li lire 25 al
ciorno,chenoinonl’avemmo
visto maie, facevino passare
la stanchetutene, e poi che ci
davinoammanciare.Equinte,
li lire 25 che ci davino era
sicuro che ci restavino
franche.
E cosí, abiammo fatto la
primaciornatadilavorotutte
stanche e bruciate del sole.
Cosí, usciemmo in questo
picolopaessello,ciantiammo
afarelabarba,chetrovammo
il barbiere vecino, e ci
siammoseduteperaspetareil
nostro turno, mentre io, che
nella mia vita sono stato
sempre sfaciato, e Paolo
afrontoso, vedo una chitarra
apisa dentra alle parete del
salone e li ho domantato il
permessoesepotessemofare
una sonata. E il barbiere ha
detto: – Tanto piacere –. Ma
tuttequellecheerinolídentra
si hanno messo a ridere,
perché mai maie si avessero
potutocrederechelimiteture
avessero sapere sonare
chitarraemandolino.
E cosí, io ho dato il
mandolino a Paolo e ci ho
detto: – Te sona, non ti
afrontare –. E cosí, Paolo si
ammesso assonare, che tutte
quelle che erino lí dentro si
hannomerevigliato.
E per quella sera, perfina
alla mezza notte, abiammo
ciratotuttelistradedelpaese!
Ci hanno fatto tanto anore!
Però, io e Paolo non ci
paremmo condadine, perché
erimo vestite beduzze, e
magare Turi Cucuzzuni era
vestito buono, poi che ci
avemmo improgliato che di
mistiere erimo scarpeline. E
cosí, in questo paese di
CatenaNuovaabiammopreso
una forte amicizia con tante
piciotte, e tutte ci hanno
ofrito ammanciare e bere,
sempre però per sapere
sonare!
E,aCatinanuova,ioeTuri
Cucuzzuni ci abiammo fatto
magarefidanzate,mentreTuri
Cucuzzuni era maretato e
magareavevaunofiglio...
Quanto se feneva il tempo
dellamitetura,partiemmoper
Enna, perché era piú
mondagna. Cosí, a Enna
abiammofattoaltre10ciorne
di metre e a Enna abiammo
fatto lo stesso di Catena
Nuova, che tutte li sere ci
mitiemmo a sonare, e
presemo altre amicizie. E
nesuno credevino che erimo
condadine, poi che alla sera
impiazza ci vestiammo bene,
poi che di dove passammo a
tuttelasciammocontente.
EaEnnaabiammotrovato
a Ciovanne e Vito, ma solde
quanto ni avemmo fatto noi,
lorononl’avevinofatto.
Cosí, sempre a piede, da
Enna
antiammo
a
Calascibette 42, e lavoro non
ni trovammo. E cosí, sempre
a piede, antiammo in uno
piccolopaesechesichiamava
Passarello,
o
pure
Villadoro 43,eabiammofatto
altre 10 ciorne di metre,
sempreconlostessosestema,
che alla sera antiammo al
salone per farene vedere che
sapiammosonare.
Quello paese era tutto
pieno di brecante, tanto che
io, una sera che vineva di
metere, ci fu una patuglia di
carabiniere,chec’eralaliggie
del profetto More 44 che chi
portava un cortello subito lo
portavinoincalera,esecome
io,inquelleebiche,tesseredi
reconoscimento non mi
n’aveva fatto, perché ancora
non ni aveva nessuno, io mi
ho trovato solo che
camminava
e
queste
carabiniere mi hanno fatto
perquisezione e mi hanno
trovato uno cortello, che
l’aveva
comprato
dai
comisaneaChiaramonte.
Cosí, mi hanno portato in
caserma e, strada facendo, io
ci ho detto a queste
carabiniere: – Ma come,
restate amme che venco di
lavorare, e quelle che sono
brecanteperdaverolilasciate
antare?
Forse che con questa
parolocihannopresolinerve
e mi hanno fatto uno raporto
come ante fascista. E, alla
stessa sera, mi hanno
trasferito al carcere di
Nicosia, che mi hanno fatto
fare 12 chilomitre sopra uno
carretto. Cosí, hanno revato
subito, in 24 ore, li mieie
informazione di Chiaramonte
e mi ho trovato subito fuore,
che all’endomane lasciaie il
carcero.
E quardava, caminanto
caminanto, il carcere di
Necosia e mi veneva di
piancere, ma non pianceva
per non fare piancere ammio
fratello,ediceva:«Menomale
che mio padre e i fratelle di
mio padre in calera non ci
avevino stato nesuno e mi
hanno fatto uscire subito, ma
se la famiglia avessemo auto
licartemachiate,questavolta
io,comediciavinolidetenute
che erino lí dentre, poteva
stare magare ummese nel
carcero, e tutte li solde che
avevafattocontantasuduraa
metre, securo che si l’ave
ammanciare
qualche
avocato».
E cosí, abiammo detto:
«Ora fosse miglio che ci
n’antiassemo a Catania e ni
lovassimo di queste brutte
paese».
Cosí, sapemmo che per
antare a Catania dovemmo
antare prima a Passarieddo,
che c’erino 12 chilomitre a
piede, poi dovemmo antare a
Calascibette,chec’erinoaltre
20 chilomitre per Enna, e
quente 32 chilomitre erino
assaie. Cosí, penzammo che,
prentento deritto di Nicosia,
campagniecampagni,sempre
di notte, passanto per
l’Artesina 45 – che erino
monte molto precolose, che
carabiniere non ci ne
passavino maie – saremmo
arrivatiprima. Perché questa
contrada che si chiamava
Altesina era sempre stato lo
refuciodellamalavita.Lí,ci
abitavino sempre latetante,
perché c’erino tante refucie.
Che ancora la liggie del
profetto More non l’aveva
potuto destrucere la malavita
elalatetanzadiquelleluoche.
Cosí, io, Paolo e Turi
Cucuzzuni, per non fare 32
chilomitre,
come
ha
tramontatoilsole,partiemmo
con
molto
coraggio,
campagnie campagnie, che
poi dovemmo arrevare a
Liomporte46,checosítuttala
strada era 20 chilomitre, ma
precolosa.Io,dapartemia,li
solde che aveva mi l’ho
messo lecate nelle carzette, e
lire 10 nelle tasche, che cosí,
se ci incontravino, ci avesse
dato quelle lire 10. Paolo ci
ho fatto mettere lire 20
macare nelle tasche, Turi
Cucuzzuni ci ne ammesso
altre 20 pure. E partiemmo,
conlachitarraeilmandolino
e li falcie e la ciacca sopra li
spalle.
E camminammo per tutta
lanotata,maebimolafortuna
di non incontrare annesuno.
Abiammo visto solo a 4
armate con fucile. Ci hanno
domandato dove antammo e
didoveveniammo,ecihanno
recordato di dire che, a chi è
che ni avesse domandato che
avessemo visto a qualcuno,
sempre farece capire che noi
veniammo di lavorare di
metreenonsapiemmoniente,
voldire che ni sentevino
dire 47:«Fativeifattevostre,
sevoletecampare».
Cosí, ci abiammo preso
tantapaurae,comefuciorno,
ci
abiammo
trovato
alLiomporte,chemanciammo
epresemoiltrenocheantava
a Catania. E ni abiammo
levato di tante paese
precolose.
E cosí, abiammo fatto 3
ciorne di deverterene a
Catania. Abiammo salutato a
tante amice e davero
abiammo preso al solito il
treno per Caltacirone. E a
Vezzine-campagna
scentiammo.
E
quanto
abiammo visto che cià c’era
magareiltrenocheviaggiava
Vezzine-Bochiere-CiarratanaMonterosso-ChiaramonteRaqusa 48, che aveva poche
ciorne che fonzionava, io,
Paolo e Vito erimo tutte
priate che c’era il treno
magare a Chiaramonte.
Perché
questo
treno
cominciavo a fonzionare nel
1924equestotrenofuchiuso
nel 1949. Pacienza che
camminavaquantounabuona
carrozza con uno buono
cavallo, ma era una buona
commitetà per quelle che
antammo
a
Catania
allavorare.Ecosí,fenarmente
io ho fenito di fare sempre
questa lunca strada a piede:
Vizzine - Licordia - Filo
Zinchero - Tichiara Chiaramonte49.
E
cosí,
alla
sera,
arrevammoaChiaramonte.E
quanto ni ha vesto venire, la
nostra mamma ni ha detto: –
Figlie mieie, sono contente
che
siate
venuto
in
sarvamento 50 e con una
buonasalute,maoracontutte
queste chitare e queste
mandolinechediavolovolete
fare? Cosí, figlie mieie,
perché non penzate a
comprareme una casa? E poi
che avemmo una figlia di
maretare, che vi facete
critecaredellacente…
E cosí un ciorno si ha
presentato un certo Angelo
Castagna, che aveva fatto 3
annedicarabiniereesiaveva
congedato, che poi si voleva
maretare. Io, con questo,
erimo compare d’infanzia e
tutte li sere veneva a ballare
nella mia casa come ci ne
venevino tante e portavino
d’ognuno li suoie sorelle,
comepurecevenevauncerto
ciovene di 20 anne che si
chiamava Paolo Malasorte.
Cosí,questocompareAngelo
Castagna voleva per forza
farese fidanzato con mia
sorella e questo Paolo
Malasorte
voleva
pure
magare ammia sorella, però
sempreconlostessosestema
siciliano… Che compare
Ancelo Castagna era un bel
ciovene prodente che voleva
ammia sorella sempre con le
buone parole, mentre quello
Paolo Malasorte si la voleva
sposareconlamalantrinaria.
Cosí,questoPaolo,quando
sebbe questo, tutte li sere
prenteva a quello Angelo
Castagnadicendocecheselo
vedeva abballare con mia
sorella lo chiamava, si lo
portavaallalarica 51,epoici
deceva: – Se tu aballe colla
sorella delle piciotte, ti do
unacoltellatanellafaccia.
Cosí, questo poveretto di
compare Ancelo lu ha fatto
prentere di paura, che
compare Angelo Castagna,
compure che aveva fatto 4
anneilcarabiniere,sihafatto
il passaporto e se n’antò in
America, senza saperlo io,
che lo ho saputo all’ultimo,
che questo Paolo Malasorte
hafattoquesto.
Cosí,nellamiacasanonsi
antava di acordio per questo
matrimonio: Ciovanni e Vito
non voleva che Malasorte si
avesse preso a mia sorella,
mentre io ci la voleva fare
maritare, ma mi sono
sbagliato. E questo fu lo piú
crante primo sbaglio che ho
fattoinvitamia.
Cosí, si ha puntato la
ciornata per maretarese. Io
aveva lire 1.000 alla Posta,
altre lire 500 l’avemmo io e
Paolo, e un’altre lire 500 io
mi l’ho fatto imprestare,
perché mia madre sempre mi
deceva: «Non abiammo
niente!» E io ci faceva
coraggio. Cosí, mi ne sono
antato ni don Pipino
Comitine,chefacevacilate52,
e mi ne sono antato dalla
Miruzza,chefacevadorcie53.
Io aveva una fortuna, che mi
avevinotantafiducia.
Cosí,
tutto
questo
matrimonio che l’abiammo
fatto di lusso, che amice ni
abiammo tante. Ebimo pure
l’onore di venirece il
commentatore Nicastro, che
erailsindaco;cihavenutoil
barone Recotta, che era il
vicie sindaco; e tante amicie,
che io, delle spese che ho
fatto, per anne non l’aveva
ancora finito di pagare, e
l’hanno fatto pagare tutte
amme, perché la feducia
l’avevinosoloamme.
Cosí, ci abiammo dato a
questoPaolo2.000lire,dove
miavevadettochesidoveva
comperare uno cavallo e uno
carretto nuovo, che il
condadino piú non lo voleva
fare.
Certochel’abiletàniaveva
tanta, ma era maledetto di
Dio. Dove si metteva e
meteva era discraziato: si ha
comperato il carretto e il
cavallo, e ciusto ciusto,
doppo 20 ciorne, stava
facento un viaggio per
Cerratana 54cheilcavalloha
tropicato 55 e l’asta del
carretto ci ha antrato nella
pancia, e ci ha morto il
cavallo. Cosí, il carretto si lo
dovette ventere e restavo
senza niente, e si ne dovette
antareafareilcondadino,che
poi non l’ha voluto fare
perché si ha fercognato. E
mia sorella cominciò a stare
senzamanciare...
Ederastatoiocheciaveva
dettoamiasorellachePaolo
Malasorte era bravo... Che ci
poteva fare che io aveva
sbagliato! Perché l’uomo
primadimaretareseenecome
aunomilone:nonsipòsapire
si ene rosso o fracito di
dentra.
Ecosí,iopenzavasemine
potesse scapare di l’Etalia
quanto non zinteva dire piú:
«Tu haie consumato 56 a
Turidda!» Ma era tempo di
dittaturra fascista e non si
poteva scapare per antare
all’astre 57, poi che io solde
noncin’aveva.
Un ciorno, mio fratello
Ciovanne, finarmente, si ha
fattofidanzato.E,finarmente,
fu il primo che si n’andò di
questa casa. Che si aveva
maretatoesiavevaimpiagato
come mutelato a Raqusa, in
una ditta. Cosí restammo 3, i
fratelle.
Mentre poi ci fu uno
concorso per postino e
Ciovannisin’andòallaPosta
di Chiaramonte. Ma non ebe
fortuna, questo Ciovanne...
che prese il posto e la sua
moglie partorio e ha fatto un
bambino morto, e leie
cascavo malata. E poi, alla
Posta ci davino lire 250, che
non ci bastavino neanche per
midecinale. Era meglio che
nonsiavessepresoilposto,e
meglio che non zi avesse
maretato, tanto manciava
sempreacasanostra.Ec’era
anche mia sorella che
manciava connoie. E quinte,
sempre erimo in mienzo la
miseria, e il povero di
Vincenzo sempre bestimiava
esemprepagava.
Cosí, io mi ne sono antato
a Catania, e Vito e Paolo
restarino a Chiaramonte.
Cosí, a Catania, vado a
cercare un certo don Ignazio
LoRusso,chequestoerauno
coltevatoredicarciofole58.
Cosí, mi ha detto: – Caro
Vicenzo,quilavoroiocin’ho
tanto e haie voglia di
lavorare!
Cosí, mi sono messo a
cogliere pomedore con li
donnechec’erinodiLintene.
Ioquardavachequestodon
Ignazio ci aveva uno tratore
chelavoravaliterreemagare
trebiava, e magare, quanto
c’era bisogno di terare acqua
per abeverare li cacorcile, lo
faceva questo trattore. E io
quardava che c’era uno
miserabole lintenesi che
lavoravaconquestotrattore,e
questostronzosisenteva,con
quellotratorechequidava,un
crantescinziato.
Poi che don Ignazio mi
aveva detto che invece di
lavorare a coglire pomedoro
doveva fare il manovale a
questo stronzo lintenese, per
portarece l’acqua quanto
c’era di bisogno, e quinte
questo miserabile mi tratava
come uno fachino, perché lui
sapeva maniciare il tratore e
io niente. Lui mi deceva che
aveva fatto una scuola per
ampararese, ma io oggiorato
che mi lo doveva imparare
magare,
perché
questo
stronzo amme mi desprezava
troppo.
Cosí, io, alla dominica,
quanto lui si n’antava
alLentine per reposarese, no
luisolosen’antavamatutteli
donne che racoglievino lo
pumedoro,iomirestavanella
masseria aposetamente per
vederesemipotesseimparare
a quidare questo tratore. E
cosí, io, restanto solo, non
penzava altro di stodiare
come poteva fare per fare
partire e come poteva farlo
fermare, questo trattore, e
come
potello
portare
allavorare la terra. E cosí,
piano piano, io mi aveva
comprato uno manovale 59,
che mi l’aveva venduto uno
micanico.
Cosí, piano piano, in 2
domeniche mi sono poco
poco imparato a quidare.
Pacienza che una volta mi
aveva butato dentra il puzzo
con tutto il tratore, perché,
invecedifaremarciaintietro,
ho fatto marcia avante, che
mi stava ammazanto. E
menomale che il tratore era
piú crosso della larechezza
delpozzoenonpotteentrare
nel pozzo, ma se poteva
entrare nel pozo, quella
dominecaiomoreva!Cheioe
il tratore ci botammo dentra
quelloprofontopozzo,edera
una morte sicura, e non
avesse sapote niente nesono
dicomeavessevenutoquesta
descrazia...
Cosí,illentinese,unciorno
checihafattomalelapancia,
si n’antò a corcarese per 2
ore. Io vedo che c’era il
tratorefermo.Ciustociustosi
ci ha trovato in giro il
padtrone, e ci ho detto: –
Permette che lavoro io con il
tratore?–ElodonIgnaziomi
hadetto:–Bravolavoratore!
Cosí, io mi ho messo
allavorare, che come mi ha
vestolui,illentinese,cascavo
piú malato. Cosí questo, per
larabiaelasopebia,epoiche
sebe che io sapeva fare in
tutte li cose meglio di luie,
quanto venne lo don Ignazio,
ci ha detto: – Vosia mi
facesse li conte, che me ne
devo antare, perché il prezzo
chemidàenipoco.
Cosí, il padrone, che era
sicurodime,nonzil’hafatto
dire2volte,checihafattola
paga, e io mi l’ho levato
davantelicoglione.
Ora io era deventato uno
segnore.Stavasedutoafareil
lavoro di uno macanico, e lo
donIgnazioLoRusso,quanto
vineva e subito non mi
trovava, per fareme priare, ci
diceva a quelle che erino lí:
«DoveeneilmioVincenzo,il
mecanico?»
Mailrespettononeramio,
perché il respetto era perché
io ci lavorava notte e ciorno,
perchéillavorochefacevaio
ci volevino tre operaie per
farlo.
La padrona poi mi diceva:
– Vincenzo, per ora faie
pacienza che lavore notte e
ciorno perché non piove,
perché vede che brutta
condezionechecitrovammo,
che,setunonfaielavorareil
tratore, li 8 sarme di terra
piena di carciofole tutte
secono.
Io recordo che era il mese
di novembre, e tutto il mese
di ottobre ancorra aveva
piuuvutounasolavolta.
Ma,unanotata,sihaaperto
il cielo con lampe e trona,
pare che avesse scopiato una
querra. Cosí, si ha scatenato
unotemporale.
Quinte, mi pareva che
quanto io ci avesse portato
questa conzolante notizia mi
avessero
detto,
queste
desoneste marito e moglie:
«Ora, Vincezo, qui c’ene la
stanza. Corchete e duorme e
areposete per una ventina di
ciorne, che ti pagammo lo
stesso», ciusto che mi
l’avevino promesso tante
volte. E invece li ho trovate
che redevino e mi hanno
detto: – Ma ora, caro
Vincenzino, che cosa ti
potiemmofarefare?
E io sempre ce deceva:
«Questa mala parte non mi
l’avete fatto vialtre, ma
questamalapartemil’hafatto
il Patre Eterno, perché ha
piuuto».
E io, tra de me, diceva
sempre: «Avoglia di fareme
bello e di amparareme il
tratore, ma sempre mi trovo
cercantolavoro...»
Ecosí,ioavevaintesodire
cheaPaternò,nellaprovincia
di Catania, c’era uno lavoro
di strada ferrata, che
dovevonoportareiltrenoper
Recalbuto 60, e questa
impresa si chiamava Di
Mavoro Benedetto, e poi
sapeva che ci lavorava uno
chiaramontano amico mio,
chesichiamavaVitoTantino.
E cosí, io e i miei fratelle
decisemo di antarece, per
vederesenidavinolavoro.
Fortenatamente, trovammo
a questo capo cantiere che
facevamagarel’asestenteeni
ci abiammo presentato, e ni
ha detto: – Che mistiere
facete? – E noi ci abiammo
presentato li lebrette di
lavoro. E si ha preso li
lebrette di lavoro e ci ha
detto: – Vialtre tutte 3 siate
fratelle? – E ci abiammo
detto: – Sí –. E cosí ni ha
detto:–Voialtresiateciovene
e, con questa qualifica che
avete,inquestaimpresaavete
voglia di lavorare! Perché
l’impresa richiede propia a
voiechesapetefareminatore,
piconiere, spacapietra e
terrazziere.
– Però, racazze, – ni ha
detto,–ilprimotronco,cheè
questo: Patarnò - Ponte di
Aracona-Carchece 61,sesta
fenento,eilcantieresesposta
questasettemana,edovemmo
antareaRecalbutoadaprireil
nuovo cantiere. Quinte,
dovete avere pacienza,
ciovenotte,cheiomiprentoli
vostre librette di lavoro, ma
però il lavoro, per vialtre,
comincia a Recalbuto con
almeno 10, 15 ciorne. E
dovete venire a Recalbuto,
che io, con queste vostre
docomente che mi porto, vi
metto imprima lista, e cosí
sieteliprimeallavorare.
Cosí, ci ha fatto mettere
una firma per uno, poi ci ha
domantato se avemmo la
tesserefascista,eciabiammo
detto che l’abiammo, e ci ha
detto: – Bravo, siate a posto!
– E l’abiammo salutato, e
arrevederce a Recalbuto fra
10o12ciorne.
Cosí, tutte 3 contiente, la
strada l’abiammo fatto con
una buona allecria, perché
avemmo trovato il lavoro in
questa crante impresa, che
aveva il nome Compagnia
Cenerale. Lavoro benedetto,
poi che abiammo saputo che
con questa crante inmpresa
c’erino
operaie
che
lavoravino magare per 30
anne!
1
siavevasciarriato:avevalitigato.
2
sistichiava:siarrapava.
3
plorito:prurito,incalore.
4
carriare:trasportare.
5
buvatte:scatoledilatta.
6
stratto di conserba: estratto di
pomodoro.
7
stampagno sempre: passavano il
tempoadisegnare.
8
per quanto lavoravino, queste
piciotte, e non mascheravino li mura:
perfarlilavorare,questiragazzi,invece
discarabocchiareimuri.
9
bistireme:vestirmi.
10
zito:fidanzato.
11
arevannoadonne:riguardoalle
donne.
12
froncole:foruncoli.
13
Mascerato:mascalzone.
14
scattare:scoppiare.
15
Genova.
16
scalone:gradino.
17
resolente:sorridente.
18
siarrecriava:sidivertiva.
19
raloggino: orologino da donna.
Inquestocaso,ricordino.
20
defettuso:menomato.
21
retapunto:lavorodicucito.
22
vacila:bacinella.
23
pannizzo:lembo.
24
asecinata:ossigenata.
25
cratese:gratis.
26
Milizia volontaria di sicurezza
nazionale(Mvsn).
27
La piazzetta del Santissimo
Salvatore.
28
percorso:rincorso.
29
Un piccolo altare sulla
provincialeperComiso.
30
nelunacasciadellacira:inuna
cassadiceri.
31
speratiche di mistiere: non
praticidelmestiere.
32
carrapipano:furbastro.
33
cammioocamio:camion.
34
palanchine:leve.
35
scepammo:togliemmoaforza.
36
Società Vittorio Emanuele II,
associazione chiaramontana di mastri
muratori e operai. Pecorai e contadini,
invece, non avevano una società di
riferimento.
37
biduzzo:abbastanzabene.
38
mascie:mastrimuratori.
39
amitiavino:invitavano.
40
damoso: dammuso,
piccolo
localeapianoterracoltettoavolta.
41
tastarelafame:provarelafame.
42
Calascibetta.
43
Villadoro, chiamato anche
VilladoroPassarello.
44
Il prefetto di Palermo, Cesare
Mori.
45
MonteAltesina.
46
Leonforte.
47
ni sentevino dire: intendevano
dire.
48
Vizzini-Buccheri-Giarratana-
Monterosso Almo - Chiaramonte Gulfi
-Ragusa.
49
Vizzini - Licodia Eubea - Filo
Zingaro - Dicchiara - Chiaramonte
Gulfi.
50
chesiatevenutoinsarvamento:
chesietetornatisaniesalvi.
51
allalarica:allalarga,lontanoda
orecchieindiscrete.
52
cilate:gelati.
53
dorcie:dolci.
54
Giarratana.
55
hatropicato:èinciampato.
56
consumato:rovinato.
57
all’astre:all’estero.
58
carciofoleocacorcile:carciofi.
59
manovale:manuale.
60
Regalbuto.
61
Paternò - Ponte d’Aragona Carcaci.
Capitolodecimo
Camicianera
A Recalbuto ci afetammo
una casa con 2 stanze. E
menomale che l’abiammo
trovato! Perché in quello
miserabile
paese
tutte
sapevino che se stava
comincianto questo lavoro e
che c’aveva una miserabile
casa,chilosapequantosolde
volevino... Ma noi fuommo
vere fortenate che la
trovammo,questapicolacasa
con2stanze,eunacucinedda
c’era, e poi che era magare
vicinoallapiazza.
Cosí, alla padrona, ci
abiammo dato lire 30 per 2
mesediafitto.
Sempre io stava vecino
all’oficio della Compagnia
Cenerale per vedere se c’era
qualche impiagato che mi
sapeva dire tutto. E cosí,
davero venne uno impiagato.
E questo ni ha preso tutte li
ceneralità e ni ha detto che,
comincianto di domane,
potiammoantareallavorare.
Il nostro capo scuadra si
chiamava Mauciere. E cosí,
alla matina, partiemmo verso
le ore 6. Cosí, revammo sul
lavoro e ci abiammo
presentatoaquestoMauciere,
che non era recalbutano ma
era del paese di Scordia,
provinciaCatania.Ecosí,luie
avevareceutol’ordineeciha
fatto sapere quello che
dovemmo fare. Questo ni
capevabenedilavoro,perché
aScordiafacevailmoratore.
E cosí, abiammo fatto la
prima ciornata di lavoro e
restammo felice e sodisfatte.
Tutto avemmo: la casa, il
lavoro e la putiara 1 per fare
laspesa.
In quella picola casa, tutte
liseresifacevafestadaballo,
senza che noi 3 fratelle
spentemmo una lira. Tutto
quello che ci voleva lo
spentevino
li
piciotte
recalbutane. Poi, quanto si
faceva uno sponzalizio,
quanto si feceva un
bastiterio 2, e quanto c’era
una contentezza in quello
picolo
paese,
subito
chiamavinoaifratelleRabite.
E
quinte,
paremmo
recalbutane.
Tutte
ni
chiamavino di tu e tu. Erimo
meglio
conosciute
di
Chiaramonte.
La luce l’avemmo a forfè.
Avemmofattoilcontrattoper
lire 5 ammese, quanto ni
conzimammo conzimammo.
Però, sempre ci dovemmo
mettere una lampadina di 25,
ma noie, per essere troppo
amice di quello che
solbegliavalilampadine,cila
metemmo magare di 50 una
lampadina.
Ma,
però,
dovemmo stare atento di non
ci fare pescare, perché, se ci
facemmo piscare, ci la
tagliavino e dovemmo stare
con il lume, perché non
potiemmo avere la luce piú.
Ma sempre abusammo
dell’amicizia, perché uno di
questeimpiagatedellasocietà
della luce ci piaceva il
devertemento e, magare che
lo sapeva, chiudeva uno
occhio.
Erimo tante felice, erimo
tantepreseperbraveeonesta
cente...
Aveva 2 anne che
stapiemmoinquestacasa.
Ma questa bella condutta
non dorò. Che ni ha detto la
testazza di campiare casa
perchéerastretta,perchénon
potemmo recevire assaie
amice,enicercammounapiú
cranteel’abiammotrovato.E
niabiammorovenato.
Cosí, l’abiammo trovato,
una casa, all’altra parte del
paese, che era con 4
stanziecedde, che prima lí
c’eral’alberico.Epoi,líc’era
il cortile, e come se antrava
nel cortile c’erino tante altre
stanzie, che l’avevino afetate
a altre 3 patornise ciovene
come noie, anze piú ciovene
di noie, che lavoravino in
questo lavoro. E queste erino
di mistiere morature ed erino
maretate di poco mese, e li
moglie l’avevino lí, magare
con loro. E poi, lí dentra a
quello coltile, c’erino 2
famiglie che avevino la casa,
e di inciuria 3 a queste
famiglie li chiamavino «li
Banbinedde», ma erino
delinquente.
E invece li patornise erino
piciotte bedde e ci piaceva il
devertimento. E come hanno
inteso sonare, si hanno
avicenato e hanno preso
subito amicizia con noie, che
impoche ciorne deventammo
fratelle e sorelle. Invece,
quelle
zamarre
dai
Banbinedde non sapevino
direaltrochemaleparolaggie
e non ci piaceva il
devertemento, sulo che
sapevino dire butane a tutte,
mentre li butane erino loro e
li cornute erino li suoie
marite.
Cosí,aquesteBanbinedde,
quanto noi nella nostra casa
presemo una stretta amicizia
con queste patornise, non ci
ha pututo pace piú 4, che
cominciaro a dire che quelle
patornise erino: butane li 3
piciotte donne, e li suie
marite erino cornute, e li
corna ci li faciemmo noie. E
cosí,noiavemmodeventatoli
piú debosciate del paese e li
piú desoneste di tutte i
forostiere che lavoravino
della linia. Perché Paolo e
macare io e Vito, vedendole
cosí fitiente, non ci abiammo
voluto dare piú compedenza.
E ci abiammo messo a casa
del diavolo 5 tutte li ciorne,
sia noie e sia li patornese,
dallamatinaallasera!
Un ciorno venne una
levatrice ad abitare nel
cortile. E quanto lo hanno
saputo quelle descraziate
Banbinedde, il bordello
invece di fenirese si ha
duplicato. Stavino uscento
pazze!
Che
queste
Banbinedde
cominciavio,
dallamatinaallasera,decento
sempre: «Erino 3 li putane e
orasono4».
Quinte,
tanto
hanno
studiato che un giorno,
quantopassavinolitremarite
di quelle patornise nelle
scalone per salire sopra li
stanze duve abitavino, ci
hanno messo tante beglietine
come quanto si fanno
l’ilezione,chequestebiglitine
dicevino: «Vedete che li
vostre belle moglie hanno la
levatrice per farese abortire,
perché li 3 fratelle Rabito li
hanno fatto uscire incinte e
vialtresiatetutte3cornute».
Cosí,lipatornise,dinottee
notte,senedivetteroantaree
hanno abandonato la casa,
perché altremente c’era di
fare una querra, in quello
cortile. Cosí queste, per non
zi volere mettere in una
crante tracedia con noie, che
3 erino loro e 3 erimo noie,
che poteva fenire magare a
bastonate e macare a
coltellate, ma secome erino
ciovene
con
molto
sentemento,primasenesono
antate in una casa di amice a
Recalbuto.
La signorina levatrice
restava molto contenta che si
n’avevinoantatoipatornisee
non ci importava che ci
dicevino
«butana»,
li
Banbinedde.Ma,però,ioche
penzava quello che poteva
socidereconquestasignorina
dentra,contrefratelle…Vero
era che ci preparava il
manciare, ci faceva tutto, ci
lavava la biancheria, passava
lerobbedifierro,malacente
certo che cominciavino a
parlare. E li Banbinedde,
dellasuabruttabocca,nonsi
saquellocheusceva...
Certocheio,cheeralopiú
crante, la chiamava alle
buono e ci deceva: –
Signorena, ora leie, se se
vuolemantenirepolita,diqui
senedeveantare.Iocicerco
un’altra casa, li robe ci le
portoio,tuttoilcampiamento
lofaccioio,leienonlafaccio
strapazare
per
niente,
quell’altracasacheiociafitto
ci la pago io, e cosí la cente
non parleno che leie stape a
servire annoie. E cosí, ci fa
una comparsa 6 di una vera
signorina e di una con il
depromadilevatrice.Eio,ni
leie, ci venco ogni sera,
perché la voglio bene assaie,
e magare i mieie fratelle ci
vencono.Elabiancheriacila
facemolavarelostesso,seni
lavolelavare.
E inutile! Non si voleva
sentirepiúdiantarasenne,che
voleva stare per forza
connoie,questacretina...
E cosí, questa levatrice,
quanto io veneva, che per
forza doveva passare davante
questa maledetta stanza, lei
saleva e io per forza ci
dovevadareconto,pernonla
fareparlare.Poi,iosemprela
voleva prentere alli buono,
per falla partire, perché per
leie era una onore, ma leie
questo non lo senteva e
sempre si abicenava. Certo
chepoiioeraunouomoeper
forzacidovevadareconto...
Io lo sapeva che questa di
me voleva a qualunque costo
essere sposata, ma io non la
poteva vedere piú, perché mi
faceva schifo di quanto
intipatia mi faceva, poi che
mi aveva improgliato, questa
butanazza, che maie in veta
sua ci avevino messo una
mano, mentre che io sapeva
che aveva magare parturito,
chel’avevamessoincintauno
bricatieredaicarabiniere.
E, parlanno parlanno, una
sera mi hanno detto: – Stia
atento, Rabito, che quella
signorinaenecomplimetente.
Cosí, una sera li mieie
fratelle si ne sono antate a
sonare e io non ci ho voluto
antare, sempre per vedere se
poteva persovadere a questa
maleducata di antarasenne di
vicinoannoie.
E cosí, io ho intrato e la
vedo che era corcata che,
comevedeme,sihamessoa
piancere, dove mi faceva
capirecheeraincintaediceva
che aveva stato propia io.
Cosí, voleva sapere di me
come doveva fare per fare
morirequellocheavevanella
pancia. Cosí io, di una
mano 7,menevolevaantare,
ma secome teneva paura che
avesse fatto uce, perché
vicino li Banbinedde lo
sentevino, piano piano, ci ho
detto:–Signorina,ecome,lo
diceamme«chedevofare?»,
che leie ene tanta sperta del
mistiere?Chisaquantoniha
fattodiquesteimproglie…E
lo vole sapere di me come
deve fare, che sono uno
uomo? Queste cose li sanno
quelleprefisionistecomeleie.
Io non posso fare altro che
vado a fare una machena 8,
tutte le spese li pago io, la
porto a Catania, e lí, a
Catania, lei, che si ha
diplomataaCatania,chilosa
quanti ni conosci di queste
che fanno aburtire a
signorine…
Maquestabutanahacapito
che io non mi la voleva
sposare, e mi ha detto: –
Aspetta uno momento che ci
penzo io, bastica tu non mi
lascie maie, che staio
penzanto una bella cosa.
Vede,
prenteme
quella
borsetta, certo che siammo
sole e quello che faciammo
nonzedevesapere.
Cosí, io ci ho preso la
borsetta, che ci aveva una
serinca.
– Ti preco di fare come ti
dicoio.
Io quardava come uno
stonato.Cosí,leisihamesso
conlafacciainarto,lecampe
aperte quanto piú assaie
larechechelipotevamettere.
Cosí,ionondovevafarealtro
che prentere quella serinca,
che leie ci aveva messo un
liquitocheiononsapevache
cosaera,ecosíio,conlimiei
mane, doveva mettere il
becucio di questa pomba
dentralasuabutananatura,e
cosí doveva premire questa
picola pomba, e cosí mi
faceva
capire,
questa
butanazza, che si abortia e si
lovava questo penziero di
essereincintadime.
Io, a prima parola, ci ho
dettodisí,chelofaceva;poi
penzava che, una volta, un
certo Caetano Nicosia di
Chiaramonte, per fare questo
lavoro con una donna amica
sua, propia lo stessa sestema
chefacevaio,ladonnaamica
di Caetano Nicosia stapeva
morento e lo hanno
condannato 5 anne. E cosí,
penzavacheiodovevaantare
a fenire in calera, poi che,
come io ci stapeva mettento
quello becucio dentra quella
schefosa natura, tanta bella
questa butana (che non era
forse che si ha fatto male,
opure lo faceva a posta per
farese male) per fareme
impresionareamme,vedoche
comincia a piancere. E mi
hanno preso li nerve. E dissi
tra me: «Lascio strafottere
quello lavoro». Mi sono
misso a bestimiare. Lei, che
era troppo releciosa, che non
volevacheiobestimiava,siè
arrabbiata.
Allora, mi ne vado là
sopra, nella mia casa, e non
nevollisaperepiúniente.
Io aveva fatto una
domanda di candoniere
all’amministrazione
provenciale di Raqusa, e mi
l’aveva fatto fare il barone
Recotta, che luie era
conzigliere provinciale e mi
aveva
assecurato
che,
ammano suoi, tutto riosciva.
E con questo barone sempre
io era a contatto, perché mi
scriveva.
Cosí, parto e vado a
Chiaramonte. E, come revaie
a Chiaramonte, vado alla
ministrazione provenciale a
Raqusa e mi hanno detto che
per docomente ci voleva di
mandare il certificato di 5
elimentare, che io non ci
aveva neanche quello di la
primaelementare.
Cosí, vado a cercare al
professore Sceverio Nicastro,
e mi ha detto: – Citadino
Vincenzo, ora vediammo che
cosa potiammo fare, ma tu
che fa, non ni saie di niente
lecire e scrive? – E io ci ho
detto che sapeva qualche
cosa,tuttascuolafattadame.
E lui mi ha detto: – Quale
libirohaieletto?–Eiociho
detto:–Illibrodell’Operadei
pupe della storia dei palatine
di Francia, e il libro del
QuerinoilMeschino9.
Cosí, mi ha detto che
questo mi bastava quanto era
ora di fare l’esame: – Che ci
vogliono 10 ciorne, che ci
sono altre 4 ciovenotte che
hanno fatto domanda per i
carabiniere. Cosí, la faie
anche tu, non ti pricupare,
citadino Vincenzo (poi che
sapeva che io era un fascista
della prima ora), che fra 10
ciornetucihaieilcertifecato
della 5 elimentare sicuro,
basticastudie.
Cosí, luie mi ha dato uno
libiro di mitemedica 10, e io,
per 10 ciorne, facento
nomera, che stavo tutte li 10
ciorne dentra a fare
moltiplicazione, divisione e
adezione...
Cosí,alle10ciorne,fuura
di fare l’esame, e fui stato
promosso. E cosí, Vincenzo
Rabito a 30 anne, senza
antare alla scuola, ebi la
fortuna di avere le 5
elimentare, che mi ha parso
unsogno.
E cosí, con tutte li
docomente, li ho presentato
all’amminestrazione
provinciale.Ma,conlileccie
di Mossoline, uno che era
senza maretato era lo stesso
di essere procirecato 11: non
aveva nesuno deretto a uno
posto.
Io non mi aveva voluto
maretare perché non aveva
auto maie solde e per non ci
tare li mieie figlie alla
miseria, come ci l’aveva
butato il bon’arma di mio
padre, 7 figlie alla miseria,
prima di morire. Ma
Mossuline, della miseria, ci
codeva, perché piú figlie
nascevino,luiedicevachepiú
fortedeventaval’Italia.
Cosí, ci n’antiammo con il
barone Recotta dal generale
D’Ancilo, per fareme magare
arracomantare, e 4 coniglie
mi ci ha fatto portare. E con
tante racomandazione che
ebbe, non ebbe fortuna,
perché li puoste erino per
quellecheavevino4figlie.E
io, con una racomandazione
di uno cenerale e di uno
barone e 4 coniglie, e tante
viaggiedistradaapiedeciho
fatto da Chiaramonte a
Raqusa,nonfecieniente.
Il monto era contrario
amme. Con tante prevelegge
che io aveva... che magare
nella domanda c’era il
doproma di compatente e
decorato, e non valevo
uncazzo!
Cosí, un’altra volta mi
sono trovato a Recalbuto al
lavoro nella linia, e aveva
ciurato che non ci doveva
retornarepiúpernonvederea
quelladescraziatalevatrice.E
aveva voglia di dareme la
testa mura mura per
allontanareme perché mi
faceva intipatia, ma sempre
l’avevadavantealicoglione!
A Recalbuto, propia di
frontedellanostracasa,aveva
venuto un crante personaccio
senticalistascuatristafascista;
chemaritoemoglieerinodel
paese di Mussoline e poi
marito e moglie erino orfene
di querra. Ed erino un Patre
Eterno per la provincia di
EnnaeabitavinoarRecalbuto,
perché quanto ci n’erino
operaie a Recalbuto, perché
c’eraillavorodellalinia,non
ci n’erino neanche in tutta la
provincia; e il duce l’aveva
mantato a Recalbuto per fare
propaganta lui e sua moglie,
perché stava per scopiare la
querrainAbisinia.
Cosí, queste romagniole
sono acente allecrie, ci piace
il vino, ci piaceno li
devertemente,esecomenella
nostra casa tutte li sere
c’erino tante piciotte che
sonavino,conquestemaritoe
moglie, ci ho cominciato a
prentere amicizia, io che era
fascista della prima ora.
Quinte, ci chiamammo
«camerate». Poi che lui
sempre portava la camicia
nera, io alla domineca mi la
meteva sempre, perché, in
quei tempe, se uno voleva
essere respetato, bastica alla
domineca usceva con la
camicianera.
E cosí, io ho profetato
dell’amicizia e ci ho detto: –
Cavaliere Isola, – che il suo
nome era quello, – ci voglio
racontare una inciustizia. Ho
fatto una domanta di
candoniere provenciale e mi
ha stato respinta, mentre che
li mieie docomente avevino
piúvaloredellealtreeinvece
iononfuamesso.
Cosí, questo cavaliere
Isola, che era molto
intellecente e capeva tanto,
mi ha prese li docomente, li
haletteemihadetto:–Ora,
caro Rabito, ti faccio vedere
quello che sape fare il
cavaliere Isola. Scrivo una
lettra alli mane propia del
nostro duce e ci dammo una
bella lezione al profetto di
Raqusa.
Malamogliehadetto:–Ci
lo voglio fare io questo
piacere a don Vincenzo.
Invecedimandallaalduce,la
mantiammoasuafigliaEdda,
che noie siammo amice di
infanzia, che mi responte piú
subitodisuopadre…
Cosí, una sera, io mi
trovava nella sezione del
fascio, che liceva il ciornale
cosí bello serio, senza
penzareaquestalettera,emi
sento chiamare di uno
apontato dai carabiniere. E
secome erimo 3 lí dentra
quella socità del fascio, e mi
hadetto:–Cheenedivialtre
3 che si chiama Rabito
Vincenzo? – E responto
subito: – Io –. E mi ha
chiamato di parte. E quinte,
mi ha detto: – Lei che fa,
lavora o non lavora qui? –
Sempre con una autoretà
spaventusa.Comefannotutte
livedane 12 che senne vanno
neicarabiniere.Io,perdirela
veretà, ci ho detto: – Io,
apuntato,lavorotutteiciorne,
e
magare
faccio
stravordinarioalladominica.
Cosí, l’apuntato mi ha
detto: – Va bene, mi mette
per faore 2 firme che leie
lavora? – E si n’antò. E con
quello apontato non ci
abiammovistopiú.
Io ci aveva deto di sí,
sempre per questa paura che
io aveva per quella brutta
donna della levatrice che ni
avesse potuto denonziare
come io fosse ummagnaccio
che manciasse senza lavorare
e campasse alle spalle de le
donne.
Poi,hannopassato3ciorne
e penzaie di quella lettra, poi
chelasignoraIsolamifaceva
segnale del barcone, che
voleva sapere se mi aveva
revatoqualcheletra,perchéla
sua amica ci aveva resposto
chel’avevaacontentata.
Cosí,io,percoresetà,vado
alla caserma a cercare
all’apuntato per direce che
cosa era quella chiamata. E
c’era il bricatiere che mi
conosceva, e mi ha detto: –
Nente, Rabito, era una
chiamata del minestero.
Volevinosapereseleielavora
oenedesocopato–.Epoi,mi
ha detto: – Che ha fatto
qualche domanda per lavoro,
leie? – E io sobito mi sono
recordato che aveva fatto il
recorso all’amministrazione
per il fatto di cantoniere.
Cosí,mihadettoilbricatiere:
– Noi ci abiammo mantato a
direcomehafermatoleie,che
lavora tutte li ciorne, e
magarealladomenica–.Etra
medisse:«Misonorovinato!
’Stacopiladimincia!»
E quello ciorno, il
dispiacere che io ho provato
hocascatomalato.Ecosí,mi
voleva avelinare, dello
sbaglio che io ho fatto a
direce all’apuntato che io
lavorava
magare
alla
domenica. Mi miretava una
bastonatanellatesta!Etrame
diceva:«Avogliadivolereme
fare bello, ma quanto l’uomo
nonavefortuna,comenonci
n’ho
io,
curchite
e
duorme13!»
Ma il cavaliere Isola si
aveva
informato
come
avevino stato li fatte e mi ha
detto: – Caro Rabito, ora
l’Italia prente l’Impero, e
tutte l’italiane avoglia di
lavorare14!
E io, tra di me, diceva:
«Cosísolominepossoantare
diquestamaledettaterra…»
Perché tutte li ciornale
portavino che chi voleva
partire volentario, parteva
camicia nera. Ma io penzava
che soldato nella querra del
15,18niavevafatto5annee,
separteva,nondovevapartire
perfareilsoldato,chemoglie
e figlie non ni aveva, perché
c’erinotanteasegne,equente
solo a quelle sposati
conveneva. Io, se faceva
domanda, la faceva solo per
antare allavorare. Perché di
camicianerasiquadagnavino
lire 5 al ciorno, mentre per
lavorare si ne quadagnavino
40.
Io penzava che aveva 35
anneenonavevaneancheun
soldo messo da parte,
penzavacheaveva4anneche
era a Recalbuto che lavorava
nella linia e non aveva fatto
un cazzo, e quinte penzava
che la bellissema vita di
ciovenotto sta per fenirese e
non aveva conciuso niente, e
aspetava questa partenza per
potereme salvare o pure
potere farla fenire ancora piú
peggiodellavitacheioaveva
passato.
Cosí,unamattina, vado in
piazzaperentrarealcomando
del fascio, quanto vedo che
entra a quello comando
quello
commendatore
bastardo
di
Castrenze
Nascarossa di Chiaramonte.
Iosapevacheeraunaspiadel
Crante Conziglio del nostro
amatissimo Doce. E cosí, io
sapeva che se ci domantava
unfavorelofacevalostesso,
e anzi miglio del cavaliere
Isola, perché Mussoline era
attorniato di tutte queste
mascanzona. E cosí, mi ce
sono presentato, e mi ha
detto:–OVincenzo,chitice
porta qui? – E io ci ho detto
chelavoroinquestalinia,ma
ora si sta fenento questo
lavoro–.Cosí,mihadetto:–
Che haie bisogno cosa,
Vincenzo? Sono a tua
completadisposezione.
Tutte la cente mi
quardavino che io aveva
compedenza con questo
crante personaggio e si
merevigliavinotanto.Cosí,ci
hodetto:–Commentatore,io
volesse antare all’Africa
come lavoratore, che qui ave
4 anne che lavoro e sono
sempre senza solde –. E luie
mi ha detto: – Ora, caro
Vincenzo,tinevienecomme
in machena, che ti porto a
Ennaetifacciopartirefra4,
5ciorne.
Cosí,
subito
subito,
antammo a Enna, mi ha fatto
parlare con quello che ci
aveva queste desposezione
che faceva partere per
l’Africa.
– E cosí, ti assecure che
parte.
Io certo lo sapeva che
questo era importante con il
fascismo, ma non sapeva che
macareilprofettosihamesso
sol’atente di fronte a questo
CastrenzeNascarossa.
Cosí, mi ha portato in
questo oficio, mi ha fatto
mettere 2 o 3 che forino
firme, e mi ha portato alla
stessa sera a Recalbuto. Ci
abiammosalutato,conquesto
crante mulo: lui partio per
Catania e io mi ne sono
antato a cercare al mio
fratello Paolo a portarece
questa bella sopresa, che io
miavevafattoracomantaredi
questoNascarossaperfareme
partireperl’Africa.
Io, alla matina, quanto
antava
allavoro,
tutte
avemmolobommolillo15con
l’acqua, ognuno di noie.
Recordo che faceva cardo,
tutte si n’antavino sotta li
albere, tutte mitevino l’acqua
al fresco, ma io niente, per
allenareme. E io, Vincenzo
Rabito, cominciava a fare
sacrifizie, perché da uno
momente e l’altro mi veneva
la chiamata per antare
all’Africa allavorare e fare
solde. E tutte si metevino il
capellopernonziabruciarela
testa e Vincenzo Rabito
niente,
e
camminava
scucuzone 16 sempre, per
allenarese
per
quanto
lavoravaall’Africa.
E in 8 ciorne davero ho
partito, che lasciaie a mio
fratellopiancento.
Cosí, revaie a Enna, come
per partire per lavoratore, e
invecec’eraunbattaglionedi
camice nere che dovevino
partere per l’Africa, tutte
volentarie. E io, come mi ho
intesochiamare:–Lacamicia
nera Rabito Vincenzo, qui
eneiltuozaino,iltuofucile,
–mihaparsochemiavessero
dato una pugnalata nella
schiena. Io non potte parlare,
perché mi avevino fatto
mettere 3 firme con li mieie
propiamane.
Cosí, in quello momento,
se io avesse visto a quello
mulo di Castrenze, ci avesse
sputato in facia, magare
davante al prefetto, perché io
aveva magare il testimone
cheioavevafattoladomanta
perlavorare.
Poi che era tempo di
dettatura e doveva obidire e
combattere, e poi che tutte li
comantante ci facevino
coraggio che ci dicevino:
«Per ora partiemmo, e poi
quanto siammo all’Abissinia
cigongedammo»,cosí,io,per
forza, mi dovette fare
convinto, perché altremente
venevadenonziatocomeante
fascista.
Aveva tanta rabia che mi
sono muzicato le mane che
erino li mano che ci avevino
messo la firma, e quinte mi
aveva pognalato con li mieie
mane.
Cosí,mihannodestenatoa
uno battaglione che il
comantante era un maggiore
di Palermo. Che questo
maggiore, quanto l’abiammo
visto per la prima volta con
quella lonca barba e quelle
occgie crante, per me mi
apparso non uno maggiore
padre di famiglia, ma per
contomiomiapparsounodei
piú potente brecante della
delenquenza della nostra
delequenteSicilia.
E queste battaglione è che
erimo scerte, e dovemmo
antare a conquistare Adissa
Bebba. E provesoriamente
dovemmo
antare
a
raggioncerePalermo.
Cosí, ci hanno portato alla
stanzione di Enna con una
bellissima manefestazione e
con una crante folla di
acompagnamento di tutte li
cagliadette di tutte le ciovine
fascistemaschileefiminiledi
tutta la provincia, e tutte li
auturetà della provincia, e
tutte li professore e maistre;
poi ci ha venuto il profetto e
la moglie, il costure e la
moglie del custure. Cosí,
d’ognunocihannofattoilsuo
dono.Tuttecihannorecalato
pachette di dolce, pachette di
sicarette, borse di polizia,
magare solde ci hanno
recalato,emagare,perfarene
partire allecre, ci hanno
baciato, tutte quelle ragazze,
perl’amorediPatria.
Ecosí,inciornatafuommo
a Palermo, che a Palermo
trovammo la stanzione piena
di bantiere e cagliadette di
tante paese, che spetavino
cammicenereditutteipaese
dellaSicilia.
Io era remasto molto
contento di questa bellissema
manefestazione, perché in
vita mia tante recale non li
aveva visto maie, neanche
quanto avemmo venciuto la
querradel1915,cheavemmo
destrotto li 2 crante impere
del monto, Austria e
Cermania, che ci hanno
tratato, alla fine, peccio dai
pricioniere austriece. Mentre
oggi li tempe sono campiate:
era una propaganta troppo
patriottica che, di dove si
passavaepasava,cibatevino
limane.
Quinte, noi camice nere
partente avemmo tante
prevaleggie: camminammo
fascisticamente con un
bellissemo pognale, con una
bellisema tenuta coliniale, il
casco con un paio di uchiale,
che erimo per quattro volte
d’atoritate della polezia.
Annoie non ci deceva
nessuno niente, faciammo
bordellopertutteliparte:nei
cine, nei tiatre, nei casine, e
per tutte li parte avemmo
fatto
raggione,
perché
dovemmo antare all’Africa a
combatere e prentere la
capitale abesinia, e perché
erimoefaciammopartedella
devesione Starace, che,
questa divesione, ci facevino
capirecheeralapiúvalorosa
devesione di tutta la Milizia
di sicurezza nazionale del
nostro
amatissemo
Mussolino. Poi che erimo
armate come tempo delli
Ardite della prima querra,
quaiechecidicevacosa!Noi,
magare che erimo dalla parte
del torto, con quella devisa,
sempre avemmo raggione;
avemmo il pognale e la
pistola.
Infatte, una sera volevamo
andare in uno cinimo che
c’eraunapellicolabellissima,
e, in quello cinima, per i
borchese che pagavino non
c’era neanche un posto
all’impiede, perché era pieno
quel cinima tutto di camice
nere, che il padrone del
cinima per quella sera non
potevaincassareneancheuna
lira.
Cosí,arrevannoaunodato
momento,dinoimilitenonci
ne voleva fare entrare piú,
perché voleva fare entrare a
qualche borchese per fare
solde.Equellaseracihastato
una crante manefestazione di
protesta, tutte contra quello
padrone, che stava fenento
magare a bastonate e a
pugnalate.Chepoimenomale
che si ha trovato a passare
una signora che forse era
qualche prencipessa fascista,
mogliediqualchedubitato 17
fascista scuatrista, recona, ha
vistotantobordello,hacapito
che erino camice nere fuore,
che il padrone voleva fare
trasere alle borchese, tanto
per prentere li solde per
potere pagare la luce quella
sera. Cosí, questa grande
signora si ha fatto lareco, ha
chiamato al padrone del
cinema,apreilborselinoeha
pagato tutto, non per quella
serasolo,mamagarepertutte
le ciornate che noi partente
dovemmo stare a Palermo,
voldire per ciorne 10. E poi,
comehapagato,alpadroneci
ha detto: – Vercogna, siete
contrarieallanostraPatria!
Poi, tutto il battaglione ci
hanno messo sopra a una
naveelasciammoPalermo,e
il battaglione partio per
Napole.
Come revammo anNapole,
cihannofattopiúfestaancora
della Sicilia. C’era un altro
battaglione napoletano che
dovevavenirepureall’Africa
orientale. Cosí, ci hanno
destribuitounaltrotessereno,
che c’era scritto: «devisione
Starace». E questo tesserino
eralostessocomequelloche
ci hanno dato a Palermo:
cinemafranche,teatrefranche
e l’autobosse e tirampe tutte
franche,epotemmoviaggiare
senza solde, e magare che
prentemmoiltranfepotemmo
antare per 15 e 20 chilomitre
dilontananzasenzapagare.
Cosí, io mi ne sono antato
a cercare al mio amico
Ciorcie Nobile, che era
all’infermaria, e ciusto che
avemmoiltesserinochedove
volemmo antare antiammo
senza pagare, e dissemo:
«Ora ci faciammo una cerata
perleperefarieiediNapole».
Ci abiammo allontanato
unaventinadichilomitre,eil
trampe si ha fermato propia
allapiazzadovec’eralaCasa
del
fascio.
E
cosí,
avecenammo alla Casa del
fascio, ma erimo molto
impresionante con quella
divisa di coloniale che
avemmo,cheancorainquello
picolopaesieddovestitecome
noie non ni avevino visto.
Cosí, ci cominciaveno ad
atorniare speciarmente li
ciovene fasciste. E cosí,
sfaciatamente, io e Ciorcie ci
abiammo improgliato con
molta serietà e sfaciatacine
che noie erimo venute
anNapole con una nave
carreca di ferite, che
veniemmodell’Abissinia,che
avemmo stato a compattere
nella presa di Machelle 18. E
ilsecretariopolitecodiquello
vellaggio, sentento che noi
avemmo stato alla presa di
Machelle, non si l’ha fatto
dire 2 volte e ni ha fatto
afaciare del barcone del
munecipio, che di sutta c’era
la Casa del fascio, che per
forza ci dovette fare dire 4
parole a tutte quelle ch’erino
li presente: che cosa era lo
«bello Impero» che l’Italia
fascistastapevaconquistanto,
che cosa era la «nostra
Padria» e che cosa stava
deventantol’ItaliadelDuce.
Cosí, quelle acente, tante
impresionate,
hanno
cominciato a comperare
sicaretteetantebellerecale!
Io ci deceva a Ciorcie: –
Fosse meglio che ci
n’antassemo –. Quardava lo
raloggio e non vedeva l’ora
che venisse il trampe, per
quanto ni lovassemo di tutte
quellapopolazione,cheerimo
atorniate di piú di 100
persone, tutte che ni
quardavino con uno speriddo
diPadria.Cheioerapresodi
paura... Che ci miretammo
una feschiata e umpaio di
tempolune sulla faccia, che
l’avemmopresoperfessa...
Cosí,lanavepartio.
Io sempre mi la faceva
sopra coperta per quardare il
mare: e come revammo alla
derezione di Trapone e io
quardava, e come revammo
nella derezione di Cela io
vedevamagarelimontagnedi
Chiaramonte, che c’era la
visabilitàdi50,70chilomitre,
e
diceva:
«Addio
Chiaramonte, chi lo sa se ci
vediammo». Perché la querra
iol’avevafattoenellaquerra
ci sarà il 60 per cento di
potereretornare.
Cosí, sempre in ciornata,
hovistoSiraqusa,epoinonsi
ha veduto niente terra piú,
tutto acqua. Ma, quanto
passavino 4 ciorne, li
marenaie
dicevino
che
dovemmo arrevare al Porto
Saite 19, ma chi diceva 8
ciorne, chi diceva 7 ciorne,
per arrivare al canale di
Suvezzo20.
Ma io non so, tutte non
sapemmo che fommo tradite,
perché a la nave ci hanno
fatto campiare rotta, e invece
di antare all’Africa orientale,
ci hanno portato nel porto di
Tobruch, che non aveva
niente che fare con
l’Abissinia.
Cosí, tante sperte, che ci
avevino stato a Tobruche,
dicevino:«Chebellacosache
cihannofatto,chetradimento
che ci hanno fatto, che
avemmofattoladomantaper
l’Africa orientale, e inveci ci
hanno portato nella piú
abruciata terra che aveva
l’Italia...» Perché era uno
miserabiledeserto.
Poi, piano piano, ha salito
ilcomantantedelladevesione
Cirene – che noie piú non
facemmopartealladevesione
Starace, ma faciammo parte
alla devesione Cerene – e ci
ha detto: – Camicenere!
Vialtre, perché siete partite
dall’Italia, certo che siete
partite per defentere la
Padria!ElaPadriasidefente
ovunque il soldato si trova!
Quinte, il Duce ci ha voluto
qui e dovemmo obidire di
starequi!
E tutte cridammo: – Siate
desoneste, che ci avete
portato qui! – Magare che
diciammo«desoneste»nonci
decevino niente, perché li
superiore lo sapevino che
avemmoraggione.Cosí,tutte
abiammo fatto la volentà di
Dio, e io, da parte mia, ho
detto:
«Ormaie
fui
condannato innucente e devo
bestimiaresempre».
Cosí, c’erino pronte 50
camie,ecihannocarrecatoe
ci hanno portato 50
chilomitre
lontano
di
Tobruche,
nel
deserto
marmarico. Tobruche era
pieno di soldate di tutte li
corpa, si vedeva che c’era
uno prencipio di una querra.
Machenipotevacapire21?
Cosí,
nel
deserto
marmareco c’era uno campo
di aviazione, tutte li terre
erinosabia,tuttestavinomale
chi è che antava lí, ma
pacienza. Ci hanno fatto fare
li tente, l’acqua ci la
portavonoconlibotte.C’era,
nell’acqua, uno pechetto
armato di 10 milite, e poi
c’era l’olario quanto si
doveva destribuire l’acqua,
che ci ne tocava 4 litra al
ciornoperlavareeperbire,e
quello era tutto il bene che
noie avemmo. Poi, c’erino
tante moschie, che sempre
l’avemmo adosso, pare che
noie fossemo tutte vontate 22
dizuchero.
Cosí, il nostro crante
mascanzone maggiore di
Palermo ci ha fatto una
parlata, dove ci ha detto che
fra una ventina di ciorne al
massemo, uno mese, ci
chiamano e antiammo in
Abisinia.Poicihadetto:–Io
minevatodiqua,chetuttein
una posezione non potemmo
stare, ma quanto reconoscite
che
vi
maletrateno,
facitamillo sapere, che io a
questechenonvirespetonoli
mettoaposto!
Equestocrasto23sin’antò,
si n’antò e ci ha preso per
fessa...
Il deserto marmarico era
unaterrasenzaacquaesenza
albere.Epoie,quantoc’erail
chilbbe 24era ancora peggio.
E questo chlibe era un vento
caloroso, che tutta la sabia
antavaperarioeper8ciorne
nonsipotevacamminareesi
dovevastaresottalitenteeli
ocheneanchelipotevaaprire,
e poi quanto si manciava
doveva manciare per forza
sabia.
E poi li desoneste nostre
comantante, tuttu quello che
ci davano per manciare,
prima si dovevino abuffare
loroepoilodavinoannoie.
E questa era la vita
desonesta del fascisemo: che
lavoravamorevadiseteeche
non faceva niente beveva
acquaassaie,fresca,emacare
lipallesilavava.
Noi che avemmo inteso
dire che ci doveva fare una
revista
questo
cornuto
maggiore, aspetammo con
uno endusiasticità... Cosí,
davero, un ciorno venne il
portaordine edisse che verso
li ore 4 doveva venire il
maggiore.
Tutte noie aspetammo che
questo malacarne ni avesse
datoragione,einvecenonfu
cosí, tutto al contrario. Che,
questo,liprimeparolecheha
dettofurono:–Cammicenere
volentarie, che avete fatto
domanta per venire a
compatere! Non voglio
sentiremaiemaierecramarea
una camicianera del 3
Battaglione, che sono io il
comantante! Non voglio
sentire assolitamente una
camicianerechedice:«Ilmio
rancio è poco»! Non voglio
sentire dire: «Il mio caffè è
poco
e
amaro»!
La
camicianera, si è vero
camicianere, deve cantare
sempre!
Cosí, tutte noie, invece di
baterecelimano,cineforeno
tante di dietro che ci
fischiavino,emagarequalche
scorrecciacihannofatto.
E
cosí,
il
nostro
battaglione,chequantoaveva
partito di Palermo era
chiamatounodeipiúvaleroso
battaglione delle camicinere
d’Italia, era deventato uno
battaglione di scapistrate e
dilenquente d’Italia. E per
questo il partito fascista ha
cominciato a fare schifo, per
certe oficiale che facevino
camurra, non per il duce.
Perché tante erino oficiale
senzafarel’Academiaesenza
fare li soldate, educazione
non ni potevino avere e non
ni potevino imparare, perché
erino state fatte oficiale nella
solamarciasoRoma.
Cosí, venne un ordine di
fare un’altra linia di difesa
nella stessa zona marmareca,
con crante ante carre e
piazole di mitragliatrice e di
cannone.Cosí,mihannofatto
camicia nera scerta per
anzianetà, che questo crado
nell’esercito voleva dire
«caporalemaggiore».
E mi hanno dato una
scuadra per fare questo
lavoro.Maammeillavoromi
piaceva.Epoichemiavevino
detto che lo pagavino benee
poie che il Cenio ci aveva
dettochemagarec’eranolire
500, che lo davino al capo
scuadtra che lavorava piú
asaie di tutte li scuadre, e
cosí, io fu il piú contente di
tutte li capo scuadre, e
diceva: «Menomale che ci
pagono, e menomale che
c’ene questa leggie». E cosí,
potevaprenteresolde.
Recordocheoffatto4mese
dilavoro,ealtri10meseche
io aveva fatto in Libia, e si
parlavacheilnostrocompito
cià di noie camice nere era
fatto, che di lí ci avevino a
portareoconcedateinItaliao
in Africa orientale come
cammicenere.
E poi, un ciorno, venne il
cenerale che comandava la
nostra devesione. E con la
venuta di questo cenerale si
dovevasapereachidavinoil
primio di lire 500 e ci
dovevino magare pagare,
perchéquestolavoroerastato
sotta la derezione del Cenio
militare.Ecertocheioaveva
tante tistemone che dicevino
che io aveva lavorato piú
assaieditutteliscuadtre,che
c’erino 2 capitane che lo
conformavino.
E il primo premio lo
doveva a prentere io, e il
primo ad essere chiamato
dovevaessereio.
E il cenerale cominciavo a
chiamareilprimo,eilprimo,
invece di chiamare amme,
chiamareno
a
uno
palermetano, e io cominciai
arrabiareme, chiamareno il 2,
ederaunaltropalermetano.E
propia quelle che hanno
chiamatoperdareceilpremio
erino propia li 2 camice nere
che lavoro non avevino
voluto maie, sempre avevino
marcato
visita,
sempre
nell’acampamento avevino
fatto bordello, che non solo
che non antavino allavorare
loro, ma non facevino
lavorare alle altre; poi erino
sempre umpriache, e perché
erino paesane del maggiore
noncirecevino25niente.
Ma poi, io venne a sapire
che queste apartenevino alla
delinquenzadiPalermo,eper
questoilmaggiorecihadato
il premio, perché il maggiore
stesso teneva paura di queste
2palermitane...
Cosí,
aspetammo
il
congedo.
Poi c’era uno capitano che
sempreavevailpiacerecheio
mi n’antasse all’Africa
orientale con luie, come
camicia nera. Ma io
scandalizzato della prima
partuta di Enna, quanto mi
avevino assecurato che io,
partento per camicia nera
all’Africa,micongedavaemi
n’antava allavorare, e mi
hanno fotuto 2 volte, e
cercavadinonmifarefottere
un’altra volta. Ma il capitano
sempre mi lo repeteva:
«Rabito,ascoltaamme,viene
inAfricacomme,chepoiioti
faccio congedare». Ma io
semprecidicevadino.Epoi
sempre mi diceva: «Mi
carentiscio 26 io, che ci ho
umparentenelCeniocivile,e
subito ti faccio antare
allavorare». Ed io sempre
dicenduce di no. Ma questo
figlio di butana capitano, la
firma nello recistro dei
partente, ci l’ha messo luie,
facendo ficurare che ci
l’aveva messo io, questa
firmma,perchéc’eral’ordine
che li oficiale, che ene che
voleva antare in Africa
dell’oficiale, prima dovevino
avere il numero delle camici
nere,perpartire.
Cosí,iohodettotradime,
senza che non lo sapesse
nesuno, di carrecareme tutta
la mia robba di notte e
scappare a piede e antare a
Tobruche – che c’era uno
amicomiosicilianochecome
borcheselavoravaaTobruch,
che ci aveva magare la
famiglia –, e io pensava di
27
scaparaminne
e
nascontereme in uno casino
dibutane,equantopartevala
naveperl’Africaorientale,io
usceva... senza penzare però
che io, quanto mi n’antava,
segnifecava che mi davino
desalture,chepotevaantarea
fenire in calera. E cosí,
davero,fece.
Cosí, hanno passato 5
ciorne e io uscie da quella
butana che mi ha salbato, e
partie. E mi ne sono antato
dal siciliano a prentereme li
robe e mi ne sono antato al
porto per imparcareme per
Palermo.
Ecosí,aPalermorevammo
alla fine di acosto, con il
primedisetembredel1936.
1
putiara:bottegaia.
2
bastiterio:battesimo.
3
inciuria:soprannome.
4
non ci ha pututo pace piú: non
l’hannomandatagiú.
5
ci abiammo messo a casa del
diavolo: abbiamo cominciato a litigare
dicontinuo.
6
comparsa:bellafigura.
7
di una mano: tanto per
cominciare.
8
vado a fare una machena: vado
adaffittareunamacchina.
9
GuerinMeschino.
10
mitemedica:matematica.
11
procirecato:pregiudicato.
12
livedane:glizoticoni.
13
curchite e duorme: coricati e
dormi.
14
avogliadilavorare:neavranno
dilavoro.
15
bommolillo:borraccia.
16
scucuzone:conlatestascoperta.
17
dubitato:deputato.
18
Macallè.
19
PortoSaid.
20
CanalediSuez.
21
In seguito alle mire
espansionistiche di Mussolini nei
confrontidell’Etiopia,laGranBretagna
aveva inviato nel Mediterraneo la sua
Home Fleet, minacciando direttamente
il territorio italiano della Libia.
Mussolini
aveva
cosí
dovuto
rinforzarneladifesa.
22
vontate:pieni.
23
crasto:cornuto.
24
chilbbe:ghibli.
25
recevino:dicevano.
26
carentiscio:garantisco.
27
scaparaminne:scapparmene.
Capitoloundicesimo
Licantieredell’Ogadenne
Io, che aveva quella testa
di antare affare solde
all’Africa, non lo perdeva
maiequellopenzierod’antare
all’Africa.Macarecheantava
a morire di fame, era tanto
impresionatto di questa
Abissinia che per forza
volevapartire.Cosí,offattola
domanda e mi ha venuto
subitoaccetata.
E tutte mi decevino che io
antava cercanto la morte con
la lainterna. E poi, tutte mi
decevino che aveva stato a
Tobruch e aveva dimacrito 6
chile: «E ora che ti staie
remetento, ti vuoie rovenare
un’altravolta?»Maiosempre
ci deceva che: «Voaltre
coraggio non ni avete di
antare, se bisogno c’è,
magare a casa del diavolo,
bastica si fanno solde». Poi,
mi dicevino che ancora
all’Abisiniac’eralaquerra,e
io questo non lo voleva
sentire.
Mentre,inqueieciorneche
io aspetava la domanta, mi
recordochedormiemmotutte
inquellodammoso,perchélo
Malasorte non era stato
capacediaffettareseunacasa
e abitava con noie. E nascio
Vannino. E cosí, mia sorella,
inveci di averine 2 figlie, ni
ave3figlie,eavevinovoglia
dimoriretuttedifame!
Quanto ho partito, mia
madremihachiamato«figlio
perso», perché si credevino
cheiodil’Africanonturnava
piú, perché se senteva dire
che all’Africa si moreva. Ma
io non mi ne corava, perché
diceva che la terra di
l’Abissinia non poteva essere
piú miserabile di quella di
Tobruch, e pure io ci sono
stato piú di uno anno e
retornaie vivo. Cosí, ho
baciatoatutteepartie.
AnNapole c’era li nave
pronte,
e
abbiammo
imparcato. E recordo che era
il primo febraio, che il
Carnevalequelloannoveneva
il ciorno 8. E abiammo
imparcato in una nave crante
che portava piú di 6.000
passaggiere, tra operaie che
antavino all’Africa per
lavorare e tante donne che
antavino all’Africa che
avevino stato chiamate delle
loro marite, e tante soldate e
tanto matriale di querra e
tantemule,cavalleescechie,
etantemezeetantomanciare
cheservevaall’Africa.
Quinte, questa crante nave
mifacevailcontocheportava
lapopolazionediumpaesedi
Chiaramonte. E io diceva tra
me che questa volta era vero
chestavaantantoall’Africa.
E cosí, doppo 25 ciorne di
navicazione, eremo revate a
vedereliterrediMocadiscio.
Ed era il ciorno 25 febraio.
Amme mi pareva un sogno.
Cosí,tuttecredavinocantanto
«Facettanera,bellaabissina».
La nave si ha fermato quase
15 chilomitre o a 10
chilomitre di Mogadiscio di
lontananza, perché la nave
non poteva avicenarese,
perchéportononcin’eraeli
crosse nave sempre dovevino
restarelontanodelporto10o
15chilomitre.
E cosí, tutta quella roba
che portava questa nave di
l’Italia, ci voleva 15 ciorne
per scarrecalla con tante
operaieesoldatenere,aforza
di crosse barche. Ma noie,
però, in una ciornata, li nere
cihannoportatotutteaterra.
Ecosí,ioeralaprimavolta
che ho visto Mogadiscio. Ma
Mogadiscio non era tanto
crante come io aveva capito,
ma era picolo. Ma era piú
crante dove c’era la
popolazione somila di dove
stavalapopolazioneitaliana.
Cosí,cihannofattostare2
ciorne, per farece reposare, e
poi dovemmo partire per la
nostra distenazione. Cosí,
doppo li 2 ciorne, ci hanno
fatto salire sopra li camie e
partiemmo,
che
dove
antammononlosapemmo.
Passato il villaggio Duca
degliAbruzzi1,stradanonci
n’era, perché c’era una pista.
E davero non si poteva stare
sopra il camio, perché si
doveva camminare con li
stradecheavevinofattoconni
carrearmate,perchéciaveva
stato la querra, e ancora li
strade non l’avevino fatto
bene.
Cosí, ci abiammo fermato
alvillaggiodiBellotuvenne2.
Cosí, scentiemmo e presemo
acqua. Tutte li borraggie che
c’erino li abiammo fatto
piene. Ma, in questo
villaggio, tutta popolazione
somila, stavino facento una
festatuttelinere,enoi,checi
hanno detto di reposare,
abiammo assestito a questa
festa tutta a fantasia: che
c’erino nere che aballavino
ammuoro sua 3, con questa
fantesia ce n’erino tante che
morevino con la scuma alla
bocca.Tuttenoiequardammo
questa bella fantesia, che per
loro significava ballo, con
una musica servaggia fatta
ammuoro sua. Io aveva visto
atanteservaggiequantoeraa
Tobruche, ma queste mi
parevinopiúservaggie.
Doppo 5 ciorne di
strapazzo, che erimo tutte
rotte, finarmente revammo in
uno vellaggio che si
chiamava Cabredarre 4,
villaggio tutte di nere, senza
esserce nesuno bianco, solo
che c’erino soldate nere che
facevino servizio come li
carrabiniere,chequesteerino
fedele all’italiane, che si
chiamavino colu bascie 5. E
queste erino li vechie soldate
che aveva fatto il cenerale
Craziane 6, che per 20, 30
anne Craziane li teneva, li
pagava, e loro facevino
servizio, con li moglie e con
li loro famiglie sempre
apresso, che erino piú fedele
dellesoldateitaliane.
Ci hanno fatto fare li tente
lontano 300 metre della
popolazione
somila,
ci
avevinodatounotilodatenta
per uno. Li c’era un capitano
del Cenio, e ci ha detto: –
Ora, racazzie, que c’ene uno
cascione di atrezze di lavoro,
quicesonotuttelialbereche
volete e potete tailiare e
serrareefaremagaretavole.
Quinte, potemmo tagliare
tuttoperpoterenefaremagare
barrache, perché padrona
questealberenonniavevino.
Il capitano del Cenio ci
aveva detto che per 3 ciorne
non si lavorava, poi ci ha
detto che quelle strate erino
fatte dai carrearmate durante
l’avanzata:–Enonsonofatte
bene. Ma ora vialtre li facete
bene, magare con il tempo
verrannotuttecelintrate7.
Cosí, io, doppo che ci
avevino fatto reposare, ho
fattounapicolabarrachettadi
3 metre quatrate con tutte i
commite 8: la portina ci ho
fatto, con tavole e ligna a
misura.Poiminesonoantato
nelvillaggio,cheunnechiro,
di queste che facevino
servizio, mi aveva detto che
luiciaveva4fustedibenzina
vuotechemiledava.Cosí,io
mil’hopreso,lihotagliato,li
hostirado,epoicil’homesso
per tetto, che quanto pioveva
non ci pioveva piú lí dentra.
Cihofattomagareiltavolino
con 4 sedile per ciocare alle
carte. E tutto questo lavoro
era con ramoscelle belle
tessute,cheparevaunacasina
bellissima,cheilcapitanodel
Cenio mi ha detto: – Bravo
Rabito, se vede che tu sei
stato sempre allavorare nelle
ditte e nelle colonie, e
capiscie assaie di fare
barrache.
Nei prime tempe del
cantiere c’era magare acqua
poco, che con 2 litra
duvemmo fare tutto. Però,
quanto avemmo bisogno di
carne, bastica se prenteva il
fucile,magarechenonsapeva
sparare,sempre2tichiteche9
li ammazava. Che queste
tichitecheerinocomelilepere
e come li coniglie. Ma
sempre carne non si poteva
manciare, poi che c’era una
malariafortissimaemuschitte
ci n’erino tante. E quante
zanzarechec’erino!
Infatte, d’ogni ciorno
antavino
operaie
amMogadiscioall’ospedale,e
di quelle che partevino non
retornavino piú. Ma io ci
aveva stato immienzo alla
malaria e quanto piú poco
potevadormire,dormeva.Ma
tante, come venevino del
lavoro, non avevino che fare
e dormevino, ed era per
questochecascavonomalate.
Ma io sempre il lavoro lo
trovava per non dormire, poi
cheioavevailtavolinoconi
sedile, avemmo un mazzo di
carte,eciocammo.
Io certo che daie paesane
sempre ci stava lontano,
perché li piú nemice erino i
paesane.Solocommerestavo
Pitruzzo Scorcia, che poi
lasciaie fottere. Perché un
ciorno c’era uno di queste
nere maretate che faceva
servizio come carrabiniere a
conto di l’Italia e portava la
moglie apresso. E certo che
quanto faceva servizio, la
moglie la lasciava sotta alle
albere con i picole riavolette,
certo che queste povere
donne nere erino una parte
coperta e 5 parte nuda. Cosí,
questo animale di Petruzzo
Scorcia,vedentoaquellacon
il culo di fuore, questa bestia
si arrescardato e si ce stava
metento di sopera, e quella,
chenonsihavolutofarefare,
cihadatounomuzecuneesi
ha messo a cridare. E cosí, il
suo marito che la senteva
piancere, e senteva piancere
aisuoi2picolenere,ècorso
lí, e il nero, se non era per
me, che io ci ho fatto capire
che Pitruzzo Scorcia era
pazzochelodovevinoportare
almanicomio,quellol’avesse
ammazato!
Ed era per questo che io
non volle piú paesane vicino
amme, perché facevino
azione di stronza ed erino
propia quelle che non si
facevinolicazzisuoie.
Io mi aveva fatto pratico,
perché il sole piú non lo
senteva, anze neie prime
mese mi compiavino li
campe, con il cardo, ma ora
camminava senza casco e
macarescucuzune.
Il capo cantiere mi voleva
bene. Ma quanto la solte non
vuole, non zi ci pole fare
niente... Perché aveva una
mala praneta supra di me,
che, doppo che aveva fatto
tanto per mettereme a posto,
aveva lavorato tanto per
faremeunabarrachettaalmio
piacere, mi hanno fatta
campiarecantiereemihanno
dettocheillavorosihafinito
lontanodiDecaburro 10,però
sempre con il Cenio. Ma chi
tardo arriva, malo si
alloggia...
Ma come sono revato in
questo nuovo cantiere, cià
dalla prima ciornata, il capo
cantierelohavistosubitoche
io sapeva lavorare, e mi ha
fatto lasciare la carriola,
emmi
faceva
fare
spianamento, che io era
pratico, perché aveva stato
allavorare 5 anne nella linia
diRecalbuto.
Iosempreerasecretosopra
di me. Io ci diceva che era
maretato e li solde, d’ogni
mese, ci diceva che li
mantavaallamoglieeifiglie,
mentre che non era vero
niente, che ci mantava lire
200 al mese a mia madre, e
poi il resto mi li nasconteva
della tasca fatta mia nelle
motante intietro al culo,
perchétenevapaurachemile
fricavino.
Ma sicome l’italiane
debono fare schifo dove
vannoevanno,lisoldenonli
potemmospentere,perchénel
cantiere
non
c’era
imprencipiounospaccio,una
revintetadicenereelimentare,
equintelisoldechecidavino
quanto ci fecevino la paga
passava uno raggioniere, che
non era con noie nel cantiere
ma era del cantiere centrale,
e, d’ogni mese, questo ni
diceva: chi aveva ammantare
solde alli famiglie, lui li
portavaaMogadiscio,faceva
il vaglio e li mandava alle
nostrefamiglie.
E questo raggioniere,
sempre di pieno acordio con
il capo crante centrale, che
poi c’era di acordio magare
uno tenente del Cenio
miletare, non era vero che
questesoldicilispedievino,e
invecelicommerciavino:che
a Mogadiscio, con queste
solde, compravino carne di
manciare di tutte li specie,
vino,
birra,
scatolame,
licuore, biscutte e tutte li
specie di caramelle, e li
portavino in tutte i cantiere,
di maniera che l’operaio
comperavatuttoacredenza.
Tutte
l’operaie
che
recevevino li letre delle loro
mogli, tutte facevino uno
discorso, che solde non ni
recevevino. E cosí, l’operaie
sivolevinorevoltare,antarea
Mogadiscio
e
antare
derettamente alla Posta per
sapere il perché queste solde
di5e6mesenonarrevavino.
Ionondicevaniente,perchéa
casa ci aveva mantato lire
200, ma c’erino operaie che
ci avevino mantato 5 e
magare 6.000 lire. Cosí,
dell’Etalia c’erino famiglie
che avevino scritto a
Mussoline,emagareatuttala
famiglia del duce, per vedere
doveantavinoafenirequeste
benedette solde di queste
lavoratore.
Certo che ni cominciaro a
parlare magare i ciornale, di
questesoldechelilavoratore
limantavinoelifamiglienon
li recevevino. Cosí tante
forino li lettere mantate a
Roma, per fina che tutta la
ciustizia
cominciavo
a
fonzionare, che per tutta la
zona del Alto Ogadenne,
voldire oltre alla Somalia,
cominciaro a cirare centinaia
di carabiniere e una polezia
scentifica.
Ecosí,tuttequesti3:unosi
ha butato ammare e morio, e
uno, che era il raggioniere
chesichiamavaMoranto,che
era di Caltanesetta, si ha
sparato con la vercogna, e il
tenente del Cenio miletare
l’hanno portato al carcero di
Mogadiscio e si ha fucato 11.
Quinte, tutte 3 queste
lazzarone
si
hanno
condannato con li suoie
propiamane.
Vedete che razza che
siammo noie italiane, che
magare li abissine ci hanno
detto che erimo desoneste,
l’italiane! E tutte li nere che
capevino l’italiano dicevino:
«Che bella onestà che hanno
portatol’italianeinAfrica!»
E cosí, si hanno sfasciato
tutteicantieredellaSomalia.
Cosí, io che aveva perso li
200lireetuttelialtrepovere
operaie che avevino perso
tante
solde
fuommo
stralocate.Ecihannoportato
inunocantierechec’erino50
operaie,peròhocostatatoche
al lavoro alla matina ci ne
potemmo antare il massemo
15,dituttequeste50operaie.
E cosí, alla matina, c’era un
camio che ni carrecava e ni
portavasullavoro.
E cosí stavino li cose: 4
operaiestavinoalcantiereper
scupare; 5 operaie erino
adetteall’infermeria,chepoi,
se uno cascava malato, non
erinocapace,tutte5,difarece
una lominata 12, che lo
lasciavino morire; 10 erino
per fare il manciare, e erino
sempre in cucina e tutto si
manciavino loro; 8 operaie,
semprevestiteconlacamicia
nera, che penzavino per lo
sporte; e tutte li altre stavino
a cratarese li palle e li
coglione al cantiere. E quelle
che dovemmo lavorare erimo
sempre i nuove venute, e
quellechenonsapiammofare
lirofiane.
Illavoroeralontanopiúdi
20 chilomitre, e con un solo
camio si doveva partire, e
sparteallamatinapernoie15
c’eramezzaoraditempoper
prenterene una coccia di
acqualorda,cheilverocaffè
si lo prentevino quelle che
non facevino niente. E sparte
chiretardava2o3minute,il
camio parteva, e perdeva la
ciornata.
Propiaiomifacevailconto
che era alle lavore forzate.
Era una vita troppo
strapazata,antareevenirecon
quello camio: antata di
matina, venuta per manciare
alleore12,cifacevinofare2
ore di reposo e di nuovo
partire, e poie alla sera, alle
ore 6, retornare. Cosí,
faciammo tutte li ciorne 80
chilomitre supra quel camio,
tuttaall’impiede.Certocheli
stradenonerinocilintrateesi
venevatutterotte.
Io, un ciorno, come ho
fenito di manciare a
mezzociorno, come tutte li
ciorne,misonomessodentra
la tenta a fare li 2 ore di
suonno che mi tocavino,
quanto uno di queste stronza
tira una buona pedata nel
palloneequestopalloneentra
nellamiatenta,cheio,ciusto
ciusto, mi stava facento 10
minute di suonno. E questo
pallone mi viene sulla testa,
che mi ha parso una
cannonata, cosí, mentre io
dormeva.
Cosí, escio fuore e
comincio a parlare a uso
quello 13 che queste si
meritavino,facentocecapirea
queste lazzarone che, se
antasero allavorare come me,
non ciocassero. E cosí, tutte
questestronzecominciarenoa
dire che io sporte non ni
capeva,eiocihodettotutteli
male parole che asestevino,
perché queste maleducate mi
avevino rotto la fronte, che
eracosadisparareceaqueste
crancornute,diquantoioera
arabiato. Cosí, mi volevino
darebastunate.Io,nellatenta,
aveva il fucile carreco, e ci
l’ho detto: – Vedete ca io
famiglia non ci n’ho e non
penzoannesuno.Iovisparo!
Ecosí,laprimaspedezione
dilicenzamentofupropiaio.
Cosí, mi hanno licenziato
per poco rentemento nel
lavoro. E cosí, subito subito,
mihannofattolapagaenella
busta di paga c’erino messe
macare li centesime, tutto
preciso, perché lo sapeveno
che io antava arricramare
subito. Mi hanno preparato il
passaggio per partire, tutto a
costo del cantiere... Io, in
ciornata, doveva sparire di
quello cantiere, perché erino
piúdi30contradime,perché
ciavevadettolavirità.
Cosí, arrevaie al campo
alloggio di Mogadiscio, che
d’ogni 15, 20 ciorne parteva
una nave crante per l’Italia e
si portava tutte i soldate che
si congedavino e antavino
illicenzaochieramalato,esi
portava magare tutte quelle
operaie che erino state
licenziate
per
poco
rentemento. Che uno di
queste era propia io, quello
povero di Rabito, che voleva
lavorareacuostediafrontare
magare la morte, bastica
faceva solde. Che poi, con
queste solde, il suo disegno
erapercomperareseunacasa
allasuamamma.
Ma io voleva fare ancora
un altro anno di lavoro, e
camminava tutte i ciorne per
Mogadiscio come uno pazzo
per cercare lavoro in una
detta prevata, poi che al
campo alloggio c’era una
crante composione, perché
c’erino piú di 30 barachie
piene di partente che
dovevino antare all’Etalia e
nonc’eranessonochefaceva
la polisia, nesuno che dava
una scupata al campo, e la
puzzasistapevamorento...E
magarec’erinocimice,pulice
e aderetura pidochie! E poi
c’erino tante spostate, che li
liggie del duce l’avevino
mantato in Africa per
levoraselle delle coglione
dall’Italia e li mantavino in
Africa, speciarmente esento
scuatriste. E non si poteva
stare in questo campo
alloggio.
E io camminava, e sempre
stava arrabiato e bestimianto,
ma non mi arrenteva maie,
sempre cercava e penzava
come poteva studiare per
rimanere in Africa. Ma però
manciava, e, cosí arrabiato
cheera,alcinemaallaseraci
antava, banane mi ni
manciava 5, 6 al ciorno; poi,
lí a Mogadiscio, li pesscie ni
manciavaassaie,perchéerino
piú bemmircate 14 delle
banane, femmene ce n’erino
di tutte i colore, li solde li
aveva, e tutta l’icanomia che
aveva fatto in 10 mese nella
buscaglia, qui a Mocadiscio
non la faceva, che era
desperato, perché mi aveva
cirato tutte li oficie e ancora
mi prentevino in ciro. Tutte
mi
decevino:
«Oggie,
domane…» E poi: «Aspette
alla sera…», quelle stronze
chenonmidicevinoniente!
E cosí, mi sono diciso di
farel’ultimotintativo,edisse:
«Oracercodiantare–doppo
cheavevaciratotuttelioficie
efattotuttelimalecomparse
– nella testa dell’acqua.
Vediammoseriescoafareme
presentare al covernatore che
comandavatuttalaSomalia»,
che aveva il palazzo del
coverno a Mogadiscio ed era
uno che si chiamava il
cenerale Santine 15, che a
parlare con luie era lo stesso
diparlareconilduceaRoma.
Quinte, tutte li porte li
aveva tapoliato, ora c’era lo
crosso portune di tapoliare, e
disse: «Voglio fare l’ultima
mala comparsa, se ci ho la
fortuna di poterece parlare,
perché chi vuole bere acqua
piú pulita deve antare alla
testadellafontana».
Cosí,iosapevachec’erino
4 quardie nere e poi c’era il
piantone bianco, che era
come uno soldato curaziere
che fanno servizio a Roma.
Tutte li 4 quardie nere erino
armate con il focile a
baionetta in canna, mentre il
soldato italiano aveva la sola
pistola, e poi c’erano altre 2
soldateeunsercenteumpoco
distacato del portone del
palazzo. E questo sercente lo
senteva parlare siciliano,
forse che era della mia
provincia.
Cosí, io cirava a torno a
tuornoperfaremevedere,ma
il sercente, cosirituso, mi ha
detto: – Ma tu che vai
ceranto?Checosavuoie?–E
cosí io, tutto impiatusito, ci
ho detto al caro sercente che
cosa voglio io: – Io vorrebbe
essere fatto uno miracolo di
leie,semifacesseparlarecon
il covernatore –. E il bravo
sercentemihadetto:–Diche
cosasitratta?Seèperlavoro
nonarreceviannesuno–.Eio
ci ho detto che non era per
lavoro. E cosí, tutto
improgliato che era il mio
discorso,chenonlosocome
mi ha venuto quella piatusa
penzata,checihodetto:–Io
voglio parlare con il
covernatore, che ci ho una
sorella con 4 figlie qui a
Mogadiscio, tutte 4 malate, e
secome io devo partire con
questanavachefra10ciorne
parte, volesse che il
covernatore mi farebbe
questo crante meracolo di
fare partire magare a mia
sorellainziemmeamme.
Cosí,
quello
centele
sercente mi ha detto: – Se è
perquesto,ticifoparlare.
Cosí, il sercente toccò il
bottune e il portone si ha
aperto. E cosí, io entraie. E
cosí, mi ho trovato di fronte
al cenerale Santine. Cosí, mi
hadetto:–Tuchecosavuoie,
cheseievenutofinaqui?–E
cosí, io mi ci ho demostrato
molto piatuso e ci ho fatto
tante cose, decendoce che io
aveva venuto all’Africa per
lavorare e fare solde per
quanto mi potesse comperare
una casa, che ho fatto tante
sacrafizie
per
venire
all’Africa per lavorare e,
doppo 10 mese, per forza mi
volinofarepartireperl’Italia,
mentrechecinesonooperaie
che hanno fatto magare 2
anne e ancora li fanno
lavorare.
– Facio presente che sono
statoaTobruchenellecamice
nere volontario con il
battaglione, sempre pronto al
miopaese.Noncihoneanche
casa, e ora, per forza, mi
voglionomantareacasa,che,
eccellenza, sono venuto qui
propia per fareme una
racomantazione, quanto io
facesse altre 10 mese di
lavoro e fare umpoco di
solde.
Cosí, ci ho fatto vedere il
partafoglio, che aveva 6.000
lire da parte, che l’aveva
conserbate. Poi, ci ho detto
che tutta la mia famiglia
avemmo stato al servizio
della padria: – Siammo tutte
fasciste. Io sono un socio del
Nastro azzurro 16 e sono del
1899, ci ho uno fratello del
1896 mutelato, e io sono
venuto qui a parlare con la
sua ecellenza che mi deve
fare uno miracolo per potere
stare ancora uno altro anno
all’Africa.
E lui mi ha detto: – Mi ha
piaciuto la tua buona volentà
di venire per fina qui a
parlare comme, ma ora mi
deve racontare come haie
fattoaentrarequidentra,che
cosa ci haie improgliato al
sercente per venire per fina
qui.
Ecosí,ilcenerale,comeio
ci ho detto della sorella
malata e figlie malate, si ha
preso di una buona volentà e
mi ha detto: – Il faore ti lo
faccio–.Sihafattounaresata
di quello che io aveva
improgliato, e poi mi ha
detto: – Non ti priocupare,
cheoratifacciounbeglietto,
chetiarecomantoall’oficiodi
collecamento,chehaievoglia
dilavorare!Epoitilofaccio
ilfavoreperchéseiedellamia
chilasse del 1899, che
abiammo salvato l’Italia
nell’ofenziva del Piave –. E
mi ha detto, il covernatore: –
BravoRabito,seistatotroppo
furbo per venire a parlare
comme! – Poi, mi ha fatto
sedire10minute,cheiotutto
tremava,emihadetto:–Ora,
vechio compatente, fatte una
fumata –. Che ci piaceva
sentireme parlare, di come
sapevabeneparlarel’italiano!
Io faceva il piatuso. Cosí,
preseunofogliodicartaepoi
scrisse.
Cosí, io portava quella
busta come portasse uno
cioiello prezioso, e lo teneva
nel petto, e non lo diceva
annesuno, perché teneva
paura che mi lo potissero
robare.
Cosí, stammo arrevanno
all’ultima ciorno. Amme non
mi avevino chiamato. E mi
cominciaieapriucopare.
C’era un altro, che era di
Ferenze, che era racomantato
come era io e aspetava la
chiamata,comelaspetavoio,
e l’ho antato a cercare per
domantarece se sapeva
qualche cosa, e il toscano mi
hafattocapirechesiammo16
quelle che dobiammo restare
in Africa, e il suo cucino ci
avevadettoche,atutte16,ci
lo dovevino fare sapere
propia il momento che la
nave parteva, per non fare
socedire bordello. Perché
all’Etalianoncivolevaantare
nesuno, che tutte volevino
ancoralavorareinAfrica.
E cosí, alla matina che
aveva a partere la nave, che
dovevino partere circa piú di
6milapersone,tuttoilcampo
alloggio fuommo cercondate
di100o150carabiniere,che
nesuno dell’operaie potte
uscire fuore per Mogadiscio.
Soloc’eralastradaliberaper
tutte i partente del campo
alloggioallanave.
Tuttoauncolpo,venneun
cammioesimisepropiadove
c’era quello che doveva dire
«Partiemmo!» Venne uno di
questecamio,chesihamesso
sopera il tavolo e ha detto al
trompetiere: – Fermo! Prima
chesicominciaapartere,che
dobiammo chiamare quelle
che devono restare ancora
all’Africa.
E cosí, sento chiamare: –
Rabito Vincenzo, prentete la
tua robba e sale sopra il
camio, che tu seie uno che
deve remanire in Africa –. E
cosí,cihadettocheerimo16
tutte.
Ah, che rabia che ci ha
stato per tutte che io restava.
Speciarmente di quelle che
ammia mi conoscevino si
mordievinotuttelimane:poi,
quelle che amme mi avevino
licenziato
per
poco
rentemento e erino malate,
poi il capocantiere mozicava
ferro, che era uno scuatrista
che si aveva fatto valire lo
stesso del duce quanto era al
cantiere e inveci oggi era
come uno dai pricioniere,
torniato dai carabiniere. Che,
altremente, se non c’era
questapolezia,nellanavenon
ci
antava
nesuno
e
s’arestavino a fare li ladre a
Mogadiscio. Ma io redeva e
diceva, per faracillo sentire a
quelle mascarate del pallone,
di sopra il camio: – Ride
bene,cheredeall’oltimo.
E cosí, cominciareno a
partire per prentere la nave e
ioquardavadisoprailcamio
belloseduto.
Mentre hanno fenito di
chiamareallealtreecihanno
messo a posto a tutte 16. E
cosí,partiemmo,epresemola
strada che antava per il
vellaggio
del
Duca
dell’Abruzze. E quando
scentiammo, io vado alla
Posta e spediscio tutte li
6.000 lire che io aveva, per
mantarle a mia madre
deretamente per comparese
unacasa,perchél’avevadetto
tante volte e ora ci ha
revoscito. Perché sapeva che
stava antanto allavorare nella
ditta, che poteva lavorare per
tutta la mia vita e pure per
fina che io voleva lavorare,
perché era stato bene
racomandato.
Poi che la strada non era
come l’anno prima, ora era
cilintrata che veneva il
piacere a camminare con il
camio...
Cosí,
arrevammo
al
vellaggio di Feferre - Belle
Tuvenne - Bulliborte 17 - la
pianadiCorra,cheeraun100
opure 110 chilometre di
pianura, che li c’era il
passaggio delle animale
feroce, i lione. Ma, con li
tante machine vicino alla
strada, non zi facevino
vedere.
Quinte, undice mese fa,
quanto passammo, non c’era
niente e ora cominciaveno a
vederese case di nere e di
bianche; e tante baracche
c’erino per abitazione; e
c’erinoterremagarecortevate
a cotone come nelle
campagne di Cela; e magare
c’era qualche pozzo di acqua
scavato per bere e per
abeverare,esivedevinotante
che prentevino acqua. E io,
mentre che il camio correva,
diceva: «Se mi riescie a
fareme
la
citatinanza
dell’Africa
e
potereme
mantare a chiamare al mio
fratello Paolo, amme mi
piacesse di stare una ventina
di anne allavorare qui
all’Africa».
Cosí, siammo arrevate nel
cantiere di Mustaille 18, che
avevino cominciato a fare li
barache che poi ci dovemmo
abitare queste 16 lavoratore.
Elíc’erino40operaieconla
qualifica di carpentiere
venute dall’Etalia a posta.
Altro che scuatriste! Altro
che fasciste! Che avevino la
tesseresoladifasciste,epoie,
dilavoro,nonsapevinocome
si lavorava! Mentre, queste
brisciane, il lavoro l’avevino
per davero, e poi l’aveva
rechiesto la ditta propia per
fare il lavoro di minatore. E
quinte, queste quadagnavino
lire 5 al ciorno piú di noie,
però di lavorare lavoravino
buone.
Ma avevino uno difetto:
che,mentrechec’erailvino,
lavoravino, ma, quanto si
feneva il vino, non erino
capacedipiantareunchiodo.
Cosí,unavoltasihafenitoil
vino, e hanno fenito di
lavorare. Se ne sono antate
dove c’era una pista, voldire
una strada dove passavino
cammie, e con le mane
facevino fermare tutte li
camie che passavino che, a
qualunquie
sia
costo,
dovevino comperare vino; e
senoncomperavinovinonon
venevino per lavorare, e
magare che ci l’avessero
pagato a lire 50 al fiascho,
basticadovevaesserevino.
Recordo che in quello
campo c’era l’alza bantiera e
che d’ogni matina, quanto
spontava il sole, questa
bantieraditrecoloresialzava,
eallaserasiscenteva,cheera
espostasopraunluncolegno.
Ma per quella notte, quella
bantiera,conquellovino,per
lomenol’hannofattosaliree
scentere piú di 20 volte, e
nesunopotevaparlare,perché
quello che comantava era il
vino...
E poi, io mi sono messo a
posto. Mi ho preso una
cantonera dentra la baracca e
mi ho fatto una bellissima
branta con uno tavolinetto, e
il materazzo (che ci l’aveva
dato la ditta) l’ho roimpito,
che c’era tanta erba secca e
pampinedde seche. Poi ni
hannodatounazanzarieraper
limoschitteepernonnifare
muzecare delle zanzare
quantonicorcammo.Equinte
erimotutteaposto.
Eioerafelicechemiaveva
messo allavorare un’altra
volta. E tutte i ciorne si
antavaallavorareconilcamio
che antava a carrecare pietre
dallapirrera19allavoro.
Amme mi piaceva di
viaggiaresempreconilcamio
etravessareboscaglia.
E poi che la zona di
Mustailli era una zona di
scimieeunafortequantetàdi
iene,emagarec’erinolione,e
dalla mattina alla sera,
compure che caminammo
sopra il camio, dobiammo
vedere tante spavente. E poi,
alla notte, non potiemmo
dormire con quello bordello
che facevino li animale, che
facevinotantomormerio:che
siafferavinotraloroanimale.
Ma noie erimo 7, l’operaie
nella
nostra
baracca,
comprese li 2 autiste, e
avemmo uno fucile per uno,
che cosí, se per caso qualche
lione arrabiato, perché aveva
fame, ci voleva manciare,
subito tutte 7 prentemmo il
fucile
e
sparammo
all’impazita.
E poi che c’erino tante
rebelle che non volevino che
l’italiane abiammo preso
l’Africa e, se non si stava
sbeglie, ci potevino dare
qualchefuciliata.
Poi, tutte ci abiammo fatto
pratecediquestaboscaglia.E
poi che il fucile non lo
lasciammo maie, e quanto
lavorammo il fucile li
avemmo sempre vicino. E
c’era l’ordine che a uno solo
non potiammo camminare,
sempreerimoilminemo3.
Amme,
mi
avevino
mantato nel fiume a spacare
pietra e sempre lavorava
vecino al fiume. Che poi
l’impresa a fatto umponte in
tre mese, e questo ponte si
chiamava «il ponte di
Mustaille», che in una
buscaglia non l’avevino fatto
annessuna parte, umponte
come questo. E perché ci
l’aveva fatto il coverno
italiano questo ponte? Perché
a Mustaille ci faceva
l’abitazioneumprincipechesi
chiamava «il soldano di
Mustaille». Che questo
soldano, quanto scoppiò la
querraconl’Abisinia–cheil
cenerale Craziane era partito
a combattere per prentere la
Somalia –, questo soldano,
cheeracontrarioalnecose 20
e in faore all’ocopazione
italiana, si ha fatto trovare
davanteacompaterecontrail
necosicon30milavolentarie
armate somole, e compateva
inziemme
al
cenerale
Craziane,tantocheilcenerale
Craziane, a questo princepe,
l’ha proposto con una
midagliaalvaloremilitare.
E questo villaggio di
Mustaille era comantato di
questo crante personaggio,
non Mostaille solo, ma per
200 chilomitre a tuorno a
tuorno, quase metà della
Somalia, luie era il re. E
quanto socedeva desoldene,
bastica si andava a ricramare
aquesto,cheluisapevatutto.
La ditta, al cantiere, ci
aveva fatto ummutore, poi
c’erino messe li tubbe del
fiume,alcantiere,eilmutore
la terava. E cosí, nel cantiere
c’eral’acqua,quantocin’ene
ni uno paese. Quinte, per
acqua non era come quanto
siammovenutedil’Italia,che
cinedavino2litraalpersona,
perché erimo sotta il Cenio,
checomantavinoliscuatriste,
e l’abondanza dell’acqua
l’avevino solo quelle della
marcia so Roma. Ma ora la
ditta dell’operaie voleva il
lavoro, non voleva la tessere
fascista. E quinte, l’acqua
c’erapertutte.
Poi che, a forza di una
moto pompa, ci avevino
portato tanta bella acqua in
questocantiere,tuttel’opiraie
cominciavino
a
fare
specolazione: si facevino
l’oltecello.
Ora poi che io e
Sebastiano Roggiero di
Troina, con cui avevo preso
unastrettaamicizia,avemmo
fattoveniredentralilettere4,
5 coccia di sementa per
cucuzza 21 longa, e magare
pipe22elatucheepomadoro,
l’abiammoseminato,che,con
quella terra che non aveva
stato seminata maie e caldo
forte che faceva e terra
vercine ca era, li cucuzze
luonche,nelcirodi40ciorne
che li avemmo seminato,
hanno cominciato a fare
cucuzze. Cosa che nesuno lo
potevacredere!
E cosí, io cominciaie
ammanciare
cucuzza
inziemme con Sebastiano
Roggiere.
Io aveva manciato sempre
carne,tutteiciorne,ediceva:
maoraminomale,conqueste
cucuzze e li tenneruma delle
cucuzze 23, lo stomico mi lo
sentevabene.
Poi,nonsocomefuecome
nonfu,cheparsechefufatto
aposta, una matina ni
abiammo
cascato
40
ammalate.Cosí,allavoronon
ciabiammopotutoantareeci
ha cominciato a prentere la
febreatutte40.Ecihastato
una crante priocupazione.
Cosí, mandareno a chiamare
medice da Mogadiscio per
vedere che cosa abiammo e
chemalatiaabiammo.Ecosí,
davero, e piú presto, ni ha
venuto uno di Diradava e un
altro di Curre Curre 24, che
era lo piú vicino a Mustahil.
E quest’ultimo disse che era
unafebricialla,ecosímagare
hannodettolialtremedicedi
Mogadiscio, e invece, il
medico di Dira Dava disse
che la nostra malatia era una
febrecoloniale.Ecosí,hanno
venuto magare 4 infermiere
che misuravino febre di
matina alla sera, e lo chiò
pocochel’avia,l’avevaa40,
e poi ce n’eriono di 41 e
magaredi42.
E poi, hanno ordinato di
metterene tutte 40 in una
crante baracca e di darece
poco manciare, per vedere se
era che dependeva dello
stomico, questa malatia. E
poi, ci hanno portato una
cassa di romanze, perché
cosí, chi sapeva leggire,
liggeva, e ci passammo il
tempo.
E ci hanno detto di non
manciare,maioquellaparola
di «non manciare» non mi
pareva esatto, perché io la
fame l’aveva, e come mi
passava la febre, mi alzava,
mi n’antava a fare la visita
all’olticello, mi prenteva una
cucuzza, mi n’antava in
cucina, che c’era sempre il
fuocoaceso,milacucinava,e
poimin’antavanellabaracca
delle malate. E cosí, doppo
chemanciava,miprentevala
febre.
Cosí,contuttalafebre,mi
hopresoilromanzodiMonte
Cristo 25 e mi meteva
alleggire. Ma luce non ci
n’era e la notata non poteva
aciornaremaie.Iononsapeva
come fare, perché propia per
natura, nella mia vita, alla
notte sempre ha dormito
poco. Cosí, c’erino tante
malate che avevino uno
piatuso lamento e non
facevinodormire.
E cosí, io disse: «Se
potesse fareme una cantela,
mi la facisse». Cosí, vado
doveventevinotutto,ecantile
di cera non ni ventevino.
Cosí, mi ho comperato una
botiglia di aranciata, mi l’ho
beuto, e la botiglia vuota ci
ommesso uno poco di nafita,
chevolevafareunacantelaa
uso pitrolio, per vedere se
adomavaesefacevaluceper
leggire.
Ecosíio,allanotte,teneva
questacantelaacesaeliggeva
questo romanzo di Monte
Cristo, e la notata pasava
presto. E poi, di quelle che
facevino:«Mammamia,staio
morento» mi ne futeva, tanto
la febre l’aveva magare io.
Cosí io, con quella luce che
ho fatto, li altre ammalate,
tante, si l’hanno fatta, la
stessaluce.Ecosí,dinotte,la
nostra baracca, con tante
botiglie di nafta adumate,
pareva un cimetero nella
ciornatadeimorte.
Certo, però, che io, quanto
mi rebasava la febre,
manciavaepoiemicorcavae
liggeva, mentre li altre non
manciaveno e si antavino
dimacrento.
Epoi,tuttel’impermierelo
decevino: «Rabito è quello
che ave la febre piú forte e
Rabito è quello che, come ci
deminoviscielafebre,sempre
cammina»,e«Rabitoèquello
che ave lo stesso colore che
aveva quanto non era
malato!» Mentre li altre
malatestavinosemprecorcate
e non si alzavino; parevino
ciallecomelicatavere.
E io deceva: «Doppo che
miavevaracomantatoilPatre
Eterno dell’uomene, mi ne
devoantareall’Etaliaun’altra
volta!?»
Finarmente hanno venuto i
medice e hanno detto: – Be’,
non c’ene niente che fare.
L’unica cosa è di portalle a
Mogadiscio e levalle di qua,
perché altremente questa
malatia può immeschiare alle
altre.
Cosí, io ho salutato
amMostaille, al cantiere e
l’uorto, che mi veneva di
piancere. E con li 4 camie
partiemmo. Che poi, dorante
il viaggio, ci ne foreno che
non ci arrevareno vive a
Mogadiscio.
E certo che ammia, che
manciava e biveva, non
potevamoriresicuro.
Quanto
uscie
dello
ospedale, mi sono comperato
unobellofiascodivino,euna
bella scatola di salsiccia,
manciava. E poi c’erino li
bananechecostavinopoco.E
manciava, senza penzare che
io aveva stato con quella
bruttamalatiainfettiva!
Esiccomeiovolevoandare
subito a lavorare, il
ragioniere dell’ufficio della
ditta mi ha detto: – Se tu te
ne volesseto antare oggie
stesso e volesseto antare
allavorarepiúvicino,cifosse
uno posto che potesseto
partire magare questa sera,
chec’eneuncamiocheporta
la spesa al cantiere di
Chersala 26, che Chisale ene
unbellocantiereec’èvicino
il vellaggio Duca degli
Abruzze. Che l’altro ciorno
cercavonounooperaiospacca
pietra e c’ancora non ci l’ho
pututotrovare.
AChersalaioarrevaiealle
ore8disera,cheeraquaseal
buio. E, come sono sceso,
tutte li operae erino lí che
stavino mancianto fuore con
una bella tavolo, e magare li
sedie avevino, che parevino
tantecavaliere.Equesteerino
tratatemegliodell’Etalia.Eio
diceva: «Tutte diciammo:
“Quanto
antiammo
all’Italia?” Mentre qui si sta
meglio di l’Italia: barache
bene,manciarebene».Illetto
era con la rite, lensuola,
zanzariera... Poi d’ognono ci
avevailsuolumeperlaluce,
che il cantiere pareva
umpicolo paesieddo. E cosí,
io disse: «Ecco quello che io
cercava!»
Poi che c’era il capellano
che d’ogni domenica ci
facevadirelamessa,poic’era
magare un capo manopolo
della Milizia, che le leggie
fasciste dicevino che d’ogni
cantiere ci dovevino essere,
perché d’ogni sabito si
dovevafareilSabitofascista.
Che, in tutte li cantiere e in
tuttelivellaggiedovec’erino
lavoratore, doppo che si
manciava, ci doviammo
mettere la divisa delle
fascista, in camicia nera, e
prentere il fucile. E questo
capo
manipolo,
che
rapresentava un sutta tenente
delleesercito,cifacevafare2
oredimaneggioconilfucile.
E questo, d’ogni sabito, era
uno
rompamento
di
conglione,chepersinotutteli
domineche,
invece
di
reposarese, dovemmo fare
istruzione come quanto io
aveva17anne!
Ma, comunque, la vita
passava molto contente.
Neanche all’Etalia, questa
bellavita,iol’avevapassato!
Quinte, io penzava di
poterefaremelacitatinanzadi
Mogadiscio, che poteva
campiare posuzione: che, di
povero, mi poteva trovare
ricco.
Ora, aMogadiscio,c’erino
tante apartatore. E quinte, la
pietra per costruire i palazzi
bisognava,eperquestoiomi
voleva
comperare
una
perrera, perché io mi portava
allavorarecommeallioperaie
nere, che quelle, esento
sapute quidare, il lavoro lo
facevino lo stesso di uno
italiano, ma paga non ci ne
davino lire 40, come a uno
operaio italiano. La paga di
unneroeradilire5.
E quinte, se arriosceva di
compralla,permedicevache
era una fortuna, perché
stavino costroento centenaia
di palazze, che stavino
procetanto una crante strada
lunco il mare e stavino
costroento tante apartamente
per i bagnante e per tante
toriste. E li apartatore si
stavinofacentotuttericche,e
riccomidovevafareio.
Ma quanto intese che
l’assistente
ingegnere
Antriotte mi ha detto: –
Rabito, iere io ti cercava
perché ti doveva dire che il
cantiere di Chersala se deve
sfasciare... – Io, quanto ho
inteso questo, tutto aveva
soportato, ma questa parola
nonlapottesolportarepiú.E
iodiceva:«Adiovenireilmio
fratello
Paolo.
Adio
comperareperreradipietra...»
Che mi potevino macare
rempatriareperfinelavoro.
Cosí, io, quanto il
marcatempo mi ha detto: –
Tu, Rabito, non seie
licenziato, – ci ho detto: –
Crazieperme,mihadatouna
conzolantenotizia!
Cosí, stiesimo altre 4
ciorne nel cantiere di
Chersale, e poi, con tutto
l’oficio, partiemmo. E ora li
strade erino quase tutte
sbaltate27,quintesiviaggiava
beneesimanciavabene.
Poi fenio la sdrada e
cominciavo una trazera, e li
camie
cominciaro
a
camminare male, che erino
strade che l’avevino fatto
durante l’ocupazione delle
carre armate. E cosí,
cominciarenolibestemie,che
delcamiononsepotevastare,
sempre sbatento nelle albere,
che erino magare albere di
spine, e tante scimie che
scapavino, e tante iene che
correvino vedento il rompo
delle camie! E tutte
diciammo: «Qui se vede che
operaie non ci ne sono state
ancora...»
Doppo 5 ore di mala
strada,siammoarrevateauno
villaggio che si chiamava
Galaffe 28, che lí era propia
dove ci doviammo fermare
noie e dove dovemmo
lavorare.
E lí c’era il solito fiume
che cucutriglie ci n’erino piú
assaie di quanto erimo a
Mustaille. Malaria c’era a
Mustaille e malaria c’era a
Galaffe.
E io diceva tra me: «È
inutele, sempre quello ene la
vita mia! Staio umpocu
buonoepoisempresiequitoa
stare male. Falla come la
vuoi, che sempre ene
cucuzza29!»
Poi,comeabiammofattoli
prime 15 ciorne, che era il
mesediaprile,sihascatenato
untemporaleforte.
Cosí, tutte noie fuommo
abisate,checihannodetto:–
Chesipolesalvaresisalve!
Recordo che era di notte e
abiammo abantonato tutte li
barache e scapammo per
antare dove l’acqua non ci
potevarevare,eassaliresopra
licrossealbere,cheerino30,
40 metre alte. E li nere di
quello vellaggio hanno salito
sopra tutte li albere come
noie. E cosí, ci abiammo
salvate.
Perché, quelle crosse
albere, erino come i
monemente, che chi lo sa
quanto centenaia di anne che
avevinonasciuto!
E poi non era l’acqua
magarechecifacevaprentere
di paura, ma c’erino li
animale che scentevino delle
montagni di notte! E secome
loro ci ammancava la parola,
che, quanto vedevino questa
crante acqui venire, veneva
magareilmanciareperqueste
animale, perché l’acqua
portava tante vache muorte,
mule muorte, cavalle muorte,
e magare carne umana
portava, e per questo
scentevino...enoieperquesto
prentiammotantapaura.
Eiosempredicevaquesto:
«Pare che avesse stato
consarbato per me questa
bellissemodevertimento,che,
dove vado vado, io ni trovo
sempreuno!»
E la forte corrente
dell’acqua ha fatto uscire
persinotuttelicucutrigliedel
fiume, e portalle sopra la
pianura. E queste sue
almalaccie, quanto l’acqua si
retrò, restarino fuore del
fiume.
E certo che, non ci avento
acqua,
non
puotteno
camminare piú e restareno
terreterre!
Quellepiúcrosse,l’ebinoli
forze da andarasinne, ma
quellepicolirestareno.
Cosí,tuttelinere,cheerino
pratiche, perché questo
spetacolo, speciarmente li
anziane, chi lo sa quanto
volte
l’avevino
visto,
comenciareno a prentere
atrezze per potelle ammazare
escorcialle30,epoilepellice
servevino per ventelle, per
poi farene scarpe di lusso e
borssedilusso.
Ecosí,tutteabiammovisto
li cucutriglie come erino
composte,chenonl’avemmo
vistomaie,soloneicinema!
Poi l’asestente ingegnere
Antriottemihafattoprentere
10 nere che avevino una
buona volentà di lavorare,
secome aveva dato prova a
Chersale che sapeva come
farelavorareainere.
Elamiascuadra,allasera,
sempre faciammo piú lavoro
dellealtrescuadre.
Perché io ci portava piú
respettodellebianche.
Perchéio,quantolioperaie
italiane
volevino
fare
bordello,
che
volevino
desprezare a queste povere
nere sul lavoro, io era il
primo a darece tuorto
all’italiane. Perché erino
incosciente e maleducate
colle donne. Speciarmente
che c’erino tante piciutiedde
nella mia scuadra di 15 e 16
anne che facevino li
manovale e portavino li
piedre dentra li ceste sopra li
spalleperfarelamassecciata,
equantorevavinoconqueste
pietre picole, lo italiano che
l’aspetava la faceva voltare
perlevarecelacesta,equella,
poveretta, doveva sobire
umpicico nel culo, prima di
levarece la cesta delle spalle.
Equellepiciutieddenere,per
la rabia e il dolore, e poie
perché non volevino essere
tocate, se mentevino a
piancere e fare uce, che
faceveno venire alle nere
uomine,esocedeval’inferno.
E cosí, doveva intervenire io
aciustaretutto.
Orachetuttodovevaantare
bene, ci cominciaro a essere
tante male notizie (era il
1939).Cheunciornovenneil
conzelo della Melizia di
Diradava – che era un crante
paesedell’Otiopia–ecisiha
fatto levare mano di lavorare
per farece una parlata a tutte
l’italiane del cantiere che
lavorammo, e speciarmente a
tutte l’operaie che erimo
scritte alla Melizia. Che ci
faceva capire che tutte
l’italiane in Africa non c’era
bisogno di lavorare piú,
perchéliproveciàliavemmo
dato di fronte all’inchelese,
che all’Africa sapemmo
resistere allavorare, in una
terra tutta piena di animale e
di spine, senza acqua; le
strade ormai ci l’avemmo
fatto.
Quinte, il conzelo della
Melizia ci diceva che: – Non
se deve lavorare in Africa.
Basta solo la nostra presenza
e il focile carreco sempre a
portatadimano!–Epoiciha
detto: – La canzone «Facetta
nerabellaabisina»piúnonsi
canta, – e se doveva cantare
alcontrario.–Nonvogliopiú
sentire «bella abissina»,
perché la donna bianca è piú
carina!
Tutte restammo con la
boccaaperta,comesin’antò.
E tutte abiammo detto: che
diavolostapevasocidento!?
Cosí, io penzaie di fareme
dare subito uno permesso,
perchéiostessopenzaietutto
male. E quelle parole del
conzelo per tutte foreno
impresionante!
Non mi piaceva piú di
lavorare,emagarelafebreci
aveva...
E quinte, mi hanno dato
uno permesso e mi ne sono
antato amMocadiscio per
saperequalchecosadiquello
che ci aveva fatto capire il
conzelo.
Ecosí,aMogadiscio,dalla
stanzione prese la strada per
antare all’oficio della ditta,
perdirececheiosempretutte
liciornemiprentevalafebre
per deperemento orcanico e
non poteva lavorare piú, che
era malato, e poi perché
aveva quase 3 anne che io
lavoravainAfrica.
E il raggioniere, che mi
conosceva, mi ha detto: –
Caro Rabito, fra ciorne, si è
vero quello che si dice, ci ne
dovemmo
antare
tutte
dell’Africa! Non fa bisogno
di avere la febre, perché, o
febreosenzafebre,tuttecine
dovemmo antare all’Italia. E
tu sei fortenato, che questo
ene il momento che ti puoie
licenziale.
Cosí, uscito dall’ufficio, io
prese il ciornale. E questo
ciornale, nella prima pagena,
c’erano 2 depotane 31
ammazate nella Socità delli
Nazione, e poie c’era che
diceva il ciornale che la
crante
Cermania
stava
ocopantoconlaforzaeconil
sanquie tutta la nazione della
Polonia, che se stavino
ammazanto diverse centinaia
dipolacche,nontuttesoldate,
ma magare la popolazione
civile.Epoi,semprelostesso
ciornale, diceva che, dopo
conquistata la Polonia, la
Cermaniadovevaconquistare
il Berggio e magare la
Francia, e quinte io diceva:
«Ciàsiammoinquerra!»
Il mio penziero era uno
solo, che, come si faceva
ciorno, mi faceva fare la
paga,escappareperl’Italiae
antare a Chiaramonte, perché
l’inchilise ci voleva poco a
volere fare la querra contra
all’Etalia.
Cosí, si fecie giorno, non
aveva dormito, mi ne sono
antatoall’oficio.Ecosí,miha
fattomettere5firme,lapaga
mihafatto,ecosíciabiammo
salutato con tutte quelle che
erino nell’oficio, e mi hanno
detto: – Buono viaggio,
Rabito, che noie securo che,
quantoprima,nifannopartire
magare annoie di questa
Africa, che propia li abissine
volevino quello: di farece li
strada l’italiane e poi
lascialle,tuttequestetravaglie
fatte, all’inchilise e li
francise.
Cosí, io che aveva auto la
febre, per fareme partire
prima, mi ne sono antato
affareme arracomantare al
comando della Melizia, che
voleva essere rempatriato
quanto piú presto, perché era
ammalato, perché aveva 33
mese che io lavorava in
Africa e non era capacie di
starece piú, con quella
malattia per deperemento
orcanico.
Al campo alloggio di
Mogadiscio, piú ciorne
passavino
piú
partente
arrevavino, che non volevino
stare piú all’Africa, perché
stavaperscopiarelaquerra.
E fuommo fortenate quelle
chepartiemmoiprime...
Ecosí,in3ciorneditempo
partiemmo. Io, in queste 3
ciorne, messe li solde alla
Posta di Mogadiscio, che
erino tutte 11.000 lire, e lire
6.000 l’aveva alla Posta di
Chiaramonte. Tanta salute
ammia madre che mi l’aveva
salvato! E tutte erino 17.000
mila lire. Mi aveva lasciato
lire 600 nelle tasche per il
viaggio e, con quelle che mi
hanno dato di trasferta, in
tuttociaveva900lire.Cheli
lire che aveva nelli tasche
erinomezzomilionediqueste
tempe1970,quantofuscritto
questolibero.
E cosí davero, al 3 ciorno,
la nave partio. E, come era
sopra la nave, disse: «Addio
Africa, doppo 33 mese di
sacrafizie, di essere bruciate
del sole e, nel principio, con
poco acqua per bere. Sono
sicuro che non ci potemmo
vederepiú».
Avemmo stato immienzo
alli
animale,
avemmo
manciato pasta mogata 32 e
fracita, perché o quella o
niente, e speciarmente neie
primeciorne,chenonc’erino
neanche strade, e poi che io
aveva breso la febre cialla,
febre che era infettiva, che
tantenihannomorto...Epoi,
doppo 8 mese di lavoro, per
forza certe cornute mi
avevinoarrimpatriare,chemi
avevino fatto uno raporto
comeantefasciste,perchého
detto la veretà... Che
vercogna che era questo
coverno fascista, che in uno
cantiere di 50 operaie quelle
chelavorammoerimosolo15
e li altre ciocavino alla palla,
eio,perdirequestaverità,mi
volevinomantareinItaliaper
«poco rentemento». Ma
l’hanno scaciata fracita la
noce 33, che io mi ne sono
antato nel covernature e,
invece di antarece io,
all’Etaliacisonoantateloro...
E recordo, e erino li 2
settembredel1939,elanave
partio.Chequestacrantenave
sichiamavaSanCiorcie.
E
cosí,
il
lavoro
dell’etaliane, che avevino
fatto con tante sacrafizie, si
ha perso. E quanto partio la
nave,conquellafischiatache
ci hanno fatto certe babione
nere, se vedeva che era
propaganta politica! Si
vedeva che non potevino
vedere al fascisimo! Perché
l’Italia,voldirefascisemo,era
afiancoconlaCermania.
Io, tra me, diceva: «Ma
noie che cosa ci corpiammo?
Ci hanno detto di fare i
fasciste e abiammo fatto i
fasciste».
E, finarmente, siammo
revate a Napole, e pare che
avessemorevatonelportodel
paradiso. Si ha visto subito
che, arrevanto una nave
italiana, ci hanno fatto tanta
festa. Cosí, Napole era tutto
bantierato di cagliadette
fascistaebantieretrecoloree
tantapropagantafascista.
EcosíanNapole,scentento
della nave, mi ho fatto una
cirata, e poie, prese il treno
per antare in Sicilia. E cosí,
quanto, prima di arrevare a
Villa San Ciovanni, vedo la
Sicilia, e il cuore mi ha
comininciatoallarecrare34.
Cosí, io a Catania scenteie
come al solito per prentere il
treno per Caltacirone, ma io
di Catania era pratico e
cominciaie a camminare. Ho
preso una carrozza, perché
ora non era povero come
tantevoltecheioavevastato
allavorare, che era sempre
immienzo alla miseria, in
tiempo che si lavorava solo
per manciare, invece ora era
padrone di 17.000 mila lire,
chel’avevanellebretto.Cosí,
mi senteva uno posedente,
cosí cammenava con la
carrozza.
Mi sono fatto portare alla
pisceria, che sapeva che io
conosceva a una che aveva
l’osteria, e manciaie come li
acente per bene. Cosí, fenito
di manciare, con la stessa
carrozza, me ne sono antato
alla
stanzione
per
informareme quanto parteva
il treno per Caltagirone e per
deposetare la valice che
aveva. E poi, mi faccio una
camminata per comprareme
una valicia crante e
comprareme qualche vestito.
Però,primavadoallapostee
prese lire 1.000, e cosí
restarino 10.000 mila lire, e
6.000 mila lire erino a
Chiaramonte. E cosí, nel
libretto ci aveva 16.000 lire,
che pareva io quase uno
nordeamirecano.
1
Oggi Jawhar, nei pressi di
Mogadiscio.
2
BeletWeyne(oBeletUen),nella
Somalia centrale, al confine con
l’Etiopia.
3
ammuorosua:amodoloro.
4
Gabrehor,nell’AltoOgaden.
5
Bulukbasci,caposquadra.
6
Rodolfo Graziani, nominato
governatoredellaSomalianel1935.
7
celintrate:asfaltate.
8
commite:comodità.
9
Idigdig(madoguakirki),sortadi
piccoleantilopi.
10
DegehBur,inEtiopia.
11
sihafucato:sièstrozzato.
12
lominata:limonata.
13
ausoquello:conimodi.
14
bemmircate:abuonmercato.
15
Ruggero Santini, nominato
governatore della Somalia nel maggio
del1936.
16
Il Nastro Azzurro, associazione
di ex combattenti della prima guerra
mondiale.
17
Ferfer - Belet Weyne - Bulo
Burth, situati lungo il corso del fiume
Uebi Scebeli, risalendo dalla Somalia
versol’Etiopia.
18
Mustahil,nellapartemeridionale
dell’Etiopia,alconfineconlaSomalia.
19
pirrera:cavadipietra.
20
necose:ilnegusHailèSelassiè.
21
cucuzza:zucchina.
22
pipe:peperoni.
23
tennerumadellecucuzze: foglie
dellezucchine.
24
DireDawaeCurcur,inEtiopia.
25
Il
conte di Montecristo di
AlexandreDumas.
26
Garsala(oGarsaale),inSomalia.
27
sbaltate:asfaltate.
28
Callafo(oK’elafo),inEtiopia.
29
Fallacomelavuoi,chesempre
ene cucuzza: comunque tu la cucini,
non c’è niente dafare, sempre zucchina
rimane.
30
scorcialle:scuoiarli.
31
depotane:deputati.
32
mogata:ammuffita.
33
l’hannoscaciatafracitalanoce:
l’hanno schiacciata fradicia la noce; le
lorosperanzesonostatedeluse.
34
allarecrare: a rallegrare; qui
potrebbeessereancheadallargare.
Capitolododicesimo
Impriacodinobilità
Recordo esattamente che
erailciornodel5ottobredel
39,erinoliore8disera,emi
sono presentato a casa, che
ammia madre ci ha parso un
sogno. Mi hanno cominciato
a baciare. Della forte
contentezza si può magare
morire...
Cosí, io a Catania aveva
comperato uno chilo di
tonnina bella fresca, mia
madre e mia sorella l’ha
cocinato, e manciammo. E
pertuttalanotteparlammo.E
cosí,sihafattociornoeiomi
nesonoantatoadormire,che
era stanchissemo. E ho
dormitoperfinaalleore9di
sera,emisonosbegliatoemi
ne sono antato a fare una
passeciata alla villa, che
quardava tutto per fina al
mare, quardava Vittoria,
Cela, Comiso, la chiesa di
MariadiQulfe,eiostessomi
marevigliava e diceva: «Ma
come maie io sono qui, a
Chiaramonte, che mi voleva
fare la citatinanza italiana a
Mogadiscio?»
Cosí, mia madre, al solito
suo, si n’antò affare la visita
alla Madonna di Qulfe e alla
Madonna delle Crazie, che
eramiracolosa,eciabiammo
messo a parlare. E mi ha
detto: – Tu, caro figlio, mi
avevito mandato lire 6.000.
Ecco qui, che ci l’haie
salvate. Mi l’avevito mantato
percompraremilacasa,maio
non mi l’ho comperato,
perché, se ci metteva Paolo
Malasorte dentra, quello non
usceva maie. E quinte, per
nonvifaresciarriare,hofatto
megliodesalvaretelisolde.
E quinte, mia madre mi
diceva: – Figlio mio, ora tu
chehaiequestesoldiciedde,ti
preco di tenelle care, perché
tu lo saie quanto pene hai
vistoperquadagnalle…
Cosí, mi diceva: – Vede
che io oramaie sono vecchia,
e serbemento piú non ti ne
posso dare 1, quinte, tu te
deve cercare a una moglie,
perché haie 40 anne. E poie
che ave 35 anne che abito in
questodamuso,–emidiceva,
– magare che tu mi vuoie
comprareunacasa,diqua,di
questo dammuso, non escio,
perché mi pare che muoro,
uscentodiqui.
Un ciorno, ci siammo
incontratocondonTuriddolo
Marchese, perché sapeva che
io aveva portato solde
dell’Africa.
Questo, sempre cirava
dove c’ereno albere di olive,
che si li prenteva allo scopo
di quadagnare, perché era
troppo furbo e troppo sperto.
Emihadettocheerinoamice
con donn’Adorfo e se io
voleva entrare a fare parte,
unscento lire 4.000, come io
fosse compagno: lui aveva
antato a vedere una contrada
di olive a Francofonte, nella
propietà del barone Ciarena,
cheeraunobelloafare.
E quinte, li compagnie
dovemmoessere:unoio,uno
donn’Adorfo, uno il suo
cuggino, che si chiamava il
massaroBastianoIacuono,ei
suoifiglieFeluzzoePaolino,
eunoeraluie,lodonTuriddo
lo Marchese. Quinte, a 4.000
lire per d’uno, voldire che al
barone ci dovemmo dare lire
24.000.
Cosí,
antiammo
a
Francofonte, cirammo la
contrada dell’olivete, che si
chiamava Passolarico, che
c’era pure uno bello olificio
per macinare; magare che
c’erino tante contriboiente
che venevino ammacinare e
pagavino profematamente,
oltre al fatto che dovevano
lasciarci alla sanza che
arremaneva nel trapito 2.
C’era uno bello nicozio 3 di
fare, c’era di quadagnare
bellesolde.
Cosí, ni ha piaciuto l’afare
e antiammo a parlare con il
barone Ciarena. E ci
abiammo dato la caparra –
che questo barone abitava a
Vezzine. Ci abiammo dato li
lire 5.000, e l’afare cià
l’avemmo fatto. Recordo che
era del 1939 e il mese era
novempre.
Il barone ci ha dato li
chiave del palazzo, che
immienzo a questa crante
propietà ci aveva una bella
partenza di case 4. Si ha
resalvato una stanzia per lui,
per quanto veneva a visetare
la campagna, e poie tutto ha
dato annoie, che avemmo
voglia di dormire e avemmo
voglia di farece corcare alla
ciurma, uomine e femmine,
perlalavorazionedell’olive!
Maorabisugnavadiantare
inqualchepaeseafaredonne
per coglire li olive e per
scotolalle 5. E quinte, io e
Marcheseantiammonelpaese
diBuchiere 6epervederese
potiammoincaciarefemmene
eportarleaPassolarico.
Io mi aveva portato di
Chiaramonte a mio fratello
Paolo,amiofratelloVito,mi
aveva portato a Luciano
Rabito, mi aveva portato a
SaroPiazza,miavevaportato
a quello stubito di Pipino
Casciolo, che aveva il
carretto. Paolo si aveva
portato la chitarra e il
mandolino. Cosí, prima
antammo a Chiaramonte, che
civolevinoquesteuomineper
la lavorazione del trapito e
perscotelarel’olive.
Cosí, poie, io e Marchese,
con li carrette, antiammo a
Bochiere a cercare femmene.
Cosí, a Buchiere io sapeva
chec’eraCiovanniAbate,che
lí ci aveva il suo fratello
pareco 7,elui,Ciovanni,che
era cercatore di butane, il
paese era picolo, e tutte li
donne li conosceva luie. E
cosí,ioeMarcheseabiammo
trovatoaunbelloperiotoper
trovarefemmene.
Cosí, per il primo,
abiammotrovatoaunadonna
anziana che doveva fare la
caporala, e certo facendoce
capire che questa caporala
doveva quadagnare quache
lira impiú delle altre, perché
si doveva prentere questo
incarico molto delecato:
perché doveva cercare 20 o
25 donne: posebilimente piú
piciotteerinomieglioera.Poi
questa femmena anziana, a
tutte queste signorine che
dovevinovenireaPassolarico
a Francofonte, quella donna
anziana ci doveva carentire
allemammediquellepiciotte
che nesuno li aveva a
babiare 8, perché quella
anziana femmina li doveva
quardare, doveva stare atente
che non dovevino dare
conpedenzaalleuomine.
Cosí, io e Marchese ci
carentiammocheavenirecon
noie e venire in una batia 9
eralostesso.
Tempidimiseriacheerino,
ci abiammo dato lire 5 per
caparra,ilprezzoeradilire5
al ciorno. Cosí, li abiammo
messesopraicarrettecertune,
ma tante nelli carrette non ci
hanno voluto salire e hanno
preferito farasella a piede,
perché di Francofonte a
Buchire la strada era poco, e
poiecheeratuttadidiscesa.
Con tutte quelle donne,
partesegnorine,partespartute
conimarite,eparteerinoche
facevino piacere perché
avevino fatto magare tante
piacere alle uomine... io era
senza moglie, e certo che
trovaiel’America!
E cosí era diviso il lavoro:
io doveva comandare alle
donne, Marchese doveva
ventere l’oglio, il massaro
Bastiano doveva comantare
alleuominechescotelavinoli
olive e li 2 fratelle Rafele e
Paolino dovevino stare nel
trapito per macinare l’olive e
per fare macinare l’olive di
tutte i convicenate che erino
nel terretorio e volevino
macenare nel nostro trapito:
pagaveno e macenavino, e la
sanzadovevinolasciare.
Cosí, io con quelle donne
ci sapeva fare, li confortava,
alla sera ci dava umpoco di
oglio nascosto, ognuno per
sé,perconzaresel’azalata 10,
ci dava vino impiú, ci dava
pasta impiú, e cosí olive ni
coglievinoper2volte,etutte
li sacchie li carrecavino loro,
e tutte li rovette 11 che
c’erino, poverette, magare
che si spenavino li mano,
olive non ni lasciavino,
perchésivedevinorespetate.
Poi, alla sera, con queste
donne, in quello palazzo del
barone, che c’erino stanzuna
di 7 mitre quadrate,
cominciammo a ballare dalle
7 di sera per fina alla una
doppo mezza notte, con
quelle chetarre e quelle
mandoline. Altro che batia!
Che quella femmina anziana,
chel’avevaaquardare,come
scurava, si n’antava a
dormire, e li donne, chi ni
poteva fare piú assaie ni
faceva.
E io penzava quanto era
all’Africa,
che
erimo
all’inferno, immienzo a
quella maledetta boscaglia,
che certe notte sentemmo
abaiaresoloanimale.Eora,a
Francofonte,
io
era
imparadiso.
Ma poie, venne la festa
della Immacolata e abiammo
sospesoillavoroper4ciorne.
Cosí, li donne l’abiammo
acompagnatoaBocchierecon
li carrette e i chiaramontane
cin’antiammoaChiaramonte
per la festa, sempre della
Immacolata. E io era tanto
allecro,
perché
nella
lavorazione dell’olive si
quadagnava benissemo. E io
disse: «Finarmente ho patito
per fina a 40 anne, e
finarmente sono fortenato e
felice».
MaforseilPadreEternosi
avesse creduto che la mia
razza avesse preso parte
ammetterlo nella croce e per
ventecaresenonsapevacome
ventecarese e si ha ventecato
propia di questo Vincenzo
Rabito,poveretto,chepeneni
aveva visto piú assaie del
Mischino 12; e quanto uno
nascie
per
bestimiare,
bastimierà per tutta la sua
vita…
E quente, a venire questa
festa della Immacolata era
meglio che non avesse
venuto,questamaledettafesta
de questa brutta Vercine
Immacolata, perché era tanto
felice e la mia felicetà spario
e invece mi ha cominciato il
caso del diavolo. Ma io fui
preso
e
condannato
innocente, senza sapere il
perché.
Cosí,
una
sera,
camminanto con il mio
fratello Paolo, c’era nebia, ci
ho detto: – Paolo, ci viene al
cinema? – E Paolo mi ha
detto: – Non mi piace la
pellicola –. E camminammo,
chePaolomidicevaamme:–
Se mi capita di antare a
sonare, preferiscio antare a
sonarecheantarealcinima.
Cosí, quella sera, che mi
trovavavecinoalmonemento
daicadute,misentochiamare
di quello rofiano di Pinuzzo
Azara, che era inziemme con
Luciano Rabito, mio cucino,
che lavorava commia a
Francofonte, e mi ha detto: –
Che facete qui, tu e Paolo,
conquestanebiaeconquesto
freddo? Perché non venite a
casa, che avemmo 2 chile di
barbaie 13,licocinammo,eil
vino
avemmo
della
Fondanazza?
E davero, io e Pavolo, per
nonaverechefare,cisiammo
antate. Ma io non ci voleva
antare;parechemiparlavail
cuore, quella maledetta sera.
E ci diceva a Paolo: – Saie
che io non ci volesse venire,
perché nella casa di Pinuzzo
Azara non si può aballare, e
poi che, di donne, c’ene
Ciccuzza, la moglie di
PinuzzoAzarasola–.Etutte
mihannodetto:–Che,nonte
basta che a Passalareco
aballammo tanto? – Io ci
diceva che non ci voleva
antare. E cosí, mi hanno
detto: – Cammina! – Quello
rofiano di Pinuzzo Azara mi
hatratoperilbraccioemiha
messo a bracietto, e Paolo
prese alLociano, e davero
partiemmo
per
quella
desonesta casa, che questa
casaeraaSantoRocco.
Equellafulaseratachemi
hafattoscriverequestolibro.
Maie avesse venuto la
Macolata! Perché, se non era
per questa festa, io di
Francofonte non mi avesse
mosso. E a causa di quella
sera mascherata, io tutto
questo veleno nella mia
persona non l’avesse, perché
si hanno fenito tutte li mieie
speranzeesihaconzimato 14
tuttoilmioavenire.
E cosí, hanno preparato li
lomache, hanno conzato la
tavila 15prontepermanciare,
ma in uno cantone della
miseriosa casa c’era magare
sedutaunadonnaanzianache
faceva spavento di come con
liocchequardava,chepareva
una iena atacata ed arrabiata
che si voleva sfucare e non
sapevaconchiparlare,questa
canearrabiata.
Io era di Chiaramonte, ma
a dire la veretà non la
cunosceva. Ni conosceva
tante e, per mia descrazia, a
questanonlaconosceva.Che
cosa ci poteva fare? Perché,
se io sapeva che era, non
avesseautotantasbentura.
Cosí, io la quardava, a
questa donnaccia, e mi
venevinoammentequantomi
trovava all’Africa nel deserto
avederequellelionearrabiate
quanto avevino fame perché
nonavevinopotutotrovarela
preda per mancialla. E cosí
eraquestamaledettadonna.
Cosí, vicino a questa
donnaccia,
c’era
una
signorinache,nell’aspetto,di
annepotevaavereun25o30
anne. Tutte parlammo, tutte
redemmo, ma, quella sera,
questa signorina non diceva
niente, pare che fosse senza
parola. Ma, però, c’era la
mammina che parlava per
tutte quanti, mentre la
signorina pareva una santa,
non diceva neanche menza
parola.
Cosí,ciabiammomanciato
li lomache e il vino della
Fondanazza ci abiammo
beuto.Lamamminadiquella
santuzza manciava e biveva
magare,perchéilvinobuono
ci piaceva anzi piú assaie di
noie, che erimo uomine,
perché si vedeva che con il
bechierafacevaviaggiepiúdi
me,dorantechemanciammo.
Cosí, passareno 3 ore, si
sono fatto li ore 11, e ci ho
detto:
–
Paolo,
ci
n’antiammo,cheènotte?–E
lí dentra restareno la moglie
di Luciano, Ciccuzza, e
quella mammina de quella
signorina che pareva una
schiava, una abandonata di
questaterra:nonfacevaparte
annesuno discorsione. Ma io
mi ne era acorto che era la
sua mammina che non la
facevaparlare.
Cierto che, comme ci ne
siammo antate io e Paolo,
quelle 2 uomine e li 3 donne
restareno a parlare per fina
alle 2 doppo mezzanotte. E
certo chi lo sa quello che
hannoraggionato!
Cosí, io e Paolo antiammo
alletto,perchéiopenzavache
all’indomane il mio primo
pinzieroeradipreparenetutte
li cose che ci serbevino per
portalle nel lavoro, perché io
non penzava che al lavoro di
Francofonte.
Cosí, all’indumane, questo
pezzo di rofiano di Pinuzzo
mi ha fatto la posta per
quanto io mi alzava; lui mi
voleva parlare prima che io
partisse per Francofonte.
Cosí, come ha visto che io
scenteie per la strada, questo
piezzo di rofiano, caminanto
caminanto, mi sento dire, di
questo rofiano di Pinuzzo
Azara (che c’era la rofiana
magare di sua moglie che
postiava amme, che forse
nella
notata
tutte
2
maleducate non avevino
dormito per consumare
amme), e mi ha detto: –
Quantoavecheticerco!
E io ci ho detto: – Ma
perchémicerche,Pinuzzo?
– Perché tu seie fortenato
dovetimetteemette!Perché
mi l’ha racontato Luciano.
Ora, ti voglio fare fare un
buono afare. Vede quella
donna che c’era iere sera
nella mia casa? Che fa, la
conoscie?
Eiocihodetto:–No,non
laconoscio
Elorofianomihadetto:–
Quella ene la mamma
dell’icegniere che le sta
fabricantolacasa.Eieresera,
quanto tu e Paolo vi ne siete
antate, parlammo, e volevino
sapere chi erivo vialtre, e ci
hodettocheerivoifratelledi
quello che vi porta li lettere.
E io e Ciccuzza ci avemmo
detto che avevito stato
all’Africa e avevito solde, e
secomemiavevadettochesi
volevaimpegnareumpezitino
di terra, perché voleva essere
prestate lire 2.000, che per
campio ci dava questo pezzo
di terra, io non l’aveva, e
commia moglie abiammo
penzato di daracille tu che
l’haie, e per campio leie ti
dava il terreno. Quinte, tu ti
possiede il terreno e leie si
posiedeli2.000lire.
Ma io, che non conosceva
chi erino, ci ho detto: – Io
voglio essere fermata una
cambiale per darece queste
2.000 lire –. Ma, poie, io ci
ho detto: – Ma come, la
madre di uno incegniere può
averebisognomacaredime?
–Elocretinocheeraiotutto
mipriava.
Cosí, ci ho detto: –
Pinuzzo, gli dice che, se mi
firmono una campiale, lo
faccio.
E cosí, questo rofiano
uomo mi ha detto: – Tutte i
suoifigliestannotuttebene–.
E cosí, mi ha cominciato a
dire i tidole di tutte i suoie
figlie.Cosí,disse:–Unoene
preseteaPiazzaAlmerina 16,
uno ene a Ravenna, che ene
professore di cennastica, e
uno ene dominecano, e poie
c’ene una sua sorella che
abita a Siraqusa, che ene
moglie del cancigliere alla
corte di assise di Siraqusa, e
poiequiaChiaramontec’ene
il figlio maestro. E quinte,
questocheeneaChiaramonte
ti firmerà la cambiala, e ene
quello ciovenotto che cioca
alle carte con Pipino Iacono,
con Pipino Scollo e con
Pipinuzzo Sorce –. Che io li
conosceva a tutte, queste
bellepersonaccie.
Cosí, cretino che era io in
quelle momente, vado alla
Posta,prentolire2.000,vado
nellacasadiquestorofianoe
trovo alla donna mamma di
tutte queste nobile figlie.
C’era magare la figlia che
non parlava, c’era il maestro
Feluzzo che, come vede
quelle2.000lire,s’allicava17
lilabra.Certocomesoldeper
ciucare alle carte erino belle!
Donna Anna, la ciufazza 18,
redeva e la signorina
cominciavo a essere umpoco
allecra, perché forse che
senza quelle mieie solde, che
ioavevafattonellabuscaglia
all’Africa, questa nobile
famiglia non aveva neanche
che manciare, con quelle
nobile figlie che avevi...
Quinte, il trucco ci ha
reuscito bene. Certo che la
rofiana e il rofiano qualche
chilo di pasta la dovettero
quadagnare...
Cosí, vado a casa, la
cambialal’ommessadentrala
mia cassetina, e vado a
cercare Marchese per vedere
quanto dovemmo partere
all’indomane matino. Perché
io, per mia abitutene, quanto
sitratavadilavoro,sidoveva
partereprestoequellocheni
avemmo a portare lo
dovemmopreparareallasera.
Mentre, verso li ore 6 di
sera,vennequellodesonestoe
improglione di Pinuzzo
Azara, che mi stava cercanto
come un perso, che mi disse:
– Vincenzo, faciamice una
camminata, antiammo a casa
mia, che io ti vole parlare,
chetivuolefarefareunbuon
matrimonio. Iere, ti abiammo
fatto fare uno buono nicozio,
che sei remasto molto
contente. Certo che tu sei
troppo fortenato in queste
miseriose tempe: ti ne sei
antato all’Africa e portaste
tante belle solde, prente
l’olive e ci haie un buona
quadagno, hai prestato lire
2.000 a donna Anna, che per
te fu una onore, e ti hanno
fermato la campiale e il
terreno per campio ti hanno
dato. Quinte, eni il tempo
dellatuafortuna,–midiceva
questorofiano.
E camminammo, e piano
pianomideceva:–Losaiche
abiammo penzato, io e mia
moglie? Che tu ti potesseto
farefidanzatoconlafigliadi
donnaAnna,lasorelladitutte
questeintillicentefratelle–.E
cosí, io seppe che quella
donnaccia si chiamava donna
Anna.
Ecosí,iocihodetto:–Tu,
Pinuzzo, ti vaie prentento il
penziero dello Rosso 19.
Come lo saie che quella, con
tuttequellefratellenobileche
ci ave, può farese fidanzata
comme, che io sono uno
operaio?Eperquesto,cheio
cihoprestato2.000milalire,
midovessediredisí?Questo
iononlopossopretentere.
Cosí, Pinuzzo mi ha detto:
– Tu lo saie chi è Pinuzzo
Azara, che ene capacia di
tutto...
E abiammo messo una
scommessa di lire 10: che se
diceva di sí, questa, amme,
con tutte queste fratelle
nobile, io ci doveva dare lire
10aquestopezzodirofiano.
Cosí,
camminanno
camminanno,
io,
per
coriosetà,antiammoinquella
miserabile casa; perché era il
diavolo che mi portava in
quello momento. E abiammo
trovato a questa mammina,
con questa signorina umpoco
trocata 20, labra pitate 21. E
come vede trasere amme, la
signorinasihaalzatoemiha
dato la mano, leie e sua
madre. E questa signorina si
vedeva che cià sapeva tutto,
si vedeva che era una donna,
mentrelaseraprimadiquella
descraziata festa questa
signorina pareva abandonata
del mondo, pareva una
schiava. Ma ora a questa
signorina ci aveva venuto la
parola.
Cosí,questamihadettodi
sí e io non arracionava piú,
impazie.Cihodettosubito:–
Va bene. Però, – ci ho detto,
– dateme il tempo di una
dicina di ciorne e vi do
l’afermazione della mia
famiglia –. Cosí, Pinuzzo
disse: – Magare 5 ciorne
abastino –. Cosí, io perrse la
scommessa.
A Francofonte tutte le
donne aspetavino a don
Vincenzo, che li faceva
divertireinquellolavoro,che
ci racontava tante barzallette
dorante il lavoro, li faceva
staresempreallecre.Matutte
li
donne
restareno
merevigliate
che
don
Vincenzo non era piú don
Vincenzo che scherzava
tanto.DonVincenzoeratutto
campiato. Don Vincenzo la
testal’avevalasciatoinquella
nobile famiglia: penzava che
aveva dato una parola alla
signorina sorella di quella
nobilefamiglia.Equinte,alla
sera, io parlava con Luciano,
che li conosceva e si aveva
trovato ammanciare quello
schifio di barbaiene, e ci
diceva: – Luciano, ma come
m’ha detto di sí, questa
signorina? di prenterese
amme, con tutte queste
fratelleintellicentecheave?
Cosí, mi sono confuso
quella descraziata testa, e
neanche alla sera piú voleva
aballarecomeprimadiantare
in quella santa, e desonesta
per me, Macolata. Che non
penzava piú a quelle donne
che mi facevino qualunque
piacere, ma penzava a quello
descraziato
e
nobile
matrimonio.
Che il Pinuzzo Azara
aveva impriagato magare a
Paolo, con questa nobili
famiglia.E Paolomideceva:
– Vincenzo, vaie a sicurarete
a Chiaramonte per quello
fatto di matrimonio che dice
PinuzzoAzara.
Cosí, mi sono vestito di
coraggio, lascio futtere il
lavoro e vaio a Chiaramonte,
prima ni mia madre: che mi
dovevaantareavestire.
Comi mi sono levato li
robe vechie, e mi ne sono
antatoderettamentenellacasa
dovec’eralazitaecidoveva
antare a dire che la mia
famigliaerinocontientepure.
E quinte, come sono entrato
nella casa, ho trovato al
lavoro due miei amici
manovali, Saro Calabrise e
Ciovanni lu Cacicio. E cosí,
loSaroCalabrisechiamaallo
Cacicioevaaprentereilcafè
nelCaffèRoma.
Ecosí,ciabiammopresoli
caffè e abiammo fatto tutto e
cià io era fidanzato che mi
parevaunsugno.
Cosí, donna Anna mi ha
fatto vedere tutte li retratte
daisuoifiglieemiracontava
che li suoi figlie senza di
questa sorella non puono
stare, «non c’ene una festa
che passa senza che tutte ci
mandonounorecalo».
Ma intanto la casa era in
costrozione… Io diceva:
«Forse che li mobile e tutte
queste recala l’hanno portato
nella casa della figlia
seraqusana che aveva uno
palazzo a verso Santo
Vito22»…
E io, ingnorante, che ci
credeva.
Poi,mihafattovedereuno
crocefisso che ci l’avevino
recalato ad Aciriale 23, a
donna Anna; e quanto mi
racontava il valore di questo
crocefisso pianceva. Mi ha
fatto vedere la fatocrafia di
quanto si sposavo una sua
nipote con il dottore, che di
quanto recale ci hanno
portato,neanchelipossedeva
ilbaroneMontesano.
Eio,fessa,checicredeva.
Poi, mi hanno fatto vedere
lifatocrafieiediTuriddo,che
sua mamma mi ha detto che
questo Turiddo era propia
quello che voleva bene a
questa figlia che mi aveva a
sposare io. Poi, mi ha fatto
vedere la fatocrafia di quella
recona di Siraqusa, che per
Siraqusa
questa
figlia
camminava sempre con la
moglie del prefetto; e il suo
marito cavaliere, primo
cancilieredellacortediassise
di Siraqusa, conosceva e
aveva crosse amicizie con
tuttaSiraqusa.
Cosí, d’ogni tanto parlava
lasantuzzaeaprovavalipalle
che diceva la mammina,
perché, se non ci dava
racione,silamanciavaconli
ochie.
Comunque io, quella sera,
chepoili2chelavoravinose
ne sono antato, restai io e la
mammaelafiglia.Nonebbe
il piacere di sentire parlare a
questa signorina, perché
doveva parlare sempre sua
madre. E io diceva tra me:
«Davero era che la sua figlia
ene una santa e ci voglio
crederechetuttelisuoifiglie
sonosante».
E cosí, io vedeva che non
c’era niente che manciare, e
mi
hanno
detto:
–
Arrevederce a presto. Tu,
figlio mio, vede come
siammocommenate,chetutte
linostrerobequinoncisono
che li tenemmo dassutta, a
Santo Vito –. Quinte, tutto
quello che diceva, io ci
credeva. E mi ne sono antata
dalla mia madre che mi
aspetavaemihadetto:–Che
ti hanno dato ammanciare
questa sera? – E io ci ho
detto: – Niente, una tazza di
caffè–.Ecosí,miamadresiè
merevigliato che era senza
manciare e mi ha fatto
manciare.
E il provebio antico dice
ciusto che, quanto uno se
sente molto sperto, è piú
facile cascare dentra al sacco
e fare tante male comparsse
di cretino, perché in queie
ciorne non era io, perché era
umpriaco di nobilità. Che se
ciavessestatounospertoper
davero che mi avesse dato 4
tempolate
nella
faccia
impubilica piazza, avesse
fattomiglio!
Compure che era impriaco
di nobilità, io, ammia madre,
l’avevasemprenelcuorema,
per quelle ciornate, io era
stronzo con mia madre, non
ci dava tanta sodisfazione
quanto io ci ne dava a donna
Anna, mentre che mia madre
mi aveva portato al mondo a
forza di sacrafizie e pene,
epure io, che lo sapeva, per
quelle ciorne rispetava a
donnaAnna.
Cosí,lasettimanadopomi
ha preparato il vestito
inziemmi commia sorella e
partimmoperlacasadidonna
Anna.
Cosí, mi aveva vestito
bene. Certo che io doveva
conferire con il fratello piú
crante della mia fidanzata,
che si doveva puntare questo
cretino matrimonio. Cosí,
salo li scale, e lí non c’era
nesuno di quelle che io
dovevatrovare.
Cosí, mentre che io mi
stava fomando una sicaretta,
quanto sento che vineva
Filuzzo e quello rofiano di
Pinuzzo Azara e quella
rofianadisuamoglie.Ecosí,
mihannomessoabracetto:–
Cammina, Vincenzo, che
antiammo alla stanzione a
prentereaVituzzo,cheviene
con il treno di Piazza
Almerina,evienemagaresua
moglie.
Cosí, presemo la carrozza,
che l’ho pagato io perché
Feluzzo solde non ni aveva.
Ci abiammo messo sopra la
carrozza e partiemmo per la
stanzione, che antiammo a
prentere a queste 2 crante
personaggiechevinevinocon
iltreno.
Edaverohannovenuto.
E io, tutto priato. Che era
tanto contente che, come
quella sera, stubito cosí non
ci aveva stato maie, perché
aveva conosciuto a questo
presete.
E donna Anna, come si
assecuravo che venevino il
suofiglioelasuanuora,che
forse avevino una ventina di
mesechenonvenevino,parte
evaacomperaremanciareni
Maiore 24 per i suoi figlie,
sempreconlisoldemieie...
E poi arrivò anche l’altra
figlia di donna Anna, la
prencipessa e la recona di
Siraqusa, e il crante suo
marito cavaliere, primo
cancigliere della corte di
assisediSiraqusa.
Cosí, doppo una picola
manciatina, si ha cominciavo
a parlare di matrimonio e il
primo parlavo il presete: –
Noie abiammo questa sorella
e
tutto
quello
che
posediammo è tutto suo, e la
casa è sua –. Mentre che
questo improglione di capo
famigliadovevadirelaverità:
chequestacasaunamittàera
diSebastianoSciacco,perché
aveva, la crante mamma di
questenobilefiglie,lire3.000
e500lireuscitedallabancae,
sedonnaAnnanonciledava,
Bastiano Sciacco si prenteva
la casa, perché il carante era
Sciacco, e io non sapeva
niente.
Comedisse:«noieavemmo
solo questa sorella, è tutto
sua», io tutto ho creduto,
perché non era uno vidano
che parlava, era il presete di
Piazza Almerina. Vercogna a
direquestebucieie!
Cosí io, tra me, diceva:
«Che bella fortuna che ci ho
tuttoquellochehanno,etutto
quello che ci allasciato suo
padre quanto morio è tutto
dellamiafidanzata».
Cosí, io non ci deceva
niente.Quellochecivolevino
darecidavino.
Solo io voleva sapere se,
doppo maretato, queste mi
davino confedenza, non
amme, ma ammeno alla sua
sorella,poinonmiimportava
se non ci dotavino niente,
perchéiononlofacevaperla
robba, ma lo faceva perché
aveva
bisogno
di
racomantazione.
Loromidecevinocheerino
importanteederonocapacea
tutto. Pinuzzo Azara e sua
moglieconfermavino,chemi
decevino all’orechio: –
Vicienzo, non dire niente,
lascia parlare. Vede che non
haie da fare con acente
qualunque, vede che haie da
fare con persone per bene,
che tu staie cascanto della
vacila dell’oro 25. Tu puoie
averequelle16.000milalire,
ma li solde si fenisciono,
l’importanzaèchelanobilità
non zi feniscie maie. Penza
chefra20ciornedeventeraio
ilcognatodelpreseteediuno
incegniere e di una signora
che a Siraqusa è carcolata
comeunaprencepessa!
E, quanto parlava italiano
comme, questa sorella mi
facevacapirecheeralauriata
magareleie.
Cosí, erino li ore 12 della
notte e abiammo termenato
questa
senzibile
reconoscienza 26 di poche
parente della fidanzata. Io
l’ho salutato a tutte, non
comeamicomacomeunopiú
dentra di uno parente. E alla
zita l’ho salutato particolare
come fidanzata, perché fra
una vintina di ciorne mi
doveva venire moglie per
tuttalamiavita.
Cosí,hosalutatoalladonna
Anna, che era, in quelle
ciorne, mamma della pace
dellacasa...
E mi pareva che, con
quello matremonio che
stapeva facento, stapeva
scoprentoun’altraAmerica.
1
serbemento piú non ti ne posso
dare:nonpossopiúservirti.
2
trapito:frantoio.
3
nicozio:affare.
4
partenzadicase:gruppodicase.
5
scotolalle: battere i rami e farle
cadere.
6
Buccheri.
7
pareco:parroco.
8
li aveva a babiare: in questo
caso,ledovevamolestare.
9
batia:abbazia.
10
conzarese l’azalata: condirsi
l’insalata.
11
rovette:cespuglidirovi.
12
GuerinMeschino.
13
barbaie:grosselumachescure.
14
conzimato:rovinato.
15
conzatolatavila:apparecchiato
latavola.
16
presete
a Piazza Almerina:
presideaPiazzaArmerina.
17
s’allicava:sileccava.
18
la ciufazza: la Giufà, la
sempliciona.
19
ti vaie prentento il penziero
dello Rosso: ti stai preoccupando di
cosechenontiriguardano.
20
trocata:truccata.
21
labbra.
labra pitate: il rossetto sulle
22
UnquartierediChiaramonte.
23
Acireale.
24
RistorantediChiaramonte.
25
staie cascanto della vacila
dell’oro: stai cascando nella bacinella
dell’oro.
26
senzibilereconoscienza:delicata
presentazione.
Capitolotredicesimo
Laquerraincasa
Evenneilciornno24.Che
maie avesse venuto per me
quello maledetto 24 gennaio,
che ho preso una crante
collera,invecidiunaallecria.
E quel maledetto ciorno ha
ciornato conni una fortte
pioggia e un vento e un
freddofortte.
E cosí, la matina che
aspetava tutte li nobile
parente,dentraallacasadella
zita c’era io, Nella e la bella
di donna Anna sole. E con
tante preparetive non c’era
nessuno. E io che mi aveva
fatto il cunto che la casa era
stretta! E tutte li crante
signore che dovevino venire
nonvennero.
Eiodiceva:–Eperchénon
sono venute? – Mentre
parlava la santuzza di quella
che mi doveva venire moglie
e mi diceva: – Non ti
arrabiare perché non sono
venute i miei, perché sono
stato di parola sempre –. E
poi,pernonmifarearrabiare,
mi diceva che: – A quest’ura
sicuro che dovessero essere
dentra la chiesa tutte, perché
la ciornata è con acqua e
vento;epoichetuancoranon
li sai i fatte di questa casa,
cheimieinonpuonovederea
mia madre, che sempre fa
vuce, e quelle sono persone
civileenonlapuonosentere,
e a quest’ora sono tutte che
aspetinodentralachiesa.
Cosí, si hanno fatto li ore
9. E certto che alle 9 era
tarddo, certo che fuore c’era
quello mastrise 1 di Filuzzo
che aveva avvisato a quello
rofianodiPinuzzoAzaracon
la machina che si metteva
pronto per venirene a
prentere. E poi c’erino tante
compagni di Filuzzo che
spetavino che io mi sposasse
e dare l’assartto alle cose di
manciare.
L’ebiche erino miserabile,
chemanciarecomeoranonci
n’era, e poi sentevino
«dolce»,etrovareaunocome
me, troppo di cuore buono,
tutte venievino per dare
l’assalttoalledorce.
Cosí, io e la zita ci
abiammo messo dentra la
machena e in 2 menute
fuommo dentra la chiesa, e
trovammo solo a quello santi
di padre Pietro che stava
servento la messa, e io e la
fidanzata messe in cinochio
vecino all’artaro. Che, per
me, io mi aveva voltato e
dentra la chiesa c’erino solo
le piciotti amice di Filuzzo,
mia madre, mia sorella e
Paolo, il mio fratello, e
qualche amico mio, e li
maleducate figlie della
molinara amica di donna
Anna,chiamatediCatania.E
poi, non vose 2 venire
neanche Vituzzo Scaghiola e
neancheTureRivietto,perché
non potevino vedere alla
donna Anna, solo che c’era
Ture il Marchese e i suoi
cognate, che avemmo avuto
tanta fortuna a Francofonte,
perché erimo state compagni
nell’olive.
E io non mi poteva
immacinare mai che non
aveva venuto nessuno di
quelle crante signore, che
sempre in quelle 20 ciornne
difedanzamentononziaveva
parlato altro che vinevino
tutteelirecaleerinoprontee
il posto era pronto; e poi
dicevino,questoimproglione,
che non erino recale come si
usa a Chiaramonte, ma erino
recaleausoCatania.
Cosí, ci abiammo sposato.
E io, per me, a dire «sí», mi
pareva che mi avevino
condannatoa30anne.
Poi che io sapeva che
l’immitate3erinoassai,dorce
e licuore, io ni aveva
comperato assaie, e tutte
manciaveno e bivevino, però
nonsapevinochetuttequeste
soldel’avevinouscitoio,tutte
sapevino che l’aveva uscito
donna
Anna,
perché
altrementemidicevinocheio
era bestia, che lo spesato del
matrimonio, le solde, ci
l’aveva messe io... perché in
qualunche famiglia, povera
quanto sia, magare di
scupostrade 4, lo spesato del
matrimonio sempre l’avesse
fatto la famiglia della
fidanzata.
Ma questa nobile famiglia
erino tutte morte di fame,
tanto che mia madre, di
povera che era, si ne era
antatonelfornnodellePattee
fece 2 tumila di pane e pizze
e scacci, perché io ci aveva
detto e l’aveva pregato che
nella casa di quella nobile
famiglia non c’era niente per
manciare e, se vinievino i
suoinobileparente,nonc’era
neanche pane. E mia madre,
che per me che mi voleva
tantobene,poveretta,dovette
fare il pane per manciare a
cente desoneste che poi,
invece di rencrazialla, per
butana fu lassata e per criata
fu chiamata 5; e quanto
vedeva a questa maledetta
femmina, magare tineva
paura di avvicenare dove
stava il suo figlio Vincenzo.
Vercogna! Che famiglia di
miserabile!Equestecoseche
hanno fatto con mia madre,
tantabuona,sièverochenel
cielo asiste il Patreterno, se
devino pagare sempre. E lo
pacherannomagareifigliedi
queste male acente, a
improgliare amme, tanto
modesto che era in quelle
tempe.
Cosí io, quanto tutte si ne
sono antato, e restammo io e
mia moglie e la maga di sua
madre, hanno cominciato le
primefruste 6, che io voleva
sapere il perché non hanno
venutoquesteparenti,perché
tutto questa presa in ciro e
tuttequestelazzaronechenon
zi sa quello che avevino a
portare di recale e poi non
c’eraniente.Eminomaleche
avevafattoil25chiladipane
miamadre…
Cosí, ci acominciammo a
sciarriare
della
prima
ciornata. Mentre venne un
telecramma
di
Piazza
Almerina, dove diceva:
«Buona fortuna e felicetà.
Sempre io e mia moglie
siammo malate e non
abiammo potuto venire».
Quistaèlaprimavigliachiata
miserabile, e ci fu una
custione.
Poi, doppo 15 minuti,
venniro altre 2 telecrammi,
dove decevino che non
avevinopotutoveniretuttala
crante famiglia riale di
Siraqusa, dove il telecrammo
dicevacheerinotuttemalate.
E quinte, io disse: – Che
maravigliachelituoiparente
sono prese della maletia…
Chehannotuttelaspagnola?
Mentre
revava
il
telecrammo di quello crante
uomo scenziato di Ravenna,
che era propia il mago di
questa sorella, ed era malato
luiesuamoglie.Eiodisse:–
Fossemegliochemorevino,e
non prentere per fessa amme
efarememaretareconqueste
promessechemihannofatto.
Vercogna!Chesignorecheci
sono in questa miserabile
casa… tutte malate cascaro
ora, tutte il ciornno 24! Ma
perché queste l’hanno fatto,
perqualemotivo?
Mentra mia moglie mi
diceva: – Il fatto ene questo,
chenonpuonnovedereamia
madre,eperquestononsono
venute –. E io ci diceva: –
Non ene che non puonno
vedere a tua madre, ene che
non puono vedere alla
famiglia. E quanto un figlio
non pole vedere a sua madre
e sua sorella, voldire che si
vercognino,evoldirechenon
sonofratelleesorelle.
Cosí, versso sera, venni
padre Pietro e portò un
crucefesso e lo ammesso al
capizale. E tutto questo era
l’oro che dovevano recalare
tuttequestecrantenobile...
Poi, io mi vose passare il
piacere di sapere quanto
valore che aveva questo
crocefisso.Evaionelnicozio
di Nele di Pavola. E ce
n’ereno tante, di queste
miserabole crocifessa, che
costavinolire12.Equinte,il
valore che hanno recalato
questa nobile famiglia era
stato di dodice lire.
Vercogna!
Mentre li mieie tinte 7
parente: Vito, che era il piú
scasso 8 della mia famiglia,
aveva comprato un tinto
recalo di lire 16, e la mia
sorella, che era «butana e
morta di fame», come diceva
donna Anna, mi aveva
recalatounrecalodi30lire,e
mio fratello Paolo, che era
«bichino», compravo una
Madonnachespeselire40,e
miamadre,cheera«butanae
criata», fece il pane e tante
pastiere,perchéaltremente,se
non avesse stato per quelle 2
tumila di pane, avessero
crepatotuttedifame.
Poi,SaroCrucicufinaesua
moglie hanno portato un
quatro che ci ha costato lire
50,poiVitoSalernnoportavo
un servizio che costò lire 30,
poi Tato dello Barsagliere
portò un servizio che costò
lire 25; e tante altre amice
miei, che non hanno venuto
perchénonpotevinovederea
questa
miserabile
e
discraziata donna, che mi
potevino portare tante belle
regale,nonpuotinovenire.
Cosí, lo piú povero recalo
chemiannoportatofupropia
quello di quello padre Pietro,
che valeva lire 12, mentre
quanto veneva qualche
tapinara amica della stessa
marcca di donna Anna e
volevino vedere li recale che
ci avevino portato nello
stubito matrimonio, subito
mamma e figlia prentevino
quello schifio di crocifisso e
cilofacevinovedere,epoici
decevino, mamma e figlia,
che era crocifisso dato di
padrePietroeavevailvalore
di assai solde e ci facevino
capire che costava 2, 3 cento
lire!
Ungiorno, antai a pregare
a mia madre che mi venesse
affareunavisitaallacasa,che
pareva una vercogna che una
mamma,
doppo
tante
sacrafiziecheavevafattoper
rinescire 9 a un figlio, e poi
non poteva venire affare una
visita al figlio apena
maretato;
mi
pareva
bruttessimo.
E cosí, mia madre,
poveretta, davero ci vinne. E
come venne, questa mala
femmina subito ci ha detto
male parole, e mia madre,
poveretta, subito si n’antò. E
comesin’antòmiamadre,io
la vado acompagnato a casa
sua e mia madre disse: –
Maledettodiquannofuchevi
avetesposato.
Io, tanto rispiaciuto, mi ne
sunoantatoacasaesubitola
donna Anna mi ha detto: –
Tu,atuamadre,quinoncila
deveportare,perchéliacente
non siammo tutte li stesse.
Sai che tua madre non ave li
figlie come l’haio io, e tua
madre affatto la serbba e io
offattolapatrona?
Cosí,iosubitocihodetto:
–Laserbbaeunllavorochesi
fa, abastica non affatto la
butana! E vi levavo la fame
avvoi quanto avete maretato
lafiglia.
E cosí, socesse il caso del
diavolo tra me e questa
maledettadonna.
Poi, io penzava che aveva
stato all’Africa e ho visto
tante animale e servaggie, e
nonpottemurire,esacrafizie
nioffattotanteenonmisono
preso di paura, e ora, con
questa maledetta donna, mi
avesseaffarepaura?Madeve
scappare lei della casa e no
io, e io voglio compattere
questa mia mala sbentura,
vediammocomemifeniscie...
Poi, io lo diceva a mia
moglie: – Ma come si deve
fare con questa tua nobile
mamma?–eabassavoceper
non lo fare sentire alla
mammina. E lei mi diceva: –
Ecquo perché non hanno
voluto venire i miei fratelle!
Ti sei fatto convinto? Qui,
questa casa, lo sai quanto
potissimo stare bene e venire
sempre i miei fratelle e mia
sorella, quanto muore mia
madre...
E io con queste parole mi
confortava e diceva: «Chi lo
sa si è vero quello che dice
miamoglioseèimprogliona
cometuttalafamiglia…»
Allasera,nellaSocità 10,e
in tutte li discussione che si
facevino, si diceva che la
Cermania aveva preso il
Bercio e stapeva entranto
nella Francia; e l’Italia, che
eraconlaCermaniauniteper
fare la querra alla Francia e
l’Inchiliterra, si ammesso a
chiamaresoldate.
Ecosí,ipremesoldateche
chiamarenofuorinonoi1898,
1899, che uno di queste era
io, tutte marevigliate che
l’Italia chiamava soldate e
chiamava propia noi, che
avemmo41anni.
Cosí, come la donna Anna
intese che c’era la querra e
chiamavino propia a me, si
affatto il cuore, che io
parteva, e diceva: «Questo
miracolo mi lo sta facento il
Patre Eterno. Che, cosí,
muore!»
Mentre che si doveva
mettere a piancere, quanto
senteva «querra», perché ci
l’avevamagareleitantefigli!
Equantosenteva«querra»,si
doveva mettere a piancere
come piancino tutte le
mamme che hanno li figli in
querra.
Poi, doppo tri ciornne,
davero ni ha venuto la
cartolina di precetto che
dovemmo partire per soldato
e ci dovemmo presentare al
destretto di Raqusa il 20
febiraio 1940, che io aveva
neanche2mesechemiaveva
maretato.
Io diceva: «Con quella
querra che ci avevino stato,
c’era stata mia madre che
avevaprecatoperme,maora
cheebbequestadischiraziadi
maretaremi
con
questa
discraziata famiglia, che e ca
deve pregare per me?» Che,
semoreva,tuttepotevinofare
un devertimento, con la tanta
penacheavevinoperme...
Cosí, ci hanno dato tutto
comefosseiltempodiquerra
e ci hanno mantato con il
treno a Cela. Ci hanno fatto
farelitentevicinoalmare,e
alla notte davero erimo che
montiammo la sentenella con
il fucile carico e tante
mitragliatricepuntateluncoil
mare, come fossimo in
tiempodiquerra!
La nostra conzegna era
che, se vediammo, spece di
notte, nave che si avessiro
avvicenate alla spiaggia, si
doveva sonare l’alarme per
paura
che
venissero
l’inchilese.Ecosí,l’inchelise
non venievino e noi stammo
buone.
Poi, seppimo che il nostro
colonello era il notaio Melfe,
che era il comantante di
bataglione ed erimo a posto.
Tutto il battaglione erimo
2.000 e, di queste 2.000
soldate, 30 erimo paisane,
tutte di Chiaramonte. Io
penzava che c’era, vicino di
Cela, Piazza Almerina, che
tutte li ciornate parteva il
camio per fare la spesa, e tra
mediceva:«Chisaselosape
il fratello crante di mia
moglie, che ene il presete di
Piazza. E se lo sapesse fosse
buono, cosí io potesse
prentereunabuonaamicizia».
Poi, mia moglie che mi
l’avevamantatoadire:«Vaia
fariciunavisitaamiofratello,
che l’altro iere mi lo scrisse.
Che mio fratello Vituzzo
comme era stato tanto
buono». Cosí, io mi ho fatto
convinto.
Cosí,daveropartiio,evado
aPiazza.IoaPiazzaciaveva
stato per lavorare e non
valeva niente come persona,
ma antantice per trovare al
preseteefacendocicapirealla
centechequellocranteuomo
era il fratello di mia moglie,
io, che era il marito della
sorella, c’era una crante
difrenza. E tuttu che mi
priavaecaminavacontente;e
quelle stesse che erino nel
camio, che ni sapevino
qualche cosa, mi portavino
tantorespetto.
Cosí, mi sono presentato
alla scuola vestito di soldato.
Noneratantoscomitovestito,
e malecomparssa non ci ne
poteva fare fare, perché
d’ognuno diceva: «Questo
ene soldato», ma chi lo sa
qualecarricacheioaveva!
Poi, come ni abiammo
visto,perdirelaverità,miha
presentato a tante suoi
colleca, dicentoce che io era
comirciante ed era marito di
sua sorella. E per davero mi
hannorespitato.
Poi, alla sera, antiammo a
trovarealcapostanzione,che
erinomoltoamice,emiciha
presentato, e ci ha detto: –
Questo ene il mio cognato
che, se potiammo, lo
dobiammo fare trasere come
impiacato nella Ferrovia,
perché lui eni commirciante,
l’affare ci vanno male e non
vole fare piú il commirciante
–. Amme quella proposta mi
ha piaciuto tanto, perché piú
furbba di quella penzata non
cinepotevinoessere.
Io, in quella ciornata, era
tantocontentechecomequel
ciornno non ci aveva stato
mai, poi che mi aveva fatto
tante scuse perché non fu
presente al matrimonio e poi
chemiavevadettoche:–Pir
orac’enelaquerraedevefare
pacienza, ma tu sarai
sestimato.
Cosí, ci n’antiammo al
cinima.Mihadetto:–Perché
non viene tua moglie
appassare 3, 4 ciornne qui,
mentrechetuseivicino?–E
con quelle parole mi senteva
unodiquellebuone.
Poi, sua moglie, che era
tantacentileversodime,che
io credeva, mi ha detto: –
Vincenzo, lí a Cela ci deve
essere vino buono –. Mentre
respose il suo marito e disse:
– A mia moglie, che ine di
l’Art’Etalia, ci piace il vino
della Sicilia –. Io, sentento
questo, pare che mi davino
umpremio, e ci ho detto: –
Non ti priucupare, che un
bello buteglione di vino ti lo
porto fra 4, 5 ciorne. E io,
quanto dico una parola, la
faccio.
Cosí,iostese2ciorna,che
fu tanto sodisfatto. Ci
abiammo salutato con dire:
«Arrevederci».
Io
che
penzava che ci doveva
portareilvinobuono.Eprese
l’auto busso e partie tanto
allecroecontente.
Cosí,ioaVittoriacivoleva
antare, per quella parola che
avevadatoperilvinobuono,
che Vittoria era la mamma
delvinobuono,evolevafare
una buona comparssa e per
farece capire che questo
benedetto presite aveva un
cognatocheeradicorebuono
elasuasorellaavevacapitato
ummarito che era affettuoso
conlafamiglia,ederatroppo
pontuvale.
Dopo qualche tempo,
andai a Chiaramonte in
licenza. E c’erino 3.500 di
cambiale sulla casa. E,
quantopiúpresto,licampiale
ci le passavino sopra la metà
dellacasa,epoisilaprenteva
BastianoSciacco.Ecidico:–
Siente, Bastiano, ti piace
come dico io? Avante che
partiammo per Cela, ti piace
cheli3.500lire,primachetu
lepasseallabanca,lisolde,ti
li do io? Portammo a donna
Anna di fronte al notaio, e
cosí, sempre alla buono, ci
faciammo fare l’atto della
metà della sua casa, avantica
silamancialalige.Cheiomi
sonomaritatoinbuonoafede,
con tutte queste figlie riche
che ci ave, e staio restanto
senzaniente...
Cosí,BastianoSciacco,che
erimo amice, che avemmo
stato tante volte soldato
inziemme, mi ha detto: – Fai
bene,Vicenzo.
E antiammo nel notaio. Il
notaio sapeva tutto; ha
chiamato a donna Anna e ci
hadetto:–Levostrefiglieve
mantinolire100almese,voi
dovete pagare l’intresse della
cambiala,epoichecidovete
manciare,epoidovetepagare
La Fontifaria 11, e non vi
bastino,equinteviprotestino
la cambiala e la casa si la
mancialaleggi,mentre,sela
vostra mettà ci la ventete a
don Vincenzo, ecco si paga
tutto lui, che il marito di
vostra figlia ave questa bella
volentà.
E donna Anna ci ha detto:
– Come dice lei, notaio,
faccio.
Ecosí,siaffattol’attoeio
ho pagato tuttu. E cosí, la
mita della casa era mia. E
però, dandoci li soldde io,
tutte li soldde che io aveva
cià, mi n’avevino restato
poco.
E io, con i solde che ho
spesodentraquestamaledetta
casa – con 16 mila lire, oltre
al quadagno che aveva auto
con don Turiddo il Marchese
–,mipotevacomprare2case,
e inveci mi ho trovato senza
soldeeconniunacasachela
notte, quanto piove, si deve
stare dentra con il paracqua
apertto. Vercogna! Che casa
disignore…
Poiiomisonopresodiun
buono sentemento e parlaie
conSaroModica,quellodella
luce, e disse: – Tutto ho
persso, ma ora mi voglio
passare umpiacere, voglio
spenterequestopocodisolde
chehaio:civogliometterela
luce e magare il campanello
–. E don Saro Modica mi ci
ammessotuttoinunciorno.E
cosí, all’endomane assera,
dentra a quella casa rotta,
c’erinomesse16lampadinee
unbuonolampadario.
Cosí, doppo metirece la
luce, donna Anna, di quella
ciornataimpuoi,nonmipotte
vedere piú amme. Che, con
quella comperata di mezza
casa sua, non ci potte pace
piú, sempre che mi mantava
iastmi 12, sempre che mi
diceva: «Tu deve morire
ammazato, perché ti haie
presolamiacasa».Etutteci
dicevino:
«Ma
quello,
puvirieddo, vi ha dato li
solde,mentrechelacasa,alla
vostrafiglia,ivostrefiglieci
avevinodettochecidotavino
la casa, e invece nella casa
c’erino tante dibite. E
rencraziateaDiochel’aveva
luelisolde,altrementelacasa
silacompravalaleggie...»
Cosí, si hanno fenito li 15
ciorne di licenza e ho partito
per Cela. A Cela ci hanno
fattoatennare 13allacontrada
Monte Lunco, che era una
fortte propietà tutta piantata
dimandole.Ecosí,abiammo
fatto tante belle tente, fra i
quale quella tenta che
avemmo
fatto
i
10
chiaramontane. La piú bella
doveva essere la nostra,
perché erimo paisane del
maggiore.
E questa tenta era io che
l’avevaafaredeventarebella,
perché io era l’unico soldato
cheavevastatoneldiserttodi
Tobruch, era io che aveva
stato 33 mese all’Africa, era
iocheavevastatoperquase5
anne sempre sotta li tente a
dormireederapratico.Poi,io
ciavevatantapacienza.
Cosí, a forzza di legna e
ramustelleepacienza,fecimo
una tenta per diece soldate
tutta con li lette a cucette. E
poi c’era dove si aveva a
ciucareallecartteec’erinoli
tavolineelisedie.
Poi venni il 24 maggio, o
era il 20 maggio, o era il 30
maggio, non recorddo il
ciornopreciso14,edovettimo
antare a Cela, che di Monte
Lonco, dove erimo acampate
c’erino3chilomitre.
Ecosí,partiemmotuttedel
campo. E come revammo a
Cela, abiammo saputo che
doveva parlare il duce, il re,
Batoglio, e tutte 3 dovevino
annonziarechel’Italiadoveva
dichiarare querra alla Francia
eall’Inchiliterra15.Edicome
dicevino tutte 3 alla radio ci
affatto tanta impresione, che
vineva di piancere quanto
dicevinochesidovevafarelo
sbarccoaMartta.
E poi se diceva che
dovemmoantareinArceria,e
poisidicevachenoiavemmo
antare in Tonnisia. E cosí, ci
hanno fatto prentere di paura
e ci n’antiammo tutte di
ummaloamore.
Ma, però, non antiammo
annessuna
parte,
che
restiammo sempre a Cela.
Solo che amMmarta ci
antavino li aparechie. E se ci
ni antavino 10 alla sera a
bombardiare, ni retornavino
5, perché li artigliariei li
facevino cascare, perché
Martta era molto fortificata
dagliinchelise.
Quinte,laquerrainfuriava:
la Cermania traversava il
Bercioestavaperconchistare
Parici. Cosí, l’italiane presiro
la Tonnisia, presiro Nizza e
Savoia, e combattevino
inziemmiallaCermania,epoi
hannoconquistatolaCregiae
l’Arbania.
E
la
Francia
ha
capotalato16.
E quinte, si hanno visto la
querra vinta tutte le 3 crante
nazione, e c’era pure il
Ciappone che combateva
contra l’Amirica e stava
conquistantotuttoilterretorio
cenese.Chequeste3nazione
si chiamavino «il tre partito
Roma-Berlino-Tucchio» 17,
che si diceva che erino
invencibile.
Cosí, intervenne la crante
Rossia,cheeracontradinoi,
della Cermania, e in favore
all’America. Tutto si poteva
pensare e no perdere la
querra.
Cosí, tutte l’italiane erimo
contente con queste belle
posezione che avevino preso
queste tre nazione. Cosí, la
Cermania stapeva prentento
la Russia, e l’Italia ci
ammantato un corppo di
armate, e per fina tutto il
1942erimostatevetoriose.
Poi veneva il mese di
ciugno, che cominciavino a
matorare tutte le frutta,
perchéfacevamoltocalddo,e
cominciavino a matorare li
fico, li milone, li pirecella, li
persiche 18. E queste frutta
non erino dei principale
padrona, ma erino di noi
soldate. Perché alla sera
volemmofaretuttelarontae
volemmo
tutte
cirare
campagni campagni allo
scopo di manciare frutte; e li
padrone bestimiavino e
recramavino sempre, e
raggionenonniavevinofatta
mai.
Poi, cominciavino li
milone,equinteantiammoin
cercca di milone: e con il
coltellosicifacevaunabuca
e se era rosso ci lo
manciammo, e si era bianco,
chenoneraancoramaturo,lo
cirammo di sutta sopera, di
maniera che il padrone si
pareva che non era tucato e
quantoloantavaaprenteresi
facevalisanquiacqua.
Ein8mesedistareaCela
lunco il mare non abiammo
sparato un corppo di focile.
Manciammo e bivemmo,
cantammo, e tutte i soldate
avemmo adiventate crasse
comemule,ed’ognunodinoi
eraaumentato10chila.
Cosí,questabellavitadorò
per fina a tutto il mise di
ottobre,cheebimoiltempodi
fenirne di manciarene tutte li
frutta che ci avevino stato
nelle
campagne,
e
cominciava
a
venire
l’inverno. E poi che aveva
venutaunaleggiecheaquelle
che ci avevino 4 figlie li
mantavino a casa, perché
forsse che al coverno ci
costavaassailiasegnecheci
davino, e cosí, stavimo
restanto poco. Ma, però, non
pareva tempo di querra piú,
che la querra sapiammo tutte
cheeravinta.
Cosí, ci hanno fatto capire
chenonc’erabisognodinoi,
e si diceva che ci dovevino
concedare a tutte noi del
1899.
E ci n’antammo tutte in
concedo che pareca si avesse
fenitolaquerra.
E cosí, anch’io mi ho
concedato. Ma per me era
cominciata la querra, ad
antare a stare inziemme con
quella canazza femmina. Ma
poi disse: «Questo ene il
momento che amme mi
potessero fare un favore li
parente di mia moglie…» E
quinte,orasivedevaseerino
fratelle, ciusto a quello che
tante
volte
avemmo
raggionato,cheilpostomilo
davinocomemiconcedava.
Ecosí,iocifacevascrivire
lettre a mia moglie. E mi
dicevino:
«voggie»,
«domane», «sempre»... E io
stava sempre con quella
maledetta speranza, con
queste improgliona acente
che dicevino che erino
signore, ma erino peccio di
uno vedano inaffabeto, che
piú assaie ci scriveva piú
disonesteerino.
Cosí, io le solde li aveva
fenito tutte e c’era di tastare
macare la fame, e cercava di
come poteva fare per
manciare. Cosí, tutte i ciorne
bestimiava. Mia madre
quantomivedevapianceva.
Cosí, mi ni antai a Raqusa
appiedeperantareatrovarea
don Vito Vintura, che questo
era impiagato al tempo di
fascisimo
all’oficio
di
collegamento dove facevi
partere operaie per la
Cermania. Che cosí io, per
mezzo di questo, poteva
partire. E cosí, davero fece,
chepreselastradaapiedeper
fina a Raqusa per antare a
pregareaquesto.
Cosí, arevato a Raqusa,
trovo propia a chi cercava, e
allora, parlanto con questo
Vito, mi ha detto: – Sí, ti
facciopartire.
Cosí,mihopresolastrada
per antare a Chiaramonte e,
alla sera, sono revato tutto
bagnato,perchéerailmisedi
dicembreesemprepiuveva.E
come vado per trasere dentra
a quella maledetta casa, che
mi ne era pentito che mità io
mil’avevacomperatoeaveva
restato senza un soldo, e ora
non ni aveva neanche che
manciare, e come sono salito
le scale, ho trovato a mia
moglie che prenteva acqua
del pavimento, perché aveva
piuuto fortte e, secome la
canolata 19 che avevino fatto
quelle mastre non aveva
pentienza, l’acqua, quanto
piuvevaforte,invecediuscire
fora,trasevadentra.
Ecosí,ioerabagnatoemi
dovette mettere a butare
acquafuore.
Chedescraziacheioaveva
capitato
con
questo
miserabile matrimonio, che
mi dovette magare comprare
la casa che, quanto piove,
piove magare dentra! E poi
che doveva dare conto a
quellacanazzafemenaestava
sempre disperato e mi aveva
confuso e non sapeva come
fare.
Cosí, c’era il lavoro alla
Madonna delle Crazie, che
stapevino piantanto la pineta
e c’era uno assestente delle
quardie forestale e una
cinquantina di contatine
c’erino che piantavino le
albere. E gli disse se c’era
umpostoperlavorareperuna
ventinadiciorne.
Epreselozapune20evado
alla Madonna delle Crazie, e
perstradabestimiavaediceva
che, prima di maretarime, io
era padrone che comantava e
avevalaqualificadipiconiere
e poi aveva stato impresario
di olive insiemme con
Marchese don Toriddo e
donn’Adorffo e li cognate di
Marcheseeavevatantesolde,
e ora mi trovo con questo
zapone alla pineta, e
miserecordia, e mi fanno
lavorareperpoteremanciare!
Maria, che vercogna! Io, che
mi voleva fare bello, io che
mi aveva sposato a una
sorella di uno incegniere e
una sorella di una che mi
deceva che a Siraqusa era
tratatacomeunaprencipessa,
iocheavevaunasorelladiun
santopadrePietro,chenonsi
sapeva tutte quello che per
meavevinoaffare…
Ecertochetuttequelleche
mi conoscevino, che il paese
è picolo, dicevino: «Chi era
questo? Quello che nello
olive ci avevino restato tante
solde? Che era questo?
Quello che aveva venuto di
l’Africa che aveva tante
solde?Chieraquesto?Quello
che aveva fatto un ricco
matrimonio? Ecco che si
trovaconnoiedavelistesse
soldecheavemmonoi…»
E io lavorava e faceva
silenzio,emuzicavaferro.
Cosí, io, alla sera, quanto
vineva, non solo che vineva
arrabiato come un cane, che
midovettesocitare21affareil
vedano, che aveva fatto tante
sacrafizie per non lo fare, e
poi,davantelaportadiquella
disonesta casa, trovava a
quellacanesopralabanchina
che, quanto passava, mi
diceva: «Latro! Mi haie
robato la mia mezza casa!»
Che voleva solde e casa. E
poi mi diceva: «Ammazato
devemorire!»
Io era fenito. Tutti li volte
che passava sempre dicento
cosí. Io stava uscento pazzo.
E poi mi diceva: «Se mi la
fido 22, ti devo mantare in
calera…»
Poi che questa maledetta
casatuttarottaconfenavacon
unoproffessorecheabitavaa
Palermmo ed ogni anno
vinevaappassareselivacanze
a Chiaramonte, e questo
professore era chiamato
Ingnazio Melfe, ed era muro
con muro della descraziata
casa; per pura compinazione,
c’erano una picola banta
paisanachelanotteantavono
arrobare,chesichiamava:«la
bantadiPuliceSecco»,ecosí
questa banta hanno robato
una notte, e hanno robato in
questo professore. E quinte,
alla matina, il professore ha
fatto dinunzia alla casermma
dai carabiniere. E quinte,
nelle vecenanze della strada
c’era la batuglia dei
carabiniere.
E cosí, hanno domantato a
tuttoilvecinato.Equinte,era
l’oradidirecechefossestato
io arrobare… E cosí davero
fece quella desonesta donna:
checomecihannodomantato
chi potesse essere il
corpevole,ladescraziatacana
ci ha detto che fu propia io
cheavevaarrobato.
Cosí, li carabiniere si ne
sono antate nel professore
dicentoci che era io quello
che l’aveva arrobato. Ma il
professore
Melfe,
che
conosceva amme, ci ha detto
ai carabiniere che io non era
capacedirobare:–Chesono
oneste tutta la famiglia, e
quintenoncicredo.
Io,conquestoMelfe,c’era
stato con la Melizia a
Palermo e mi conosceva
assai, poi che era scritto al
Nastro azzurro. E quinte,
quella cana donna non fece
niente, restavo di lordda 23
cheera.
Io non sapeva come fare
per fare scandoliare 24 a
questa delenquente donna, e
penzavadicomeavevaaffare
per farlla prentere di paura
quanto lei vedeva amme.
Cosí, io mi ne sono antato a
parlare contra di lei alla
caserma.
–Eorasequestaancorafa
la delenquente, – diceva il
maresciallo, – metiemmo
dentraallei.
Cosí,io,almaresciallo,per
dispetto di quella nobile
famiglia,cidiceva:–Magare
facesse questo, che a questa
maledettadonnalametessea
camira di sicurezza 3, 4
ciorne,chefacessetantobene
amme, che mi lassasse
impace per fina che partisse
per la Cermania... E magare
lassasse impace a tutto il
quartiere della via Tommaso
Chiavola, e magare a tutte i
suoifiglie…
Cosí,questadonna,tuttele
serecheiovenevadellavoro
della chiesa della Madonna
delle Crazie, piú nella
banchina dela casa non zi
faceva trovare, perché forsse
forsse che qualcuno ci aveva
detto: – State atento, ora che
l’avete
dinunziato
a
Vincenzo.
Cosí,ladelenquentedonna,
quanto sapeva l’olario che io
vineva,evinevaarrabiato,lei
subito si n’antava. E si
n’antava allo Corsso, che lí
c’era una certa putiara
chiamata «Ruvina», che era
dellastessamarcca,ecidava
la sedia, e poi, come si
sideva, volevino sapere tante
cose di tutte li sciarre che io
ellei avemmo; e si passavino
iltempointante,fralequale
vicinoc’eraunochefacevail
barbiere, che si chiamava
Pipino Arabito, che avemmo
stato tanto tempo inziemme
soldato, e questo amme mi
defenteva, se la senteva
parlare. E poi sempre questo
Arabito chiamava a un certto
PaolinoDavola,cheavemmo
stato pure inziemme soldato,
e poi c’era un certo Ravalle
Cioseppe, che avemmo stato
pure soldato inziemme, e poi
c’era un certo Pipino
Bonencontro, che erimo
vicine di casa. E tutte queste
erinoinfavoreamme.
Io li ho remproverato,
perchésipassavinoiltempoa
sentireme sparrare. E cosí, io
ci ho detto: – Perché non
cercate, invece, di direce:
«Donna Anna, state atente
con Vincenzo, che quello
pare manzo 25, ma manzo
perché non lo conoscite! Ma
noi, che lo canosciammo...
Sapete che cosa fece
Vincenzo una volta che ci
trovammoaPadova...»
Cosí, io, al soleto, mi ne
sono antato allavorare con
quellasbenturadelavoro,che
io mi vercognava a fallo, e
cosí,questa,lasera,sin’antò
allo stesso puosto, allo
Corsso,semprepersparrarea
me, e queste amice miei si
sonoavvicenatedentraquesta
putiara della Ruvina e,
reprentenno il descorsso che
gli avevo detto io, dicentoci:
– Donna Anna, voi, con
Vincenzo,fossemegliochevi
allontanassivo,
perché,
quanto ci prentino li nervve,
non arragiona. E voi ancora,
donnaAnna,nonloconoscite
che cosa ene Vincenzo.
Perché ave poco che lo
conoscite,manoi,chefecimo
la querra inziemme, lo
conosciemmo mieglio di voi.
Vincenzo ene uno traditore.
Stateatente!
Mentreunaltrocidiceva:–
Speciarmente che l’avete
denonziato al maresciallo dai
carabiniere,checiavettedeto
che aveva robato ni don
GnazioMelfe.
Mentre l’altro diceva: –
Certo che qualche volta vi
ammazza.
E donna Anna senteva e
nonparlava.
Mentre l’altro diceva: –
Sapete che cosa fece
Vincenzo? Che quanto per
una cosa di niente si hanno
apicicato con un saldignuolo,
e con il saldignuolo non ci
poteva, perché quello era piú
fortte, una notte si ha
sosuto 26, va nel letto del
sardignuolo,prenteilpugnale
ecilohaimpelato27dentrala
pancia. E il sardignuolo
morio subito, senza che si
sappechelohaammazato.E
tuttelibodelladellapanciaci
l’affattouscirefuora.Equello
descraziato di Vincenzo,
comelohaammazato,nonzi
affatto né bianco né rosso, e
sparte non ha pagato niente,
perchéeratiempodiquerra.
Ma donna Anna, che ha
inteso tutto e ha capito che
Vincenzo
era
cosí
delenquente, ci credeva che
un ciorno oll’altro donna
Annavinevaammazata,epoi
penzava alla sua sporcca
coscienza,chemiavevadetto
cheioavevarobatoenonera
vero.
Eaquestamaledettadonna
sihapresodiunaforttepaura
evaacercareunacasa–che
cil’hannocercatoquestesuoi
colleche «Ruvine», e ci la
feciro capitare subito una
casa a Piano Salvatore 28 per
lire5o6lirecheforino,non
recorddo. Si carrica tutte li
miserie che lei aveva, che
erino tutta la rechezza che
c’era in quella nobile e ricca
famiglia,eco’l’aiutoditutte
«i Ruvine» si ni antò. Certo
cheavevapauradime...
Cosí, io restai solo e stese
impace.Espetavaladomanta
perlaCermania.
Ma poi senteva piancere
allamiamoglie,chesenzadi
sua madre non ci poteva
stare, e c’era un’altra
camurria dentra a quella
descraziatacasa.
Allora, io penzai che c’era
il damuso, che l’aveva
affetato una donna piú
disonesta di donna Anna, e
dissimo: «Fosse miellio che
lasasse la casa del Piano
Salvatore e tutte li robbe che
aveva questa crante e nobile
famiglia li portasse nel
dammuso.Ecosíio,dellasua
robba, non ci la robasse,
ciusto a come va dicento lei,
che io ci arruobbo le suoi
rechezze».
E cosí io, con li miei
chiachire,feceantareaquello
pezzodibutanaemihofatto
darelachiavedeldammuso.
Ecosí,ladonnaAnnatutto
siportòdentraaquellopezzo
di dammuso. E questo,
semprepermetterepaceeper
non mi fare udiare dai suoi
nobilefiglie.
Cosí,iohotrovatoun’altra
volta alla canazza davante la
porta, che il lupo, il pelo, lo
perde,mailprocederenonlo
perdemaie!
Poi, finalmente, ni ha
venutolachiamataenihanno
fatto abile, amme e mio
fratello Paolo; ed erimo
sicuro che partiemmo per la
Cermania. Io era tutto
contente,cheiolofacevaper
levareme davante a quella
precolosadonna.
1
mastrise:furbo.
2
vose:volle.
3
l’immitate:gliinvitati.
4
scupostrade:spazzini.
5
per butana fu… chiamata: per
puttanafupresaeperservafulasciata.
6
fruste:scenate.
7
tinte:miserabili.
8
scasso:indigente.
9
rinescire:faravereunaposizione.
10
La già citata Società Vittorio
EmanueleII.
11
LaFondiaria.
12
iastmi:maledizioni.
13
atennare:piantareletende.
14
Il10giugno1940.
15
Fu Mussolini ad annunciare
l’entratainguerradell’Italia.
16
hacapotalato:hacapitolato.
17
L’asseRoma-Berlino-Tokyo.
18
li fico, li milone, li pirecella, li
persiche: i fichi, i meloni, le perine, le
pesche.
19
canolata: canali per lo scarico
dell’acquapiovana.
20
zapuneozapone:zappa.
21
socitare:assoggettare.
22
Semilafido:seciriesco.
23
lordda:sporca.Qui,malvagia.
24
scandoliare: spaventare, dare
unalezione.
25
manzo:buonobuono.
26
sihasosuto:sièalzato.
27
impelato:infilato.
28
UnapiazzadiChiaramonte.
Capitoloquattordicesimo
IlcarbonedellaCermania
Siamo arrivati a Duisburg
dinotteeabiammopassatoil
primo spavento, che hanno
sonato li allarme e li
amirecane hanno cominciato
a butare bumme. Lí era zona
renana,ederanotutteminiere
dicarbone.Equinte,presimo
li prime spavente e forino li
prime paure. Io, di queste, ni
aveva visto tante, ma bombe
come quelle niente. E io, tra
me, disse: «Che lo sa se si
tornna,diquestopasso?»
C’era mio fratello Paolo
che ancora querra non ni
aveva visto ed era la prima
voltachecirava,emidisse:–
Tu ci curppe affaremi venire
qui,amienzoquestocasodel
diavolo! – E l’aparecchie
mirecane sparavino. E io, a
mio fratello, ci faceva
coraggio, mentre io tremava,
perché sapeva che cosa
voldirequerra.
Entrammo in città, mentre
si fece ciornno. E ni hanno
detto che erimo propia nel
crante fiume Reno, dove
c’erino le crante industre
della Cermania, che si
chiamava«terrarenana»,eni
decevino che c’era vicino
pure Disidofe, Meiorse 1, e
questo fiume era navecabile.
E tutte queste crante intustre
erinopociate 2 al Reno. Poi,
c’erino li Chilubbe 3, dove
tutte li cannone li facevino
propialí.Ecosírestiammolí,
li 150 raqusane o 100 che
erimo, non recorddo preciso,
eumpocodipalermitane.
All’indomane
ci
sistemammoaRenausen 4, lí
l’interpite ni aveva assegnato
il locale dove dovemmo
antareallavorare,chec’erada
fare una contotura di acqua
putabole, che amme questo
lavoro non mi era dificele e
mipiacevatantu.Cosí,miha
detto:–Prentete10operaiee
fatequestolavoro.
Io, cosí, mi prese 10
operaiecheavevinovenutodi
Chiaramonte
anziemme
comme: e uno era Paolo il
miofratello.Ecosí,iofaceva
ilcaposcuadra.
Ma,doppo12ciornne,non
mi l’hanno fatto fare piú,
perché io non sapeva parlare
tedesco.Esecome,unooggie
uno domane, di queste
chiaramontane, li mantavino
allavorare a altre parte, e
magare imminiera, che ci
mancava il personale; e cosí,
restaiiosoloePaolo.
Cosí, fenio di fare il capo
scuadra e io e Paolo
restammo allavorare con i
tedesche; ma fu meglio che
mi hanno levato perché, in
Cermania, il capo lavora piú
assai delle altre, specie in
tempo di querra, mentre in
Italia il capo non lavora.
Mentre, se sapeva parlare
tedesco, avesse fatto persino
l’interpete e non avesse
lavorato,masecome,permia
sfortuna, non sapeva parlare
neanche l’italiano, perché io,
da 7 anne, invece di
mantareme alla scuola mi
hanno mantato allavorare, e
quinte il mio distino era
sempre lo stesso, di
lavorare...Ecosí,offenotodi
fareilcaposcuadraedissetra
me: «Se io resto assai
allavorare inziemme con i
tedesche e non muoro, alla
fine della querra tanto devo
fare che mi devo imparare
apparlaretedesco».
Cosí, io e mio fratello
Paolo cercammo sempre di
lavorare con i tedesche e
camminare con i tedesche e
comperareneunlibrocheera
di linqua tidesca e di linqua
italiana: però il primo
volume, che era come quello
delle piciridde della prima
elemintare, che spiagava
magarelaprinonzia.
Cosí, io e Paolo ci hanno
dato un lavoro che erimo co’
un tedesco. E cosí, erimo 3
che dovemmo lavorare con
una machena, e questa
machina faceva li palline del
carbone. E noi, io e Paolo,
erimo l’aiutante di questa
machena.
E cosí, il conto che
avemmo fatto, io e mio
fratello Paolo, ni aveva
revoscitodilavoraresolocon
uno tedesco e senza lavorare
con taliane e neanche
compaisa’,semprealloscopo
di ampararene la linqua
tedesca.
E cosí, piú non zi penzava
a Chiaramonte, perché si
penzava allavorare e stare
atento, che tutte i ciorne
c’erino li allarmme e tutte i
momente si poteva morire,
perché questo lavoro che noi
avemmotrovatoeraunlavoro
fuore, e fuore, allo scopertto,
si poteva morire prima,
perché repare non ci n’erino,
poicheitedesche,pernatura,
quanto c’erino l’alarmme,
neanchecercavinorecovere.
Ecosí,unasera,erimoche
cerammo io e Vito Dangelo,
che era paisano. Io solo con
quello antava d’acordio. E
cosí, cirammo per trovare da
fumare, ma tutte 2 senza
sapere parlare paremmo 2
stubite.
Cosí, siammo antate inni
unotabachinopervedereche
cosa potiammo fare, e in
cerca magare di qualche
felone di pane, ma, secome
non sapiemmo parlare, erino
quaie.Cosí,entrantodentraa
questo tabachino e abiammo
cominciato affare signale. Io
mi ho visto afferrare di una
bella donna tedesca per il
braccio, che con li suoi ceste
mi faceva capire: «Camina,
vienecomme».
Cosí, questa bella donna
avevalabicichilettafuoreeni
hapresocollesuoimanoeni
ha portato dove c’era la sua
bicichiletta.
E
cosí,
partiammo tutte 3: lei messa
nelmezzoeioeVitodilato.
E io e Vito faciemmo tante
penzate e potiemmo dire:
«Ma questa donna, per fare
cosí, voldire che ene una
butana,ecistaportantonella
suacasa».
Io,d’ognitanto,mivoleva
fermare e lei mi diceva in
linqua tedesca (che io ancora
non capia che voleva dire):
«Come mitte! Come mitte!
Vaita vaita!» Che poi io,
doppo 6 mise che era in
Cermania, ho capito che
«come mitte» voleva dire:
«camina,vienecomme».
Ecosí,quantoiomivoleva
fermare, lei si arrabiava e
sempre mi deceva: «Nicose
anchese». Che voleva dire in
italiano: «niente paura». E
cosí,abiammofattoquaseun
chilomitro di strada, lei
sempreconlabicichilettanel
mezzo e io e Vito Dancelo
sempre di lato e lato
caminammo.
Poi, se avesse stato nella
bass’Etalia vederene cosí,
chisà la cente che avessero
detto. E noi stesse ni
avessimo vercognato a
camminare cosí, come ni
trava 5 la donna, che magare
cheioeVitononcivolemmo
antare,eperforzzadovemmo
camminarecomedicevalei.E
io e Vito, come fessa,
dovemmo camminare come
dicevalei.
Cosí, finarmente, siammo
revate nella sua abitazione,
che questa aveva una bella
entrada, che c’era un bello
portone. Cosí noi, sempre
terate di lei, entrammo. Poi,
leihaposatolabicechelettae
poinihadetto:–Comemitte
–.Chevolevadire:«venite».
E cosí, la bella signora
prese la scala della sua
abitazione, e io e Vito
dissemo: «Ora siamo sicure
che ene propia la donna che
diciammonoi.Eccochecista
portanno in camira. E cosí, –
dissemo io e Vito, –
trovammo
quello
che
antiammo cercanto: qui le
botane sono piú facele di
quellechesonoaNapole(che
io mi recordava nella querra
15-18 che tante butane, per
forzza,nidovevinoportarein
cammira,magarecheunonon
aveva intenzione di fare
cosa). E qui sono le stesse,
comequellediNapole».
E cosí, ci ha portato nel
salotto e poi ni ha detto: –
Seizine ia –. Che era una
parola tedesca, ma io no lo
capeva, solo che con il
segnale che mi aveva fatto si
capeva che diceva: «seditove
lí». E lei antava nell’altra
stanza apresso, e io e Vito
restiammonelsalotto.
Cosí,ioerasicurocheleie
aveva trasuto per levarese il
vestitoepoichiamareamme,
perché io era piú annirbosito
el’occhiol’avevasemprealla
porta dove aveva entrato
quellasignora.Ma,doppo2o
3 minute, io restaie
parelezato,chenonpottedare
nessuna resposta... che si
crape6laportaequantovedo
che, invece di venire quella
bella signora, mi ovvisto
presentare un crosso uomo,
che era circca due metre e di
unacrossizzacecantesca.Eio
e Vito ci siammo messo in
composione.
Iononpotterespontereper
niente, perché quello crante
uomo si ha presentato amme
(perchéioerapiúvecinoalla
portta, perché aspetava e
voleva essere il primo),
dicentome: – O siciliane,
comestate?
Io, per conto mio, era
spaventato,
perché
ci
trovammo in un locale tutto
sbagliato, e dei conte che mi
aveva fatto io non asesteva
niente.
Cosí,menomalechequesto
uomo ci ha detto: – Come
state, che cosa si dice in
Sicilia? – E poi la prima
parolachemihadetto:–Che
cosa avete penzato di quella
donna che vi ha portato qui?
Certo che io conoscio
l’abitotene della Sicilia, che,
quanto una donna si porta
uomine nella sua casa, certo
cheviavettefattoilcontoche
fosseunabutana…
Mentre, con questa bella
discusione, io e Vito erimo
asserenate e si ha cominciato
adesserenormale.
Poi, il crante uomo mi ha
detto: – Ora vi faccio sapere
ilmotivoperchév’haportato
mia moglie qui. Io sono
umprovessore di licevo, e
nella querra 15-18 era
maggiore di artigliaria e,
nell’avanzata di Curizia che
hannofattol’esercitoitaliano,
fui preso preciunniere. E da
preciuniere mi hanno portato
amMissina,ederastatopreso
in acosto del 1916. E
amMissina m’hanno preso a
bommolire7ediMessinanon
mi hanno spostato piú, e ho
cominciato a imparare il
sicilianoel’italiano.
Poi, l’Austria persse la
querraeiovennerempatriato.
Ma, secome l’Austria e la
Cermania è stata disfatta, noi
dove
volemmo
antare
antiammo. Cosí, io ho
retornato amMissina, che mi
aveva fatto tante amicizie, e
ho trovato un lavoro prevato.
E quinte, Messina mi fu a
cuorecomeilmiopaese.
Poi, la Cermania, con la
revolezione che ci fu quanto
nel 1932 Iteler assumavo al
potere 8, tutte quelle che
erimo sbantate fuommo
chiamatenellanostrapadriae
ci hanno dato il posto che ci
atocava
e
ci
hanno
conzederato tutto il tempo
persso tutto di ruollo. E cosí,
io
lasciai
Messina
difinativamente, che poi mi
sonoammogliato.
Ora, circa una settemana
fa, io ho inteso dire che qui,
neinostreparte,hannovenuto
allavorare diversse operaie
della Sicilia. E io sempre ci
ho detto a mia moglie che se
potissimotrovarequalcunodi
queste operaie siciliane di
portarle qui, che mia moglie
sempre va ceranto e capisce
qualche parola di siciliano,
ma non sape respontere
quanto sente il parlare
siciliano.
E cosí, mentre veneva sua
moglie con una bellissima
quantera di pane di spagna e
unabotigliadilicuoreetante
altrebellecosedimanciare...
E io ci ho detto: – Non
avesse paura, che ci
veniemmo sempre a trovallo,
perché io e mio fratello
avemmo la buona volentà di
ampararenelalinquatedesca,
come lei si ha amparato il
siciliano.
Vito, invece, lecire e
scrivere non ni sapeva e non
c’importava tanto, poi che
magare aveva 4 figlie di
campare e non penzava il
parlaretedesco.
E cosí, d’ogni sera, per
circa 70 ciornne, sempre
antiammo a passare il tempo
ne’ provesore, e qualche
parola
di
tedesco
n’imparammo. Ma, poi, la
fortuna non caminò perfetta,
perché il professore fu
stralocato e lui e sua moglie
foreno portate a circca 100
chilomire di lontananza e si
ha fenito tutta la nostra
amicizia,enonabiammoauto
piúsuoinotizie.
Poi che aveva auto la
fortuna di prentere moglie e
avere una suocira la piú
lurdda 9 e la piú delenquente
donna, che la stessa in tutta
l’Italia non zi poteva trovare
– non che lo dico io, ma lo
diceno tutte li abitante del
paese –, io scriveva piú
spesso ammia madre che
ammiamoglie.Tantocheuna
voltahoreceutounaletteradi
miasorellachemipregavadi
scrivere a mia moglie,
«perché mamma e figlia
antavino dicento che era la
corppa nostra che non ci
scriveva». Manco se io era
uno piciriddo che ascortava
ammiasorelladinonscrivire
allamoglie…Einveceeraio
chenonmivenevalavolentà
discriverece.
Intanto,
ciusto
che
avemmo fatto 6 mese, cià
qualche cosa di parlare
tidesco la capiemmo e dove
antiammo antiammo ci
sapiemmo respontere le cose
checidicino.
Ora, c’era una birraria che
prima della querra, in questa
berraria,c’erano10chitarrae
tante mandoline e tutta la
cuestra 10 completa, che
d’ogni sera sonavino e
aballavino,
fimmine
e
uomine, e sempre bevento
birra. E poi, in questa crante
birraria,c’erino30fatocrafiei
di quelle che avevino morto
nella querra 15-18, e tutte
queste chiliente di questa
birraria, quanto bevevino,
sempre bevevino e bevevino
allasalutediquelleeroieche
avevinomortoperlapadtria.
E cosí, in questa birraria,
prima
c’era
tanto
devertemento,eorachec’era
la querra, e tutte quelle che
sonavinoerinoantatesoldate,
tuttequellestromenteavevino
restato dentra quella birraria,
perché non c’era nesuno che
sonava.
Cosí,
io
e
Paolo
fracontiammo sempre questa
cranteberreriae,pianopiano,
cifaciammocapire.
Poi che c’era uno invalito
di querra che si chiamava
AntonioScipeccheequestosi
capeva, nel parlare, che era
che sapeva sonare chitarra e
mantolino; cosí, mio fratello
Paolo, discorsso e porta
discorsso, ci abiammo detto
cheerimobuonepersonaree
cimancavinolistromenta.
Cosí, questo Antonio si ha
presounachitarraeaPaoloci
ha dato il mandolino, e si
hanno messo assonare.
Dentra quella crante birraria
socessi tanta allecria di tutte
quelle che fracontiavono il
lucale, perché aveva un anno
che quelle stromente non
sonavino...
Cosí,venniunoperaioche
era di Vittoria e sapeva
sonare pure, ma non tanto
buonocomePaoloeAntonio.
Il vittorise sapeva sonare
comesapevasonariio.Ecosí,
io e il vittorise ci hanno dato
una chitarra e un altro
mandolino, e cosí, immienzo
a quelle buone, sonammo
magarenoi.
E cosí, tutte le sere ci
adivertiammo e faciammo
devertire. E cosí, tutte ci
ofrievino birra e tante altre
bevante. Cosí, il tempo
antava meglio per noi, che li
schiavenonlifaciammopiúe
con quello sonare ci
portavinotantorespetto.
Ma
poi
abiammo
cominciato a bestimiare, che
cisiammoacoltechesopradi
noi ci avemmo una maletia
che non ni potiemmo fare
persovase che cosa era. Solo
chetuttelenostrecarneerino
stampestampe11senzasapere
checosafosse:chidicevache
veneva della sporchizia del
carbone, che diceva che
venevadelfreddochefaceva
e che diceva che veneva dai
spavente che vediammo
quanto c’erino l’alarme che
venieno
l’amirecane
a
bombardare...
Cosí, cominciammo ad
antare nel dottore, e quello,
che era spicialista, sempre ni
diceva che deveneva del
carboneecidavapomata,ma
sempre erano le stesse. E il
medico ni ha detto: – Quella
malatia non è niente, non vi
priocupate, che poi, come
campiate aria, vi passa –. E
davapomata...
E cosí, io bestimiava dalla
matina alla sera, e magare di
notte, perché penzava a
quello maledetto matrimonio
che mi aveva arrovinato,
altremente che mi ci aveva a
portare amme allavorare in
Cermania in tiempo di
querra?!
Poi, io, sempre arrabiato,
recevette una crante notizia
della mia moglie... Che io
nonavevavolutosentiremaie
affetto di famiglia e di non
volerenesentirediquelloche
socedeva e socedeva, ma
questavoltacihointesotanto
piacere.
Questa lettra era scritta di
Filuzzo, un fratello della mia
moglie,ediceva:
«Caro Vincenzo, è ura di
fenirlla per te. Ti comunico
chequestanotteatuamoglie
ci ha venuto un bello figlio
maschilo, che se viene e lo
vede ene piú crosso di te. E
quinte, è uscito tutto tuo
padre che, come viene tu, lo
batezammo e si deve
chiamare Rabito Salvatore,
come disidera il tuo cuore,
che è propia il nome di
bonarma di tuo padre, che io
nonconosceva».
Io, sentento quella bella e
priziusa parola, ho campiato
subito penziero, che aveva
nasciuto Rabito Salvatore. E
cosí, voltaie penziero e non
vedeva l’ora che veneva
allicenza per vedere a questo
miofiglio.
Cosí, mia moglie, vedento
che io tutto mi aveva
demintecato di tutte quello
che aveva soccesso, mi ha
preparato la seconta trapola,
difarebatizareamiofiglioa
suo fratello (il preside di
PiazzaArmerina).
Cosí,hannobatizatoamio
figlio senza di me, e il nome
era Salvatore. Che, se non ci
mitevino Salvatore, io ci la
faceva fenire male, a queste
acentemaleducatetutte!
Tutte li sofrenze della mia
vita, che io aveva passato,
tuttemil’avevadementecato,
perché ormai era che aveva
un figlio, che io mi aveva
maretato a 41 anno e mi
credeva che per me il monto
avevafenito.
Cosí,mitravatantecontee
diceva: «Ora, se io ci ho
qualche cosa e quadagno
qualchecosa,nonsonopiúdi
quello e di quell’altro, ma
sonodimiofiglio.
«E
come
vaio
a
Chiaramonte per Natale, a
mio figlio che ave 4 mese ci
devo portare un bello
ciocatilo: un cagnolino per
ciocare. E poi ci affare la
fatocrafieie e mi le devo
portare sempre dentra il
portafoglio».
Ecosí,tutteiciorne,ilmio
penzieroeraquellodiantarea
vedere ammio figlio, ma
perché era mascolo; ma se
’nzamaiioavessesaputoche,
inveci di mascolo, avesse
stato femmena, si avesse
antato pure a Chiaramonte,
ma ci avesse antato solo per
avelenalla,quellacriatura,per
paura che avesse asomigliato
allanonna.Maminomaleche
fuuomo!
EmiofratelloPaolochemi
diceva: – Tu sei fortenato,
che aveste la fortuna di
arredetareanostropadre12...
E sempre Paolo che liceva
quella lettera, e poi la lettera
diceva magare che pesava 3
chileequalchecosa.Però,la
letteraerascrittamascrise 13.
E poi la lettera diceva pure
che questo figlio aveva una
fame da lupo. E poi magare
mia moglie diceva che: «Li
solde che aveva mantato il
comanto amme, per conto
tuo, io ce l’ho messo alla
Posta».
E
io
disse:
«Menomale che fecero come
li catanese! Che quanto a
sant’Acatalarobarocihanno
fattoliportediferro!»
Ma poi penzai che questa
mia moglie era la mamma di
mio figlio, vediammo come
stannolicose,speriammoche
viene il ciornno della licenza
e poi a Chiaramonte si ni
parlla.
Cosí,passavotuttoilmese
di novembre, e venne
dicembre, e ancora la licenza
nonavevavenuto.
Io cerava, alla sera, nelle
vetrine a Duiburco, per
vedere se c’erino belle
ciocatole, speciarmente che
mipiacevaunciocatelodiun
bello cane. E il ciocatilo
l’avevatrovato,malalicenza
ancoranonavevavenuto...
Ma fenarmente, il 23
dicembre, ni hanno chiamato
e,finarmenteaesse,cihanno
dato14lalicenza.
E, doppo 11 mise, io e
Paolo siammo revato a
Chiaramonte
cosí,
all’impesata 15. Io ho
chianato 16 le scale, e vedo a
mia moglie seduta con uno
bello figlio che si stava
corcanto. E donna Anna era
che ancora aveva antare a
chiuderelodammuso.
Cosíio,allavistadiquello
figlio, disse: – Finarmente
padredifiglie!
Ma Turiddo, mia moglie,
loammessonellanaca17.Eil
figlio, che era picolo, che ni
sapeva?Poi,quelladonnaccia
di
quella
delenquente,
vedentoammecheancoraera
vivo, senza che mi avesse
detto niente, come una cane
arrabiata, si n’antò a dormire
neldamuso.
E io non volle neanche
manciare, se prima non
antavaavederemiamadre.E
cosí,hopartitoecihodettoa
mia moglie che fra un’ura
veneva. E cosí, vado ni mia
madre e trovo a mia madre
vicino a Paolo, che pianceva
mentrevinevaio,emitocavo
dipianceremagareamme.
E questo ene l’afetto di
mamma! Ma che moglie e
moglie! Ma che suocira e
suocira!Quellelofannotutte
perintento,nonconaffettodi
mamma,cheallavistadimia
ePaolo,contantacontentezza
cheaveva,pianceva.
E io fece non 20 ciorne di
lecenza, ma 20 ciorne di
prenterevelenotutteliciorne.
Cosí, io ci offatto li
fatocrafiei a Turiddo con
quello
bellissimo
cane
ciocatelo, che io restaie
contente di quanto ci ha
venuto bello. E di questo
retiratto ni prese uno e l’ho
dato a mia madre, che era
l’aredetàdisuomarito,chesi
chiamava Rabito Salvatore
comesuomarito.
Poi, tutte li vicine della
strada, comincianto del
barone Melfe, Ture Rivietto,
VituzzoScaghiola,etante,mi
dicevino:–Nonantarepiúin
Cermania. Chi te lo fa fare,
chec’enelaquerrachedaun
mumento all’altro puoi
morireefaicontenteaquesto
pezzodicanedidonnaAnna.
E lei va cercanno propia che
tu murissito, che si propia tu
chelapuoireducere18.
Eiocihodetto:–Lasatimi
antare,perchéquestaècapace
di fareme antare in calera e
marchiareme le cartte, e poi
nonpuoleantareneanchemio
figlio a uno posto come tutte
liomineoneste.
Cosí, a forzza di
bestemiare, passareno li
ciorne della licenza e io e
Paolopartiemmo,elamalatia
che mi aveva a quarere,
campiantol’aria,comediceva
il medico, invece fu piú
peggio.
Cosí,
recordo
che
partiemmo il 27 cennaio
1942. Io ho baciato a tutte i
miei,partecolareamiamadre
che pregava per me, che era
una vera mamma, e ho dato
un bellissimo bacio a
Turiddo,cheaveva5mese,2
fatocrafiei mi portai, e io e
Paolo presimo le valice,
partiemmo di Costaprena a
piede, e presemo il treno, a
Dio e la fortuna; che lo
sapeva quanto si retornava
con questa maledetta querra,
chenonfinevamaie!
E cosí, fuommo di nuovo
delterretoriodellaCermania.
Che, passato la prima notata
nel terretorio tedesco, una
incursione che fecero li
amirecane nella bella cità di
Monico di Baviera, in una
ora, li aparecche, cetanto
bombe, hanno fatto 2.000
muorte,eioePaolo,chisae
chiècheciavevapregatoper
noi, che restammo vive! E
cosí, siammo revate a
distinazionesaneesalbe.
E cosí, ci abiammo messo
allavoro. Che, in quello
tempo che avemmo mancato
noioperaie,inquellosporcco
lavoro non ci aveva voluto
starenessuno,perchénoisole
erimo adeventate pratiche di
quellolavoro,epoinessuno.
E cosí, tutte li amice che
avemmoautoprimacihanno
venuto affare visita. Erino
tutte forestiere, queste amice,
e paisane non ce n’erino
neanche uno, perché si ne
erino antate tutte, perché
dell’alarmechec’erinononzi
potevino soportare. Solo io e
Paolo
avemmo
questo
coraggioequestapacienzadi
lavorare, perché avemmo il
piacere che, come fineva la
querra, volemmo stare in
Cermaniadifinetivamente,ea
Chiaramonte
non
ci
vogliammopiútornare.
Cosí, quelle che erino
amice nostre non erino
italiane, ma erino tedesche,
danese, polaccgi, ucranie,
ollantise, e tante e tante altre
priciuniere che la Cermania
aveva acupato. E alla sera si
ballava, si biveva come
prima,femmeneeuomine.
Ma,
però,
questo
divertemento era saltovario
ed ereno quanto non c’erano
liallarme,ma,quantoc’erino
li allarme, c’era di piancere,
chelimuortechec’erinonon
zipotevinocontare...
Cosí, passava la vita
immienzo alla paura e
immienzoaldivertimento.
Femmine ci n’abiammo
quanto ni voliemmo, perché
dinotte,sempreversoli11,li
11 e menza, sonavino li
allarme,efemmineeuomine
scappammo per antare allo
reparo. E quinte, era tutto al
buio, e quinte quello che si
facevaefacevanonlosapeva
nessuno, e neanche ci
importava annesuno. Si
poteva fare quello che ci
facevacomito,epiaceresine
passava... Ma, però, in uno
momento all’altro, si poteva
murire.
Intanto la malatia che io
avevaantavaapeccio.Ecosí,
il dottore mi ha detto: –
Questa malatia si chiama
«malatiadipelle»eenestata
presa per causa di lavorare
nel carbone, e ora, per
antarasinni, ci vorrebbe la
cura di sapere manciare.
Vialtreitaliane,bevetevinoe
salato manciate, e quinte non
vepassa.
E cosí, io disse: «Se ni
portammo questo solo recalo
è niente, di questa bella
Cermania!»Chelaquerrapiú
tempo passava piú furiosa si
faceva.
Le notate li passammo
senza dormire. Alla sera
antiammo a cercare Antonio
Scimeche
all’osteria
e
sonammo come pazze. Ma
tantaallecriacomeprimanon
c’era.C’eralaradioequanto
c’era il comunicato portava
male notizie, e i tedesche
erinoarrabiate.
E poi che li americane
forsse che sapevino che la
querra l’avevino a vincere e
invece i tedesche sapivino
che la querra l’avevino a
vincereloro...poichec’erino
tantefabrichianticheprimadi
salire Itler al potire e queste
fabriche erino dai crosse
capitaliste – che queste erino
state tutte requisite dal
coverno e li padrona non
erinopiúpadrone–,equanto
c’erino i bombardamente,
queste fabriche, l’amirecane
non li bombardiavono, e
bombardiavono
quelle
fabriche nuove che aveva
costroitoItler.Eloscopoera
che la querra la Cermania la
doveva perdere, e quelle
padrona dovevino a tornare
allelorobene.Ecosí,quanto
c’erano la larmme, non
conveneva piú di antare nel
recovero fatto di Itler, ma
conveneva di antare nelle
vechie fabriche, che non ci
sparavino, e questo era un
maleaucurioperlaCermania.
Poi,unciornnochemaiesi
può dimenticare, soccesse la
fine del monto nella nostra
zona.
Che, a 10 chilomitre
lontano da noi, c’erino una
scuadra di operaie che erino
tutte di un paese della
Lompardia. E queste operaie
lavoravino nelle aciaieriei
dove
facevino
crosse
cannone, e queste tutte
paisaneerino45etuttequeste
45 operaie avevino fatto
l’anno di lavoro e ci avevino
la licenza cià pronte per
antare a vedere alle loro
famiglie.
Ma queste operaie foreno
tropposfortonate...
Tra 4, 5 minute che si
avevino corcato, ha sonato la
larme un’altra volta e subito
si hanno alzato e scappareno
di corssa. Ma il tempo non
bastavo per antare nel sicuro
recovero.
E siccome c’era umpara
scheggie piú vecino, queste
poverette, e senza fortuna, si
n’antareno per repararese in
questo parascheggie, che era
una trenceia copertta con
lamiere e tavole. E cosí loro
si credevino che ereno salve,
e invece fu al contrario. Che
come
cominciavo
il
bombardamento, con tutte li
altigliarieie che sparavino,
perchélíeraunazonatroppo
industrosa, e cannona ce
n’erino assai, e alla notte il
cielo era luminato, e
aparechie ci n’erino quanto
colompe ci sono nella piazza
di Venezia nell’ario, e
cannone ce n’erino che
sparavinoquantocolompe...e
quella sera uno crosso
proietolo
terato
dalla
alltigliaria tedesca sbaglia il
tiroe,invecedifarebersaglio
allaparecchieamirecane,vaa
strisciareniunalamieradella
baracca, entra in quello para
schieggie dove c’erino tutta
quella scuadra di operaie –
che erino nascoste, e tutte,
poverette, erino messe uno
vicino all’altro –, e 36 di
questepoveredescraziateche
dovevino antare a casa tutte
morierinoabruciate.
Cosí, tutte l’italiane che
erimo vecino dovettimo
antare ai fonerale di queste
povere lavoratore che fra 2
ciornne dovevino antare a
casa...
E piú tempo passava piú
casadeldiavoloc’era.
Cosí, sempre antiammo
assonare alla sera e, verso li
11, il cielo deventava tutto
una vamba e noi cercammo
reparo,
e
magarre
piancemmo, no noi sole, ma
magare danese, polaccgie e
rossecheerinopricioniere.
I tedesche paura non
avevino,perchédicevinoche,
chi moreva per la Padria –
loro sempre dicevino –,
faceva una bellissima morte!
Equestoeraaffessatointutte
li mure. Io qualche cosa la
capeva e diceva tra me:
«Bellamincia,chechimuore
perlaPadrianonmuore!»
Alla crante birreria, che lí
c’era la rivonione di tutte li
nostre amicizie, piú lí non si
sonava, perché erino proibite
lifestedaballo.
E quinte, Antonio stesso
disse: – La chitarra e il
mandolino che avete vialtre
facessivo
meglio
che
vostassivo mute, che ormaie,
vialtre, qui siete conzederate
come tidesche, che prima
perché avete fatto buona
contotta, poi perché che qui
sanno che siete fasciste. E
quinte, la descipilina, vialtre,
l’avetecomeitedesche.
E io alla notte penzava e
diceva:«Avogliachemisono
sempre sforzato per fareme
bello, ma sempre siammo al
medesimopunto...»
Cosí, io e Paolo erimo
impinziero, poi che il primo
anno, che non sapemmo
parlare, c’erino piú poco
allarme e c’erino i recovere
ed erimo desperate che non
sapiammo parlare, e ora che
qualche cosa la sapiemmo
noncipotiammorestare...
In quei giorni, i ciornale
paesanedicevinochelabella
cità di Dolsildoffe era tutta
distrutta. E io e Paolo, per
forzza, la volemmo antare a
vedere;cosí,sicin’antiammo
in Italia, potiammo racontare
tante cose. E allora, de
dominica,partiemmoconuno
camiodifortuna.
Cosí, doppo mezza ora
revammo e, come revammo,
io e Paolo restammo
paralezate a vedere tutto
destrutto.
Le palazate erino tutte
butate per terra, le strate non
c’erino piú. Poi, tutte le
nicozia che erino a seconto
piano, la merce, i vestite,
bicichilette,
copertte,
ciocatole, e tutta la mercie
che c’era dentra, era per li
strade,immienzoallepietree
soprapietre.L’orificiarieicon
tuttelibrillantechec’erinoe
tutteliralociaetutteimobile
erino immienzo alli pietre.
Poi, machene di cuceri 19,
motocichilette, tutte per le
strade. Poi, antiammo versso
dovec’eralaStanda20,etutta
quella mercie tutta pietre
pietre...
C’eraunotedescochesini
avevavenutoconnoi,perché
eradidomenicaeladominica
non zi lavorava, e questo ci
amparava tutte i punte piú
belle della cità, e tutto era
distrutto.
Poi ci ha portato dove
c’erano tutte li armale nel
ciardino, e le stesse lione
avevino scapato o pure
avevinomuruto.
Quinte, era peggio del
terremotodiMissina.Lacetà
era tutta distrutta, si passava
perforzzadellestradeepoici
voleva uno pratico che
conoscevaipunte,altremente
manco i tedesche si potevino
farecapace.
Poi, c’erino piú di 4.000
mila operaie precioniere che
lavoravino per scomperare le
strade, e io ci deceva al
tedesco:–Chisasecidicela
testa di mobilitare annoi per
lavorare! – E il tedesco, che
erasperto,mihadetto:–Che
te pare che qui allavorare ci
mettino a chi sia sia? Qui, ci
metino a persone controllate
dallapolezia,chesequalcuno
di
queste
polizuotte
costatasserocheunodiqueste
si aprofetasse di qualche
pezzodirobba,diquestache
sitrovaimmienzoallepietre,
venessefucilato.
Cosí, quanto io e Paolo
abbiammo visto questo
fracello,dissimo:«Antiammo
e vediammo se potessimo
farene dare quella licenza di
ottobre e scapare di questa
Cermania».
Perché,
li
cadavere che avemmo visto
erino impressionante, che,
penzanto che in 20 minute si
aveva fatto tanta distruzione,
se ni fanno a una dove
siammo noi cosí, adio
Vincenzo e Paolo, e cosí io
feniscio di volere bene a
Turiddo!
EpartiemmodaDüsseldorf
tutte 3 stonate. E come
revammo
nella
nostra
abitazione, non avemmo
forzzadiparlarediquelloche
avemmovisto.Neanchenella
offinziva del Piave aveva
vistotantadistrizione...
Alla sera, nella radio
c’erino brutte notizie, e
Antonio Scimeche ci faceva
capirechelitedescheerinoa
Stalincrato e compatevino
casapercasa,ediceva:–Ora
c’ene l’ordine che qui
resterannoallavorare,intutte
queste luoche, solo quelle
inabileeledonne,epoitutte
litedeschedevonopartireper
Stalencrado,perché,sefraun
mese
non
si
prente
Stalencrato, la querra la
Cermanialaperde.
Erano nelle ultime di
ottobre, e diceva l’amico
Antonio:–Searrivaacadere
la neva lí, in quelle luoche,
che io ci sono stato, li
tedesche il freddo non lo
puonoresistere.
Cosí, piú non zi poteva
stare,perchéilpaneerapoco,
e poi che si senteva dire che
ci dovevino dare magare li
fucile a noi, perché
all’operaie
le
volevino
passarepurecomesoldate.
Mafuommofortonate.Che
c’eraunacercolarechediceva
chetuttil’operaiecheerinoin
Cermania ed erino fasciste il
duce
voleva
che
rempetriassero,
che
fa
bisognoinItalia.
Cosí, fecimo la domanta
per partire e ci l’hanno fatto
buona.
E menomale che abiammo
fatto a tempo di partere e
farine dare il foglio di buona
condotta, perché altremente
ni potevino dire che erimo
state
scappate
della
Cermania! Perché, doppo 10
ciorne, si hanno chiuso le
spedezione, e chi era in
Cermania doveva stare in
Cermania, che li tedesche
avevinoperssolaconquistadi
Stalencrado ed erino in
reterata.
E cosí, fenio quella brutta
malavita. E mi ho portato
questo recalo che mi aveva
dato il carbone della
Cermania, la malatia della
pelle.
1
DüsseldorfeMülheim.
2
erinopociate:eranosullesponde.
3
LaKrupp.
4
A Renausen, negli immediati
sobborghi di Duisdorf, c’era il campo
alloggiodestinatoailavoratoristranieri.
5
comenitrava:dicomecitirava.
6
sicrape:siapre.
7
abommolire:abenvolere.
8
AdolfHitlersalíalgovernoil30
gennaio1933.
9
lurdda: come lordda, sporca; in
questocaso:miserabile.
10
lacuestra:l’orchestra.
11
stampe stampe: macchie
macchie.
12
arredetare
a nostro padre:
trasmettereilnostrocognome.
13
mascrise: in modo furbo,
ambiguo.
14
finarmente a esse, ci hanno
dato:finalmentesisonodecisiadarci.
15
all’impesata: all’improvviso,
senzapreavviso.
16
hochianato:hosalito.
17
naca:culla.
18
reducere:ridimensionare,tenere
abada.
19
cuceri:cucire.
20
Senz’altro
si tratta di un
magazzino di generi vari simile alla
Standa.
Capitoloquindicesimo
Hannotrasutoliamirecane
Come sono revato a casa
ha trovato tutto a posto: la
donnaAnnachenonparlava,
Turiddo che era beddo, che
camminava solo, e tra quelle
che portai io solde, e quelle
che aveva messo mia moglie
allaPosta,erinoquase14.000
mila lire, e disse: «Sono
buone,potiammoacomitare 1
perompocoditempo».
Io,aChiaramonte,avevaa
Sciaverio Nicastro, che era
inzegnante allimentare ed era
il secretaio politeco di
Chiaramonte,
e
questo
comantava, perché a quei
tempe, prima di trasire li
americane, il secretario
politeco comantava. E mi ha
detto: – Vicienzo, ci vuoi
antare che c’ene il posto
libero nella villa comunale?
Che quello che c’era, Brono
Giovanni,hastatomubiletato
nella Melizia, e quinte tu per
ora fai il soplente. E ti
conziglio di antarece, che,
cosí, comincia a prentere
posesso come impiagato, e
poivediammosetipossofare
entrare
come
quardia
monicepale, altremente ti
possinoportarealcampo,che
ti
troveraie
sempre
imminenzo alle bombe, o
altremente
ti
puono
mobilitare nella Melizia di
secorezzanazionale.
Ecosí,ioantaie.
Io, allora, era fascista, e
tutte i fasciste doviammo
essere rofiane, perché l’ebica
eramiserabile.Edovevafare
lo rofiano per forzza, perché
altrementesipotevamoriredi
fame.
Io era allavorare alla villa
comunale per respetto del
secritario politeco Sciaverio
Nicastro, che propia in quei
ciornesihasposato.
Cosí, io, sempre per
rofianiccio, alla matina che
Nicastro si sposò, fece un
bellissimo mazzo di fiore, e
mentre che questo si trovava
a tavola che manciavino, io
mi sono presentato con
questobellomazzodifiore.
E recorddo che menomale
cheiofuiilprimoaportarece
questo bellissimo mazzo di
fiore... Ma poi ce n’erino
tante rofiane come me che ci
portarenotantemazzidifiore,
ma il mio era piú miglio di
tutte, perché lo ha presentato
a tutte e diceva sempre:
«Questo mazetto ene del
citatinoVicienzo».
Poi,
questo
Brono
Ciovanni, che era stato
mobilitato, fu concedato e ha
venuto a Chiaramonte, e io
dellavillacomunale,doppo4
mese,minidovetteantare.
Ma io, finarmente, l’aveva
trovato quello che amme mi
prodiceva, che era Sceverio
Nicastro, che mi ha detto: –
CitadinoVincenzo,iotedevo
mettere a postu –. E mi sono
messo a disposizione del
secretario politeco. Ma,
passato4ciorne,mihadetto:
– Domane deve antare come
vero milite e come soldato
della Padria affare questo
lavoro,chetidanno35lireal
ciorno. Tu deve antare affare
servizio nel molino di
Mazzaronello nella propietà
del marchese La Motta. Caro
citatino Vicienzo, questo ene
un ordene prefetizio e non zi
scappa, deve fare questo
lavoro, che ene un lavoro
umpoco delecato –. E poi mi
dice:–Prentequestacartaeti
presentedomanealmolino.Il
molenaro certo che si fa
brutto,matu,però,obiruttoo
senza birutto, non dive avere
paura. Gli dice che questo si
dive fare per forzza,
altremente gli dice che ci
chiudenoilmolino.
Nella carta c’era stampato
ildecretoprefetiziochetuttei
chiliente che vinevino in
quellomolino–chec’eranoli
carteannonariepermacinare,
e d’ogni persona poteva
macinare13chiladicranoal
mese, perché c’era lo
razionamento, perché era
tiempo di querra – e io il
lavoro che doveva fare era
che sopra queste 13 chile ci
ne doveva fare mecenare 10
chile, e 3 chile mi l’aveva a
prentere io, per poi metterlle
nei sacchi, che poi venevino
l’impiagate
della
carta
annonaria e si lo prentevino.
E questo, poi, serveva per le
forzzearmatechefacevinola
querra.
E quinte, era un lavoro
molto compilicato, che ci
potevino magare rompere la
testaabastonate.
Quinte, voldire che se una
persona che era capo di
famiglia ed erino 6 di
famiglia e portavino con il
carretto 6 volte 13 chile di
crano per macinalle, io ci ne
doveva levare 18 chile per
forzza, altremente non li
doveva fare macinare. E
questo,perme,eraunlavoro
brutto, ma secome era questa
la leggie fascista, si doveva
fareperforzza.
Cosí, l’indomani aveva
partutoalle4dimatina,erail
primodiaprile1943,equella
strada la fece sempre
penzanto di come mi doveva
presentare affare questo
sbirrolavoro2.Iosapevache
in quello molino, 5 anni fa,
avevino ammazato a uno e
nonzipottetrovarechièche
aveva stato, e disse fra me:
«Ilponto3èmaleeilmistiere
è brutto, vediammo come
feniscie».Emifececoraggio
e mi sono presentato, che
c’erinouna10dipersoneche
stavinomacinanto.
Cosí,iomipresentoedico:
– Bociorno, – e prese quella
cartta prefetizia e senza
permesso,conlacodda 4che
l’aveva
preparato,
l’ha
piantato nella porta del
molino, che tutte quardavino
amme,
nessono
mi
conosceva.Quinte,lídentraa
quello molino, socesse una
revolozione, che mi volevino
afferrare. Ma io, carmmo,
perché sapeva che tutte
avevino raggione, ci ho detto
che: – Io vero ene che con
questo mistiere faccio lo
sbirro, perché lo so che,
levanto3chiledicranoauna
persona, ene lo stesso di
levarece una mola, ma che
cosa ci potiemmo fare? Io la
miatesserecil’honelmolino
delLibrino,aChiaramonte,e
li 3 chila di crano iere li
dovette versare pure. Quinte,
semaletratateamme,iomine
vado, e poi ci viene un altro
che fa questo brutto mistiere.
Cosí, sempre questo crano vi
vienelivato.Anze,ioqualche
chilo di contrabando vi lo
posso fare macenare, perché
capisciocosavolederefame,
perché ci sono stato tante
voltesenzapane…
Cosí,ciabiammomessodi
acorddo che, quanto queste
chilientecheavevinol’ordene
dimacenareinquellomolino
chec’eraio,venevino,ilbene
che ci faceva io era che
quelle, prima di macenare
quellochec’erasegnatonella
tessere,cinefacevamacenare
10 chila di contrabanto, che
non c’era segnato nella
tessere. E quello se lo
portavino e scompareva del
molino, e poi macenavino
quellocheeradidiritto.
E quinte, questo era il
tempo della camurra e il
tempodellointrallazzo,eche
arrobava a destra, e chi
arrobava a sinistra, e non zi
nepottecapirepiúquelloche
sifaceva.
Poi, per fare questo
mistiere, ci voleva un altro
sapere fare: che quanto
venevino
carabiniere
a
solbegliare
e
cercare
formientonascosto,pernonli
fareparlare,iociavevadetto
alla molinara che metteva
pronte subito uova, qualche
calletto e 5, 6 chila di farina.
Ecosí,sin’antavinoenonci
rompevinoliscatole.
Certo che i carabiniere
avevino magare bisogno,
perché la paga era poco. E
cosíiofacevacontuttequelle
cheerinopuliziotte:danticela
moconata 5, non dicevino
nienteesin’antavino.
Poi io, che aveva piú
bisogno di tutte, d’ogni 4
ciorne, aveva uno crante
tascapane che ci antavino 15
chile di farina, rimpia quello
tasco da pane, e alla sera mi
faceva dare umpassaggio e
partevaperChiaramonte.
Cosí, con quella farina,
prima antava ni mia madre,
poi antava nel mio fratello
Vito, poi antava nel mio
fratello Ciovanni, e poi mi
n’antavanellamiacasa,dove
trovavaaTuriddo.
Cosí, io, con quello posto
che mi ha precorato lo
Sciaverio Nicastro, mi sono
precorato tante amice. E
comme manciavino tutte,
perché il Dio mi aveva fatto
buono di cuore, perché era
figliodiunamammaonestae
unpadreonesto.
Ecosí,ognimattina,alle4
parteva a piede al molino. E
comeveniaio,parecaveneva
ilsindaco,perchéfacevatante
favore a tutte quelle che
vinievino ammacinare, e
perché mi la faceva con i
povere, perché ero povera
anch’io, ma cercava di
sfottere ai riche, quanto
venevino ammacinare i
ricche.
Infatte,unciornoveneuno
carzonedelcavaliere,cheera
podestàdelPedalino6.
Cosí, tutte li donne che
erinoalmolino,chedovevino
macenare qualche puoco di
crano di intrallazzo, si hanno
abbicinato e dissere: – Don
Vincenzo,vediammoseleifa
le cose ciuste. Il crano al
cavaliere ci lo deve livare
comelolevaannoie.
E il carzone era tanto
piresodisocizionechetineva
paura. Cosí, io ci ho detto
impresenza di tutte quelle
donneche:–Lui,ilcavaliere,
il crano lo deve uscire, e
propia allui un chilo di
contrabanto non ci lo faccio
macinare,perchéenericco.
Cosí,questomacinavoesi
n’antato. Ma quanto ha
arrevato al Pedalino, il
padronemontòallifuire,edè
venutoalmulino.
E io certo ci ho fatto li
mieie ospedaletà. E il
cavaliere mi ha preso a
bracietto, facendome capire
che erimo 2 camerate, e poi
mihadettocheilcranocheci
avevalevatoeracheioaveva
fattounosbaglio,elovoleva
indietroun’altravolta.
E io ci ho detto,
impresenza di tante acente,
che: – Lei anze, che si trova
sicretariopoliteco,nedevesse
nescerepiúassaidellealtre!
Cosí, hanno cominciato li
chiachire,elui mi ha detto –
con una parola non di
secritario politeco ma di
vidanocheera–,mihadetto:
–Oravilafacciofeniremala!
Ma io, sentento «fenire
mala»,difronteatantacente
ci ho detto che mi n’antava
nel federale, e lui ha tenoto
paura e si ni è antato
bestimianto.Cosí,tuttequelle
acente che erino lí, mi hanno
battuto le mane, della
bell’azione che io aveva
fatto...
Poi, un ciorno, venne il
quardianodelciardino,chela
rancie 7 erino ancora tutte
sopralialbere,perchéc’erala
querraenonc’eracommercio
di venterlle. E questo
quardianoerapadredi4figlie
ederasempremoltodifame.
Cosí, venni, e mi diceva: –
Vedisse se ci potesse escire
qualche cosa di manciare per
me al molino, che pago
quellochemimancio–.Cosí,
io,dicorenobile,cihodetto:
–Oravidiammocomesipole
farepermanciarelei.
Cosí, io penzaie che
c’erinotantealberediarancie
earucimele8,ecihodetto:–
Faciammo una cosa. Lei
mancia sempre con noi e la
tessereaisuoifiglienoncila
tocca, perché si la mancino
loro. Però, mi deve dare 10
alberediarancieearocimele,
equellochevogliofarenene
faccio.
E cosí, tutto carcolato, il
quardiano
manciava
al
molino e io era il padrone
della rancie. Cosí, quanto
vineva il secretario politeco
di Chiaramonte per spezione
e volevino sapere tante cose,
io per levarece la parola, li
portavanellarancie.Ecosí,si
prentevinoompocodiarancie
e si n’antavino. E io faceva
quello che voleva, perché
tuttevolevinomanciare.
Era tempo di querra, e li
amirecane
e
l’inchilise
avevino preso tutta la
Cirenaica
e
stapevino
prententoTripoli,enonc’era
ordine. Che poteva robare
robava.
Una volta, poi, offatto un
attodiverosignoreedivero
calantuomino.
Io
era
sciarriato con uno che si
chiamavaTuriddodiCunta,e
conquestoavevatredicianni
che non ni parliammo,
perché, quanto si maretavo,
volle essere prestate lire 25,
ed io, per essere di cuore
buono, ci l’ho dato. E per 13
annequestononavevapotuto
capitare li 25 lire per darlle
amme.
Cosí, questo Turiddo di
Cunta aveva una metataria 9
propiavecinoalmolinodove
era io, ma questo, però, non
lo sapeva che io era di
quardia propia nel molino
dove doveva macinare lui. E
cosí, aveva un carretto, ci ha
messo 4 tumila di formiento,
cheeralaquotachecitocava
dimacinare,ealtre4tumilali
portavaaDioelafortuna,per
vedere se il quardia ci le
faceva
macinare
di
contrabanto, perché aveva 5
figliecheavevinotantafame.
E partio, e venni al molino
per macenare, senza sapere
chec’eraio.
Cosí, mi l’ho visto
presentare:
«Buonasera»,
«Buonasera». Io, vedento a
questo, mi offatto la croce, e
lui, come vede me, subito
fece dietro fronte e si n’antò
bestimianto.Lamolenara,che
lo conosceva, ci ha detto: –
Turiddo, perché ti ne vai?
Parlla con don Vincenzo che
enetantobuono.
Ma lui la faccia non
l’aveva di presentarese; e il
provebio dice che chi fa li
legna ammalestrada le deve
portaresopralispalle10.
Cosí,luinonpotevavenire
perché si vercognava, perché
il cuore ci parlava che aveva
fattomaleanonmidareli25
lire. Allora lo ho chiamato e
cidisse:–Turiddo,nonavere
pauradime.
Questosiammessoquasea
piancere, della contentezza
che io lo chiamai, e subito
venne, e mi ha venuto
abbaciare come quanto 2
soldate ave tanto tempo che
nonzivedeno.
E cosí, mi ha detto: –
Vincenzo,
me
deve
perdonare,chehosbagliato–.
Emihadetto:–Ora,li25lire
del1930vaglinoassai,eioti
le voglio dare –. Ed io ci ho
detto che: – Se parle di
dareme li solde, ti ne puoi
antare, che io non lo faccio
per solde, ma lo faccio per i
tuoifiglie.
Cosí ei, questo Turiddo,
questa parte buona non si lo
dementecava maie. E cosí,
macinavo,ecomearrevavoa
casa e feciro il pane, va a
Chiaramonte con il carretti e
ci portò 10 chile di farina,
200chiledilignaefraschi11,
e poi 5 litra di vino buono e
vieccio12,echeeravinodi7,
8 anni, e una botiglia di
muscato. Quinte, questo
Turiddo, doppo 13 anne di
esserenemiceperilfaoreche
io ci aveva fatto, mi doveva
dare lire 25 e mi ha dato per
lomeno100voltelire25.
Miamoglieerainunostato
di cravetanza e io, quella
butiglia di muscato che mi
avevadatoTuriddodiCunta,
che io la teneva cara come
uno ciuiello, che la doveva
crape quanto partoreva mia
moglie, che poi nascio
Tanuzzo.
Un ciorno, nelle sere del
Palacicolo della Madonna di
Culfe 13, mi ovvisto a
presentare un dominicano
predecatore che vineva di
Siraqusa, che si chiamava
padreCatarddo,ederavinuto
mantato di padre Piedro, il
santo miraculusu di quella
donna Anna, e venni che
doveva corcarese dentra la
nostracasapernonspentereli
soldeniMaiore.
Eio,quellasera,mitocòdi
fare l’intiano, e menomale
chelacasanonerabuonaesi
n’antò, altremente io, quella
sera, doppo c’aveva portato
tantomanciaredelmolino,mi
atocava di antaraminne piú
presto per dare ospetaledà a
questo relecioso che io non
potevavedere.
Ma sempre venne fututo,
che quella bella butiglia di
moscato, che doveva servire
per quanto la ciornata che
nasceva Tanuzzo, servio per
quello mascanzone di padre
Catarddo, che era mantato di
n’autro mascanzone, del
santo, del figlio di quella
crante nobile e rechezza
famiglia.
Io aveva fatto tanta
malavita, e in quello molino
fece 60 ciorne di buona vita,
che aveva vomintato 14 3
chile con il tanto manciare
bene che aveva fatto, io e
tutte la mia famiglia, che
attutteavevadatofarina.
Cosí, doppo 60 ciorne,
venne l’ordine di sospentere
il lavoro, e cosí lasciaie il
molino. Il crano si l’hanno
portato conni camie. Non
potte sapere dove era antato
affinire, ma certo che antavo
affinire
immienzo
alle
tradetore della padria, e li
forzze armate morte di fame
erino, e morte di fame
restarino.
Intanto il tempo passava e
laquerrainfuriava.ACatania
c’erinocentinaiadimuorte,a
Palermomagare.AlComisoe
a Chiaramonte si poteva
dormirepococonl’incorsione
e l’alarme che c’erino di
contino.
Poi, un ciorno, mi
chiamavo
DomMariano
Cultrera,cheerailfattoredel
barone
Montesano
e
controllava li racorte del
fevito – che aveva un fevito,
questobarone,allaBuruca15,
di 300 salmi di terreno tutto
seminario.Equantovenevala
racorta per versare il crano
all’amasso,
questo
domMariano Cultrera era
quello che ci faceva tutto, a
questo barone. Ma propia
quest’anno questo non ci
poteva pretentere 16 e ci
voleva mantare amme, che
questo fevito era vicino
Recalbuto e io era pratico di
quei partte, di quei luoche,
perché io aveva stato tanto
tempo a Recalbuto, che
Recalbuto era della provincia
de Enna, e ci aveva stato 5
anni allavorare nella linia, e
questo fevito era propia
vicinodoveiolavorava.
Io che sapeva che cosa
voldere «fatore», che io
deventava il padrone per tre
mese, e capeva che cosa
voleva dire essere incarecato
di 300 salme di crano e
versalle all’amasso, e io
essere il comantante di una
ventina di mitatiere, e il
terrenod’ogniannofrotava3,
4,5salmedicrano,eioerail
derecente... disse tra me:
«Mincia, questo incarico ene
megliodellemoline!»
Cosí, io e don Mariano
antiammo a parlare con il
baronechestavavecinodella
miacasa.Cosí,parlammocon
il barone e fecimo il prezzo
che mi doveva dare doppo 3
mese, quanto si feneva la
racolta:2salmediformento–
che 2 salme de crano, in
quello perioto, erano tante
migliaia di lire. E questa per
me era una crante fortuna,
perché non erino li 2 sole
salme di crano, ma era
l’impotanzacheioaveva,che
lí io rapresentava il padrone,
speciarmente
tempo
di
querra.
– Cosí, tutto sta bene, – io
disse. – E quanto ene che
potiammopartire?
E il domMariano disse: –
In queste ciorne io e voi
partiemmo, vi porto alla
Buruca,evidolaconsegna.
Ma io, che di fronte ai
padtrone mi voleva sentire
mastrise17dacricultura,ciho
detto: – Fosse bene che
partissimo domane matino,
che sono li 4 ciugno, e a
quest’oralaracoltadaifaveè
pronto, e se no mi trovo
presente, li mitatiere, non ci
sienno 18 nessuno, si robino
tutto… – Cosí, questa mia
parolafuvalita.
All’indomane arrevammo
alla campagna, e come
revammo alle prime case
colonie che si chiamava la
Piana di SalLorenzo, che
erino case vicino alla strada,
videntoadomMariano,chelo
conoscevino tutte quelle
massare e mitatiere, erino
tuttepriucupatediquelloche
ci avevino affare. Ma a mia
niente, perché io non era
nienteperloro.
E cosí, lo domMariano ci
ha detto: – Io mi ne devo
antaresubito,chedevoantare
aChiaramonte,cheipadrone
nonvoglinocheioconquesto
caso di diavolo di querra
stasse qui. Però, quest’anno,
quellochedevofareiolofarà
questo, – che era io. E mi ci
ha presentato. E cosí, sebero
che cosa era io, venuto con
domMariano.
Cosí,tuttemiquardavinoe
sifacevinoilcontodicomesi
dovevinocomportareconme.
Esicominciavinoarrofianare
comme,
non
con
domMariano; e tutto quello
chedicevaioeratuttoaposto
e tutto ciusto, e io diceva:
«Quarda la cente come
siammorofiane…»
E domMariano prese
l’autobusso e partio. E io
restai lí, con tutte quelle
famiglie, ed erino tutte quase
40, perché erino 10 famiglie,
emihofattoilcontoche,a4
per famiglia, potevino essere
40tutte.
Cosí, ni cominciaro a dire:
– Don Vincenzo, lei deve
dormirenellanostracasa–.E
io ci deceva: – Per ora,
vediammo…
Faceva caldo fortissemo e
pensai di dormire fuore
dell’aria 19, che c’era tanta
paglia di l’anno passato e
fuora si stava molto bene.
Perché quelle acente non
erino come la provincia
babba 20 de dove era io, di
Raqusa, che sono acente
saggie. Queste erino di
Troina, di Centuorbe, di
Racalbuto 21, che io sapeva
quanto pisavano 22, erino
acentediBronteedidorno23,
e quelle, vedento che io
faceva partecolaretà, si
ventecavino e mi poteveno
fare la pelle. Quinte, di
manciare,manciavaunciorno
neunafamigliaeunciornodi
un’altra,pernonfareinvedia.
Poi, avevino passato una
dicina di ciorne, e veramente
trovaie la casa adetta e la
famiglia che piaceva amme.
Ma questo io lu ho fatto
quanto tutte dissero: «Ora
noncideciammonientepiú».
Perché io mi aveva rabiato e
ci aveva detto: – Ora mi
corcoaRecalbuto!
Cosí, io cominciaie affare
una buona vita. Poi, la
signora Angela, d’ogni 2
ciorne, mi lavava la
biancheria. Aveva trovato il
bene di Dio dentra quella
famiglia!IlmassaroTuri,suo
marito, non parlava e
neancchesiciulisiava.Quinte
io, come quelle ciorne, non
mi ci l’aveva passato mai:
manciarebene;cheperloroe
per i suoi figlie certe volte
non ci penzavino e, per
manciare io, erino capace di
ammazare un cuniglio al
ciorno.
Di ciorno e ciorno,
venevino soldate tedesche, e
sicome questo fevito era
vicinoaipuontediRacona24,
ec’erailcampodiaviazione,
e poi che c’era Recalbuto
montagna, Troina montagna,
Centuorbbe montagna, San
FilippodiAcira 25montagna,
e Recalbuto che era alto
magare, e quinte li soldate
tedesche
facevino
fortificazione.
E quinte, io e tutte, ci
abiammo trovato cercontate
dai tedesche; che poi i
tedesche profetavino magare,
equintenonc’erabisognodi
solbiglianza, che con quello
trafico che c’era, chi
manciavamanciava.
Poi, che tutte quelle che
erino nei casa coloniche ci
avevino i parente che erino
sfollate, ed erino piú povere
di loro, e profetavino delle
mieibontàemanciavino.Eio
eratratatocomelopiúbuono
cristiano del monto, perché
c’era la querra, e che si
poteva
arranciare,
si
arranciava, sempre per
manciare. Io non diceva
niente,quellochefacevino,e
facevino, perché erimo tutte
ammienzoaipericole.
Tutti, poi, mi chiedevano
come si doveva fare per il
crano,eiocihodetto:–Qui,
il padrone sono io. Se vialtre
siete capace di poterllo
nascontere qualche cosa di
crano impiú, vi lo nascontete
–. E poi, quanto lo portavino
ammacinare, se vinevino
pescate, potevino antare in
calera e il crano perdevino.
Poi,iovenevapunitomagare,
perchéiodovevastareatento
alla racolta. E quinte,
dovemmostareatentotutte.
Quinte,
tutte
mi
respetavinoperforzza,perché
dimeavevinobisogno.
Cosí, ai prime di luglio, si
cominciò a tribiare, e il
ciorno3lugliotutteliarie 26
erino piene di crano bello
polito, che cià si diveva
conzegnare. Ma la querra si
facevapiúvicinaeitedesche
dicevino che verso il 15 li
amirecane dovevino fare i
prime tintative di sbarcare
nella Sicilia. Quinte, quelle
che dovevino venire per
consegnarese il crano non
venniro,eioaspetava.
Questa casa dove ni
corcava io era vicino alla
stradacheantavaaCatania,e
iltraficoaumintavadiciorno
e ciorno. E cosí, lunco la
strada, tutte i tompine che
c’erino, tutte, i tedesche
l’avevino menato. Io, i
tedesche, li capeva e vedeva
che d’ogni tompino ci
mitevino tante palle di
cilatina, e poi le strade
tagliate, e i 4 puonte di
Areconaerinopureminate.
Cosí, cominciava una
pauratremente.
Li ammassatore, per
prentesi il crano, ancora non
vinevino.
Io
era
in
umpronte 27 di confosione,
non sapeva come doveva
fare; il crano era fuore, e
diceva: «Come deve finire?»
Non si poteva sapere. Io
teneva paura della leggie
fascista, e quinte era in
confusione.
C’era vicino ummulino, e
cosí io gli diceva: «Prentete
sacche e antate ammacinare.
Ecomefenisce,finiscie».
D’ognitanto,domantavaai
tedesche, perché qualcosa la
capeva, e non mi davino
sodisfazione. Erano arrabiate
come tante cane. Mentre
prima, amme, sempre mi
chiamavino, poi che io ci
diceva che l’esercito tedesco
erailpiúforttedemonto,poi
cheioerafascistaeportavala
tessere sempre a portata di
mano, poi che io sempre ci
faceva vedere li ducomente
della miniera di Dueburico e
tantefatocrafieiditedesche...
Ma ora con me non ci
volevino parlare piú, e io
diceva: «Ma perché queste
non voglino essere amice
piú?»
Ma forsse che avevino
ragioneesisintevinotradite...
Ma amme questo non mi lo
facevino sapere; forsse lo
sapevinotraloro.
Ma sicome io nella mia
vita sono stato corioso per
saperequalchecosa,ediceva
tra me: «Come posso fare
assapere il perché non hanno
venutoquelledell’ammassoa
conzegnareseilformiento?»
Ecosí,minesonoantatoa
Recalbuto a piede, che
c’erino 4 chilomitre, e
recolddo che era il ciorno 10
luglio, data che mai la posso
dementicare. E ho partito
verssoli9dimattina,eperla
strada
provinciale,
del
movimento che c’era, non si
poteva neanche passare, e io
camminava terre terre. Ma
primacheioavesserevatonel
paese... quanto vedo tante
acente che scapavino del
paese con piciridde e robbe
sopralispalle.Maiomisono
imprissionato,perchéiostava
antantoalpaeseperparlarea
quelle dell’amasso, e invece
quelledelpaesescapavino.
E immienzo a quella
confusione, ho domantato a
un uomo che io conosceva, e
cihodetto:–DonPipino,che
cosa si ha socesso nel paese,
che tutte scapino? – E mi ha
detto: – Lei, Rabito, sempre
scherzza e fa finta di non
capire –. Io lo quardava,
perché questo era troppo
impaurito, e poi mi ha detto:
– Lo sa che hanno trasuto li
amirecane in Sicilia senza
incontrare resestenza? – E io
subito mi sono confuso e
disse: «E ora come si fa per
potereantareaChiaramontea
vedere come ci finisce alla
miafamiglia,ammiamamma,
ammia moglie e Turiddo, e i
mieifratelle?»
Eiotuornnosubitointietro,
e corro, e vado dove io
abitava. E come arrivo, cià
tutte lo sapevino, perché la
voceciàerafattacircolareper
tutta la Sicilia, che li
amirecane avevino sbarcato.
E poi apareche tedesche
avevono
cetato
tante
manifestine che dicevino:
«State
atente,
soldate
doicelante,achitunche 28,che
siete state tradite dai crante
ceneraleitaliane!»
Tutte queste manifestine
erinoscritteintedesco,etutte
le contatine che erino lí,
nessuno li capeva. Ma io
perse puoco, e mi offatto
persovaso, e penzai fra me:
«Perquestolitedeschehanno
li cogliona compie, che con
me non ci volevino parlare,
che aveva 3 ciorne che
parevinotantecane».
Cosí, socesse una crante
confusione,etuttediciammo:
«Fra 10 ciorne siammo
pricioniere. Como dobiammo
fare...»
E menomale che aveva la
tesserefascista,altrementemi
potevino ammazare, di
com’erino arrabiate. Perché
veramente tutte i soldate
italiane che erino in quelle
contorne avevino desertato, e
tutte si avevino campiato le
robbe, che le soldate avevino
adeventato tutte miteture, e
tutte borchese: che se
mitevano una ciacca o pure
umparo di scarppe o umparo
di pandalone di borchese, e
con una fauce in mano, che
facevino finta di essere tutte
condadine.Enonsinepotette
capirenientechierasoldatoe
chieraborchese.
Cosí, io cominciaie affare
tante penzate. Cosí, ho
chiamato alla famiglia del
massaro Ture e la famiglia
del massaro Santo, e ci ho
detto: – Ascoltate amme, di
qui dobiammo scapare, che
siammo vecino alla strada, e
si mai sia che arriveno li
amirecane, certo che l’unica
strada che va a Catania è
questa, e noi qui moriemmo
sicuro.
E tutte li 2 famiglie mi
hanno detto: – Come dici
vosia,faciemmo.
Cosí, io ci ho detto: – Si
venite, venite. E se non
venite,minevatoiosolo.
E cosí, ci fo 3, 4 ore di
selenzio,
che
nessuno
incorsionec’era,chel’italiane
di Aucusta e Siraqusa si
avevino arreso all’amirecane,
e si compateva a Milille 29,
vicino Siraqusa. Della parte
diCela,ciàliamirecaneerino
a Piazza Almerina, che
stavino
per
prentere
Caltacirone. E quinte, tra
Lintine e Crammichele i
tedesche avevino fatto tanta
resestenza, che cià si deceva
che li avevino fatto retrare
tutte a mare, compure che li
tradetore italiane non vollino
piúcombattere.
Ecosí,fuummumentoche
tuttelesoldatetedeschesine
erino antate per 2 ciornne e
non c’era tanta confusione
vicino a quella strada. Il
crano era tutto piede piede,
tutto terra terra, e c’erano
tutte quelle mule, cavalle,
sceche, che non servevino
provisoriamente, perché ci
furino 2 ciorne di sosta di
portare
munezione
a
Rantazzo30.
Cosí,iosapevachelí,nelle
case coloneche, c’era un
deposito di atrezze di lavoro,
ho profetato che non mi
vedeva nessuno, prese una
carriola, 2 picuna, 4 pale e 3
caldarelle 31, e un bellissimo
palo a piede di porco, e una
mazzaeunamazotta,tantoli
atirezze ci n’erino quanto ne
voleva. E cosí, disse: –
Antiammo!
Che io sapeva che c’era
una picola collina tutto
alberata, con albere belle
d’oliva, e poi la roccia era
roccia tenera, che, scavanto,
ci voleva poco per fare una
crotta. E quelle famiglie mi
hannosequito.
Ecosí,io,contuttequelle,
abiammo fatto una grotta
sutta una crante roccia bella
tenira, che di sopra c’era una
pietra dura e di sotta era
molla. Cosí, travaglianto
travaglianto 24 ore, fecimo
una bella crotta, che per noi
erarecovero,chefulanostra
salvezza.
Poi,quelleterreerinopure
dai Montesane, e non poteva
direnientenessuno.
Quinte,
erimo
completamentenascostedella
strada, e il piacere che
abiammo era che vediammo
diquellacollinaimovimente
che facevino li acente e i
soldate tidesche. E le case
colonie che noi avemmo
bandonatovinevinoavista.E
vinevino avvista tutte li
crusse timugne 32 con il
crano, che non ci aveva stato
il tempo di trebiare, e tutte li
bestie, tutte erino a vista. E
cosí, vediammo tante sfollate
che erino butate terre terre,
scapate di Catania, di
Mistiere Bianco 33 e di
Paternò, e di Biancavilla,
perché c’era vicino il campo
diCerbine 34,esemprec’era,
notte e ciornno, il dovello
aerio tra tedesche e
amirecane.
Come hanno passato 2
ciornne,itedesche,poverette,
bantonate di tutte, hanno
persso la resestenza, e
un’altra volta si ne sono
venuteallestesseposizionedi
prima. E quinte lí, dove noi
avemmo abandonato, è
deventato peggio di prima,
perchénoi,delpuntoaltoche
erimo,quardammochetruppe
econfusionecin’erinopiúdi
prima. E tutte diciammo:
«Menomalechescapammo!»
Cosí, quanto c’erino li
allarme,cin’antiammodentra
il recovero; lí ci sidiammo, e
tuttalanotteio,ilmiopiacere
era questo: di contare tutte li
cose che mi avevino
incontratoinvitamia.Etutte
liminciatecheiosapeva,alla
notte li racontava. E c’erano
2 ragazze ciamelle, che io li
conosceva di quanto erino
picoli,elasignoraSanta,sua
madre,elacranteamicamia,
donna Angela, conni suoi 3
figlie femmine, che la piú
crante era di 14 anni. Lí
dentra non pareva che era
tempo di querra, ma pareva
che c’era il teatro, perché si
redeva sempre; mentre il
massaro Ture e il massaro
Santo dovevino stare atento
per li vachi, li pecore, che si
le potevino magare arrobare.
Perchétuttelidelenquentedi
quelle luoche profetavino
propia in quei ciornne per
arrobare.
Poi, versso il ciorno 15, li
amirecane hanno investato 35
unconvoglioditedesche,che
erinocirca50camietedesche,
tutte cariche di munizione.
Chequestacolonnavinevadi
Nicosia, che passava di
Recalbuto, e doveva antare a
Ennaperremporzzo.
E cosí, li amirecane si
hanno messo a butare bombe
all’impazita
sopra
di
Recalbuto,chelacolonnaera
fermma e sotto li crosse
alberenascostepernonessere
vista.Masecomecidovettiro
essere li spieie, questa
colonna fu destrotta, e metà
delpaesefudestruttomagare.
Menomale che quase quase
tutta la popolazione si era
revesata in tutte li campagne
e tanta perdita non ci fu. Ma
asSamPilippo di Acira, che
eravicino,ciforenocentinaia
di ferite e muortte, che poi
hanno fatto un cimetero
propiadiquerraconliacente
che morerino propia quello
ciorno. E magare morerino
assai soldate amirecane, e
tutte li picoli paese che erino
vicine ni morerino assai, e
magare alLiomporte ni
morerinoassai.
E poi, propia in quella
ciornata che feciro questo
bombardamento a Recalbuto,
hanno cetato, li amirecane,
una crossa bomba nella
piazza di Recalbuto, propia
nella Casa del fascio. Certo
che ci fu una disonesta spia
italiano, perché la Casa del
fasciopropianonlopotevino
saperedoveera.
Poi, ciusto ciusto quello
momento, dentra quella Casa
delfascio,c’eradintra,propia
aquellaora,ilcavaliereIsola,
quello che io conosceva 7
anni fa, che aveva fatto una
lettraammeperfaremeavere
un posto, e quinte era un
crante amico mio. E questo
era lí dentra il fascio, che
quanto vede la popolazione
tutta in allarme, per causa a
questo sfracello che c’era, e
lui poveretto, che era vero
patriotico, ci diceva a tutte:
«Coraggie, li amirecane
verrannobotateun’altravolta
a mare e la Sicilia non verrà
ocopata».
E cosí, con quella bomba
buttata nella Casa del fascio,
e poveretto, morí. E io,
quanto mi l’hanno fatto
sapere, ho provato un crante
dispiacere, che pare che
avesse morto uno parente
mio.Edissetrame:«Pecato,
che per me aveva stato
buono,luiesuamoglie».
Poi, nel nostro recovero
erimo adeventate piú di 20,
che hanno venuto altre 3
mitatieredellecasecolonie.
E il ciorno 16 hanno
venuto nel nostro recovero 2
crante ufficiale vestete di
borchese, e non caminavano
per
la
strada,
ma
camminavano
campagne
campagne, che tenevino
paura dai tedesche. Cosí,
vuosiro essere dato una
pagnota e una borraccia di
acqua,epoisinesonoantate
di corssa. E queste 2 crante
ufficiale ni hanno detto che
«fra 5 ciorne li amirecane
prentono Catania», e invece
altre passante dicevino che li
amirecane
erino
state
sconfilitte. E non si sapeva a
cheavevaacredere...
Poiunanotte,dauntratto,
sentiemmo dire: – Aiuto!
aiuto! – e chiamare, però,
piano piano. Respose io e
disse: – Ma queste che
chiamino aiuto che potessero
essere? – Che sparare non zi
senteva niente. Mentre il
massaro Ture, che era
davante la crotta, sobito
prente il fucile mitragliatore,
che l’avevimo trovato nella
casadovec’erinoliatrezze,e
lo mette promte per sparare.
Chefucileniavemoquantoni
volemmo, perché, delle case
colonie, tutte l’italiane che
c’erino lasciaro il focile e si
ne sono antate. E quinte,
avogliadifocile...
Ed io mi venevono certe
penzate, che aveva piú paura
di loro che delle tedesche e
delleamirecane.
Ancoraerinole4dimatina
enonavevaaciornatobene,e
poi che c’erino molte albere
dimandorleediolive,enon
sivedevabene.Quinte,noiil
ciornoprimoavemmosentito
dire che l’amiricane avevino
presoCaltanesettae atutteli
carcerate del carciro di Mala
Spina di Caltanisetta li
avevino apertto li porte. E
quinte, tutte li carciarate e
tutte l’ante fasciste erino
fuore.Etutteidelenquente,li
amirecane, tutte i paese che
ocopaveno, aprevino li porte
aidetenutepolitice.Equinte,
dovevimo tenere paura di
tutte
quelle
che
si
presentavino.
Ma
quelle
povere
sbentorate, che cercavino
acqua e fame avevino, si
vedeva che arme non
avevino. Cosí, ci hanno fatto
compasione. E cosí, quanto
vedo che erino 4 tutte
strapate, senza ciacca, ho
capito che erino soldate
scapate, che li tedesche le
cercavino, e si avevino
spogliato delle robbe di
soldato, e poi, forsse che
dorante la strada avessero
trovato qualche piezzo di
cause 36 straciate, e si
l’aveveno messe. Menomale
che era luglio e faceva un
caldo da morire, altremente
avessero morto di fredo,
questepoveredescraziateche
erino recercate dai tedesche.
Cosí, tutte 4 ni hanno fatto
compasione e ni l’abiammo
tenuto con noi. Come fineva
fineva...
Poi,liamirecaneerinoalle
porte di Recalbuto, avevino
bombardato il paese, e cosí
aveva socesso il fine monto;
cheavemmocominciatotutte
a tremare, ed era nicesario di
stare sempre dentra il
recovero.
Cosí, se vedevino le case
della Bruca, della masseria
crante, tutte che erino in
fiamma, tutte li temugni del
cranostavinobrucianto.
I tompine, che erino state
minatedaitedesche,saltavino
per l’aria e li 4 puonte di
Arecona saltavino per l’ario,
per arrestare l’avanzata
amirecana. Atrano 37
bruciava, Centuorbe era tutto
infiamma, Traina lo stesso.
L’aviazione
amirecana
abutavabombe.
Sopra la collina pareva il
bel vedere, che si vedeva
tutto.Efortonatementechela
battaglia era impegnata nelle
stradeenellepianure,edove
erimonoinonsparavino...
Li tedesche avevino la
popolazione contraria. E
recoddochec’eraunacalleria
del treno, che io ci aveva
lavorato, ed era piena di
sfollate, e quanto venevino li
aparecche amirecane, tanto
era il piacere che trasevino li
amirecane che neanche
sentevino paura. Pare che li
amirecane non botavino
bombemabutavinocelate,di
quanto era stubita la
popolazione in quei ciorne.
Che magare li amirecane,
quanto passavino vecino alla
calleria, ci le butavino
apositamente,libombe;tanto
per farece capire «Antate
dentra!»,aquestestubite.
Litedescheerinopoco,ma
facievino piú bersaglio
dell’amirecane, tanto che,
vicinoallecasecolonie,c’era
umpicolo fortino, che c’era
piazataunamitragliatrice,e2
tedesche dentra. E 2 che
avevinotantocoraggiochesi
hannofedato38difareun’ora
di resestenza, che erino che
hanno ammazato piú di 200
amirecane, ma poi furo
acerchiate; e certo che fuoro
ammazate! Ma, se ce n’erino
assai di quelle fortine, certo
che li amirecane di quella
zonavinevinodistrutte!
Recoddo che era il 20
luglio de 1943, che fu
l’ultima ciornata che i
tedescheerinoinquellazona.
L’italiane erimo tutte tutte
sicurochevenirel’amirecane
era lo stesso di venire il
SignorecollaMadonnaaffare
arrechire a tutte. E quinte,
erino tutte sodisfatte che
perdimmo la querra. Cosí, i
tedescheebirolapeggio.
Cosí,nellanottechevenne,
verso l’una di notte,
passarenodelnostrorecovero
6 tedesche tutte stanche. Io e
tutte ne abbiammo preso di
paura e dissemo: «Ora si che
ci ammazino!» E invece,
povere
descraziate,
piancevino. Che io ci aveva
stato tanto tempo ammienzo
litedescheenonl’avevavisto
mai pianceri, e dicevino
sempre «querra», «tutte
capute»;soloquellosapeveno
dire.
Cosí, questi tedeschi li
abbiammo fatto reposare
umpoco, e poi si ne sono
antate, che tenevino paura
dellaAmireca.
Ma ancora li amirecane
propia del recovero dove
erimo noi non ci avevino
passato.
Cosí, il massaro Ture, il
massaro Santo e Tanino
uscierinofuoredelrecoveroe
antareno a vedere tutte li
vache che avevino, se erino
vive. E parterino magare per
stutare 39, che c’era tanto
cranochesistavabrucianto.
Ma c’era silenzio dove
erimo noi, doppo che ci
avevino stato 15 ciorne di
infernoadomato40.
Cosí, verso le ore 8 di
mattina, immienzo a tante
crantealbere,chec’eraquella
matina
umpoco
di
impuscatura 41, che era lo
stesso della nebia, mi sento
chiamarediTaninoconmolto
paura, che curreva per venire
verso di me e mi diceva: –
Don
Vincenzo,
don
Vincenzo, voia vede 42! Che
immienzoallevacchecisono
ancora i tedesche! – Mentre
tutte avemmo creduto che li
tedesche si n’avevino antato,
el’ultimeerinoquelle6della
notte.
Cosí, io mi sono preparato
come tutte li altre volte, che
quanto c’erino tedesche ci
antava io, perché sapeva
qualche cosa, e mi priparaie
per antarece incontro per
direceunaparola,quanto43li
avesse carmato. Mentre io
tremava. Cosí parto, a Dio e
lafortuna.
Ma, non apena fu a 10
metre di distanza, con quella
infuscatura e li albere che
c’erino,iostavaspiagantoper
direce: «Cutitachi», che
voleva dire: «buociornno»,
ma fuoreno prima loro a
direme: – Siete contente che
viabiammoleberatodiquesta
teranna nazione tidesca e
questocovernofascista?
Io restaie muto, senza dire
una parola, con lo spavente,
vedento a 20 soldate
amirecane tutte con fucile
mitragliatore, e poi che
parlavino magare propia
siciliane… Ma loro pare
c’antavinoallafesta,dicomo
erinoallecreecontente.Cosí,
mi hanno dato la mano e mi
hanno detto: – Macare noi
siammo vostre paesane –. Io
non sapeva quello che aveva
arespontere.
E allora, senza sparare un
colppo di fucile, presero la
collinadoveerimonoi.
Io tra di me penzava che
Taninomiavevadetto:«Don
Vincenzo, ci sono i
tedesche!» E menomale che
parlaroprimaloro,altremente
potevafenireaschifio,quella
matina...
Cosí, io mi sono messo
inziemmealoroemilesono
portatoalrecovero.
Che poi ci n’abiammo
antato dove c’era la strada e
abiammolasciatoilrecovero.
E lí, vecino alla strada,
c’erino tante carre armate. E
secome i tedesche, prima di
scapare, tutte i tompine
l’avevino minato, poi, li
amirecane,perpoterepassare
le truppe, ci avevino messo
un carra armato per
treaversso. E cosí, la strada
recominciava a prentere il
trafico.
Ecosí,questeamirecanene
l’abiammo portato nelle case
coloniche e ci abiammo
oferto tante cosi, e loro
c’hanno dato tante sicarette.
Ma poi stiesero un quardo
d’ura con noi e represero il
rastrillamento. E uno di
queste soldate amirecane,
parlantoconilmassaroTure,
disse che: – Tutte noi che ni
chiamino
«amirecane»
siammofigliedisiciliane–.E
tutte queste paracadotista che
hannocitatoconiparacaduti,
tutte erino figlie di siciliane,
volentarie e, disse: – Ni
pachenoprofomatamente.
Cosí, doppo una lunca
racionata, perché si vedeva
che tutte questa antavino
spezionantoevolevinosapere
tante cose perché erino tutte
spie, li amirecane si ne
antavino,eiopresirespiro.
Cosí, vado all’aria, e
c’erino poi tante sceche che
manciavino
crano,
che
avevino state ancora lecate
daitedesche:cheerinopropia
quelle che straportavino il
materiale e la munizione di
querra,esecomenonebiroil
tempo
di
portarasille,
restarenolí.
Io, che doveva antare a
Chiaramonte, penzai di
prentireme una bellissima
sciecca,edisse:«Milaporto,
e quanto retonno ci la porto,
perchéiorobadellealtrenon
nivoglio».
Le strate erino piene di
soldate nere amirecane, tante
sfollate strade strade, cente
che piancevino, che non
sapevino dove dovevino
antare, perché li amirecane
facevino tante puosti di
bilocco
e
sempre
domantavino. Io era il piú
furbo di tutte, perché
caminava
campagni
campagni, e ci faceva capire,
agli americani, che antava
allavorare vicino, tanto era
senzaciaccaedimostravache
eraunapersonalocale.
Cosí,
davero
sono
finarmente
revato
a
Chiaramonte verso li 5 di
mattinadel24luglio1943.
Io era stato tanto
priucupato di quanto avevino
trasuto queste amirecane che
mi credeva che Chiaramonte,
sento 44 vecino al paese di
Comiso,
avesse
stato
bombardato; e invece niente.
Mamegliocosí.
Vadoperprimoacasaemi
offatto il cuore. Vedo a mio
figlio Turiddo e mia moglie
che si stavino alzanto, e
Turiddocheciucavaconaltre
piciridde. E poi, tutte aveva
trovatobene:amiamoglie,a
miamadre,aimieifratelle.
E cosí, doppo che aveva
visto a tutte i miei, mi ne
sonoantatodaimieipadrone.
E come mi hanno visto, si
sono merevigliato di come
aveva fatto a venire della
Brucaconquestaquerratanta
perecolosa, e come aveva
restato vivo, e come aveva
atraversato piú di 100
chilomitre di strada con
quella scecca. E poi, mi
hanno quardato nella faccia,
che era crasso e beddo
notrito, e mi hanno detto: –
Ma tu dove sei stato con
questa querra? che non ci fu
niente dove eri to? tu che sei
cosícrasso?
Poi, cercaie a mio fratello
Paolo, che ancora non zi
aveva maretato, ed era
disocopato, e ci disse: –
Paolo, ci vuoi venire alla
Bruca? Lí, il manciare ene
franco. Cosí, vai a vedere ai
recalbutane –. E Paolo,
quanto ci ho detto questo, ci
hapiaciutotanto.
Cosí, salutaie a mia
moglie, che era cravita di
Tanuzzo, e tante baci ci ho
dato a Turiddo, che di quelle
bellizzenoncin’erino...ime
ne sono antato. Ma, con lo
scentere le scale, quanto
sientospotareversodime,ed
era quella canazza che
spotavaamme,perchéancora
non aveva io morto, ma io
ormaiec’eraabitovato.
Presentaie a mio fratello
Paolo a tante acente che
aspetavino il mio ritorno, e
poi ci ho dato tanta
sodispazione, che tutte
volevinosaperecosaaveveno
dettoipadrone.
– Mi hanno detto che tutte
quellechehannolecaserotte
e sono inabitabile si fanno
reparare e poi il padrone li
paga, abastica non ci foreno
muorte –. E tutte dissero: –
Che beravo padrona che
sono!
Poi,ioemiofratelloPaolo
ci abiammo messo a cerare,
pervederesetrovassimocose
di valore; ma tutto era
distrutto e tutto era bruciato.
Mio fratello, che querra non
aveva
fatto
maie,
s’impresioniava
quanto
vedevatuttobruciato.
Quinte,c’erino4apparechi
distrotte,eniabiammomesso
a quardare tutte quelli pezze
di rotame e trovammo uno
stromento di incegniere, che
era un valore, e dissemo:
«Oraciloportammo».Cheio
e Paolo lo conosciammo che
cosa era, che avemmo
lavorato
sempre
con
l’icegniere. Ma come ni
hannovistoliamirecane,che
erino che spezionavino tutto
quellochec’eralasciatoterre
terre dei tedesche, e tutte i
fucilechec’erinoterreterree
mitragliatrice, e c’erino tante
soldate nere che racoglievino
tutto, ma quanto io e Paolo
stavimo per prentere quello
stromentodelgl’icegniere,ni
abiammo visto il fucile
pontato verso di noi, che ni
abiammo preso di paura, e
dissemo: «Lasciammo fottere
tutto, che ene meglio, perché
queste sono sempre nostre
nemiceecipotesseromagare
ammazare».
Cosí,
ci
n’antiammo senza prentere
niente.
Ma, per manciare, si
stavino futienno tutte cose
loro. Tutte li craste 45, gli
agnelli, si le mazavino e si li
manciavino, e non ci
potiammodireniente.
Però, un ciorno, abiammo
provato
una
crante
sodisfazione: che il massaro
Tureavevaunatroiafemmina
con 9 porceline apresso, e
c’era un nechero, di quelle
che erino conni bataglione
amirecane, che ci ha venuto
la testa di prentere un
purcellino di quelle, che
potevapesare10o11chile.
Mailporcellinoparechelo
sapeva che questo l’aveva
ammazare, e quinte si
ammessoacridareforteforte,
questo porcellino. E poi ci
venne bene e ci appiantato
ummozicune nel naso, che il
naso il porcellino ci l’ha
portato via tuttu. E cosí, il
poveroporcellinosiassarbato
enonziaffattoprenterepiú.
E cosí, minomale che poi,
quanto avessero passato 8
ciorne, venni l’ordene che
tutte li soldate che erino in
quella zona dovevino antare
arraciuncere Messina, perché
li tedesche si hanno trovato
tutte acerchiate e, che aveva
passatodellostrettoechinon
aveva passato, foreno tutte
presepricioniere,poverette.
E cosí, si ha fenuto la
querra in Zicilia, e queste
tutte
nere
amirecane,
inchelise, si n’antareno;
altremente, se ancora stavino
con noi, ni stapevino
spogliantotutto.
Mentre il devertimento si
trovava sempre. E c’erino
vecino di dove dormeva io
una famiglia che erino tutte
butane e delenquente. E
quinte, dentra quella casa di
questa famiglie c’era tutte le
sere che s’aballava, per
festiciare la liberazione di
tante bricante librate del
carciro!
E secome leggie non ci
n’era, che comantavino tutte
quelle scapate del carcere,
perché li carabiniere non
contavino in quei ciorne, e
poi tutte avevino un fucile,
fimmene e uomine, e affare
fuocononcivolevanienteea
trovarese ammazato non ci
voleva niente, e cosí, magare
che io e Paolo non ci
volemmo antare, afforzza di
chiacherecidovemmoantare.
Quinte, c’era un vero
bordello.SoloioePaolonon
avemmo state in calera, ma
poi tutte l’avevono tastato, la
calera, magare le donne. Poi,
in quella famiglia non si
parlavaaltrochedimafiaedi
caleraedispara.EioePaolo
stiammomute.
Poiabiammoliquitatotutte
li conte con tutte li mitatiere,
e io e Paolo ci voleva poco
perpartireperChiaramonte.
Aveva potuto quadagnare
lire32.000milalire.
Recorddo che era il mese
disetembre1943.
1
acomitare:
arrangiarci,
accomodare.
2
sbirro lavoro: lavoro infame, da
poliziotto.
3
ponto:posto,posizione.
4
codda:colla.
5
danticelamoconata: dando loro
latangente.
6
FrazionedelcomunediComiso.
7
larancie:learance.
8
arucimele:varietàdiarance,dolci
(aruci)comeilmiele.
9
metataria:podereamezzadria.
10
chifalilegna…lispalle:chifa
la legna in una cattiva strada, la deve
portare soprale spalle, cioè il male
compiuto,primaopoiricadesuchil’ha
fatto.
11
fraschi: frasche, ramoscelli
secchi.
12
vieccio:vecchio.
13
Una
cerimonia religiosa di
Chiaramonte, che dura 10 giorni e
comincia nella setti-mana successiva
allaPasqua.
14
vomintato: aumentato,
ingrassato.
15
La Bruca, tra Centuripe e
Regalbuto.
16
noncipotevapretentere:nonse
nepotevaoccupare.
17
mastrise: in questo caso,
significaesperto.
18
cisienno:essendoci.
19
fuoredell’aria:all’ariaaperta.
20
laprovinciababba:laprovincia
bonacciona.Cosídefiniteleprovincedi
Ragusa,SiracusaeMessina.
21
Troina,CentorbieRegalbuto,in
provincia di Enna. Bronte, citato dopo,
invece,èinprovinciadiCatania.
22
pisavano: pesavano (nel mondo
dellamalavita).
23
didorno:dintorni.
24
I ponti d’Aragona o di Rauna,
sulfiumeSimeto.
25
Agira.IlpaesefuchiamatoSan
Filippo di Agira fino al 1862.
Probabilmente, nell’uso popolare,
l’antico nome si mantenne per lungo
tempo.
26
arie:aie.
27
umpronte:unfronte.
28
achitunche:attenzione.
29
Melilli.
30
Randazzo.
31
caldarelle:secchipertrasportare
ilcementogiàimpastato.
32
timugne:covoni.
33
Misterbianco.
34
Gerbini.
35
investato:avvistato.
36
cause:calzoni.
37
Adrano.
38
sihannofedato:sonoriusciti.
39
stutare:spegnereilfuoco.
40
adomato: acceso. Qui,
fiamme.
41
impuscatura:foschia.
42
voiavede:vengaavedere.
43
quanto:dimodoche.
44
sento:essendo.
45
craste:montoni.
in
Capitolosedicesimo
Trabrecanteecarabiniere
Poi venne il 27 settembre
1943enascioTanuzzoefala
fortunamia.Checomenascio
c’eratutto,c’eramagarevino
vecchiosalvato,compureche
quello malaucurio di padre
Cadarddo, mantato di quelo
santodipadrePietro,siaveva
fututo la butiglia di muscato.
Vercogna, che io l’aveva
salvato per quanto nasceva
Tanuzzo!
Cosí,looffattobatezzarea
compare Ture il Marchese,
chesecomeeramoltofurbbo,
e diceno li antiche che il
figliozzo
rasomiglia
al
padrino, e cosí l’offatto
batezzareallui.
Cosí,mihavenutoun’altra
provedenza, che era il 15
ottobero e mi ha chiamato il
barone
lu
zuoppo,
Montesano, e mi ha detto: –
Vincenzo, ci viene alla
Fontanazza, che ene aura di
scotelare 1 li olive, e cosí tu
stai atento per non ci fare
fotere l’oglio ai mitatiere
dellacampagnadiRocazzo2?
– E cosí, io ci ho detto di sí,
checiantai.
Ela3ciornatacheioeralí
nelpalazzodelbarone,ioera
corcato nel garaggi, ebbe
un’altranotatadiquerra.Pare
che io era stato a questo
monto propia per stare
semprealmezoalpericolo.
Ad un tratto, verso
mezzanotte, sento uno forte
remoredicarrettaeunaforte
sparatoria e colppe di fucile
alla porta. Io non poteva
dormire e neanche poteva
uscireperchémisparavino.E
cheerino?Queste2carretiere
carreche di crano, che era di
contrabando, e li carabiniere
che ci sparavino alle
carrettiriere.
Econifocilemitragliatore,
i carabinieri, hanno vinto. E
li carretiere hanno bandonato
carretta e crano, e sperdirese
immienzo alle vagnite. E
cosí,licarrabinierepenzareno
di portare il crano con le 2
carretta dove era io, che era
presoditantapaura.Ehanno
prima sparato 2 colppe di
pistola per impavorireme
amme, che io, senza sapere
chi era che sparava, cià
tremava. Cosí, hanno detto
questabatugliadicarabiniere:
– Crapete, annome della
legge!–Econunalampadina
tascabile messa vicino alla
fermatura io potte qualdare e
assecurare
che
erino
carabiniere. E cosí, ci ho
aperto la porta del caragge, e
mi hanno detto: – Che cosa
facete voi qui? – E io ci ho
detto: – Sono una persona di
feduciadelbarone–.Equeste
mi hanno detto: – Qui vi
conzegnammo queste 2
carrettadicranoedomanene
le dovete consegnare come
sono.
Io (certo che con la forzza
nonziciscgerzza!)cioffatto
mettere li 2 carretta di crano,
e li carrabinieri si ne sono
antato,eiorestaiilquardiano
diquellocrano.
Cosí, chiuse la porta, mi
sono carrecato un sacco di
crano sopra li spalle e mi ne
sono antato immienzo alla
campagna.Cosí,ilsaccol’ho
antato
annascontere
immienzo alla terra, e non lo
vedinopiúnéicarabinierené
li carretiere. Pacienza che il
cuoremibatevacomequanto
erauncuniglioassutato 3dai
cane, ma questa notte io
avevaquadagnato4tuminadi
formiento.
Cosí, verso li 3 di notte,
forse che si hanno messo di
acordio
carretiere
e
carrabiniere,
e
sento
chiamare: – Vicinzuzzo,
susite, che sono Ture
Cipodda, che ti devo parlare
–.Io,certocheerasicuroche
era uno amico mio, mi ce
faccioavanteecidico:–Che
vuoi? – E lui mi ha detto: –
Rape 4 il garage, che queste
sono li padrone del crano –.
Responto io e gli dico: –
Come! Se mi l’hanno
consegnato li carabiniere,
cometelopossodare?–Elui
mi ha detto: – Non avere
paura, che tutto è fatto, e
domane ci sono anche lire
500 per te di recalo –.
Respondo io, che faceva lo
incenivo, e li diceva: –
Turiddo, tu dice cosí, e cosí
facio!–Ecihodatoilcrano.
E cosí, hanno carecato li 2
carrettaecimancavailsacco,
edissero:–Doveèilsacco?
E io ci ho detto che, come
lo
hanno
portato
li
carabiniere, io non ci sono
antato piú nel carace, perché
tenevapauradellasparatoria.
Ecosí,iofucritto5epreso
per uno innocente, e si ne
sono antate bestimianto. E
forsse che ai carrabiniere li
dovettiropagareperportarese
quello crano. E poi, come fu
ciorno, venne Ture Cipolla a
trovaremi, e davero mi ha
datolire500.
Equellanotatadipauraper
me fu una notata di querra,
maperòavevaquadagnato80
chiledicranoe500lire.
E amme, la fortuna, dopo
tanteannidivederetantecose
stuortte,
mi
stapeva
campianto, che piú parole mi
dicevinopiúfortunaavevaio.
Cosí, fenito il lavore del
barone allo Rocazzo, che mi
ha pagato profomatamente,
eraun’altravoltadosocopato.
Mamiavvenutolafortunadi
unaltrolavoro.
Secome io, quanto era alli
moline,chefacevailmistiere
dilevareceli3chiledicrano
perleforzzealmate,maleera
il mistiere che faceva, ma fu
da me saputo fare; sicome
avevinoentratoliamirecanee
il barone Melfe era ante
fascista – e come venniro li
amirecane questo barone
comantava a Chiaramonte, e
quantosedavinolicantieredi
lavoro ci le davino a questo
barone –, io che quanto era
alli moline ci aveva fatto
macinare tanto crano di
contrabanto, perché io era
veramente unfascista della
prima ora e, per ciusta leggi,
lavorononmin’avevaadare,
che prima li doveva a dare
alleantefascistecomelui,ma
secome io l’aveva respetato,
mihachiamatoemihadetto:
– Ora vi faccio caposcuadra
nelcantieredellastradadella
Madonna e vi faccio
quadagnare70lirealciorno.
E
cosí,
io
disse:
«Finarmente, doppo tante
patemente, mi sono messo a
posto, e forsse forsse ho
fenutodifaremalavita,cheio
di Chiaramonte non mi ne
vado piú, esento amico di
questo barone Melfe», che
davero fu ch’io restai
allavorare a Chiaramonte per
tutta la mia vita. E aveva
manciare, solde, tutta questa
fortuna di lavoro... Mentre
l’operaio quadagnava 50 lire,
e quinte non zi quadagnava
neanche
per
quanto
manciava.
E quinte, li acente stavino
male, poi perché il coverno
Batoglio
aveva
fatto
l’Ommistizia e si aveva reso
all’amirecane. E questo
Batoglio faceva la querra
contra la Cermania, che
prima, quanto scoppiò la
querra, fu il primo a
dichiarare la querra contra
l’America, e prima diceva:
«Evviva il fascisimo», e ora
era contra il fascisimo e
contra la Cermania, e non si
potevaracionarepiú.
Quente,
c’era
tanto
intrallazzo e tanta camurra:
un paro di scarppi 13 mila
lire, un vestito 20 mila lire,
chi poteva robare robava, li
carabiniere non comantavino
piú, e sparte li tempolate
dovevino tastare 6, se
parlavino.
Poi, il coverno Batoglio
aveva fatto un decreto, che
tutte i soldate che si avevino
dato disalture si dovevino
presentare per fare i soldate
contrainostrealliate,voldire
la Cermania. E quinte, c’era
che si presentava e c’era chi
diceva: «Ma noi abiammo
perso la querra, perché
dovemmoantareacompatere,
che siammo pricioniere?» E
cosí, si affatto il seconto
fronte, che c’erino tante
stodente e tante acente che
nonvolevinofareliparteciani
e non volevino partere, e poi
neimureciscrivevino:«Non
si parte per soldato, che, la
guerra, gli italiani, l’avevino
perso,equintenonvoliammo
compatere contra i nostre
fratelle».
Tutte i paese erino in
revoltta.Ficoriamicechecasa
deldiavolochec’eraintuttei
paese! Che il coverno
Batoglio chiamava soldate
percombatterefratellecontra
fratelle! E quinte, i soldate
sicileane non ni volevino
sentire piú di combattere, e a
tutte queste che pezavino
manifeste la polizia li
prenteva e li metteva in
calera.
E poi, tutte queste
isticatore hanno dato fuoco a
tutte le esatorieie allo scopo
che, brucianto li carte delle
esattoriei, si credeva, il
popolo stubito, che tasse piú
non zi ne pagavino, e certe
monecipieforinobruciate.
AsSalerno e Napole si
compateva come li pazzi tra
fascista e parteciane e
tedesche, che erino tradite
dalleitaliane.
Poi, nei prime di ciugno
del1944, mi hanno chiamato
un’altra volta li Montesane
per fare il lavoro di l’anno
passato. E cosí, mi hanno
detto se voleva antare alla
Bruca e dareme le stesse 2
salme di crano e versare il
crano all’amasso. Solo che
l’annopassatoc’eralaquerra
e mentre quest’anno querra
non ci n’era… E disse: «Ora
sí che mi posso fare una
buona fortuna, perché le
strade a quest’ora l’hanno
conzato. Esento vecino alla
strada, con qualche mezzo,
qualche camio di crano lo
potesse fare sparire, tanto i
padronesonoricche.Epoi,se
mi prento qualche cosa io,
nonciimporta».
E cosí, sono revato, non
tuttu impaurito come l’anno
prima, ma tanto contente,
perché antava a trovare
amice,emagareamicedonne
chemilavavinolabiancheria.
Io mi aveva portato tante
robbeperchéillavorodorava
3mese.
Ecosí,mihannoabraciato,
«dommicienzo» di qua,
«dommicienzo»
di
là,
d’ognuno mi voleva portare
alla sua casa. Io questo lo
sapevadil’annoprimadiche
cosa si tratava, che tutto
questo amore che portavino
amme era lo scopo de
formiento. Ma, del resto, io
cefacevaraggione,perché,se
era io al suo posto, avesse
fatto lo stesso. Perché, per
campare, bisogna di fare
rofianate.Maioglihodettoa
tutte:–Cheiovivogliobene
atuttecomefratelleesorelle,
ma di dormire devo dormire
dovedormeval’annopassato.
Cosí, la signora Angela, la
moglie del massaro Ture, si
affatto il cuore, e il suo
marito magare, e i suoi figlie
non zi poteva sapere di
quanto erino contente che io
micorcavadentralasuacasa,
etuttemicarezavinocomeio
avessestatounasignorina.
Tutto il mese di ciugno
stese lí nel fevito, che si
affatto tutta la mitetura e si
affatto il conto di quanto
cregni 7 il fevito aveva fatto.
Poi, io ci ho detto a tutte i
mitatiere: – Ora, quanto si
deve tribiare? – E mi hanno
tutte resposto: – Ora
preparammo l’aria 8, e il
temposimettesseapostoche
facesse carddo, e cosí
cominciassimoatribiare–.E
io ci ho detto: – Che ora io
per 4 ciornne vado a parlare
con i padrone, e poi, al
retorno, vediammo se il
tempo lo promette di
cominciareatribiare.
Cosí, io penzai che aveva
la valice crante che mi
avevinodatoquantoantavoin
Cermania, che era la piú
crante valice che assesteva 9
dituttelivalice.Ecosí,vado
dentra la casa della vera
amica mia. Di vero cuore
tutte erino amice miei, ma la
signora Angela era propia
quella che mi aveva salvato,
perché era delenquente e il
suomaritopiúdilenquentedi
lei. Cosí, io e lei, voldire la
signora Angela, riempiemmo
quella crante valice e ci
abiammo prima messo 15
chile di fave belle bianche
cucivile e ciapute 10, poi 8
chile di linticci e 10 chila di
pane di massaria, tutto fatto
dalla signora Angela, che
erino 5, ma belle crante,
pagnotte di 2 chila per una
pagnotta,6chiladiunbuono
formaggio e 5 chile di
lenticce e umbel pezzo di
ventrisca e salame e 4 pezze
di recotta salata e tante altre
cosechemiavevanorecalato
tutte. E poi, la valice si
arrimpivo che piú non zi
poteva carrecare, di quanto
erapisante,ederadifecortusa
aportalla.
Ma secome era vicino alla
strada, io sempre tutte li
camie che passavino ci
domantava dove antavino, e
finarmente ci n’era uno che
antava a Lintine. Cosí, lo ho
fermato, e lui si fermò e nel
medesemotempociammesso
l’acqua nella machina. Cosí,
cisonoparlatoperquantomi
portavaammeversoSiraqusa,
e mi ha detto di sí, e mi ha
detto: – Io, solde, non ne
voglio, ma voglio cose per
manciare –. Cosí, io ci ho
detto:–Cipiacechecidà10
chila di fava? – E lui mi ha
detto:–Magaremilidà!
Cosí,cihodatole10chila
di fave, che questo restavo
contente, però mi ha detto: –
Io, per la valice, non poso
essereresponzabile,perchéci
sonomoltopriocupazioneper
passare dello dazio senza
lassapassare –. Responto io e
ci dico: – Ma lei ene amico
con quelle dello dazio? – E
luimihadetto:–Sí–.Ecosí,
io ci ho detto che: – Ci
diammo qualche cosa, e
vedessechesipassatutto.
Poi io ci ho detto, al
camionista,cheavevaparente
a Siraqusa e ci doveva
passare e potevimo perdere
un20menuteditempo,emi
hadettodisí.
Cosí, antiammo nella via
de li mieie parente, ci ho
detto di fermare e si ha
fermato. E io prese li fave
cocivile e ci l’ho dato alla
sorella di mia moglie. Poi,
preseunabellissimapagnotta
frescaetantealtrecosi.Emi
ha detto: – Crazie. Volete
prentere un cafè, che vi lo
faccio?
–
sempre
chiamandomedivoi.
E io non voleva cafè, ma
voleva che mi avesse detto:
«Come stai?» di «tu», e poi
volevaesseredetto:«Chevai
a Chiaramonte, saluteme a
mia sorella». Questo niente.
Anzi, ci ho inteso dire a una
vicina di casa che io, che ci
aveva portato quelli cosi, era
il calzone delli suoi
mitatiere 11. E io, nello
scentere li scale, che ho
inteso questa parola: «questo
ene il mio calzone», disse:
«Quantosonofessacheciho
portatolefave,ilpaneetutto.
Vigliacca donna, sempre
figlia di quella cane ene! E
tuttoquestosempreperquella
stubita di mia moglie che
sempremidicedi“pigliareal
buono ai miei, che poi,
quanto muore mia madre, ni
fanno tanto bene”». E io
diceva: «Ma ene stubita, mia
moglie!?»
Arrivo a casa scentento di
San Ciovanni, e vedo a
Turiddo con Tanuzzo con li
mano, vicino a don
Ciovannino
Milio,
che
ciocavino con li altre carusi
piciriddi. Ma Tanuzzo era lo
piúpicolo,cheaveva10mese
ed era capaci di camminare
solo.Ioerasodatoconquella
valice, e poi che ho visto ai
mieifiglieederatuttopriato.
Cosí,traso,posailavalice,
prese la butiglia del vino,
vaioniTureRevietto,compro
il vino, prese umpezzo di
salameeunacrossapagnotta,
e ci abiammo messo
ammanciare.
Poi, mi ne sono antato nei
padrone e ci ho detto che il
cranoeratuttostatomituto,e
mi hanno detto: – Quanto lo
trebiate?–Eiocihodetto:–
Orastaio4ciorneacasaepoi
parto–.Epoicihodettoche:
– Prima di trebiare, io devo
fare denunzia all’amassatore
e poi loro, prima di
cominciare, devono costatare
che questo anno il crano era
tutto mità nero e mità
formento;esilovolevino,era
quello. Perché la racolta
aveva
venuto
mala
quest’anno.
E
quinte,
l’amasso forsse c’era il
periclo che non zi lo poteva
comperare,
perché
la
protezione12eramalissema–.
E quinte, come i padrone
sebiroquestofatto:–Vedese
lo potete ventere di
contrabanto,
bastica
prentessimo li solde che ci
dovevadarel’ammasso.
Cosí, subito, mi n’antati
allaBurucaenonpenzavapiú
niente: solo di fare solde. E
finarmente, facento uno
bellissimo viaggio, sono
arrevato alla Bruca, che
aspetavino a me per tribiare.
E si vedeva che il crano era
mitàtabacco,perchéforseera
una malatia che divineva
della terra, e certe mitatiere
prevenute dicevino che
diveneva della querra che ci
avevastato.
E cosí, si ha cominciato a
tribiare,eioetutteimitatiere
erimofelice.Solochec’erino
tante lamente per tutte le
campagne, che c’erino tutte i
carcerate piere piere 13 e
antavino robanto, e tutte le
notte c’erino sparatorie e
tanteomicideic’erano.Leggi
non ci n’era. Tutte queste
lazzarone li armme li
avevino, perché fucile ni
arrestareno tante con la
querra.
Quinte,
queste
brecante si chiamavino
«separatiste»: erino tutte
fuora leggi e facevino quello
che volevino. E certe notte
parevacheerimoinquerra.
Io, quelle luoche e quelle
acente, li conosceva e faceva
pacienza, altremente, se io
parlava, mi potevino fare la
pelle. Io li chiamava sempre
che erino «acente buone»,
perché io li conosceva che
erino, ed erino propia quelle
di l’anno passato, e penzava
quanto ballammo tutte li
notte. E loro conoscevino
amme, ma facevino finta di
nonmiconoscire,eiofaceva
lo stesso. E quanto vinevino,
iotantocentile,cidavaquello
che volevino e quello che
desederavino.
Cheioledovevachiamare
«uomineoneste»perforzza.
E recordo che un giorno,
erono verso le ore 9 di
mattina, quanto abiammo
vistoentrarenelrecintodella
crantemasseria–chec’eraun
crante portone che d’inverno
macare si chiudeva, ma
tiempo di mitetura niente,
perchéc’erailvaeviene–,e
quantoabiammovistoentrare
6, 7 uomine a cavallo tutte
conunaucerecurosa14.Certo
cheerinobrecanteefacevino
una forte paura, perché erino
armate.
Avevino
li
armmamente che avevino li
tedesche della compagnia
Ticre, li cavalle ci avevino
belle selle, e poi ci avevino
unbellopaiodibertole15con
d’ogni lato 4 fucile e il tasco
da pane pieno di bompe
ammano, e loro avevino
magare il carnochiale a
tracollo. E la paura che mi
facevino,
neanche
mi
l’avevinofattoliaustriecesul
Piave quanto mi presero
pricioniere nel Piave nella
querra15-18.
Io e tutte quelle che erimo
lí, tremammo e non
parlammo. Loro hanno sceso
del cavallo, 2, e li altre sono
restatoacavallo.
Da un tratto uno, con
quellavocionaforteepaurosa
cheaveva,disse:–Cheèche
comanta qui? – E cosí,
tremanto tremanto, mi ce
sonofattoavanta,emihanno
detto: – Voi che cosa facete
qui?–Eiocihodettoche:–
Sono l’incarecato per versare
ilcranoall’amasso,epoialla
fineminevado–.Iotremava
come una foglia, cià tutte
tremammo,perchélacarabina
era pontata verso tutte noi, e
li altre che erino fuore
avevino i fucile mitragliatore
belleafarefuoco.
Cosí, il capo di questa
bantamihadettopropiamme:
– Voi, Rabito, che siete
l’incarecatodiquestofevitoe
di questo padrone, dovete
antare a trovare al padrone
subitosubito.Oggièsabito,e
quinte avete 4 ciornne di
tempo. E quinte, ciovedí
matino vi aspetiammo.
Dovete antare nei vostre
padroneevidovetefaredare
lire100.000milaperforzzae
le dovete portarlle annoi qui,
propia in questo punto,
ciovedí, altremente dammo
fuoco a tutta questa
campagneebruciammotutto,
e lo crano viene tutto
bruciato, e magare li cane
vencono bruciate e tutte li
bestie che sono in questo
fevito! E gli dicete, ai vostre
padtrone, che noi siammo
della
Banta
Rossa
micidiante 16 –. E poi mi
hannodetto:–Atenzionealle
ordene, Rabito! Che l’uomo
avisatoèmitàsalvato.
Iocalavalatesta,facentoci
capire: «Sé signora, per me
aveteragione».
Curre curre, vado nella
casacolonicadov’iodormeva
ecihoracontatotuttoilfatto
alla signora Angela e il
massaro Ture, che io doveva
antare subito subito a
Chiaramonte perché mi
dovevafaredarelire100mila
per darlle all’«amicie». E li
ho precate non lo dere
annessuno, questo discorsso,
cheeramigliopertutte.
Arrivato a Chiaramonte,
oppassato della piazza per
comperareme le sicarette e
passarene
umpoco
di
spavento. Cosí, per un caso,
nella piazza vedo a un figlio
diMontesano,cheeraunodei
miei padrone. E come mi ha
visto, si affatto una
marevigliaemihadetto:–E
tu, Vincenzo, perché ti trove
qui? – Responto io: – Qui,
nella piazza, non lo posso
dire quello che mi ha
soccesso.
E
cosí,
caminanto
caminanto, presemo la strada
perantareacasa.Epoicheio
ciorracontatotutto,ipadroni
si hanno dispiaciuto, e il
primofuilpredeadireme:–
Tu,perora,noncivaie.Lassa
passare 10 ciorne e poi ci
vaie.Equantocivai,glidice
aquestedilinquente:«Limiei
padrona solde non ne hanno,
perché sono state destrotte
dellaquerra,mailcranotutto
quello che vuonno si
prenteno».
Ma io, per farece capire
che aveva coraggio assai, ci
ho detto: – Io venne per
fareve sapere di che cosa si
tratava.Oravatoassalutarela
miafamigliaeparttosubito.
Cosí, io recorddo che
potevino essere le ore 7 di
sera, ma ancora si vedeva
bene,maioa100metredella
casa colonica mi affatto
coraggiodamestesso,miho
adomato una secaretta, ma,
come mi sono adomato una
sicaretta,ecivolevinoancora
50 metre, io tremava, ma
fumava. Cosí, mi sono visto
avvicenare 4 uomine della
custura che mi hanno
domandato: – Voi chi siete,
dove siete stato e di dove
venite?
E io ci ho detto: – Io sto
arrevanto propia adesso, e
questa è la casa dove io ho
dormito 3 mese, e venco da
Chiaramonteperparlareconi
padronediquestofevito.
E uno mi ha detto: – Ma
checosafatequi?
E io ci ho detto: – Sono
una persona di feducia del
padrone de fevito, perché
questo fevito apartiene al
barone di Montesano, che
abita a Chiaramonte Culfe
della provincia di Raqusa. E
ioquisonosoltantoperfarece
la racolta e versarece il
chirano all’amasso, e poi
basta,epoiminevato.
–Ecomevichiamate?
–RabitoVincenzo.
E cosí, uno di queste, che
forsse era il comantante di
questequardie,disse:–Ecove
qui, siate piropia voi quello
cheantammocercanto!
E cosí, hanno preso il
libretto, e dentra questo
libretto c’ereno 6 fatocrafieie
picoline per tessere e mi le
hanno fatto vedere, e poi
volevino sapere se io
conosceva a queste, e chi
erino e come si chiamavino.
Io, certo che era molto
prateco di quelle luoche, e
sapeva che non zi doveva
parlare maie se voleva
campare, ci ho detto di no,
chenonliconosceva.
E cosí, non apena io ho
detto che non conosceva
annesuno di queste che erino
nelle fatocrafiei, 2 di queste
mi hanno preso li mano e mi
hanno portato vicino alla
strada provinciale, che c’era
una camionetta, e mi hanno
messoiferre.Parec’avessero
preso propia il capo banda a
prentere amme! E poi mi
hanno detto: – Il vostro
padrone tiene a voi come un
uomodifiducia,mentresiate
l’amico non del padrone, ma
l’amico della Banta Rosso, e
siete delenquente e fuora
legge e latro come loro, e
siate micidiante come questa
bantachenoicerchiammo!
Io,conlimanelecate,non
sapevaqualepescepigliare,e
mi stava muto e non parlava,
e magare pianceva. E uno di
loro disse: – Dite la veretà,
altremente vi la passerete
mala…
Maio,tuttopresodipaura,
nonsapevaquellochedoveva
dire. Io quardava alloro, che
pace non avevino, perché
erino arrabiate come vero
cane quastate 17, perché la
speranza sua di sapere
qualchecosaerapropiaio.
E cosí, tutte, vedento
ammeconiferra,lecatocome
lecaro a Gesú Cristo
innucente sulla croce, e poi
chemistavinometentosopra
lacamionettaperportaremea
Enna, al carcere, tutte li
mitatiere si hanno messo
affare delle voce, perché
vedevino che io era stato
intrecato in quella facenta di
mafia,mentreioerainocente.
Etuttequelleacentecheerino
lí a vista di questa
manifestazione gli credavino
e ci dicevino: «Ma quello,
don Vincienzo, non ene
niente, cuello ene uno
lavoratorecomenoi!»Mentre
quello che comantava di
quellequatro,cheforsseerail
commissario che pressava
amme,diceva:–Voi,Rabito,
vero che siete antato a
Chiaramonteperdirecechela
BantaRossavihadettochele
vostre padrone ci dovevino
dare100.000milalire?–Eio
cihodetto«sí»,cheeravero.
– E perché voi, Rabito
Vincenzo,quellaciornatache
hanno venuto queste alla
Buruca a cercare queste lire
100.000 mila lire, invece di
antare a Chiaramonte a
parlare con i vostre padrone,
nonavetevenutonellaleggie,
che siammo noi? – Mentre
l’altro mi ha terato una
tempolatanellafaccia.
Ecosí,iodisse:«Orasíche
sono fritto», e respose alla
parola del commissario e ci
ho detto piancento: – Ma
come poteva venire affare
questa dinunzia, che quelle
fuore legge, con li mitre
pontate, mi hanno detto 100
volte:«AntateaChiaramonte
subito subito, altremente vi
ammazammoedammofuoco
atuttalapropietà»?!
E cosí io, dopo 2 ore di
domante, e anche qualche
tompolone
ho
preso,
finarmente
ci
offatto
compassione e mi hanno
lasciato andare, e mi hanno
detto:–Perquestavoltasiate
libere.Edoveterencraziarea
tutte queste acente che
vedete,chesonostatetutteal
vostrofavore.
Cosí, io, come mi hanno
levato li manette, ho preso
aria, e mi allicava le dita
come il coniglio quanto li
cane dai caciatore lo lascino
antare.
Cosí,manzomanzo,mine
antai nella casa del massaro
Ture. E lí c’era la signora
conni suoi figlie tutte
spaventate che mi avevino
vistolecatoepoimessonella
camionetta a punto di partire
perilcarciro.Ioquardaioche
c’erino carabiniere nella casa
colonica e ci ho detto piano
piano: – Ma come, quelle si
ne sono antate, e queste
niente?–ElasignoraAngela
mi ha detto: – Caro don
Vincenzo, ave 8 ciorna che
tutto il fevito è pieno di
fforzza, e della masseria
crante ave 8 ciorne che ci
sono12dellaquistura,esono
state peccio delle bricante di
quanto spesa si hanno
manciato: tutte li uova delli
calline e 2 agnillone che voi
sapete, e per forzza ci li
dovettimo cocinare, e poi
formaggio, salame e vino;
tutto si stanno mancianto. E
ora speriammo che al 10
ciornno si ne vanno e ne
lascino impace a tutte, in
queste
sbinturate
case
colonie, che ni stanno
lascianto a tutte povere e
pazze.
Cosí, io ci ho detto: –
Signora, non avesse paura,
chebasticatuttaquestaforzza
si ne vada, che sono piú
dilenquente dei delequente,
chesistannomanciantotutto,
e fanno meglio che si ne
vanno,epoi,quantovencono
i delinquente, ci dammo
quello che vogliono. E poi,
perme,sonomegliolaBanta
Rosso che la polezia. Perché
amme la polezia mi affatto
piancere, perché mi avevino
lecato come Cristo, mentre li
precante mi hanno chiamato:
«Rabito,
antate
a
Chiaramonteefatevedarelire
100.000 mila lire», e no mi
hanno fatto prentere tanta
paura.
E menomale che questa
pulisia si ni sono antate,
perché altremente si avessero
manciato tutto, e senza che
avesseroconchiusoniente.La
scopertta che avevino fatto,
era quella di mettere li ferra
amme, che era uno che non
eraniente.
Poi venne il mese di
settempre e il tempo si ha
cuastato,etuttalatribiaturasi
stava fenento. Aveva 40
ciornne che aveva socesso il
fatto che avevino venuto
quella Banta Rossa che
volevinolilire100.000,enon
ziavevavistonessuno.
Ecosí,unciornno,versole
10 di mantina, che stava
antanto a sorbegliare quello
che si faceva nelle case della
masseriacrante,cheeraquase
quase a 2 chilomitre di
destanza di dove mi corcava
io, e poi c’erano 2 picole
colline da traversare e una
vallata, e io stava caminanto
per i fatte miei, come tante
altre volte aveva fatto questa
strada, cosí, all’impizata 18,
mi sento chiamare con una
uce troppo paurusa e troppo
presentusa 19 e troppo
brecantesca, e dicevino: –
Che siete voi? Che cosa
antate ciranto di queste
luoche? Venite qui che ve
dovemmoparlare!
Io, certo che mi sono
messoatremareeilcuoremi
bateva come un muture, e
piano piano saleva per
antarece vecino. E quanto mi
sono trovato di fronte a 4
bene armate sedute, e li 4
cavalle lecate sotto a uno
raffodizammare20(chec’era
un albero di oliva troppo
confuso che non aveva stato
mai poliziato coll’acetta),
cosí, mi hanno detto: –
Seditevevicinoannoi.
E cosí tutte 4 redevino e
quardavinoamme,euno,che
forsse faceva di capo, che
avevaunabarba,mihadetto:
–Comeavetefattoconquelle
«ladrefuoralegge»,comevoi
li chiamate, e come li
chiaminotutte?
Eiononparlava.
Cosí, mi hanno detto: –
Come finio con li 100.000
milalirechevidovevinodare
li vostre padrone e portarlle
allaBantaRosso?
Eiocihodetto:–Maloro,
signore, come lo sanno
questo?–Conqualecoraggio
mi ha venuto di dire questo
fanaticaparola,iononloso.
Cosí,mihannoresposto:–
Certo che noi lo sapiammo,
perché noi siammo mantate
dalla custura di Enna e
voliammosaperedavoicome
fenio il fatto, e come
facessivo se ce vedessero
quella banta e volessero li
solde.
Respondo io: – E gli
dicesse la veretà, quello che
mi hanno detto i miei
padrone, che se volessero
tuttu il crano se lo potessero
prentere,perchésoldenonne
hanno. Poi, se volessero che
io le portasse a Chiaramonte,
ci le portasse, perché questa
miei padrona li solde ci
l’hanno. E quinte, se queste
della Banta Rossa avessiro
bisogno di me, io fosse un
suo amico, perché queste
padronisonoriccheeiosono
povero,eioamicodairicche
nonsonomaistato.
Cosí, mi hanno domantato
altre cosi, e poi mi hanno
detto: – Ora ve volemmo
recalare 2 pachette di
sigaretteamirecane,certoche
fomate.
E poi, mi hanno stretto la
mano e mi hanno detto: –
Fate sempre cosí, che vi ne
viene sempre bene –. E
presero le cavalle e se ne
sono antate. E io ho preso
respiro e disse: «Se non
sbaglio, queste sono quelle
dellaBantaRosso»,perchéli
chiachireerinopropiaquelle.
E io, quella ciornata, ho
passatounabruttaciornatadi
paura,lostessodiquantoera
inquerra.
Piano piano mi sono
carmato, e mi ne sono antato
nellacasacolonica,emisono
corcato.Ecomemihavenuto
il sogno, mi sonnava che mi
ammazavino. E cosí, mi
sbegliava e pareva uno
spaventato. E per tre ciorne
nonvolleuscirefuore.
Stavarevantoiltempoche
io mi ne doveva antare per
sempre dalla Buruca, perché
il lavoro si aveva fenito e
doveva
partire
per
Chiaramonte.
Cosí, davero passareno
altre2ciorneetuttosifenioil
lavoro che si doveva fare.
Cosí,tuttelicontecontutteli
mitatiere ni l’abiammo fatto.
Li solde che io aveva preso
foreno mantate alle padrone.
Io aveva quadagnato lire
50.000, che per me erino
assai, e poteva rencraziare il
Dio che, con tutte quelle
sbenture che io aveva auto,
restai vivo. E tanto bene per
mia madre, che ci aveva
saputo pregare per me, e la
signura Angela, che era sí
delenquente, ma comme mi
aveva fatto piú di una vera
sorella.
Cosí, disse arrevedercie a
tutteepreselavalice.
Io ora cercava a un amico
che mi potesse fare capitare
umpusticino a qualunque sia
costo, per travagliare sempre
e avere il pane tutto l’anno
sicuro. «E per fare questo –
dissi–bisognadirevolcerese
a quelle che hanno il
comando».
Cosí,
penzai
di
revolcereme al cavaliere
Melfe, che ancora non era
barone, e questo cavaliere
Melfe, come hanno venuto li
amerecane, secome era stato
ante fascista, l’avevino fatto
sindaco di Chiaramonte, e il
suo cognato Ciovannino
Lupisl’avevinofattodelecato
all’amministrazione
provinciale. E quinte, queste
erinocarrechecheunbenemi
lopotevinofare.
Poi che i parteciane
antavino avante, che stavino
libranto tutta l’Italia per
mantare via li tedesche e li
Brecate nere, e prentere al
duceeammazarllo.Equinte,
il fascisimo era conzederato
perduto. E cosí, tutte i paese
che nei municipia c’erino i
fascistone che comantavino,
queste venevino lovate e
prentevino il comanto li
antefasciste.
Io era di Chiaramonte e
parllo di Chiaramonte, che
una matina, con l’ordene
della amirecane, cosí presero
il podestà, che aveva stato
umministro, lo butareno
fuore, e poi lo hanno
acompagnato
tutte
i
chiaramontane a frische e
scurreggiperfinaacasasua.
E per tutta l’Italia, li
operaie, da fasciste, tutte
diventareno comuniste. E
quinte, era tempo che
campiavenolecosi.Eio,che
erafascistadallaprimaora,di
fascista subito mi offatto
parteciano e comunista,
perché altremente umposto
nonlopotevacapitare.
Cosí, a questo cavaliere
Melfe, non lo lasciava,
sempre ci stava vicino. E in
tutte li manefistazione c’era
ioconlui.Manoneraiosolo
che c’era vicino per darime
questo posticino, ma erino
centenaia che volevino il
posto...
Poi, li amirecane avevino
preso Milano e Turino, e lui,
questo Melfe, aballava solo,
di quanto era contente, e io
faceva la farssa che era
contente magare. Ma poi
amme non mi era mai
importato: che traseva e
traseva21inItalia.
E quinte, tutte li ante
fasciste erino contiente, che,
se trasevino li amirecane,
certo rechevino. Ma io non
voleva arrechire, voleva solo
unlavorosicuro.
Io sempre, per mia
abitutene, alla sera, mi
retrava 22 di notte e, verso le
ore 10, io camminava con
Ciovanni Maiore. Erino le
feste di Natale. Quanto
abiammo quardato sui mure
affessate: «Vogliammo il
nuovo sindaco! Che questo
sindaco,comesiammanciato
la sua robba, si mancia
magareilpaese!»
E cosí, io e Ciovanni
Maiore
strappammo
li
manefeste e li abiammo
portatoalbaroneperfaracille
vedere. E cosí, il barone
disse: – Chi possino essere
queste
descraziate
che
scrivino queste porcheriei?
Ora, fateme il faore, don
Vincenzo, portateve una latta
di 5 litre di pitrolio e li
scancellate.
E cosí, io e Vannozzo
Maiore abiammo cancellato
tuttequellescrittenelmure.
Io,perlaveretà,petrolioa
casa non ni aveva, perché
tiempodiquerra.Ecosí,niha
potutosfardare23mezzolitro,
eunbellolitroemezzomilo
portai a casa. Poi, non erino
scritte in tutte li strate, ma
nella sola via di Maiore,
perchédilípassavailbarone.
Poi, ci l’abiammo detto al
barone,
che
l’avemmo
scancellato, e tutto aveva
antatobene.
Poi,iominisonoantatoa
dormire e, nella notte,
penzavaedicevatrame:«Ma
ora,semihannovistocheio
scancellaie queste menefeste,
amemiquarderannomale,se
sannochesonostatoio».
Ma poi, io fece un’altra
penzata: «Io devo studiare
una cosa. Che la ficura di
fessa non la voglio fare, di
scancillarelimanefestesenza
quadagnare niente. Una cosa
mastriseladebbofare.Cosíil
barone si veste di coscienza,
va subito subito a Raqusa e
parlaconsuocognatoLupise
glidice:“Diammocellosubito
il posto per lavorare a don
Vincenzo,cheeniparteciano,
e per il nostro partito sta
facento tante sacrafizie, che
ha
scancellato
tante
manifeste”».
E cosí, offatto una bella
penzata.Ecosí,all’indomane,
vado nella moglie di mio
fratello Ciovanni, che era la
piú saggia di tutte li miei
cognate, e sapeva bene
scrivere, e poi che era una
donnaretrata,chenonparlava
connesuno e non voleva dare
parolaannesuno,equinteera
adatta per fare una letra. E
cosí, si ha cominciato a
scrivere:
«CaroRabito,
per questa volta non ti
faciammo niente e te
perdonammo, ma stai atento
per un’altra volta. Noi
sapiammochetueVannozzo
Maiore avete straziato il
manefesto, e Ciovanne
Maiorenoncicorppa,perché
nonlivolevastraciare,masei
statotuafaracillestraciare.E
nonlonecare,chetihovisto
io con le miei oche che sei
stato propia tu a fare questo,
che haie strapato e hai
scancellato le manifeste. E
quinte, alla prossima volta
che lo fai, con pure che
siammo amice, io ti taglio la
faccia. Fai attenzione, che
questa deve essere l’ultima
volta».
La lettra, certo, non era
fermata di nessuno. E cosí,
prese la lettra e la vado a
bucare nella Posta, che c’era
mio fratello propia. Cosí, io
bocaie la lettra, che era
intrezataalbaroneMelfe,eil
baronequestalettraladoveva
recevere alla prossema
distribozione.
E davero, alle 4 e menza,
hanno distrebuito la posta. E
la lettra, quella che ci aveva
mantatoio–cheerascrittadi
sua moglie, e lui non lo
sapeva–,ilmiofratellostava
salento le scale per portarlle
al barone, mentre, in questo
medesemotempo,puresaleva
nel barone la Cicca la
Fiacuna,chequestaeradonna
erofianadicasadellobarone.
E cosí, mio fratello, che
caminava zuoppo, perché eni
motelato, la Fiacuna ci ha
detto: – Don Ciovannino,
datelaammiaquestalettradel
barone, che io ci la porto,
perché staio salento nel
barone.
Ecosí,ilmiofratellociha
datolalettraelaFiacunacila
portavo.
Io, che sapeva che quella
lettraerapropiaquellacheci
aveva mantato io, stava
sempre vicino alla casa del
barone per vedere se vineva
chiamato.
Cosí, il barone lesse la
lettra,elaFiacunasentevadi
quello che diceva la lettra. E
poi il barone ci ha detto: –
Gna Cicca, chiamate al don
Vincenzo! – Io, che era lí,
perché sapeva il fatto, e cosí
mi sono presentato, e lui
stesso mi ha detto: – Don
Vicenzo,stateatente,chequi
vi la voglino fare fenire
male…
Io, che era l’autore di
questa lettera e tutto aveva
comminatoio,mioffattouna
resata e ci diceva: – Gna
Cicca,iononmispagno 24di
nessuno,eperiLupeseperil
barone mi faccio a pezze, e
per il socialisemo sempre mi
affatto ammazare e pronto
sempre sono –. Mentre io
l’ultima tessere, ancora
l’avevanelletasche,fascista.
Mentre entravo l’anno del
1945, ed era l’anno che
l’Italia la stavino lebranto i
parteciane, poi che tutte i
ciornale parlavino che a
maggio la querra si doveva
fenireetuttalaCermaniaeil
Ciappone devono essere
desfatte,
compreso
il
fascisimo.
Cosí,doppochepassavoil
Capodanno,all’indomane,mi
sento chiamare di Vannozzo
Maiore, che aveva stato a
Raqusa, e mi ha detto: –
Vicienzo, vede che oggi con
il
barone
fuommo
all’amministrazione
provinciale, e il barone ci ha
detto: «Ciovannino, come
fenio con la sostimazione di
donVincenzo?»ELupisciha
detto: «Che quanto prima ci
arriva la lettera e viene
riasunto come cantoniere,
Rabito.Quinte,glidicechesi
tene pronto che, avante ca
viene il 15 cennaio, ci
assegnaranno il cantone dove
deveantareallavorare».
Cosí, il 18 cennaio 1945,
daveromihavenutolalettra!
Che mi la portò mio fratello
Ciovanni. E questa lettra
diceva che Rabito Vincenzo
si doveva presentare a
prentere
servizio
all’amministrazione
provinciale di Raqusa della
strada
ChiaramonteMonterosso, nella casetta di
Malotempo. Che questa
casetta si trovava a 6
chilomitre della stanzione di
Chiaramonte.
E cosí, il sotto scritto,
Rabito Vincenzo, la matina
del21cennaio1945,preseun
badile, voldire una pala, una
carderellaeunamartedina 25,
e prese la strada per la
stanzioneepartie,eumpezzo
dipaneche,percraziadiDio,
l’aveva dentra casa, e una
crossacipolladiCiarratana,e
tanto contente, antanto per
Costaprena stanzione, e poi
perMonterosso,equinte,alle
ore 8, mi sono trovato sul
lavoro.
Certo che la prima matina
fece 8 chilomitre di strada
carrecato con tutte quelle
atrezze, che erino molto
pisante, e sono revato molto
stanco.Ma,però,sonorevato
perfetto.
Quanto revo, il capo
cantoniero mi ha detto: –
Bravo, Rabito, siete revato
prima di me! – Cosí, mi ha
dato li chiave delle 2 casette,
che in questo cantone ci
n’ereno 2 casette: una che si
chiamava«Malotempo»euna
«Scorciapoveri» 26. E per
davero quella matina, il
freddo e il celo, al povero, si
lovavalapelle.
E io cercava di dareme
aiuto e cercava dove mi
poteva restorare, e disse:
«Ora vedo dove c’ene fumo
nellecasevicino,ecosífanno
la recotta e mi la vato
ammanciare, se mi la
ventono.Epoi,mentreesciil
sole e squaglia il celo, e,
finento di mamciareme la
recotta,
mi
ne
vato
allavorare».
Ecosídaverofece.
E cosí, di quella ciornata
impuoi, io, in quella strada,
deventaiamicoditutte.Enel
tempo di ummese mi offatto
amice con tutte li massare,
che mi ammitavino tutte per
manciaremelarecotta.Edera
prinotato per tutte li matine,
con il mio sapere fare. Cosí,
io contravinzione non ni
prenteva annesuno, anzi li
vache e li pecore, di mattina
presto, che machene non ni
passavino, e poi che ci
n’ereno poco, e ci li faceva
pascire27nellastrada.Ecosí,
potevastarecentoanni...
Poi, io mi assicuraie di
quello che doveva fare per
requarddoallavoro.
Poi,mihofattoamicocon
una camionista che facevini
intrallazzo e comprava
campagni campagni e poi li
antava a ventere a Catania.
Cosí, io comperava 2, 4
tumile di lenticie alla
setemanae10o12tuminadi
crano, e poi io li venteva. E
cosí io, che quadagnava 400
cento lire ammese, non mi
potevino abastare, e cosí io
campava piú discreto. Certo
che io, compranto e poi
ventento,altre4,5milalireal
mese li quadagnava. E cosí,
poteva antare avante, perché
quadagnava piú assai di
intrallazzo che di fare il
cantoniere.
1
aura di scotelare: tempo di
scrollare,tempodiraccogliere.
2
Roccazzo.
3
assutato:inseguito.
4
Rape:apri.
5
critto:creduto.
6
e sparte li tempolate dovevino
tastare: e per giunta ceffoni dovevano
assaggiare.
7
cregni:covoni.
8
preparammo l’aria: stendiamo i
covonisull’aia.
9
assesteva:esisteva.
10
cucivile e ciapute: adatte da
cucinareebellesode(lefavicchiapputi
sonounavarietàdifave).
11
ilcalzonedellisuoimitatiere:il
garzonedeisuoifattori.
12
protezione:produzione.
13
pierepiere:piedipiedi,ingiro.
14
conunaucerecurosa: con voce
rigorosa,convocegrossa.
15
bertole:bisacce.
16
micidiante:sanguinaria.
17
quastate:malatidirabbia.
18
all’impizata:all’improvviso.
19
presentusa:prepotente.
20
unoraffodizammare:uncespo
diagave.
21
che
traseva e traseva: chi
entravaentrava.
22
retrava:ritiravo.
23
sfardare:sprecare.
24
mispagno:mispavento.
25
martedina:piccone.
26
«Bruttotempo»
«Spellapoveri».
27
pascire:pascolare.
e
Capitolodiciassettesimo
Ilpilonell’uovo
Il tempo cominciava a
campiare. La querra era alla
fine, la Cermania stava per
arrenterese tutta e la
repubilica di Virona era stata
distrutta, e tutte i parteciane
antavinocercantoalduceper
aciufallo e impercarllo e
ciustiziare
tutto
il
Cranconzigliofascista.
E infatte, li hanno prese
tutte; e Benito Mussoline,
come è stato preso, li suoi
ultimeparoleerino:«Nonmi
ammazate, che ancora da me
avetedibisogno».
Ma non ci ha stato piú
remedio, che la taglia era
butata 1, che per forza tutte
queste
crante
fasciste
dovevinoessereammazate.E
davero,il25aprile1945,tutte
li hanno preso e li hanno
messo alla forca a Milano. E
cosí, si diceva che il monto
doveva campiare, perché
stava per fenerese la querra.
La cente era stanca di questa
spaventusa querra, che tutto
avevastatodistrutto.
Io, alla sera, antava a
Chiaramonte e senteva la
radio,esapevatuttelinotizie.
E, amme, tutte mi volevino
bene propia per questo, che
tuttelinotizielisapevaio.E
tutte li massare di quei
luoche, quello che diceva io,
eratuttoperfetto.Poipassava
Mauciere con il camio, che
vineva di Catania, e magare
mi faceva portare il ciornale.
E quinte, io a tutte ci aveva
dato prova di essere uno di
quelle spertte. Cosí, la vita
mia, di ciorno e ciorno,
antavamiglioranto.
Mia madre cominciava a
stare bene, perché io era
impiagato,Vitoeraimpiagato
nellalinia,Paolochesiaveva
maretatoesiavevapresoper
moglie a una che ci aveva il
forno che faceva pane, e
portava manciare magare a
mia madre. E quinte, mia
madre piú non ave di
bisogno.
Io sapeva che c’era nella
casetta della Madonna di
Qulfe uno cantoniere che si
chiamava Pipino Cabibbo,
che non ci voleva stare. Io
penzavachefacevaunamala
vita affare 20 chilomitre di
strada a piede, e penzai che,
se Cabibbo si n’antava, io
aveva il piacere di fare il
cantoniere alla casetta della
MadonnadiQulfe.
Cosí, tanto fece e tanto
disse,sempreconl’apociodel
barone Melfe, che era il
sindaco,ecisonoreuscito.
Ecosí,il26acusto1945ho
preso posesso alla Madonna,
chepoilícisonostatopiúdi
22anni.
D’ogni8ciornne,cheerail
sabito, io mi carrecava i 2
miei figlie e mia moglie e
partiemmo per antare alla
casetta. Certo che io era
amico con tante carrettiere e,
vedendome, il primo carretto
che m’incontrava si fermava
e ni carrecava, e i miei figlie
volevino quello: di antare
sempresoperailcarretto.
Cosí,
alla
casetta
scentiammo e io mi n’antava
allavorare, e i miei figlie,
tutte li atrezze che aveva io,
tutte lo portavino fuore e
zappavino e con la carriola
carriavino, e quello ciorno,
queste miei figlie, cascavino
malate di quanto terra
carriavinoconquellacarriola,
perchésistrapazavinoassai.
E io era felice. Cosí, alla
casetta, manciammo tutte
sempre con le forchette di
canna fatte miei 2 quanto
manciammo inzalata di
cipolla e pomedoro. Poi,
tiempo di stacione 3, quanto
l’ocellefecevinolinida,tutte
li tecole della casetta
vinievino voltate, e io faceva
meglio che li prentava io,
queste ucelle, e ni le
manciammoconimieifiglie.
Che io aveva una scala e ci
facevasalireaTuriddoeio,e
cosí tanto danno non si
faceva. Quanto per caso io
non c’era, e queste aucielle
venevino prese da altre
caruse, era piú male, perché
rompevinotuttelitecole.
Io faceva una vita felice
quanto era alla casetta, ma
quanto feneva la ciornata e
antava a Chiaramonte, per
mia c’era la seportura a
vedere quella maledetta
donna che mi diceva sempre
parole.
Poi, la querra fenarmente
fenio, e fenio con un crante
spavento, che li amiregane
hanno butato 2 bomme
atomice nel Ciapone. E cosí,
tutto finio. Li amirecane,
l’inchelise, li francese e li
rosse presero Berlino, l’Italia
erimo persse, e la querra
fenio per tottu il monto
intero.
Quinte, l’Italia remanio
tutta distrutta. Quinte, ora
c’era la pace e si dovevino
costroiretuttelimassacreche
aveva fatto la querra, e si
dovevino fare li lezione de li
cumune,esidovevinofareli
lezioneperfarelepresedente
delle
amministrazione
provinciale, e si dovevino
farelilezionedelreopureil
presedente della republica 4.
Ecosí,c’erinointutteipaese
tante acente che facevino
propaganta, e chi diceva che
doveva restare il re, chi
diceva che si doveva fare la
republica. Quinte, li cosi si
dovevinomettereaposto.
Io era con tutte li partite
amice, però, per mia degnità,
doveva essere socialista,
perchéquellechemiavevino
dato il posto erino socialiste.
Epoi,io,pernaturadirerae
reditorio 5, era stato
socialista,comeerasocialista
mio padre e magare mio
nonno, ma secome ci aveva
stato l’ebica fascista, io, per
22 anne, aveva fatto il
fascista, perché l’Italia era
fascista.
Quinte, per forzza si
dovevino fare li prime
vutazione: o republica o
dovevarestareilre.
Ma secome il re si aveva
dato voletariamente con
l’amirecane, che erino i
nostre nimice, non era tanto
esattodipoterefareancorail
re.
Cosí, a forzza di
propaganta, il re persse per 2
milione di vote immeno e ha
vinto la republica, e il re lo
portareno in asiglio, che poi
morí.
Queste lezione foreno
troppoimportanteperl’Italia.
Quinte, io dovette fare una
propaganta di apizare carte
alla casetta; ed erino tutte i
cantoniere in faore dei Lupis
eilbaroneMelfe.
Quinti,ciforeno2mesedi
bordello di fare propaganta,
prima per la republica e poi
per il sindaco, che il sindaco
Melfe ci l’avevino messo li
amirecane senza il volere del
popelo, ma ora, con
l’elezione, si doveva vedere
seilbaroneresoltava.
Cosí, il barone aveva di
bisogno di tutte il paese, se
voleva fare il sindaco. Il
baroneatuttecontentenonli
poteva fare, perché tutte
volevinopostedilavoro,tutte
volevinopasta,tuttevolevino
zuchero, e a tutte non li
poteva fare contente. E cosí,
era nei piú crante quaie, e
magare certe sere restava lui
senzazuchero.
Cosí io, che c’era vicino,
erapureneiquai,perchénella
casa c’era scritto: «Viva il
sindaco Melfe», e donna
Annaloscancellava.
Cosí, io cercava di
respetare al sindaco Melfe, e
la descraziata di donna Anna
lo faceva a dispetto: aveva
unascopapiúfitusadiidda6,
e scancellava quello che
stampava io. Era cosa di
bruciallainquelleciorne,che
razza di servaggia donna! Io
mispaventavaquantovedeva
che quella canazza, con
quella scupa, scancellava,
perché diceva: «Chi sa come
lapenzailbaroneMelfe...»E
questa maledetta cane per
forzza miteva li mezze di
faremelevareilposto!
Poi, sfortonatamente, si
hanno fatto li lezione e il
barone non ha resoltato, e
tutte si lo hanno ciocato.
Tutte ci dicevino «sí», che il
voto ci lo davino, e poi al
fatto, dai conte ni avemmo
fatto che il barone aveva a
prentere3.000milavote,eni
prese ammalapena 1.000
milledivote.
Ma il barone era sicuro di
me che era sincero. Poi, il
barone sapeva che magare
mia madre ci aveva dato il
voto perché il barone mi
avevadatoilposto,emagare
tutteimieifratelleciavevino
datoilvoto,perchémiaveva
datoilposto.Einvece,quella
canedidonnaAnnacidiceva
«malecriato», e «butana»
dicevaamiamadre,perchéci
aveva dato il voto al barone.
Ma il barone per me era
sempre un calantuomo,
magare che no ebbe la
vittoria.
Solo la mia famiglia, tutta
intera, ci aveva dato il voto,
magare mia madre, che era
crisiastica 7, e Pipino Cafa,
che stava vicino di casa, che
era dimocratico cristiano, ci
avevadettoel’avevapregata
di darece il voto a lui, e
magare il pareco ci l’aveva
detto, ma mia madre,
poveretta, sempre ci diceva:
«Il mio voto ene del barone
Melfe, perché ci ha dato il
postoamiofiglioVincenzo».
Ungiorno, si assaputo che
2 figlie di donna Anna
avevino stato muortte per la
querraparteciana,sempreper
descrazia che ci fu la querra;
perché quanto una nazione si
metteafarequerra,sempresi
deve morire. Poi che questa
maledetta querra era contra i
fasciste e tutte quelle che
amavino la patria vollero
morireperforzza.Masecome
le figlie di donna Anna erino
uno Filuzzo, che era stato
richiamato
alla
leva
obbligatoriadiSalò,el’altro
Turiddo, che era conzelo a
Forlí, il 27 luglio, quanto
impecareno al duce nella
piazza di Milano 8, hanno
fucilato magare a questo
figlio di donna Anna,
Turiddo, perché era uno
oficialedellaSSacanito.
Io capeva che voleva dire
esse esse fasciste, che delle
partette dove c’erino fasciste
e parteciane si ammazzavino
fratelleefratelle.Poiqueste2
figlie di donna Anna,
poverette,cercavinolapatria.
Ma dove era la padria? Che
neanche Vittorio Amanuvele
III la conosceva, la padria...
Chepoi,inquelleciorne,che
cercava la padria cercava la
morte. Loro 2 fratelle erino
affezionate al fascisimo, e
non era ciusto, tante ce
n’erenofascisteaffezionateal
fascio...
Cosí, nel paese di
Chiaramonte lo sebero tutte
che 2 figlie di donna Anna
avevino stato ammazate dei
parteciane,perchéerinonella
esseesse.
Cosí, in quella strada di
quella
via
Tommaso
Chiavola,
cominciavo
l’inferno per me, perché la
donna Anna, che aveva
persso2figlie,unoTuriddoe
uno Filuzzo, certo che aveva
ragionediparllaremaledelle
parteciane. Però, parteciane
delle parteciane, no di
Chiaramonte, come dice la
donna Anna. Li parteciane
erino quelle di Ravenna,
Bologna,
che
hanno
ammazato ai suoi 2 figlie.
Che c’entrava il barone
Melfe, che non aveva fatto il
soldatoeneancheavevastato
arRavennaeaCenivadoveci
aveva stato davero la querra
partecianaperdavero?Epure
questa mala linqua diceva, e
faceva recriare 9 a tutte i
chiaramontane, che li 2 suoi
figlie l’aveva ammazato lo
barone Melfe e i Lupis, e io,
che ci aveva aiutato a farlle
ammazare.
E cosí, piú non diceva
donna Anna che io ci aveva
robato la casa, ma ha trovato
un’altra scusa per vedere
come poteva fare per
potereme fare antare in
calera,decentosemprecheio,
d’acorddo con i Lupise e il
barone Melfe, ci avemmo
fatto ammazare le suoi 2
figlie. Io era arrovenato. E
poi, la descraziata antava
dicento che per questo mi
avevino dato il posto di
candoniere, perché era stato
recompenzato.
Propia il 1948 si dovevino
fare li lezione covernative,
perché del coverno c’erino
magare che comantavino i
comuniste. E quinte, il
covernno Di Caspere, a
quostedellavita,licomuniste
si ne dovevino antare del
coverno per forzza, mentre
cheavevinostatoicomuniste
a fare perdire il fascismo,
perchéipartecianeerinotutte
uperai di masse tutte
comuniste.
Macertochesiciammesso
la Chiesa contra i comuniste,
etutteliparrine 10emonice,
femmene e uomine, facevino
propaganta tutte contra il
comunisemo,equintetuttele
campagnie erino piene di
propacantista
con
la
Democraziacristiana.
E
queste
discraziate
propacantista ci antavino
dicento in tutte li campagne
che,
se
vincevino
i
comuneste, nelle chiese ci
dovevino fare feste di aballo.
E cosí, tutte li donne, che
erino
ingnorante,
ci
credevino. E cosí, il
comunisimononvinceva.
Io era alla casetta e nella
casetta tutte quelle che
pasavino, di tutte li partite,
lasciavinomanifeste,eionon
nicurava.Atuttelipartiteci
li faceva mittire. Ma quelle
del mio partito erino piú
assai, perché c’era in ciro
l’incengnierecapoRizza,che
antava ciranto, e io tineva
paura, e poi c’era magare
Lupise e il barone Melfe che
erino del Sole nascente 11, e
quinteiodovevastareatente,
e quinte io lo sapeva quello
chepotevasocedere.
Io solo a Chiaramonte era
malo cominato, che aveva
venuto
quello
crante
deficiente di mio cognato
Mariano ad abitare con noi.
Pare che il Patre Eterno
l’avesse librato aposta, a
questo fratello di questa
famiglia di signore, per fare
dannareamia.
Cosí io, sempre per
rispetareaiLupeseeilbarone
Melfe, mi tocava di
menterece nel barcone la
cordda che c’era messa la
bantiera del Sole nascente,
perché una punta era atacata
nel barcone del barone e una
puntanelmiobarcone.
Cosí, la donna Anna non
voleva, e neanche voleva
quello cretino di Mariano
venuto di l’Africa. E cosí,
questo stubito siammesso
affare propacanta con la
Dimocrazia cristiana, perché,
diceva lui, che ci facevino 2
vestite e forsse forsse che lo
pagavino.
Io tineva paura che mi
potevino levare il posto, ma
mamma e figlie erino tutte
contra amme. Io meteva
manifeste del socialisemo e
questedisonestelistrapavino.
Equestabruttavitadurò40
ciorne.Epoi,intuttelicase,
si parlava di me, che io
scancellava e donna Anna e
lo stubito di Mariano
scancellavino. E questa
comedia la racontavino
magare in tutte li campagne.
Ma amme male non mi ne
veneva mai, perché sapeva
fare: io mi la faceva sempre
apresso al barone, e poi a
tutte lasciava parlare. Mi ne
futia di mia moglie, mi ne
futia di mia suocira, mi ne
fotia di quello dificiente di
Mariano, e mi ne fotia di
tutte,solochevolevabeneai
mieifiglie.
Poi si hanno fenito li
lezione. Menomale che mio
padre e mia madre mi
avevino fatto fortte di
cervello,altremente,contutte
queste male comparse, mi
avessero
portato
al
manicomio.
E come finio tutto, non ci
funiente.Iomiavevasaputo
quartiare 12 sia con la
Democrazia cristiana e sia
con il socialisimo, e magare
con il comonisemo; e era di
acordio con tutte i partite,
perchéallacasettacantoniera
tutteipartitepassavinoeioci
diceva che era con loro, ed
erinotutterestatocontiente.
Una matina, prima di
antareallavoro,chepotevino
essere le ore 7 e menza, che
iostavascententoliscaleper
partire e antare al lavoro,
sentento bussare alla porta
con il campanello, e io ho
aperto,chemiparevaqualche
cantoniere, e invece vedo
entrareunomonicovestitodi
bianco, ed era padre Pietro,
che aveva di quanto aveva
chemiavevasposatochenon
lovedeva.Eiomisonofatto
la croce e disse tra me: «E
checiloportaquestoqui,che
nonzihavistomaie?»
Cosí,hasalitopianopiano,
tantoconfuso,esivedevache
era distorbato. Cosí, mi ha
detto:–CaroVincenzo,nella
nostra casa ha socesso una
descrazia, fai selenzio, senza
fareuce.
Mentre viene mia moglie
tutta spaventata che aveva
venutoilsantodellafamiglia.
Li miei figlie erino che
dormevino
e
senza
resboglialle13.Ecosí,ilpadre
Pietro mi ha detto: – Caro
Vincenzo,un’altravoltanella
nostra famiglia avemmo una
crante discrazia, che è morto
Vanni, che per noi della
famiglia ha rapresentato un
altropadre.
Io, sentento «ha morto
Vanni», certo che non mi
affatto tanta impresione,
perché non mi deceva mai di
«tu», perché forse io ci
parevabasso.
E cosí, mentre vineva
quella palommella 14 di mia
moglie, e piancevino tutte 2,
ma a donna Anna neanche ci
ne importava un cazzo: che
moreva, moreva, perché
penzavasemorevalei.
Cosí, si hanno messo a
piancere padre Pietro e mia
moglie.Ecosí,iocihodetto:
– Ma perché piancete, certo
chelamorteenepertutte…
E cosí, padre Pietro mi ha
detto che voleva umpoco di
aiuto,perchéfraummumente
e l’altro al cemitero arriva il
morto:–Etu,cheseiparente,
mideveaiutareacalallonella
tompa –. E io disse tra me:
«Vedequantoquestarazzaci
rompino li cogliona di essere
parente, quanto ene aura di
farececefarelibichine!»
E cosí, in menz’ura di
tempo, fuommo al cimetero.
E al cimitero abiammo
trovatolacarrozzamurtovaria
con le 2 bechine che
bestimiaveno come li turche,
cheerinoarrabiatecomecane
perchéavevino20minuteche
aspetavino.Eiodiceva:«Che
vercogna di acente e che
vercognadifamiglia!Quanto
lo vantavino e dicevino “il
crante
cavaliere
cancigliere”…
Quanto
rispetto che ave di non ci
essere nessuno della sua
nobele famiglia e dei suoi
fratelle e sorella! Che
vercogna
di
famiglie!
Nessuno lo piance a questo
crantecavaliere!»
E quelle bichine, a portare
a questo muortto, pareca
avessero portato un sacco di
carbone.
E cosí, io dovette fare il
bechino sempre per la
improgliona di mia moglie
che mi diceva: «Ora nella
casa di mia sorella ene
campiata, perché marito non
ni ave piú. E quinte, della
campagna,quantosidannoli
olive,cidevepenzaretu».
E io, stubito, che
credeva…
Poi venni il tenmpo che si
duvevino racogliele l’olive,
che erino i prime ciorne del
mesedinovemberedel1948,
e venne la signora di
Siraqusa, e certo che, come
vineva,venevaagonfiareceli
cogliona, a venire nella mia
casa.
E mia moglie, per quelle
ciornne, non zi ci poteva
parlare di quanto era stobita,
che parteva come una vera
serba e cominciava a farese
comantarediquestasignora.
E quinte io, per respetare
ammiamoglie,cheeramadre
dai mieie figlie, doveva fare
questo sacrifizio: che invece
di reposareme, dovette stare
per 4 ciorne a macinarece li
olive a questa delinquente
sorella di mia moglie, e
dovette fare 4 notate senza
dormire.
E mi recordo che poie,
questadesonesta,neanchemi
ha pagato. E io, invece di
reposareme, doveva lavorare
notte e ciorno, sempre per
corppa di quella stubita di
mia moglie. E mi diceva
sempre,quellaimproglionadi
mia moglie, che quella
poveredda era senza marito:
«Esetucifaiequestofavore,
enefortunaperinostrefiglie,
perché poie a studiare li
mantammoaSiraqusa.Enon
avere paura, che tutto paga
miasorella».
E cosí, io, quelle ciorne di
quelle disoneste olive, mi
offattoummesedibestimiare.
E questa era l’ultima volta
chemifecefutere,sempreper
quella cretina di mia moglie,
perché era sottomessa, e
secome era sottamessa lei,
mia
moglie,
doveva
sotomettreamme.
Cosí, valdate che cosa
desonesta che mi ha capitato
amme. Sono cose disoneste
chepuonnocapitareaRabito
Vincenzo solo e poi
annessuno uomo piú, perché
capitaie in questa desonesta
famiglia!
Un ciorno io, di matina,
doveva antare allavorare.
Erinoli7e30diinverno,mia
moglie era incinta di mio
figlio Ciovanni e aveva fatto
la notata senza dormire e,
forse forsse, la cravetanza ci
portava distorbo, tanto che
aveva una cesta 15 nella
mascilla ed era tanto compio
cheildottoreCafadicevache
ci voleva taglio per forzza,
altremente non ci poteva
quarire.
E cosí, io mi ommesso in
compusione e non sapeva
come fare, a chi aveva
allasciare ai miei figlie,
voldire Ture e Tano. Alla
cente della strada non ci le
poteva lasciare, che con tutte
erino sciarriate, che avevino
statopresotutteperbutanedi
quella cane donna. Cosí, io
mi ne doveva antare, che
dovevinopassare allacasetta
l’incegniere, e io non doveva
mancare. E quinte era
rovenato,
quella
brutta
matinata.
Mia moglie era mortta de
dolore e, per forza, si ne
dovevaantareneldottore,che
si aveva affare il taglio.
Tanuzzo era con la febre,
Turiddopianceva.
Cosí, quella brutta matina,
vaio ne quella povera di mia
madre, che voleva farece
tenereaTanuzzocheavevala
febre. E mia madre disse: –
Feglio mio, io ci venisse, ma
mi scanto 16 se donna Anna
miaferra–.Eiocihodetto:–
Per ora fateme il piacere.
Venitece,chemiamoglienon
puòarresisteredeldolore.
Cosí, mia madre, per
farime contente, ci vinne. E
come mia madre si stapeva
prentento a Tanuzzo, questa
lurddacominciavaadirece:–
Butanaerazzamoltadifame!
Io portai a mia moglie nel
dottore e cioffatto fare il
taglio. Mentre io tremava
come la terra quanto fa
terremoto, perché, a solo
penzare che quella povera di
mia madre, non solo che
aveva 77 anni e mi faceva il
favore di tenereme a
Tanuzzo, e poi quella ci
deceva «butana», non mi
poteva dare pace quella
matina.
Cosí, come io portai a mia
moglie dal doture e passai di
lí, che per forzza ci doveva
passare,evidoadonnaAnna
che ancora mi diceva: – Lo
haiportatonellabutanaditua
madre? – Ma io non potte
resistre piú, non vido piú
degli oche. Davero stava
venento mia madre per
domantare come fenio col
taglio di mia moglie, e la
donna Anna, disonesta,
repetia le stesse parole:
«butana».Ecosí,iol’afierro,
con tante acente che
quardavino, ci lievo la sedia
dove era seduta e ci la roppe
nellatesta.
Cosí, mia madre si
ammessoapiancere,liacente
tutte hanno defeso a mia
madreetutteforenocontrarie
a donna Anna. Cosí, io ci ho
rotto la testa e mi ne sono
scapato per la casetta. E la
donna desonesta partio per
farese midecare. Passavo
nella piazza tutta piena di
sanquie, e cosí c’erino tante
acente apriesso, e si n’antò
neicarabiniere,eilbricatiere
ci ha detto (che la conosceva
chi era): – Fateve fare la
fedemedica 17,chepoinoilo
metiammodentra.
E cosí, donna Anna parte.
EparteperlodottoreCafa,e
il dottore Cafa ci ha detto: –
Chi è che fo? – E quelle che
c’erino apresso ci hanno
detto: – Fu don Vincenzo! –
E cosí, il dottore Cafa,
fedemedica, non ci ne vose
fare.
Cosí, si n’antavo nel
dottoreCafa,illunco,edesse
magare che era stato don
Vincenzo, e cosí fedimedica
noncinevosefare.
E cosí, questa si n’antò
ancoranemaresciallo.
E
cosí,
lo
stesso
maresciallodicevachequella
donna, se avesse stato delle
parte di Caltenasetta, a
quest’ora che sa quanto
avesse che fosse statta
ammazata. Perché donna
Anna si miretava ammazata.
Quinte, io aveva fato restare
il quartiere contento a darece
bastonate
a
questa
dilenquentedonna.
Io,menomale,cheavevale
carte niette 18 di famiglia,
altremente questa discraziata
mi l’avesse fatto fare, la mia
vita,incalera.
Cosí, la cente dicevino nel
paesecheioavevafattobene
disfasciarecelasediaintesta.
Io intanto mi n’aveva
scapato,perchétinevapaura.
Dalla casetta quardava
sempre versso Chiaramonte,
chetenevapaurachevinissiro
li carabiniere a prentireme.
Maiofacevatantepenzate,e
poi diceva e penzava chi
erino quelle che c’erino
quantofularessa.
Io penzava che tutte i
presente, che avevino visto
questa maledetta sciarra, mi
avevino assicurato che, se li
chiamava il maresciallo, ci
dicevino tutte che prima, a
daremi bastonate, era stata
donna Anna. E cosí, mi sono
carmato.
E cosí io, all’indomane,
cercava di antare a vedere a
mia madre a Chiaramonte di
sera notte, perché quella
povera di mia madre stava
morento della pena, che
propiailsuofiglioVincenzo,
che era il piú migliore figlio,
dovevaantareincalera.
E cosí, io parto della
casetta e vaio davero a
Chiaramonte. Vedo a mia
madre,ecosísebbecheerino
tutte bene. E poi mi ha detto
il barone Melfe che poteva
staretranquillo,chenonc’era
mantato di aresto piú: – E
magare che la leggie deve
fare il suo sfuoco… a voi li
carte non vi le machino,
perché restino nello uficio di
Chiaramonte.
Cosí,iohopresocoraggio,
che li cartette mi arrestareno
polite, crazie a tante che mi
avevino defeso. E mi tocavo
di rencraziare per lo meno a
50persone.
Ecosí,feniotuttodibuono
perme.Poi,horencraziatoal
dottore Cafa, il corto e il
lunco.
Quinte, menomale che io
non era stato un male
cristiano a Chiaramonte,
altremente la donna Anna
tantol’avevastudiatocheper
davero aveva stato capace di
fareme antare in calera. Ma,
per questa volta, la scaciavo
fracita, la noci. Cosí io, alla
stessa sera notte, piano piano
mi ce sono antato a
corcareme commia moglie
quanto la donna Anna
dormeva. E cosí, fenio tutto
questa mia paura. E per
quintececiorneiofecequesta
vita: che scenteva e saleva
della scala quanto donna
Annadormeva.
Cosí,venneiltempocheio
passava magare quanto c’era
lei nella banchina, e non
diceva niente; perché quella
bastonate foreno per lei una
vera midecina. E tutte mi
decevino: «Hai fatto bene a
spacarecelatesta!»
E cosí, cominciavo la vita
di non credere piú neanchea
mia moglie, perché non ni
avevainzertato 19 una: prima
quella che non vennero al
madremonio, poi perché non
foreno capace di dareme
umposto, perché queste
desoneste mi l’avevino
promiso e poi non forino
capacedifareniente.
Ma secome mia moglie
cercava sempre il pilo
nell’uovo, e poi che ci
cominciavolapresecuzionee
simiseintestacheioparlava
male di lei e dava
ammanciare a mia sorella e
mia madre... Cosí io e mia
moglie non antiammo di
acordio mai, perché il vero
non zi capeva. Ma il vero lo
sapevinotuttelivecinechela
conoscevino e conoscevino il
matremonio come fu fatto e
con quale solde tutto aveva
statopagato.Epoi,livecine,
chesapevinolaveretà,questa
mia moglie non li poteva
vedere, e no poteva vedere
neanche amme, perché c’era
cheiodicevalaveretà.
Elaveretàèquesta:che,se
ave coscienza ed ene
reliciosa, deve dire: «Io
deventai buona, magare
meglio dai miei parente, che
questafortunamilaportavuil
mio marito, perché, se
stapeva speranza dai miei,
aveva voglia di stare per
personadiservizio!»
E inveci, mia moglie,
sapete che cosa fa? Che, chi
vieneviene,noncidicevache
ebe la fortuna di avere un
marito che la portavo in una
buona strada. Questo niente!
Solo che quanto viene una
persona e ci domanta, la
prima cosa che ci dice: «Io
haio il fratello incegniere, io
haiolasorellaricca,iohaioil
fratello dominecano...» E poi
ci presenta il miserabile
crocifisso, e poi ci fa capire
che la fortuna ci ha venuto
non dal marito, ma del
misirabile e itatura 20 di
crocifesso.
Poi, un’altra cosa che ci
ave, questa mia moglie: che
ave nel penziero sempre che
li miei parente sono di razza
tintaelisuoidirazzabuona,
e questa ene un’altra maletia
che ci ave, perché non l’ha
capito ancora che, se dice
«razza tinta» ai miei, io dico
chelarazzasuaè«piútinta»
dei miei. Invece, se fosse
sperta,iparentenonliavesse
ammintovare 21, e dovesse
dire che sono «buone», e io
dicesse che forino «buone»
quelle suoi, e cosí si potesse
antarediacordiosempre.
Ma i miei figlie sempre,
tutte li ciornne, antavino a
trovare a mia madre nel
cortile. E mia madre, che era
tuttapriatachevedevaifiglie
di suo figlio Vincenzo, ci
priparava lo zuchero, e
quanto vinevino ci lo faceva
manciare. Poi, dentra quello
coltile, c’erano li 2 figlie di
don Cicio Ferante, che erino
maretate e avevino li figlie
femmene,
e
queste
s’invediavenochevedevinoa
queste miei figlie belle
notrite, e ci dicevino:
«Signora,chesonobedde’sti
figlie di vostro figlio
Vincenzo». E mia madre si
arricriava tutta, a sentire che
lifiglieiol’avevabuone.
Cosí, erimo arrevate nei
prime di maggio del 1949.
Mia madre si cominciava
assentirese male. Cosí, ha
abandonato la casa dove ci
avevastato40anne,chetutte
li vecine senza parlare con
mia madre non ci potevino
stareneanchemezzaciornata,
diquant’eraamicacontuttee
schezusacontutte.
E come mia madre antavo
ad abitare con mia sorella,
tutte
quelle
che
la
conoscevino, tutte li sere ci
facevino visete. Sulo che la
canazza di donna Anna non
vineva,eneanchemiamoglie
nonveneva.
E io sempre ci diceva, per
fare stare contente a mia
madre: «Tante salute di mia
moglie». Mentre che non era
niente vero. E poi ci diceva
che aveva tante disturbe,
perché erino arrevate quase
quase li ciorne di partorire,
cheavevaanescireCiovanni.
E
lei,
mia
madre,
rocomaternna 22, sempre mi
diceva: «Stacci sempre
vecino, non la fare sofrire,
perché poffare una mala
partorenza
con
quella
maledetta
mamma
che
aveva». E poi, mi diceva:
«Facefareunapassegiataalla
sera, perché ene meglio per
quello che deve nascire, che
tedevenascireunbellofiglio
maschilo come quelle due. E
quinte, il Dio te la deve
mantare sempre buona per il
benechehaifattoamme.Etu
e i tuoi figlie deve stare
sempre
imienzo
alla
bontanzia e fare studiare ai
tuoi figlie, ciusto come
desiderailtuocuore».
E mia madre, piú ciorne
pasavino piú il cuore si ci
fermava. Ma delora, però,
non ni senteva, e neanche
notata faceva fare. Sempre
era allecra e contente e
scherzava sempre, compure
che aveva ancora 2 ciorne di
vita.
Cosí,ioantavaacasa,ela
donna Anna e mia moglie
vedevino a me che era tanto
confuso perché mi stapeva
morento la mamma, e
neanchemidomantavino.
Se vedeva che erino
contente che moreva mia
madre. Perché, cosí, loro
penzavinoche,noncisento23
mia madre, per loro, mamma
efiglia,erameglio,perchéci
pareca era mia madre che mi
faceva
fare
sempre
l’oposizione, quando loro
parlavino. E cosí, si credeva,
la donna Anna, che io
deventava piú stubito; e
invece, morento mia madre,
io deventava piú uomo e piú
sapiente, perché mia madre
era quella che mi faceva
livarelacosione24sempre.
Quel giorno, io era al suo
capizale con uno ventaglio,
che ci voleva caciare le
mosche, e mia madre si
arrabiavo e mi ha detto,
racometerna:–Nonlicaciare
tulemosche,cheancoranon
ene aura di morire. Le
moschemilicaccioio.
Io mi offatto il cuore
sentento che mia madre
ancora era buona. E poi io
penzava,inziemmeconimiei
fratelle, che mia madre in 77
anne non l’avemmo mai
vedutoconlafebreunavolta.
Maieinvitasuamalataaveva
stato.
Cosí, mi ha detto: –
Vattine,evaiavedereaituoi
figlie, che ave 3 ore che stai
comme. Vai a vedere a tua
moglie che ene cravita, che
non ti vedento si dispeiace,
cheavechecommattereconi
tuoifigliechesonotriste.
E cosí, io mi ne sono
antato,eperstradadicevaio:
«Valda che madre che ci
haio, che si prente pena di
mia moglie che è cravita e si
desperaperchéciavelifiglie
triste, e non zi piglia il
penziero sua, che sta
morento»,esenzasapereche
quella mamma e figlia
parevino che dovevino
prentere il lotto quanto
morevamiamadre...
Cosí,io,vedentocheimiei
figlie erino buone e mia
moglie era buona, diceva fra
me che aveva parlato con il
dottore Cafa il cortto che mi
aveva detto che speranzie no
cin’erinopiúpermiamadre,
e mi ne sono antato ni don
Ciovannino Milio per vedere
se ci aveva cravatte nere,
perché era sicuro che mia
madreeramolta.
E cosí, mi stapeva
comperanto la cravatta, e
come uscie fuore del nicozio
sinteva fare crante voce, che
senteva
che
questa
descraziata donna diceva:
«Finarmente la Mienzo
Cuoppo 25 murio». Che ci
l’aveva detto la Fiacuna.
Perché la Fiacuna era stata
pagata per farece questo
favore di direce che apena
morevamiamadrecil’aveva
adire.
Cosí, io corro piancento e
vado dove era mia mamma,
che 20 minute prima mi
aveva detto: «Non mi
scaciarelemusce,cheancora
io non ene avura di morire».
Lí, io trovai a tutte i miei
fratelle, e poi trovaie per lo
meno piú di 100 fimminedde
amice suoi che piancevino
dicento: «Picato, la gna Tura
morio». E tutte dicevino
quanto era buona con tutte
questepernatura,tuttequelle
della strada, che aveva 40
anne che la conoscevino. E
tutte erino lí dentra la casa
dovestavalamiasorella,che
non c’era posto per trasere,
tante acente che erino. Tutte
cihannovenuto,quellechela
conoscevino.
Io era molto sodisfatto,
perché mia madre moreio
senza dolore e con tante
amice suoi acanto, e diceva:
«Tanto, per forzza si deve
morire...Migliocosí,chemia
madremoriocontanteamice
vicino».
Cosí, io e tante abiammo
fatto la notata 26. Cosí,
all’endomane
l’abiammo
portato alla chiesa. E secome
mia madre era molto
releciosa, aveva 30 anne che
era scritta all’Arme del
Precatorio 27, e aveva pagato
per30annequestemensile,e
ciatocavinotuttelimessedel
fonerale franche, e non
pagammo neanche una lira
per questa descrazia di mia
madre, perché tutto era
pagato.
E io e i miei fratelle,
quantoarrevammoalcimitero
e abiammo visto tante amice
che vennero acompagnare a
mia madre, io, da parte mia,
disse: «Ora, di oggie impuoi,
cheècamuorediquesteedai
parente di queste, che ni
avevino dato questo anore di
venire a compagnare a mia
madre,ioquestooblicomilo
voglio levare, mentre che
sono vivo: di acompanarlle a
tutte, quelle che hanno
acompagnatoamiamadre».
Venniilmesediluglio,che
venevadinascireilfigliopiú
picolo che si doveva
chiamare Ciovanni. Mia
madre aveva morto il 29
maggio 1949 e Ciovanni ha
uscito il 25 luglio 1949. E
secomequellaracometernadi
mia madre diceva sempre:
«Tue sei fortenato per
recuardo ai figlie, che ti
nesceranno tutte mascole», e
daverononsisbagliavamai.
E io pensavo che, quanto
murio mia madre, la
descraziata di donna Anna
non voleva che io ci avesse
messo il lutto nella porta,
perché la casa era della
famiglia nobile e non di
Vincenzo Rabito, che ci
aveva speso tutta la mia vita,
perché tutte li solde che io
quadagnava
di
lavore
straordinarieiolispentevain
quelladesonestacasa...
E cosí, io mi sono vestito
di un fortte coraggio e disse:
«Ora venne l’ora di antare in
calera. Ora eni il ciorno
preciso,iomettuilluttoepoi
voglio vedere se questa
delenquente lo straccia! E
cosí,laprimavoltaciorrotto
latesta,maoralaprentoela
butto della banchina, e cosí,
unabuonavolta,l’ammazzo».
Ecosí,tramediceva:«Tante
volte questa cane aveva
antato a reclamare nel
maresciallo per costione, ma
ora ci n’hai a dare tante che
nel maresciallo con i suoi
piede piú non ci ha potere
antare».Ecihodetto:–Non
lo tocate perché questo lutto
significamiamadre!
Cosí, questa delenquente
parteevanelmaresciallo,eil
maresciallocihadetto:–Non
tocate il lutto, perché, prima
che vi ammazza don
Vincenzo, vi mitemmo in
camiradisicurezzaqui!
Cosí, la donna Anna, il
lutto,nonl’hatucato.
E poi, questo lutto, quanto
adeventavofracito,hacascato
dasolo,enoncifunientepiú.
E menomale che non ha
socesso niente, altremente io,
davero, era resolto di
antareamminne in calera per
sempre.
E comunque, finarmente,
revavo l’ura di nescire
Ciovanni. Cosí, erino le 3 di
notte,miamogliemichiama,
che si senteva male, e io
parttoevadonellalevatrice.
Cosí, quanto la levatrice
reconosceva che era ura di
nascire, mi doveva avesare,
che cosí io mi portava a
Tanuzzo e Turiddo fuore.
Perché cià queste mia figlie
erino sbeglie, suonno non ci
ne poteva, che volevino
vedere venire la cicogna a
portare lo banbino. E tutte li
minute dicevino: «Papà, chi
vennelacicogna?»
Ma che cicogna e cicogna,
che li mie figlie sapevino
tutta, di quanto erino
vicariote28!
E poi mi decevino: «Papà,
perché ni piglie per fessa!?
Tunedevedireèlamammaa
fareunofiglio!»Elalevatrice
redeva, che moreva delle
resate.Eiochemidesperava,
che mi facevino prentere li
nerve.
Cosí, quanto per davero
inteseropiancereasuamadre,
hannocapitotutto,edaverosi
hanno vestito e mi l’ho
portato impiazza, e poi,
caminanto corsso corsso, e
cirammoperlavillaepoiper
lastradanuova,epoiionella
piazza
li
ollasciato
ummumento per vedere che
cosasidiceva,ehotrovatoun
belmasciettomessodentraun
canniscieddo29,emiamoglie,
che era che diceva: «Che
beddo», era senza dolora e
senzafebre.
Ecosí,minesonoantatoa
chiamare a Tanozzo e
Turiddo, che cià erino
davante la portta che
stapevino trasiento tutte 2,
perché pare che ci parrava il
cuore che ci doveva nascire
un altro fratuzzo. Cosí, ci
l’abiammomessoinbracciae
pareva uno di 4 mese di
quanto era bello notrito,
questo nuovo arrevato, di
quantoerabello.
E cosí, Tano e Turiddo,
recorddocheerinoleore5di
mattina del 25 luglio
dell’anno 1949, e Tanuzzo e
Turiddo non zi hanno voluto
levare, sempre ci volevino
stare vicino, a quello
canniscieddo.
Io era tanto tanto
emozionato
della
tanta
contentezza, che, con tante
fruste e tante vercogne che
c’erino ne questa desonesta
casa, a vedere 3 figlie
mascolecosíbelle,miveneva
magaredipiancere.
Cosí,oraiopenzavaamia
mogliechedovevaservirea7
persone: 5 erimo noi, uno il
cavaliere Mariano, suo
fratello, e una quella cane
arraciata. E io che calava e
scenneva della casetta con la
borssa piena. Poi, alla sera,
era tratato male, ammano di
questaacentavigliacche.Che,
inquestarazza,liuominenon
l’hanno fatto comantare mai.
Io questo lo sapeva e mi
dovevastaremuto,altremente
miamogliesidavaammalata
emiarestavinoli3piciridde,
epoimidiceva:–Oramine
vaioaSiraqusaetilascioate
e i tuoi figlie –. E questa era
la parola piú bella che mia
moglie mi diceva: «E mi ne
vaioneimieiparente».
Ora, io era di lutto e tanta
fessta non poteva fare, e
cercai uno per farllo
batezzare. No come quello
primo figlio Turiddo, che lo
hannofattobatettezzareauno
incegniere che poi non zi
affatto vedere piú, perché
forsse che teneva vercogna a
faresevedere.
«Ora che io sono presente,
il patrozzo di questo mio
beddo figlio lo devo cercare
io:aessere30unoamicomio,
che ci conosciammo di tanto
tempo, e deve essere uno
operaio come me», dicevo.E
cosí, io penzai a Ture,
Revettodiciuria31(mapoisi
chiamava Nicosia). E quinte
cilofacciobatizzare.
Cosí, presemo una ventina
di piciriddi, antiammo nel
cafèdiPaolodellasalita,che
erailfratellodellocompare,e
cosí, mezza cranita per
ognuno a tutte quelle
piciridde, e si ha batizato
Ciovanni. E tutto pagavo il
compare. E quinte, questo
compare, cercato mio, fu un
cumparedivalore!
Poi io, a questo Ciovanni,
un ciornno ci volle fare 6
fatocrafiei da solo. E partie.
Ma come sono revato ne
fatocrafo ci ho trovato al
professore Lo Preste, che
questo aveva 2 figlie
piciriddechecistavafacento
li fatocrafiei magare. E cosí,
io vedo che nel fatocrafo
c’era un bellissimo cavallo a
ciontale32.Ecosí,iocimetto
a cavallo a Ciovanni, che
aveva un anno, e ci offatto li
fatocrafieie.
Ecosí,doppo6ciornne,io
mi sono visto con il
professore Lo Preste e mi ha
detto: – Rabito, antiammo,
vediammo come sono venute
lifatocrafieidainostrefigli–.
E davero partiemmo. E le
fatocrafiei delle figlie del
professore erono molto belle,
ma poi, quanto questo
professore ha visto quelle
fatocrafiei di Ciovanni, erino
tante belle che, per forzza,
quessto professore ni ha
volutouna.Eiocihodetto:–
Maorachecosanedevefare
di questa fatocrafia? – E lui
mi ha detto: – Io, questa
fatocrafia, la manto al
ciornale come belle ficure,
belle di piciridde, che poi,
quanto sono troppo belle e
troppo
notrite,
queste
piciridde li mettono nei
calentareie dai barbiere. E
cosí veramente fu: questo
Ciovanni venne stampato nel
ciornale, e c’era scritto: «Il
picoloCiovanniRabito».
Ma secome nella mia casa
c’erimo tante, io aveva
comperato il ciornale, che
c’era la ficura di Ciovanni, e
questogiornalespedio33,eil
calentariospediomagare,che
capitavonellemanediquello
crante nobele che aveva io
nellamiacasa,cheeraquesto
Mariano!
E questo Mariano, che
stavacomme,erailpiúcrante
peso che io aveva sopra li
miei spalle. E finarmente,
doppo tante bastemie che io
aveva butato – che avere a
Mariano, con pure che era
fessa, aveva un mio nemico
dentra–,sin’antò.Esin’antò
aReggioCalabria,chepoiio
nonpottesaperecomefece.E
fu meglio che si n’antò,
perché io, altremente, non
potevastareconquestouomo
dentra, che non serbeva né
per me né per lui stesso,
perché manciava e poi non
era capace di comperare un
mazzo di cavole alla piazza,
chetuttudovevafareio.Epoi
aveva la mania di essere
segnore di fronte amme,
perchéeramaletiadifamiglia
per tutte. E io stava sempre
arrabiato, e, con quello
sestema,nonpotevastare.
Ma ricordo che erimo
arrevate nel mese di
settembre del 1951, che
Turiddo doveva antare al
secontocinasioeTanofaceva
la quarta elementare, e la
crante addannata di donna
Anna, la padrona de quella
maledetta casa, ha cascato
malata, ma aderetora malata
per morire. E di questo
nessuno si poteva fare
meraviglia, che a tutte ci
atoccadimorire...
E quinte, piú ciorne
passavino piú peccio era.
Cosí, io offatto tante
telecrammi, ma, al solito,
nessunoveneva.
Subito venni solo quel
crantesantopadrePietro,con
la mortte di sua madre, e poi
non venne nessuno. E certo
c’eraiochedovevafaretutto
emidovevaintresareditutto,
perché era io quello che era
stato contannato per questa
nobilefamiglia!
E
quinte,
tutto
Chiaramonte, quanto hanno
sonate le campane e
domantavino, tutto il paese,
che è che aveva morto, tutte
dicevino: «Finarmente morio
l’allampata 34 di donna
Anna!» A quanto acente ci
aveva detto «butana»... E
tutte dicevino: «Refrescate
l’armuzze dello Priatorio 35,
che ora possiammo passare
dellaviaTommasoChiavola!
Finarmente il diavolo si la
portò».
Poi, tutte li acente che
vinevino a fare visita
quardavino amme e ridevino
sutasota,maio,però,questo
lo capeva, perché li capeva
tuttelibatutechemidicevino
la cente, perché la cente
sapevino che io con questa
donna aveva fatto tante
sciarre di quanto mi aveva
maretato. Ma io faceva il
serio, perché piú non era
quella cane donna, ma era
una molta, che la mortte era
pertutte,efacevailserio.
Cosí, cominciavo un altro
caso del diavolo, con la
mortte di questa desonesta
donna.Cheiodovettepagare
magare lire 7.000 per farlla
mettere nella tomba; che era
cosa di butarlla nello
zachino 36 della comune, che
eramiglio.
Cosí, cominciaie a pagare
tante solde: solde pe
socisione,
che
quelle
desonesteprecurenonc’erino
fatte ni quella fetenzia e
schifezza di quella maledetta
metàdicasacheiomiaveva
comperato, che ci aveva
l’usufrutto la delequente
donna.Eio,quellamaledetta
casa, la dovette pagare 3
volte!
Quinte, tra socisione e
spese che mi tocareno, non
mi poteva maie fare
persovaso.
Cosí, questa donna Anna
lasciavo lire 100.000. Lire
60.000 mia moglie li ha dato
a quello stubito di Mariano,
che mi diceva che, per
scrubilo di coscienza, ci
l’aveva lasciato per detto
quella descraziata di sua
madre. E quinte, ni
arrestareno40milalire.
Io, che sa quanto ni aveva
spese per la morte di sua
madreeperifonerale...Emi
arrestarenoliocchiepieneeli
manovacante37.
Poi, magare che quanto
morio questa maledetta
donna, nel damoso dove lei
stapeva non voleva che ci
traseva nessuno perché ci
avevapaura che la robavino.
Eneldamosoc’eraunapuzza
che si poteva venire la peste.
E quanto murio, io dovette
chiamare a 2 spazine per
farllepulire.
E cosí, li 40.000 lire non
hanno potuto abastare. E io
sempre pagava, e stava
sempre con la speranza delle
promesse
di
quella
improgliona di mia moglie, e
che de speranza campa,
disperatomuore.
Cosí, questa donna, con
questa morte, invece di
lasciare bene, lasciò tanto
male e tanto vileno a
Chiaramonte.Chepoi,questa
veleno che lasciò, se lo
dovetteassopare 38 tutto mia
moglie, che li acente, non
apena la sentevino parlare,
subito ci dicevino: «Ecco,
sempre a essere figlia di
quella fetente, di quella
delenquente
di
donna
Anna...» E mia moglie,
sentento che ci decevino la
vera veretà, subito ci diceva
parolazzi piú brotte di donna
Anna, e si ha preso, piano
piano piano, tutte li fonzione
chefacevaconlaboccalasua
mammina.
1
latagliaerabutata:latagliaera
messa.
2
fattemiei:fattedame.
3
tiempo di stacione:
tempo
d’estate.
4
Si tratta di due differenti tornate
elettorali: le elezioni amministrative e,
quindi, ilreferendum tra monarchia e
repubblica,
con
le
elezioni
dell’Assembleacostituente.
5
direraereditorio:digenerazione
ingenerazione.
6
piú fitusa di idda: piú lurida di
lei.
7
crisiastica:donnadichiesa.
8
Il cadavere di Benito Mussolini
fuespostoaPiazzaleLoretoil29aprile
1945.
9
recriare:divertire.
10
parrine:preti.
11
Il Psli (Partito socialista dei
lavoratori italiani), che si presentò alle
elezionisottolasiglaUnitàsocialista.
12
mi aveva saputo quartiare: mi
erosaputomuovere.
13
e senza resboglialle: e non si
dovevasvegliarli.
14
palommella:colombella.
15
cesta:cisti.
16
miscanto:mispavento.
17
fedemedica:refertomedico.
18
niette:pulite.
19
inzertato:indovinato.
20
itatura:iettatore.
21
ammintovare:anominare.
22
rocomaternna: requiem
aeternam.
23
noncisento:nonessendoci.
24
faceva livare la cosione:
dissuadevadalfarequestioni.
25
«Mezzocoppo» era il
soprannomedellamadrediVincenzo.Il
soprannome ironizzasulla bassa statura
deimembridellafamiglia.
26
notata:nottata,veglia.
27
Anime
del Purgatorio, una
confraternitadidonnepenitenti.
28
vicariote: delinquenti,
mascalzoni.
29
canniscieddo:canestro,culla.
30
aessere:deveessere.
31
ciuria:soprannome.
32
aciontale:adondolo.
33
spedio:sièperso,scomparve.
34
l’allampata:colpitadalfulmine,
indiavolata.
35
Refrescate l’armuzze dello
Priatorio: andate ad allietare le
animuccedelPurgatorio.
36
zachino:immondezzaio.
37
E mi arrestareno... vacante: e
restai con gli occhi pieni e le mani
vuote.
38
assopare:sorbire.
Capitolodiciottesimo
Costòquantocostò
Ci aveva stato l’allovione
nel1953,cheintuttelestrade
della provincia, speciarmente
quelle5chilomitrecheaveva
io come cantoniere, tutte le
mura delle late avevino
cascato, e poi cercavino
mascie, li padrone, e non ni
potevinoavere.
E cosí, allora mi dicevino:
– Don Vincenzo, fatele voi,
chepoipagammoavoi–.Io,
che antava cercanto quello,
perché mi abisognavino
solde, e cosí io questa la
chiamava «fortuna», perché
ci faceva li mura e poi mi
davinoquelchelitrodioglioo
qualchelire1.000.Ecosí,io,
veramente che mi ne davino
poco, perché profetavino, ma
però c’era sempre di
quadagnare.
PertuttalaSiciliaciforeno
centenaia di miliarde di
danne, ma però lavoro ci ne
fu tanto, perché c’erino tanta
disocopazione, e tutte hanno
lavorato nelle 5 chilomitre di
strada che aveva in consegna
io.Mitàdistradaerapienadi
fanco, ma io, con l’aiuto dai
miei fratelle, piano piano il
tranzito non zi era fermato, e
in 5 ciorne abiammo fatto il
lavorodi15ciorne,checerto
avemmo lavorato notte e
ciorno.
E alla fine mi hanno dato
tutte li solde e io, che aveva
fattolavorareaimieifratelle,
magareavevaquadagnatolire
15.000.
Mentre venne l’ordene che
nel 1954 tutte li strade
provinciale si dovevino
sfaltare. E cosí, il ciornale
portavachesidovevasfaltare
la
strada
ComisoChiaramonte, e l’aparto si
l’aveva preso un certo
apartatorechesil’havenduto
a un certo ceomitra che
questo aveva uno asestente
molto beravo nel lavoro che
eramodicanoederaunbravo
moratore.
Cosí,ioeratuttopriatoche
si doveva cilintriare la strata,
perché brecia non zi ne
sfalciava 1 piú, ed era
contente.Ecosí,iodistradee
dicilintraturanicapevaassai,
perché io aveva stato 3 anni
all’Africa, e questo murature
capo cantiere si ne ha cortto
cheioerapraticodistrade,e
mihadetto:–Rabito,voi,se
mifaceteilfavore,vin’antate
avante con 25 operaie, che
cosí ci facete spianare la
strada–.Ecosí,iominesono
antatoavanteeconqueste25
operaiecihofattounabuona
comparssa.
E questo capo cantiere mi
harecalatolire10.000mila.E
iohopresoilternoconquelle
lire10.000!
Poi c’era di fare circa uno
chilomitro e mezzo di strada
vicinoalpontedeiCafa,nella
contrataScio2,chesidoveva
fare un viadotto che
atravesava il fiume, e lí io
doveva fare l’asistente dei
lavore. Cosí, io era
solvegliante e asestente di
queste lavore. Cosí, io mi
senteve uno dai piú migliore
cantoniere.Mivenevinotante
letre dall’amministrazione,
letre di servizio. E tutte le
lettre dicevino: «Atenzione,
nonnefaciammoprentereper
fessa dell’apartatore, perché
voglino inprugliare sempre e
illavorononvieneesatto».
Io parteva allo scopo di
fareilciusto:chenondoveva
antare
né
con
l’amminestrazione
provinciale e neanche con
l’apartatore.
Iociavevastatotantevolte
nelleimprese,elosapevache
l’apartatore, se faceva il
ciusto, come diceva il
capetolato d’apartto, non ci
arrestava
niente...
Ma,
insumma, doveva fare una
cosachepotevacamminare...
Quinte, se cimento si ci ne
meteva un sacco meno non
era niente, e magare
all’ultimoanche2sacchenon
faciavinoniente.
Cosí, io certo mi la faceva
con l’apartatore perché ce
n’escia qualche cosa... E
quinte, io mi doveva
rezuntare3,chelilavorecerto
chesedovevinofarenontutto
ciustoenontuttemale.
Io aveva l’ordene di
referire all’amministezione, e
certo che umpoco di freno ci
voleva! E mi sono messo a
fare
qualche
picola
oservazione
a
questo
apartatore, e come venne
l’incegniere mi ha detto: –
Lei,Rabito,lilassassefare.
E cosí, io disse tra me:
«Ma allora io perché ci sono
qui?Perfareilpopo4?Eloro
si devino fotere li solde,
l’apartatore e l’incegniere?
Oracipenzoio,ioilpupoqui
non lo voglio fare, io voglio
manciaremagare...»
Cosí, ci abbiammo messo
diacordio.
Poi, quanto si ha fenito il
lavoro, con l’apartatore
restammo amice e io mi ne
sono antato al cantone mio,
allaMadonnadiQulfe.
Ora, nella casetta del mio
tratto, tutte li volte che
c’erino le lezione, erino
ciorne per me di caso del
diavolo. Quente, recordo che
era il mese di maggio del
1955 e si dovevino fare li
lezione recionale. E quinte,
allacasettadoveeraio,tuttei
partite portavino carte per
picicarlle propria ni quello
schifiodicasetta.
Quinte, socialiste, fasciste,
comuneste,
librale
e
Dimocraziacristianavolevino
la scala prestata per le cartte,
eiolifacevacontenteatutte.
Mailvotomioerasempredel
barone Melfe, perché il bene
eilmaleiononlodementeco
maie.
Ma questa volda, senza
volere, mi sono trovato
frecato.
Quellesí,forenolelezione
recionale, e foreno molto
desperate, piú desperate del
1948, perché la propaganta
aveva stato forte fatta dai
parrineedituttuimoniceche
antavino ceranto per le
campagni, e tutte contra il
partito dai Lupise. Tanto che
Cioseppe Lupis non potte
assumare 5. E quinte, si la
prentevinopropiaconl’amice
del barone, che «erino
farsse», e uno di queste
farsse, dicevano, poteva
essereio.
Cosí, il barone vote ne
ebbe 255 vote, mentre che ni
aspetava 1.500 vote. E il
barone si dava la testa mura
mura 6, che non si sa che
erino queste farsse socialiste
delSolenasciente.
Io ni aveva tante spiei
contra
di
me,
che
m’imidiavino. E io che cosa
ci poteva fare a questo
barone? Solo che lo poteva
dire ai miei fratelle, per
darece il voto (mia madre
avevamorto...)Quinte,ionon
aveva niente che fare se il
barone persse. Mia moglie
racionenonnisentevaevoto
non ci ne dava, perché era
critina, perché lo dava al
Movemento suciale, perché
per ventecare ai suoi fratelle,
checidecevinolicorna7che
erino state i Lupise ad
ammazzare ai suoi fratelle,
mentre che, per coscienza, il
baroneMelfeneanchesoldato
avevafatto.
La Democrazia cristiano
prese a Chiaramonte quase
3.500vote,etuttequestevote
di Chiaramonte li ha preso
l’onorevole Ciumarra, che fu
la prima volta che fece lo
deputato a Palermo. Cosí, il
Sole
nascente
nascio
annuvolato, e forsse forsse
che penzavino che una mano
ci l’aveva messo io, per
prentere poco vote il Sole
nasciente.
Ora, doppo che vincevino,
queste duputate antavino in
ciro per i paese per farece il
rencrazio dei vote che
avevino preso. E quinte, a
Chiaramonte,
l’onorevole
Ciomarra doveva venire
affarelorencraziamento.
Ioquestononlosapeva,lo
sapevino le democristiane,
ma io niente, perché non mi
intressava per niente, perché
io non era democratico
cristiano, mi faceva li fatte
mieie,perchépenzavacheera
padre di 3 figlie e li doveva
ammantenere alla scuola; e
cercavasolde,nopartito,non
necercava.
Quinte, il 12 ciugno 1955
iocamminavaperifattemiei,
conmiofratelloPaolo.Eramo
vecino al monemento dei
cadute, che c’era il cafè di
Paolo della salita, che era il
cafè
dai
democratice
cristiane,equantovenevinoli
uommine politice di Raqusa
vinevino prima in questo
cafè. Cosí, io, senza sapere
niente, mi vedo preso per le
spalle di Bastianello e della
avocato Rosso, emmi hanno
presentato a 2 pezze crosse
che avevino venuto di
Raqusa, che queste erino
propia uno l’onorevole
Ciumarra e l’altro era
l’avocato Schinina, che era
delecato all’amministrazione
provinciale, che era propia il
miocomantante.
E cosí, queste 2, voldire
Bastianello e l’avocato
Rosso,mihannopresentatoa
queste, facentoci sapere che
io era il piú megliore
cantonieredellaprovincia.
Quinte, io mi trovai con
quella comitiva e ci
n’antiammo nella nostra
Socità, dove da 50 anne
fracontiammoioePaolo,mio
fratello. Certo che io non
potevaabantonarelacomitiva
perché mi pareva brutto, poi
che queste erino quelle che
comantavino nella provincia,
enonnipotevafareammeno
di antareciminne, e quinte,
dovevastareconloro.
Ma li crante rofiane si
hanno trovato pronto ad
antare nel barone Melfe a
direce che io era che aveva
campiato partito ed era un
traditore del barone, e questo
significava che io non ci
aveva dato il voto. Altre 2
rofiane e cornute si
n’antareno a Raqusa e lo
hanno referito a Lupis; e di
Lupis lo seppe l’incegniere
capoRizza.
E cosí, di tanto buono che
era io stato, e buono
lavoratore, mi hanno fatto
deventare un delenquente, e
poi uno che non voleva
lavorare; e deventai, per la
provincia, uno che non
rentevanellavoro,perchéio,
perpuracompinazione,aveva
dato la mano a l’onorevole
CiommarraeSchinena.
E cosí, mi vedo arrevare
una lettera dove diceva: «Il
cantoniere Rabito Vincenzo
viene trasferito a Ispica per
motivodilavoro».
Quinte, in 6 ciorne, io, se
aveva bisogno de manciare,
dovevaantareaIspeca.Enon
sapeva come diavolo fare. Io
aveva stato tanto buono per
fare il cantoniere, spece nel
paese di Chiaramonte, e ora
avevadeventatoullavativo.E
diceva: «De dove mi ha
venutoquestomaloamme?»
Di praciso ancora non lo
poteva sapere di questa
maledetta
letre
di
trasfiremento: non sapeva se
era per causa di lavoro o per
causa di politica. E io disse:
«Ora vado arRaqusa e
vediammochepossofare».
E come arrivo a casa ni
Lupise,Lupisenonc’era,ma
c’era una donna dentra, che
forse era sua sorella, che mi
vedeva tanto pricupato e mi
hadetto:–Cheèilfatto?–E
io ci ho detto che vorreva
parlare con il commentatore
per direce perché mi avevino
fatto questo trasfiremento. E
quella donna mi ha detto che
ci sarà il motivo per fare
questo trasferemente. E poi
mi ha detto che con queste
lezione ci sono state tante
trasferemente,esivoltòcome
unacaneversodime.Ecosí,
io disse: «Ecco che il veleno
asiste,perchésivedecheene
cosadipartito…»
E cosí, mi ne sono antato
bestimianto; e mi ne sono
antato a cercare alLupese
direttamente, per parlare con
lui, per vedere che cosa
dicevalui.
E, ciusto ciusto, l’ho
trovato
impiazza
San
Ciovanni,ecihodetto:–Ma
come, commentatore, perché
mihannomantatoaIspica?–
E lui mi ha detto: – Non so
niente.
Cosí, vado nell’ingegnire
Rizzo, e mi ha detto: – Io
sonostatoaRoma–.Epoimi
ha detto: – Li casette non
sono vostre, sono della
provincia, e noi che
comantiammo, dove vi
mantiammo dovete antare,
perchéillavorolosapiammo
noi dove ene, e vialtre
cantonieredoveteantaredove
ve manto –. E poi mi ha
detto:–Antatevia!
Cosí,iodisse:«Oravadoa
cercare a don Nitto Rosso e
l’avocato Rosso, e gli dico il
fatto». Ma, come arrevai a
piazzaLibertà,trovaiaquello
crante
calantuomo
dell’ingegniere Tumino e ci
hofattovederelalettera,emi
ha
detto:
–
Queste
trasferemente li fanno perché
prenteno poco vote, e
arrovinino
ai
povere
cantoniere –. Cosí, ci ho
detto: – Grazie, – e mi ne
sonoantatoaChiaramonte.
Cosí io, arrabiato, come
arrivo al paese, parllo con
tuttei2fratelleRosso,eciho
detto:–Vedetecherecaloche
mihannofatto,chemihanno
trasferito a Ispica per direce
vialtre a Ciomarra e a
Schininacheioeracantoniere
buono!
Cosí, mi hanno mantato ni
padre Sorci. Cosí, io ci ho
racontatotutto.
IlpadreSorcim’haportato
a Raqusa a cercare al
secretario della Dimocrazia
cristiana, e il secretario si ha
preso la lettra, e mi ha detto:
–Oracipenzoio.
E cosí, con padre Sorci
antiammoaChiaramonte,eio
sono remasto sodisfatto. E
padre Sorce mi ha detto: –
Rabito, ora spetiammo la
telefonata
dell’onorevole
Ciomarra.
Cosí, io che aspetava la
telefunata e intanto il capo
cantoniere che voleva la
chiave della casetta. E tante
volte mi lo diceva, e tante
volte c’ereno sciarre, perché
io ci diceva: «Chiave non mi
nedugno8!»
E questa telefonata non
veneva maie... E il capo
cantoniere era vicino alla
casetta che lavorava e, alla
sera,’navotauno’navotaun
altro,mantavaglioperaidove
c’era io, per dire che voleva
la chiave, e io piú tosto che
mai, sempre ci diceva a tutte
che lui poteva morire
arrabiato,cheiochiavenonci
nedavaneanchesemoreva.
Quinte,eral’ultimociorno,
che li 6 ciorne si stavino
fenento. E quinte, io a mio
figlio Turiddo ci ho detto: –
Stai vicino alla posta, che
deve arrevare una lettra o un
telecramma.
Erecorddocheerinoleore
10emenza,quantosentoche
si sinteva una voce che
diceva,
propia
sotta
l’Avviamento9,chediceva:–
Papà, c’ene un telecramma
per te –. E mi vaio per
voltare, ed era il mio figlio
Turiddo. E secome Tureddo
sapeva tutto, e sapeva che
speravo nell’arrivo di questo
telecramma, me l’aveva
liciuto,emidisse:–Papà,tu
non ci deve antare piú a
Ispica, perché ene sospesa il
traspedemento,edeverestare
nella casetta di Chiaramonte.
E quinte, è stata sospesa la
tua partenza –. E il
capocantoniere, che sente:
«papà, è stata sospesa la tua
partenza per Ispica», non
parlava piú. Cesú Cristo ci
affatto perdere la parola,
spece come ci avesse preso
una paralese. E si n’antò
come un comantante che
aveva persso la crante
bataglia!
Io restai molto sodisfatto,
compurechemicostòtantodi
viaggioperantareaRaqusa,e
poimagarecidovetteportare
una pezza di formaggio a
quello
secretario
della
Dimocraziaperrecalo,chemi
l’avevadettopadreSorci.Ma
costò quanto costò, ma io
ebbeunacrantesodisfazione!
Nel frattempo, aveva fatto
un bel nicozio, che aveva
speso 150.000 mila lire, che
aveva comperato un bello
locale, che era allato della
mia casa, allo scopo di
fabricarece e fare una casa
nuova, e ci speciava 10 per
traserece dalla stessa mia
casa, e cercava di farece 2
piane,con2stanzedisoprae
2stanzedisotta.
Solde non ni aveva, e
disse:«Oravedocomeposso
fare.Vedochemiimprestali
solde e facio questa casa
nuova e poi mi vento la
vechia»,chequestamaledetta
casa vechia non la poteva
solportarepiúdiquantesolde
mi aveva fatto spentere, e
sempreacasavechiaioera...
Cosí,
vado
all’amministrazione, che per
commisario c’era Catto
Nicastro, e lo ho pregato se
mi poteva fare uscire solde
dellostepentio.
E cosí, tutte li ciorne che
veneva del cantone e tutte li
feste e tutte i momente libre
cheaveva,iosempreeralí,in
quellolocale,chelavorava.
Cosí,lacasalaportaiaun
buono punto e dovette
sospentereillavoro,perchéio
aveva a Turiddo a studiarea
Comiso, e mi volevo
trasferire lí: e per non farlo
staresolo(tantochelacasala
dovevapagarelostesso)epoi
che ci voleva un altro mese
percominciareliscuole,epoi
che la casa di Chiaramonte
l’avevamo affittata, perchési
ci doveva sposare una nostra
amica che ni veneva
commare, perché aveva
portato al tempio 11 a
Ciovanni, che era fidanzata
con uno commisano... e cosí,
con quelle solde che ni
davino della nostra casa,
pagammo quella casa di
Comiso,ecosínonpagammo
niente.
Iosempreerasenzasoldee
sempre mi n’antava a fareme
dare la misata da quello mio
compare che aveva la mia
casa in afitto, perché mi
abisognavinosemprelisolde,
perchécidovevafaremagare
la scuola prevata magare ai
mieifiglie.Masecomequello
era senza solde come me, io,
per poteracille scipare,
doveva fare tante viaggie a
Chiaramonte.
E cosí, sta finento questo
anno di fare malavita di
antare e vinire di ComisoChiaramonte
e
di
Chiaramonte-Comiso.Etanta
strada a piede che io aveva
fatto e tante volte preganto a
tutteperviagiaresenzasolde,
e tante prichiere aveva fatto
precantosempreaiprofessore
per potere passare i miei
figlieedinonperderel’anno
e tante solde spese... E,
all’ultimo, a Tanuzzo ci
hannorestato4materie,emi
sono confuso. E disse:
«Qualda chi mi sono
comminatobrutto,chedoppo
fare un’annata di malavita
nonhofattoniente».
Turiddo invece ni doveva
recuperare 2 di materie, che
erinol’italianoeilcreco.
Ecosí,Turiddosiscriveva
al primo licevo chilassico,
che io non lo conosceva
questo licevo chilassico,
perchéioscuolanonniaveva
fatto, ma lo senteva dire che
cosa voleva dire «licevo
chilassico»quantofusoldato,
che li officiale, per essere
ofeciale,dovevinoprimafare
il licevo chilassico. E quanto
sentevadirecheunodeimiei
figlie, con il lecevo
chilassico,
poteva
fare
l’officiale, io era tutto priato,
e cominciava a diventare piú
importante e cominciava a
sentiremequalchecosa.
Tutte li ciornna faceva
sempre ore di straordenario
alloscopodifaresolde,epoi
veveva di speranza e di un
buono avenire per me e per i
mieifiglie.
E io, con le 2 materie di
Turiddo, non mi confonteva,
perchéerasicurochepassava,
poicheaTuriddolascuolaci
lafacevailprofessoreIacono,
e questo Iacono aveva una
campagna a Favarotta, e
questa campagna l’aveva un
figlio di una sorella di
buon’arma di mia madre che
ci aveva li pecore. E cosí, io
disse:«OraaTuriddolofacio
arecomanteredimiocucino,e
cosísonosicurochepassa».
Edaverocosífece,emine
sono antato a trovallo, a
questo mio cucino, figlio di
unasorelladimiamadre.
E mio cucino mi ha detto:
– Non ve priocupate, che
comevieneilprofessorevilo
recomanto, che io a questo
professore ci ne faccio tante
favore, e questo favore che
deve fare al vostro figlio, il
professoremilodevefareper
forzza,altrementeio,aquesto
professore Iacono, favore piú
non ci ne faccio, se non fa
promosso a vostro figlio
Turiddo.
E per questo io sempre
parllo male della famiglia di
mia moglie, che non zi
avevino voluto intresare mai
per la sua sorella, che nei 20
ciornne di fidanzamento
m’avevino improgliato che il
soleuscevadisotta.Ecosí,io
diceva: «Quanto vale una
scarppa dai miei parente
povere, non ci valino cento
stivale dei parente di miei
moglie, magare che sono
ricchi».
Cosí, io cominciaie a
direce ai comisane che
lavoravino
comme
di
procorareme una casa per il
mese di setembre, che io con
la famiglia mi ne doveva
antare a Comiso per dare li
asame ad ottobre Turiddo e
Tano, perché Ciovanni
quell’anno fu stato valoroso,
perché, de niente, si n’antò
alla 2 elimentare, perché, per
requardo a scuola, il mio
figlio Ciovanni ha stato
sempreilpiúbuono.
Io, mentre che ci diceva ai
comisane per procorareme
una casa per 20 ciornne di
setembre, lo intese il mio
capo cantoniere, e mi ha
detto: – Rabito, una casa per
20ciornevilaprocuroioevi
facciospenterelire3.000.
E cosí, per non ci dire di
no,iocihodettodisí.Epoi,
mi aveva detto che questa
casa aveva stato abitata e
c’erino magare li mobile; e
io, sentento «mobile», mi
offatto il cuore. E disse:
«Bravo adiventavo il capo
cantoniere, che mi pricuravo
lacasapertremilalire!»Cosí,
io restai contente per questa
compinazionedicasa.
Io aveva diciso di partire
per Comiso un ciorno prima
conilcarrettodiGiovanniRe
e prentere 4 fasci di paglia
alle Pezze 12, nello massaro
della Barona, e cosí meterlle
soperailcarrettoeportarllea
Comiso nella casa di 20
ciorne.Chepoi,all’indomane
matina, io, doppo che mi
aveva corcato lí, in quella
casa, riparteva con l’auto
bussodiCiamporcaro 13emi
trovava sol posto di lavoro;
tanto per non fare parlare
annesuno di quelle impiacate
dell’amministrazione,
che
sempre mi presecotavino 14
perché erino invediose,
perché io aveva il piacere di
farestudiareaimieifiglie.
E cosí, mi aveva portato
magare 2 materazza con 2
rite, che cosí li rimpeva e
faceva umpoco di pulizia, e
magare mi portai 2 lume di
carretto piene di pitrolio,
perché luce non ci n’era in
quella casa, che il capo
cantoniere mi aveva detto: –
Rabito, precurateve per la
luce –. Che lí c’era solo il
lume.
Ecosí,conRepatiemmoe
fuommo al Comiso con il
carretto,
e
antiammo
direttamenteinquellacasadi
20 ciorne. Cosí, Re, come
scarrecavo, si n’antavo, e io
cominciai a riempire le 2
materazza e cominciaie a
scupare la casa, che c’era
tanto provelacio 15, e si
vedeva che questa casa era
stata abantonata di assai
tempo, perché li mobile che
c’erino, tutte erino piene di
ragna.
E cosí, io fece quanto
meglio poteva fare, e poi mi
sono stancato, e disse:
«Domane, quanto viniemmo
tutte, e vene mia moglie, e
cosímitiammotuttoaposto»
–perchépoimagarevinevala
domineca,perchéerasabato.
E cosí, io penzai di faremi
4o5oredisogno.Ecosífece
io.
Recordo che quanto mi
sono corcato erano li 11 e
menza prima di mezzanotte,
ma, come mi sono fatto
mezza ora di sogno, mi sono
sbegliato di colpo, perché
sinteva uno lamento fortte e
piatuso,
sentento
dire:
«Mamma
mia,
staio
morento!»
Io, queste lamente, ni
aveva inteso, ma però li
aveva inteso sempre in
tiempo di querra, quanto
c’erino ferite che non ci si
poteva dare aiuto. Poi, lí,
dove mi aveva corcato io,
c’era una porta che antava
fora e un’altre 2 porte che
antavino: una, in uno cortile,
e un’altra, che antava dentra
un’altra crante stanzona, che
lí c’erano 4 butte di mettere
vino, ma però erino viechiie,
queste 4 botte, e un carretto
c’era. E poi c’era una porta
cheusciafuore.
Cosí, io sentevo un
lamento insuportabile, non
sempre a una partte, ma mi
facevaimpresionechequesto
lamento era in tutte le parte.
Cosí,iononpottedorimire.
Aveva umpachetto di
tabacco fortte e cartinne, e
fumava.
Cosí, domaie tutte 2 li
luma di carretto, e uno lo
lasciaie dumato nella stanza
dove io mi aveva corcato e
l’altromiloportavaapressoa
cirare casa casa, perché la
casa era tutta rotta, ma era
crante. Solo era un poco
buona quella stanza dove io
avevaconzatoli2letta.
Cosí, mi sono vestito di
coraggio e mi sono messo a
cirare per tutte li case per
vedere dove era questo
lamento, che, della porta di
dove mi aveva corcato io,
c’era una voce di vechio, e
della parte della porta del
cortile c’era una uce che si
lamentava, che era di una
donna vechia. E quinte, io
non mi faceva persovaso
comedovevafare.
Cosí, mi sono messo a
girareequardaresottoquelle
botte e sutto quello carretto
per vedere che cosa c’era.
Cosí, quanto vado per
vedere 16 che c’era una
quantetà di vestine vechie e
vestine di sotta, che si
metevino li donne antiche,
tutte piene di sanquie, e 2
linzuolac’erinomagarepiene
disanqui,eumpaiodiscarpe
tutte sporche di sanquie
magare.
Cosí, io mi sono perso di
coraggio: fora non poteva
antare perché c’era quello
lamento
apassionato,
dell’altra parte del cortile
c’era l’altro lamento, e non
sapeva come fare. Io aveva
una sbeglia, che l’aveva
portato della Cermania, che
aveva una bella soneria, e
menomale che la fava sonare
e mi teneva umpoco di
allecria...
Cosí,iopenzavadifomare,
per passaremi umpoco di
malenconia. E minomale che
bestimiava,
perché
li
bastemie
mi
facevino
coraggio. Poi, quardanto
sempre quella sbeglia, che li
minute non passareno maie,
erino li 3 e menza, e secome
luce in quella strada non ci
n’era,parevamoltobuio.Eio
disse: «Se prima non faci
ciorno,liportenonlicrape!»
Perchétutteliporte,io,con
quelle lamente che c’erino, li
avevaapontillato 17contante
legna, perché mi aveva preso
di paura, con quello lamento
che senteva, e poi con tutto
quellosanquiechec’era.
Poi io, immienzo a tutte
quelle legna che c’erino
dentra a quella casa, aveva
trovato una cetta di tagliare
legna e mi la so’ messa
immano, e disse che: «Come
vedo che comincia a fare
ciorno,iorapolaporta,mala
cettanonlaposomaie».
Perché la cetta fu quella
che mi affatto fare coraggio.
E tra sicarette e cetta e
bastemie,
disse:
«Sta
passanto, questa brutta
notata...» Che io le stesse li
aveva passato tiempo di
querra, di queste brutte
notate.
Ma poi, stavino sonanto li
4,esivedevachecominciava
a fare ciorno. E diceva fra
me: «Spediammo che, come
aciorna, si deve sapere che
cosa sono, tutte queste
lamente». Perché, li lamente,
sempresisentevinoesempre
con lo stesso versso: «Staio
morente.Datemeaiuto...»
E poi, intese questa parola
chenonl’avevaintesomaiin
tuttalanotata:«Semisequita
questo dolore, mi ne vado
allo spedale». E un’altra che
diceva, che era quella con
quella voce di donna, e ci
responteva: «Se solde non ci
ne sono, come tu puoi antare
allospedale?»
E cosí, io ho capito di che
cosa si tratava. E allora rapo
la porta e vedo un omo
corvatodavantelaportadella
stanzadidovec’eraio.Ioera
arrabiato come un cane, con
la cetta immano, che quase
quase ci ne stapeva danto un
colpo, perché mi pareva che
quello l’aveva fatto aposta,
quellanotata.
Ma quello che era che
aveva fatto tutto quello
lamento, come mi ha visto
con quella cetta nelle mane,
con la tanta paura, si alzò e
mihareconosciosubito,emi
ha detto: – E vosia chi ci lo
porta qui, don Vincenzo?
Vosiamidevescusarecheio
questa notte non l’ho fatto
dormire con questa ianca
abuzata 18 che io haio, e
magaremiamogliecihaauto
tante dolora. E ora, come
sono li 9, che il dottore rape,
mi le faccio scipare magare
tutte,basticanonfacioqueste
maledettenotate!
Io quardava, tanto che non
aveva armmo 19 di parlare,
perché veramente aveva una
facia compia che era
inrequardabile di come era
redutto. Cosí, davero era che
mi conosceva, perché aveva
lavorato vicino Chiaramonte,
propiavecinoallacasetta,che
ci l’aveva portato a lavorare
il mio capo cantoniere, circa
unannofa.
Mentre viene la sua
moglie,cheerapiúlazzariata
dilui,etutte2mihannofatto
tante scuse, perché non mi
avevinofattodormire,mentre
loro, marito e moglie,
facevino
pena,
povere
diavole. Figlie non ni
avevino. Il marito faceva il
lanternaro,maillanternarodi
quelle miserabile, perché si
vedeva che erino nella
miseria fortissema. Non
avevino neanche sedie dentra
la sua casa, tante erino
povere...
Poi,ildolorecihacarmato,
siaalluiesuamoglie.Ecosí,
io era l’olario di antare al
lavoro e prentere l’auto
busso,
e
partie
per
Chiaramonte, e non pottemo
fenire di pulire, di com’era
composta20quellacasa...Ma
il lanternaro ni aveva detto
che dentra quella casa ci
aveva mortto una vechia, e
tuttelisuoiparentel’avevino
fatto morire sola come una
cane, perché volevino essere
fatto l’atto li suoi nipote
primadimorire,perchéfiglie
non ni aveva, questa povera
vechia, e morio cetanto
sanquie
della
bocca,
poveretta, e senza aiuto di
nessuno.
E cosí, io mi ne sono
antato, che alla sera era il
sabito, che alla stessa sera io
doveva antare al Comiso con
la famiglia. E per tutta la
ciornata, vicino alla casetta,
penzava a questa famiglia di
miseria, e diceva fra me:
«Quelle sono i vere
sbentorate,maritoemoglie,e
senza figlie... no io che certe
volte dico che sogno
perduto».
Ecosí,offattolimielavore
di servizio e poi mi ne sono
antato a Chiaramonte, e
abiammomessotuttoaposto
li valice, con tutte le libra e
tuttoilnecesariochec’eradi
bisogno. Cosí, abiammo
partitoconilcamio.
Io,chesapevatutto,presea
2 che scopavino li strade, ci
ho dato 500 lire, e hanno
poleziato tutta la casa: e
quella casa si ci poteva
abitare. Prese un chilo di
disempetante, e cosí si
n’antavo tutta quella pozza
chec’era.
E minomale che la
penziammo cosí, altremente,
selalasciammocomenil’ha
datoquellodisonestodicapo
cantoniere,potemmoprentere
magare la peste tutta la
famiglia.
Però io, quello che mi
capitava e capitava, io non
m’impresionava mai. E
quallunque malavita che
faceva, per me era sempre
perfetta, perché il mio scopo
eraunosolo:quellodiessere
promosse i miei figlie
(voldire, Tano con la licenza
cinnasialeeTuriddoconla V
cinnasiale), a quoste che mi
avesse venduto magare li
pandaluneemotante.
Perché io penzava che a
causa di non essere mantato
alla scuola, perché padre non
ci n’aveva, sono stato tante
volte
maletratato
dai
desoneste che comanteno e
offatto una vita troppo
maletratata. E quinte, per
questo, devo per forzza fare
studiareaimieifiglie.
E i miei figlie, se vuole il
Dio, la vita meschina che
offattoiononcilavogliofare
fare. E io tuttu quello che
scrivo, magare che si capisce
poco,ètuttaveretà,perchéci
hotanteetanteprove.
Cosí, diceva io: «Se non
passa Tanuzzo, io, con tanta
malavitacheavevafatto,non
n’ho affatto ’sta mincia». E
cercava di dareme da fare e
pregava a tutte, macare li
bedelle, bastica passava
Tanuzzo. E quinte, non
dormeva mai. Forino li 20
ciorne per me, li 20 ciorne
comefacevinoliantichenella
Settemana
santa,
che
pregavino tutte i ciorne e
magaredavinoadiciuno.
E io, Rabito Vincenzo, era
cosí,chepregaipertutteli20
ciorne.
E cosí, io al lavoro non ci
sono antato. Era troppo
secante,
che
mi
lo
reconosceva macare io. Ma
che cosa ci poteva fare? Era
cheilmiopensieromidiceva
cosí.
Cosí, si hanno fatto
l’esame. Io subito lo voleva
sapereilresoltato,manonmi
lo potevino dire, perché si
aspetavachedovevinofessare
le medie, e mi avevino detto
che alle ore 3, non recordo
benesemiavevinodettoalle
ore 4 pomeriggio, che
dovevino fessare li medie. E
io2oreprimaciàeradavante
all’istatuto delle scuole e,
come hanno aperto li scuole,
io era il primo a volere
entrare.
E tutte quelle bidelle, che
erino lí in quello stetuto, non
c’eraunochenonsapevache
io mi chiamava Rabito, il
cantonierechiaramontano...
E mi lo hanno detto tutte
(che erino 3 queste bidelle),
mi hanno chiamato, come io
avesse stato un vero fratello,
e mi hanno credato: –
Coraggio, Rabito, che li suoi
figlietutte2forenopromosse,
coraggioRabito!
Io, con la tanta allecria,
quase quase che mi hanno
scapato le lacreme, con tanta
sodisfazionecheavevaauto.
Ecosí,iomitravailconto
che tutte i sacrafizie che io
aveva fatto il Dio mi l’aveva
pagato, compure che io, per
lomenointuttoiltempoche
aveva stato al Comiso, aveva
bestimiatopiúassaiditutteli
uominedesperatedelmonto.
Tantasaluteatuttelipizica
bigliette 21 di Ciamporcaro
che non mi hanno fatto
pagare il biglietto! Perché io
litratavasempre22:unavolta
ci faceva trovare la recotta
caldda, una volta, quanto
passavino, ci faceva trovare
unbellomazzodiasparece,e
una volta lasine 23, e tante
panara di fiche belle fresche,
che macare una volta li
offattotrovareaCiamporcaro
propia, che era il padrone
della ditta. E Ciamporcaro
stesso ci ha detto ai pizica
bigliette che: – Quanto c’ene
uno cantoniere come questo
Rabito, lauratore, e anche se
non portate passagiere senza
oblico,cilopotetemetere 24,
bastica questo cantoniere si
deporta25beneconvialtre.
1
sfalciava:sfaldava.
2
Sciò,contradadiChiaramonte.
3
rezuntare:orizzontare.
4
popo:pupo,burattino.
5
assumare:salire,essereeletto.
6
si dava la testa mura mura: non
si dava pace, non faceva che
domandarsi.
7
cidecevinolicorna:latestadura
cheavevalediceva.
8
dugno:do.
9
La scuola di avviamento
professionale.
10
cispeciava:desideravo.
11
aveva portato al tempio: era
statamadrina.
12
ContradadiChiaramonte.
13
Giamporcaro: ditta
di
autotrasportilocali.
14
presecotavino:perseguitavano.
15
provelacio:polvere.
16
quanto vado per vedere: mi
accorgo.
17
apontillato:puntellate.
18
iancaabuzata:molaregonfio.
19
armmo:animo.
20
composta:ridotta.
21
pizicabigliette:controllori.
22
litratavasempre:glioffrivo,gli
portavosemprequalcosa.
23
lasine:lassini,senapedeicampi.
24
anchesenonportate...lopotete
metere: anche se non potete portare
passeggeri senzatitolo di viaggio, lo
potetefarsalire.
25
deporta:comporta.
Capitolodiciannovesimo
L’oniversetà
Recorddo che era il 25
settembre 1956. Io non
sapeva come fare, mi voleva
trasferire a Raqusa e voleva
stare a Chiaramonte. Tano si
voleva
scrivire
alla
raggioneria e Turiddo il
primo licevo. Cosí, i miei
figlie hanno partito per
Raqusa per scriverese, però
nonsisapevacomesiavevaa
viaggiare per antare e venire
diRaqusa,stodentecin’erino
poco e un auto busso non lo
potevino ammantenere li
Schembere 1, perché poco
studente si n’antavino a
Vittoria impenzione, poco a
Raqusa, e quinte, quelle che
avenoaviaggiareerinopoco.
Però, l’Azienta siciliana 2,
che veneva di Vezine, aveva
fatto una preposta: che li
studente di Chiaramonte si li
portava a tutte. Cosí, hanno
fattoliprimeprenutazione.E
iprimeaprenutareseforenoi
mieifiglie.Ecertocheioera
contentissimo, perché non
c’eradibisognodispostarese
del paese e abantunare li 2
case:unanuovaeunavechia.
Questo auto busso, viene
oggie e viene dumane... fu
autobussochevenneallafine
della scuola. E quinte, fu per
me e per i miei figlie uno
annodidisperazione.
E poi, bisognava di
compeletare la casa nuova e
civolevinosolde...
Io, con la famiglia,
abitammo nella casa vechia.
E secome avemmo tante
debiteenonlipotevapagare,
cosí io cercava di ventella a
qualchead’unocheantiammo
d’acorddo, non comme, che
iononcistapevaincasa,ma
doveva antare di acordio piú
assai con mia moglie, che
l’antrataeratuttauna.
Cosí, 2 erino li conte: o
non mantare li figlie alla
scuola, opure ventere la casa
(la mità di quella che mi
avevacomperatoio).Cheera
quellamittàchedicevacheio
aveva «robato» a quella
delenquente che murio, che
per quella maledetta mittà di
casa mi aveva dinunziato
trenta volte nel maresciallo,
checidicevacheioarrobava.
Cosí,iopenzaiechequella
mitàdicasamipotevinodare
lire 700.000 mila lire, quinte
ioniaveva400.000didebite,
che lire 200.000 erino del
dottore Cafa il Curto e lire
200.000 mila lire erino di
Ture il Molenaro, che mi
l’avevinofermateacampiale:
quelle sono i vero parente,
nonquelledimiamoglie.
Cosí, io, con 700.000 mila
lire, 400.000 erino per li
campiale e trecento mi
arestavino.
Cosí, io cercava a una
famigliachesicomperassela
mia metà e mi levava li
debite. Ma, però, la
sodisfazioneiononl’avevadi
averel’antradaasolo,cosí,io
diceva sempre e precava
semprechesidovevatrovare
una vicina che si comperava
lacasachenondovevaessere
«vicina», ma doveva essere
«unasorella».
E si doveva trovare una
compratricechenonl’avevaa
trovare io. No, niente.
Doveva
essere
una
comperatrice che doveva
piacere a mia moglie. Perché
eramiamogliechecidoveva
penzare per stare inziemme.
Io, tutte quelle che volevino
questa maledetta casa vechia
comperare,cidiceva:«Antate
ni mia moglie prima, che
vialtre dovete antare di
acortio».Emidicevino:«Ma
vosia che ce la vuole che mi
la pigliasse io?» E io sempre
ci deceva che io ci la voleva
di venteracilla, ma prima ci
l’avevaavoleremiamoglie.
Quinte, davero mi sento
chiamare di uno che passava
con la moto che vendeva
maglieemihadetto:–Vosia
cheèilcantoniere?–Eioci
hodetto:–Sé.
– Quinte, io e mia moglie
siammo antate iere a
forreare3lasuamitàdicasae
nihapiaciuto.Quinte,quanto
nivole?
Respontoioecihodetto:–
L’entrata è una, quinte
penzamiprima4.
E lui mi ha detto che: –
Con sua moglie, mia moglie,
antranno di acordio sicuro,
perché cià oggie sono state
tuttalaciornatainziemme.
E quente, io ci ho detto: –
Tantopiacere.
Cosí, ci abiammo messo a
prezzo5e,doppo3ciorne,ci
abiammo messo di acordo, e
ilprezzofurestabilitochemi
dovevadarelire750.000mila
lire e io ci doveva dare il
passaggio della scala. E
abiammo fatto subito il
necozio e, subito subito,
hannopresoposesso–perché
abitavinoincampagnaesine
sonovenutealpaese.
Cosí io, causa che mi
stapevino
scadento
li
cambiale,misonovendutola
mitàdellacasaaquestuTano
Spada, che mia moglie mi
aveva assicurato che era
buono e antavino di piena
acordoco’suamoglie.Ioera
contente che aveva trovato
propia a quella famiglia che
iodesederava.
Cosí, questa benevolenza
non durò, che mia moglie
cominciava affare le stesse
cosechefacevalamammadi
miamoglie,checominciavaa
dire: – Perché queste acente
nellamiacasa?
– Ma se queste ni ha
pagato,perchédovemmodire
cosí?
E invece mia moglie lo
diceva,perchévolevasoldee
casa. E cosí faceva quella
desunesta di donna Anna
comme, che ci ho pagato li
campiale, e poi mi diceva:
«Latro, mi arrobato la casa!»
Evolevasoldeecasa.
Ecosí,conquestafamiglia
Spada, mia moglie non
poteva antare di acordio,
mentre che quelle poverette
ni avevino dato li solde e io
misonolivatolidebitecheio
aveva fatto, e la casa nuova
aveva.
Cosí, straportammo tutte li
nostre robe, che erino state
messe in deposito nel
dammuso. Che la casa nuova
erabellaefinita.
Avemmo comperato: letto
nuovo,armadionuovo,tavolo
nuovo, sedie nuove, tutto a
posto. Io mi senteva felice.
C’era una bella vasca di
bagno, che non ni avemmo
automai...
Cosí, passavo il mese di
maggioevenneciugno.
Io sempre antava a
domantare ai profesore, ma
all’ultimo il professore
Vagnisi mi ha detto: – Il suo
figlio Tano è meglio che
repetesse l’anno, perché ene
molto intietro –. E prese
questa bella notizia! Poi mi
sono informato con il
professore di Turiddo, e mi
hadettoche:–Ciarrestino4
materei 6–.Eiodisse:«Che
bellanotizia...»
Cosí, parlaie con il
professore
Fichera
e
cominciavo affarece fare la
scuola partecolare. Ma Tano
nihafatto5ciornaepoinon
ci ha voluto antare piú,
perchéTanoscuolanonniha
volutomaie.Ecosí,restavoa
studiareTuriddosolo.
E Turiddo fu promosso e
doveva antare al 2 licevo
chilassico, mentre mio figlio
Tanuzzo si diceva che
mitevano a Raqusa uno
statuto 7 chimico. Quinte per
me era lo stesso, perché, io
che era pazzo per fare
studiare ai figlie, dove si
n’antavinoeantavinoperme
era lo stesso, bastiche
studiavino.
Poi, nella Socità nostra,
avemmo comperato una
televisione. Che fu la rovina
della mia famiglia questa
televisione! Che, secome
erino a Chiaramonte li prima
televisione che ci avevino
stato,tutteerimospaventatee
tutte li socie e li famiglie
delle socie erimo pazze per
questo schifio di televisione.
Equinte,lí,inquellaSocietà,
fenio a bordello, perché i
puoste per tutte non c’erino.
Perché prima, che di quanto
aveva stata fondata la Socità,
seerimo300isoci,sempreli
presente ci ne potemmo
essere 10 e, quanto c’era la
riunione,30socie,maorache
c’era questo schifio di
televisionenonn’erapienadi
socie, ma era piena sempre
dellefamigliedellesocie.
Cosí, alla sera, sempre
sempre,
c’era
una
composione che no zi
potevino trovare seggie per
sederese, e chi arrevava
all’ultimobestimiava.
Io sempre arrevava il
primo e c’era anche mio
fratello Paolo che arrevava il
primo,perl’amorediprentere
i puoste, e li altre socie si
cominciavino a bunciare 8 li
coglione, perché noi sempre
erimo li prime, poi che li
nostre moglie, se mai si non
zi vedevono una sera questa
televisione,c’erailluttonella
casa.
Cosí io, speciarmente con
miamoglie,eraconzemato 9,
perché mia moglie mi diceva
sempre:«Vai,evaiaprentere
li puoste!» E io fessa che
partevaperl’amoredinonci
farefareuce.
Manontutteliserec’erail
posto bello comito che si
poteva stare bene. Certe sere
si stava macare male e si
stava strette, e per starece ci
voleva molta pacienza. Ma
mia moglie pacienza non ni
avevamai.
Certo che poi le seggie
erinomessestretteeunocon
l’altro ci tochiammo. E cosí,
miamoglie,chepacienzanon
ni aveva, cominciava affare
chiachire con tutte, dove ci
cominciava a dire che lei era
nobileenonpotevastarecosí
stretto.Ecertochelisocieci
dicevino: «Signora, se sta
scomita non ci viene e si ne
va,comefannolialtre.Quisi
deveaverepacienza».
Ma mia moglie, sempre
figlia di donna Anna,
cominciavo a dire parolaccie
atutte.Ecertochepoituttela
spotevino!
Poi, mia moglie, quanto
veneva alla televisione, non
salutava maie. E cosí, tutte li
sociesifacevinoilconto,che
dicevino: «A che cazzo la
conta 10, questa moglie di
Vincenzo, di quanto ene
fetente che nesuno ci può
trozare 11 e nesuno ci pole
dire niente. Si sente
singnora…»
Poi,lei,miamoglie,eraun
tipo... Era fissata che magare
che redevino con il
procramma che faceva ridere
e tutte li aspetatore ridevino,
mia moglie s’impresionava
cheredevinoconlei,ed’ogni
sera,quantoantiammoacasa,
si meteva a camorria comme
che era io che non la faceva
respetare.
Cosí io, deversse volte,
sempre ci diceva ammia
moglie: – Ma noi, perché ci
dobiammosciarriarecontutte
i socie, e io ave 40 anne che
fraquento questa Socità, e
ora, perché ci dobiammo
sciarriare? Noi fosse meglio
che non ci antiammo come
fanno li acente che non
cerconocostione?
Ecosí,miamoglie,quanto
mi senteva dere «non ci
antiammo», mi cominciava a
fentere e mi diceva: – Tu te
scante 12, mentre tuo fratello
non zi scanta e ci va d’ogni
sera.
Ealloraiocidicevaammia
moglie: – Ma tua cognata
Paolina ci sape commattere
conlacente,matuniente,tu
nonvuoineanchedire«buona
sera»quantotidicono«buona
sera», quinte è meglio che
nonciantiammoallaSocità.
Ma mia moglie non mi
volevaascortarepernientedi
quellocheiodiceva.Cosí,mi
diceva:–Tutienepauradella
cente!
E mi diceva: – Ora che,
con la sedia, che è che mi
tocca, mi metto a direce
parole!
E cosí, mia moglie li
prenteva a tutte per razza
tinta,elarazzabuonaeralei
sola,enoitutteerimodirazza
bassa.
E cosí, alle socie che se
vedevino la televisione per i
cazzisuoi,lei,miamoglie,ci
diceva parole, perché quanto
redevino ci pareva che
l’avevino con lei. E poi
magare amme mi diceva che
io era di acordio con quelle
che lei diceva che la
spotevino.
Manonerino10o20...Lei
diceva derettamente che il
primoaspoterllaeraio,epoi
i miei parente, e poi tutte
quelle che fracontavino
questaSocità.Cosí,iononmi
potte fare persovaso piú con
chi aveva affare costione per
defentereaquestafessatamia
moglie. Perché, per farla
contenta,voldirecheprimaio
midavalatestanelmuro,poi
miprentevaunamitragliatrice
e cominciava a fare fuoco e
sparare prima a tutte i miei
parente, e tutte li aveva
ammazare, e poi aveva
sparare a tutte i socie, e poi
miavevaasparareio.Ecosí,
si poteva difentere la moglie,
quantoerimotuttemuorte!
Cosí, io mi mese in
confusione: per non la fare
antare alla Socità, ci ho
promesso che, comi mi
davino li reterate 13
all’amministrazione
provinciale, che ni dovevino
dare 150.000 lire alla
Recione, ci ho detto, povero
Rabito che voleva bene ai
figlie: – Non ti priocupare,
Neduzza,
che,
come
prentiammo queste solde, ti
comperolatelevisione.
E cosí io ho fatto, per
essere buono e per falla
contente,chesed’eraunaltro
uomociavevaadarelatesta
nel muro, invece di
compererece la televisione
ammia moglie... Che poi,
magare che erino li prima
telivesione, mi hanno fottuto,
perchéioancoranonniaveva
vistotelevizioneemil’hanno
fattopagarelire165.000mila
lire,
che
poi
questa
televisionemagareeravechia.
Pecato, quante belle solde,
che nel 1958-59 erino solde!
E io che aveva tanto di
bisogno…
Cosí, dentra quella casa
maledettacheciavevinostato
centenaia di migliaia di
fruste, all’ultimo venne
magarelatelevisione...
Che poi, nel 1958,
televisione non ni aveva
nessuno nella strada, solo
l’avevailprofessoreVannino
Cafa. E cosí, tutte li vecine
volevino venire a vederese
questa mia televisione –
perché a quelle ebiche
l’avevino solo li socità e
quachecafè,epoimagareche
piacevaatuttedivederlla.
Cosí, con mia moglie non
sicipotevaparlarepoi,tanto
aveva deventato nobile
perché
aveva
questa
televisione. E quinte, lei era
la patrona di questa
televisione. Quinte, a chi ci
voleva fare venire, ci faceva
venire. Tutto comantava mia
moglie. Certe volte ci
venevino la famiglia di mio
fratello Paolo, ma non
facevino sempatia tanto alla
miafamiglia.Ecosí,sihanno
comprato la televisione
magare loro, e cosí non ci
hanno venuto piú, e fecero
miglio.
E io mi manciava li
coglionasenzasale,esempre
bestimiava!
A settempre del 1959
daveroTuriddodovevaantare
all’oneversetà, che io nelle
miei robbe non ci antava di
quanto era contente! Turiddo
sempre ha stato studiusa per
natura e racomantazione non
nivoleva,perché,quantouna
cosa non la sapeva, lui non
voleva essere racomantato,
perché si la voleva studiare
lui.
Cosí,Turiddolamateriasi
la studiavo e fu premosso. E
cosí,Turiddoavevalalicenza
liciale,emiofiglioTanuzzoil
primochimico,chepoifeceli
esame e doveva antare al
secondo chimici. Io mi sono
antato a domantare alla
scuola del chimico, e c’era il
professore
Catalano
e,
inziemme con il secretario,
mihannodetto:–Asuofiglio
civieneciustociusto,cheave
17 anne e 3 ni farà al
chimico,evasoldato.
In queste ciorne che il
chimicosiavevaapertoc’era
una propaganta di un buono
statuto.
E
io
disse:
«Menomale che Tanuzzo ha
campiato l’istatuto, che dalla
racionaria si n’antò al
chimico». E disse: «Tanuzzo
enepiúspietto14diTuriddo»,
senza penzare che Tanuzzo,
dove la mantava e mantava,
scuole e travaglio non ni
voleva.
Cosí,aTanuzzocipiaceva
solo di fare proganta di
fascista (perché mia moglie
era fascista), e quinte il suo
lavoro era fare propaganta e
non scuola. Infatte, prova ni
fu che in 4 anni di chimico
pottearrevarea3chimico.
Poi, che una volta che
questo chimico, voldire tutta
la scuola, ci hanno fatto fare
una cita per Milano, e
Tanuzzo,comemihadettoil
presete, per la strada non zi
potte sapere quanto sicarette
sihafumato...
Quinte, Tanuzzo era
umpoco sconcentrato, mentre
Turiddo un anno non lo
perdevamai.Cosíeramagare
Ciovanni, che era un anno
avante e sempre un anno
avanteera.
Cosí, Turiddo si doveva
scrivire all’oniversità di
Catania. E io, la mia volontà
eradiscreveresenellafacortà
di Incegnaria, costava quanto
costava. Ma se mi aiutava
Turiddo,chestudiava,doveva
fare l’incegniere, perché
sapeva quanto quadagna
l’incegniere.
Lo
aveva
domantato tante volte a un
salto 15 di Chiaramonte che
avevaunfigliochefracontava
a Turino, che si doveva fare
incegniere,ecihodetto:–Mi
decesse una cosa: quanto
spiente per il suo figlio a
Turino?
E lui mi ha detto: – Lire
35.000milaalmese.
Io ni quadagnava 50 mila
al mese e disse: «Sono poco
perammantinereunfiglioper
farlloincegniere».Manonmi
intresava niente. Io sempre
faceva coraggio, mentre mia
moglie diceva: «Faciamilo
professore di matematica,
perché solde ni abiammo
poco».
Cosí, Turiddo si ascrisse
all’oniversetàdiCatania.
Cosí, quella intifeciente 16
di mia moglie, un ciornno si
n’antò a Siraqusa e ci ha
presentato a Turiddo per
farececapireallesuoiparente
cheavevaifigliebuonecome
li ricche. E cosí, quella razza
di cavaliere, vedento a
Turiddo,
deventaro
scemunite, perché era meglio
dai suoi figlie. E cosí, non si
ne hanno scapato piú, si ci
hannoabraciato,ecosíqueste
fetiente li hanno acitato per
parente. E poi il cugino
dottorecihadetto:–Turiddo,
tu che sei bravo nella
matemateca, ci la fai qualche
lezioneaimieifiglie?
MaTuriddo,chenonaveva
stato mai crante, non l’aveva
il veleno che aveva io nello
stomico,diquantoniavemma
auto fatte, sempre prese per
povere.Ma,sec’eraio,prima
checiantava…Etuttaquesta
comfedenza non ci l’avesse
datodifareceildoposcuola.
Laprimacosa,iocidiceva
che: «Vialtre vi avete
schifiato di mia madre,
perché vi pareva troppo
bassa, ma ora io non mi
facete schifo, mi fate puzza
aderetura,escuolanonmine
faccio».Perchélapezzaserve
propia per il pertuso 17,
diceno li antiche, che chi
parllamaleedesprezzalasua
razza si sputa supra di lui
stesso.
Cosí, voleva essere io, per
schifialle, non quella stubita
di mia moglie, che tutta si
pisciava vedento a questa
nobilefamiglia.
Io penzava ora, che
Turiddo, facento il bienni a
Catania, per il triennio
dovevaantareaRoma.
Ecihodettoamiamoglie
che quanto Turiddo fineva di
fare il bienni, ci antava io
arRoma, e ti faceva vedere
come era capace di trovarece
una stanza a Turiddo, io. E
mia moglie mi diceva che io
era inafabeto e uno che non
avevacamminatomai.Ecosí,
io aspetava che Turiddo
fineva di fare il bienni a
Catania, che poi io parteva
perRoma.
Io sempre aveva chiachire
con mia moglie, quanto
ammia mi diceva: «Mio
fratello si lavoriavo di
incegnierea30anni,edoppo
tantesoldespesedovettefare
perforzzailprofessore».
Eiomiarrabiavaquantoci
senteva dire «mio fratello»,
che neanche si scrivevino. E
poi sempre mi repeteva mia
moglie:«Turiddodevefareil
professoredimatemateca».E
io sempre ci diceva:
«Turiddo, magare che mi
impegno l’occhie, deve fare
l’incegniere».
E fece come disse Benito
Musselino: «O Roma o
morte!»
Cosí, erimo arrevate alle
ulteme di ottobre del1961, e
ionondormevapiúallanotte,
che cercava come poteva
antareaRoma.
Cosí io, che mi veneva il
ciornale del Nastro azurro
tuttelimese,esemprequesto
ciornaleparlavadi«radunoa
Roma del Nastro azzurro».
Cosí, tutte li decorate
avvalure erino invetate per
antare a Roma con il 70 per
cento di rebasso. Cosí, io
disse: «Voglio vedere se ene
vero, che io cosí potesse
antareaRaqusapervederesi
è vero di questo raduno». E
poi diceva che anche i
famigliare potevino partire
perilraduno.
Cosí, parto per Raqusa e
vato a cercare al presedente
del Nastro azzurro, che era il
cretino
del
cavaliere
Cuzzoline. Cosí, io sapeva
chequestoCuzzolineerauno
pagnotista18,edisse:–Semi
fa partire amme e mio figlio
Turiddo per antare a Roma,
che poi ci faccio assaciare la
salsiciadiMaiore.
Lo Cuzzolino mi ha detto:
–Ora,Rabito,faciammocosí:
iovifacciounalettra,laporta
leiadAntonioDasta19esifa
fareladelicaleicomefosseil
presedentedelNastroazzurro
di Chiaramonte, e poi lei
vieni qui con la bantiera del
Nastro
azzurro
di
Chiaramonte.Ecosè,leiparte
comefusseilpresedente.Eio
cercoquiaunoracusanoche,
poveretto, ene combatente e
avebisognodiantareaRoma
e solde non ni ave, cosí ci
faciemmo
fare
il
portabantiera. Perché il
presedente e il portabantiera
non pachino. E cosí, non
faciammo pagare neanche a
suo figlio, che ene figlio del
presedente–.(Cheeraio).
E cosí, io disse: «Che
sogno fortenato, che mi
asparanno 20 una ventina di
mila lire, e il manciare ci
danno; che ci danno un bello
cistino, e spartte l’aloggio
franco, quanto dormiamo a
Roma…»
Cosí, io mi offatto fare le
docomente pronte per partire
perRoma.Poi,conunalettra
fatta di Cuzzoline, vado
all’amministrazione
provinciale.
Cosíio,quantohopresoil
permesso dal lavoro, subito
subito vado a Chiaramonte,
vado a prendere a mio figlio
Turiddo, e ci ho detto: –
Turiddo, domane partiemmo
perRoma!–ETuriddo,come
intese «Roma», che non ci
aveva stato mai, pare che
avevapreso10milioneconla
Sisilala 21, di quanto era
contente.
Io mi aveva portato una
valicedimanciaree2chiladi
salsicia per manciare per
strada io e Turiddo, e lire
30.000 mila lire mi aveva
portatoperilviaggio.Però,il
biglietto, io e Turiddo, lo
doveva pagare tutto io. Però,
la cercolara diceva che poi
questesoldecheiopagavami
venevino remporsate al
retornno.Edaveromil’hanno
dato!
Io, con quelle lire 30.000
mila lire, 10.000 li ho dato a
Turiddo per devertirese, il
viaggio ho pagato, e 5.000
mila lire mi sono restate. E
disse:«Sonoaposto».
Cosí, presimo il treno alle
ore 10 e 40 e patiemmo per
Roma. Turiddo fina a
Turmina 22 ci aveva stato. Io
arRomaciavevastatto,maci
aveva stato l’ultima volta nel
prencipio del 1943, che
Roma, nei prime ciorne del
prencipio del 1943, era tutto
malantato, perché la stazione
eratuttadistrutta.Quinte,ora
doveva essere bello Roma, e
quinte Turiddo non vedeva
l’uradiarrevareaRoma.
Cosí, in 24 ore fommo a
RomaTammene23.Mihanno
portato alla caserma dove
c’erino tante letta preparate
per tutte i decorate del
raduno, che lí dovemmo
dormireper5opure4ciorne,
per fina che feneva la festa.
Lí, c’erino i poste nominate,
spece per i siciliane che
venevino da lontano. Cosí,
allasera,cipotiemmomettere
a dormire, che erimo
stranotate 24. E questa
casermmo si chiamava
«caserma Salviate», dove
primainquestacasermac’era
ilcomantodellacavalleria,ai
tempechec’erailre.
Ma
Turiddo,
come
arrevavo a Roma, e si
assicuravo dove io era che
dormeva, si n’antò. E quinte,
con certi suoi amici venuti
dallaSiciliasinesonoantate
acirareRoma,eiononciho
voluto antare, perché mi
aveva arreposare, che poi mi
avevaamettereacamminare
per potere trovare una
pinzioneperTuriddo.
L’indomani, verso li ore
11, che si doveva fenire la
festa, io poi era libero e cosí
poteva cirare. E poi io a
Cuzzoline ci aveva detto che
dovevacercareunapenzione,
e lui mi ha detto: – Come
feniscilaceremonia,leisine
vade; che ci ave 2 ciorne di
tempopercirare.
Turiddovinneallamatinae
io ci ho detto di venire con
noialraduno.Edaverociha
venuto.
Ci n’antiammo al palazzo
dello Sporte, ci abiammo
fatto li fotocrafiei, tutte a
croppo della provincia di
Raqusa. Ma Turiddo già si
n’aveva antato e nella
fatocrafianoncivennie,emi
hadispiaciutotanto.
Cosí, ni ha dato la
sodisfazione
magare
l’onorevoleQurrieredifarese
lafatocrafiaconnoi!Cheera
il presedente del Nastro
azzurro di tutta l’Italia. E si
hafenitolafesta.Eoracheè
che voleva partere, partia per
ilsuopaese,echenonvoleva
partire,nonparteva,epoteva
stare 5 ciorne a Roma per
divertirese – perché poi,
passanto li 5 ciorne, il
bellietto di antate e ritorno
piúnonvaleva.
Ecosí,ioportailabantiera
dove dormiammo con il
portabantiera, che l’aveva io
in conzegna. E poi io, il mio
penziero era di trovare la
penzione. Poi manciaie, che
totta quella salsicia mi la
dovettemanciareio,perchéio
era quello che non voleva
spente solde, tanto che per 5
ciorne che io ciranto a Roma
soldenonnispeseperniente,
sempre che manciava pane e
salsicia.Ecosí,bivevavinoe
camminavaRomaRoma.
Per primo, io mi n’antai
dove era la facoltà di
Incegneria, che mi lo faceva
dire, caminanto caminanto,
delle costorine, opure dai
portalettere.
E
cosí,
finarmente
ho
trovato
l’oniversità, che era a
SamPietroinvVinco 25.Cosí,
disse: «Da queste vicenanza
devo cercare la pinzione per
dormire Turiddo, e magare
perfarllomanciare».
Cosí, mi misi a girare
portone per portone, sempre
domantanto.
Finarmente,doppo5oredi
camminare, entro in unno
cranteportone,chesicuroche
ci abetavino una 30 trentina
difamiglie,ec’eradentrauna
donna che aspetava il marito
che era mutelato, e mi ha
detto che aveva una casa in
afittocon5stanzie,2sempre
li teneva per civenotte che
erino studente e ci faceva
magare il manciare solo al
mizzociorno. Una di queste
stanzieralibiraeunal’aveva
ocupato una signorina, e
forsse era impiagata, o pure
eramaestra,nonmilosapeva
spiagarelasignora.
Cosí, mentre stavamo
parlando,venneilsuomarito
con una scampella e
umpiciriddo che era figlio
sua. Cosí, piano piano,
saliemmo li scale e mi ha
fattovederelacasa.Edavero
c’erino questa 2 stanzi, che
una era chiusa perché era
ucupata, e li altre 3 ci
abitavinoloro.
Cosí, ci abiammo messo a
racionare, e mi hanno detto
cheerinocalabrise.Ecosí,mi
piaceva il suo dire e io ci ho
piaciuto nel parlare, che ci
diceva: – Il mio figlio è
umpezzo di pane e ci deve
stare il minimo 5 anne a
Roma. E quinte, lei, per 5
anne, la stanza l’ave afettata.
E quinte, se ni potemmo
arrevare al prezzo fossi
buono, che mi piace il suo
fare,signora.
Ma il suo marito non
parlava, fumava sicarette. E
poi mi ni sono acortto che ci
piaceva il vino, perché ci
aveva il butiglione pieno li
vecino. Cosí, io diceva fra
me: «Questo sarà uno buono
beveturedivino…Miofiglio
iocistaioimprogliantochela
stanza l’aveva assicurato per
5 anni, ma chi lo sa se ci
stape2mese...»
Ma poi disse: «Per ora
questaèbuona,epoi,quanto
Turiddo diventa prateco, chi
lo sa quanto penzione può
cerare... Quinte, per ora è
buonaquesta».
Poi, io ci ho detto che mi
chiamavaRabito,ederadella
provincia di Raqusa, e mio
figlio si chiamava Turiddu e
aveva 20 anne. E lui mi ha
detto: – Deve essere uno
beravonellascuola–.Cosí,ci
ho detto subito: – Faciammo
il contratto, che cosí io ci lo
faccioconoscire.
E abiammo fatto 12.000
lire al mese, e oltre il
manciare una volta, a
mezzociorno.
–Poi,seiocilavoquache
motanta, certo che se mi la
vole dare quache cosa altra
miladà…
Poi,lasignoramihadetto:
–Ioquipaco50.000milalire
al mese, quinte lire 15 mila
miledàlasignorinae15.000
mila lire suo figlio, e cosí
trammolavita26.Iofacciola
coppolara27emiomaritoene
motilato, quinte rimediammo
etrammoavante.
Io vedeva che la signora
non era umpezzo di butana e
videva che era una femmina
di casa, e tra di me diceva:
«Questa è la casa che io
cercavapermiofiglio».
Cosí, erino li 11 e menza,
io aveva una fame di lupo, e
ci ho detto: – Signora, mi
pare che lei è una donna di
famiglia. Ora mi deve fare il
favore che mi deve fare il
manciare per mezzociorno
una volta. Deve fare il conto
come fosse mio figlio, per
vedirequellochecifatutteli
ciornequantodormequi.
E lei, tanta centile, e
magaresuomarito,mihanno
detto:–Vabene–.Ecosí,lei
cocinavo il primo manciare,
non per Turiddo, ma per me,
tantoperfaremepersovasodi
quello che doveva manciare
Turiddo.
Cosí, mi hanno conzato la
tavola e mi hanno dato un
bello piatto di pasta co’ il
suco di pumedoro pilato, che
io, con tutta quella fame che
aveva, quase quase che non
milapotevamanciare…Poi,
una bella bistecca e una
bananaeilcaffè.
Poi, io ci ho detto: – Ora
vadoacercareamiofiglio,lo
porto qui, vi lo faccio
conoscire.Cosí,vilasciouna
capazza 28, e mio figlio sape
che quanto si mettono li
scuole, che ci vole ancora 15
ciorne,evienequi.Peroraci
n’antiammoinZicilia.
E poi, io mi sono revolto
versoilsignoreCrasto 29eci
ho detto: – Quanto viene il
miofiglioquidifinativamente
dalla Sicilia, ci manto 2 litre
di vino propia delle mia
partte, che il mio paese è
vicino Vittoria, dove c’è il
migliovinodil’Italia.
EilsignoreCrastone,come
intese «il vino buono», si
affatto il cuore e tutte si
hannomessoaridere.
Cosí, io parto e vado nella
casermaSalviatepertrovarea
Turiddo. Che aveva tanto
tempo che non ni vediammo,
perché si l’avevino portato
quellespostatedeisuoiamici,
che forsse forsse si l’avevino
portato non a fareseci cirare
Roma,maacercarebutane…
Cosí,iocihodetto:–Iola
penzione l’ho cià trovata.
Cammina, Turiddo, che ti la
facciovedere!
Cosí, io ho presentato mio
figlio. Cosí, Turiddo fu
contentodiquestapenzione.
E cosí, dopo, io, tanto
contento, mi ne sono antato
alla caserma Sarbiate. E io
cercava a Cuzzolino e l’ho
trovato, e mi ha detto: – Io,
caro Rabito, devo stare
ancora 2 ciorne e lei, con la
bantiera, se vole partire,
parte. Che io debbo votare
per fare il nuovo presedente
alPalazzoBarbarino30.
Io ci ho detto a Cuzzoline
seiocipotevavenire,emiha
detto:–Maleinonèinvetato
e sono securo che non lo
fannotrasere.
Ma io, sempre che voglio
vedere e tocare, non ci fece
capire a Cuzzolino che io ci
voleva antare, ma ci sono
antato, a questo Palazzo
Barberino, io che per cirare
sonostatosempretifoso.
E cosí, mi sono trovato in
questo famoso Palazzo
Barbarino,cheio,invitamia,
mai ci aveva stato. Cosí,
secome io sono stato sempre
abitovato a domantare,
magarecheerasicurocheera
il Palazzo Barberino, e cosí,
prima di arevarece, che ci
volevino ancora 10 metre, io
ho domantato a uno anziano
signore che portava il
destentivo del raduno, come
lo portava io, ma io era un
antico soldato, mentre lui era
uncenerale.Maio,però,non
lo sapeva, altremente non ci
avesse domantato, perché mi
avessecredutochemiavesse
remprevirato. E invece fu
tutto al contrario. Che, come
iocihodetto:–Chiedoscusa,
mivolediredoveèilPalazzo
Barberino? – subito mi ha
detto:–Ciàsiammorevate.
Poimihaquardatoemiha
visto il nastrino, il Nastro
azurro, e poi mi ha detto: –
Tu che sei un decorato, puoi
entrare al palazzo, perché
oggieenelanostrafesta–.E
mi ha detto: – Entra comme,
perché questa festa apartiene
propia annoi della crante e
vittoriosaquerra.
E io era cià lí dentra, che
c’era una forte confusione di
tutte li oficiale d’Italia, però
tutte decorate, e di crado il
piú poco era il capitano. E il
cenerale mi ha detto: –
Questafestaapartieneatuttei
vere combatente, perché
portammo il valore nel petto,
perché avemmo fatto l’Italia
crante nella querra 15-18 –.
Poi mi ha detto: – E tu che
cosasei?–Io,ecellenza,sono
un soldato del 99 –. E cosí,
mihastrettolamanoemiha
detto: – Bravo! Che vi sete
deportate di vere italiane nel
Piave! Avede defeso per
davero la Padria, non come
tante lazzarona parteciane! –
E questo cenerale lo diceva
fortteforte,questeparole,che
le sentevino tante, e tutte si
stavinomote.
E cosí, io camminava con
lui. E per fina che
atraversammo il crante
corretoio
del
Palazzo
Barbarino,io,checamminava
conquellocranteufficiale,le
quardieatuttedomantavinoli
tessere, che cosa erino tutte
quelle che entravino, e a me
non mi hanno cuiste nessuno
docomento.
Mentre sonareno l’abiso
che era l’olario delle
votazione,eilceneralemiha
stretto la mane e si n’antò, e
io restai lí dentra. Che poi,
questo cenerale, doveva
votare per eleggere il nuovo
presedente.
E quello crante cenerale
entrava nella crante sala, che
era molto crante, che io
ancorainvitamianoniaveva
mai viste cosí grandi, e
quinte, forse che c’erino li
posteprinotate,equintevedo
il cenerale che si n’antò nei
prime file, e io non sapeva
dove mi ne doveva antare.
Ma,
comunque,
sfaciatamente, mi sono
seduto, a Dio e la fortuna,
quellochenascenasce...
E cosí, ho visto una crante
quantetàdiceneralevechie,e
tante vecchi femmene con
tante miraglie nel petto –
forsse erino vedove dai
ceneralescomparsse–,etante
minestre c’erino, e io aveva
vicino
all’onorevole
Antriotte, che lo conosceva
perché io l’aveva visto alla
televisione, che da quelle
tempe era ministro delle
Forzze armate, ed era per
questo che si trovava in
quella crante sala. E poi, ebe
il piacere di vedere il
presidente della Republica
Cronche, che era pure con
quellamanefestazione.
Poi,fenutalafesta,c’erail
pranzo, e tutte antavino
ammanciare. E io cercava di
sediremeperpoteremanciare,
che aveva una fame che non
poteva stare, perché io aveva
4 ore che era lí dentro. E
quinte, non sapeva come mi
dovevapresentare.
Videva che c’erino tante
cameriere vestite in crante
niformma e nelle tavoline
tante mazette di fiore e tante
butiglie di licuore, e che
vineva manciava. E cosí, io
disse:«Seavesselafortunadi
manciare, che bello recordito
che avesse... Manciare a
tavola con questa acente!»
Che c’era manciare che io
nonavevamanciatomaie.
E cosí, mi ho vestito di
coraggioedisseframe:«Ora
mi siedo e come fenisce
feniscie...»
E cosí, mi sono seduto, e
quanto vedo venire a 2
cammeriere, uno che diceva:
– Lei che desidira di
manciare, – mentre l’altro
voleva vedire il tesserino di
antrada. Cosí, io mi sono
confusodiquellochedoveva
respontere, facio una mossa
per mettere una mano nel
portafoglio e dico: «Quanto
parllo con il cenerale»,
mentrec’eraunaconfosionee
mi la sono sbignata. Mentre
che li 2 camariere, prima di
domantareme, mi avevino
fatto un inchino come quelle
cheavevinofattoallealtre...
Ecosí,minesonoantatoe
offattounabruttissimaficura.
E cosí, di corssa, sono
antatofuorediquelloPalazzo
Barbarineeminesonoantato
alla caserma Salviate. E lí ci
avevatantomanciare.Sempre
quellocheioavevaportatodi
Chiaramonte.
Turiddo, fra 15 ciorne,
doveva deventare romano...
Che io lo stesso che penzava
che io aveva avere un figlio
incegniere, che si chiamava
Turiddocomemiopadre,che
morio a 40 anne con una
pormenite, che pareva che
fussestatoammazato,eorail
figlio di suo figlio Vincenzo,
che porta il nome di suo
padre, deventerà incegniere
conlalauriadiRoma...chilo
sa di quante chiaramontane
che deve essere invediato? E
compurecheavevafattotanta
malavita per fare studiare ai
figlie e miliona di bastemie
aveva butato, perché l’ebiche
neiprimeanneerinotreste.
E
io
aveva
una
contentezza... Che non zi sa
di quanto era contente che
avevatrovatolapenzioneper
miofiglioTuriddo,arRoma.
1
LadittaFratelliSchembari.
2
L’Azienda siciliana trasporti
autobus(Asta).
3
aforreare:avisitare.
4
penzamiprima:pensiamocibene
prima.
5
messo a prezzo: messi a
contrattare.
6
Ci arrestino 4 materei: deve
riparare4materie.
7
statuto:istituto.
8
bunciare:gonfiare.
9
conzemato:rovinato.
10
Achecazzolaconta:achicazzo
lavaaraccontare.
11
trozare:toccare.
12
Tutescante:tuhaipaura.
13
lireterate:gliarretrati.
14
spietto:furbo,ingamba.
15
salto:sarto.
16
intifeciente:deficiente.
17
la pezza serve propia per il
pertuso: la pezza è grande quanto il
buco,cioè:siricevetantoquantosidà.
18
pagnotista: uno a cui piaceva
mangiarsi«lapagnotta».
19
Presidente del Nastro Azzurro
perlazonadiChiaramonteGulfi.
20
asparanno:risparmio.
21
LaSisal
22
Taormina.
23
RomaTermini.
24
erimo stranotate:
avevamo
dormitopocoemale.
25
SanPietroinVincoli.
26
trammo la vita: tiriamo avanti,
campiamo.
27
coppolara:cappellaia.
28
capazza:caparra.
29
Crasto: montone. Storpiatura
ironicadelnomeGastone.Subitodopo:
Crastone.
30
PalazzoBarberini.
Capitoloventesimo
Lostudioperl’incegniere
Cosí, il Rabito era sempre
al lavoro, perché la vita sua
era fatta propia per fare
sacrafizie e bestimianto
quanto li affare mi antavino
male. Passavino i ciornne,
passavino i mese e li anne, e
questa vita troppo sacraficata
no passava mai. E poi,
doveva
dare
magare
sodesfazioneallacentechesi
manciavino la mirudda 1
comefacevaiopermantenere
3 figlie alla scuola: uno a
Romae2aRaqusa.
Era il 1964, e io a
Chiaramonte non ci poteva
stare, perché nella strada li
vecineerinomoltoinvediose,
perché li acente vedevino
venire a Turiddo di Roma e
venevaconunabuonasalute.
E poi che, quanto vineva,
magare era capace di fare
scuola di matematica a certe
alunne del cenasio. E quinte,
si cominciava a senteri dire
che Turiddu era uno ragazzo
interllicente e a posto, che
quanto uno stodente che ci
arrestava la matematica e ci
faceva il dopo scuola
Turiddo,
lo
facevino
promosso. E quinte, tutte li
cretineavevinoinvidia.
Ma era tutta invidia che
avevino perché ci corpavo
miamoglie,checiavevadato
moltaconfedenza,assaiassai!
Ma io questo lo sapeva e
faceva finta di non lo capire,
perché tutte queste cente
miserabile volevino che io
dasseunapocodibastonatea
mia moglie, e cosí io veneva
denonziato,ecosísisfasciava
lafamiglia,ecosí,inveceche
io con i miei figlie di antare
avante,antasseintietro.Maio
questo piacere non ce lo
volevadare.
Penzava che, se c’era uno
che non parlava e mi dava 3
milione della casa nuova, mi
la venteva e mi n’antava di
Chiaramonte, perché a mia
moglie non la potevino
vederepiú:primaperinvidia,
poi perché era assai
avantaciusa 2, poi perché ci
pareva che tutte ci facevino
male ed era fessata, poi
perché era fascista, che in
quella strada erino tutte
rofianedelbaroneMelfe,che
raportavino 3 sempre per
farenesciarriare.
Equinteio,perforzza,con
lafamigliamidovevaantare.
Ma,però,primamidovevino
retrare del posto, che ci
volevapoco,checivolevaun
altro anno. Cosí, si lavoriava
mio figlio Turiddo e ci
n’antiammotuttelafamigliaa
Raqusa.
Io, le conte, mi le sapeva
fare, poi perché amme,
concedandome,iononpoteva
sostenerelispese,ecertoche,
con la penzione che mi
assegnavino, li solde piú non
mi bastavino, perché mi
assignavino660.000all’anno,
ecertocheerinounamittàdi
quellesoldecheioprenteva.
E quinte, doppo che mi
concedavino,
restavino
ancora poche mese per
lauriarese
Turiddo,
e
bisognava di ventere la casa,
perché l’ultime mese ci
doveva mantare magare lire
100 mila lire al mese. E
quinte, per ventere questa
descraziata casa, ci doveva
penzare per lo meno 2 anne
prima.
E infatte, fu davero cosí,
propiacomedicevaio,checi
n’erino tante che si la
dovevinocomperare,matutte
arrevavino a 2 milione e
menzo, e io non ci la dava,
perché in quella maledetta
casaiocin’avevaspesetante
che ni aveva potuto
comperare 2 o 3 case, ma 3
case non maledette come
questa.
Poi, magare che Turiddo,
lautiantese, a Chiaramonte
lavoro per lui non ci n’erino,
perché il paese ene piciriddo
e uno incegniere non potesse
campare.Equinte,erameglio
di abitare a Raqusa e
ventiremelacasa.
Cosí davero fece, che mi
sonomessoacerarecaseper
Ragusa, e finarmente ni ho
trovata una che era di uno
cantoniere che si chiamava
Vitale. Per lire 8.000 c’era il
terrazino, però era troppo
stretta, con 2 stanzie, ma era
conviniente.
Turiddo, che aveva fatto
scuola a 25 piciotte, aveva
quadagnato quase 350.000
mila lire, e si l’ha portato
tutto a Roma, per pagare il
suo affitto, e per noi è stata
unafortuna,perché,sequeste
350.000milalirelidovemmo
uscire noi... E cosí, hanno
aiutatoaportarelacroce.
EpartiemmoperRaqusa.E
cosí i miei 2 figlie, Tano e
Ciovanni, non c’era di
bisognodiviaggiare.Lacasa
era nella via Filippo Turate.
C’era la doce per lavarese e
c’era anche il terrazino per
stentere la biancheria, e si
potevaacomitare.
Io antava e vineva di
Chiaramonte matina e sera,
conl’autobusso.
Ma l’anno fu sfortenato,
perché Tano sempre faceva
propaganta di fascista, e il
presete e i professore non
l’hanno potuto vedere e non
lohannoamessoall’esame.Io
l’aveva aracomantato. Ma
secome lui lo studiare ci
faceva schifo, non voleva
studiare.Poi,avevapassatoli
2anneditrepetezione4enon
ci poteva antare piú alla
scuola, che ci atocava di fare
ilsoldato.
Cosí, Tano si n’antò
amMilano.Cihodatolire20
e umpoco di manciare, e io
alla
matina
lo
ho
acompagnatoall’avotobusso.
Che, come partio questo mio
figliosfortenato,iomioffatto
una settimana di pianto: che
questo figlio, doppo 15 anne
di scuola, aveva restato solo
con il 3 chimico, che non
valeva niente, e tante solde
spese, e il 3 chimico valeva
quantovaleilprimocenasio.
Quella pena amme non mi
poteva passare, che questo
mio figlio, che era lo piú
spertto quanto era picolo, si
ha trovato sballato. E io
semprepenzavaaTanuzzo,e
piancevaquantocipenzava.
Poi, scrisse la prima lettra
di Milano e dice che
quadagnava5.000milalireal
ciorno,emioffattoilcuore,e
disse:
«Menomale
che
comincia allavorare». E
faceva il rapresentante di
libra. Ma, ancora, a questo
mio figlio Tanuzzo, la
sfortuna lo persequitava, che
quello posto stesso, non so
comefu,cihasmarrito.Ioera
tutto priato che mio figlio
quadagnava 5.000 lire al
ciorno, l’aveva detto a tante
amice...
Cosí,allasecondaletteradi
Tanodiceva:
«Caro papà, qui a Milano
piú non ho potuto trovare
lavoro e non haio che
manciare. Manteme lire
20.000 lire, quinte mi ne
venco. Che cosí mi ne vaio
soldato».
Eio,comerecevettequesta
lettera, mi ho dispiaciuto
tanto e pianceva come uno
piciriddo io, perché aveva un
figlio cosí sfortenato. E,
subito subito, io, che per i
figlie era pazzo, come si
affatto ciorno, non penzai a
nienteallamatina,mapenzai
chemiommessodavanteallo
uficio
postale
di
Chiaramonte, che, come ha
aperto, ho provveduto di
farece il vaglio telecrafico di
25.000 mila lire e mantarlle
subito subito a Tanuzzo
amMilano,chemiparevache
stavamorentodifame.
Cosí,Tanuzzo,inciornata,
ha receuto li solde e subito
venne. E noi tutte che
spetammo. E, come venne,
amme mi pareva un figlio
perssoel’avevatrovato.
Cosí, mi ha detto: – Caro
papà, lavoro non ni ho
trovato, perché non offatto il
soldato.Maoravediammose
potesse fare il soldato, e
doppo vediammo quello che
possofare:iominevadonel
Brasile, mi ne vado in
Cermania, mi ne vado a casa
del diavolo, che ci ho 2
bracciaevogliolavorare.Ma
prima mi devo librare il
soldato.
E cosí, davero partio
Tanuzzo per soldato, e lo
hannoportatoaParmanuova5
e l’hanno destenato nella
compagnia di carre armate
semovente.
Cosí, Tanuzzo, che era
pazzo di volere antare
soldato, doppo che passareno
8 ciornne, che venne una
lettra che mi ha dispiaciuto
tanto: lo senteva lamintare
che soldato se stava male e
volevacheiomin’antavanel
dottoreCafaperdirececheio
aveva una brutta maletia che
era impericolo. E cosí, con il
certificato del medico, e
avestata 6 del maresciallo,
Tanopotevavenire.
E cosí, io ci ommantato a
direchequelloimproglionon
si poteva fare. E cosí,
Tanuzzo si allevato quella
impresione che voleva venire
per forzza a casa, che ancora
aveva ciorne 8 che mancava
diChiaramonte.
Poi, io ci ho fatto capire
che soldato io ni offatto 7
anni e non mi aveva mai
persso di coraggio: – E tu,
con ciorne 8, sei tutto fenito!
Eio,questotempodisoldato,
lo fece in tiempo di querra,
mentre tu lo fai tempo di
pace…
Cosí,Tanuzzosiabitovavo
afareilsoldato,chescriveva
una lettera d’ogni 2 ciorne,
perchéciparevabruttoastare
lontanodellasuacasa,eforse
forse che ni era pentito che
non volle scuola, perché,
auqualeaqqui,nonfacevinoi
soldate,mafacevinoilcorsso
di sottotenente. Quinte,
Tanozzosiavevafattocapace
cheavevasbagliato.
Epoi,aRaqusa,mimettoa
cirare di nuovo per cercare
case, e finarmente ni ho
trovata una, non piú con lire
8.000, ma con lire 16.500 al
mese. Ma, però, il punto era
vicino a piazza Libertà, casa
umpocosignorile,mapernoi
cheerimoabitovatenellecase
strette era buona, perché
mobile ni avemmo poco e di
niente.
Poi che quello anno fu
propia l’anno che amme mi
hanno concedato, e piú la
quantetà dai solde che mi
davino quanto era in servizio
nonliprentevapiú,quinte,io
disse: «Ora prento in tutto
70.000 mila lire al mese di
pensione,eprimaniprenteva
140.000milalire».
Quinte,ilconforttomioera
di ventere la casa di
Chiaramonte, casa bella
nuova... con tante sacrifizie
fatte e tanto lavoro mio
fatto...
Cosí, io diceva che: «Ora
chelacasadiChiaramontefa
comparssa 7, mi la puonno
pagare lire davero 3 milione.
E cosí mi servono per fare
studiare ai miei figlie, e
magare che si congeda
Tanozzo, e si vuole
diplomare, lo faccio sempre
diplomareconimieisolde».
Cosí, lasciammo la casa di
Chiaramonte vuota, solo con
unotavolinoe4sedie.Cheio
sempre ci veneva: o per
prentere la pinzione o pure
pertenerepolitalacasa,epoi
per farlla vedere a qualcuno
chesel’avevaacomperare.
La casa di Ragusa era
buona, ma mobili non ni
abiammo, e certto che se
vineva qualche d’uno ni
parevabrutto.Cosí,passareno
pocheciorne,esisentevadire
che, annoi che erimo
concedato, l’Inadelle 8 ci
divevadarelire400.000mila.
Io diceva tra me: «Se fosse
daverocosí,permefosseuna
fortuna». Perché mi davino
pocoenonpotevafareniente.
E davero passareno 15
ciorne e mi hanno chiamato
all’amministrazione
provinciale e mi hanno detto
che annoi ci atocavino piú
500.000 mila lire, «ma per
oraprentetevequeste,chepoi
scriviemmoaRoma».
Amme, li 400.000 mila
lire, in quello momento, mi
parevino400milione!
Cosí, mia moglie e io ci
abiammofattoilcuore.Cosí,
partiemmo e antammo inni
uno nicozio e abiammo
comperato
un
descreto
salotto, il porta umprella e 6
sedie,etantealtrecosuzzedi
casa che piacevino ammia
moglie. E cosí, abiammo
armato 9 una stanza da
recevire discreda. Che cosí,
se venevino amice di
Ciovanni, e quanto vineva
Tanuzzo, e quanto vineva
Turiddo, che veneva di
ingegniere–quintequestoera
il primo salotto che noi
abiammo comperato –, cosí
non ci faciammo tanta mala
comparssa,conquellacasa.
Poi, il bidello, Vannino
Pilodoro,cheiociavevadato
l’incareco di ventere la casa
diChiaramonte, mi ha detto:
– Don Vincenzo, questo ene
ilmomentodiventerelacasa.
C’ene uno che si chiama
Mercorillo, che li solde ci le
dà,e2.800.000milalirecila
paga.
E io ci ho detto: – O 3
milioneoniente.
E davero mi lo portò. E io
ci offatto vedere la casa e ci
ha piaciuto, perché la casa io
ci aveva fatto tante cose
nuove. E subito subito, in
zelentio, abiammo fatto il
complemessoper3milione,e
300milaliredipenaletà.
Cosí,
fatto
il
compelemesso, io, davante al
notaio, mi offatto dare li lire
300.000mila.
Ioaveva25annechesono
maretato e ancora queste
signore, questa maledetta
casa, non ci hanno fatto la
precuraamiamoglie.Quinte,
quello che si prente questa
maledettacasasimetteacasa
deldiavolo,perchél’attonon
zi pole fare. Quinte, eni una
rovina per chi se compera
questa casa. Io solo ci posso
ventere la mia casa, che eie
quellanuova,mailpassaccio
d’ingresso ene della casa
vechia.
Cosí, io mi ne sono antato
a Raqusa e ci ho detto a mia
moglie: – La casa ene quase
venduta, quinte faciammo
fare ora li precure, il tempo
c’ene –. Che l’atto si doveva
chiudere il primo ottobre del
1966.
Fecimo
il
compelemessonel19cennaio
del1966,quintecivolevino9
mese.
Quinte, in queste 9 mese,
queste crante recona avevino
voglia di potere fare il
precure! Però, il primo che
fecelaprecurafuilMariano,
maperòvolleesseremantato
li 4.000 lire per fare la
precura davante al notaio, e
mi la mantavo; poi, dopo 25
anne, il presete; e poi, dopo
25 anne, la fece quello che
per recalo portò quello
miserabile crocefesso di
dodice lire; poi all’ultimo,
dopo 25 anne, questa
maledetta cissione la fece la
crantereconadiSiraqusa,che
volle essere mantate le spese
del notaio di questa
miserabiledota,cheaveva25
anne che io bestimiava,
perchéilvalorecheavevaera
dilirecentomilalire,mentre
cheiocin’avevaspesoper4
volte. Ma non mi importava
perniente,basticalaventeva,
questadesonoratacasa!
Cosí, venne il mese di
ciugno, e a Ciovanni ci
arrestareno 2 materie. Ma
Ciovanni era capace di
prepararaselle lui. E cosí, io
faceva tante penzate di come
dovevafare.Civolevaantare
a Chiaramonte ad abitare e
non ci voleva antare, perché
era per starece luglio, aqusto
e setembre, e poi ci ne
dovemmo antare, perché
veneva il mese di ottobre,
perchésidovevafarel’attoe
lacasapiúnoneranostra.
Cosí, penzava e diceva:
«Turiddo, se noi non
antiammo a Chiaramonte,
tante caruse per dopo scuola
non vencono, perché lo
speteno10aChiaramonte».
E cosí, fommo a
Chiaramonte e aspetammo a
Tano, che si doveva
congedare,eaTuriddo,chesi
doveva lavoriare. Cosí,
spetiammo una crante cioia
nellafamiglia...
E finarmente, doppo tanto
aspetare, ha venuto una
lettera di Roma, che era una
lettera di Turiddo che diceva
che il 22 di luglio ci
trovammo di presenza.
Turiddo aveva delle vacanze
diNatalechenonveneva,per
l’amore di studiare e
lavoriarese presto... Chi sa
quantostudiavoTuriddo!
Edissechevenevalauriato
e non desse altro. Però io,
passantodiSanPolippo11,mi
sento chiamare del tenente
colonelloJabicoBerretta,che
eraconsuamoglie,emidice:
– Dommincenzo, lei ci vole
venire a Roma a vedere
lauriare ai nostre figlie?
Perché io il ciorno di 18 di
questo mese mi ne vado a
Romaconmiamoglie.
E io ci ho detto: – Non ci
venco –. Perché ci volevino
per lo meno lire 100.000
mila, che io non li voleva
spentere. E poi che aspetava
magare a Tanuzzo che si
congedava e amme non mi
conveneva.EpoicheTuriddo
nonmil’avevamantatoadire
di venirece a Roma, perché
eratroppotraficuso12permia
moglie. E cosí, il Beretta ci
antavo e noi niente, perché
sempre per non avere solde.
Machecosacipotevafare?
Cosí, revavo il ciorno 22
luglio, che questa ciornata fu
piú lunca per me, che
aspetava a Turiddo e li ore 6
nonvinevinomaie,easpetava
l’avito busso dai Schembre e
queste auto busso non
vinevinomaie.
Ma, versso le ore 4, io mi
trovava a passiare, io e mio
fratello Paolo, vicino alla
villa, e quanto mi sento
chiamare di quello che porta
il telecramme, Laterra, e mi
dice: – Don Vincenzo, c’ene
un telecrammo di Turiddo! –
Che diceva: «Finarmente mi
sono lauriato. Questa sera
venco.Turiddo».
Io mi sono spaventato,
sentento dire «lauriato di
incegniere». Io, che quanto
vedeva
uno
miserabile
ceiometrapassaredellastrada
per la solveglianza, che
facevino tremare... e ora
aveva un figlio incegniere!
Che sa quanto io era
contento!Corroevadoacasa
per dirllo a mia moglie, ma
cià lo sapevino tutte nella
strada.
Io,tuttopriato,minesono
antato impiazza e aspettava.
Io aveva il cuore riempito di
cioia, perché mi senteva
ricco, perché mi pareva che
mi aveva uscito la Sisola 13,
mi pareva che aveva fatto 13
con30o40milione,tantoera
contentoquellasera!
Cosí, finarmente, arrevavo
l’auto e tutte scentevino, e
Turiddo non scinteva, e
quardava, e a Turiddo non lo
vedeva,mentrec’eraunaltro
Turiddo,ilfigliodiAncelolo
Mutelato, e mi ha detto: –
Don Vincenzo, a Catania,
Turiddomihadatolivalicee
luidicechevienedomane.
Cosí, io mi sono
dispiacioto. Ma carrecammo
tutto, io e mio fratello Paolo,
e portammo tutto a casa,
perché c’erino li robbe di 4
anni che Turiddo aveva stato
aRoma.
Cosí,
io
e
Paolo
carrecammo tutte queste
valice e li portammo alla
casa. Poi, stava scentento li
scale per antare fuora, e
quanto vedo che davante la
porta c’era Turiddo che
stapevasalento...
Cosí, quella venuta di
Turiddo era l’invidia del
paese. Io aveva una crante
sodisfazione: avere il figlio
ingegniere lauriato a 24 anne
e 10 mese, che era il piú
ciovene della provinceia. E
quelle che erino spertte lo
sapevinochecosavolevadire
essere lauriato di ingegniere,
cheaChiaramontenonaveva
stato capace nessuno. E il
figliodiVincenzoRabitosí!
Cosí, questa lavoriata di
mio figlio Turiddo a tutte ci
acropavo 14: mi facevino
l’aucurie,maiolovedevache
ereno umpoco afonciate 15
certeacente.
Certo che io doveva fare,
come fanno tante, 2 o 300
bamboniere per destribuille a
tutte li vecine, ma con il
cerbellodimiamoglienonzi
potevafareniente,perchéera
con mità di paese sciarriata.
Che non zi sapeva il motivo,
ilperchéerasciarriata,perché
io personalmente non ci
avevavistofarenienteatutte
quelle che mia moglie
credeva di essere sciarriata,
perché era lei prima a
sciarriarese...
Ma io, però, sempre mi ne
sono antato ni Vannuzzo
Fornaro e ci ho fatto fare 60
biglietinedilauria,metentoce
laciornatadiquantosiaveva
lavoriato, e poi mi ne sono
antato a Raqusa, mi offatto
dare il bamboniere con li
confette.Ecosí,ioavevauno
tavolinieddo,
c’era
il
casciolo16,ecil’homesso,e
a chi pareva amme io ci la
dava.
Ecosí,lihodevesoacerte
amice miei, di quelle che
reconoscieva io, tanto io era
l’ultime 3 mese che aveva la
casaaChiaramonte.
Ai miei parente non ci ho
voluto dare bamboniera,
propiapernonzenterequella
bocca parlare di mia moglie,
che poi diceva parolazzi,
propia quelle che diceva
quella delenquente di sua
madre. E quinte, ai miei
parente, che avevino avuto
tanto peacere che si aveva
lauriatoilfigliodisuofratello
Vincenzo, non gli è toccato
niente. Ma io ci l’ho detto
primachenoncinedava,per
non socedere l’infernno con
quella delenquente e stubita
di mia moglie. E cosí, certo
che non ni ebero neanche li
suoi parente, perché la legge
erauqualepertutte.
Cosí,pervoleredellamano
divina, arrevavo il 29
settembre1966.
Cosí,
ci
abiammo
licenziato con questa bella
casa, che io aveva fatto
migliaia di male comparsse,
cheavessepreferitofarealtre
2 querre e non abitare in
quelladescraziatacasa.
Eilprimoottobredel1966
io e mia moglie ni
presentammodentrailnotaio,
che lí c’era pure marito e
moglie di quelle che si
avevino
comperato
la
desonestacasa,ecosí,sifeci
l’atto.
Piú a Chiaramonte non
c’erimo, e neanche erimo
nellaviaTommasoChiavola,
e vicine piú non ci n’erino
che sapevino che era mia
moglie, e non sapevino che
erasuamadreenonsapevino,
a Raqusa, tutte li fruste che
avemmofattoaChiaramonte.
E io voleva fare una nuova
vita.
Cosí, quanto sono arrevato
a Raqusa, prese 2.400.000
milalireevadoalBanco17di
Raqusaecimetto1milionee
200.000 mila lire al nome di
Rabito
Sebastiana
e
1.200.000milalireanomedi
Rabito Vincenzo, senza che
io mi n’avesse preso piú
assai, perché tra marito e
moglieenelostesso.
Cosí, io prese coraggio e
cominciaieacercareunaaltra
casa a Ragusa, ma no una
casa come sempre antava
cercanto, ma una casa per
quella che stava adeventanto
la mia famiglia, che Turiddo
conunafirmmaeracapacedi
prentere magare centenaia di
migliaia di lire. Quinte,
cercava una appartamento
con 5, 6 stanze, per farece
magare lo studio per
l’incegniere, e magare 2
entrate.
Fudaverofortenatochece
n’era uno propia nel corso
Italiaan.22.Perchéilpunto
perunoincegniereèotimo.
Cosí, io, al padrone di
casa,cihodetto:–Ilprezzo?
Emiharisposto:–Quanta
mivoledarelei...
E io ci ho detto: – Lire
30.000almese.
E lui mi ha detto: – Poco
sono.
Eio,cosí,cihodettochela
casa ci la respetammo come
fosse nostra. E poi io ci ho
detto che aveva il figlio
ingegniere:–Perorasoldeni
avemmopoco...Equinte,che
volefare...
E cosí, secome questo era
unsignore,mihadetto:–Va
be’, se entresasse di falla
finire di pitturare, e poi
faciammo una calta nel
notaio.
Io quardava tutte li stanze
che erino propia belle, poi
chec’erino2entrate.Edisse:
«Io ora la faccio vedere a
Turiddo. E cosí, che sa
quanto ci ha parire 18 bella,
che si ci mette lo studio, e
non c’ene bisogno di entrare
di dove siammo noi. Quinte,
sevieneunapersonachenon
voleesserevistadinoi,entra
dell’altra entrada. E per
quelloèbuono».
Quinte, io era molto
contente di questa casa, poi
che non aveva da fare con
cente inutele, ma aveva da
fare con cente brave e
signore.
Ecihodetto:–Midasseli
chiave–.Emil’hadato.
Ecosí,iocihofattovedere
la casa a mia moglie e c’ha
parsso troppo bella. E poi
l’hofattovedereaimieifiglie
ecihaparssotroppobella.E
poi io mi ne sono antato
subito subito a cercare alle
pittureperfallafinire,perché
il mio figlio era ingegniere e
seavevaaprirelostudio.Eil
piture,sentento«ingegniere»,
subitomihadetto:–Oracila
faciemmo prentere subito,
questacasa.
E, quando fu pronta, in 2
ore, io, Ciovanni, Turiddo e
Tanozzo e mia moglie ci
abiammo portato tutte li
robbe, che era una casa
bellissima. Che per noi fu la
casadellafortuna.
Cosí,unciornovedovenire
a Salvatore Di Martino, e mi
ha detto: – Don Vincenzo, il
suo figlio dove ene? Che ci
conviene
di
lavorare
inziemme,perchéiolavoroci
n’hoassaiassai…
E cosí amme mi piaceva
tanto. Poi, cominciammo a
vedere tante fatocrafieie dai
miei figlie di quanto erino
picole. Poi, mi domantava
quelladiCiovanniconquelle
capellericeie 19, e io tutte ci
l’offattovedere.Cosí,iociho
detto:–Perchénonviparllate
di «tu» con mio figlio
Turiddo,emagareconTano?
Cosí, davero Turiddo e
Tanuzzo con questo Ture Di
Martino si hanno cominciato
a direse di «tu», e hanno
strenciutounaforteeperfetta
amicizia,
speciarmente
Turiddo, che si avevino
apertto lo studio inziemme
nella via Tenente Lena. Che
questo studio prima era tutto
del ciometra Di Martino,
perché la casa era di Di
Martino, e ora lo studio era
Rabito - Di Martino; non
altro, che Di Martino era
ciometra e Rabito era
ingegniere.
1
si manciavino la mirudda: si
rodevanoilcervelloperl’invidia.
2
avantaciusa:prepotente,superba.
3
raportavino:facevanorapporto.
4
2 anne di trepetezione: aveva
ripetutodueanni.
5
Palmanova.
6
avestata:conilvisto.
7
facomparssa:sipresentabene.
8
L’Inadel, Istituto nazionale
dipendentientilocali.
9
armato:messosu.
10
speteno:aspettano.
11
LapiazzettadiSanFilippo.
12
traficuso:laborioso.
13
LaSisal.
14
acropavo:andòditraverso.
15
afonciate:colmusolungo.
16
casciolo:cassetto.
17
IlBancodiSicilia.
18
quanto ci ha parire: quanto gli
devesembrare.
19
riceie:ricci.
Capitoloventunesimo
Larollotta
Io era tutto priato con
questo figlio Turiddo, invece
Tanuzzo non ni aveva
fortuna.
Secome c’erino quelle
descraziatelezionereggionale
del 1967, c’era cantetato
Cutine Salvatore, che si
presendava come deputato al
parlamento di Palermmo, e
Tano era sicuro che, se
resortava deputato questo
Cutene del Movemento
sociale, Tano, e magare tutte
la famiglie credemmo che
questociavessefattocapitare
umposto.
Cosí, stubito magare io, ci
faceva la propaganta per
questo miserabile partito, per
l’amore che portammo a
Tanuzzo. Quinte, io, che era
comunista e rosso per natura
di rere e riditorio, che avia
stato sempre socialista,
sempre prima del fascismo,
dovette fare il fascista per
tuttoiltempodellacampagna
elitorale, sempre per l’afetto
che io portava a Tanuzzo, e
perché mi aveva assecurato,
lo fessa che era io, che, se
vincia questo Ture Cutine,
Tanuzzo aveva umposto
sicuro.
E Tanuzzo, dalla matina
alla sera, tutte li paese si li
cerava sempre con il
microfino credanto: «Viva il
Movementosociale!»
Cosí, questo miserabile
partito a Tanuzzo ci ha
comperato una machena di
seconta mano, vechia e tutta
sfasciata, e lui andava
credantopertuttalaprovincia
che,allasera,quantoveneva,
vineva senza voce, ma per
l’amore di prentere il
postocino,
se
Cutine
asumava.
QuestoCutine,però,nonci
faceva caso a Tano, e
neanche noi tutte in famiglia
ci diciammo cosa, perché
Tano non lo faceva per fare
male, ma lo faceva per fare
bene a se stesso. Ma quanto
uno ene sfortenato non ci pò
fare niente con la sfortuna...
Si dice sempre, come
dicevino li antiche, che:
quanto uno uomo cercca
cordda per afocarese 1 e non
neventeno,ciesciilcanivo2
nelle suoi propia tasche,
quinte la persona si deve
affucareperforzza.
Ecosíeraquestomiofiglio
Tanuzzo,che,dovesimeteva
e miteva, la scaciava fraceta
la nuce, perché non aveva
fortuna, magare che questa
fortuna la cercava. Perché
tutte quelle che avino fatto
propaganta per i partite,
magare
che
avevino
impicicato cartte 3, avevino
auto
umpostecino
per
lavorare,maquestomiofiglio
Tanuzzo niente, perché era
tanto sfortenato, che la
propaganta la faceva sempre
perunopartitovile.
Cosí, Tano stava in
speranza se adeventava
doputato questo Cutine, e
cirava per tutte li paese della
provinciadiRagusa.
Ma un ciorno, con quello
pezzo di machena sfasciata,
vicino Cerratana, con questo
pezzodimachena,Tanoeun
altro suo cammerata hanno
antatoasbattereinuncrosso
muraglione, e come hanno
restato vive fu uno vero
miracolo...
Cosí, io fui tanto cretino
che io disse: «Non mi ne
importta che Tano ha preso
questo crante spavento,
bastica deventasse Cutine
onorevile». Sempre per
l’amore di mio figlio, questa
cretina umilazione... Cosí,
questo, sentento questa bella
parola per lui – che io disse
«spediammo che asuma
Cutine debutato» –, e cosí
questoCutinemihavenotoa
vaciare,chefuilbaciodiIura
quanto ha tradito a Cesú
Cristo.
Cosí, venne la ciornata
delle votazione, e Cutine era
avante per requaldo alle
partitepicole.Comesihanno
fatto i conte di tutte i
resoltate, Cutine era avanto
per250voteimpiúdelpartito
Socialista, e quinte Cutine
aveva vinto. Io, come un
fessa, magare per l’amore di
Tanuzzo, antava venento
della Federazione fascista e
vedeva a Cutine che mi ha
detto: – Coraggio Rabito,
abiammo vinto! – E io ci ho
fatto li aucurie, ma mi sono
afrontato di fronte a tante
chearamontane che erino
dentra la federazione, perché
c’erino tante chiaramontane
cheavevenovistocheCutine
mi ha detto: «Siammo
vinciute»,eiononmivoleva
fare capire che aveva dato il
votoalfascisimo,perchénon
ci aveva stato mai fascista
doppolaSecontaquerra.
Cosí,iominisonoantatoa
casatuttocontenteperdirece
a mia moglie che Cutine era
dobitato e a Tano ci doveva
dare il posto. Propia li stesse
speranze che ci aveva io
quanno mi sposaie, che era
sicuro che questa famiglia
riale, come mi sposava, mi
avevino a dare umposto, e
invece mi hanno spogliato e,
se non mi n’antava in
Cermania,
per
questa
maleducate poteva morire di
fame. E cosí feci Cutene.
Tanosistapevaammazantoe,
senonerapersuopadre,per
questo Cutine mio figlio
Tanuzzo poteva morire di
fame.Quinte,questoCutinea
Tano lo nacava 4: oggi,
domane, i giorne pasavino e
nienteTanoprenteva.
Mi faceva una intipatia
incredibile che, per causa di
questo Cutine, li acente di
Chiaramonte ci dicevino che
tutta la famiglia erimo
fasciste, che per me era una
vercogna addire che erimo
tutta la famiglia di quello
miserabile partito fascista.
Tantocheio,pernonmifare
restare quella maledetta
macchia, io, un ciorno che ci
fu una reunione nel Sole
nasciente a Chiaramonte, che
si doveva votare o per
TanasseoperDiMartino5,io
partio
di
Raqusa
apositamente, che non ci
avesse antato a dare questa
votazione
per
Tanasse
neanche per tutto l’oro del
monto, e pure, per levarece
questa
fantasia
ai
chiaramontane, che io era
fascista, macare arrevai a
paterelemanomagarequanto
parlava il parllamentare
comunista, sempre per lo
scopo di farece dementecare
cheioerafascista.
E io sempre ci diceva a
mio figlio: «Tanuzzo, la tua
strada è quella. Profitiammo
che ci avemmo a tuo fratello
Turiddo che ene uno
incegniere di quello bravo. E
tu ti dovessito prentere il
doplomadiciomitro,checosí
tuo fratello Turiddo qualche
lavorotilopotessedare...»
Cosí, in settembre del
1967, Tano finarmente,
doppotanteannichepiúnon
ci penzava di scuola, si
ammesso a studiare a tutta
forzza e con una buona
volentacheaciugnopassavo
con buone ponte. E poi
magare che durante l’anno
avevafattoqualchelavoretto,
perché fraquintava lo studio
diTuriddoemagareantavaa
Chiaramonte e a Raqusa con
Turiddo affare rilieve e a
prentere misure. E io disse:
«Coraggio, che Tano sicuro
che fra una para di anni era
ciomitra…» E io era molto
contente di questo mio figlio
Tano che si aveva abiato 6
allavorare.
Cosí, antava avante la
nostravita.
Intanto,
Turiddo,
di
ciornno e ciorno, lo stodio si
antava incrosanto. Quinte,
menumale che avemmo a
Turiddo,altrementeavessimo
potutoprentereacqua,perché
conquellesoldenostrecheio
prenteva della pinzione non
potiammofareniente!
Poi, finalmente ci ha stato
dentralanostracasadinuovo
una crante allecria, che Tano
fu promosso e fraquintava il
IV ciomitra. Ciovanni si ha
presolamaturetàscentificae
si
doveva
scrivere
all’oneverssetàcomeavocato,
enonsapevainqualecittà,a
questoCiovanni,sinedoveva
antare. Certo che noi ci
diciammo a Catania, che era
piúbreve,cheeravicinoeni
costava poco. Ma Ciovanni
non lo sapeva neanche lui
quello che doveva fare: ci
diciammo anNapole e non ci
piaceva, a Ferenze e non ci
piaceva, a Roma e non ci
piaceva, e ni stapeva fanno
nescirepazzo.
Aveva tante compagne a
Raqusa, tutte piú stuortte di
lui, facento feste di aballo
dentra la nostra casa, che si
aprofetava che c’erino 2
stanzie belle che erino vuote,
e quinte, questo Ciovanni, e
altre
come
Ciovanni,
portavinoragazzifemmineda
15 a 16 anni, e dentra quella
bella stanza, che mia moglie
ci aveva fatto il salotto, tutte
quelle ragazze, uomine e
fimine,
tra
scherzze,
ammotare 7 e a babiare,
questosalotto,cheancoraera
nuovissimo, lo stapevino
rompento tutto con quello
borderllochefacevinotutte.
Poi, questo Ciovanni,
dicentoci sempre che fosse
meglio Catania, ci hanno
preso li nerve, che per nerve
tutte nella famiglia erimo
primarie, e ni ha detto: – O
che mi mantate amMilano o
altremente non studio per
niente, perché amMilano io
micerccounlavoroestudio.
O che altremente mi scrivo a
Urbinoemifacciociornalista
–. E noi tutte, come lo
sentemmo
parlare,
e
diciammo: «Questo Ciovanni
enesportato8,nonarraggiona
perniente…»
Io che penzava che quanto
era piceriddo nessuno si era
entressato per mandareme
alla scuola e senteva a
Ciovanne che non voleva
studiare a Catania che ci
parevaunacitàscassa,quanto
lo senteva parlare cosí, mi
mozicava li miei mano e
diceva: «Che razza di ebica
che ene questa, che i miei
figlie non ci piace neanche
Catania per studiare e io non
potte antare neanche a
Chiaramonteallascuola!»
E cosí, Ciovanne si ha
scrittoallafacoltàdiMessina
in ciuresprodenza, per poi
fareilmistierediavvocato,e
Ciovanne
si
scrisse
amMissina perché c’era un
suo compagno di Raqusa.
Però, Ciovanni non era cosa
di stare amMissina, perché si
vedeva che Ciovanni era un
ragazzo troppo sperto e
interlecente,perchémagaresi
arattava a fare puisiei e
raconteelimantavaallacasa
detricediBolognapervedere
sequestepuesieicil’avessero
publicato, cosí Ciovanne
avesse deventato poeta.
Quinte io magare aveva uno
figlio che voleva deventare
poeta, e io certo, che vineva
del niente, era tutto priato, e
mi cominciava assentere uno
diquellebuone.
E magare alla notte che
non poteva dormire... Perché
Ciovannisidovevascriverea
Misina, che costava per 2
volte di Catania, e non ni
avevachecosafarece,perché
siciprentevinolenerve,emi
diceva:«Iominevadoenon
studio, e mi ne vado
allavorarenelSoldeAfrica 9,
e vialtre non mi vedete piú».
E io di questo Ciovanni
teneva paura, perché non era
Tano e neanche Turiddo, che
facevino con la bocca, ma
questo Ciovanni diceva per
davero, che se parteva non si
vedeva piú. E cosí, dissemo
tutte:
«Be’,
scrivite
amMesina…»
Ma si ha fenuto questa
cranteconfosioneenellamia
casa ne ha cominciato
un’altra senza aspetata. Che
certe acente, certi volte, non
hanno a che fare e vogliono
trasereneicazzedellealtre.
Una ciornata, dentra dove
noiabitammosihapresentato
una signora che era
chiaramontana ma abitava a
Raqusa da 20 anne, e questa
sapeva bene che io aveva un
figlio ingegniere luriato di
pocotempo.
Cosí, questa signora ni ha
detto:–Cercasseasuofiglio
ingegniere dove lo potesse
trovare–.Eiocihodettoche
vinieva alle ore 6 di questa
sera.
Alla sera, all’olario che
erino li ore 6, davero hanno
venuto. Non piú una sola
donna,comeavevavenutodi
matina,manihannovenuto2
donne,ehannoportatoco’sé
una signorina. E cosí, hanno
venuto quella che aveva
venuto di matena, che era
chiaramontana, che io la
conosceva da tanto tempo,
poil’altrafemminaeralasua
suocera, e la signorina era
figlia della sua suocera. E
certo ci veneva cognata. E
cosí, l’abiammo fatto entrare
nel salotto. E cosí, si sono
sedute e ni hanno detto: –
Aspetammo all’incegniere,
chenedevefareunprocetto.
Non hanno passato che 5
minute che abiammo sentito
sonare il campanello, che era
mio figlio e Di Martino che
vinevino.
Cosí, hanno cominciato a
desegnare come la volevino
questacasa, e io vedeva che
questa signorina tutta si
solleticava, che pareva che
era venuta aposta, di come
voleva fare presto di volere
parllareconmiofiglio,senza
che ancora si avevino
conosciuto...
Equinte,sihannofattouna
bella racionata. Mentre
passareno 2 ore e si stava
facento notte, e si ne sono
antate. Io tutto mi poteva
credere, ma no che era non
per il procetto, ma per farece
vedere a quella signorina a
mio figlio, e per fallo fare
fidanzato
con
quella
signorina!
Alla matina, quanto fu
ciorno,verssoli7emenza,io
che sempre mi alzo presto
sento sonare il campanello e
ci ho aperto la porta, e vedo
che era uno avocato, che era
ilfratellodiquelladonnache
aveva venuto di matina, e mi
ha detto: – L’incegniere che
faancoradorme?–Eiociho
detto: – Sí. – Fosse meglio
chelochiamasse,cheiociho
qui sotto la machena, che
venesse
comme
che
dovessemo
antare
allo
spedale Patarnò Arezzo 10,
che propia quello che deve
fareilprocettoeniilpadredi
quella signorina che vinne
ieri sera qui. E quinte,
l’ingegniere dovesse venire
all’ospedale.
Cosí, Turiddo si alzza, si
mettenellamachena,ehanno
partito.
Cosí, Turiddo viene alla
sera, doppo tanto aspetare, e
ni ha venuto a dire, amme e
mia moglie: – Sapete perché
hannovenutoquelleacercare
all’ingegniere? Non per il
procetto, ma per fareme fare
fidanzato. Mi hanno fatto
vedere che la signorina
posiere 3 apartamente solo
comperateanomosuoi,epoi
questa signorina ene figlia di
una sorella dello padrone del
molino.Equinte,lasignorina
posiede piú di 200 milione.
Quente, io devento molto
ricco.Eorailpadrediquesta
signorina ene allo spedale,
ave paura che muore e vole
vedereallasuafigliamaretata
quantopiúpresto.
Io e mia moglia restammo
parelizate a sentire questo
crante descorsso e questo
crante trucco: che alla sera
avevinovenutoperilprocetto
e ora si trovavo che era per
fedanzamento.
Che cose curiosi che se
presentono
in
questa
maledettavita!
E cosí, davero io e mia
moglie
all’indomane
partiammo e antiammo allo
spedale
per
fare
la
reconoscenza 11 con la
famiglia della fidanzata di
Turiddo, che pareva una
fatocrafiastentiania 12,chein
24oresiavevinofattolicose
che si fanno in 2 o 3 anne,
cheperscosadiumprocettosi
stavafannounmatremonio.
Cosí, una sera, vetimo 13
venire, io e mia moglie, a
questa che ni chiamava
«papà» e «mamà» con la
machina. Erano verso li 7 di
sera, nevecava, e ni ha detto:
–Viene,papà,tuemamà,che
miopadrevivolefarevedere
lapartamentodovedovemmo
abitareioeSalvatore.
Cosí, arrevammo, presemo
l’ascinzore e abiammo sceso
a4piano.Chec’eraunabella
crante casa, e c’era il malato
seduto al tavolino, la moglie
del malato, la signorina e
un’altra
cognata
della
signorina. E cosí, come
abiammo venuto noi, pareca
avessemo venuto 2 crante
parente della Merica che
aveva 30 anni che non zi
vedevino...
Cosí, fenito di cirare tutta
la quantetà di stanze, il
malato, voldire il padre della
racazza,mihachiamatodove
era lui e mi ha detto: –
Vedete,donVincenzo,cheve
facio vedere? – Cosí, mi ci
sono messo vicino, e questo
cretino prente la chiave e
crapeilcascioloecominciaa
contare solde per menzora,
tutte carte di cento mila lire.
E non la faccio tanta
secerata 14 che io, in quella
sera, ci ho visto contare 50
miliona, tutte a cartte di
100.000milarireacescuno.
E poi, don Mariano, il
malato, mi ha detto: –
Domenicasidevonorevonire
tutte i miei parente, che ci
deve essere la reconoscenza
ditutte–.Eiodisse:«Mincia,
– tra me, – stiammo revato
cià alla conclosione!» E
quinte, domantai scose e per
babiare ci ho detto: –
Antiammo, che qui il capo
della famiglia ni stanno
assicotanno 15 a cartte di lire
di100.000milalire.
Ecosí,cin’antiammo.Mia
moglie aveva il musso
locorato, di quanto bace ci
avevino dato, e io sanqui
nelle vine non ci n’aveva, di
quantorabiacheaveva.
E cosí, fu una setimana di
caso del diavolo, perché
Ciovanni aveva bisogno
solde, Tanu aveva bisogno
solde, tutte avemmo bisogno
solde, e c’era la desprazione.
Tano aveva il nervoso, Ture
aveva il nervoso, Ciovanni
aveva il nervoso, mia moglie
stave sempre nerfosissimo. E
all’ultimo tutte avevino
ragione, e il povero
condagnato era io, che aveva
sempre tuortto, e parole
spartte mi avevino a dire,
tutta
questa
nervosa
famiglia...
Cosí, di nascosto di tutte,
prese il telefono e ho
telefonatoallasignora,propia
quellacheavevavenutonella
mia casa a cercare a mio
figlioperfareceilprocetto,e
ciparlloecidico2sempilice
parole, e ci dico: – Signora,
mi deve fare questa cortesia
che mi deve dire la veretà.
Perché serbe questa reunione
di domane sera? – Perché
recorddo che era il sabito. E
la signora m’ha detto: –
Come, don Vincenzo, non ci
lo disse mio suociro che era
per apuntamento e per
sposarese?–Iolamortteche
potte fare la fece 16, e ci
respose: – Signora, noi non
siammopreparatepernientee
nonpotiammovenire.
E con questa telefunata io
offattoscopiarelaquerra,che
perd’ogniserachemiofiglio
antava nella casa della
fidanzata sinteva aragionare
cheioavevafattounapartedi
vellano. E a mio figlio ci
hanno preso li nerbe, che sa
quella sera che cosa aveva
sentito dire di questa ricca
famiglia, venne arrabiato e
bestimianto, non ha voluto
manciare,edisseammeemia
moglie, e magare ciuravo di
se stesso: – Domane prento
l’autobussoalleore5emini
vatoaCatania.Eaquellacon
tutte queste solde non la
vogliopiú!
Alla matina, alle 4 e
menza, si alzza come
umpazzoedaverosen’antòa
prenterel’autobussoepartio
per Catania. E cosí, si fenio
tutta quella quantetà di solde
che ni stapevino fanno
scemonireatutte.
L’estate seguente, doppo
che venne di Messina,
Giovanni ci deceva la testa
che voleva partere per farese
una cita, e poi ha cirato tutto
Raqusapercercareunozaino.
E zaine, Ciovanne, ni ha
trovato 4; e di tutte 4 zaine,
prese lo piú crante e lo
cominciavaaprincire17.
Cosí, Ciovanni era pazzo
che per forzza si ne voleva
antare a cirare l’Italia, la
Spagna, la Francia, tutta con
l’autotoppe,eiocidiceva:–
Ciovanni, reposete. Che vuoi
antare a tastare la fame!?
Perché tu non sai che quanto
si va forianto 18 ci voglino
assaisolde!?
E Ciovanni, per forzza, si
ne doveva antare. Io, che
bastonatenonnisapevadare,
e Ciovanni faceva come ci
piacevaalui.Poi,iopiúassai
cipotevadarelire50.000,che
li teneva sempre di reserba,
ederonopoco,machecosaci
poteva fare? Quinte, magare
che non voleva, lui si
n’antavalostesso.
E poi, l’altra butta che mi
dava, che era l’unica
scupetatachemidava,chemi
diceva: «Io, se tu non mi
manteallacita,non vado piú
all’università».
Cosí, la mia vita era
sempre a mienzo queste
farsse, ma faceva pacienza.
Voldire che io fu nato per
vederetuttequestequaie...
Cosí, Ciovanni, di ritorno
dal viaggio, parte e va a
Missina per farese il
trasferemento da Missina e
portarasello a Bulogna,
perché a Bologna, Ciovanni
aveva preso amicizia con
quella dottoressa della casa
editricecheloavevamantato
a chiamare per volerllo
conoscire che persona era,
questomiofigliochescriveva
queste belle puisiei. Che
questa dottoressa si n’aveva
troppo innamorato, di questo
ciovenescritore,einquelle8
ciorne che Ciovanne fu
ospitata di questa, questa ci
aveva detto: – Ciovanni,
perché tu l’anno che viene,
voldire 1968 e 1969, non ti
scrive a Bologna come
avocato, che Bologna ene
mieglioassaidiMissina?
Cosí,Ciovannisiammesso
quello penziero nella testa e
volevastudiareaBologna.
Quente, Ciovanni disse
comedisseilduce:«ORoma
omorte!»CosífeceCiovanni,
quanto io ci diceva:
«Ciovanni,
studia
amMessina!»:«Omimantea
studiare a Bologna o
altremente mi ni vado a
Milano,opureinAfrica!»
E io ci ho detto: –
Ciovanni,vatene,edovevuoi
studiare studia, bastiche
studie.
E cosí, Ciovanni antavo
amMisina per farese il
trasperemento per Bologna.
Maful’annodellescioperedi
tutte li oneverssetà di tutte li
cità d’Italia, e Ciovanni il
trasferemento non ci veneva
mai.
Ecosí,Ciovannipartioper
Bolognasoltantoallafinedel
1968.Emirecorddochenon
zi affatto il Natale del 1968,
che fu il primo Natale che
Ciovanni si affatto lontano
della famiglia. E al febraio
1969 non si ha dato nessuna
materia, perché, prima che
c’era bordello in tutte li
oneversetà, e poi perché
Ciovanni il trasferemento ci
ha venuto con retardo e li
suoi profesore non le
conosceva.
Cosí,aCiovanniperquatro
mese non l’abiammo visto
piú. Scriveva una volta alla
setimana, voleva sempre
mantate solde, diceva che
stava bene. Poi, noi ci
abiammo detto che ammeno
per Pascua vineva quanto lo
vediammo.
E Ciovanni, 20 ciorne
prima di Pascua, venni. Noi
nicrediammochestapeva15
o20ciorne,enoiaCiovanni
ci avemmo comperato un
bello materazzo e una rite
nuova, ma Ciovanni venni,
volle lire 70.000 mila lire e,
come si corcavo una sera, ci
hanno preso li nerve, ni ha
detto che Raqusa faceva
schifoeall’indomaniparte.
Cosí,Ciovanni,tuttinoini
avemmo creduto stava con
noi 20 ciorne, e invece ci ha
stato24ore!
Noi
pinzammo
che
Ciovanni a Bologna doveva
staremale,einveceCiovanni
stava miglio di stare a
Raqusa, che ni lo aveva
assecurato Tanuzo che ci
aveva stato. Ma ci voleva
antare io a Bologna a vedere
a Ciovanni, ma però non
come a Tanuzzo, che spese
tantesolde...
E davero c’era una leggie
che, dal 4 novembre 1968 al
24 maggio 1969, tutte i
compatente della querra
1915-18chevolevinovisetare
i luoche della querra ci
potevino antare con il 75 per
cento, che cosí, se io voleva
antare a Curizia e voleva
passarediBologna,iopagava
lire4.000o4milae500lire.
Cosíiocheerafessa,chenon
parteva e antava a Bologna a
vedereaCiovanni?
Cosí,vadonellaSocitàdai
combatente di Raqusa, mi ho
fatto fare i docomente,
atestanto che io era
compatente, vado nella
stanzione delle carabiniere,
mi ho fatto fare un altro
ducomento che ci voleva,
preparai tante cose per
manciareepartieperCurizia.
E mi recorddo che era il
ciorno 16 maggio 1969, che
poi questo biglietto aveva la
durata di 15 ciorne, e il
decreto termenava il 24
maggio, propia doppo 10
ciorne, che poi non zi poteva
parterepiú.
Cosí partiemmo, e alle ore
7 abiammo passato Mesina.
Io era molto contente di fare
questo viaggio, stava sempre
afacciato,nondormevamaie,
perché non vedeva l’ora che
videva a Ciovanni, che era il
figlio piú picolo di tutte, ma
era il piú servaggio di tutte,
perché aveva desartato 19 il
primo della mia casa, che mi
faceva capire che la Sicilia
faceva schifo. E io penzava:
perché questo Ciovanni era
deventato cosí contrareo a
questanostraterra?
Cosí, alle ore 11 e 30
fuommo a Napole, e alle ore
4 di mattina passamo di
Roma,ealleore7delciorno
17 maggio fuommo nella
bella cità di Ferenze, che io
penzava che ci aveva stato,
nel1920,13mese(cheilmio
reggemento, il deposito,
l’avevaaFerenze)eaveva50
anne che aveva stato a
Ferenze, e disse: «Per ora
vado a Bologna, vedo a
Ciovanni, e vado a Curizia,
ma, al retorno, mi devo
fermare a Ferenze», ed era
tantodesederusodistareceun
ciornno.
Ecosí,alleore9emenza,
fuallastanzionediBolognae
scentivo. Mi sono messo a
quardare per vedere a
Ciovanni, e come vette a
Ciovanni,
mi
sono
emuzionato che ci voleva
pocoametteremeapiancere.
Ma era nella faccia colorito,
piú crosso nella vita, e io
desse: «Per questo che
Ciovanni non può vedere la
Sicilia, perché a Bologna si
stape bene, opure sta bene
Ciovanni».Eiodisse:«Cheil
Dio lo possa aiutare! Quanto
uno trova umposto che stape
bene,nonlodevelasciare!»
Cosí, mi affatto forriare
umpoco di antichetà di
Bologna, che poi io allintai,
voldiremistancai,epoiciho
detto: – Ciovanni, io devo
antare a Curizia, perché mi
devofarefermareilbeglietto,
e poi arretorno, e potiemmo
passeare 20 per Bologna –. E
ci ho detto: – Tu ci vuoi
venire a Curizia? – E
Ciovannuzzo mi ha detto: –
Papà, solde si ni spentono
assai –. E io ci ho detto: –
Siente, il beglietto ti lo paga
io –. E lui mi ha detto: –
Invece di pagareme il
biglietto, perché quelle solde
nonmililasciaamme?–Eio
ci ho detto: – Sai che quelle
soldeperte,perlasciaratelle,
lire5.000milalire,cil’holo
stesso.
E Ciovanne mi ha detto: –
Sei il padre il piú bravo di
tuttelipadre.
Ecosípresemoiltrenoche
antava a Curizia; e Ciovanni,
antata e ritorno, ha pagato
forsse lire 4.000. E cosí
partiemmo. Ma io, per fina
che passammo Padova, non
stava affaciato, perché a
Patovaquerranoncin’aveva
stato.Poi,antammoaMestre,
che doviammo campiare per
fina a Monfarcone. E cosí,
partennodiMestreperfinaa
Monfarcone, erino tutte
luoche dove ci aveva stato la
querra, ma il treno era
deretissimo e con la corssa
viloce non zi poteva fare
persovaso per niente dove io
erastato52annifa,quantosi
aveva fatto la querra. Cosí,
disse: «Al retorno prento
l’autobusso,ecosípassape’
tutte li paiseddi, e mi posso
farepersovasomeglio».
Cosí, io e Ciovanni a
Monfarconecampiammo21,e
alle 3 e menza fuommo a
Curizia. Ciovanni fece una
telefonata a Bologna alla sua
amica e ci ha detto che si
trovava a Curizia perché
dovevafareunaaffare,eciha
dettochequestanottealleore
2doppomezzanotteveneva.
Cosí, io e Ciovanni ni
abiammo messo a cirare.
CertocheCurizia,difrontea
quello che era quanto
l’ollasciato io, non zi poteva
farepersovasopiú,perchénel
1918eratuttofracellato,eora
eratuttonuovo.
Poi, io mi recordava del
fiume l’Isonzo, e ci l’ho
portato.Poi,c’erinoancora3
puonterottedellaquerra,che
restareno come monomento
nazionale,enonlifannopiú,
perché devono restare per
recordeto.Mamihannofatto
capire che la stanzione di
Curizia antica, che io la
voleva visetare, e mi hanno
dettochequellastanzioneche
c’eraprima,doveiociaveva
fatto centenaia di ciorne di
quardia, l’Italia non l’aveva,
perché aveva tocato alla
Iucoliavia. E disse: «Pecato
chenonlapottecirare…»
Cosí, ci n’era una che era
nuovastanzione,perl’Etalia.
Cosí, con Ciovanni erimo
stanche, no potiemmo piú
camminare, speciarmente io,
che era piú stanco di
Ciovanni, cosí antiammo alla
stanzione di Curizia e ci
abiammo seduto. Mentre si
facevino li ore 8, e cià il
microfono diceva: «Fra una
menzura il treno parte per
Monfarcone».
Ciovanni mi ha detto: –
Come faciammo, papà? Che
fa,
partiammo
o
n’arestammo?–Cosí,iociho
detto:–Chefossemiglioche
iomiarrestasse,tupartessito,
cosí tu ti facesseto una bella
dormutaaBologna,ealleore
9 ti alzassito e cosí non
perdisseto domane la scuola,
e io mi arrestasse qui, mi
n’antasse
all’aberico,
dormisse fina che mi
sbegliasse, e cosí mi facesse
domane una bellissema
camminataepoipartesse,non
con il treno, ma magare con
l’auto bussu –. Che cirava
tante paisieddi che io mi
recordava ai tempe della
querra.Ecosí,poi,prentevail
trenocheantavaaBologna,e
ci vediammo alla stanzione,
conCiovanni.
Cosí, Ciovanni questa
pinzata ci ha piaciuto tanto e
fecimo davvero cosí. E io
disse: «Ora, come partte
Ciovanni,mifacciounacirata
per Curizia e poi mi vado a
dormire».
L’acqua dell’Isonzo era
tutta per fare ciardina e
ortaggio, e il fiume non
faceva tanto impresione, e
pareva bello. Mentre, quanto
c’eralaquerra,facevapauraa
quardallo,perchéerapienodi
proieteleebommeammanoe
tante muortte, che per non le
potere prentere, perché
c’erino tante bombardamente
continive,elí,questemuorte,
smacievino 22, e il fiume,
l’Isonzo,facevatantapauraa
tutte, mentre ora era tanto
bellissimo. Cosí, io era
spaventatodiquantoerabello
questo fiume, e mentre, 52
anni fa, era spaventato di
paura che questo fiume ci
avevino muorto diverse
centenaia di migliaia di
soldate italiane e di tutte li
nazionecheerinoinquerra.E
quante civile hanno morto in
questofiumel’Isonzo!
Cosí, erino le ore 10 e mi
nesonoantatoall’aberecoper
dormire, che quella, la
padrona, mi aveva preparato
un bellissimo letto, tutto il
materazzoelicoscinetuttodi
lana,bellomorbito.Enonmi
poteva adormentare, perché
penzava quanto io aveva 18
anne e 19 anne, che era
piciriddo ed era a Gurizia, e
con la mia compagnia
abiammo sepelito tante
migliaiadimuortteracoltedi
tuttelipartedellacontradadi
Gurizia, e li dobiammo fare
propia noi, questo lavoro di
bichine...
E penzava che erimo tutte
povere descraziate, picole
soldate che non dormemmo
mai sopra il letto e sempre
dormiammo fuore, e butate
piedepiede,etuttestrapatee
tuttepienedifancoepienedi
priucchie 23, e speciarmente
d’inverno, che faceva molto
freddo, e tanta fame che
avemmo. E ora io, a Gurizia,
era corcato in quello bello
lettodilana,etramepensava
propia a quella mia brutta
cioventú passata, e ora, nella
vechiaia tutto questo bello
confurtto...
Cosí,misonoadormentato
e,dalle11disera,tuttoinuna
trata 24, io ho sbegliato
all’indomane,alleore7.Cosí,
mi alzo, paga il letto, mi
faccio dare la tessere, e vado
allastanzione.
Cosí, mi hanno detto che
c’erino magare autobusse di
linia
che
antavino
amMonfarcone: – E parte
adesso. Però, cira di tante
picole paese e magare passa
di Sacrato Redipuglia, Fossa
Alta e Fornace, e tante altre
paese,epoivaaMestre,epoi
puoleprentereleiperPadova,
epoiperBologna.
Cosí,iodisse:«Semivalca
questo biglietto di militare
sono a posto». Domantai, e
mi hanno ditto che poteva
antare dove voleva, bastica
antavasempreperBologna,e
poicheerapercerarenonmi
decevino niente. Cosí, mi ho
fatto fermare il visto per
partire. E parto, e la prima
fermatalafeceaMonfarcone
e stese un’ura fermmo, e mi
sonosodisfattotutto,cheioci
avevastato.
Poi,presel’altracorsaeha
cirato per tante paisette dove
iociavevastato,maeratutto
campiato,tuttofattonuovo,si
vedevaperòchec’erinotante
trenciei della querra, tutte
lasciate come monemente
nazionale. Passai di Fossa
Alta,delliFornacie,passaidi
Santa Donato del Piave,
passai
di
Latesana
Tagliamento25,doveioaveva
vistotantepeneetantafame.
Poi, penzava che, quanto
passaidiFossaAlta,io,il24
ciogno 1918, che mi avevino
presopricionieroeavevaauto
tantebastonatedelleaustrice,
perché
era
priciuniere,
penzavalafamecheioaveva,
e in quelle luoche, in quei
tempe, c’era tanto sanque e
tante pene, e ora c’era tanto
bene... Come cancino a
tempe 26! Cosí, io aveva nel
cuore mio una crante
sodisfazione a vedere quelle
luoche, che non cercava
neanchemanciare.
Cosí,vadoaMestre,prento
il treno per Bologna, e a
Bologna trovaie a Ciovanni,
che tutte li trene che
vinevino, dalle 2 alla sera,
tuttelipassaciereliquardava.
Efinarmenterevaieio.
Cosí, erimo un’altra volta
inziemme. Cosí manciammo,
ci abiammo fatto una
camminata, mi ha fatto
vedere tante belle luoche
merevegliose e mi sono
stancato un’altra volta, e
Ciovannimihadetto:–Papà,
se vuoi stare que, puoi stare
–.Maiocihodetto:–Ionon
posso stare tanto con te,
perché li solde cià si sono
fenite, e se staio con te
un’altra ciornata si fenescino
li solde, e per me è male, e
nonpossovedereFerenze.
E partio con tante crante
sodisfazionecheCiovanniera
bene conbinato. Cosí, alla
sera, io, versso li 8, fu a
Ferenze.
Ma
non
era
piú
reconoscibile,
Ferenze,
perché, come si scenteva
della stanzione, c’erino tante
strade fatte di sotto di
Ferenze, che antavino a
piazza Signoria, e li tabelle
erino nei sotto passaggie per
farese capacie dove doveva
antare. E cosí, io camminava
perisottapassaggioevedeva
lí dentra che c’erino tante
nicozie, tante cilatariei, tante
orificiarie. E compure che io
ciavevastato13meseedera
sicuro che era prateco di
Ferenze, dovette domantare
tantecose.
Cosí, arrevai a piazza
Signoria, e lí solo era lo
stessodiquantolosapevaio.
Poi, tutto era campiata, tutte
ventevino cilate e cone e
pizze, mentre, quanto ci
avevastatoio,ventevinosolo
castagnaccio.
Poi, mi ne sono antato al
PonteVechio,ederalostesso
di come era 52 anne fa, con
tante nicozia di arcentaria e
tante ociette preziose di
centinaiadimiliarde.
Miavevapresotantecone,
che erino cone che a Raqusa
non sono capace di farlle,
perché erino merevigliose,
belle costose. Cosí, mi sono
stancato e, doppo 4 ore di
camminare, mi la penzai
bene: lire 2.000 cià se
n’avevino antato, aveva altre
lire 7.000, e disse: «Facio
meglio che prento l’auto che
va alla stanzione e la prima
corssacheparteperlaSicilia
minevado».
Cosí, davero vado alla
stanzione, prente il treno, e
partieperlaSicilia.Eramolto
stanco, ma sodisfatto. Poi,
penzava a Ciovanni, che io
diceva: «Questo ragazzo è
persope’me,chilosapeseci
vieneconnoipiú…»
E io penzava che voleva
vedere a mio figlio avocato,
perché Giovanni nella scuola
avevastatopiúbravadituttei
miei 3 figlie, perché a
Turiddo ci n’aveva fatto
reparare piú assai materie di
Ciovanni,doranteli5annidi
licevo scentifico, e quinte io
lo reconosceva piú abile di
Turiddo;peròTuriddoerapiú
studioso, mentre Ciovanni
penzavatantecosi,penzavaa
romanze e poisiei, e quinte
non poteva dare aiuto a tutte
queste materie, mentre
Turiddo
penzava
solo
all’ingegneria e venni uno
ingegniere di quella co’ li
coglione!
Poi, Turiddo aveva il
caratele di suo padre, che
voleva bene la famiglia e,
quanto aveva solde, mi le
dava. Questo Turiddo amme
midavalire100.000milalire
al mese. Pareca a questo
Turiddo,dentralamiapovera
famiglia, ci l’aveva portato il
Patre Eterno. Cosí, noi
stiammo antanto avante e, se
non ci forra 27 Turiddo, li
solde mieie della penzione
non ni abastassero mai. E se
nonc’eraTuriddoioprenteva
acquaelanavesiafontava.
Quinte, il tempo doveva
campiare per Vincenzo
Rabito, magare c’aveva anni
70noncifacevacaso,perché
avevaunasalutebenissemo.
Eintanto aspetava un’altra
consolazione a vedere il mio
figlio Tanuzzo ciomitra, che
era il mio figlio piú dificile
nellascuola,ma,comevolere
bene alla famiglia, era il piú
megliore, perché era molto
afezionatoemoltopiúbravo,
forsse perché era piú intietro
nellascuola.Ioquestononlo
so, perché io, per queste
figlie, defrenza non ci n’ho
fatto, per me tutte sono
buone.
E cosí, questo viaggio io,
di Ferenzi a Raqusa, lu ho
fattosemprepensannoaimiei
figlie.
Tano, tutto il mese di
maggio e ciugno, studiava
come umpazzo, che se ci
avesse auto la volentà come
cil’avequestoanno,Tanuzzo
se avesse lauriato magare,
perché era spertto, solo che
aveva il defetto che era
fiacune 28, che non voleva
lavorare.
Cosí, finarmente, nel mese
diluglio,hannocominciatoli
asame e a Tano li suoi
profesoraciavevinodettoche
era stato molto bravo tutto
l’anno, ora si stava alla
commissione che venevino
dell’alt’Etalia, e bisognava
magare di avere fortona nel
gliesamedimaturità.
Aluglio,Ciovannimantavo
una lettra di Bologna che
diceva: «Verso il ciorno 15
siammo di presenza». Io,
sentento
«siammo
di
presenza», disse: «Ma come
“siammo di presenza”, e non
dice “io sono di presenza”?
Perché,questomiofiglioche
vieneincompagnia?Oviene
solo?»
Poi, io lo disse a Tanuzzo
che la letra diceva «stammo
venento», e Tanuzzo mi ha
detto:–Sí,sevieneCiovanni
non viene solo, ma vencono
collarrollotta,
e
viene
Ciovanni, la professoressa
Ciuliana,ilfiglioCallettoela
cameriera, che si chiama la
Nazzerena.
Perché Tanuzzo lo sapeva,
perché Tanuzzo Pascua si
l’aveva fatto a Bologna, e
Ciovanniciavevadettocheli
vaganze si l’aveva affare in
Sicilia, con questa amica
professoressaCioliana.
Cosí, io aspetava tutte li
ciorne.
Cosí, un ciorno davero ci
ene una lettra espressa di
Ciovanni che diceva: «Caro
Tano, vede, vai alla
stanzione, che c’ene uno
bavilo nostro. Vai a
prenterllo, perché altremente
sipacheràlasosta».
Ecosí,TanovaallaPostae
hatrovatounbellobaolo,con
tanta biancheria dentra.
Quinte, si vedeva che questo
bavolo aparteneva a persone
non ignorante, ma corte,
perché si vedeva lo bavilo
comeera.Equinte,Ciovanne
erimosicurocheveneva.
Cosí, una sera, davero,
all’improviso, abiammo visto
che dalle scale del portune
salire a Ciovanni e la sua
amica senza nessuno avviso.
Chi era questa? E hanno
entrado dentra con tanta
facilità che pareva che
avessemostatoamiceditante
anni.
Cosí io, certo, al solito
mio,vadoacomperarepaste,
e ci abiammo ofertto tante
cosi, di quello certo che
potemmo. Cosí, Ciovanni,
doppo che aveva tante mese
che non era inziemme annoi,
che lo spentammo con tanto
affettodifiglio,mihadetto:–
Papà, ci ne dobiammo antare
a Marina di Raqusa, che ci
avemmolipuosteprenotate–.
Che nessuno lo sapeva di
queste puoste, ma quello
furbacionediTanolosapeva,
ma amme non mi l’aveva
volutodire,eneanchel’aveva
detto a Turiddo. Vedete che
figlie che ave questo Rabito
Vincenzo!
E cosí, doppo che aveva
tanto tempo che precammo
per venire questo figlio, lo
piúpicolodiquestafamiglia,
ne venniro 4, e potte stare
questo figlio Ciovanni una
sera, e partio per Marina di
Raqusa con la rollotta, che
delle rollotte a Raqusa si ne
vedevino poco e niente in
ciro.
Cosí, all’indomane, venni,
evenevatutteliciorne,stava
una ora, 2 ore, e poi si
n’antava amMarina. Ma un
ciorno, senza che uno di noi
lo sapesse, Ciovanni e la sua
comitiva,
forsse
che
sentevino
molto
caldo
amMarina
di
Raqusa,
penzarenodipartireepassare
3o4ciorneallaMadonnadi
Qulfe.
Cosí, la signora, con le
stesse caratele di Ciovanni
precise, con quella rollotta,
prima si n’antareno a
Chiaramonte,
che
a
Chiaramonte, paese picolo,
che era sempre stato
immienzo alla miseria, e poi
cusiretuse, vile e acente
smormerature e invediose 29,
epoicherollottanonavevino
visto mai di presenza a
Chiaramonte – solo se
l’aveva visto e se l’aveva
conosciuto qualcuno alla
televisione, e poi basta –,
quinte,
vedento
a
Chiaramonte, propia nella
piazza,fermataunarollotta,e
in compagnia c’era Ciovanni
e2donnecontenentalevestite
di turiste, tutte correvono
come scimie a quardare
questa rollotta. E poie, la
cente si marevegliava che
c’era
Ciovanni.
Che
Ciovanni, a Chiaramonte, lo
canoscevinochieraCiovanni,
echitipoeraCiovanni.Cosí,
Ciovanni, senza nessuna
difecortà, a queste li ha
portato ammanciare nella
osteriadiAngeloloMutelato,
senzaafronto30cheusiammo
nella Sicilia. Manciareno,
antarenoaprenterelarollotta,
si ci hanno messo e hanno
partito per il santovario della
MadonnadiQulfe.
C’erino quase quase una
cinquantina di curiuse che
hanno assestito a questa
partenzadirollotta.
Cosí,
si
n’antareno
affermarepropiaalsantovario
che c’erino l’albere. Cosí la
dottoressa, il posto, ci ha
piaciuto, perché c’erino
l’albereel’acquabellafresca.
MaCiovannierapicoloenon
si faceva capace che al
santovario turiste belognese
noncen’eranostatemai,che
ai sante tanto assai non ci
credono. E poi lí, propia in
quello santovario, donne
vestite cosí, con le veste
troppo corte, non ci ni hanno
maie state, perché lí non
posseno stare donne di quel
cenire, non adette a fare le
bezocche31.
Cosí, dopo, Ciovanni e la
signora, con la machena,
hanno venuto a Raqusa per
fareme sapere a tutte noi che
amMarina di Raqusa piú non
c’erino e si trovavino nel
santovario della Madonna di
Qulfe.Epoi,sinesonoantate
a Chiaramonte, facentomi
capire che si dovevino fare
camminate
campagne
campagne per chercare robba
vechia di mobile vechio e
chiave di caretta vechie 32, e
ci abiammo salutato, e loro
hannopartito.
Maio,cheeralupovechio
dellaMadonna,esapentoche
quelle 2 donne erino troppo
sportive e venevino quardate
di tante curiose e di tante
stubite chiaramontane, e poi
io sapeva che Ciovanne era
capace, se quarcuno voleva
farel’opira33,dirompericela
testa, e cosí io disse:
«Domaneparttoeminevado
a Chiaramonte, che ene il
ciorno 25 luglio, – e doveva
prenterelapinzione,–ecosí,
poi,vadoallaMadonna»,per
vedere quello che faceva
Ciovanni
con
quella
compagnia.
Epoi,iomagarecidoveva
annonziare che Tanuzzo
avevastatopromosso,perché
io aveva 3 ciorne che faceva
viaggie della scuola, e li
medie non l’avevino fessato.
Ma l’ultimo ciorno li
fessareno,eiopreselanotizia
che Tanu era stato promosso
con la media di tutte 7, che
Tanozzo tutto mi poteva
credere ma no essere
promosso
con
quelle
mangnifiche punte, che erino
unveropiacereaquardalle,e
tuttedicevinolialtrestudente
che Tano aveva stato un
valeroso.
Cosí, io prento la pinzione
e calo alla Madonna, per
vedere quello che faceva
Ciovanni.Eccocheeraquello
che diceva io, pare che mi
parlava il chore: che, come
sono arrevato alla Madonna,
Ciovanni, cià di mattina,
aveva fatto costione con il
vadiano della Madonna. Che
quellocritinovedevaaquelle
donni con li vestine corte, ci
prentevino li nerve, non si
sapevaquellochevolevafare,
estavauscentopazzoeconli
tantenervacheaveva,perché
vedeva quelle campe... e
Ciovannicistapevarompento
ilmusso.
Poi, questo critino, vede
avicenareamme,echisache
cosaavessepenzato,vedeche
allaMadonnaerimoassaie,si
prese di paura, si prente la
Vespa e parte e va a
Chiaramonte a direce al
pareco che nel santovario
c’era troppo scandolo, che
c’erino turiste contenentale
con vestine cortte. Cosí, lo
gnoranteparecohatelefonato
ai carabiniere per direce che
alla Madonna c’erano turiste
che nel santovario non
potevino stare e, per favore,
sec’eralabatugliacomantata
che,
per
centelezza,
passassero della Madonna e
abisasseroaquesteturistache
erino
con
Ciovanne,
facendoci capire che si
n’antasero. Cosí, davero
hannopassatolicarabiniere.
Io,chemiloficuravachelí
non zi poteva stare, e cosí ci
ho detto alla signora e
Ciovanni: – Camminate
comme,cheionellacontrada
Parascuola 34 ci ho uno
amico, propia vero amico,
che ci ave una campagna, e
cosí vi facete 5, 6 ciorne di
stare lí –. Che c’erino tante
albere e tante cose per
manciare.
Cosí, davero la signora
prese la machena, e cosí,
antiammo nell’amico mio
Lucio,ecihafattotantebelle
cose, ci ha fatto piazzare la
roulottesuttouncrantealbere
di cerzzi, e ni ha detto: –
Potetestarequantovolete!
Cosí, lí avevino queste
vachi,calline,capre,ortaggio,
vino buono, che alle
bolognese ci piaceva assai il
vino buono, c’erino uova
fresche, latte fresco, pane di
casa, era magare terra di
ortagio,chec’erinozuchinee
pomedore... Cosí, io disse:
«Questo era il posto che si
doveva cercare, non antare
allaMadonna!»
Poi, dopo 3 giorni, hanno
partito e hanno venuto a
Raqusa, che dovevino antare
a Taurbina 35, ma menomale
cheavevavenutoTanuzzodi
Catania, altremente non zi
avesse potuto fare la festa di
Tano, perché si aveva
diplomato. Cosí, alla stessa
sera, io prese una tortta e
tante dorce, e abiammo fatto
unabelladivertuta.
Ecosí,Ciovanne,doppo40
ciorne di cirare l’Italia e la
Sicilia, il 28 aqusto si
trovareno a Bologna. Che
bella fortuna che ave
Ciovanni che, senza spentere
solde,sihaceratol’Italiaela
Sicilia!
Che belle ebiche che sono
questeperimieifeglie!
Che bella ebica hanno
capitatotuttaquestacioventú!
1
afocarese:strozzarsi.
2
ilcanivo:lacanapa,lacorda.
3
magare che avevino impicicato
cartte: anche se avevano soltanto
attaccatomanifesti.
4
lonacava:locullava,loprendeva
ingiroilludendolo.
5
NeicongressiprovincialidelPsu
(Partito socialista unificato), che
precedettero ilcongresso del 1968, il
partito si presentò diviso tra seguaci di
cinque correnti. Tra queste,appunto,
quellediFrancescoDeMartinoeMario
Tanassi.
6
siavevaabiato:sieraavviato.
7
ammotare:spintoni.
8
sportato:spostato.
9
Sudafrica.
10
PaternòArezzo.
11
reconoscenza:lepresentazioni.
12
stentiania:istantanea.
13
vetimo:abbiamovisto.
14
secerata:esagerata.
15
assicotanno:cacciandofuori.
16
lamorttechepottefarelafece:
misentiimorire.
17
princire:riempire.
18
sivaforianto:sivaingiro.
19
desartato:disertato.
20
passeare:passeggiare.
21
campiammo:cambiammotreno.
22
smacievino:marcivano.
23
priucchie:pidocchi.
24
trata:tirata.
25
Latisana.
26
cancino a tempe:
come
cambianoitempi.
27
forra:fossestato.
28
erafiacune:battevalafiacca.
29
cusiretuse… invediose: curiosa,
vileegentepettegolaeinvidiosa.
30
afronto:vergogna.
31
bezocche:bigotte.
32
Lachiaveèl’assechecollegatra
loro le due ruote del carretto siciliano,
spessodipintaconscenedell’Operadei
Pupi.
33
sequarcunovolevafarel’opira:
sequalcunovolevafarescenate.
34
Paraspora.
35
Taormina.
Capitoloventiduesimo
Cosechenonzipossino
dementecare
Un giorno, ancheTanozzo
partio in cerca di fortuna, e
poi che diceva: «Io mi ne
vado a Bologna e mi scrivo
all’oniversetà»,cosí,dopoun
poco, scrisse Ciovanni che
Tanovolevatantedocomente,
che erino molto deficile a
Chiaramonte per farece il
certificatodiresedenza,poiil
certificato di nulla tenenza,
poiilcertificatodipenzione.
Quanto acente dovette
pregare, per questo schifio di
docomente...
E, tra docomente e
scriverese all’oneversetà e
tantealtresoldecheioaveva
uscito, Tano aveva costato,
conl’antataaBologna,quase
250 mila lire, senza
conchiudere ancora niente,
perchéGiovannimihascritto
che Tano voleva venire di
nuovo a Racusa, per studiare
aRacusaepersparagnare1.
Che bello sparagno che
faceva questo Tano, che
queste solde dovevino essere
butate per antare e venire di
Bologna.
Perché Tano, a Bologna,
non ci antavo per cercare
lavoro e studiare, ma ci
antavo solo per cercare
fascista, come era lui, e
fraquintarelaCasadelfascio.
E
questo
erino
li
procopazione vere di Tano,
non di cercare lavoro e
studiare, solo cercare fascio.
Iociavevaautotantopiacere
che Tano, esento a Bologna,
che sono tutte comuniste,
Tanosiavessedimentecatoil
fascio, e invece era
adeventato piú fascista di
Chiaramonte e di Raqusa. E
quinte, ci ho penzato troppo
tardi: per farece dementecare
ilfascioaTano,olomantava
a Bologna o lo mantava
magareaMosca.
Mapoi,unciorno,aTano,
cihadettolatestadidireme:
– Papà, io voglio antare a
Bologna per studiare un’altra
volta,
tanto
li
tasse
dell’oniversetàsonopagate.
E io, povero babbo
credente, ci diceva: – Sí,
Tanuzzo, fai come meglio ti
conviene, bastica studie e ti
faie uno bello avenire –. Ma
però io ci diceva: – Caro
figlio, se vaie a Bologna non
cercarequestefasciste,perché
tu sestimazione non ni trove
maie –. Poi che mi l’aveva
detto magare Ciuliana che a
Bologna li fasciste non sono
potuto vedere di nesuno, ed
era per questo che Tano non
poteva trovare lavoro, perché
era fascista. Ma Tano mi
aveva assecurato che fascista
nonc’erapiú,che,seantavaa
Bologna, antava per studiare
epercercarelavoro.
Cosí,Tanosiavevaportato
altrelire50milalire,equinte
questo era lo sparagno che
faciammo con la studiata di
antare a Bologna… Però,
Ciovanne mi aveva fatto
sapere che Tano si aveva
messo a studiare. Cosí, io,
con quello che diceva
Ciovanni, ci aveva critto che
Tanostudiava.Invece,eraper
fareme stare contente, perché
non stava studianto neanche
Ciovanni, che io l’ho saputo,
perché io voleva essere
mantato uno certificato per
l’Inadelle e un altro per le
penzione delle Provedenza
sociale,pernonmifarelivare
li suoie asegne, cosí, sebbe
che Ciovanne se n’antava a
Ferenze a preparare un altro
romanzo. E cosí, io ci ho
detto:–CaroCiovanne,setu
non mi mante queste 2
certificate di fraquenza, io
soldenontinemantopiú!–E
cosí,Ciovannemihadettola
veretà, che ancora non zi
aveva scritto per l’anno 69 e
1970, perché non aveva auto
lisoldeperscriverese,perché
lisoldeciavevinoservitonon
per studiare, quelle che io ci
aveva mandato, ma ci
avevino servito per fare
romanzie. Che stuorte figlie
chesonoCiovanneeTano!
Cosí io, subito subito, ci
ommantato li solde, e
Ciovanne si ha scritto, e
finarmente mi ammandato li
2certificatadifraquenza,eci
l’ho dato alla Provedenza
sociale e all’Inadelle, e ci
ommantato lire 80 mila a
questo Ciovanni. E cosí,
Ciovanni si ha messo a
studiare e lasciare stare di
fare li romanze, e inni una
materiahapreso27eun’altra
materia ha preso 24. Cosí, io
mihomessoilcuoreimpacie,
cheTanostudiavaeCiovanni
studiava.
Poi,unciorno,mihovesto
arrevare a Tano di Bologna,
perché si avicenavino li feste
diPascua,eluiedicevachesi
doveva fare li vaganze a
Raqusa, tanto che ci aveva
stato sciopero a Bologna e
all’oneversetà avevino rotto
tutto, li studente, l’avele
dell’oneversetà. E quinte,
Tano disse: – Mi faccio li
vaganze e studio a Raqusa, e
mi sparagno di pagare lire
17.000 mila lire di penzione.
Caro papà, io sono molto
sfortenato,
penzava
di
prentere il preselario e non
me ne danno, e per causa a
questosciopero!
Io ci faceva coraggio e ci
diceva: – Caro Tanuzzo,
vattineallostudio,chementre
c’è tuo padre vivo ti può
ammantenire ancora alla
scuola, se vuoie studiare –.
Perché Tano, se si scriveva a
Catania, con 20, 30 mila lire
lo poteva ammantenere.
Magarechelisoldecheaveva
nella libretta li avesse fenito
tutte, e magare che non
avesse preso il preselario,
bastica aveva una buona
volentà, io era capace di
ammantenillo ancora a
studiare,maperònonstudiare
a Bologna, ma studiare a
Catania.
E cosí, per davero, disse
Tano:–Orastudio.
E cosí, io, con questa
discorsione di Tano, mi
avesse critto che Tano per
davero si avesse messo
aposto.
Mentre si avecinava la
festa di Pascua, ha telefonato
Ciovanneedicechevenevino
con Cioliana e Calletto per
farese li feste di Pascua
inziemme.Ioparecheavesse
preso il terno a sentire che
dovemmo fare la feste tutte
inziemme, speciarmente che
venevaCiovanne,cheperme
era chiamato «il figlio piú
lontano».
Ecosí,davero,ilciorno27
di marzo, davero, è arrevato
Ciovanne, con Ciuliana e
Calletto, suo figlio. Vedete
checontentezzacheabiammo
auto in famiglia, che venne
Ciovanne a farese Pascua
inziemme (mentre Tano ni
avevadettocheCiovannenon
veneva, perché doveva
studiare).
Cosí io, subito, ho
cominciatoacomperaretanto
manciare: abiammo fatto 10
scaccie di recotta, pastiere,
biscotte, 10 cuoste di maiale,
5litredivinoavevacomprato
a Chiaramonte, di quello di
18crade,pastieredispenacia
edibirocole2,tanteporpette,
tantochefuassaieilmanciare
che avemmo preparato che 6
scaccie di recotta li
dovettemo butare via, perché
non ci fu nessuno che si li
manciava.
Cosí,ilciornodiPascuaio
ho comperato 2 polli alli
bieco3,epoietantepasteche
ha comprato Ture. Abiammo
fatto una bellissima festa di
Pascua dell’anno 1970, tutta
lafamigliainziemme.
All’indomanedellunedídi
Pascua,aCiovanneciserbeva
un nulla vosta per uno
renovamento
dillo
suo
passaporto, perché doveva
antare all’estiro per una
ventina di ciorne, e quinte,
prima di partire per Bologna,
era meglio che questo nulla
osta si l’avesse fatto
Ciovannepropia.
Cosí, tanto Ciuliana ci
doveva antare a Siraqusa per
comperare altre cose antiche,
che ci aveva mandato a dire
iodoveeraquestareventitadi
antecuriane.
E cosí, Ciovanne, Ciuliana
e Calletto partierino per
Siraqusa, e io e mia moglie
siammo antate a racoglire
lasene, per farle manciare a
Ciovanne e Ciuliana e
Calletto, che mamma e figlio
questa verdura non l’avevino
maiemanciato.
Mentre
venevino,
Ciovanni,CiulianaeCalletto,
di Siraqusa, mi hanno
comperato una torta per me,
perché aveva fatto il
compilianno,
perché
il
compilianno lo faceva propia
il31delmesedimarzo1899.
E in vita mia nessuno mi
aveva fatto il compilianno, e
una professoressa amica di
mio figlio Ciovanni, di una
delle piú migliori famiglie di
Bologna, mi ha fatto il
compilianno:cosechenonzi
possinodementecaremaie…
Cosí, il tempo passava. Ed
erimo impieno tempo che
c’era la campagna elitorale
per i comune in tutta l’Italia,
quanto sento a Turiddo che
midiceva:–Papà,chefa,mi
lo daie il voto che mi sono
presentato consigliere nella
Democrazia come cantitato a
Chiaramonte?–Respontoio,
e ci ho detto: – Come non ti
lodo,achilodevodare!?
E cosí, ha cominciato il
lavoro per me. E cosí,
cominciaie io a fare la
propacantaperlaDemocrazia
cristiana, che io, in vita mia,
per requardo al partito,
propagantanonniavevafatto
maie. «Ma per mio figlio
Turiddo, – dicevo, – ce devo
farelapropaganta!»
Ecosí,iotramestessomi
sono
conzigliato
come
dovevafarelapropagantaper
Turiddo: che quanto vedeva
uno amico mio di campagna,
che era stato socialista como
me, ci diceva che io aveva
presentato un figlio come
conzigliere nella Dimocrazia
cristiana:–Cilovuoiedareil
voto?–Equestomidiceva:–
Ma Vincenzo, come si puole
fare,cheiosonostatosempre
socialista, ora devo votare
democristiano? – E io ci
responteva: – E io che non
sono stato socialista come te,
eprimadite!?
E cosí, io ci diceva che: –
Perquestoannopacienza,–a
qualc’amicosocialisto,checi
voleva dare il voto al mio
figlio,l’incegnire.–Pacienza,
ci
areposammo.
Per
quest’annolafalcieemartello
lalasciammo.
Cosí, mi ne sono antato in
campagna a cerare, e tutte
quelleamicechevedeva,che
erino socialiste, sempre ci
diceva lo stesso fato, che per
questa volta la favice e il
martello la lasciammo, che
poie, nelle lezione politeche,
la favice e il martello la
prentiammoun’altravolta.
EmiofratelloVito,cheera
presentato come conzigliere
nelpartitoComunista,votede
partito Cuminista ni ha preso
7, che non si sapeva chi ci
l’avevadato!
Poie,c’eraTanopresentato
come consigliere comunale
nel Ms italiano, nel comune
di Raqusa, e quanto alla sira
era a Raqusa, e vedeva a
qualche cantoniere, che
reconosceva che era fascista,
ci lo diceva, per faore, di
darecelaprefrenzaaTano.
E cosí, la cente che
sapevino come era composto
io, dicevino: «Don Vicento
per questo si ha cominato
bello: a Chiaramonte fa
propaganta per il suo figlio,
l’incegniere,
per
la
Democrazia cristiana e
arRaqusa la fa la propaganta
perilsuofigliociomitra!»
Eperunasettimanaintiera,
diciornosempremilafaceva
a Chiaramonte per direce a
chi conosceva per darece la
prefrenza al n. 26 nella lista
della Dimocrazia cristiana, e
arRaqusaallaseraperdarece
il n. 34 per Tano. E cosí, ho
fattotantemalecomparseper
queste10ciorne.
Turiddo, però, non era
capace di diracillo annesono:
«Dateme il voto». Quinte, se
non avesse stato io e tutte i
mieie parente, Turiddo era
dificileresoltare.
E poie sentire a quella
cretina di mia moglie che
diceva che i mieie parente
votononcinedavinoaTure.
Vedete che razza di critina
che io dovette capitare per
moglie... che tutte i mieie
fratelle davino il voto a
Turiddo, compure che erino
comuniste!
Cosí, si hanno fatto li
lezione comunale del 7
ciugno del 1970 e, a forza di
bordello, si ha chiusu la
campagnaelitorale.
Alla domineca matino io,
alle ore 6, mi doveva trovare
a Chiaramonte al Piano del
Salvatore,chevenevinotante
machene comantate della
Democrazia e tante auto
busse
comantate
della
Dimocraziapervotare,edera
propia a queste che si ci
doveva dire, certo all’amice
che riconosceva che erino
amice vere, ed era propia a
questechesicidovevadiredi
darelaprefrenzaaln.26,che
eral’incegniereRabito,eche
erailmiofiglio.
Cosí, mi alzo presto, vado
nell’avoto
busse
alla
stanzione e vede se c’era
qualchepassaggio,manonni
poteva trovare. Quinte, per
forza, doveva partire alle ore
8coniSchemmire 4,maalle
ore 8 era troppo tarde; ma
comedovevafare?
Cosí, ciranto ciranto,
vedevachec’eraunaLapa 5,
cheantavaversoCarpentiere,
e questa Lapa antava a
prentere latte. Mi ce sono
messo, perché io a questo lo
conoscevadiquantofacevaio
serviziodicantoniere.
Ecosí,iopartie.Edavero,
alle ore 6 e menza, mi sono
trovado a Chiaramonte. Cosí,
il mio scopo era cià
compiletato, che ci sono
revoscito. Mi sono preso una
menza cranita, umpanino
picolo manciaie, e mi sono
presentatoalPianoSalvatore,
emihotrovatoilprimodelle
altre. Io mi aveva parso che
doveva fare un crosso afare,
ma non ho trovato ancora
annesuno, ma ho trovato a
NelloRossocheciravaperla
piazza, e mi ha detto: – Don
Vicenzo,Turiddodoveene?
E io ci ho detto che
lasciavo amme: – E ora ene
antato verso il Pedalino, ad
antareaprentere4votante–.
Mentre Turiddo era a
Raquasachedormeva...
Recordo che era il lunedí,
che ancora si votava, che
poie, verso li ore 4
cominciava lo spoglio. Cosí,
io e il mio fratello Paolo
cominciammo a cirare per
tutte li sezione, e si aveva
cominciato a chiamare, e a
tutte sentemmo chiamare
delle
schiede
della
Democrazia cristiana, chi
uno, chi due, chi tre, chi
quatro delle prefrenze, ma il
numero 26, che era quello di
mio figlio, non lo senteva
chiamare neanche una volta.
Tutte li nomera si sentevino
chiamare,forachi6iln.26.
Mi sono arrabiato, io e
Paolo, e ci ne siammo antate
a sederene nella Socità, che
aveva 40 anne che sempre ni
ci abiammo sedute. Io era
preso tanto di collera che
macare sodava, e ci ho detto
ammio fratello Paolo: – Tu,
se ci vuoie antare a sentire
comevannoliafare,vaipure,
ma io non ci vado e non ni
vogliosentirepiú!
Tureddo si aveva restato a
Raqusa, ed era meglio che
non aveva venuto... Perché,
se sapeva uno fatto simile,
certochesiarrabiava!
Eio,ilmioconfortoerala
bastemia, e diceva: «Che
bellapresaperfessachefosse
se non resoltasse Turiddo...»
Che tante mi avevino detto:
«Non ti priocupare Vincezo,
che il voto a tuo figlio ci lo
dammo», e avesse stato
meglio che mi avessero ditto
dino,invecedidiremedisí.
Cosí, stapeva arrabiato,
mentre vedeva che li acente
cheantavinoevenevino,tutte
dicevino: «La Democrazia
quest’annoavelamacioranza
ossaluta». Io mi priava,
perché diceva: «Non credo
che questa maggioranza ene
tutta contraria al mio figlio!
Ma allora io, questa
propaganta che ho fatto, che
foveleno?»
Cosí, Paolo davero si ha
fatto 2 passe piazza piazza, e
vede che tutte li esponente
della Democrazia cristiana,
come sempre, erino state
tanterofiane,cheportavinoli
resoltatialpareco,pervedere
la Democrazia cristiana dove
erinoarrevatacoiresoltate.E
laDemocraziaerasemprepiú
avante di tutte e, anzi, sicuro
che prenteva la maggioranza
ossaluta.Eiodiceva:«Mase
prente
la
maggioranza
assaluta, il mio figlio perché
nondovesseresoltare?»
Cosí,allasera,versoliore
8 o 9 che erino, ha venuto
uno e mi diceva: – Don
Vincenzo, il suo figlio è cià
resoltato conzigliere, perché
hosequitolospogliointante
sezione e ho inteso chiamare
diversevolteiln.26–.Eioci
diceva: – Non mi contare
fissarieie, che non può
resoltare,
perché
luie
propaganta non si ni ha fatto
e non ci l’aveva detto
annesuno di darece il voto, e
poi che il mio figlio non ci
tiene, perché, magare che
resortasse, all’indomane si
dementesse, perché ave tante
lavore a Chiaramonte e,
esentoconzigliere,nonlipole
fare, e quinte ci perde –.
Mentre io, nel mio penziere,
diceva: «Se fosse vero, che
piacirecheioprovava...»
Cosí io, quanto lo inteso
dire tante volte che Turiddo
aveva resoltato, ho preso di
coraggio e mi alzaie della
sedia, che aveva piú di 3 ore
che era seduto, e mi sono
messo a camminare per
cercare dove era il mio
fratelloPaoloepersapereche
cosaavevaintesodireluie.E
cosí, ho trovato a Paolo, e ci
abiammomessoacamminare
piazza piazza, e lo senteva
dire da tante che Turiddo era
cià conzigliere ed era al
monicipio con Pipino Cafa,
che Pepino Cafa aveva auto
un numero di vote maggiore
per fare magare il sindaco, e
Turiddo cià ci hanno
cominciato a dire che era cià
nominato assossore alle
Lavorepublice.
Ecosí,iohopresorespiro,
che cominciaie a essere
allecro, e piú contente di me
nonc’eranesuno.
Cosí, erano le ore 10,
quantovedochemicercavail
provessore Failla come un
pazzo,el’avevadettoatante:
«Dove ene don Vicenzo?» E
finarmentemihatrovato,per
diremecheilmiofiglioaveva
salito consigliere, e mi ha
venuto a baciare con una
impresione, come quanto 2
parente, che avevino stato
inni una precolosa battaglia
difecile, e sono restato vive.
Io, con quella baciata, per
dire la verità, mi sono
sfrontato di fronte a tante
acente che mi hanno
quardato, ma che cosa ci ho
pututo fare? Certo che il
professore
Failla,
a
Chiaramonte, non ene un
essere lazzarone, ma ene uno
de
brave
acente
di
Chiaramonte, e il bacio che
mi ha dato ha stato senza
malizia. Perché luie bene
sapeva che io aveva stato
sempre socialisto, e tutte i
mieie fratelle socialiste e
comuniste, e ora ni avemmo
fattodemocratechecristiane.
Ecosí,Turiddo,cheaveva
stato al municipio a
contrellarese li suoie voto,
che foruno tutte, tra vote di
lista e prefrenze, che foreno
in tutto 227, antiammo a
Raqusa, che arrevammo alle
ore 11 e menza, tante
sodisfatte. Poi, alle ore 12,
enearrevatoTanuzzo,edisse
che aveva preso luie nella
lista del Msi a Raqusa 297
vote, ed era sodesfatto
magare, e diceva che magare
luie
poteva
resoltare
conzigliere cumunale nel
comune di Racusa. E quinte,
Tano era il 4 di quelle che
avevino auto li piú assaie
vote, e Cutine, l’on., diceva
che si demeteva, perché era
malato,equinte,dicevaTano
chedovevafareilconsigliere
comunaleaRaqusa.
E quinte, io era molto
sodisfatto per tutte 2 queste
mieie figlie, ma per Tano io
non era sicuro di fare il
consigliere, perché quelle 2
non si demetevino, perché il
seggiononlolasciavano,poie
che a Tano si l’avevino
sempre giucato, perché Tano
eraunragazzomoltosincero,
e non era cosa di stare nel
Msi, che avesse stato meglio
se non ci avesse stato maie,
perché Tano, causa a quello
schifio di partito, ha stato
sempre la sua sfortuna. Ma
perTuriddociàerasicuro.
E penzava le collere che
aveva preso quella sera, al
principio dello sfoglio, che
per un’ora non aveva sentito
chiamare il nomero 26, che
della rabia stava morento,
senza sapere che Turiddo cià
eraresoltato,ecivolevapoco
per resoltare Tano macare a
Raqusa.Equinte,magareche
solde non ni quadagnino, si
trattailpiacere!Perchénonsi
vivepersolesolde,masivive
magarepersodisfazione.
Cosí, Tanuzzo decise di
partereperBologna,perchéli
lezione si avevino fatto, e la
custura,doppotantoaspetare,
mi ha dato il passaporto per
Ciovanni, e quente ci lo
dovemmo mantare. Ma,
ciustociusto,propiainquello
ciorno, fece una telefonata
Ciovanni, perché Ciovanne
sempre ci antava a chiedere
all’universitàperilpreselario
di Tano, e questa telefonata
diceva: «Caro Tano, ti hanno
acordato il presalario, ti li
puoievenireaprentelloe,nel
medesimotempo,sièpronto,
miporteraieilpassaporto».
Io, della contentezza che
Tano, doppo tanto aspetare
perquestopreselario, l’aveva
ottenuto, pare che avesse
diventatoricco.
Ecosí,Tanoparteteeciha
portato il passaporto a
Ciovanni a Bologna, che nel
medesimo tempo si prenteva
il preselario. Cosí, doppo
tante sacrificie che io aveva
fatto per questo passaporto,
nonhavalitoniente,chetutto
a distretto mi l’avevino fatto
sbagliato!
Cosí,io,unabuonamatina,
mi alzo alle ore 3 e come
assolitominevadoaprentere
l’auto busso per Siracusa, e
disse: «Ave 4 mese che per
questo passa porto staio
lavoranto, e per questa volta
mi lo devino fare per forza,
perché ene una vercogna
questocovernoitaliano!»
Cosí, ho partito resoluto
propia per fare bordello. «E
sequestecornutedeldestretto
non mi lo danno in ciornata,
faròqualchefissaria!»
E cosí, a forma di
«crugno» 7 come dice mia
moglie, come arrivo a
Siraqusa mi sono presentato
all’impiato 8. E la prima
parolachemihannodetto,mi
hanno detto: – Questo
passaportoquinonn’asiste–.
Cosí, mi sono mensso a fare
bordello.
Mentre,percomminazione,
passavailmarescialloAzardo
e volle sapere di che cosa si
tratava. E cosí, pare che a
questomaresciallocil’avesse
detto il Padre Eterno di
passare, che nel ciro di 20
minute l’impiegato mi ha
dato il nulla vosta e mi ne
sunoantato!
Tano, come venne di
Bologna, non volle studiare
piú, perché Turiddo, come
l’hanno fatto asosore, ci ha
dettoche:–Nonapenacisarà
umposto al municipio, e si
darà al concorso, speriammo
chetulovinceie.
E cosí, Tano si ammesso
allavorare nello studio di
Turiddo,per25o30milalire
almese.
Pacienza. Quelle solde de
preselario ci l’abiammo
conserbato allo scopo che,
quanto prente qualche posto,
ci serbono per comprarese
qualchemachina.
Etrammolavita.
Cosí, Turiddo, intanto, si
ha
fatto
fedanzato
ofecialmente.
Un ciorno, ci ha fatto fare
la reconoscenza a padre e
madre. Ora, tutte li ciorne si
nevanellafidanzata,edentra
con noie non ci mancia piú.
Ora, vediammo come fenerà
inapresso9.
LazitadiTuriddociviene
spessodentralanostracasa,e
magare ci viene con sua
madre.
Eterammolavita.
Cosí,Ciovanne,conquello
passaporto, per primo ha
scritto
una
cartollina
dell’Austria,
la
2conta
cartollina la scrisse di
Berlino, la 3 cartilina la
scrisse di Storcarla 10, la 4
cartilina la scrisse della
Francia, dove diceva che
voleva
essere
mantate
qualchecosadisolde,eioci
l’ho
mantato.
E
ci
l’ommantato come aveva
mantato a dire luie, con la
derazionechemiavevadetto
luie: «Al signore Rabito
Ciovanne, ferma imposta
Madride(Spagna),passaporto
N.5399902IP».
Cosí, io subito ci l’ho
mantato con un vaglio
telecrafico,chemihacostato
lire quase 4.000, e doppo 8
ciornel’hareceutoescritto2
altre cartoline della Spagna:
uno era di Valencia. E cosí,
Ciovanne diceva che viene a
settembre.
Cosí, io stava tranquillo
conquestamantatadisoldedi
Ciovanne.Manondoròtanto
la mia tranquilletà. Perché
vennelafestadelSalvatoree,
io e mia moglie, Turiddo ci
ha portato con la machina a
farenevederelafesta,eciha
fatto scentere alla strada
nuova. Cosí, Turiddo si
n’antò e io con quella mia
moglie antiammo alla villa
per sederese e prentere
unmpoco
di
aria
chiaramontana,perchéfaceva
un cardo di morire. Cosí,
abiammo stato un’ora e poie
abiammo partito per antare a
bedere uscire il santissimo
Salvatore. Propia nello uscita
dellavilla,percompenazione,
mi ho vido presentare al mio
fratello Paolo e il suo cenero
e ci hanno domantato come
stiammo di salute. Certo che
mia moglie, se d’era
veramente figlia di acente
nobile, non c’era di bisogno
di scapare come una
lavantaia, che pare che a
vedere al mio fratello Paolo
avesse visto a uno cane
rognoso che ci avesse
mischiato la rugna. Vedete
checolleracheiohopresoin
quella disonesta partaccia di
donna!
E sapete quanto si leva
questo veleno? Quanto si
compessa e mi dice: «Haie
raggione, Vincezo. È vero
che tu mi haie fatto nobile
con queste figlie che
avemmo».
E cosí, potissemo livare
questo veleno e fare una vita
felice.
Masonosicurochequesto
velenocontinia!
Poi, il ciorno 23 acosto,
erimo belle quase che
avemmofenitodimanciare,e
abiammo sentito che c’era
una telefonata della Tonisia.
Io, mia moglie e Tano
dissemo tutte spaventate:
«Ma che potesse essere a
telefonare annoie?», sapento
sentere che Ciovanne era
nella Spagna. Ma era propia
Ciovanne che, della Spagna,
sineeraantatoinTunesia.E
cosí,cihadetto:–Caropapà,
ci hanno fregato li solde,
mantateme lire 50.000 a
vaglia telecrafica, che fra 3
ciorne siammo di presenza a
Raqusa.
Quinte, era la domineca, il
ciorno 23 acusto, e quinte, il
mercolidí, Ciovanne veneva.
E quinte, io penzaie che non
erino solde che ci l’avevino
fricato, ma erino solde che
l’avevino fenito, ma io, che
per i mieie figlie non ho
quardato maiei intresse,
all’indomane, voldire il
ciorno 24 acosto, come si ha
fatto ciorno, che nella notata
non ho dormito perché ci
doveva spedire queste solde,
mi alzo e vado al banco a
prenterelire60.000efareceil
vaglio telecrafico di lire
50.000 mila lire, con questo
intrizzo: «Rabito Ciovanni,
fermapostaTunise(Tonisia),
passaportoN.5399902IP».
E cosí, aspetiammo che
viene questo figlio, che si ha
cirato l’Austria, Cermania,
Portocallo,
Inchiliterra,
Francia, Spagnia e Arceria e
Tunisia. Cosí io, con tutte li
solde che ho speso, non mi
fanno impresione, bastica il
mio figlio viene con una
buona salute e se ne va a
studiare e si lauria e penza
perl’avenire.
Io, alla matina, che era il
mercolidí, aveva comperato
tanto manciare, perché alla
sera vineva Ciovanne, ma
erino li ore 11 e Ciovanne
nonveneva.Cosí,erimotutte
priucopate.
Cosí, io e tutte penzammo
che, secome i ciornale
portavino che nel Medio
Oriente c’ene il qualera 11, e
tutte li turiste straniere che
dovevinorientrareinItaliaci
dovevinofarelavacinazione,
equinte,io,pertuttalanotte
del mercolidí, che poie
doveva aciornare il 27, non
dormie.
E cosí, spetammo per tutta
la ciornata del ciovedí, e
ancoranonvieneCiovanni.E
hanno passato altre 3 ciorne
senza avere notizia di
Ciovanne. Ma, finarmente,
alla dominica, abiammo
receutounatelefonata,edera
propia la voce di Ciovanni
chediceva:–Io,conCiuliana
eCalletto,siammoarrevatoa
Bologna con l’aerio, e
fortenatamente che abiammo
trovato il posto, perché in
Tunesia c’ene umprincipio di
malatia di quarela e ci
doventerovacinareperpotere
rientrareinItalia,eneancheli
lire 50.000 mila potte
prentere.
Cosí, io ho preso una
crante preocupazione con
tutta la famiglia, che
Ciovanninonpotteprentereli
solde e malate potevino
essere. Ci ho domantato
quanto veneva e mi ha detto
che veneva fra 6, 7 ciorne, e
mihadetto:–Sequellesolde
vi le danno, mi li mantate, e
altrementeniente.
Cosí io, tutte li matine,
faceva viaggie alla Posta per
vederesearretornavinolilire
50.000, che aveva mantato a
TuniseaCiovanne,epenzare
se vineva Ciovanne da
Bologna, per vedere se era
bene di salute o era
ammalato.
Il dattiloscritto si interrompe qui,
all’agosto del 1970. Durante gli ultimi
anni della sua vita, Vincenzo Rabito
nonpotéscriverepiúniente.
Moríil18febbraio1981.
1
sparagnare:risparmiare.
2
birocole:broccoli.
3
polliallibieco:polliallospiedo.
4
GliSchembari.
5
Lapa:Ape.
6
forachi:tranne.
7
a forma di «crugno»: facendo
l’ingenuo.
8
impiato:impiegato.
9
come fenerà in apresso: come
finiràinseguito.
10
Stoccarda.
11
qualera:colera.
Illibro
L’autore
Indice
Terramatta
Notadell’editore.
Notadeicuratori.
Terramatta
I.Comegarzonello
II.Caruse,ilsoldatopassa!
III.Trenceia
IV.AtuornodelPiave
V.Lafebrespagnola
VI.Vintalaguerrapersoil
manciare
VII.Alliconfini
VIII.Revolozione
IX.Chitarreemandoline
X.Camicianera
XI.Licantieredell’Ogadenne
XII.Impriacodinobilità
XIII.Laquerraincasa
XIV.IlcarbonedellaCermania
XV.Hannotrasutoliamirecane
XVI.Trabrecanteecarabiniere
XVII.Ilpilonell’uovo
XVIII.Costòquantocostò
XIX.L’oniversetà
XX.Lostudioperl’incegniere
XXI.Larollotta
XXII.Cosechenonzipossino
dementecare
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