ATTUALITA` FISCALE.........................................................
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ATTUALITA` FISCALE.........................................................
CENTRO DI RICERCA SULLA F INANZA E F ISCALITÀ INTERNAZIONALE Via G. Marconi n. 103 - Villa Valmarana Morosini 36077 Altavilla Vicentina (VI) ATTUALITA’ FISCALE...................................................................................... 3 1. L’agenda delle sanatorie fiscali arriva sul filo di lana .......................... 3 2. Pronuncia ministeriale sui canoni di leasing relativi a terreni ............ 5 3. Per le indennità degli agenti vale la competenza .................................. 8 4. I coefficienti di ammortamenti per gli immobili locati ...................... 10 5. Gli ultimi chiarimenti sulla svalutazione delle partecipazioni ......... 10 GLI APPROFONDIMENTI.............................................................................. 14 6. Iva: 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 la fatturazione e l’archiviazione elettronica ................................. 14 La fattura elettronica ..............................................................................14 I soggetti abilitati all’emissione della fattura..........................................15 Il contenuto della fattura ........................................................................16 L’archiviazione elettronica delle fatture..................................................17 L’archiviazione elettronica dei documenti (D.M. 23/01/2004) ...............18 6.5.1 Le caratteristiche dei documenti informatici e del processo di conservazione ................................................................ 19 6.5.2 L’imposta di bollo .............................................................................. 20 L’ANGOLO DELLA GIURISPRUDENZA ..................................................... 20 7. Il ritardo nel rimborso dà diritto ad ottenere, oltre agli interessi, il risarcimento del maggior danno....................................... 20 7.1 Il caso .....................................................................................................20 7.2 7.3 8. La normativa di riferimento....................................................................21 La posizione della Cassazione .................................................................21 Ammessa la detrazione dell’IVA sugli acquisti inerenti anche in assenza di operazioni attive.................................................... 22 8.1 Il caso .....................................................................................................22 8.2 La posizione dell’amministrazione finanziaria........................................22 8.3 La posizione della Corte..........................................................................23 NOTIZIE FLASH............................................................................................... 24 9. Dual Income Tax: l’ultimo CRO ............................................................ 24 10. Definitivo (o quasi) il modello Unico 2004 .......................................... 24 11. Fissati gli importi 2004 dei diritti annuali alle camere di commercio................................................................................................. 24 12. I nuovi coefficienti ai fini Ici per gli immobili commerciali ............. 26 13. Approvazione di nuovi studi di settore ................................................ 26 14. Definite le retribuzioni convenzionali per il 2004 .............................. 27 2 ATTUALITA’ FISCALE 1. L’agenda delle sanatorie fiscali arriva sul filo di lana Con decreto datato 8/4/2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 87 del 14/04/2004 (a soli due giorni dalla scadenza del primo o unico pagamento per aderire alle sanatorie fiscali), il Ministro delle finanze ha finalmente stabilito i termini connessi alle nuove scadenze delle definizioni agevolate degli adempimenti tributari. Brevemente si ricorda che l’art. 23-decies del D.L. 355/03, introdotto in sede di conversione dalla Legge n. 47 del 27/02/2004, aveva prorogato al 16/04/2004 il termine precedentemente fissato al 16/03/2004 dall’art. 2 commi 44-52 della Legge 350/03 (contenente in particolare l’estensione delle sanatorie fiscali al periodo d’imposta in corso al 31/12/2002 e la cui dichiarazione fosse stata presentata entro il 31/10/2003) e dall’art. 34 del D.L. 269/03 (che prorogava le sanatorie nel testo contenuto nella L. 289/02), demandando ad un successivo decreto ministeriale il compito di stabilire i termini connessi alla nuova scadenza. Tuttavia, dal 28/02/2004 - data di entrata in vigore della norma di proroga - si è giunti quasi alla scadenza del 16/04/04 per definire la nuova agenda delle sanatorie, in tal modo violando il più elementare diritto contenuto nello Statuto del contribuente (L. 212/00): ci si riferisce alla previsione che precluderebbe la possibilità di introdurre disposizioni tributarie che prevedano, a carico dei contribuenti, adempimenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al 60esimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti attuativi (art. 3 comma 2 L. 212/00). Con i nuovi termini stabiliti dal D.M. 08/04/04 (che sostituisce il D.M. 16/01/2004), i 60 giorni richiesti dallo Statuto del contribuente si sono ridotti a pochi giorni in taluni casi: è pertanto probabile, come evidenziato in dottrina, che i termini di adesione alle sanatorie fiscali possano essere riaperti, non solo per consentire l’adesione a soggetti rimasti esclusi (tra cui in particolare i soggetti con esercizio sociale non coincidente con l’anno solare, per i quali la formulazione letterale dell’art. 2 comma 44 L. 350/03 ha impedito l’estensione delle sanatorie fiscali al periodo d’imposta chiusosi prima del 31/12/2002 – si veda C.M. n. 7/E del 18/02/2004), ma anche per evitare future contestazioni basate sul mancato rispetto della L. 212/00. Si riportano di seguito alcuni dei termini maggiormente significativi stabiliti dal D.M. 08/04/04: 1) Le persone fisiche titolari di redditi prodotti in forma associata, che al 25/06/2003, avevano già ricevuto la comunicazione, da parte di 3 società di persone e associazioni, dell’avvenuta definizione ex art. 7, comma 10, primo periodo (concordato di massa), e 8, comma 11, primo periodo (integrativa semplice), della legge n. 289/2002 e che intendono definire la propria posizione, dovranno effettuare il versamento entro il 16/04/2004. Per gli stessi soggetti che optino per la rateizzazione, sono fissati al 20/07/2004 e al 18/10/2004 i termini per il versamento delle due rate successive al primo versamento. I relativi importi vanno maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17/10/2003; 2) per i contribuenti che provvedono, in base alle disposizioni dell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 143/2003 (così come modificato dall’art. 34 D.L. 269/03) ad effettuare, entro il 16 aprile 2004, versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari di cui agli articoli 7 (concordato), 8 (integrativa semplice), 9 (condono tombale), 9-bis (omessi versamenti), 11 (definizione imposte indirette), 12 (definizione dei carichi fiscali iscritti a ruolo), 14 (regolarizzazioni contabili), 15 (definizione liti potenziali) e 16 (definizione liti pendenti) della L. 289/2002, nonché per i contribuenti che provvedono in base alle disposizioni dell’art. 2, commi da 44 a 49, della L. 350/2003, ad effettuare, entro la medesima data, versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari ivi previsti, valgono i seguenti nuovi termini : a) 21/04/2004, per la presentazione della domanda di definizione delle liti fiscali pendenti (artt. 16, co. 4, L. 289/02 e 2, co. 49, L. 350/03); b) 17/05/2004 per la comunicazione, da parte di società di persone e associazioni, alle persone fisiche titolari dei redditi prodotti in forma associata, dell’avvenuta definizione, di cui agli artt. 7, co. 10, primo periodo e 8, co. 11, primo periodo, L. 289/02, anche relativamente al periodo di imposta in corso al 31/12/2002; c) 16/06/2004 per il perfezionamento della definizione, anche relativamente al periodo di imposta in corso al 31/12/2002, da parte delle persone fisiche titolari di redditi prodotti in forma associata; per i medesimi soggetti, sono altresì rideterminati al 20/07/2004 e al 18/10/2004 i termini per il versamento delle due rate, e i relativi importi sono maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17/06/2004; d) 20/07/2004 versamento della prima rata delle somme eccedenti il minimo (minimo pari a 3.000 euro per persone fisiche e 6.000 euro per tutti gli altri soggetti), di cui agli artt. 7, co. 5, ottavo periodo, 8, co. 3, quinto periodo, 9, co. 12, primo periodo, 9-bis, co. 1, secondo periodo e 15, co. 5, secondo periodo, L.289/02, relativamente ai soggetti che alla data di entrata in vigore del D.L. 269/03 (ossia al 02/10/03) ancora non avevano effettuato versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari di cui ai medesimi articoli 7, 8, 9, 9-bis e 15. I relativi importi sono maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17/10/2003. Sempre al 20/07/2004, è fissato il termine di 4 versamento della prima rata di cui all’art. 2, commi 44, lettera a), 45, secondo periodo e 48, secondo periodo, della legge n. 350 del 2003. I relativi importi sono maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17/04/2004. Ferme restando le rispettive decorrenze degli interessi, per i contribuenti indicati nella presente lettera il termine di versamento della seconda ed ultima rata è fissato al 18/10/2004; e) 27/12/2004 il termine di versamento della terza ed ultima rata di cui all’art. 9-bis, comma 1, secondo periodo, L. 289/02 (omessi versamenti), relativamente ai soggetti che alla data di entrata in vigore D.L. 269/03 ancora non avevano effettuato versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari di cui al medesimo art. 9-bis e il relativo importo è maggiorato degli interessi legali a decorrere dal 17/10/2003. Alla stessa data del 27/12/2004 è fissato il termine di versamento della terza rata di cui all’art. 2, comma 45, secondo periodo della L.350/2003 (omessi versamenti alla data del 01/01/2004) e il relativo importo è maggiorato degli interessi legali a decorrere dal 17/04/ 2004; 3) Per i contribuenti che provvedono, in base alle disposizioni dell’art. 1, comma 2, primo periodo, del D.L.143/2003, ad effettuare, entro il 16/04/2004, versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari di cui all’art. 5-quinquies del D.L. 282/02, il termine per il pagamento al concessionario della tassa automobilistica erariale, in caso di notifica di cartella di pagamento, di cui al comma 2 del medesimo articolo, è fissato al 30/04/2004. Non va infine dimenticato che non è ancora stato stabilito in via definitiva il termine per la presentazione in via telematica delle dichiarazioni di condono. Per il momento non resta quindi che fare affidamento sul riferimento temporale riportato nelle istruzioni alle dichiarazioni suddette (che, tuttavia, riportano ancora la vecchia scadenza per i versamenti del 16/03/2004), in cui viene indicata come scadenza di presentazione, l’ultimo giorno del mese successivo a quello di versamento degli importi dovuti per le definizioni agevolate: considerata la proroga al 16/04/2004, la scadenza per la presentazione telematica delle dichiarazioni dovrebbe essere il 31 maggio p.v. 2. Pronuncia ministeriale sui canoni di leasing relativi a terreni Con la recente Risoluzione Ministeriale n.19/E del 23/02/2004, l’Agenzia delle Entrate, in risposta ad un interpello presentato da una società che chiedeva di sapere se fossero deducibili i canoni di leasing relativi ad un terreno edificabile sul quale l’istante intendeva “installare un impianto di riciclaggio e lavorazione di materiale inerte.. senza la realizzazione di alcuna opera edilizia specifica”, ha fornito una risposta negativa, consentendo la deducibilità della sola quota parte del canone costituita dagli interessi passivi relativi al contratto di leasing, e non anche della quota capitale, in tal modo aprendo sulla questione un vivace dibattito dottrinale. 5 La particolarità di tale pronuncia risiede nella circostanza che la deducibilità dei canoni è stata negata pur nel rispetto del limite degli otto anni di durata del contratto di leasing, previsto dall’art. 102, comma 7 nel novellato Tuir in vigore dal 01/01/2004 (già articolo 67 comma 8 nel Tuir previgente). Si ricorda che tale articolo subordina la possibilità di dedurre dal reddito d’impresa l’intero canone di leasing sostenuto nell’esercizio - oltre che della quota parte di maxi canone - ad una durata minima del contratto di leasing, che deve essere pari ad almeno 8 anni per i beni immobili, mentre per i beni mobili non deve essere inferiore alla metà del periodo di ammortamento, in base ai coefficienti ministeriali stabiliti dal decreto ministeriale 31/12/1988, obbligatoriamente applicati per la deduzione delle quote di ammortamento sui cespiti in proprietà. Le motivazioni, alla base della citata pronuncia ministeriale, si incentrano fondamentalmente sull’individuazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di “un criterio di sostanziale equivalenza tra l’acquisizione o la realizzazione del bene in proprio e quella effettuata tramite contratto di leasing…Tale criterio è finalizzato ad assicurare nel tempo, in relazione alle mutevoli condizioni di mercato, la necessaria neutralità fiscale della scelta aziendale tra acquisizione dei beni in proprietà e in leasing”. In virtù di tale principio di equivalenza “così come non sono ammesse in deduzione dal reddito d’impresa le quote di ammortamento di un terreno strumentale, non sono deducibili i canoni di locazione finanziaria relativi ad un terreno acquisito in leasing”. Secondo l’Agenzia delle Entrate risulterebbe quindi possibile dedurre il costo dei terreni, solo se questi fossero adibiti a piste, moli, linee ferroviarie ed autostrade, in quanto specificamente previsti dei coefficienti di ammortamento dalla tabella ministeriale (D.M. 31/12/1988), nel gruppo XVIII ed anche in considerazione del fatto che generalmente sono beni in concessione, gratuitamente devolvibili all’ente concedente alla fine dei previsti periodi di utilizzo: “in questo caso i terreni non hanno un valore di recupero per il concessionario e la loro inclusione in tabella è giustificata dalla necessità di consentire la deduzione del loro costo attraverso il processo di ammortamento”. Come anticipato ed in considerazione della portata che la risoluzione 19/2004 potrebbe avere qualora venisse applicata dagli uffici, si annoverano già i primi commenti in dottrina, alcuni contenenti una disamina della recente pronuncia con una indiretta presa di posizione a favore della tesi ministeriale (Dezzani F. e L. in Il Fisco n.15/2004 e F. Valacca in Corr. Trib. n.13/2004) ed uno in cui quest’ultima viene invece confutata (avv. Gallio in Il Fisco n.12/2004), in tal modo aderendo ad una tesi espressa da autorevole dottrina poco prima della risoluzione (F. Crovato e R. Lunelli in Dialoghi di diritto tributario, gennaio 2004). Lunelli prima e Gallio poi rilevano che il Tuir, anche nella versione novellata, fa riferimento, per i beni immobili, unicamente alla durata del contratto, e non ai coefficienti di ammortamento. L’argomentazione 6 dell’esistenza/inesistenza di appositi coefficienti ministeriali per l’ammortamento dei cespiti in proprietà dovrebbe dunque essere esperibile solo per i beni mobili, per i quali l’art. 102 comma 7 Tuir fa un esplicito riferimento al periodo di ammortamento previsto a livello ministeriale. Una volta rispettato il requisito della durata del contratto di almeno di 8 anni, oltre l’inerenza, certezza e determinabilità del costo, non dovrebbe essere dunque possibile disconoscere la deduzione dei canoni per l’acquisto di immobili, indipendentemente dal fatto che per essi sia previsto o meno un coefficiente di ammortamento. Lunelli, inoltre, sottolinea che i contratti di compravendita e di leasing, pur ottenendo, dopo un certo lasso di tempo, il medesimo risultato, hanno strutture giuridiche diverse ed effetti non coincidenti. In particolare, con il leasing, la proprietà viene assunta solo in seguito a riscatto, dopo almeno otto anni, con evidenti conseguenze sulla patrimonializzazione della società e sul suo assetto complessivo; pertanto, non dovrebbe essere automatico riconoscere il medesimo trattamento fiscale a modalità di acquisizione dei beni , che sono assai diverse tra loro, ma al contrario “non deve affatto stupire che l’adozione di contratti diversi comporti trattamenti fiscali diversi”. Inoltre, quale argomentazione ancor più di rilievo, sempre prodotta dallo stesso autore, si osserva che nel corso della 195a Seduta della VI Commissione Finanze e Tesoro del Senato, tenutasi il 26/11/2003, in sede di discussione sul provvedimento volto a dare attuazione all’art. 4 della Legge 80/04 sulla riforma del sistema fiscale, la Commissione ha elaborato una “Proposta di Parere” in materia di deducibilità dei canoni di leasing su terreni, osservando che: “la riproposizione del regime di deducibilità dei canoni di locazione finanziaria, con l’unica condizione di una durata contrattuale non inferiore agli otto anni, costituisce l’occasione per ribadire l’interpretazione favorevole per la deducibilità dei canoni di leasing laddove oggetto del contratto sia un terreno agricolo” che pure, come noto, non viene sottoposto ad ammortamento nel caso di acquisto in proprietà. A favore della posizione ministeriale, sembra esprimersi, invece, Valacca (in Corriere Tributario n. 13/2004), il quale rileva che la norma relativa alla deducibilità dei canoni su beni immobili si trova inserita nel contesto di un articolo, il 102 NTU, rubricato “ammortamento dei beni materiali” e pertanto necessariamente vuole riferirsi solo ai beni ammortizzabili, non trattando nemmeno di quelli non ammortizzabili. Il terreno edificabile non si configurerebbe come bene ammortizzabile, in quanto non suscettibile di deperimento e consumo; in tal senso si citano le RR.MM. nn. 1579/1982 e 113/1996 e le CC.MM. nn. 11/1991 e 98/2000. In particolare la C.M. n. 11/91 afferma: ”In relazione a tale componente reddituale [leggasi ammortamenti] si rammenta che i terreni, ancorché assolvono ad una funzione di strumentalità nell’esercizio delle attività, non sono ammortizzabili, atteso che, per la loro natura, non sono suscettibili di deperimento e consumo e quindi difettano del requisito richiesto, sia dalla 7 normativa civilistica sia da quella fiscale, perché l’ammortamento stesso possa essere effettuato.” Sulla possibilità di considerare i terreni quali beni strumentali all’attività d’impresa, si è espressa la Cassazione Civile nella sentenza n. 2990/1996, affermando che i terreni possono essere considerati strumentali soltanto quando vengono sottratti alla loro destinazione naturale per essere utilizzati stabilmente in un determinato processo produttivo (si fa l’esempio del deposito di materiali inerti per l’impresa costruttrice); “per contro, qualora lo sfruttamento del terreno resti circoscritto nell’ambito della sua naturale funzione, di guisa che esso debba essere considerato oggetto e non strumento dell’attività imprenditoriale, esso esige di essere qualificato alla stregua, non già di bene strumentale, bensì di fattore di produzione, in quanto per se stesso suscettibile di dar luogo a reddito”. Da quanto sopra esposto, stante il vivace dibattito dottrinale cha ha già iniziato a svilupparsi e le diverse posizioni assunte, non è possibile oggi valutare quale sarà l’impatto della risoluzione 19/2004 sull’operato degli uffici: pertanto, ci si auspica che l’Agenzia delle Entrate torni quanto prima sull’argomento per chiarire definitivamente la questione. 3. Per le indennità degli agenti vale la competenza Gli accantonamenti per le indennità di cessazione del rapporti di agenzia sono deducibili per competenza; questo il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate nella contenuto nella risoluzione n. 59 del 09/04/2004, che giunge a dirimere definitivamente i dubbi ancora esistenti sul punto. Se, infatti, l’orientamento dottrinale maggioritario già affermava che tali accantonamenti, effettuati nei limiti previsti dagli accordi collettivi, sono deducibili per competenza ai sensi dell’articolo 105, comma 4, del Tuir (già art. 70), altri ritenevano invece ancora applicabile la vecchia risoluzione ministeriale 9/120/1980, secondo cui questi oneri, sino a quando non vengono pagati, difetterebbero del requisito di certezza e sarebbero indeducibili. Nemmeno a dirlo, tale tesi restrittiva risultava spesso e volentieri applicata dagli accertatori fiscali. Preliminarmente, va rammentato che l’indennità dovuta per la cessione del rapporto di agenzia è disciplinata dall’art. 1751 del codice civile, integrato, in sede di contrattazione collettiva, dall’Accordo Economico Collettivo del 26/06/2002. Mentre le disposizioni codicistiche si limitano a stabilire l’obbligo di corresponsione dell’indennità, e la sua misura massima (art. 1751, comma 3), l’art. 12 dell’accordo collettivo definisce in termini più analitici la composizione dell’indennità, scomponendola in tre distinte componenti: Indennità per la risoluzione del rapporto (comunemente nota come FIRR). É calcolata sulle provvigioni maturate e liquidate fino alla cessazione del rapporto, in misure distintamente stabilite a seconda dell’anno di liquidazione; viene accantonata presso l’Enasarco. L’indennità non è dovuta per taluni fatti imputabili all’agente 8 (indebita ritenzione, concorrenza sleale, violazione del vincolo di esclusiva); Indennità suppletiva di clientela (FISC). É corrisposta in aggiunta al FIRR se il contratto si interrompe, su iniziativa della casa mandante, per fatto non imputabile all’agente, ovvero in caso di dimissioni dell’agente per vecchiaia o invalidità. Si quantifica applicando determinate percentuali alle provvigioni maturate; Indennità meritocratica. E’ dovuta solo qualora l’importo complessivo di quelle precedenti sia inferiore al valore massimo stabilito dalla legge e sempre che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sviluppato gli affari con quelli esistenti dai quali il preponente riceve ancora sostanziali vantaggi. La quantificazione di tale indennità è ottenuta per differenza tra l valore massimo stabilito dal codice civile (art. 1751, co. 3) e la somma delle due indennità precedenti. L'Agenzia delle Entrate, interpellata da un contribuente, da un lato, richiama l’articolo 105, comma 1, del nuovo Tuir, che consente la deduzione dal reddito d’impresa degli “accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente (…) nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto” ed il successivo comma 4, che estende tale deducibilità anche agli accantonamenti per le indennità di fine rapporto di agenzia; dall’altro, riconosce piena rilevanza sotto il profilo fiscale, sia alle disposizioni civilistiche che fissate dalla contrattazione collettiva. Ad avviso dell’Agenzia, dunque, l’impresa mandante potrà dedurre per competenza l’importo massimo previsto dagli accordi collettivi e cioè quello “calcolato anno per anno ipotizzando la cessazione di tutti i rapporti di agenzia in essere per causa non imputabile all’agente”. Naturalmente, al momento della cessazione del rapporto, se la somma effettivamente liquidata a favore dell’agente è superiore a quella accantonata, la differenza costituirà un onere deducibile; nel caso opposto, l’eccedenza del fondo rappresenterà una sopravvenienza tassabile. Se negli esercizi precedenti alla cessazione del rapporto, gli accantonamenti fossero stati ripresi a tassazione con variazioni in aumento in dichiarazione, l’intera indennità sarà fiscalmente deducibile attraverso una variazione in diminuzione, ex art. 104, comma 4, lett. a). Le Entrate infine precisano la deducibilità sussiste anche nonostante alcune componenti dell’indennità, e cioè l’indennità di clientela e quella meritocratica, abbiano natura aleatoria, essendo decisiva la circostanza che gli accantonamenti avvengano in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolamentano il rapporto. 9 4. I coefficienti di ammortamenti per gli immobili locati Con la risoluzione n. 56/E del 09/04/2004, in risposta ad un’istanza di interpello, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta in merito all’ammortamento di immobili strumentali per natura dati in locazione da una società immobiliare. In sintesi ecco i chiarimenti forniti (alcuni dei quali ribadiscono orientamenti già assunti in passato): gli immobili non strumentali per natura locati da una società immobiliare non possono essere considerati strumenti dell’attività imprenditoriale, costituendo piuttosto l’oggetto della medesima; pertanto ai sensi dell’art. 90, nessuna quota di ammortamento può essere dedotta, dal momento che l’immobile concorrerà alla formazione del reddito d’impresa; gli immobili strumentali per natura “sono da considerare comunque strumenti dell’attività commerciale del soggetto possessore anche quando gli stessi non sono impiegati nel ciclo produttivo dell’impresa o non lo sono direttamente, perché dati a terzi in locazione”. Esiste dunque, con riferimento a tali immobili (che si ricordano, sono quelli delle categorie B, C, D, ed E, nonché gli A/10 purché l’uso ufficio risulti nella licenza o concessione edilizia) una presunzione assoluta di strumentalità che ne legittima sempre la deduzione delle quote di ammortamento; la deduzione fiscale delle quote di ammortamento degli immobili strumentali per natura locati a terzi deve avvenire in misura non superiore a quella derivante dall’applicazione dei coefficienti ministeriali (D.M. 31/12/1988) in relazione al settore di attività in cui opera il soggetto proprietario-locatore, a nulla rilevando la tipologia dell’impresa conduttrice e quindi l’effettivo utilizzo dell’immobile, che pure ne potrebbe comportare un più rapido deperimento. Nel caso di locatrice società immobiliare, pertanto, il coefficiente di ammortamento sarà quello del 3% indicato nella sezione “attività non precedentemente specificate”, al punto 2) “altre attività”, voce “edifici”. Smentita quindi la tesi della società istante, che in relazione all’attività nel settore chimico svolta dall’impresa conduttrice intendeva applicare il coefficiente del 6%. 5. Gli ultimi chiarimenti sulla svalutazione delle partecipazioni Per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare, il 2003 è l’ultimo anno in cui utilizzare il criterio proporzionale di svalutazione delle partecipazioni, di cui al “vecchio” art. 61, comma 3 Tuir vigente ante D.Lgs.344/03; tale disposizione non è stata infatti riproposta nella nuova formulazione del Tuir, riducendo di fatto la possibilità di deduzione di minusvalenze su partecipazioni alle sole ipotesi di effettivo realizzo (cessione e liquidazione). Quando la norma si avvia quindi al tramonto, giungono con la risoluzione 55/E del 08/04/2004 gli ultimi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sulle modalità di calcolo della svalutazione delle partecipazioni, con riferimento alle società non quotate (vecchio art. 61, co. 3, lett. b), dopo le restrizioni introdotte con il D.L. 209/2002 (conv. dalla L. 265/2002), chiarimenti che vanno ad aggiungersi 10 a quelli forniti con la Circolare n.8/E del 20/02/2004 in merito alla omogeneizzazione dei patrimoni di riferimento ai fini della valutazioni delle partecipazioni ex art.61 del “vecchio” Tuir. In via preliminare, si ricorda che il vecchio art. 61, comma 3, lett. b) del Tuir consente ancora per il 2003 di svalutare fiscalmente le partecipazioni, immobilizzate e non, in società di capitali non quotate in misura proporzionale alla riduzione di valore del patrimonio netto della partecipata, quale emerge dal confronto fra 1) l’ultimo bilancio regolarmente approvato anteriormente alla data in cui le azioni o quote vennero acquistate (patrimonio netto iniziale), e 2) il più recente bilancio approvato disponibile (patrimonio netto finale). L’art. 1, comma 1, del D.L 209/2002, con finalità antielusiva, ha ridotto la portata della norma, stabilendo che ai fini della sua applicazione con riferimento alle partecipazioni immobilizzate: non si tiene conto delle diminuzioni patrimoniali derivanti dalla distribuzione di riserve di utili, le perdite prodotte dalle società partecipate, a partire dall’esercizio 2002 (per le società con esercizio coincidente) sono rideterminate, senza tenere conto: a) delle quote di ammortamento dell’avviamento indeducibile ai fini fiscali; b) degli accantonamenti diversi da quelli fiscalmente deducibili. Tale rideterminazione della perdita si risolve evidentemente in un aumento del patrimonio netto finale della partecipata, che viene assunto a parametro per il calcolo della percentuale di riduzione, e quindi in una minore svalutazione fiscalmente deducibile. Passiamo ora al quesito sottoposto all’Agenzia e ai chiarimenti da questa forniti nella risoluzione n.55/04. Il dubbio sollevato dal contribuente riguarda l’ipotesi, sopra ricordata, di rettifiche derivanti da accantonamenti non fiscalmente deducibili. In particolare, la società interpellante, nel calcolare la svalutazione di una propria partecipata per il 2002, aveva rettificato il patrimonio netto di quest’ultima al 31/12/2002 per tenere conto di accantonamenti indeducibili dalla stessa effettuati per 146 milioni di euro circa. Successivamente, nel 2003 nella partecipata si sono manifestati oneri per 128 milioni, riferibili ai fondi nei quali erano confluiti i predetti accantonamenti; inoltre si è proceduto a nuovi accantonamenti per 142 milioni. L’interpellante ha chiesto di sapere se il verificarsi nel 2003 degli oneri e rischi stimati e quindi l’utilizzo del relativo fondo (con la connessa deduzione fiscale in precedenza rimandata), possano rilevare ed in che modo per il soggetto partecipante ai fini del calcolo della svalutazione 11 fiscalmente deducibile, tenuto conto anche dell’esistenza di fondi accantonati in periodi d’imposta precedenti all’entrata in vigore del decreto 209/2002. I termini della questione sono così sintetizzabili: Patrimonio società partecipata 31/12/2002 Capitale sociale 405,4 Perdite a nuovo -0,7 Perdita dell’esercizio Patrimonio netto -337,6 67,1 Accantonamenti indeducibili 146,0 Patrimonio netto finale di riferimento 213,1 Fondo società partecipata Consistenza del fondo (ante D.L. 209/2002) Incremento 2002 del fondo (post D.L. 209/02) Fondo al 31/12/2002 1.690 146 1.836 Utilizzo 2003 del fondo (post D.L. 209/02) 128 Incremento 2003 del fondo (post D.L. 209/02) 142 Fondo al 31/12/2003 1.850 La Risoluzione n. 55/E precisa che l’utilizzo del fondo in questione ha rilevanza nel meccanismo di calcolo, provocando una riduzione del patrimonio netto finale di riferimento per il 2003. Per quanto concerne le concrete modalità di calcolo, tuttavia, si pone il problema di capire, in presenza di un fondo alimentato sia da accantonamenti anteriori al D.L. 209/02, sia da accantonamenti successivi, se imputare l’utilizzo del medesimo fondo alla parte formatasi ante D.L. 209/02, ovvero alla parte formatasi dopo, ovvero ancora in modo proporzionale. Al riguardo l’Agenzia traccia due soluzioni alternative: 1) Qualora non sia possibile, sulla base dei criteri normalmente seguiti dalla partecipata nell’effettuazione degli accantonamenti, “collegare l’evento che ha comportato l’utilizzo del fondo della partecipata a uno specifico accantonamento effettuato in un esercizio, si ritiene adottabile in via equitativa un criterio di imputazione proporzionale”. Si ha quindi: 146 (incremento post D.L) / 1.836 (fondo al 31/12/2002) = 8% 128 (utilizzo) x 8% = 10,2 = parte di utilizzo che riduce il patrimonio netto Conseguentemente il patrimonio netto finale di riferimento può essere così determinato (schema a pagine seguente) 12 Patrimonio società partecipata 31/12/2003 Capitale sociale 405,4 Perdite a nuovo -338,3 Perdita dell’esercizio Patrimonio netto -50,0 17,1 Accantonamenti indeducibili 2002 146,0 Accantonamenti indeducibili 2003 142,0 Utilizzo fondi 2003 in misura percentuale -10,2 Patrimonio netto finale di riferimento 294,9 2) Qualora sia possibile, sulla base dei criteri normalmente seguiti dalla partecipata nell’effettuazione degli accantonamenti, “collegare l’evento, che determina l’utilizzo del fondo, a un accantonamento effettuato dopo l’entrata in vigore del D.L. 209/02, l’intero utilizzo del fondo stesso potrà incrementare la perdita della partecipata ai fini della determinazione del valore delle partecipazioni”. Si avrà quindi: Patrimonio società partecipata 31/12/2003 Capitale sociale 405,4 Perdite a nuovo -338,3 Perdita dell’esercizio Patrimonio netto -50,0 17,1 Accantonamenti indeducibili 2002 146,0 Accantonamenti indeducibili 2003 142,0 Utilizzo fondi 2003 Patrimonio netto finale di riferimento -128,0 177,1 Sebbene la Risoluzione non lo precisi espressamente, dovrebbe desumersi che se al contrario il collegamento dell’utilizzo deve essere fatto con un accantonamento anteriore all’entrata in vigore del D.L. 209/2002, allora l’utilizzo non avrà alcuna rilevanza ai fini del calcolo della svalutazione fiscalmente ammessa. Patrimonio società partecipata 31/12/2003 Capitale sociale 405,4 Perdite a nuovo -338,3 Perdita dell’esercizio Patrimonio netto -50,0 17,1 Accantonamenti indeducibili 2002 146,0 Accantonamenti indeducibili 2003 142,0 Patrimonio netto finale di riferimento 305,1 13 GLI APPROFONDIMENTI 6. Iva: la fatturazione e l’archiviazione elettronica Con il D.Lgs. 20 febbraio 2004 n.52 (entrato in vigore il 29/02/204), emanato in attuazione della delega contenuta nella Legge 03/02/2003 n.14 (c.d. Legge Comunitaria 2003), viene recepita nel nostro ordinamento la Direttiva comunitaria 20/12/2001 n.2001/115/CEE, volta a semplificare, modernizzare e armonizzare le modalità di fatturazione previste ai fini IVA. Le principali novità introdotte, attraverso rilevanti modifiche agli articoli 21 (fatturazione delle operazione), 39 (tenuta e conservazione dei registri e dei documenti) e 52 (accesso, ispezione e verifica dell’Amministrazione Finanziaria) del DPR.633/72, riguardano: - l’introduzione di nuove modalità di fatturazione (art.21) e - la possibilità di archiviare le fatture di vendita su supporto elettronico (art.39). 6.1 La fattura elettronica Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 52/2004, è stato finalmente recepito a livello legislativo ciò che nella prassi veniva ammesso già da tempo (per tutte R.M. 29/05/98 n.50/E, C.M. 17/05/00 n.98/E risposta n. 3.1.2, Ris. Ag. Entr. 04/12/2001 n. 202), ma dalla normativa Iva era riconosciuto solo con riferimento alle provvigioni corrisposte dalle agenzie di viaggio ai propri intermediari (art. 7 comma 3 D.M. 30/07/99 n. 30): la facoltà di emettere fatture in via telematica, come alternativa alla consueta fattura cartacea. Il Ministero delle Finanze, nella varie occasioni in cui si era espresso sull’argomento prima dell’emanazione del D.Lgs. 52/04, aveva già avuto modo di chiarire che la trasmissione telematica delle fatture doveva considerarsi compatibile con la disciplina Iva contenuta ai commi 1 e 3 dell’art. 21 vigente sino al 28/02/2004. In particolare, era stato precisato che, in caso di trasmissione elettronica: le fatture attive devono essere in ogni caso stampate e conservate dal cedente/prestatore, in quanto non risulta ammessa la conservazione mediante memorizzazione su supporto elettronico; gli elementi, obbligatoriamente da inserire in fattura per effetto del secondo comma dell’art. 21 DPR.633/72, devono risultare sia dalla copia trasmessa al cessionario/committente, sia da quella stampata e conservata dal cedente/prestatore, indipendentemente dalla tecnica utilizzata per la trasmissione della fattura. Pertanto, la copia trasmessa al cessionario/committente, numerata progressivamente, deve avere lo stesso contenuto di quella in possesso del cedente/prestatore, potendosene eventualmente discostare, per esigenze tecniche, solo nella forma e nella disposizione dei dati. 14 Ora, i nuovi commi 1 e 3 dell’art. 21 recepiscono il principio secondo cui le fatture possono essere trasmesse su qualsiasi supporto, materiale o elettronico (comma 1: “La fattura si ha per emessa all’atto della consegna o spedizione all’altra parte ovvero all’atto della sua trasmissione per via elettronica”), subordinatamente tuttavia al rispetto dei seguenti requisiti (comma 3): accordo con il destinatario prima della trasmissione; garanzia dell’attestazione della data mediante appostazione, su ciascuna fattura o sul lotto di fatture, del riferimento temporale; garanzia dell’autenticità dell’origine e del contenuto della fattura elettronica mediante appostazione della firma elettronica qualificata dell’emittente, ovvero mediante l’utilizzo di sistemi EDI (Electronic Data Interchange) di trasmissione elettronica dei dati. 6.2 I soggetti abilitati all’emissione della fattura Il primo comma dell’art. 21 D.P.R. 633/72 dispone che la fattura, in formato cartaceo o elettronico, deve essere emessa in relazione a ciascuna operazione imponibile “al momento dell’effettuazione dell’operazione a norma dell’art. 6” (comma 4 art. 21): dal soggetto che cede il bene o presta il sevizio (c.d. soggetto passivo dell’operazione); ovvero dal cessionario o dal committente, ferma restando in ogni caso la responsabilità del cedente/prestatore; ovvero da un soggetto terzo, che emetta la fattura per conto del cedente/prestatore, il quale rimane comunque l’unico responsabile nei confronti dell’Erario. Nei casi in cui la fattura venga emessa da un soggetto diverso dal cedente/prestatore, è espressamente previsto l’obbligo di annotare sulla fattura che la stessa è stata compilata dal cliente ovvero da un terzo incaricato dal cedente/prestatore (art. 21, comma 2, lett. h – si veda successivo par. 6.3). Il comma 5 dell’art. 21 prevede, inoltre, che anche l’emissione dell’autofattura (da parte del cessionario/committente ex art. 17 comma 3 D.P.R. 633/73) possa essere delegata ad un soggetto terzo, ferma restando sempre la responsabilità del soggetto passivo d’imposta, che in questo caso è il cessionario/committente. Infine, qualora il cliente o il terzo siano residenti in Paesi extra-UE con cui non esistano strumenti giuridici che disciplinino la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta, la possibilità di emissione della fattura per conto del cedente/prestatore italiano o del cessionario/committente (nei casi di cui al comma 5 dell’art. 21) è subordinata al rispetto dei seguenti requisiti: 15 comunicazione preventiva all’Amministrazione Finanziaria, da inviare telematicamente, secondo modalità che dovranno essere stabilite con un apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, da emanare 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 52/2004, avvenuta il 29/02/2004; il soggetto passivo Iva italiano deve aver iniziato l’attività Iva da almeno 5 anni, né gli devono essere stati notificati, nei 5 anni precedenti, atti impositivi o di contestazione di violazioni sostanziali in tema di Iva. 6.3 Il contenuto della fattura Ai sensi dei commi 2 e 6 dell’art. 21 D.P.R. 633/72, la fattura, datata e numerata progressivamente per anno solare (si evidenzia che nella previgente disciplina non veniva fatto alcun riferimento alla numerazione per anno solare), deve contenere: le indicazioni già previste dalla previgente disciplina, con alcune integrazioni di seguito indicate in neretto, ossia: a) ditta, denominazione o ragione sociale, residenza o domicilio dei soggetti fra cui è effettuata l’operazione, del rappresentante fiscale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti e, relativamente al cedente o prestatore, numero di partita Iva. Se non si tratta di imprese, società o enti devono essere indicati, in luogo della ditta, denominazione o ragione sociale, il nome e il cognome; b) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione; c) corrispettivi e altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compreso il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all’art. 15 n.2; d) valore normale degli altri beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono; e) aliquota, ammontare dell’imposta arrotondamento al centesimo di euro; e dell’imponibile con le seguenti nuove indicazioni: f) numero di partita Iva del cessionario/committente quando questi è debitore dell’imposta in luogo del cedente/prestatore, con indicazione della norma relativa (meccanismo del reverse charge); g) data della prima immatricolazione o iscrizione in pubblici registri e numero dei chilometri percorsi, delle ore navigate e 16 volate, in caso di cessione intracomunitaria di mezzi di trasporto nuovi di cui all’art. 38 comma 4 D.L. 331/93; h) annotazione del fatto che la fattura è stata compilata dal cliente ovvero, per conto del cedente o prestatore, da un terzo; i) in caso di mancata applicazione dell’imposta, indicazione del titolo (operazione non soggetta, non imponibile, esente, assoggettata al regime del margine) e della norma relativa, anche nelle ipotesi di applicazione del regime speciale del margine per i beni usati di cui al D.L. 41/95 o di quello di cui all’art. 74-ter per le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo (art. 21 comma 6). Da segnalare, inoltre, la nuova previsione contenuta al comma 3, secondo periodo dell’art. 21, che consente di emettere una sola fattura per le operazioni effettuate nello stesso giorno nei confronti di uno stesso destinatario. Per quanto concerne la fatturazione differita, invece, resta invariato sia il termine stabilito dal comma 4 dell’art. 21 D.P.R. 633/72, coincidente con il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di consegna o spedizione del bene – che dovranno risultare, come già previsto, da un documento di trasporto o altro documento che identifichi le parti dell’operazione -, sia la possibilità di emettere una sola fattura per le cessioni effettuate nel corso di un mese solare tra le stesse parti. L’unica modifica è stata introdotta con riferimento alla previsione del differimento dell’emissione della fattura - e quindi della esigibilità dell’imposta - alla fine del mese successivo a quello di consegna/spedizione dei beni nei casi di cessioni effettuate a terzi dal cessionario per il tramite del proprio cedente (c.d. operazioni triangolari): la novità consiste nell’eliminazione del requisito delle “motivazione esigenze” della “previa autorizzazione del Ministero” per poter differire l’emissione della fattura. 6.4 L’archiviazione elettronica delle fatture Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 52/2004, che, modificando l’art. 39 comma 3 del D.P.R. 633/72, ha recepito nella normativa Iva le novità introdotte dal D.M. 31/01/2004 in tema di archiviazione elettronica dei documenti, non era possibile archiviare le fatture su supporto elettronico, poiché mancava lo strumento giuridico di attuazione delle previsioni contenute nell’art. 2220 comma 3 c.c. Il comma 3 dell’art.2220 c.c. prevede che le scritture e i documenti contabili “possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagine, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti”. Il comma 9 dell’art. 7-bis del D.L. 357/1994 stabiliva che le disposizioni dell’art. 2220 c.c si applichino a “tutte le scritture e i documenti rilevanti ai fini delle disposizioni tributarie” ma 17 subordinava l’effettiva applicabilità di tale disposto all’emissione di un decreto da parte del Ministero delle Finanze con il quale avrebbero dovuto essere “determinate le modalità per la conservazione su supporti di immagini delle scritture e dei documenti di cui al presente comma”. In mancanza del provvedimento attuativo, era stato più volte chiarito dal Ministero (da ultimo nella R.M. n. 202 del 04/12/2001) che la possibilità di archiviazione elettronica dei documenti fiscali non poteva essere fruita. Ora, a circa 10 anni dal D.L. 357/94, il D.M. 23/01/2004 ha finalmente dato attuazione al comma 9 dell’art. 7-bis citato. Tuttavia, con riferimento all’archiviazione elettronica delle fatture, le previsioni contenute nel D.M. 23/02/2004 (si veda successiva par. 6.5) devono essere necessariamente coordinate con le specifiche disposizioni, introdotte nel comma 3 dell’art. 39 D.P.R. 633/72 dall’art. 2 del D.Lgs. 52/2004, che si riportano di seguito integralmente: le fatture elettroniche trasmesse o ricevute in forma elettronica sono archiviate nella stessa forma (comma 3 secondo periodo art.39); le fatture elettroniche consegnate o spedite in copia sotto forma cartacea possono essere archiviate in forma elettronica (comma 3 terzo periodo art.39); il luogo di archiviazione delle fatture può essere situato in un altro Stato, a condizione che con lo stesso esista uno strumento giuridico che disciplini la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta: questa previsione dovrebbe consentire che i servizi amministrativi di tenuta della contabilità vengano assolti all’estero, con conseguente conservazione all’estero dei registri e dei documenti contabili; il soggetto passivo, residente o domiciliato in Italia, assicura, per finalità di controllo: 6.5 - l’accesso automatizzato all’archivio elettronico; - e che tutti i documenti in esso contenuti, inclusi i certificati destinati a garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità delle fatture emesse in formato elettronico, siano stampabili e trasferibili su altro supporto informatico. L’archiviazione elettronica dei documenti (D.M. 23/01/2004) Come anticipato, il D.M. 23/01/2004 ha dettato le regole che consentono la conservazione solo “informatica” dei documenti ai fini tributari. Il decreto, anche e soprattutto a causa della complessità tecnica della materia, detta all’art. 1 una serie di definizioni di particolare rilevanza, tra cui quella di “documento statico non modificabile” il quale è “un documento informatico redatto in modo tale per cui il contenuto risulti non alterabile durante la fase di accesso e di conservazione nonché immutabile nel tempo”. 18 6.5.1 Le caratteristiche dei documenti informatici e del processo di conservazione A norma dell’art. 3 del decreto in commento, i documenti informatici dotati di rilevanza ai fini fiscali: hanno la forma di documenti statici non modificabili, come sopra definiti, allo scopo di garantirne l’autenticità e l’integrità, devono essere emessi con l’apposizione del “riferimento temporale” (“informazione, contenente la data e l’ora, che viene associata ad uno o più documenti informatici”, art. 1, comma 1, lett. p) e della “sottoscrizione elettronica” (e cioè l’apposizione della ormai nota “firma digitale”), in caso di accessi, ispezioni e verifiche, devono essere resi leggibili e, a richiesta, disponibili su supporto cartaceo e informatico presso il luogo di conservazione delle scritture, possono essere memorizzati su qualsiasi supporto che ne garantisca la possibilità di lettura nel tempo, purché sia assicurato il rispetto dell’ordine cronologico e non vi sia soluzione di continuità per ciascun periodo d’imposta, devono consentire le funzioni di ricerca e di estrazione delle informazioni in relazione al cognome, al nome, alla denominazione, al codice fiscale, alla partita Iva e alla data, nonché in relazione a combinazioni logiche di tali dati. Il processo di conservazione avviene con le modalità tecniche stabilite dal decreto, deve essere effettuato con cadenza almeno quindicinale per le fatture e almeno annuale per gli altri documenti, può essere limitato a una o più tipologie di documenti. Una volta completata la procedura di conservazione digitale, è consentita la distruzione dei documenti cartacei. Proprio la disposizione sulla conclusione del processo di conservazione digitale ha destato qualche perplessità. L’art. 4, infatti, dispone che il processo di conservazione digitale si conclude con l’apposizione del riferimento temporale e della sottoscrizione elettronica (firma digitale) da parte di un pubblico ufficiale per attestarne la conformità. La previsione normativa non è chiara laddove non specifica in maniera precisa quali sono i documenti analogici originali per i quali è necessario l’intervento del notaio. Infatti se tutti i documenti fiscali in formato digitale avessero bisogno dell’imprimatur del notaio, la norma diverrebbe inapplicabile, se non altro per problemi di costi. Inoltre in determinati casi una tale previsione sarebbe addirittura paradossale se si pensa all’ulteriore intervento del notaio su documenti come le dichiarazioni dei redditi e Iva dove già interviene un intermediario che garantisce all’amministrazione finanziaria di inviare un file conforme all’originale su carta, firmato dal cliente. 19 Con riguardo a tale problema, nel corso di una riunione al Ministero dell’Economia è stato precisato che per l’archiviazione dei documenti fiscali già esistenti in formato analogico non unici, quali quelli per i quali sia possibile risalire al loro contenuto attraverso altre scritture o documenti di cui sia obbligatoria la conservazione anche presso terzi (fatture ed altri documenti), è esclusa l’ulteriore sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale. Quest’ultima sarà, invece, necessaria per i documenti analogici originali unici, ossia per quei documenti che, una volta distrutti, non è possibile ricostruire con altre fonti (serva per tutti l’esempio dell’autofattura). Sul punto comunque è auspicato un intervento ufficiale del ministero dell’economia. 6.5.2 L’imposta di bollo Un’ultima indicazione risulta importante. L’art. 7 del decreto si occupa anche del pagamento dell’imposta di bollo e stabilisce che i soggetti interessati devono presentare, all’Ufficio delle Entrate, una comunicazione nella quale è indicato il numero presuntivo degli atti, dei documenti e dei registri che possono essere emessi o utilizzati durante l’anno, nonché l’importo e gli estremi dell’avvenuto pagamento dell’imposta. Entro il mese di gennaio dell’anno successivo, sarà effettuato il pagamento dell’eventuale differenza e sarà presentata la comunicazione definitiva. L’ANGOLO DELLA GIURISPRUDENZA 7. Il ritardo nel rimborso dà diritto ad ottenere, oltre agli interessi, il risarcimento del maggior danno Con la sentenza n. 2087 del 04/02/2004, la Cassazione muta orientamento e riconosce che il contribuente ha diritto di ottenere, oltre al pagamento degli interessi, anche il risarcimento del maggior danno derivatogli dal ritardato rimborso di imposte indebitamente versate, ove dimostri la sussistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell’articolo 1224 del codice civile. 7.1 Il caso A seguito del negato rimborso d’imposta, una società si rivolge alla magistratura per ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato al fisco, oltre interessi e maggior danno derivante dalla svalutazione monetaria. In primo grado la domanda del contribuente viene accolta, ma il giudice di secondo grado riforma parzialmente la sentenza, sostenendo che non è dovuto il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria, non essendo applicabile al caso di specie il secondo comma dell’articolo 1224 c.c. per avere il legislatore già assoggettato i rimborsi di imposte alla 20 corresponsione di particolari interessi a carico dell’amministrazione finanziaria. Su ricorso del contribuente la vertenza approda quindi alla Suprema Corte. 7.2 La normativa di riferimento Come noto, l’articolo 1224 del codice civile dispone che al creditore di un obbligazione che abbia ad oggetto una somma di denaro siano corrisposti gli interessi legali dal giorno della mora. Il secondo comma del medesimo articolo precisa poi che “al creditore che dimostra di avere subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento”. Con riferimento specifico al danno da svalutazione monetaria, tale norma viene interpretata nel senso di ritenere integrati gli estremi della prova dell’intervenuto maggior danno ove vengano dimostrate, anche per presunzioni, condizioni e qualità del debitore tali da far presumere che lo stesso avrebbe potuto sottrarsi agli effetti negativi della svalutazione. È invece discussa l’applicabilità di questa norma nell’ipotesi in cui si verta in materie per le quali è previsto legislativamente un tasso d’interesse maggiore a quello legale. 7.3 La posizione della Cassazione Un primo orientamento (recentemente confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 7236/2003), ritiene che la normativa tributaria debba considerarsi “speciale” rispetto a quella civilistica, con conseguente inapplicabilità del disposto di cui al secondo comma del citato articolo 1224. In tale prospettiva, infatti, la previsione di un interesse maggiore rispetto a quello “legale” (come avviene in materia di rimborso d’imposte) escluderebbe la possibilità di considerare il “maggior danno” contemplato nel secondo comma dell’articolo 1224 che andrebbe, pertanto, riferito solo alle ipotesi in cui si prenda come parametro il danno risarcito con il semplice pagamento degli interessi in misura “legale”. A tale visione si oppone invece la Suprema Corte con la decisione che si annota, riprendendo un orientamento più datato che torna, quindi, d’attualità. Secondo la Cassazione non potrebbe, infatti, essere accolta un’interpretazione che limiti la portata del secondo comma dell’articolo 1224 alla sola ipotesi degli interessi “legali”, dal momento che ciò comporterebbe una lettura eccessivamente restrittiva del dettato normativo. Osserva la Corte che nel caso in cui una norma di legge ponga un limite per la determinazione degli interessi (come in materia tributaria), tale limite vale solo ad esonerare il creditore dal fornire la 21 prova del pregiudizio subito, non privandolo del diritto di chiedere il maggior danno, ove esistente. Ciò vale anche per i rapporti con l’amministrazione finanziaria, ove si consideri che la legge tributaria si limita ad individuare unicamente l’ammontare del tasso d’interesse da applicare alla mora, ma non esclude espressamente che possa essere risarcito un eventuale maggiore danno. Viene quindi dato rilievo al principio di diritto secondo il quale “in assenza di espressa previsione in senso contrario da parte del legislatore, la disciplina degli interessi moratori contenuta in leggi speciali non è di per sé astrattamente incompatibile con il risarcimento del maggior danno ex art. 1224 secondo comma del codice civile, comportando soltanto il mutamento del parametro di riferimento, alla stregua del quale operare l’accertamento e la conseguente liquidazione”. 8. Ammessa la detrazione dell’Iva sugli acquisti inerenti anche in assenza di operazioni attive Una società di capitali ha diritto di detrarre l’Iva pagata sulle operazioni passive anche se non ha compiuto operazioni attive. È questo il principio confermato da una recente sentenza della Cassazione (n. 1863 del 02/02/2004), in linea con quanto già da tempo osservato dalla Corte di Giustizia Europea. 8.1 Il caso Una società di capitali si vede contestare la liquidazione periodica Iva per supposta indetraibilità dell’imposta pagata su svariati acquisti destinati alla ristrutturazione di un edificio, sul presupposto che la stessa società non risulta aver compiuto alcuna operazione attiva. Il contribuente impugna l’avviso dell’Ufficio e vede riconosciute le proprie ragioni sia in primo che in secondo grado. A seguito del ricorso presentato dall’amministrazione finanziaria la vertenza giunge però all’esame della Corte di Cassazione. 8.2 La posizione dell’amministrazione finanziaria Secondo l’amministrazione ciò che rileva ai fini della detraibilità dell’imposta pagata sugli acquisti è la stretta connessione delle operazioni passive con il concreto esercizio dell’impresa, per cui la società non può giovarsi del disposto dell’articolo 19 D.P.R. n. 633/72 ove non risultino poste in essere operazioni attive, né fornite prove di operatività ovvero di un’attività anche solo prodromica all’esercizio futuro di un’impresa. 22 Conseguentemente, in difetto di prove concrete della sussistenza dei predetti elementi (il cui onere incomberebbe al contribuente), la semplice qualifica di società di capitali assoggettata all’Iva non consentirebbe la detrazione dell’imposta pagata sugli acquisti. 8.3 La posizione della Corte La Cassazione affronta invece la problematica in questione sotto un diverso profilo che le consente di giungere a conclusioni opposte a quelle formulate dall’amministrazione. Osserva la Corte come sia rilevante fare riferimento al disposto dell’articolo 4 del D.P.R. n. 633/72, relativo alle operazioni che possano considerarsi effettuate nell’esercizio dell’impresa, evidenziando come tali debbano ritenersi quelle compiute da società di capitali per le quali, quindi, vige un principio di presunzione legale assoluta contro la quale non è concessa alcuna possibilità di fornire una prova contraria. Conseguentemente, viene indicato come dal riconoscimento legale della qualifica di impresa ad una società di capitali ai fini dell’applicazione dell’Iva sulle operazioni attive discenda la configurabilità come impresa della medesima società anche con riguardo alle eventuali operazioni passive realizzate, posto che non avrebbe senso qualificare un soggetto come imprenditore per le operazioni “a valle” e come non imprenditore per le operazioni “a monte”. Tale impostazione, del resto, si allinea con quanto da tempo sostenuto dalla Corte di Giustizia Europea (decisione n. 110 del 29/2/96) per la quale non può essere negata la qualifica di soggetto passivo Iva ad una società che abbia compiuto operazioni passive finalizzate alla programmazione di un’attività, poi non realizzata concretamente. Secondo la Cassazione va pertanto respinta la tesi dell’amministrazione, in quanto il concreto esercizio dell’impresa da parte di una società di capitali (soggetto indicato dal citato articolo 4) non rappresenta un elemento costitutivo del diritto di tale soggetto di detrarre l’imposta pagata sulle operazioni passive, una volta constatata l’inerenza delle stesse all’attività economica alla quale la società stessa è destinata. Né il requisito dell’inerenza può ritenersi escluso per il solo fatto della mancanza od assoluta sporadicità di operazioni attive, dovendosi piuttosto verificare che le operazioni passive siano effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali. 23 NOTIZIE FLASH 9. Dual Income Tax: l’ultimo CRO Con D.M. 30/03/2004 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 80 del 05/04/2004 ) è stato fissato al 5% (in luogo del precedente 5,7% stabilito con D.M. 28/03/03) il coefficiente di remunerazione ordinaria (CRO) del capitale investito da utilizzare per il calcolo del beneficio DIT relativamente al settimo periodo di imposta successivo a quello in corso al 30 giugno 1996 (esercizio 2003 per le società con esercizio coincidente con l’anno solare). Il coefficiente del 5% potrà essere utilizzato solo dai soggetti che scelgono di calcolare la base DIT applicando il c.d. “regime ordinario rettificato” di cui all’art. 1 comma 1-bis del D.L. 209/02 (sterilizzazione degli incrementi delle consistenze delle partecipazioni e aliquota media Irpeg minima del 30%). Al contrario, quanti sceglieranno il regime introdotto dall’art. 1 comma 1 lett. c) del D.L. 209/02, dovranno utilizzare in luogo del CRO il tasso di interesse legale (3% per il 2003), senza poter applicare il c.d. “moltiplicatore” pari a 1,4. Si ricorda infine che il 2003 rappresenta l’ultimo anno di possibile applicazione della DIT, stante l’abrogazione della relativa legge istitutiva (D.Lgs. 466/97) attuata ad opera dell’art. 3 comma 3 del D.Lgs. 344/03, attuativo della legge delega di riforma dell’ordinamento tributario. 10. Definitivo (o quasi) il modello Unico 2004 L’Agenzia delle Entrate ha approvato in via definitiva il Modello Unico 2004, con le relative istruzioni, nelle varie versioni previste per le diverse tipologie di contribuente. Ad oggi sono stati pubblicati il Modello UNICO 2004 - PF (persone fisiche), in 31/03/2004, Suppl. Ord. n. 55: si segnala che pubblicazione in Gazzetta Ufficiale un comunicato istruzioni del Modello UNICO 2004 – PF fascicoli 2 e G.U. n. 76 del è in corso di di rettifica alle 3. UNICO 2004 - SP (società di persone); UNICO 2004 - SC (società di capitali); UNICO 2004 - ENC (enti non commerciali) Questi tre modelli sono stati tutti pubblicati in G.U. n. 91 del 19/04/2004, Suppl. Ord. n. 69. 11. Fissati gli importi 2004 dei diritti annuali alle camere di commercio Sulla Gazzetta Ufficiale n.75 del 30/03/2004 è stato pubblicato il Decreto del Ministero delle attività produttivo del 05/03/2004 che fissa gli importi del diritto annuale dovuto per l’anno 2004 alle Camere di commercio dalle imprese iscritte nel registro di cui all’art.8 della L.580/93 24 (legge istitutiva de registro imprese). In particolare, il decreto stabilisce le seguenti misure dei diritti annuali dovuti - in unica soluzione, senza rateizzazione, entro il termine previsto per il pagamento del primo acconto delle imposte sui redditi - dai soggetti già iscritti: Euro 80,00 per le imprese iscritte e per quelle individuali annotate nella sezione speciale del registro imprese; Euro 144,00 per le società semplici non agricole; Euro 170 per le società tra avvocati, la cui iscrizione al registro è prevista dall’art.16 comma 2 del D.Lgs.96/01 (trattasi di un nuovo diritto camerale introdotto dall’anno 2004); per le imprese iscritte nella sezione ordinaria del registro imprese (trattasi di tutte le società di capitali e delle società di persone), il diritto annuale dovrà essere determinato – come ogni anno – applicando al fatturato dell’esercizio 2003 le misure fisse stabilite o determinate aliquote per scaglioni di fatturato, tenendo conto che gli importi derivanti dall’applicazione delle aliquote per scaglioni non possono in ogni caso superare l’importo versato per l’anno 2003, aumentato al massimo del 6%: Scaglioni di fatturato DA A 0 516.456,90 Euro 373,00 516.456,91 2.582.284,50 0,0070% 2.582.284,51 51.645.689,91 0,0015% 51.645.689,91 Aliquote 0,0005% (fino ad un massimo di Euro 77.500,00) per ciascuna unità locale dovrà essere versato, alla Camera di commercio nel cui territorio ha sede l’unità locale suddetta, un importo pari al 20% di quello dovuto per le sede principale, fino ad un massimo di Euro 120,00; Euro 110,00 per le sedi secondarie e le unità locali di imprese con sede principale all’estero. Le nuove imprese che si iscrivano al registro nel corso del 2004, successivamente all’entrata in vigore del D.M. 05/03/04, sono tenute al pagamento, mediante modello F24 entro 30 giorni dalla domanda di iscrizione al registro imprese, dei seguenti importi: Euro 93,00 per imprese individuali, società semplici agricole iscritte nella sezione speciale, società cooperative e consorzi; Euro 170,00 per le società di persone; Euro 373,00 per le società di capitali. 25 12. I nuovi coefficienti ai fini Ici per gli immobili commerciali Con decreto del Ministero delle Finanze del 15/03/2003 (G.U. 24/03/2003, n. 70) sono stati aggiornati i coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati (art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 504/1992), agli effetti dell’Ici dovuta per l’anno 2004. Si ricorda che l’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 504/1992 (il quale richiama l’art. 7, comma 3 del D.L. 11/07/1992 n. 333) prevede che per le unità immobiliari classificate o classificabili nel gruppo D, possedute nell’esercizio d’impresa, il valore è costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili applicando, per ciascun anno di formazione dello stesso, determinati coefficienti. Lo stesso art. 5 demanda al Ministero delle Finanze l’aggiornamento periodico di tali coefficienti. I coefficienti, stabiliti dal D.M. del 15 marzo u.s., validi per il 2004, sono i seguenti: per l’anno 2004 1,03 per l’anno 1992 1,39 per l’anno 2003 1,06 per l’anno 1991 1,42 per l’anno 2002 1,10 per l’anno 1990 1,48 per l’anno 2001 1,13 per l’anno 1989 1,55 per l’anno 2000 1,16 per l’anno 1988 1,62 per l’anno 1999 1,18 per l’anno 1987 1,75 per l’anno 1998 1,20 per l’anno 1986 1,89 per l’anno 1997 1,23 per l’anno 1985 2,02 per l’anno 1996 1,27 per l’anno 1984 2,16 per l’anno 1995 1,31 per l’anno 1983 2,29 per l’anno 1994 1,35 per l’anno 1982 e precedenti 2,43 per l’anno 1993 1,38 13. Approvazione di nuovi studi di settore Con quattro decreti del 18 marzo 2004, pubblicati in G.U. n. 76 del 31/03/2004, sono stati approvati 25 nuovi studi di settore relativi alle seguenti attività: attività professionali - 3 studi (SK26U per il codice attività 63.30.2; SK27U per i codici attività 72.10.0, 72.21.0, 72.22.0, 72.30.0, 72.60.0; SK28U per il codice attività 92.31.C); attività economiche nel settore del commercio - 3 studi (TM01U, che sostituisce gli studi di settore SM01U ed SM27C, per i codici attività 52.11.2, 52.11.3, 52.11.4, 52.25.0, 52.27.1, 52.27.2, 52.27.3, 52.27.4; TM02U, che sostituisce lo studio di settore SM02U, per il codice attività 52.22.0; TM05U, che sostituisce gli studi di settore SM05A ed SM05B, per i codici attività 52.42.1, 52.42.2, 52.42.3, 52.42.5, 52.43.1, 52.43.2); 26 attività economiche nel settore dei servizi - 14 studi (SG90U per i codici attività 05.01.1 e 05.01.2; SG91U per i codici attività 67.20.1 e 67.20.2; SG92U 74.12.C; SG93U per il codice attività 74.87.5; SG94U per i codici attività 92.11.0, 92.12.0, 92.20.0; TG44U, che sostituisce gli studi di settore SG44U ed SG65U, per i codici attività 55.10.A, 55.10.B, 55.23.4, 55.23.6; TG61A, che sostituisce lo studio di settore SG61A, per i codici attività 51.17.1 e 51.17.2; TG61B, che sostituisce lo studio di settore SG61B, per il codice attività 51.15.0; TG61C, che sostituisce lo studio di settore SG61C, per il codice attività 51.16.0; TG61D, che sostituisce lo studio di settore SG61D, per i codici attività 51.18.1, 51.18.2, 51.18.3, 51.18.4, 51.19.0; TG61E, che sostituisce lo studio di settore SG61E, per il codice attività 51.14.0; TG61F, che sostituisce lo studio di settore SG61F, per il codice attività 51.11.0; TG61G, che sostituisce lo studio di settore SG61G, per il codice attività 51.12.0; TG61H, che sostituisce lo studio di settore SG61H, per il codice attività 51.13.0.); attività economiche nel settore delle manifatture - 5 studi (SD45U per i codici attività 15.86.0, 51.37.A; SD46U per i codici attività 24.11.0, 24.13.0, 24.14.0, 24.15.0, 24.16.0, 24.17.0, 24.20.0, 24.41.0, 24.42.0, 24.61.0, 24.62.0, 24.64.0, 24.66.1, 24.66.2, 24.66.3, 24.66.4, 24.66.5, 24.66.6, 24.70.0; SD48U per i codici attività 35.11.1, 35.11.2, 35.11.3, SD49U per il codice attività 36.15.0; TD12U, che sostituisce gli studi di settore SD12U ed SM14U, per i codici attività 52.24.1 e 15.81.1). 14. Definite le retribuzioni convenzionali per il 2004 Nella Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 2004 è stato pubblicato il decreto del Ministero del Lavoro e del Ministero dell’Economia (D.M. 30/01/2004) con il quale vengono fissate le retribuzioni convenzionali per il 2004, valide per i lavoratori dipendenti che prestano la propria attività all’estero. Ai fini fiscali, le retribuzioni convenzionali vengono utilizzate per il calcolo delle imposte sul reddito di lavoro dipendente per i lavoratori che, rimanendo residenti fiscalmente in Italia, prestano la propria attività all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, come previsto dell’art. 51, comma 8-bis del nuovo Tuir (art. 48, comma 8-bis del Tuir vigente fino al 31/12/2003). A decorrere dal periodo di paga in corso dal 1° gennaio 2004 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2004, le retribuzioni convenzionali da prendere a base per il calcolo delle imposte sul reddito sono stabilite per ciascun settore produttivo dalle tabelle allegate al decreto (consultabile sulla banca dati legislativa del sito del ministero delle finanze). Si ricorda che le retribuzioni convenzionali devono essere altresì utilizzate per il calcolo dei contributi previdenziali nei confronti dei lavoratori italiani che prestano attività in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale (cfr. D.L. 317/85). 27