il numero di maggio 2016 del Notiziario Pd Mondo
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il numero di maggio 2016 del Notiziario Pd Mondo
ANNO VI / N°4 - Maggio 2016 a cura dell’ufficio PD Italiani nel mondo [email protected] Chiuso in redazione il 25 maggio 2016 SOMMARIO........................ EDITORIALE Crisi Venezuela. Se ne esce solo con dialogo democratico di Eugenio Marino EUGENIO MARINO QUI ITALIA PAG. 3 Referendum trivelle, come si è votato all’estero di Alfredo Orlando DAL PARLAMENTO PAG. 5 Italia e Canada: un legame che si rafforza di Francesca La Marca QUI NEW YORK PAG. 7 Governo attento alle prospettive e al futuro di Silvana Mangione QUI CANADA PAG. 9 Progresso democratico e interculturalità di Michel Maletto e Giueppe Continiello OLTRE IL BORDO DEL PIATTO PAG. 10 Ambasciatori in Missione Italia di Carla Ciarlantini-Krick ANALISI E COMMENTI PAG. 12 Il dilemma shakesperiano: stay or leave di Roberto Stasi Cosa ci dice il voto nel Regno Unito di Domenico Cerabona Il futuro di Lady Burma di Ugo Papi DEMOCRATICI NEL MONDO PAG. 17 Giustizia: risultati positivi ma tanto lavoro da fare di Jacopo Coletto ANALISI E COMMENTI Chernobyl trent’anni dopo di Cono Giardullo PAG. 19 Migration compact: proposte che guardano lontano di Roberto Serra NEWS Crisi venezuela. Se ne esce solo con dialogo democratico PAG. 24 Lo scorso 3 maggio nella sede del PD Nazionale abbiamo avuto un incontro informale con una delegazione venezuelana, della quale facevano parte, tra gli altri, il padre di Leopoldo Lopez, l’oppositore del governo Maduro condannato a 13 anni di carcere per aver organizzato una manifestazione di piazza poi finita con atti di violenza, e Vanessa Ledezma figlia del sindaco di Caracas, arrestato nel 2015 e tuttora in carcere. All’incontro erano presenti diversi parlamentari del PD e della maggioranza di governo eletti all’estero ed è stato un momento importante per acquisire nuove informazioni sulla delicatissima situazione del Paese sudamericano, attraversato da una crisi politica, economica e sociale profonda con ripercussioni molto gravi sulla popolazione. Basti pensare che alle lunghe file davanti ai supermercati, alle proteste spontanee, ai black out elettrici a volte programmati a volte no, si è aggiunta una nuova gravissima emergenza, quella sanitaria, che ha messo in ginocchio medici e pazienti. La carenza di risorse non permette più agli ospedali venezuelani di curare correttamente i malati non solo perché mancano i medicinali e non vengono assicurati i rifornimenti, ma anche per l’assenza del materiale sanitario di base nei presidi medici. Oltre alla situazione economica e sociale, gli ospiti venezuelani hanno sottolineato con preoccupazione il fatto che in Venezuela oggi vi siano ben 83 prigionieri che si trovano in carcere per atti che derivano anche da azioni o manifestazioni politiche. Vanessa Ledezma, che oggi vive in Italia, ma da anni sostiene le iniziative a favore di una maggiore democrazia nel suo Paese d’origine, ha sostenuto che “il Venezuela sta sprofondando nel caos non solo per la recessione e l’inflazione che è arrivata al 720%, ma anche perché si è in presenza di una vera emergenza democratica”. I parlamentari italiani presenti, deputati e senatori, hanno espresso la propria solidarietà al popolo venezuelano e preoccupazione per ciò che sta vivendo la grande comunità italiana di emigranti, le cui condizioni economiche e sociali sono fortemente deteriorate. Particolare attenzione è stata posta sulle restrizioni alle libertà civili ed economiche, alla vicenda di diversi leader dell’opposizione (alcuni dei quali in carcere in attesa di processo) e si è richiamato il rispetto dei trattati internazionali sottoscritti proprio in materia di diritti umani, insieme alla necessità di evitare manifestazioni di violenza anche da parte dell’opposizione. Da parte mia ho sottolineato che da molti anni siamo impegnati ad aiutare il Venezuela nel percorso di democratizzazione e più volte siamo intervenuti, anche in ambito internazionale, per richiamare tutte le parti SEGUE PAGINA 2 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 2 al rispetto delle pratiche democratiche, della costituzione venezuelana e dei diritti civili e umani. E non solo in Venezuela. Continueremo a farlo ovunque ve ne sia bisogno e in ogni circostanza. Ho però ricordato che non va radicalizzato lo scontro tra le parti politiche, ognuna delle quali ha meriti e colpe sia nel cammino democratico che nella radicalizzazione dello scontro e nella violenza, ma va piuttosto favorito il dialogo tra le parti e il reciproco riconoscimento democratico, perché solo trovando punti di incontro tra Governo e Assemblea si riuscirà ad evitare che il Venezuela precipiti in una crisi ancora peggiore. Crisi che ricadrà prima di tutto sui cittadini più deboli, che invece vanno sempre tutelati e, in buona parte, anche sulla nostra ampia comunità italiana e italodiscendente. In Venezuela, oggi, vi sono rischi e opportunità importanti. Vi è stato un progresso democratico segnato da gravi ferite su entrambi i fronti, ma pur sempre un progresso democratico che ha portato l’opposizione a Maduro a ottenere un’ampia maggioranza parlamentare in elezioni gestite sì dal Governo, ma in modo regolare. E il cui risultato è stato accettato dallo stesso Maduro. Questa è la strada giusta e gli attori politici su questa strada devono continuare, contendendosi la leadership del governo e del Paese sulla proposta economica, politica e sociale e non sul braccio di ferro tendente a proporre un falso scontro tra dittatura e democrazia o a una contesa tra la continuazione del chavismo e un ritorno a metodi e politiche precedenti il chavismo. Il futuro del Venezuela, dunque, sta nelle proposte politiche che la sua classe dirigente di ogni ambito saprà darsi e sul rispetto reciproco di queste parti e della democrazia. VENEZUELA: I NUMERI DELLA CRISI Secondo fonti governative l’inflazione nel 2015 è stata del 141,5%. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sostengono però che l’inflazione supera l’800% ed è destinata ad aumentare. La contrazione del PIL è stimata a -7,1% Negli ultimi 17 anni il reddito petrolifero del Venezuela è stato cinque volte superiore a quello dei 40 anni precedenti: 430 miliardi di dollari. Nello stesso arco di tempo il debito pubblico è passato da 30 miliardi di dollari a 220 miliardi di dollari. Nel 2015 la capitale del Venezuela è diventata la città più pericolosa del mondo, con un tasso di omicidi superiore a quello di San Pedro Sula, in Honduras, che deteneva da quattro anni il triste record mondiale in materia di morti violente. La crisi energetica ha modificato la vita delle persone. La grave siccità ha reso inservibili le centrali idroelettriche che assicurano oltre l’80% dell’energia del paese. Per ridurre il consumo di elettricità, gli uffici pubblici sono chiusi il venerdì, così come le scuole. L’energia è razionata in tutte le regioni del paese e, tra le altre misure, il governo ha ordinato ai centri commerciali di ridurre gli orari di apertura. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Referendum trivelle, come si è votato all’estero La morte di Regeni: istituzioni europee e stampa schierate con l’Italia QUI ITALIA ALFREDO ORLANDO Il voto sulle trivelle Al referendum abrogativo del 17 aprile sulle trivelle - non valido perché non è stato raggiunto il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto - ha partecipato il 19,73% degli Italiani che vivono all’estero. La percentuale di votanti in Italia è stata invece del 32,15%, comunque fra le più basse rispetto ad altri referendum abrogativi. Il primo dei quali fu quello sul divorzio che si svolse nel 1974 e che, vincendo il no, confermò la legge: l’affluenza fu dell’87,7%, la più alta nella storia della nostra Repubblica. Da allora la partecipazione è via via diminuita, mantenendosi alta nelle prime consultazioni (81% nel 1978 sul finanziamento pubblico ai partiti), calando sempre più fino al 1997, anno a partire dal quale non si è più raggiunto il quorum, tranne che nel 2011, quando i cittadini furono chiamati a votare per la gestione pubblica del settore idrico. In quell’occasione andò a votare il 54,82% degli aventi diritto e la norma che affidava ai privati la gestione dell’acqua pubblica venne abrogata. Da quando fu loro concesso il voto, la diminuzione costante della partecipazione ai referendum ha riguardato anche gli Italiani residenti all’estero. Ma va sottolineato un dato significativo: la forbice fra partecipanti alle elezioni politiche e quelli che vanno a votare in occasione dei referendum è più alta in Italia che nei paesi dove votano i nostri connazionali: segno che questi manifestano una chiara volontà di essere protagonisti nelle scelte che si compiono nella Patria d’ origine. Dei 3.951.455 italiani residenti all’estero, gli aventi diritto che hanno votato sono stati 779.848. Questi i risultati scaturiti dalle urne: 511.846 sì (73,18%), 187.635 no (26,82%), 13.297 schede bianche (1,70%), 66.716 schede nulle (8,55%), 354 schede contestate e non assegnate (0,04%). Ecco, per aree geografiche, le percentuali di affluenza: in Europa ha votato il 19,30% degli aventi diritto; in America meridionale il 21,56%; in America settentrionale e centrale il 17,83%; in Africa, Asia, Oceania e Antartide il 16,48%. Di seguito, le percentuali dei votanti nei maggiori paesi esteri. Europa: Regno Unito 20,88; Germania 16,07; Francia 19,53; Svizzera 24,07; Belgio 19,18; Austria 24,91; Spagna 16,48; Paesi Bassi 18,18; Lussemburgo 22,33; Federazione Russa 21,01; Finlandia 28,11. America Settentrionale e Centrale: USA 16,52; Canada 19,29; Messico 20,97. America Meridionale: Argentina 24,52; Brasile 23,35; Bolivia 35,55; Venezuela 7,23; Cile 8,21; Colombia 26,14. Africa, Asia, Oceania, Antartide: Australia 17,16; Sud Africa 7,15; Tunisia 18,74. Caso Regeni: vasto fronte a sostegno della posizione italiana La mobilitazione perché si conosca la verità “vera” sull’uccisione al Cairo del ricercatore italiano Giulio Regeni, trovato morto il 3 marzo dopo avere subito atroci torture, è straordinaria: dalle istituzioni europee alla politica, dalla stampa straniera, oltre ovviamente a quella italiana, al mondo dello sport e della musica, è stato un coro unanime di solidarietà e di sostegno alla posizione del nostro governo, che ha fin dall’inizio respinto la versione di comodo del presidente egiziano Al Sisi, secondo cui i servizi militari del suo paese non c’entrano nulla con la morte di Regeni, la cui uccisione sarebbe stata opera, a suo dire, di “gente malvagia”. La battaglia perché si arrivi alla verità è stata fatta propria anche dal nostro Presidente della Repubblica. “Non dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata”, ha esortato Sergio Mattarella. Il Parlamento europeo è intervenuto chiedendo che sulla vicenda si faccia piena luce, mentre la presidenza della Commissione Diritti umani , accogliendo la richiesta di due europarlamentari del Pd, Antonio Panzeri e Patrizia Toia, ha convocato a Strasburgo i genitori di Giulio. E si è mosso anche il ministero degli Affari Esteri britannico, che ha sollecitato il Cairo a svolgere “una indagine che contempli ogni possibile scenario sulle responsabilità” della morte di Regeni. Del caso ha dato conto, fra gli altri organi di stampa, il New York Times, che in un editoriale ha duramente criticato i Paesi che continuano a mantenere SEGUE PAGINA 4 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 3 relazioni diplomatiche e commerciali con l’Egitto. “Gli abusi dei diritti umani in Egitto sotto il presidente Abdel Fattah Al Sisi hanno raggiunto nuovi picchi, e nonostante ciò i governi occidentali che commerciano con l’Egitto e lo armano hanno continuato a fare affari come se niente fosse accaduto, sostenendo che sono in ballo la sicurezza regionale e gli interessi economici”, ha scritto il quotidiano. E non è tutto. Gli abusi, ha aggiunto, dovrebbero indurre quei Paesi che hanno rapporti con l’Egitto a ritirare i propri ambasciatori, così come ha fatto l’Italia. E ha definito “vergognoso” il comportamento della Francia, il cui presidente Hollande è andato al Cairo a firmare un contratto miliardario per la fornitura di armi. Della morte di Regeni e delle terribili torture subite, si è occupato l’ufficio di corrispondenza del Cairo dell’Agenzia di stampa Reuters. Secondo alcune fonti della polizia e dei servizi segreti, ascoltate dalla Reuters, il giorno in cui scomparve, Giulio fu fermato da alcuni agenti e consegnato ai servizi di sicurezza. Rivelazioni che hanno procurato all’ ufficio della Reuters una denuncia penale. Peggio è andata ad Ahmed Abdallah - presidente della Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà, e consulente della famiglia Regeni nella battaglia per la ricerca della verità su quanto successo a Giulio - arrestato con le seguenti accuse: appartenenza a un gruppo terroristico, partecipazione a manifestazioni di piazza non autorizzate e istigazione alla violenza con l’obiettivo di rovesciare il governo e il presidente Al Sisi. Tutto ciò, guarda caso, dopo che Abdallah aveva denunciato, in un rapporto al “Consiglio nazionale per i Diritti umani”, le centinaia di casi di sequestri di persone vittime di “ torture e trattamenti disumani da parte di agenti della Sicurezza Nazionale per costringerli, in taluni casi, a confessare reati che non hanno commesso”. La Federazione Europea Giornalisti (EFJ) ha poi fatto propria, approvandola, una mozione della Federazione nazionale della Stampa Italiana (FNSI) che chiede “verità e giustizia per Giulio”. tore di averlo mandato allo sbaraglio. Alla fine ha dovuto arrendersi. Sono però passate molte ore prima che annunciasse di avere deciso di accomodarsi “in panchina”. Forse sperava che un altro giro di valzer berlusconiano lo rimettesse in campo. A spingere Berlusconi al cambio di cavallo sarebbero stati i malumori di molti esponenti di Forza Italia che non vedevano di buon occhio Bertolaso, ma soprattutto gli ultimi sondaggi che ne pronosticavano la sconfitta. Una sconfitta, ha temuto l’ex Cavaliere, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze sulla tenuta del partito, già provato da defezioni e da caduta di consensi. Ora però per Marchini si pone un problema, considerato che sui manifesti con i quali ha invaso Roma c’è una grande scritta: “Liberi dai partiti”. Ciò ha provocato l’ironia del candidato democratico Roberto Giachetti: “Esprimo tutta la mia solidarietà a Marchini che ora dovrà rivedere lo slogan sui suoi manifesti visto che sopra c’è scritto Liberi dai partiti”. E in effetti, sia pure in caduta libera, Forza Italia è pur sempre un partito. Nessuna ironia ma solo una furiosa reazione, invece, da parte del leader leghista Matteo Salvini che nella capitale appoggia la candidatura di Giorgia Meloni (candidata dell’estrema destra): “Berlusconi ha perso la bussola, ormai cambia idea ogni giorno. Dopo quello che è successo a Roma nulla è più scontato alle Politiche. O ci si mette d’accordo su tutti i punti di un programma o sarà un problema”. Toni e contenuti che rivelano una minaccia più che un avvertimento e che rendono problematica una intesa fra i due, fino a poco tempo fa alleati. Il cambio di cavallo di Silvio Berlusconi sul candidato sindaco a Roma La notte porta consiglio. E porta pure Alfio Marchini. Già, perché è successo in un incontro notturno che l’ex Cavaliere, essendosi convinto che sarebbe stato più conveniente puntare sulla candidatura dell’imprenditore romano, ha chiesto a Guido Bertolaso di ritirarsi dalla corsa alla poltrona di sindaco di Roma e di renderlo noto lui stesso con un comunicato. L’ex capo della Protezione civile (fatto scendere in campo proprio da Berlusconi) ha provato a resistere, rinfacciando tra l’altro al suo interlocu- 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Italia e Canada: un legame che si rafforza Incontri con realtà produttive, parlamentari, università e comunità italiane DAL PARLAMENTO FRANCESCA LA MARCA N ei giorni 20-22 aprile ho avuto il piacere di partecipare ad una serie di incontri programmati nell’ambito della visita ufficiale del sottosegretario Benedetto della Vedova in Canada. Sono stati tre giorni intensi di approfondimenti su tutta una serie di questioni: dalla politica internazionale alla lotta al terrorismo, dalla crisi dei migranti in Europa alle politiche da mettere in campo per la loro accoglienza, dalle relazioni politiche a quelle più specificatamente economiche tra Italia e Canada, dal ruolo della comunità italo-canadese a quello delle imprese e dei ricercatori italiani nella promozione del Sistema Paese. Si è trattato di un proficuo giro di incontri con interlocutori istituzionali, uomini d’affari e rappresentanti di comunità che ha consentito di verificare il buono stato di salute dei rapporti tra Italia e Canada, di rilevare gli aspetti di eccellenza e le buone pratiche e di precisare gli impegni sui quali concentrare gli sforzi nell’immediato futuro. Per me, in particolare, è stata un’utile occasione di ricognizione di situazioni e problemi di cui, naturalmente, terrò debito conto nello sviluppo della mia attività parlamentare. La visita del sottosegretario Della Vedova è iniziata da Ottawa. Nella capitale canadese il rappresentante del governo italiano ha incontrato il Ministro degli esteri del governo guidato da Justin Trudeau, Stéphane Dion, i responsabili per gli affari esteri del Partito Neodemocratico On. Hélène Laverdière e del Partito Conservatore On. Tony Clement. Della Vedova ha avuto inoltre un colloquio con il Parliamentary Secretary presso il Ministero della Giustizia e con l’Assistant Deputy Minister presso il Ministero della Pubblica Sicurezza. A questi appuntamenti istituzionali hanno fatto seguito quelli con i rappresentanti della comunità italo-canadese organizzati e promossi dall’Ambasciatore d’Italia a Ottawa Gian Lorenzo Cornado. Il primo appuntamento si è tenuto presso la nostra Ambasciata con parlamentari federali italo-canadesi ed esponenti della comunità italiana della capitale, tra cui diversi ricercatori italiani. In quest’occasione si è discusso di come rafforzare i legami tra i Paesi, anche alla luce del cambiamento di governo in Canada, della considerazione che l’Italia ha per il Canada di oggi, degli scambi a livello parlamentare. Positivo anche l’incontro con i rappresentati delle aziende italiane. Si è parlato dei rapporti commerciali tra i due paesi e di come rafforzarli, dell’attiva presenza in Canada di alcune grandi imprese come ENI, Finmeccanica, Fincantieri, la cui testimonianza è stata portata direttamente dai rappresentanti delle aziende presenti all’incontro. Sempre ad Ottawa, il 21 aprile, ho partecipato alla Conferenza di Benedetto Della Vedova organizzata dal Think-tank CIGI (Centre for International Governance and Innovation) insieme al IDRC (International Development Research Centre) e la Carlton University di Ottawa. Titolo dell’incontro “Brexit, refugees and security: the EU at the crossroads”. Un’occasione molto importante in cui il sottosegretario ha illustrato ad una platea di studiosi e di ricercatori la delicatissima questione della gestione dei migranti e dei rifugiati nell’attuale scenario di emergenza internazionale e il ruolo che l’Italia svolge nel contesto europeo. Benedetto Della Vedova, in margine al convegno, ha espresso il suo apprezzamento per il ruolo positivo del governo canadese in questo ambito con la decisione di accogliere 25.000 profughi siriani, invitando la stessa comunità italo-canadese a contribuire attivamente agli sforzi canadesi. Nella seconda tappa del viaggio, Toronto, il sottosegretario Della Vedova ha voluto incontrare i rappresentanti della comunità italo-canadese, dimostrando non soltanto una grande sensibilità ma ribadendo l’attenzione che il governo pone nei confronti degli italiani all’estero anche per il ruolo che questi possono svolgere nella promozione dell’Italia e nel rafforzamento dei rapporti bilaterali. Nella capitale dell’Ontario, si sono tenuti due appuntamenti. Il primo con l’ambasciatore e il console per affrontare in maniera più specifica le questioni di maggiore interesse per la nostra comunità. La discussione, infatti, si è concentrata sui temi della cittadinanza, dei rapporti bilaterali Italia-Canada, dell’Express Entry System, che presenta per gli italiani aspetti di evidente problematicità, della promozione della lingua e della cultura italiane e degli investimenti del nostro paese in questo settore, della valorizzazione della rete associativa e di quella per SEGUE PAGINA 6 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 5 la promozione del Sistema Italia, del sostegno necessario per valorizzare esperienze culturali di grande impatto, come ad esempio l’Italian Film Festival, un evento ormai consolidato dell’estate culturale di Toronto. Da parte dei presenti è stata sottolineata la necessità di mantenere vivo il legame con l’Italia attraverso azioni permanenti e innovative. Benedetto Della Vedova ha riconosciuto la straordinaria qualità, prima ancora della quantità, della comunità italo-canadese che rappresenta senza dubbio un’occasione di sviluppo ulteriore delle relazioni economiche e culturali tra i due Paesi. Nel corso del dibattito, ho avuto modo di ricordare i risultati positivi raggiunti finora dal governo Renzi senza tacere tuttavia su quanto ancora rimane da fare. Si tratta non soltanto di evitare nuovi tagli ai capitoli di spesa che riguardano direttamente le politiche per le nostre comunità, ma di rafforzare la consapevolezza dell’Italia, e dei suoi rappresentanti istituzionali, sul fatto che gli italiani all’estero sono una risorsa su cui vale la pena investire. Queste considerazioni sono state ulteriormente approfondite dal sottosegretario anche nel corso del suo ultimo incontro a Toronto con la business community italo-canadese e con i dirigenti di imprese italiane operanti in Canada. Della Vedova, ricordando come l’interscambio commerciale con l’Italia sia cresciuto lo scorso anno del 7%, ha sottolineato che l’Italia deve investire nel mercato nord-americano per far crescere le sue esportazioni ma anche per attrarre investimenti. Nel suo intervento ha ricono- sciuto gli sforzi degli italiani e italo-canadesi per consolidare la crescita dei rapporti commerciali tra l’Italia e il Canada e guadagnare credibilità e mercato. All’appuntamento era presente anche una missione economica a sostegno delle esportazioni di prodotti agroalimentari in Canada, organizzata dalla Camera di commercio di Sondrio in collaborazione con la Camera di commercio italiana dell’Ontario (ICCO) e il Consolato Generale d’Italia a Toronto. La delegazione valtellinese, guidata dal Segretario Generale Marco Bonat, ha promosso il progetto denominato “La Valtellina a Toronto” che ha avuto il merito di far incontrare le aziende italiane con una selezione di potenziali buyer del settore agroalimentare dell’Ontario. Il bilancio di questa missione è stato molto positivo e ricco di spunti per il futuro. Come ha ribadito lo stesso sottosegretario Della Vedova a conclusione della sua missione, i rapporti tra Italia e Canada, già storicamente forti, possono ulteriormente consolidarsi e rinnovarsi grazie anche alla forte intesa tra i due primi ministri, Renzi e Trudeau, due giovani premier che condividono una comune visione del futuro che non ignora i problemi ma cerca di superarli nell’interesse comune. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Governo attento alle prospettive e al futuro I risvolti incoraggianti della visita a New York del sottosegretario Amendola QUI NEW YORK SILVANA MANGIONE* M aggio di momenti importanti al Consolato Generale di New York. L’Ambasciatore d’Italia a Washington, Armando Varricchio, chiede di incontrare la comunità, che conosce già dal suo precedente incarico come attaché commerciale alla stessa ambasciata che è stato chiamato a reggere. Il suo saluto ricalca quanto ha detto presentando le credenziali a Barack Obama, sottolineando il solido legame di amicizia e comunanza di valori tra Italia e USA, componente imprescindibile per accrescere il benessere dei nostri cittadini e promuovere la pace, la democrazia e la difesa dei diritti. Ma riporta anche la risposta di Obama, che ha ricordato in termini amichevoli il recente incontro con il Presidente Mattarella alla Casa Bianca e la stretta collaborazione con il Presidente del Consiglio Renzi sulle più rilevanti questioni internazionali e dell’agenda globale. Con evidente calore, rimarca poi il suo rapporto di affetto con la città di New York, piena di energia creativa, di vitalità imprenditoriale e artistica, di presenze italiane ricche di significato. Un luogo assicura - dove cercherà di venire il più spesso possibile, anche perché in questo momento gode della doppia presenza di un Sindaco, Bill de Blasio, e di un Governatore, Andrew Cuomo, le cui radici sono solidamente piantate in Italia. Positivo anche l’intervento della vice governatrice dello Stato di New York, Kathy Hochul, che ha ricordato l’amore per l’Italia dello Stato a maggiore concentrazione di italiani, che lo hanno costruito e lo rendono vivo e vitale con le proprie iniziative. Annunciando la prossima missione economica promossa dal Governatore in Italia, sorridendo, conferma: “qualunque cosa succeda il prossimo Presidente degli USA sarà un newyorchese”. Infatti, Trump e Sanders ci sono nati e Hillary Clinton ne è diventata figlia adottiva. La Hochul si lascia scappare un “she” = lei, auspicando che gli USA finalmente eleggano questa donna di grande esperienza, in un momento storico in cui non si può rischiare che alla Casa Bianca sieda una persona che nulla sa di relazioni internazionali. Non si fermano qui le visioni positive dei rapporti fra l’Italia e le comunità sparse per il mondo. Non è un mistero che l’Italia stia lavorando da mesi per l’elezione di un membro italiano al Comitato di Sicurezza delle Nazioni Unite e il sottosegretario agli esteri Vin- cenzo Amendola, che ha fra le sue deleghe sia quella per gli italiani all’estero che quella all’ONU, è venuto a New York per partecipare ad una serie di incontri sui temi della leadership, la pace, la lotta al terrorismo, la sicurezza e la protezione dei civili nei conflitti che insanguinano il mondo. Malgrado la frenesia del calendario di lavoro, il sottosegretario ha dedicato un intero pomeriggio al dialogo con la comunità italiana dei tre Stati di New York, New Jersey e Connecticut. Nell’introduzione del suo discorso, Amendola ha raccontato l’emozione provata nel parlare a nome dell’Italia nella Sala del Consiglio di Sicurezza dicendo: “…ero cresciuto guardandola in TV”, e ha fatto il punto sugli argomenti discussi in preparazione alla presidenza italiana del G7 nel 2017, primo fra tutti la situazione dei profughi e dei migranti. La proposta italiana del Migration Compact all’UE è stata ricevuta positivamente; l’Italia continuerà a salvare le persone che fuggono dalla guerra e dalla fame, sostenuta dalle forti posizioni del Presidente Mattarella e di Papa Francesco sulla necessità di proteggere i rifugiati. A proposito dei diktat populistici sulla minaccia rappresentata dai migranti e sulla provocazione di costruire dei mini-muri (il vero muro era quello di Berlino ed è caduto quasi trent’anni fa) Amendola ha citato il bell’aneddoto della visita a Ellis Island con il Presidente Mattarella, e della domanda sulla percentuale dei respingimenti di immigrati nel momento dei massicci esodi dall’Europa verso gli USA, alla quale la guida ha risposto: “… circa il due per cento”. Al di là delle diatribe provocate dalla paura, il confronto in Parlamento deve tendere verso il posizionamento di un’Italia aperta all’ascolto. In questo processo New York è importante per la sua cultura della condivisione delle presenze ed è favorita dalla presenza del Console Genuardi che ha fatto un grande lavoro nei rapporti con il Parlamento. Passando ad un altro tema, quello della delega per gli italiani all’estero, Amendola essendo stato lui stesso emigrato in Austria per sei anni, ammette che negli ultimi anni l’Italia è stata costretta a fare scelte dolorose, come la chiusura di parecchi Consolati, fra cui Newark. Con parole di fiducia il sottosegretario SEGUE PAGINA 8 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 7 ha detto “Ora bisogna ricostruire i modi in cui fornire servizi. Noi abbiamo il dovere di servire il popolo italiano, anche all’estero per soddisfare le complesse esigenze presentate dalle tante sfaccettature delle nostre collettività”. Il CGIE ha già fatto alcune proposte e dovrà approfondire l’analisi dei servizi necessari – anche per la nuova emigrazione, che “va accudita” – nel corso dell’assemblea straordinaria di settembre, resa possibile dai mezzi da recuperare in sede di assestamento di bilancio, 85 mila iscritti all’AIRE nella circoscrizione consolare di NY sono una cifra importante. Nel 2017 dobbiamo quindi introdurre una semplificazione del lavoro, in linea con le modifiche alla Pubblica Amministrazione e alla ristrutturazione del MAE. New York è una chiave per la crescita dell’Italia, così come gli italiani all’estero sono parte del Sistema Paese e della proiezione dell’Italia verso il mondo, e costituiscono un patrimonio umano, di lavoro e di ricchezza intellettuale, accompagnato in troppi casi da dolori e sofferenze, di cui pure ci si debba fare carico per lenirle. “La disaffezione che notate nel dibattito sugli italiani all’estero non è causata da lontananza di destino, ma da superficialità e scarsa conoscenza, fattori che si superano con facilità”. Poi Amendola ha aperto la platea alle domande che hanno toccato molti temi: l’insegnamento dell’italiano; la riforma di Com.It.Es. e CGIE dopo i risultati del referendum sulla modifica costituzionale del Senato; l’utilità dei patronati; le peculiarità negative del trattamento dei contrattisti in USA; gli scambi High Tech e start up fra giovani italiani e americani e fra l’Italia e gli USA; le visite alle comunità anche fuori da Manhattan, nelle altre mu- nicipalità di New York e negli Stati di New Jersey e Connecticut. Risposte per tutti, puntuali, con l’assicurazione che in fase di assestamento di bilancio si recupereranno anche i due milioni e mezzo tagliati dai contributi alla diffusione dell’italiano all’estero, che è un traino per l’economia e le esportazioni. Nelle parole di Amendola anche la conferma del ruolo dei patronati, che svolgono un servizio insostituibile in grandi Paesi con un numero esiguo di Consolati e un’attenzione alla riforma del secondo livello di rappresentanza degli italiani all’estero, che dovrà tenere conto della nuova configurazione del Senato fermo restando che la presenza dei deputati eletti all’estero è rimasta alla Camera, cioè nel ramo del Parlamento che vota la fiducia al Governo, per garantire loro un peso politico paritario. Infine arriva la promessa che in occasione della sua missione a giugno e della sua partecipazione alla Convention democratica a luglio a Filadelfia, incontrerà gli esponenti delle realtà italiane fuori da New York. Finite le risposte, c’è stato il tempo per un po’ di scambi informali, tra racconti di storie personali e l’ascolto di suggerimenti. E poi via, per il successivo evento di lavoro, solo apparentemente conviviale, all’ONU. Ci guardiamo fra noi. Il clima è cambiato. La maggiore capacità di ascolto e la concretezza di assunzione di impegni ci convincono. L’orizzonte sta diventando molto più roseo, color aurora, non avviso di tramonto. * Vice segretario Generale Anglofoni del CGIE 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Progresso democratico e interculturalità QUI CANADA Dall’esperienza degli emigrati italiani un patrimonio da preservare C ’è un patrimonio italiano all’estero che deve essere preservato. A Montréal lavoriamo proprio in questa direzione, anche attraverso le tante attività del Circolo PD cittadino, per cercare di rendere questo patrimonio ancora più attuale, consolidandolo con fatti profondi e precisi, in un’ottica di miglioramento di noi stessi e della società nella quale viviamo. Le azioni che compiamo nella nostra comunità hanno un valore in quanto rappresentano un modello per le iniziative che verranno. Pensiamo a quanto sia importante l‘individuazione di un’associazione virtuosa per storia e per significato, l’impegno per contribuire alla sua sopravvivenza attraverso atti volti a darle maggiore visibilità come interviste alla radio e articoli sui giornali, la sensibilizzazione dei politici locali alle problematiche dell’associazione stessa. Pensiamo a quanto sta facendo il Circolo PD, dalle attività di autofinanziamento dirette (le cene sociali, una al mese) a quelle indirette (come la promozione di una sezione femminile per poter accedere a finanziamenti dedicati, oppure il collegamento con enti più strutturati che può risolvere alcune problematiche organizzative e di finanziamento). Ci interessano le buone ragioni della nostra comunità, per le quali ci impegniamo attraverso il circolo del Partito Democratico. Un Circolo dinamico e consapevole delle proprie responsabilità. Questa militanza, inoltre, sviluppa tra di noi e con gli altri una solidarietà profonda che si consolida attorno a valori comuni, valori volti a costruire una società più giusta e, in fin dei conti, al progresso democratico. L’interculturalità. L’emigrazione è un fatto culturale complesso e riguarda anche la dimensione delle idee, che abbiamo la pretesa non debbano essere ignorate anche dagli Italiani, in quanto patrimonio morale, di conoscenza ed etico del popolo italiano. In quanto Italiani emigrati sappiamo bene, inoltre, di avere un’esperienza e, quindi, una competenza preziosa: quella delle buone pratiche d’integrazione in un Paese al quale abbiamo portato in dote ricchezza culturale e senso del lavoro solidale e responsabile. Qui in Canada abbiamo appreso e continuiamo ad apprendere che solo aprendosi alle altre culture si vince la sfida dell’emigrazione. E in questa apertura, abbiamo verificato che non ci si confonde con gli altri, ma che grazie agli altri si preserva la propria cultura e se ne delinea, assieme agli altri, una nuova, comune a tutti. Gli Italiani aprendosi all’America, al Canada e al Québec non hanno perso nulla della propria identità. Quando si arriva in un Paese si parla italiano per restare a noi - in famiglia, al lavoro e quando si è in società. In un secondo momento, si parla italiano in famiglia e in società ma non più al lavoro, dove si parla inglese o, come nel caso del Québec, francese. La seconda generazione continua a parlare italiano in famiglia ma in ambito sociale e lavorativo parla inglese e francese. Quest’esperienza è ben nota agli Italiani, per averla già vissuta. Queste tappe verso l’integrazione, che gli Italiani hanno percorso senza perdere in identità e senza assimilarsi, gli Italiani possono indicarle ai nuovi arrivati e all’Italia stessa che spesso sembra voler rifiutare il tema. Questo bagaglio di esperienza giova a quella parte della società che invece dice: «un attimo, se c’è un popolo che conosce bene l’emigrazione siamo proprio noi, che siamo stati accolti in tutti i Paesi del mondo e che abbiamo anche per questo il dovere di accogliere». Le tante italie che vivono all’estero possono aiutare l’Italia a ricordarsi questa sua peculiare specificità. Se siamo aperti alle differenze possiamo continuare a essere ciò che siamo o anche a stupirci di essere migliori di quanto pensavamo di essere, proprio come hanno imparato a fare gli Italiani che vivono all’estero. Michel Maletto tesoriere del circolo PD di Montréal Giuseppe Continiello segretario del circolo PD cittadino 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Ambasciatori in Missione Italia Vanno costruiti legami virtuosi tra enogastronomia, cultura ed economia OLTRE IL BORDO DEL PIATTO CARLA CIARLANTINI-KRICK A dare il via a questo mio contributo sono stati diversi episodi apparentemente scollegati tra di loro e che invece avevano un “filo rosso” in comune. Ad esempio: da due o tre anni mi sono accorta della crescente presenza nella grande distribuzione tedesca di prodotti alimentari italiani che anche solo cinque anni fa erano pressoché sconosciuti o reperibili solo in pochissimi negozi molto specializzati. Mozzarella di bufala DOP, ‘nduja, ravioli e tortellini freschi, vini di decente qualità e dal nome meno strapazzato di Chianti o Lambrusco, verdure fresche qui poco comuni come carciofi o barba di frate stanno conquistando un posto sempre più ampio negli scaffali delle varie REWE, Kaufland e perfino dei discounter come Lidl; stanno cambiando i ristoranti italiani, non tutti e non dovunque, ma stanno cambiando. Stanno sparendo le tovaglie a scacchi bianchi e rossi e le orripilanti vedute del Vesuvio col pennacchio, gli spaghetti stracotti e sepolti sotto litri di sugo, le insalate “all’italiana” fatte col prosciutto affumicato e l’Emmental. Stanno invece comparendo i risotti fatti come si deve, le carte dei vini che offrono Lugana e Teroldego e le oliere con la bottiglietta non ricaricabile di olio EVO, spesso anche biologico; l’anno scorso Eataly ha aperto la filiale di Monaco di Baviera, dopo quelle negli USA, negli Emirati, in Giappone e in Turchia; per finire, mi capita di leggere nei documenti di una riunione europea un esempio di proposta “fuori dagli schemi”: abbinare in un unico corso l’insegnamento di lingua e cucina. È stato proprio l’ultimo punto a rendere evidente il fatto che tra cultura, cibo ed economia esista un legame molto più stretto di quanto non si pensi. O meglio: il legame tra cibo ed economia è abbastanza evidente, ma su quello tra questi due temi e la cultura raramente si riflette. Se pensiamo alla Francia, quali sono le prime immagini che ci vengono in mente? Parigi, il Louvre, i ristoranti superstellati, i quadri degli Impressionisti nei quali spesso e volentieri spuntano le insegne di Chez Maxim e dei locali famosi di Pigalle, lo champagne e il patè. Cultura e buon cibo vanno a braccetto nel creare l’immagine del paese e quell’immagine diventa anche un’arma commerciale. Quanto vino, quanto champagne, quanto formaggio ha venduto la Francia in tutto il mondo a prezzi quasi sempre alti o altissimi? E perché gli acquirenti di tutto il mondo sono stati e sono tuttora disposti a pagare quei prezzi, anche se a volte sono un tantino esagerati? Non sarà perché comprando una bottiglia di Beaujolais o una fetta di Roquefort l’acquirente ha la sensazione di comperare anche un pezzetto di Francia? Un pezzetto dei manifesti di Toulouse-Lautrec? Una strofa di Milord? La Francia è forse il caso più eclatante, ma ce ne sono altri. Quanto ha contribuito al successo mondiale della McDonald quella “american way of life” che i film, la musica e la letteratura degli USA hanno esportato in tutto il mondo? O l’indissolubile legame tra Grecia e cultura classica all’esportazione di feta e olio cretese? Si potrebbe continuare, ma questi esempi sono sufficienti a dimostrare che la cultura in senso lato – arti figurative, musica, letteratura – può essere un formidabile strumento di marketing di un paese. Ed è vero anche il contrario: la “cattiva” cultura può danneggiare pesantemente anche l’economia di un paese. Non so se si potranno mai quantificare le occasioni perdute per il fatto di essere visti più come la patria della Mafia che come quella di Michelangelo. Pur avendo una tradizione culinaria di tutto rispetto, per quanti anni ci siamo concentrati sull’esportazione di mosto per rinforzare i vini francesi, di vini di bassa qualità e di pomodori pelati, buoni sì, ma che di sicuro non aumentano la visibilità del Bel Paese? Qualcosa di simile è avvenuto con la cultura. Una mia amica, giornalista di cinema, lamentava il fatto che i nostri festival del settore non hanno un comparto dedicato agli incontri commerciali, al contrario di quanto fanno il Festival di Cannes e la Berlinale. Il risultato è che i film presentati a Cannes e a Berlino trovano rapidamente distributori per l’estero e i nostri restano al palo. E il cinema è un potentissimo mezzo per far conoscere un paese, basti pensare di nuovo agli USA. Altro esempio: la cura delle relazioni con le istituzioni culturali di altri paesi. Tre anni fa, lo Städel Museum, SEGUE PAGINA 11 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 10 il più importante centro espositivo di Francoforte, organizzò una mostra su Botticelli. Per tutta la durata dell’esposizione le file all’ingresso duravano ore. I visitatori vennero da tutto il paese per vederla. Siamo stati noi a promuoverla? No, è stata la lungimiranza e la straordinaria capacità manageriale di Max Hollein, allora direttore del museo e famoso per aver saputo convincere un’armata di sponsor a fare cospicue donazioni, che gli hanno consentito di finan- i campi: cultura, eno-gastronomia ed economia. Ho l’impressione che l’evoluzione, della quale la mostra su Botticelli e l’arrivo della mozzarella DOP nei supermercati sono incoraggianti segnali, sia il risultato dell’iniziativa personale di singoli e aziende, sia in Italia che all’estero, intraprendenti, lungimiranti e anche un po’ anticonvenzionali, più che il risultato di una strategia nazionale. Va bene, in tutti i campi i primi a muoversi sono i pionieri, però poi deve arrivare ziare il completo restauro della sede del museo, la costruzione di un’ala destinata all’arte moderna e l’acquisto di nuove, importanti opere. L’Italia invece si è limitata per troppo tempo a lasciare che la sua immagine culturale venisse associata più che altro a pochi luoghi ultracelebri come il Colosseo, il Vaticano, Venezia e il Vesuvio. Per carità, non fraintendiamo: sono famosi perché se lo meritano. Però sono anche carichi di cliché che nessuno ha fatto nulla per correggere. In fondo ci andava bene puntare sul turismo di massa sulla riviera romagnola (ma il Tempio Malatestiano nel centro storico di Rimini non lo visitava nessuno), sugli spaghetti ripassati al forno e sul lambrusco nei bottiglioni da due litri. Però adesso è arrivato il momento di cambiare in tutti e tre il resto del paese e soprattutto la sua classe dirigente. Ora immagino che per molte persone la mia opinione sul legame tra cultura, gastronomia ed economia sia troppo materialistica, perché dopotutto la cultura ha un valore più alto di quello puramente commerciale. Questo è vero: non si può mettere il cartellino del prezzo ai mosaici di Ravenna o ai versi dell’Ariosto. Però è possibile e giusto farli conoscere ad un pubblico più vasto di quello che hanno avuto finora. Se poi per farlo possono funzionare matrimoni non convenzionali come quello con il buon gusto alimentare e se il risultato è anche positivo per la nostra economia, perché non farlo? Anche l’arte ha bisogno di fondi. Tanti e il prima possibile. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Il dilemma shakesperiano: stay or leave Il nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan, dice di stare ANALISI E COMMENTI ROBERTO STASI* D avvero Londra non finisce mai di sorpredere. Questa volta lo fa con la politica, e con il messaggio di integrazione ed inclusione che il neo sindaco Sadiq Khan manda a tutta Europa e al mondo. Tanto è stato detto sulla sua vita, sulle sue origini, sul suo impegno come parlamentare, ministro ombra per i trasporti e come avvocato per i diritti civili, anche sul suo voto favorevole alle nozze gay, rappresentando un Islam più laico, progressista e riformato. Queste sono state le qualità del candidato Labour in una campagna elettorale iniziata con le primarie della scorsa estate, in cui Sadiq Khan ha faticato tanto per affermare la sua nomination, anche con pezzi del partito scettici sulla sua candidatura. Non facile anche per la sua distanza da Corbyn, ma anche da quella blairiana del partito. Ha dovuto faticare per mantenere quel profilo indipendente e autonomo, che si è poi rivisto nella campagna elettorale e nel suo slogan “un sindaco per tutti i londinesi”. La sua campagna è stata attenta ad un’affrancatura dalla leadership nazionale, dalle contese interne al partito ed invece è stata una campagna elettorale locale, fatta di visite a tutti i quartieri della città, di problemi quotidiani dal costo della vita, ai trasporti, all’aria, al traffico. Tutti aspetti, invece, che la campagna del suo principale avversario Zac Goldsmith ha completamente ignorato. A sorpresa, anche per la mitezza del personaggio e della sua posizione politica, per certi versi molto più liberale e meno radicale dei suoi colleghi conservatori, soprattutto in materia ambientale, Goldsmith ha sviluppato una strategia elettorale del partito conservatore aggressiva, al limite dell’insulto razziale, più attenta a vantaggi nazionali sul Governo che a conquistare il governo della città. Una strategia della paura attuata anche attraverso la stampa amica, soprattutto quella distribuita ai pendolari, che ha prima sollevato dubbi sui sostegni elettorali di Khan nella sua comunità ed in quella mussulmana di Londra, poi, montando l’accusa di antisemitismo. Una campagna che però non ha pagato, anzi. Nelle ultime settimane, gli elettori hanno cominciato a spostarsi sul candidato laburista proprio per la sua storia, per quella garanzia di rispetto della diversità e di assicurazione dell’inclusività, che i cittadini di una città cosmopolita come Londra si attendono, cercano e vogliono. E’ proprio quello che è successo quando la campagna elettorale locale si è incrociata con il dibatitto sulla Brexit. La posizione del candidato conservatore in sostegno della campagna per il Leave, insieme al sindaco uscente, Boris Johonson, ha portato molti elettori ha rivedere le proprie intenzioni di voto ed andare sul candidato laburista. Grande impatto si è avuto sugli elettori europei, che hanno così sopperito, in un certo senso, all’impossibilità di votare per il referendum Brexit di giugno con la possibilità di scegliere un sindaco pro o contro. Un tratto fortemente europeo si è visto nella campagna elettorale condotta da Ivana Bartoletti, prima ed unica candidata italiana al consiglio comunale della città metropolitana di Londra per il Labour nel collegio Havering & Redbridge, est di Londra. Un territorio vasto, un’area con fortissima immigrazione ma un ceto medio e popolare inglese, che nella periferia della grande città sente maggiormente i problemi legati al caro vita, ai trasporti ed alla sicurezza. Una situazione di tensione sociale anche dovuta alla presenza di grandi comunità d’immigrazione. Una campagna pro europea che ha accorciato, arrivando quasi ad annullarla, la distanza con il candidato conservatore, che per poche centinaia di voti ha vinto la competizione. Un vero peccato, ma questo è anche un territorio dove l’Ukip, il partito anti-europa e immigrazione del più noto Farange, ha ottenuto l’8% dei voti, nella sua prima competizione elettorale su Londra. Quella di Ivana è davvero una vittoria mancata, ma la sua candidatura, che è testimonianza concreta di quanto necessaria e fruttuosa, per l’emigrazione e per i Paesi di destinazione, sia la partecipazione politica delle comunità europee residenti negli altri Paesi dell’Unione Europea. E’ una candidatura che deve rafforzare l’impegno politico delle nostre comunità all’estero, ma che in una lettura più locale, qui nel Regno Unito, deve far pensare a quanto lavoro il Labour deve ancora compiere per recuperare il voto dei ceti più popolari e trasmettere un vero messaggio di opportunità e positività nella permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Un’altra campagna elettorale si apre oggi, quella sulla Brexit, dagli esiti ad oggi ancora incerti, ma nella quale le voci come quella di Ivana dovranno essere di più e più forti. Una sfida già questa, in un Paese sempre più rinchiuso su se stesso, nostalgico di un passato glorioso tanto lontano, ma con paure che crescono. *segretario circolo PD Londra 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Cosa ci dice il voto nel Regno Unito Un buon risultato ma tante incognite per Jeremy Corbyn ANALISI E COMMENTI DOMENICO CERABONA* P artiamo da un dato di realtà: il partito laburista, chiamato al primo vero test elettorale della gestione Corbyn, ha ottenuto un buon risultato. Diamo un po’ di numeri e poi facciamo qualche analisi. Si tenevano le elezioni in tutto il Regno Unito, questo vuol dire: Irlanda del Nord (che meriterebbe un discorso a sé e che quindi lascerei fuori dal quadro), Scozia, Galles e in Inghilterra, dove si votava per il governo locale e per il rinnovo di centinaia di comuni tra cui grandi città come Liverpool, Manchester e, soprattutto, Londra. Si sono tenute inoltre due elezioni suppletive di altrettanti seggi parlamentari. I dati nudi e crudi ci dicono che, in Inghilterra, il partito laburista si afferma nuovamente come il primo partito di governo locale, confermandosi alla guida di ben 57 comuni inglesi (con una sola sconfitta rispetto a 5 anni fa) a fronte di un partito conservatore che ne controlla solamente 37. Dico solamente, perché il peso relativo delle vittorie laburiste è molto alto, considerando che i laburisti conquistano quasi tutte le grandi città a partire da Londra, che viene strappata ai conservatori dopo otto anni. Nel governo locale il partito laburista ottiene quasi il doppio dei seggi eleggendo 1280 consiglieri con i conservatori che si fermano a 755 E qui c’è il primo dato significativo: i liberal democratici e l’Ukip di Nigel Farage ottengono rispettivamente un miglioramento di +39 e +26 seggi, dimostrandoci che il sistema bipartitico – elemento fondamentale per il funzionamento istituzionale britannico – è ormai arrivato ad una fase di stallo, un tema importante se poi al quadro aggiungiamo l’SNP scozzese di cui parleremo tra qualche riga. In Galles il governo rimarrà laburista, con il partito di Corbyn che perde un solo seggio nel parlamento gallese nonostante la significativa crescita del partito euroscettico di Farage che conquista ben 7 seggi in più. E arriviamo alle note dolenti per i laburisti, e cioè al risultato scozzese. In Scozia il partito laburista arriva terzo, dietro all’SNP di Nicola Sturgeon e al partito conservatore. Il risultato non è certo una sorpresa: un anno fa alle elezioni politiche l’SNP aveva spazzato via dalla Scozia il partito laburista, conqui- stando praticamente tutti i seggi che, storicamente, erano appannaggio dei laburisti e che facevano della Scozia una roccaforte rossa. Era difficile pensare che, in appena otto mesi, Jeremy Corbyn potesse invertire significativamente la rotta, tanto più che a livello di governo locale l’SNP controlla il parlamento scozzese da più di dieci anni, ottenendo oggi una storica terza rielezione. Tanto più che il partito laburista scozzese ha una propria leadership indipendente, con una Segretaria, Kezia Dugdale, eletta prima dell’arrivo di Corbyn, che al congresso del partito laburista del Regno Unito ha appoggiato un’altra candidata: Yvette Cooper. Voler dunque attribuire a Corbyn le responsabilità del disastro scozzese pare una vera e propria forzatura. Anche perché va sottolineato che il partito dell’SNP è un partito “radicale” che si pone alla sinistra del partito laburista: la chiave di lettura con cui la Sturgeon ha conquistato la Scozia è stata proprio quella di dipingere il partito laburista troppo collaborativo con le politiche di austerità del governo Cameron. Dunque viene difficile credere che per contrastare l’SNP, che è aumentato in termini percentuali ma che ha perso 6 seggi in parlamento rispetto a cinque anni fa, sia necessario il ritorno ad una leadership più moderata come alcuni analisti italiani ed inglesi vorrebbero suggerire. Per finire questo lungo elenco di consultazione elettorali, il partito laburista ha vinto le due elezioni suppletive conquistando – o meglio, confermando – due seggi parlamentari a Westminster. A conferma del buon risultato elettorale vi sono le proiezioni su base nazionale, che vedono il partito laburista al 31%, con un sorpasso sui conservatori che si fermano al 30%. A seguire le due altre realtà del panorama britannico che entrambe fanno segnare un ottimo risultato: i LibDem che, dopo il disastro dell’anno scorso, fanno segnare un ottimo 15% e l’Ukip di Nigel Farage che si attesta ad un preoccupante – quantomeno per il sottoscritto – 12%. Occorre però rimanere con i piedi per terra. Il quadro è meno roseo di quanto possa apparire per il partito SEGUE PAGINA 14 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 13 laburista, perché la situazione drammatica in Scozia rende alquanto difficile, per il momento, pensare di poter conquistare la guida del Paese. Si votasse domani infatti, i Conservatori rimarrebbero in vantaggio di 50 seggi conquistandone circa 300 (con un arretramento di ben 30 seggi) a fronte del partito laburista che ne conquisterebbe 250 (con un miglioramento di 20 seggi). Certo un significativo aumento rispetto al risultato del 2015, ma comunque non sufficiente per occupare il 10 di Downing street. Per il partito laburista è dunque fondamentale riconquistare qualcuno dei 54 seggi che sono stati vinti nel 2015 dall’SNP scozzese, un compito difficile ma al quale Corbyn non può sottrarsi se vuole avere qualche speranza di governare il Regno Unito. Il quadro elettorale non può lasciarci del tutto tranquilli sul futuro del referendum del 23 giugno su Brexit. Il partito laburista è infatti l’unico partito che faccia convintamente campagna per il no all’uscita dall’Unione Europea e il 31% raccolto dal partito di Corbyn non è chiaramente sufficiente ad assicurare la vittoria. Preoccupa infatti la crescita dell’Ukip di Farage che ovviamente farà campagna per il sì a Brexit. Inoltre il leader conservatore, il primo ministro Cameron, pare in grande difficoltà nel paese e, soprattutto, nel suo partito. Un partito che sul referendum sta consumando una parte della corsa alla successione alla leadership dei Tories, con l’ex sindaco di Londra, il potentissimo Boris Johnson che sta facendo campagna per l’uscita dall’Europa, in aperta opposizione al suo leader e premier con il preciso obiettivo di rubargli la poltrona. Insomma la miscela rischia di essere esplosiva e il risultato del referendum è tutto meno che scontato. In conclusione di questa lunga carrellata britannica, non si può non parlare dello straordinario risultato londinese. Occorre però uscire dalla retorica un po’ provinciale con cui è stata accolta la vittoria di Sadiq Khan. Il neo eletto sindaco di Londra infatti non è una meteora comparsa sul panorama britannico con l’etichetta di figlio di immigrato. Khan è un esponente di spicco del partito laburista ormai da diversi anni. Viene da molti dipinto come molto distante da Corbyn, anche se la realtà è che è stato uno dei 35 parlamentari che ha sottoscritto la sua candidatura: senza il suo sostegno in parlamento, dunque, Jeremy Corbyn non avrebbe potuto partecipare alla fase congressuale “aperta” che poi, a sorpresa, lo ha eletto con una vittoria schiacciante. Certo nella seconda fase congressuale Khan ha appoggiato un altro candidato, Andy Burnham, il quale tuttavia proveniva a sua volta dall’ala “milibandiana” del partito laburista, quella, per intenderci, post blairiana. È quindi corretto affermare che le posizioni di Khan siano più moderate rispetto a quelle dell’attuale leader laburista, ma è certamente sbagliato dipingerli come distanti anni luce. Tanto più che per la sua vittoria alle primarie, Khan ha potuto contare dell’appoggio di molti sostenitori di Corbyn, cosa che spesso viene omessa. Nella sua campagna elettorale Khan ha dovuto affrontare forti attacchi razzisti, che lo dipingevano di fatto come amico dei terroristi, principalmente per le sue origini pakistane e musulmane. Per fortuna i londinesi non si sono fatti irretire da questi attacchi e hanno invece apprezzato il mix della proposta di Khan: da un lato la promessa di essere un sindaco con un grande occhio di riguardo per lo sviluppo della piccola e media impresa e dall’altro una forte attenzione alla giustizia sociale, in particolare con una politica di housing sociale più avanzata e un trasporto pubblico a prezzi calmierati. Questi ultimi sono due temi fortemente sentiti dallo stesso Corbyn (londinese a sua volta) che, soprattutto dell’housing sociale, ha fatto uno dei punti di forza del suo programma congressuale e della sua battaglia parlamentare. I conservatori hanno cercato inoltre di trasformare le elezioni londinesi in un referendum su Corbyn, nel tentativo di “spaventare i moderati”. Anche questa chiave di lettura è stata un fallimento, infatti il risultato è stata una maggioranza schiacciante sia per l’elezione del sindaco che per quella del consiglio comunale. Insomma il cammino da qui al 2020 per Jeremy Corbyn è ancora irto di ostacoli – anche e soprattutto sul fronte interno, visto che molti dei suoi parlamentari non vedono l’ora di contestare la sua leadership – ma credo che il risultato di giovedì scorso fosse il meglio che il leader laburista potesse aspettarsi. * Responsabile culturale della Fondazione Giorgio Amendola di Torino Ha recentemente curato per Castelvecchi una pubblicazione su Jeremy Corbyn, “La rivoluzione gentile“, in cui sono stati raccolti e tradotti alcuni discorsi del leader laburista. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Il futuro di Lady Burma La Birmania e la sua leader alla prova della democrazia ANALISI E COMMENTI UGO PAPI* L a Birmania, o Myanmar che dir si voglia, ha definitivamente girato pagina. La lunga transizione verso la democrazia, apertasi inaspettatamente nel novembre del 2010 con la liberazione di Aung San Suu Kyi, dopo più di un decennio di restrizione della libertà e arresti domiciliari, si è definitivamente chiusa con l’elezione del nuovo Presidente e la formazione di un governo democratico. Il Presidente, Htin Kyaw, è un fedelissimo della leader birmana, ancora impedita ad assumere quel ruolo da una costituzione costruita dalla giunta militare alcuni anni fa, con una clausola odiosa ad personam che interdice la Presidenza a chi è stato sposato con uno straniero o ha figli di altra nazionalità. Purtroppo la delicata transizione, con un parlamento ancora dominato dai militari, non ha permesso il raggiungimento di un compromesso che cancellasse la norma costituzionale. Così l’unico neo della nuova fase democratica, rimane quello di un presidente che ha chiaramente dichiarato al momento dell’insediamento, che la sua elezione era una vittoria della “Lady”. Per conto suo la Nobel per la Pace si è ritagliata il ruolo di Ministro degli Esteri, dell’educazione, dell’energia, oltre che Consigliere di Stato. Insomma, un super ministero che ne fa comunque la più potente e autorevole personalità del suo paese, cosa che creerà qualche imbarazzo alla diplomazia e ai rigidi protocolli dei grandi della terra. Staremo a vedere. Ora per La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi non ci sono più alibi. Dopo le trionfali elezioni del novembre scorso, deve dimostrare di saper governare e indirizzare verso lo sviluppo e il benessere, un paese dalle enormi potenzialità, frenate da decenni di chiusura autarchica e feroci dittature militari. E’ giusto domandarsi, proprio ora, cosa abbia spinto la Birmania dei militari a cedere il potere e ad aprire il paese al mondo e alla libertà. La favola sembra aver avuto un lieto fine, non solo per lo straordinario coraggio dimostrato dalla “Lady” e dai tanti uomini e donne del suo movimento, torturati, uccisi e umiliati nelle galere birmane, ma anche per una decisione inaspettata di almeno una parte dei generali al potere. Quello birmano è un caso di studio interessante per gli appassionati di geopolitica. La spinta decisiva non è certo arrivata dalle sanzioni economiche, pur giuste sul piano politico-ideale, imposte per anni dai paesi occidentali. Sul piano economico infatti, quelle sanzioni non hanno mai inciso in un paese isolato dal resto del mondo da cinquanta anni di dittatura militare. In fondo l’interscambio con l’occidente rappresentava solo il 7% del commercio estero birmano, e negli ultimi trenta anni il vicino sud est asiatico, assieme alla Cina e all’India, che circondano il paese delle pagode, sono diventati il centro dello sviluppo globale, e nessuno dei paesi asiatici ha mai aderito al regime sanzionatorio. Piuttosto a giocare un ruolo di primo piano sembrano essere stati due fattori decisivi. Il primo è stato la presenza sempre più invadente della Cina, cosà che ha creato negli anni passati un sentimento di diffidenza nei confronti del dragone da parte della popolazione, ma ha agitato i sonni degli stessi generali birmani, orgogliosi della loro indipendenza e dotati di un alto tasso di xenofobia. Il secondo decisivo fattore sembra essere stato l’apertura dell’amministrazione Obama, che nella primavera del 2010, non esitò a cambiare politica nei confronti della giunta, abbandonando i toni duri del passato e incontrando l’allora Primo Ministro generale Tein Sein (poi eletto presidente nella transizione) in un vertice Asean. Lì Obama si dichiarò pronto ad aiutare economicamente e politicamente il Myanmar, se avesse favorito la transizione e liberato la “Signora”. Il motivo di tale offerta: il contrasto all’espansionismo cinese, che dominando la Birmania avrebbe trovato un facile sbocco nell’Oceano Indiano. Certo, altri fattori hanno influito sicuramente: la tenacia di Aung San Suu Kyi e del suo movimento nello screditare agli occhi del mondo la giunta militare, le pressioni di una diplomazia più soft, alla ricerca di risultati concreti come quella dell’inviato europeo Piero Fassino, sempre in lotta negli anni passati con i falchi dell’Europa del Nord, lo stesso desiderio di una nuova borghesia di Yangon, la capitale, che dopo le timide aperture economiche degli anni novanta, cominciava a scalpitare per cogliere le opportunità di sviluppo e di profitti che la globalizzazione stava creando. Non bisogna dimenticare che quella borghesia era legata a filo doppio ai generali e alle loro famiglie e gli interessi economici coincidevano. Tutte circostanze che hanno probabilmente spinto la Birmania verso una pacifica e esemplare transizione demoSEGUE PAGINA 16 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 15 cratica fino ai giorni nostri. Ma la nuova leadership ha oggi di fronte una serie di importanti sfide: i conflitti nelle zone di confine e con le minoranze etniche, che rappresentano il quaranta per cento della popolazione, la povertà radicata e la necessità di migliorare rapidamente infrastrutture decrepite e servizi educativi e sanitari a lungo trascurati, una burocrazia ingessata, e infine il rapporto con l’ancora potente esercito, che ha nelle mani tre ruoli chiave dell’esecutivo: il Ministero dell’Interno, quello della Difesa e quello dei rapporti con le minoranze. Inoltre all’esercito, la costituzione riserva un 25 % dei seggi del parlamento, rendendo la mediazione sempre necessaria. Il partito di Aung San Suu Kyi ha dichiarato a più ri- un accordo rimane decisivo. Paradossalmente la vicenda più intricata, quella della discriminata minoranza Rohingya mussulmana ai confini con il Bangladesh, può trovare una soluzione proprio se l’esercito impone sul campo possibili soluzioni, a dispetto di un opinione pubblica decisamente anti mussulmana e per nulla disposta ad assecondare le aspirazioni politically correct dei media occidentali. Rimane il problema di una Costituzione che per ora consegna troppo potere alle forze armate e che il nuovo Presidente Htin Kyaw, si è impegnato a cambiare cercando un non facile accordo con i militari. Per quanto riguarda l’economia, Il Myanmar prevede una crescita importante per il 2016 di oltre l’8 % Ma anni di cattiva prese di volere una vera riconciliazione nazionale e l’incontro della leader con i vertici militari lascia ben sperare. Non possiamo dimenticare che la “Lady” è figlia del Generale Aung San, padre dell’indipendenza birmana dopo il colonialismo inglese, e fondatore dell’esercito. Questo aspetto, spesso trascurato in occidente, spiega in parte perché negli anni bui della dittatura, Aung San Suu Kyi non sia stata in carcere né abbia fatto la fine di tanti suoi confratelli , torturati e uccisi nel corso degli anni. Il suo nome era troppo importante e persino i generali hanno temuto le conseguenze interne, non solo internazionali, di un trattamento “alla cilena” della allora giovane leader. Inoltre l’esercito è oggi ancora una istituzione decisiva nel risolvere positivamente la questione dei diritti delle minoranze. Qualunque decisione politica, dai cessate il fuoco già in atto ad una vera e propria pacificazione, passano per l’azione delle forze armate sul campo e dunque gestione e di isolamento si fanno sentire. La rete stradale e ferroviaria è fatiscente e nelle città sono frequenti le interruzioni di corrente. L’Asian Development Bank stima in 60 miliardi di dollari le spese di modernizzazione delle infrastrutture essenziali da qui al 2030. Gli ostacoli agli investimenti sono ancora molti e le leggi da aggiornare richiederanno un duro lavoro di revisione. Inoltre le leggi sul lavoro sono scarsamente applicate e molto ci vorrà per raggiungere standard internazionali accettabili, con il lavoro minorile dilagante, e un’ economia ancora dominata da cricche legate alla vecchia giunta in regime di quasi monopolio. Le leggi sulla libertà di stampa e sul diritto di sciopero sono recenti e vanno applicate e messe alla prova. La Birmania è ora libera di scrivere il suo futuro, solo il tempo ci dirà se la scommessa sarà definitivamente vinta. * Responsabile Asia del Dipartimento Esteri del PD 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Giustizia: risultati positivi ma tanto lavoro da fare L’incontro con il Ministro Orlando al circolo Pd di New York DEMOCRATICI NEL MONDO L o scorso 20 aprile, il Circolo PD di New York ha avuto l’occasione di incontrarsi con Andrea Orlando, ministro della Giustizia del governo Renzi. A New York per partecipare a un incontro dell’ONU sul problema della droga, il ministro ha incontrato il circolo PD per rispondere alle nostre domande ed esprimerci il proprio pensiero. L’incontro è iniziato parlando del lavoro alla Giustizia e di come la troppa aggressività, che porta a un eccessivo numero di cause, sia uno dei problemi principali sui quali si sta lavorando. Da 6 milioni di cause del 2010 si è passati a 4,5 milioni, un passo importante ma non ancora sufficiente, perché il numero sostenibile sarebbe di 3 milioni e 800mila. Anche i tempi medi dei processi sono leggermente diminuiti, 6 mesi in meno rispetto al 2014. Pur confortato da questi numeri, Orlando non si è nascosto dietro un dito, ammettendo che c’è ancora molto lavoro da fare. La riforma del processo civile sarà un’occasione di migliorare ulteriormente la situazione: verrà creato il tribunale della famiglia, e verrà potenziato il tribunale delle imprese. Su quest’ultimo, il ministro ricorda che, per molte cause che vedevano coinvolti investimenti esteri, il tribunale delle imprese riesce ad arrivare a sentenza abbastanza rapidamente (meno di un anno per il primo grado), e questo è un dato che dovrebbe incoraggiare l’arrivo di capitali stranieri verso il nostro Paese. Rispondendo a una domanda sullo stato attuale della prescrizione, Orlando ha sottolineato come i reati contro la Pubblica Amministrazione si prescrivano ora in 12 anni, e non più 6, grazie all’inasprimento delle pene ottenuto con la legge Severino. Più che sulla riforma della prescrizione, che comunque va fatta, ci si dovrebbe focalizzare sulla disomogeneità con la quale la prescrizione incide nei processi a seconda delle procure: in certe realtà il tasso di prescrizione arriva al 20%, mentre in altre si attesta su un ben più modesto 1%. Queste discrepanze sono dovute al diverso numero dei giudici in ciascuna procura, alla consistenza del personale e ad altri fattori organizzativi: bisognerà quindi intervenire sull’organizzazione, oltre che portare a termine la riforma. Un altro punto sul quale si potrebbe intervenire potrebbe essere l’introduzione di un termine entro il quale un giudice debba decidere cosa fare in un procedimento, se, cioè, archiviare o procedere. Affrontando il tema dello stato delle carceri italiane, anche in connessione con l’immigrazione, Orlando ha chiarito come il rapporto fra numero di detenuti e capacità delle nostre carceri sia migliorato negli ultimi anni. Due cose sulle quali si sta lavorando sono l’affidamento dei tossicodipendenti a comunità, e i rimpatri per i detenuti stranieri. Su quest’ultimo punto, è opportuno citare che il rimpatrio non è previsto per quei Paesi che non riconoscono la Carta dei diritti dell’uomo. Per quel che riguarda gli altri Paesi, il rimpatrio potrebbe a volte rivelarsi problematico, perché è necessaria l’approvazione del giudice, e inoltre può accadere che i Paesi riceventi (soprattutto Romania e Albania) ostacolino il processo di rimpatrio, che per loro costituirebbe un costo. Orlando si è soffermato sulle pene alternative, la cui percentuale è in costante aumento: a oggi sono 40 mila i casi di detenuti che stanno scontando pene di questo tipo, per esempio agli arresti domiciliari, o con l’affidamento ai servizi sociali o in comunità. Oltre a sgravare il nostro sistema carcerario, le pene alternative hanno un ulteriore vantaggio: il tasso di recidiva è in media più basso, attestandosi intorno al 25%, contro il 55% di chi sconta la pena in carcere. Un altro tema toccato è quello delle frodi, e delle normative che le puniscono. È la tutela delle vittime che va potenziata, sia durante che dopo il processo. Alcuni modi per tutelare le vittime potrebbero essere un serio risarcimento del danno, l’aiuto nel pagamento delle spese giudiziali e, non ultimo, la creazione di occasioni di contatto fra il reo e la vittima. Quest’ultima soluzione, in particolare, potrebbe avere il beneficio di mettere il reo davanti all’entità concreta del danno arrecato: ciò genererebbe consapevolezza e potrebbe diminuire i casi di recidiva. Inoltre, il fatto che la vittima sappia della condanna del colpevole aumenterebbe la fiducia nel nostro sistema della giustizia. Ma approfittando della presenza del ministro, come non parlare di un tema così attuale come le riforme SEGUE PAGINA 18 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 17 costituzionali? Orlando non si tira certo indietro: l’Italia è finalmente un Paese che si muove dopo tanto immobilismo. A suo parere, le riforme oggetto del referendum che si terrà in autunno andrebbero spiegate nel merito, in modo che gli elettori le abbiano chiare in mente e votino con cognizione di causa. Il rischio che si potrebbe correre se queste riforme non dovessero essere approvate sarebbe una caduta verticale nella fiducia verso le istituzioni, che genererebbe scenari problematici. Per il ministro, il referendum del prossimo autunno non dovrebbe rappresentare un voto pro o contro il capo del Governo, ma si deve fare lo sforzo di concentrarsi sul merito delle riforme. Una replica sorge spontanea: non è stato forse Renzi stesso a dichiarare, più volte e con toni molti chiari, di lasciare il suo incarico in caso di esito negativo? L’auspicio del ministro, se letto alla luce di questa dichiarazione, risulta quantomeno singolare. Ma secondo Orlando la famosa frase di Renzi “se perdo me ne vado” è solo dettato dalla consapevolezza di chi ha preso un impegno e lo vive con realismo. Restando sul tema del nostro scalpitante presidente del Consiglio, è stato chiesto al ministro che cosa manca a Renzi per essere un grande? Pur ricordando di non aver votato per Renzi al Congresso del PD, Orlando ha posto l’accento sulle azioni di Renzi, rifiutando l’accusa che si segua un’agenda di destra: se confrontati con le misure prese da altri leader euro- pei, le decisioni di Renzi in termini di immigrazione, politica estera, flessibilità del lavoro, non possono essere definite di destra. Può darsi che sia stato il panorama europeo a cambiare, ma in ogni caso, secondo Orlando, siamo sulla strada giusta. Ciò detto, forse non sono tutte rose e fiori: il linguaggio del partito è cambiato e questa novità sembra disorientare molte persone. Il partito pare disorganizzato, soprattutto data la mancanza di luoghi dove poter condurre dibattiti interni. Ci si affida forse troppo ai social media, e il risultato è un’atomizzazione della politica che rende più difficile la costruzione di un comune sentire. A volte, le campagne elettorali sono effettuate dai singoli, con lo scopo di garantirsi le preferenze e la visione di partito passa troppo spesso in secondo piano. Orlando auspica un’evoluzione della forma-partito, soprattutto ora che la Rete ha cambiato le carte in tavola. Si parla dell’esempio di Napoli: il ministro non invoca un commissariamento del partito, ma auspica la partecipazione dei cittadini, non solamente con le primarie. La speranza sarebbe quella di creare nuove piattaforme per stimolare un dibattito politico. In questo contesto, i circoli dovrebbero essere una fucina di idee, senza limitarsi solamente alla discussione di idee già viste sui giornali. L’incontro è stato partecipato e molto apprezzato, alcuni dei presenti, forse stanchi di sentire le solite dichiarazioni di certi esponenti del PD, spesso smaccatamente “pro” o “contro” la politica del partito, sono stati colpiti da questo uomo politico non solo capace di vedere sia i pregi che i limiti del gruppo dirigente, ma anche di indicare una strada per migliorare le cose in modo costruttivo. Speriamo di averlo presto nuovamente nostro ospite in occasione della sua prossima visita dalle nostre parti. di Jacopo Coletto, circolo PD New York 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Chernobyl trent’anni dopo Ricordi e speranze del più grande disastro nucleare della storia ANALISI E COMMENTI CONO GIARDULLO* A fine aprile, mentre l’Italia celebrava i 30 anni dell’Internet day, ossia la prima connessione del nostro paese in rete, in Ucraina si ricordavano i morti, ma soprattutto si rivangavano le polemiche di quello che è stato il più grande disastro nucleare della storia umana. Il 26 aprile 1986, un errore umano, dovuto anche a falle tecniche di progettazione della centrale, scatenò un massiccio sovraccarico energetico che condusse a una serie di esplosioni nel quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl, nell’allora repubblica sovietica di Ucraina. L’incidente produsse nell’immediato trenta morti, ma costrinse all’evacuazione di oltre 200mila persone, mentre le autorità sovietiche stabilivano una “zona di esclusione”, dunque inabitabile, grande quanto tutto il Lussemburgo e che si estendeva con un raggio di 30 km intorno alla centrale. Lo scoppio provocò la fusione del nocciolo del reattore, scarsamente protetto, e l’esplosione (non nucleare) del reattore stesso e il rilascio nell’ambiente di ingenti quantità di materiale radioattivo. Le due esplosioni produssero una pioggia di detriti fortemente radioattivi, mentre la nube radioattiva cominciò a diffondersi nei cieli di tutta Europa. L’incidente fu classificato al livello 7°, il più alto della scala INES, la classificazione internazionale che definisce la gravità degli incidenti di tipo nucleare o radiologico, sviluppata dall’agenzia internazionale per l’energia atomica. Tale primato è stato raggiunto solo dall’incidente di Fukushima in Giappone nel 2011, ma che risultò nello sversamento di una minore quantità di materiale radioattivo. I ritardi sovietici e i divieti sanitari in Italia Secondo l’ex leader sovietico Mikhail Gorbachev, la tragedia di Chernobyl rappresenta uno dei principali colpi mortali inferti alla decadente Unione Sovietica. In effetti, l’incidente fu gestito particolarmente male dalle autorità di Mosca, che lanciarono l’ordine di evacuazione soltanto 36 ore dopo lo scoppio del reattore, pertanto ne fu sottolineata l’irresponsabilità nella gestione dell’emergenza, compresa la negligenza nel diramare l’allarme. Anche a Roma, una settimana più tardi, migliaia di persone definitesi gli “Amici della Terra” manifestarono dinanzi l’ambasciata sovietica di Roma, indossando maschere e guanti di plastica e protestando con cartelli contro l’atomo e la disinformazione circolante in Unione Sovietica. Gran parte delle ammissioni sovietiche avvenne solo in seguito a ripetute pressioni diplomatiche. Nei paesi scandinavi, infatti, fin dal 26 aprile furono registrati elevati livelli di radioattività nell’atmosfera. Il primo flash dell’agenzia TASS fu rilasciato alle ore 21 del 28 aprile da parte “del consiglio dei ministri dell’URSS”. L’agenzia del Cremlino annunciava: “Un incidente si è prodotto nella centrale nucleare di Chernobyl, uno dei reattori atomici è rimasto danneggiato, vengono prese misure per liquidare le conseguenze del guasto, ai colpiti viene prestato aiuto, è stata costituita una commissione d’inchiesta governativa”. Già il riconoscimento di “colpiti” e la formazione di una commissione d’inchiesta lasciavano presagire la gravità della situazione. Gli eroi di questa tragedia furono i cosiddetti “liquidatori”, ossia i circa 600mila civili e soldati sovietici che furono radunati attraverso tutto il territorio sovietico per eliminare gli effetti dell’incidente, e che lavorarono nel sito a fasi alterne fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nel 1991, il Parlamento ucraino votò una legge che diede diritto ad alcuni benefici economici e a pensioni speciali per i liquidatori, come riparazione per il tempo trascorso nella “zona di esclusione” e le malattie contratte. Nel frattempo, in Italia la notizia fu riportata dai maggiori quotidiani solo il 29 aprile. I giornalisti, al pari del governo, rimasero in bilico tra l’assunzione di un atteggiamento catastrofista e i richiami alla calma. Si comprese subito che la nube radioattiva avrebbe sorvolato i cieli di mezza Europa, compresi quelli italiani. Il Ministro della Sanità, il 2 maggio impose il divieto di vendita per 15 giorni delle “verdure a foglia” (insalata, spinaci, ecc.) e vietò la somministrazione di latte fresco ai bambini al di sotto dei dieci anni di età e alle donne in stato di gravidanza. Altri divieti del “decalogo” di quei giorni prevedevano di non bere acqua piovana o di non far pascolare il bestiame nei campi. Molti italiani, però, vennero confusi dal successivo annuncio del ministro che mutò i divieti in semplici suggerimenti, per allinearsi agli annunci meno catastrofisti rilasciati dal ministro della Protezione civile. La disputa sui divieti terminò solo con l’annunciò televisivo, il 24 magSEGUE PAGINA 18 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 19 gio, da parte del Presidente del Consiglio Craxi che comunicò al paese di poter tornare a consumare tutti gli alimenti in maniera regolare. A distanza di trent’anni, come l’Ucraina fronteggia la tragedia? Davanti al memoriale agli eroi di Chernobyl a Kiev, le più alte cariche dello Stato hanno deposto dei fiori il 26 aprile scorso. L’Ucraina ha deciso di togliere il segreto di Stato da 49 documenti secretati, in cui si sottolinea l’impreparazione delle autorità sovietiche a far fronte a tale tipo di incidente. Nei trent’anni trascorsi, si sono succedute numerose inchieste di esperti indipendenti nell’area contaminata da Chernobyl. Citando solo le fonti più autorevoli, le Nazioni Unite fissano il bilancio delle vittime a circa 4mila. Altri esperti stimano che i decessi legati in qualche modo allo scoppio possano aggirarsi entro i 30 e i 60mila, mentre Greenpeace parla addirittura di 90mila vittime. Un altro grave problema è quello dei nuovi nati nella zona ad alto rischio, che soffrono quasi tutti di patologie alla tiroide, problemi cardiovascolari o all’apparato digerente. Nonostante gli effetti devastanti, e la grande eco internazionale suscitata, il terzo reattore della centrale ucraina fu chiuso solo nel 2000, a seguito di consistenti pressioni della comunità internazionale. In Ucraina rimangono attive 15 centrali nucleari, per fortuna nessuna vicino alle regioni in conflitto del Donbass, nell’est del paese. Ma Chernobyl, si è anche trasformata nel luna park degli orrori, dove ogni anno circa 10mila turisti usufruiscono dei servizi di tour operator locali per un tuffo nel passato nei luoghi spettrali intorno alla centrale. In mezzo a tanta tragedia, però, l’impegno della comunità internazionale è stato esemplare. Il G7 del 1997 creò il Fondo di Protezione di Chernobyl (Chernobyl Shelter Fund) che oggi raccoglie sotto l’amministrazione della Banca europea di ricostruzione e sviluppo circa 2,5 miliardi di euro, frutto delle donazioni di 45 paesi, tra cui l’Italia. Il progetto senza dubbio più celebre del Fondo è il gigantesco sarcofago rivestito d’acciaio (New Safe Confinement), costato finora 1,5 miliardi di euro e che racchiuderà il sito del reattore esploso ed eviterà ulteriori fuoriuscite di materiale radioattivo per i prossimi 100 anni. Questa mastodontica opera di ingegneria, che sta venendo alla luce direttamente sul sito dell’incidente, utilizza materiali trasportati dall’Italia e poi assemblati dalle società appaltatrici locali sotto la supervisione delle aziende francesi Bouygues e Vinci. Inoltre, il fondo in futuro sarà utilizzato anche per il possibile smantellamento della struttura contaminata. Numerose conferenze si sono succedute per sostenere tali iniziative, l’ultima delle quali si è tenuta a Londra nel 2015. Un mondo senza rischi legati all’uso dell’energia nucleare è forse ancora un miraggio, ma il messaggio di speranza più bello e forse anche l’unico di questa tragedia è proprio l’impegno profuso dalla comunità internazionale nell’assistere l’Ucraina in uno sforzo economico e tecnologico che nessun paese avrebbe potuto affrontare da solo, per un futuro degno delle aspettative delle generazioni venture. * Esperto OSCE: Organization for Security and Co-operation in Europe 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Migration compact: proposte che guardano lontano Luci e ombre del documento presentato dall’Italia all’Unione Europea ANALISI E COMMENTI ROBERTO SERRA* Il Migration Compact è il documento “non-ufficiale” (non-paper) presentato il 15 aprile 2016 dal Governo italiano all’Unione Europea. Più precisamente indirizzato al Presidente della Commissione Europea Juncker, al Presidente di turno del Consiglio dell’UE, l’olandese Rutte e al Presidente del Consiglio Europeo Tusk. Da un punto di vista della forma, il documento ha un impianto leggero, fruibile e persino didascalico: inizia con una introduzione circa il grande fenomeno migratorio di questi giorni; propone un beve passaggio su ciò che l’UE ha già fatto per fronteggiare e gestire questo fenomeno indicando anche alcuni limiti circa ciò che è stato fatto (Lessons learned), per poi passare al paragrafo 3. E’ questa la parte più squisitamente propositiva che è suddivisa in: a) ciò che l’UE potrebbe offrire (The EU may offer); b) ciò che l’UE potrebbe chiedere ai paesi terzi coinvolti nella gestione dei flussi migratori (The EU may ask) e c) come finanziare le misure proposte. Il documento, infine, si chiude con un postilla dedicata specificamente alla Libia. Il Migration Compact, a mio avviso, ha tre meriti principali. Il primo è quello di essere un documento di respiro veramente europeo e transnazionale. L’analisi del fenomeno migratorio, l’individuazione di specifiche e forti criticità e le proposte avanzate sono inserite in una prospettiva squisitamente europea. Non si parla di Italia o di interessi italiani. Il Governo, nella presentazione del documento, si è collocato in quella dimensione sovra-nazionale ed europea che spesso viene evocata dagli europeisti più convinti perché troppo assente nell’Europa degli egoismi nazionali. L’assunzione di questa prospettiva conduce inevitabilmente ad assumere una prospettiva e ad avanzare proposte globali. Ed è appunto il caso del Migration Compact. Per cui si chiede all’Europa di essere attore unitario su di uno scenario mondiale, con una visione strategica globale e transnazionale. Tutto questo costituisce, nel quadro del dibattito europeo, un innegabile salto di qualità. L’altro merito è l’aver chiaramente detto che se non assumiamo finalmente una nuova prospettiva e una nuova coscienza sull’Africa e sui grandi rivolgimenti di questo continente, non ne usciremo più. Come ben specificato nella breve introduzione, il fe- nomeno migratorio è destinato a durare decenni. Tale fenomeno trova le sue origini principalmente in Africa e, in particolare, in situazioni altamente critiche come quelle della Libia, della Nigeria, del Corno d’Africa e del Darfur. Guerre, carestie, cambiamenti climatici, povertà diffusa e cronica spingono le persone residenti in queste aree ad andarsene e a migrare verso il Vecchio Continente. Un terzo merito del Migration Compact è quello di essere un documento che prova a guardare lontano. Sia nella sua parte analitica che in quella propositiva, si invita l’Europa ad assumere strategie di medio e lungo termine, anziché ripiegare su soluzioni, spesso tra loro disarmoniche, tese a gestire il presente e l’emergenza. Il documento suggerisce, al contrario, di adottare strategie tese a gestire il futuro per rendere il fenomeno migratorio una opportunità di cambiamento e sviluppo per l’Europa stessa, e non solo un problema. Il documento tuttavia presenta anche alcuni limiti. Nel passaggio, estremamente interessante e suggestivo, che fa riferimento alla necessità di mappare i possibili stati terzi con cui avviare le forme di cooperazione necessaria a co-gestire i flussi migratori, non viene fatto alcun cenno alle situazioni politiche e alla qualità della democrazia di quei paesi. Collaborare con paesi dove non vengono applicati gli standard minimi di rispetto dei diritti umani potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Coloro – individui e organizzazioni – che in quei paesi lottano per una maggiore libertà, contro la corruzione e per una maggiore umanizzazione della dimensione sociale e politica, potrebbero vedere nell’Europa un nemico indiretto in quanto partner del governo in carica. Un altro limite è la genericità della proposta che, paradossalmente, potrebbe apparire la più concreta dell’intero documento. E cioè l’emissione di obbligazioni europee (Euro-bonds) per finanziare i costi delle proposte. Questo passaggio è ben al di là dall’essere chiaro: quando si menzionano gli “EU-Africa bonds” non si chiarisce chi e come, in Europa, fornirà le garanzie necessarie. Si legge solo un breve e generico passaggio sulle sinergia con la BEI (Banca Europea per gli InSEGUE PAGINA 22 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 21 vestimenti) e “altre organizzazioni finanziarie europee e internazionali”. Circa gli Euro-bonds – concetto chiaro a tutti - non viene però chiarito quale o quali sono i soggetti emettitori dei titoli. Il dato certo è che l’emissione di obbligazioni comporta, di per sé, un accrescimento del debito pubblico. In questo caso del debito pubblico europeo preso nel suo insieme. Se, da un lato, è pienamente europeo proporre l’emissione di obbligazioni europee (e non nazionali), dall’altro lato sappiamo che, per come è conformata oggi l’UE e il suo bilancio, tale proposta non è attuabile. Non parliamo, poi, della totale assenza, nelle quattro pagine del documento, di qualsiasi cifra (pur approssimativa) e budget. A mio avviso, i tedeschi e la loro riluttanza a questa misura c’entrano fino ad un certo punto. Infine un ultimo limite, è che il documento è troppo istituzionale e poco o nulla non-governativo. Siamo tutti d’accordo sul fatto che sono anzitutto i governi, le istituzioni europee e i governi dei paesi terzi ad es- sere chiamati in causa circa la gestione dei flussi umani. Ma c’è un universo di ONG, di volontari, di associazioni di volontariato che da anni operano – spesso nelle situazioni più difficili e di trincea – per umanizzare e, in qualche modo, contenere il fenomeno migratorio. Strano che non si faccia alcun cenno ai tanti cittadini europei che da “eroi silenziosi” operano con e accanto alle persone che emigrano, ai loro bisogni, alle loro richieste. In Europa come nei paesi di provenienza. L’Europa, intesa come soggetto unico chiamata a fronteggiare un fenomeno gobale come quello dello spostamento di grandi flussi umani, è composta anche da loro e dal loro quotidiano lavoro. E dal loro esempio umano. *PD Lussemburgo 123456789101112131415161718192021222324252627282930 NEWSNEWSNEWSNEWS mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO OTTIMI RISULTATI PER l’AGROALIMENTARE ITALIANO ALL’ESTERO L’Italia nel 2015 ha raggiunto il record storico delle esportazioni agroalimentari con un giro d’affari di 36,8 miliardi, un valore che è praticamente raddoppiato negli ultimi dieci anni (+74%). A trainare il fenomeno, secondo un rapporto della Coldiretti, è stato soprattutto il vino che fa registrare un aumento dell’80 per cento nel decennio per raggiungere nel 2015 un valore delle esportazioni di 5,4 miliardi che lo colloca al primo posto tra i prodotti della tavola Made in Italy all’estero. Al secondo posto si posiziona l’ortofrutta fresca con un valore stimato in 4,4 miliardi nel 2015, ma con una crescita ridotta e pari al 55%, mentre al terzo posto sul podio sale la pasta che raggiunge i 2,4 miliardi per effetto di una crescita del 82% nel decennio. Nella top five ci sono anche i formaggi che hanno raggiunto un export stimato a 2,3 miliardi con un balzo del 95% in dieci anni, mentre la classica “pummarola” fa salire la voce pomodori trasformati a 1,5 miliardi (+88% nel decennio). A determinare l’ottima performance dell’agroalimentare italiano sono stati anche l’olio di oliva e i salumi. Circa un prodotto alimentare italiano esportato su cinque è “Doc” con il valore delle esportazioni realizzato grazie a specialità a denominazione di origine. miliardi di euro.Seguono il tessile-abbigliamentocalzature con 17,6 miliardi, i prodotti in metallo (imballaggi leggeri, fili metallici, catene, molle, bulloneria, bidoni, contenitori in acciaio, etc.) con 11,1 miliardi, i mobili con 7,2 miliardi, gli apparecchi elettrici (lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, lavasciuga, congelatori, accumulatori elettrici, apparecchiature di cablaggio, batterie di pile, generatori, etc.) con 6,5 miliardi e altri materiali non metalliferi (vetro, porcellana, ceramica, refrattari, cemento, etc.) con 6,4 miliardi di euro. Il made in Italy è ancora prodotto prevalentemente dalle piccole e medie imprese italiane che, grazie alla flessibilità, all’elevata specializzazione produttiva, alla cultura del buon gusto e del saper fare hanno conquistato il mondo in settori, come quello delle macchine, dove la ricerca, l’innovazione e la qualità del ciclo produttivo sono requisiti indispensabili per competere sul mercato. Quali sono i Paesi in cui sono più apprezzati i prodotti made in Italy? Il nostro principale partner commerciale è la Germania, con merci esportati per un valore di 30,3 miliardi di euro. Seguono la Francia (27,7 miliardi), gli Stati Uniti (24,6 miliardi), il Regno Unito (14,8 miliardi), la Spagna (11,2 miliardi) e la Svizzera (11 miliardi di euro). Si segnalano infine aumenti di vendita molto significativi negli Emirati Arabi (+15,4 per cento), negli Stati Uniti (+15,2 per cento) e in Spagna (+10 per cento). VOLA IL MADE IN ITALY NEL MONDO: 122 MLD DI EURO IL SALDO COMMERCIALE DEL 2015 VACANZE: PER GLI ITALIANI FORMENTERA AL TOP DELLE PREFERENZE Il saldo commerciale del 2015 dei prodotti “made in Italy“ è stato di ben 122,4 miliardi di euro. A riferirlo è la CGIA di Mestre che parla di un vero e proprio successo delle nostre specializzazioni produttive nel mondo che sono costituite soprattutto da quattro grandi aree merceologiche: l’automazione meccanica, l’abbigliamento-moda, l’arredo-casa e l’alimentare-bevande. Un risultato, quello del 2015, comunque in linea con gli esiti toccati negli ultimi anni. Se nel 2009 il saldo positivo era sceso a 88,4 miliardi, da quel momento in poi si sono registrati solo numeri positivi per arrivare al picco massimo nel 2015, con 122,4 miliardi di euro. Negativo, invece, il punteggio ottenuto da altri prodotti: computer, chimica- farmaceutica, prodotti metallurgici, tabacco e legno-carta hanno riportato tutti un saldo negativo. Dall’analisi dei singoli comparti manifatturieri del made in Italy emerge lo straordinario risultato ottenuto dai macchinari (motori, turbine, pompe, compressori, rubinetteria, utensili, apparecchi da sollevamento, forni, bruciatori, etc.). Nel 2015 il saldo commerciale è stato positivo e pari a 49,8 TripAdvisor nel suo Summer Vacation Value Report 2016, ha svelando la top 10 delle destinazioni estive per i viaggiatori italiani in base all’interesse di prenotazione e i costi medi per una settimana di soggiorno. Se l’anno scorso era Londra la destinazione più ricercata per le vacanze estive dai viaggiatori italiani, quest’anno al top delle preferenze sale Formentera. Il fascino dell’isola delle Baleari supera così grandi città come Londra (quest’anno al quinto posto), New York che ottiene la seconda posizione e Roma che, si attesta in sesta posizione. Sono sei le destinazioni marittime ambite: San Vito Lo Capo, Villasimius , Gallipoli, San Teodoro, Barcellona e Porto Cesareo. Un altro trend che emerge dalla classifica delle mete più ricercate per l’estate è che gli italiani sognano l’Italia: tra le 10 destinazioni che compongono la classifica ben 6 infatti sono italiane. Per quanto riguarda i costi, sul podio delle località con il prezzo medio più basso troviamo Roma (Euro 1.415), seguita da Barcellona (Euro 1.536) e San Vito Lo Capo (Euro 1.575). 123456789101112131415161718192021222324252627282930 NEWSNEWSNEWSNEWS mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO CARLO CALENDA TORNA AL MISE DA MINISTRO “AL RIPARO DALLA TEMPESTA”: RAPPORTO UNFPA 2015 È durato meno di due mesi l’incarico europeo di Carlo Calenda, ambasciatore italiano all’Ue dal 21 marzo scorso, da oggi ufficialmente alla guida del Ministero per lo Sviluppo Economico al posto lasciato vuoto da Federica Guidi. Romano, classe 1973, quattro figli, Calenda è figlio dell’economista Fabio Calenda e della regista Cristina Comencini. Laureato in Giurisprudenza, Calenda è stato confermato da Renzi al Mise, visto che era già stato Viceministro dello Sviluppo Economico nel Governo Letta, da maggio 2013 a febbraio 2014. Fino a giugno 2011 ha ricoperto l’incarico di direttore generale di Interporto Campano. Dal 2004 al 2008 è stato prima Assistente del Presidente di Confindustria, con delega agli Affari Internazionali, e poi Direttore dell’Area Strategica Affari Internazionali. Durante il suo mandato ha seguito lo sviluppo e l’implementazione di missioni internazionali, incontri istituzionali e attività di business tra imprese. Ha lavorato sui principali dossier relativi al commercio e agli investimenti internazionali. Ha condotto numerose delegazioni di imprenditori all’estero e sviluppato azioni di penetrazione economica nei principali mercati mondiali, tra cui India, Cina, Brasile, Russia, Emirati Arabi Uniti,Tailandia, Kazakhstan, Serbia, Romania, Bulgaria, Egitto, Turchia, Algeria, Tunisia, Marocco, Israele, Sudafrica, Messico. Prima di assumere l’incarico in Confindustria è stato responsabile marketing di prodotto e programmazione per Sky Italia, responsabile relazione con le istituzioni finanziarie e responsabile Customer Relationship Management della Ferrari. Nel maggio 2013 nominato membro del Consiglio dei Ministri Italiano, in qualità di Vice Ministro con delega alle politiche di internazionalizzazione e al commercio internazionale. Nel febbraio 2014 confermato nell’attuale esecutivo come Vice Ministro, responsabile delle politiche per il commercio internazionale e la promozione degli scambi presso il Ministero dello Sviluppo Economico, con un vasto portfolio, che ha incluso la politica commerciale UE, le relazioni commerciali multilaterali in ambito WTO, nonché le questioni legate agli scambi discusse in sede OCSE e G20, le relazioni commerciali bilaterali dell’Italia, la finanza e il credito per l’export e il supporto agli investimenti all’estero. Incaricato, inoltre, delle politiche per l’attrazione degli investimenti esteri con poteri di indirizzo sull’ICE, l’Agenzia pubblica per la promozione del commercio e degli investimenti. A partire dal 21 marzo 2016, è stato nominato Ambasciatore, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’Unione Europea, incarico che ora lascia per tornare a Roma. 60 milioni di rifugiati e sfollati, 200 milioni di persone ogni anno coinvolte nelle conseguenze di una catastrofe naturale. Sono il popolo di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, dittature, persecuzioni politiche e religiose, disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici. Questi i dati dell’ultimo Rapporto UNFPA (United Nations Population Fund) “Al riparo dalla tempesta”, presentato al CNR di Roma. Sono oltre 100 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria attualmente nel mondo, di queste circa 26 milioni sono donne e ragazze. Mai, dalla seconda guerra mondiale, si era raggiunta una cifra così alta. Tra i rifugiati circa un terzo vive nei campi, due su tre nelle aree urbane, 1 miliardo di persone (14% della popolazione mondiale) vive in aree coinvolte in un conflitto. L’Europa, e l’Italia in particolare, sono in prima linea nel difficile impegno dell’accoglienza di rifugiati e migranti provenienti dalla Siria, dall’Africa e dal Medio Oriente attraverso le rotte mediterranee. Notiziario del Partito Democratico per gli italiani all’estero Redazione Eugenio Marino, Alessandra Cattoi, Alessandra Fabrizio Alfredo Orlando, Silvana Mangione, Carla Ciarlantini Roberto Serra Progetto grafico e impaginazione Silvio Garbini mail: [email protected] 123456789101112131415161718192021222324252627282930