Riflessioni e testimonianze sulle seconde generazioni. Una
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Riflessioni e testimonianze sulle seconde generazioni. Una
ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE regione conciliare piemontese Torino Riflessioni e testimonianze sulle seconde generazioni. Una sfida per tutti! Professore Prof. Fredo Olivero Corso “Lavoro pastorale e sociale con gli immigrati” Studente Giuseppe Cocco matricola n. 1580 anno accademico 2009 - 2010 2. 1. Introduzione Il corso che abbiamo seguito lo scorso autunno, è stato molto interessante e stimolante, e ci ha messo nella condizioni di riflettere in profondità, mettendo in evidenza la necessità di intraprendere nuove strade e percorsi innovativi che ci aiutino a ripensare e ad agire in modo serio tutti quanti, in vista della costruzione di una società nuova all’interno di un contesto sociale in continua evoluzione. I fatti e gli avvenimenti di questi giorni, poi, hanno messo a nudo i limiti delle istituzioni del nostro paese e l’indifferenza delle persone di fronte allo sfruttamento, all’ingiustizia, e al disagio di molti immigrati che vivono in condizioni inumane nelle nostre città. In modo particolare mi sono interessato delle problematiche dei giovani, delle seconde generazioni di immigrati. Come insegnante, pur avendo intrapreso questo cammino da solo due anni, il confronto con le problematiche dei giovani stranieri è continuo, e le fatiche che percepiamo negli studenti e nelle loro famiglie, ed anche nella scuola globalmente intesa, sono tante. La sfida che abbiamo di fronte è radicale, ovvero va alla radice del nostro essere insegnanti e cittadini e necessita di comprensione reale e di capacità di mettere in essere relazioni diverse e pratiche nuove nel nostro modo di insegnare e di vivere. Ho pensato di fare questo lavoro sulle seconde generazioni perché ho pensato che fosse utile ed interessante approfondire un tema che sento molto vicino per la professione che sto svolgendo e per la passione con cui da sempre mi sono avvicinato al mondo dei giovani. Nella realizzazione di questo lavoro ho voluto soprattutto raccogliere elementi di analisi presi da studi e da ricerche realizzate da esperti che da anni si occupano di questi temi, ed in particolare mi è sembrato interessante inserire nell’analisi storie e testimonianze di giovani immigrati di seconda generazione che si raccontano a 360 gradi sulla rivista Communitas. Questo breve lavoro quindi non ha la pretesa di essere un testo scientifico o sociologico, né tantomeno ha la pretesa di aggiungere nuovi elementi alle riflessioni attuali di studiosi competenti ed esperti sul tema, ma vuole semplicemente evidenziare alcuni momenti significativi del processo di costruzione di una nuova “cultura”, raccogliendo in primo luogo gli stimoli e le riflessioni di giovani musulmani di seconda generazione, che si raccontano e che ci mettono di fronte alla complessità ed alla ricchezza del faticoso cammino di integrazione che ci accompagna tutti verso una società nuova. Questo cammino si scontra con tutti i limiti e le resistenze poste da una società italiana, la nostra, spesso chiusa ed incapace di comprendere il nuovo, spesso caratterizza dalla paura del 2 cambiamento e da atteggiamenti di intolleranza e di razzismo più o meno velato, situazioni che rendono più difficile il progredire, ma occorre guardare al futuro con coraggio e fiducia cogliendo quanto di positivo esiste. 1.1 Le seconde generazioni Con l’espressione “seconde generazioni” si intende indicare l’universo dei minori figli di stranieri nati in Italia o giunti nel nostro paese nei primi anni di vita. Provare a definire in senso stretto chi siano i giovani di origine immigrata in Italia non è cosa semplice, molte definizioni sono state usate da chi si occupa di questo tema in questi ultimi anni: minori stranieri, alunni immigrati, giovani di origine immigrata, studenti di gruppi etnici minoritari, seconde generazioni. Tutte queste definizioni appaiono sempre ed in ogni caso parziali e riduttive, in quanto semplificano il concetto profondo di nuova identità riconducendolo banalmente ad un’origine geografica, sociale e/o culturale. Confluiscono pertanto in questa categoria concettuale casi assai diversi, che spaziano dai bambini nati e cresciuti nella società del nostro paese, agli adolescenti ricongiunti dopo aver già compiuto un ampio processo di socializzazione nel proprio paese d'origine, o ancora a situazioni di bambini giunti nel nostro paese durante i primi anni di vita. Complicano il quadro situazioni come quelle dei figli di coppia mista e dei piccoli nomadi, che nel sistema scolastico vengono generalmente equiparati ai minori di origine straniera, in quanto classificati come portatori di eterogeneità culturale. Possiamo comunque affermare in senso generale che si tratta di una nuova tipologia di giovani e di cittadini che, a differenza delle prime generazioni di migranti, matura nuove aspettative nei confronti della famiglia d’origine, ma anche della società in cui oggi vivono. Ci troviamo di fronte a nuovi modi di vita, a nuove competenze, e ad un insieme di valori nuovi, anche se a volte simili a quelli della cultura di provenienza, ma comunque di fronte a persone che presentano tuttavia specificità e problematiche proprie. Essere giovani di seconda generazione significa comunque innanzitutto”essere giovani” con tutto ciò che questo significa e comporta oggi nella nostra società post moderna. In questo senso mi pare molto interessante l’intervento fatto dal Prof Charmet durante un convegno realizzato recentemente a Torino: “Uno dei libri che è andato per la maggiore negli ultimi 10 anni è Non lo riconosco più che parla proprio di come l’adolescente sia 3 diventato straniero. Si sta riscontrando una volontà precisa degli adolescenti che sempre più precocemente, decidono di parlare addirittura una lingua diversa dalla lingua madre, come se il loro processo di separazione dalla madre avvenisse proprio a livello linguistico; la lingua madre, che è presente nella mente del bambino, viene sostituita da uno slang generazionale che è adatto per una specie di lingua segreta nei caratteri, nei neologismi di semplificazione che servono sia per la scrittura elettronica ma anche per la comunicazione verbale e non è facilmente comprensibile a chi non è abituato ed anzi obbliga gli educatori ad uno sforzo perenne di aggiornamento per indovinare il significato dei nuovi modi di gestire il tempo, l'apprendimento, i valori, la corporeità, l'amore, la passione, il futuro, ecc. Resta il fatto che ci sono ragazzi stranieri che lo sono proprio per statuto perché vengono da molto lontano oppure sono nati da una famiglia che non è italiana la quale ha già compiuto un percorso verso l'integrazione, ragazzi che sono già nati in Italia, ma che appartengono ad un etnia diversa da quella italiana e quindi hanno problemi di integrazione. Agli stranieri culturali si aggiungono quindi gli stranieri delle diverse etnie. I ragazzi inseriscono nei loro comportamenti, nella loro vita relazionale, nella loro vita di gruppo, nell'attualità di relazione che hanno con le regole, con l'autorità, col futuro, col corpo, con la coppia... tutta una serie di novità generazionali che li portano a diventare stranieri in famiglia e a scuola.”1. Da quanto emerge dagli studi recenti e dalle ricerche realizzate in Italia in luoghi ed in contesti differenti, è evidente che l’evoluzione del percorso di integrazione sociale, economica e culturale de cittadini immigrati è volto sempre più verso la ricerca della stabilità, che si esprime attraverso una crescente certezza occupazionale ed un aumento significavo dei ricongiungimenti familiari. Uno dei più importanti indicatori della tendenza alla stabilizzazione dei cittadini stranieri in Italia è sicuramente l’aumento della presenza dei minori di origine straniera, che nel 2009 risultano essere 862.453, con prospettive di incremento progressivo per i prossimi anni (Caritas Migrantes2009). Da questo dato significativo emerge dunque che secondo questa prospettiva ci troviamo di fronte un numero sempre maggiore e significativo di giovani che portano all’interno della società italiana nuove aspettative e nuovi valori, che sono propri della loro specificità. Essere giovani di “seconda generazione” significa essere consapevoli di aver di fronte a sé una sfida importante e decisiva, fondamentale per la costruzione di una società nuova sia dal 1 Gustavo Pietropolli Charmet, intervento in Gli adolescenti stranieri: a casa e a scuola? Incontro promosso dall’associazione Il nostro Pianeta nel contesto del progetto Orientamento e successo formativo, 2009 4 punto di vista identitario che culturale. Questi giovani condividono con i coetanei italiani comportamenti, gusti, consumi, ideali, sogni ed incertezze esistenziali. Differenze si riscontrano, invece, nel percorso scolastico, a causa di problemi di ritardo, di dispersione scolastica, di insuccesso, specialmente nella scuola secondaria superiore: una delle sfide che dobbiamo raccogliere noi insegnanti è quella di trovare gli strumenti ed i percorsi formativi adeguati per ridurre questo svantaggio. 1.2 Alcuni dati dal dossier della Caritas Migranti Secondo quanto emerge dall’ultimo rapporto della Caritas Migrantes, oggi in Italia “1 abitante su 14 è di cittadinanza straniera. L’incidenza è maggiore tra i minori ed i giovani adulti (18-44 anni), con conseguente maggiore visibilità nel mondo della scuola e nel mercato del lavoro. Più di un quinto della popolazione straniera è costituito da minori (862.453) ed i nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un solo genitore straniero. Ad essi si sono aggiunti circa altri 40.000 minori venuti a seguito di ricongiungimento familiare. Tra nati in Italia e ricongiunti, il 2008 è stato l’anno in cui i minori, per la prima volta, sono aumentati di oltre 100 mila unità… Gli alunni figli di genitori stranieri, nell’anno scolastico 2008/2009, sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti, per un’incidenza del 7%. L’aumento annuale è stato di 54.800 unità, pari a circa il 10%. L’incidenza più elevata si registra nelle scuole elementari (8,3%) e, a livello regionale, in Emilia Romagna e in Umbria, dove viene superato il 12%, mentre si scende al 2% al Sud e nelle Isole. Di questi studenti, 1 ogni 6 è romeno, 1 ogni 7 è albanese e 1 ogni 8 è marocchino, ma si rileva, di fatto, una miriade di nazionalità, veramente un “mondo in classe”, come mettono in evidenza i progetti interculturali. Si tratta di alunni “stranieri” per modo di dire, perché quasi 4 su 10 (37%) sono nati in Italia e di questo Paese si considerano cittadini; e il rapporto sale a ben 7 su 10 tra gli iscritti alla scuola dell’infanzia. Per costoro la lingua, spesso invocata come motivo di separazione, non costituisce un ostacolo; e così potrebbe essere anche per i ragazzi ricongiunti nel corso dell’anno, a condizione di potenziare le misure di sostegno per l’apprendimento dell’italiano.”2 2 CARITAS MIGRANTES, Immigrazione dossier statistico 2009, XIX rapporto sull’immigrazione, Roma, 2009 5 I dati che emergono dunque dal rapporto annuale della Caritas ci fotografano una realtà di fronte alla quale non possiamo chiudere gli occhi. Siamo di fronte ad un cambiamento profondo della nostra società, una società in cui il fato migratorio nel suo complesso è diventato un processo di trasformazione e quindi occorre interrogarsi sulla necessità di attivare delle politiche capaci di cogliere il cambiamento e di garantire diritti di cittadinanza a tutti ed in uguale misura. 3. Identità plurali 2.1 Sospesi tra due mondi Leggendo quanto afferma si in uno studio datato, ma ancora abbastanza attuale dell’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, “il minore immigrato, a volte nato nel paese di accoglienza oppure giunto in Italia in tenera età, viene spesso descritto come sospeso tra due mondi e due culture seppure egli non abbia propriamente una condizione precedente da cui estraniarsi o allontanarsi. Tuttavia, può essere considerato come facente parte della cultura di origine, privilegiando il senso della continuità ed il legame storico con il paese di provenienza dei genitori, oppure può essere assunto all’interno della cultura del paese ospite, privilegiando il momento presente e auspicando il buon esito di un processo che dovrebbe condurre alla definizione di una nuova appartenenza”.3 Cosa vuol dire sentirsi sospeso tra due mondi? Con quali categorie potremmo descrivere questo modo di essere, si sentire e di vivere? Tentare di fare sintesi non è semplice ed i percorsi individuali sono diversi l’uno dall’altro, ma mi pare significativo sentire come lo descrivono i giovani stessi raccontando le loro esperienze personali. Cosi racconta per esempio Nadra Ben Fadhel: “E’ agosto, sono al mare in Tunisia e ho 12 anni. Infilo pantaloncini e maglietta, esco di casa silenziosamente per non disturbare il sonnellino pomeridiano degli altri, saluto con ampi gesti affettuosi il vicino di casa della nonna e vado a comprarmi un gelato, per poi gustarlo passeggiando per le mie strade preferite. Definizione di un disastro: sciagura rovinosa di uno o più eventi che apportano 3 Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, da: "Migrazioni Scenari per XXI° secolo" Convegno Internazionale Roma, 12-14 Luglio 2000 - Agenzia romana per la preparazione del giubileo 6 danni irrecuperabili o recuperabili solo a lungo termine. La sequenza delle mie azioni aveva infranto, l’una dopo l’altra, almeno quattro regole basilari del buon costume locale. Ero ufficialmente l’elefante nella cristalleria di famiglia, ed avrei impiegato molto tempo a rimettere insieme i pezzi che mi servivano per dare un senso allo sconvolgimento che avevo causato, e che continuava ad echeggiare in me come fosse un tratto della mia personalità”.4 Il minore si trova spesso nella necessità di dover risolvere al più presto il complicato rapporto con il proprio passato e con il paese di origine, anche se è nato nel paese in cui si trova a vivere oggi. È un cammino pieno di difficoltà che comporta un insieme complesso e contraddittorio di problemi di ordine sociologico e psicologico: "La costruzione dell’identità etnica dei bambini e delle bambine straniere coinvolge soggetti che appartengono a mondi culturali ed etnici differenti. Ciò implica che, a differenza dei coetanei italiani, ai bambini stranieri o di origine straniera che vivono in Italia, non è concessa la possibilità di avere un’unica identità etnica, proprio perché comunque l’esperienza migratoria, sia diretta che indiretta (cioè esperita dai genitori) rappresenta per il minore un elemento di lacerazione identitaria”.5 Su questo aspetto mi sembra significativo quanto afferma Sumaya Abdel Qader, raccontando i suoi vissuti, in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre 2001. Sumaya osserva che: “Mass media e identità, due parole con due significati completamente diversi l’uno dall’altro, ma che formano insieme una frase completa che fa riflettere e che pone tante domande, in particolare a noi giovani italiani musulmani che viviamo in Occidente e ci sentiamo parte integrante di esso. A partire dall’11 settembre 2001, tutti i mezzi di informazione tendono a dare un’immagine negativa dei musulmani che vivono in Occidente, come se fossero quasi tutti dei presunti terroristi e fomentatori di odio. Oltre che ad alimentare l’islamofobia, i media inconsapevolmente contribuiscono ad aggravare la crisi d’identità delle prime generazioni di giovani musulmani che si sentono pienamente europei. Il problema dell’identità è un problema che accomuna la maggior parte di noi giovani, indipendentemente dalla religione o dalla cultura di appartenenza, figuriamoci un giovane musulmano nato o cresciuto in Italia… un forte disorientamento identitario che si può trasformare in un rigetto da parte del giovane verso la sua fede e le sue origini, o viceversa, cioè una chiusura a riccio in se stessi. Noi giovani musulmani siamo ogni volta costretti a dover dimostrare di sentirci di essere cittadini italiani, anche se siamo attaccati alla nostra 4 Nadra Ben Fadhel, in Communitas n° 29, novembre 2008, 83 Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, da: "Migrazioni Scenari per XXI° secolo" Convegno Internazionale Roma, 12-14 Luglio 2000 - Agenzia romana per la preparazione del giubileo 5 7 fede: sembra ormai inconcepibile che una ragazza che porta il velo si possa sentire italiana od europea a tutti gli effetti… Sono convinta che noi giovani musulmani abbiamo una grande responsabilità verso la nostra società e la maggior parte di noi è pronta e preparata a fare del proprio meglio.”6 Anche Imane Barmaki fa una riflessione interessante su questo aspetto: “La maggioranza degli immigrati arabi della prima generazione non pensa a costruirsi un futuro in Italia. Il periodo italiano, in effetti, viene considerato come una sorta di passaggio il ci scopo è quello di costruire una base economica e per sviluppare le competenze per avviare un’attività altrove, magari nel proprio Paese natale. Invece per gli italiani arabi di seconda generazione e per quei giovani immigrati giunti in Italia durante gli anni della loro infanzia o adolescenza, l’Italia è il loro Paese, la terra dove stanno crescendo, si stanno formando e dove vogliono stabilirsi per il resto della loro vita. Il conflitto nasce proprio in questa dinamica: gli adolescenti accettano e vivono gli stili di vita e la cultura italiana, mentre i genitori sono impegnai a mantenere le tradizioni del Paese d’origine (non sempre facili da accettare per noi giovani). La preoccupazione più sentita da parte di molti genitori è che un riuscito processo di integrazione i noi figli possa accentuare o causare il totale distacco o rifiuto della cultura araba e della religione. Una para nata dal fatto che, nel Paese d’origine la famiglia è molto numerosa ed i rapporti tra i vari componenti sono forti e molto solidali… E’ in questo strano meccanismo che noi giovani tendiamo a nascondere ai nostri genitori quello che facciamo, siamo reticenti ad esprimere tutte le nostre convinzioni, teniamo dentro di noi i nostri desideri, il tutto per evitare il conflitto. Per le ragazze però questo potenziale conflitto è un fattore positivo perché un motivo per eccellere nei nostri campi di competenza e riuscire ad emanciparci dal nucleo famigliare. Per quanto mi riguarda, non è affatto impossibile amalgamare le diverse culture, valori, i diversi punti di vista e mantenere un equilibrio tra tradizione ed innovazione che si soddisfacente per tutti.. Tuttavia ammetto che per i nostri genitori la sfida è complessa.”7 Questi ragazzi hanno dunque bisogno di “abitare” la cultura italiana, ma hanno anche la necessità di fare i conti con le proprie origini e con quelle dei loro genitori; nella crescita, nella costruzione di percorsi identitari, non si può saltare nessuno di questi due processi, altrimenti corrono il rischio di costruirsi delle identità fragili e particolarmente esposte. 6 7 Sumaya Abdel Qader, in Communitas n° 29, novembre 2008, 107-108 Imane Barmaki, in Communitas n° 29, novembre 2008, 42 8 Ciò non è assolutamente semplice, al contrario spesso il supporto degli adulti (genitori, scuola, istituzioni) è debole e quindi le risposte individuali di ciascuno sono le più svariate. Quando ci troviamo di fronte a situazioni di devianza minorile, per esempio, più che allarmarsi perché questi adolescenti non rispettano le nostre regole, anzi infrangono con spregiudicatezza le norme del nostro codice penale, per cui si fa ricorso all’applicazione di sanzioni penali pur di contrastare il dilagare della criminalità giovanile straniera, sembra necessario e urgente analizzare e approfondire le diverse cause e le problematiche di base dei fenomeni di immigrazione minorile, i fattori di spinta, i fattori di attesa e le forti aspettative di cambiamento dei minori migranti. Questi aspetti occorre studiarli, analizzarli e approfondirli con l’ausilio di supporti sociologici, etnologici e di permanente mediazione culturale, quali presupposti ritenuti indispensabili per sviluppare ipotesi di intervento serio. Interessante a questo proposito la riflessione di Lucien Hounkpatin, etnopsichiatra, responsabile clinico del Centre Dévereux dell'Università Parigi VIII “se, nel migliore dei casi, in un processo di riorganizzazione e di ristrutturazione delle strutture famigliari tradizionali, che tenga conto dei modelli che strutturano le famiglie nei paesi d'accoglienza, la rottura dell'involucro culturale mette il migrante in situazioni congelate o di incomprensione, non è raro osservare, presso alcuni genitori alla ricerca di punti di riferimento, la riproduzione in maniera rigida e severa dei modelli della tradizione d'origine. In tali condizioni, i genitori che cercano sia di proteggersi sia di proteggere i loro figli, si danno delle funzioni parentali totalmente sfasate rispetto a quelle del mondo d'origine o del paese di accoglienza. I ragazzi cresciuti in una tale struttura famigliare sembrano persi. Di fronte a questa rigidità, la sola possibilità loro offerta è la “frammentazione”. Così si ritrovano di fronte alla frammentazione delle parole degli adulti che li circondano e non sanno più a chi fare riferimento. Questa frammentazione è l'espressione della separatezza con la quale si confrontano i due mondi (il mondo di origine e il mondo occidentale). I ragazzi, allo stesso tempo famigliari ed estranei alle logiche dei due mondi, non riescono a strutturarsi né in uno né nell'altro. E questo li conduce a disimpegnarsi dall'ordinamento della realtà nei due mondi. Come conseguenza, sono portati a seguire una logica personale o a irrigidirsi per rifugiarsi in un comportamento di negatività, quando i fatti li richiamano all'ordine. Non deve quindi sorprendere che le azioni tendenti a porre rimedio ai loro atti non riescano a essere portate a termine e si ritorcano contro di loro, poiché queste restano comunque concepite nel disordine. Allo stesso modo, quando i ragazzi si trovano “intrappolati” dal loro stesso 9 comportamento e dalle relative conseguenze, cercano ancora i mezzi per sottrarsene tentando di mettere una distanza da ciò che pensano essere la fonte dei loro mali... La storia di questi ragazzi mette in evidenza il loro errare tra le diverse istituzioni sociali e la strada. Un errare per il quale “la città è diventata la savana”, in cui i ragazzi sembrano vagare in cerca di iniziazione selvaggia, in una obbligata ricerca di identità. Se alcuni dei loro atti criminosi possono essere intesi come un'impossibilità a sottomettersi alla logica – e quindi alle leggi – del mondo occidentale, dimostrano ugualmente la loro ignoranza della logica della loro società di origine, ignoranza ammessa dai genitori, che non hanno potuto trasmetterli. Così, costretti a rispondere dei propri misfatti davanti alla legge e poiché la loro responsabilità è messa in causa, presentano un comportamento di panico o confuso. Ci si può legittimamente chiedere: da che cosa stanno sfuggendo questi ragazzi e le loro famiglie? Quali elementi del loro passato continuano a seguirli, mettendo in pericolo il nocciolo e la fondazione della propria casa e di chi vi abita? Quanto a questi ragazzi, di fronte ai disordini presentati, di fronte alla struttura famigliare, non hanno potuto beneficiare a sufficienza degli elementi di trasmissione di un sistema logico (occidentale o dell'universo di origine dei loro genitori) in grado di strutturarli. Come conseguenza si può pensare che ciascuno dei loro atti criminosi costituisca ogni volta una nuova prova di iniziazione al solo mondo a cui possono accedere: la strada. Ciascun atto di trasgressione appare così un tentativo di iniziazione selvaggia, reiterata, poiché nessun sistema logico organizza e struttura queste prove ...”. I minori immigrati sono chiamati da Tahar Ben Jelloun génération involontaire (generazione involontaria), che aggiunge: "una generazione destinata a incassare i colpi. Questi giovani non sono immigrati nella società, lo sono nella vita… Essi sono lì senza averlo voluto, senza aver nulla deciso e devono adattarsi alla situazione in cui i genitori sono logorati dal lavoro e dall’esilio, così come devono strappare i giorni a un avvenire indefinito, obbligati a inventarselo invece che viverlo". Una generazione involontaria che è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, nei paesi europei, rendendo il fenomeno di difficile gestione. La scuola, i servizi sociali, la giustizia sono solo alcune tra le istituzioni statali che quotidianamente si cimentano con i nuovi problemi che la crescita di una società sempre più multiculturale comporta, spesso senza avere gli strumenti e le capacità necessarie per garantire interventi a misura della persona. Una generazione involontaria che cresce congiuntamente alla problematicità di cui si fa espressione e che spesso si rende più concretamente percepibile e 10 rilevabile attraverso manifestazioni quali: il ritardo scolastico, il disagio individuale e familiare, il maggior rischio di devianza sociale. La precarietà, la condizione psicologica e sociale del minore immigrato o di origine immigrata, sono tratti che sembrano intrinsecamente connessi al fatto che questi soggetti sono come ingabbiati da una scelta subita, o meglio coinvolti negli esiti di una scelta che essi, proprio in quanto minori, hanno subito più di altri soggetti. In tema di minori è comunque lecito ritenere che questi soggetti, proprio in quanto minori, subiscano la "scelta" di emigrare effettuata dai genitori (o comunque dagli adulti di riferimento). Inoltre, sia il minore che è effettivamente immigrato senza averlo propriamente deciso, sia il minore nato nel paese di immigrazione sono ulteriormente chiamati a effettuare un’altra scelta tra: l’adesione a una cultura maggioritaria che li taglierà per sempre fuori dalla loro storia, rischiando di renderli, di fatto, persone "senza radici", e la conservazione dell’ancoraggio a un passato e a una diversità, il cui peso si manterrà ancora nelle generazioni successive. E’ soprattutto all’interno della propria famiglia che viene vissuto in modo forte questo conflitto culturale, che comporta l’adesione a più culture di riferimento, cosi come lo racconta Rassmea Salah “… il nostro rapporto genitore figlia … una relazione caratterizzata non solo da un naturale distacco generazionale ma anche da un’appartenenza culturale diversa da cui ne derivano una differente mentalità ed un altro approccio alla vita. Ho percepito quanta importanza abbia per ogni padre trasmettere ai propri figli le sue tradizioni, la sua cultura, la sua lingua, il suo credo… e quanto sia difficile per i papà come il mio prendere coscienza della distanza più o meno grande fra i loro figli di 2G e il proprio mondo di origine! Di quanto possa essere frustrante non averli saputi modellare a propria immagine e somiglianza! E di quanto possa essere sconfortante saperli appartenere ad un mondo in ci non potranno mai avere un pari accesso. Comprensibile per noi figli 2G la paura dei nostri padri per un nostro possibile allontanamento dalle radici… ma doveroso per loro capire che noi, come alberi, tendiamo i nostri rami in questa società in cui viviamo e a cui sentiamo di appartenere sempre più. Senza naturalmente negare mai le nostre origini”8. Interessante anche la testimonianza di Yasmin Ammoune che racconta: “Ieri sono tornata a scuola, appena arrivata a casa ho pranzato con mamma e papà: kebab, il mio piatto preferito. Poi ovviamente ho lavato i piatti, e successivamente, com’è giusto che sia, ho passato l’aspirapolvere. Dopo altri piccoli lavoretti domestici mi sono dedicata al mio hobby 8 Rassmea Salah, in Communitas, n° 29, novembre 2008, 45-46 11 preferito l’uncinetto… finalmente dopo tante ore sono riuscita a finirlo! E’ proprio bello! Questa è la mia vita, la vita di una brava musulmana che torna a casa, obbedisce ai suoi genitori; nonostante i loro ordini a volte possono sembrare assurdi, io li eseguo senza discutere perché loro sono i miei genitori e sanno quello che è giusto per me… Ma quando mia si è vista una cosa del genere? Forse in qualche programma tv. In realtà i miei programmi prevedono tutt’altro: torno da scuola il sabato che non mi reggo in piedi dalla stanchezza, sbatto la cartella e come al solito mia madre mi urla dietro dicendo che sono sempre la solita disordinata…ma io non la sento perché ho nelle mie orecchie l’iPod… a pranzo mangiamo lasagne (il mio piatto preferito), e fortunatamente c’è quella fantastica macchina chiamata lavastoviglie. E come ogni ragazza milanese fa il sabato, inizio a pensare a come mi vestirò per uscire con i miei amici…E per quanto mi riguarda, non sono la musulmana, la siriana, o tanto meno la sfigata conservatrice. Molto semplicemente una diciassettenne, cosi come sono.”9 3.2 Percorsi di integrazione L’integrazione è l’obiettivo centrale assunto dall’agenda politica della Commissione Europea in materia di politiche migratorie. In questo senso dobbiamo impegnarci perché la trasformazione sociale in corso produca coesione e migliori la qualità della vita per tutti. E’ innanzitutto un cambiamento della politica come progettualità e partecipazione, di cui l’Italia ha grande bisogno ad ogni livello, una politica fatta di analisi, di programmazione. Occorre sicuramente promuovere e/o rafforzare una cultura di efficacia sociale della pubblica amministrazione e di umanizzazione e personalizzazione dei servizi sociali pubblici e privati, richiesta forte dell’intera società per tutti i cittadini. “Il modello di integrazione verso il quale è orientato l’ordinamento italiano, non è né quello assimilativo né quello multiculturale, perseguiti in Paesi europei di più antica storia immigratoria, come ad esempio Francia e Regno Unito, che stanno dimostrando, entrambi, drammaticamente, i loro limiti a fronte della diversa natura delle migrazioni, delle ingiustizie ed emarginazioni, degli assetti sociali, dei problemi nuovi e gravi del contesto internazionale. Il modello italiano è diverso e più ambizioso, perché vuole perseguire un processo di conoscenza, di dialogo, di confronto, che tenga insieme il rispetto delle diverse culture, 9 Yasmin Ammoune, in Communitas n° 29, novembre 2008, 101-102 12 percepite come una risorsa che arricchisce gli uni e gli altri, con la condivisione dei valori costituzionali, fondamento indiscutibile di un’ordinata convivenza civile in Italia. Questo modello di “integrazione” presuppone l’affermarsi di un atteggiamento che vede nella diversità dell’altro una risorsa per crescere insieme verso una “nuova società”, come sta già avvenendo. Occorre non sottovalutare le difficoltà che riguardano tutti quanti, perché dall’incontro inevitabile con la diversità tutti usciremo trasformati. Nessuno è a residenza identitaria coatta e tutti ci modifichiamo, volenti o nolenti, nel processo di interazione. La prospettiva in cui ci collochiamo è quella di una società dove, nel rispetto della Costituzione, convivono proficuamente per tutti, rafforzando la coesione, culture e religioni diverse”.10 Certo è un processo difficile, perché riguarda culture e identità, senso dell’appartenenza, storie personali e vicende dei popoli da cui veniamo ed è un processo che si colloca in un momento di malessere pervasivo e profondo, un’inquietudine che chiama in causa le incertezze, le preoccupazioni, le diffidenze, le paure rispetto ai processi di globalizzazione, al deficit di democrazia e di politica nel processo di integrazione europea, al trauma dei terrorismi di diversa origine, alle guerre. Tuttavia a questo processo di conoscenza e di dialogo per l’integrazione occorre vigilare e fattivamente contribuire, perché le diverse identità non vengano minacciate né rifiutate, anzi confluiscano in un terreno di valorizzazione reciproca. Le difficoltà non vanno sottovalutate, ma non debbono paralizzare l’iniziativa. Il percorso di integrazione passa necessariamente attraverso il riconoscimento giuridico dei diritti civili di cittadinanza, anche se spesso i giovani di seconda generazione faticano a superare le piccole barriere quotidiane che incontrano sulla strada dell’integrazione. Sul piano socioculturale, il conferimento dei diritti di cittadinanza, in effetti, può mitigare, ma non risolve la condizione di alterità del minore. Infatti, aldilà dell’accesso allo status giuridico di cittadino, altri ostacoli rischiano di compromettere la riuscita dell’integrazione nel paese ospite, per via del fatto che le differenze, somatiche e culturali, continuano spesso a essere percepite, sia a livello individuale, sia a livello generale, come segni di diversità. Queste possono trasformarsi in uno stigma sociale che rischia di accentuare il senso di sospensione tra due spazi e due tempi di riferimento. Possiamo usare in questo senso le parole di Rufalda Hamid: “La nostra condizione di nuovi italiani è in bilico tra appartenenza ed estraneità che a volte rafforza il sentimento di non appartenere. Proprio per questo scaturisce il desiderio di 10 PAOLA GIANI, Nuovi cittadini, Rocca di Bertinoro, luglio 2009 13 esprimerci e di far capire che siamo a tutti gli effetti italiani e che faremo parte di questa società in modo definitivo e non provvisorio. La seconda generazione deve far capire alla gente che il colore diverso della pelle, gli idiomi, la provenienza non sono simboli di pericolo, a segni di una diversità che po’ arricchire di risorse giovani la società italiana. Dunque perché emarginare gli immigrati quando possono contribuire in modo propositivo alle dinamiche di cambiamento della società? Non è forse un pregio avere persone con cui confrontarsi ed essere critici verso se stessi? Non serve trovare soluzioni affrettate, piuttosto c’è bisogno di comprensione e solidarietà verso ciò che è estraneo ma non per questo imperfetto. La solidarietà non si può insegnare, sicuramente però si trasmette, proprio come si trasmettono gli allarmismi, i pessimismi, i disfattismi, la fame di cattive notizie che ci aizzano contro l’extracomunitario, lo zingaro, il rumeno e omettendo la parola persona, finiscono con il farci credere che siano solo una minaccia per il futuro e per il sistema… La seconda generazione vuole semplicemente essere trattata come tutti gli italiani e farsi conoscere come tutti gli individui e non gruppi etichettati. C’è davvero bisogno di apertura mentale verso la nuova società che è in continua evoluzione e non si può ignorare un tale cambiamento. La speranza è che i pregiudizi non nascondano il nostro sentirci italiani”.11 Il professor Ambrosini dell’Università di Genova sostiene che l’integrazione delle seconde generazioni rappresenta non solo un nodo cruciale dei fenomeni migratori, ma anche una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione delle nostre società occidentali ed in particolare per il nostro paese. Proprio grazie all’aumento significativo dei ricongiungimenti familiari e l’arrivo di minori nati in altri paesi, così come attraverso la nascita e la socializzazione di figli nati nel paese di insediamento, secondo quanto affermato da Ambrosini, vengono alla ribalta alcuni nodi fondamentali per l’integrazione sociale, elementi che non venivano presi in considerazione precedentemente in quanto si trattava di immigrati di prima generazione, di cui si immaginava un rientro in patria in un futuro non lontano. • Il primo è evidentemente quello del passaggio da immigrazioni temporanee a insediamenti durevoli, e in molti casi definitivi, con la trasformazione delle immigrazioni per lavoro in immigrazioni di popolamento. Nella medesima prospettiva, possiamo affermare che la nascita della seconda generazione abbia sconvolto i taciti meccanismi di precaria accettazione dell’immigrazione, basati sul presupposto della sua provvisorietà. 11 Rufalda Hamid, in Communitas n° 29, novembre 2008, 175-176 14 • Allo esso tempo invece i ricongiungimenti familiari, la nascita dei figli, la scolarizzazione, incrementano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società ricevente, producendo un processo di progressiva “cittadinizzazione dell’immigrato, ossia un processo che lo porta a essere membro e soggetto della città intesa nella più larga accezione del termine” (Ambrosini). • Dunque, nel bene e nel male, la nascita e la socializzazione delle seconde generazioni, anche indipendentemente dalla volontà dei soggetti coinvolti, producono uno sviluppo delle interazioni, degli scambi, a volte dei conflitti tra popolazioni immigrate e società ospitante; sicché rappresentano un punto di svolta dei rapporti interetnici, obbligando a prendere coscienza di una trasformazione irreversibile nella geografia umana e sociale dei paesi in cui avvengono. • Ne deriva una preoccupazione fondamentale, quella del grado, delle forme, degli esiti dei percorsi di assimilazione delle popolazioni immigrate nella società ricevente, un processo di interpenetrazione e fusione in cui persone e gruppi acquisiscono le memorie, i sentimenti e gli atteggiamenti di altre persone e gruppi e, condividendo le loro esperienze e la loro storia, sono incorporati con essi in una vita culturale comune. “Così, tra problemi reali e ansie diffuse, la questione delle seconde generazioni diventa la cartina di tornasole degli esiti dell’incorporazione di popolazioni provenienti da altri paesi in società in cui si inseriscono. Nell’ambito delle comunità immigrate, proprio la nascita e la socializzazione delle seconde generazioni rappresentano un momento decisivo per la presa di coscienza del proprio status di minoranze ormai entrate a far parte di un contesto diverso da quello della società d’origine. Con esse, sorgono esigenze di definizione, rielaborazione e trasmissione del patrimonio culturale, nonché dei modelli di educazione familiare. A questo riguardo, le differenze religiose sono assurte negli ultimi anni a nodo cruciale della regolazione del pluralismo etnico e culturale nei contesti europei”.12 Sull’incontro religioso come esperienza d’integrazione Lubna Ammoune ci racconta la sua esperienza parlando del Ramadan: “Negli anni di liceo i miei compagni diventavano molto generosi nei miei confronti e scherzando insistevano nell’offrirmi la merenda o il pranzo dopo scuola. In fondo, però, intuivano lo sforzo fisico e la forza di volontà necessaria ed alcuni di loro si sono addirittura cimentati nell’astenersi dal cibo e dall’acqua. Pochi hanno 12 MAURIZIO AMBROSINI, Il futuro in mezzo a noi, Le seconde generazioni scaturite dall'immigrazione nella società italiana dei prossimi anni 15 resistito fino all’ora del tramonto, ma questi, hanno sostenuto poi con fermezza che in fondo ne è valsa la pena. Come premio, infatti, hanno vinto un invito a casa mia e si sono goduti un bel cenone, che hanno paragonato a quello di Capodanno, sia per la quantità di cibo che per l’atmosfera di gioia e di unione che hanno condiviso con la mia famiglia… Come succede prima delle feste natalizie, quando ognuno di noi porta qualcosa per festeggiare a scuola, anche il giorno di festa per la fine del Ramadan si organizza un buffet, occasione per gustare i famosi dolci siriani che vengono prodotti solo per questa festività e che mi portano da Damasco i clienti di mio papà. Ormai anche i miei amici non possono farne a meno, cosi come io non resisto al panettone!”13 In questo scenario, interrogarsi sulle seconde generazioni diventa un luogo privilegiato per discutere del futuro delle nostre società, del nuovo volto che stanno assumendo, delle nuove forme della coesione sociale di cui hanno bisogno, nonché della produzione di inedite identità culturali, fluide, composite, negoziate quotidianamente, in un incessante bricolage di antico e recente, di tradizionale e moderno, di ascritto e acquisito, di elementi trasmessi dall’educazione familiare ed elementi acquisiti nella socializzazione extra-familiare. Hassan Bruneo racconta: “In bus a Casablanca…Nelle discussioni con i miei compagni di viaggio sono riuscito un po’ ad entrare nei sogni, nelle aspirazioni, nelle delusioni di chi come me era su un autobus diretto verso un Paese che amiamo alla follia, ma dal quale al tempo stesso a volte non vediamo l’ora di allontanarci. Le sensazioni sono cosi contraddittorie anche perché il nostro Paese di Provenienza, l’Italia, ci ha dato tanto e molti di noi l’hanno adottata a seconda patria. Spesso a noi ragazzi misti viene chiesto cosa preferiamo, se ci sentiamo più italiani o marocchini. Amiamo entrambi, sarebbe come scegliere tra mamma e papà, li amiamo entrambi.”14 Ovunque e ogniqualvolta gli immigrati sono stati accolti come potenziali cittadini futuri, le differenze culturali non hanno mai pregiudicato l’integrazione. L’integrazione può sempre avvenire, a prescindere dal fatto che gli immigrati siano cattolici, protestanti, ebrei, indù, sikh, buddisti o musulmani; che siano poco o molto numerosi; che provengano da regimi democratici, dittature militari, paesi comunisti o teocrazie; che siano ben istruiti o analfabeti. Purché si dia loro la possibilità di diventare cittadini, gli immigrati imboccano inesorabilmente la via dell’integrazione. Numerosi studi hanno stabilito che il fattore-chiave per determinare la riuscita dell’integrazione di gruppi di immigrati non sta nelle differenze di 13 Lubna Ammoune, in Communitas n° 29, novembre 2008, 32 14 Hassan Bruneo, in Communitas n° 29, novembre 2008, 129-130 16 cultura che intercorrono fra il paese di origine e quello di destinazione, bensì nelle politiche di accoglienza del paese di destinazione. L’integrazione o l’esclusione degli immigrati dipende, anziché da differenze culturali o livelli di istruzione, dalle politiche pubbliche in fatto di insediamento e cittadinanza. 4. 3. La scuola e le sfide interculturali 3.1 Una scuola in difficoltà La crescita vertiginosa dei giovani delle famiglie immigrate nei diversi livelli di istruzione, se da un lato pone specifiche esigenze a cui occorre rispondere strutturalmente, non con improvvisazione e solo con buona volontà, come l’apprendimento dell’italiano come lingua seconda (L2), precondizione del diritto allo studio, e la conoscenza della lingua e della cultura di origine, dall’altro dovrebbe indurre un rinnovamento complessivo dei contenuti educativi e didattici in termini interculturali che riguardi ed integri la formazione di tutti gli allievi. Ce lo ricordano le raccomandazioni e i pareri del CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia ed il Lavoro), e le molte esperienze di riflessioni, seminari, convegni a questo tema dedicati negli ultimi anni anche nel nostro Paese. La stagione che viviamo è la grande opportunità per i nostri giovani di aprirsi alle culture e ai valori della globalizzazione, senza soggiacere alla sua esclusiva ragione economica. Sono innanzitutto gli insegnanti che devono essere messi in grado di sviluppare la loro tradizionale mediazione culturale tra passato e presente, anche tra culture diverse, che coesistono nella nuova società. Come dimostra l’esperienza, per molti insegnanti è un’opportunità formidabile per la loro capacità di aggiornamento culturale e di rinnovamento didattico. Purtroppo però si deve constatare che mancano un’attenzione e un dibattito, che orienti l’opinione pubblica e anche le scelte di governo, che siano all’altezza della rilevanza culturale e politica delle questioni poste alla scuola dall’immigrazione. Le risposte, molto diversificate nelle differenti realtà del Paese, risultano complessivamente positive, ma, contando quasi esclusivamente sull’attivazione di “risorse dal basso” (la buona volontà di insegnanti e dirigenti), pur valorizzando le buone pratiche, non possono realizzare una politica all’altezza della sfida interculturale dell’integrazione. In ogni caso alla scuola va riconosciuto che, nonostante la realtà dei reciproci pregiudizi tra famiglie italiane e straniere e 17 tra allievi di diversa origine, rilevabili soprattutto nel momento dell’inserimento, prevale un rapporto buono tra docenti, famiglie e allievi di origine immigrata e non si verificano fenomeni rilevanti di discriminazione. Mancano risorse di base fondamentali in termini di competenze linguistiche, di formazione in servizio dei docenti, di dotazione di laboratori linguistici, di sostegno fattivo delle istituzioni locali, di utilizzo di risorse professionali che ottimizzino la sinergia della rete con le altre scuole e agenzie, anche per iniziative sulla conoscenza delle lingue e delle culture di origine, e di apporto dei servizi sociali nel territorio; spesso le progettualità attivate dipendono da finanziamenti a termine e si disperdono. E’ la condizione di “solitudine” denunciata nelle interviste da molti docenti e rilevate da ricerche svolte in molte regioni del Paese. Una conclusione della ricerca del CNEL ad esempio rileva che le nostre scuole appaiono ancora attrezzate principalmente a gestire la prima fase dell’inserimento dell’alunno con cittadinanza non italiana, siamo ancora fermi alla fase dell’accoglienza. Successivamente esse devono fare i conti: a) con i problemi della discontinuità dei percorsi scolastici rispetto sia ai ritardi di età sia alla mobilità territoriale delle famiglie; b) con il problema della scarsa conoscenza della lingua italiana soprattutto dell’allievo straniero non nato in Italia; c) con le difficoltà di rapporto con la famiglia immigrata, con la necessità di stabilire il bilancio delle competenze in vista dell’orientamento scolastico e professionale. Le scuole sono particolarmente impegnate nell’offerta di corsi di lingua italiana propedeutici all’inserimento in classe e di corsi di recupero per alcune materie, soprattutto umanistiche; ma incontrano difficoltà nel promuovere contatti e riunioni con le famiglie degli alunni stranieri e a individualizzare i percorsi formativi e i processi di valutazione. Una seconda conclusione evidenziata dal CNEL è che occorre passare “ad interventi che si preoccupino dei buoni esiti finali e del proseguimento delle carriere scolastiche in una logica di pari diritti e opportunità”. Infatti, come segnalato dai dati dell’Indagine sugli esiti degli alunni stranieri con cittadinanza non italiana del Ministero della Pubblica Istruzione, del 2005, “il successo scolastico degli alunni con cittadinanza non italiana rimane limitato, le maggiori difficoltà sono quelle linguistiche, i tassi di abbandono sono superiori alla media, il rischio di dispersione è più 18 elevato rispetto a quello dei coetanei, le scelte post scuola dell’obbligo si concentrano sui percorsi di formazione professionale e tecnico-professionali e sono essenzialmente riconducibili al contesto socio-economico e culturale della famiglia di appartenenza.” Sono pratiche educative della migliore esperienza della scuola italiana, della scuola dell’autonomia, che devono mobilitare corresponsabilità e risorse, familiari e istituzionali, nel cuore stesso dei processi educativi. E, ancora una volta, non servono solo a migliorare il successo scolastico e l’integrazione dei giovani di origine straniera, ma anche ad affrontare, in modo efficace, i sempre più gravi disagi giovanili che investono la scuola. La qualità del capitale umano disponibile in futuro in Italia rifletterà in misura significativa le competenze della popolazione immigrata. Attualmente gli alunni stranieri registrano ritardi significativi già dalla scuola primaria ed elevati tassi di abbandono nei livelli scolastici successivi. “Nel confronto con i principali paesi europei, gli immigrati residenti in Italia sono più giovani e meno istruiti. Secondo le rilevazioni del Ministero dell’Istruzione, dall’anno scolastico 1997-98 a quello 2006-07, gli alunni con cittadinanza straniera presenti nei livelli fino alla scuola secondaria di secondo grado sono passati da circa 70.000 a oltre mezzo milione (il 5,6 per cento della popolazione scolastica corrispondente), di cui i tre quinti nella scuola primaria e secondaria di primo grado (circa il 7 per cento degli alunni). Se non accompagnata da meccanismi efficaci di integrazione, questa rapida espansione aumenterà il già ampio divario nella dotazione di capitale umano del nostro paese nel confronto internazionale, poiché la popolazione scolastica straniera registra significativi ritardi che si manifestano già nella scuola primaria e si ampliano ulteriormente nei livelli scolastici successivi. Nell’anno scolastico 2006-07, l’ultimo per cui sono disponibili i dati, oltre un terzo degli alunni stranieri iscritti all’ultimo anno della scuola primaria risultava in ritardo rispetto al normale corso di studi, contro poco più del 2 per cento di quelli italiani; il ritardo si associava a divari nel livello delle competenze acquisite fino a quel punto. Nella scuola secondaria di primo grado la quota percentuale di promossi tra gli stranieri era più bassa di circa 7 punti rispetto a quella degli alunni italiani; nella scuola secondaria di secondo grado il divario medio era più che doppio.”.15 Quest’ultimo divario riflette solo in minima parte le scelte circa i percorsi scolastici che, tra gli stranieri, sono indirizzate maggiormente verso l’istruzione tecnica e professionale, dove i tassi di promozione sono significativamente più bassi. 15 PAOLA GIANI, Nuovi cittadini, Rocca di Bertinoro, luglio 2009 19 3.2 Scuola e processi d’integrazione Come ho già evidenziato in precedenza, la partecipazione di minori stranieri e di origine straniera al sistema scolastico è in primo luogo un indice della trasformazione dei percorsi migratori, segno del passaggio da una presenza congiunturale legata alla ricerca di lavoro d una presenza strutturale legata a’insediamento definitivo nella società di arrivo, nel nostro caso in quella italiana. Lo spazio scolastico luogo delle relazioni fra le giovani generazioni, diviene tanto più importante quanto più i progetti dei figli iniziano a differenziarsi da quelli dei genitori, ri-situando il proprio futuro atteso e desiderabile nelle città e nelle società in cui vivono e studiano. In effetti, stiamo assistendo ad un processo di allargamento della partecipazione alla vita sociale, di richiesta di più servizi, alla costituzione di molteplici luoghi incontro e di integrazione al di fuori della sfera lavorativa. In questo contesto i giovani immigrati, o di origine immigrata, e la scuola, divengono i principali vettori di nuove forme d’incontro fra persone e culture. Nella scuola e negli spazi di vita giovanile, dallo sport alla fruizione culturale, dalla musica ai balli, si gioca, infatti, una delle partite fondamentali per quanto concerne la costruzione della città futura. Aristide Zolberg (1997), ci ricorda che nelle società contemporanee la scuola ed i luoghi del tempo libero, assumono l‘onere e il privilegio di rappresentare lo spazio pubblico per eccellenza entro cui prendono forma i processi di integrazione/ segregazione dei migranti, si confrontano le biografie personali ed i relativi retaggi culturali, si costruisce la cittadinanza futura e si preparano le modalità d’inserimento nel mondo del lavoro. L’istruzione è dunque la carta della riformulazione dei progetti migratori della prima generazione e della costruzione di un istituto sociale di maggiore eguaglianza di pari opportunità per la seconda generazione. Da un lato l’accesso all’istruzione muta l’essenza stessa delle migrazioni dei padri, dall’altro le migrazioni trasformano le scuole, obbligano i docenti e gli operatori a ripensare le proprie pratiche didattiche e valutative. I ragazzi stranieri, a differenza de ragazzi italiani che investono la maggior parte delle loro energie nel gruppo dei pari, fanno il contrario: super investono di significato simbolico la scuola. Questo perché loro hanno un motivo particolare, cosa che i ragazzi italiani neanche se e lo ricordano, per ritenere che la scuola sia un’istituzione deputata a lottare attivamente contro la loro futura disoccupazione e per consentire un passaggio di classe sociale e di inserimento sociale. “La scuola può dunque essere uno spazio sociale, come un laboratorio, dove le problematiche dei ragazzi sono all’ordine del giorno implicitamente o esplicitamente 20 e un confronto silenzioso avviene tra ragazzi che hanno la stessa età, che possono avere la stessa identità di genere e che possono confrontare le due adolescenze. Devo dire che forse la cosa più difficile non è tanto organizzare un dispositivo che possa aiutare i ragazzi italiani e stranieri a fare gruppo, a condividere l’esperienza della crescita, ma le straordinarie difficoltà di inserirsi in una società dominata da una gerontocrazia dissennata che si esprime attraverso la diffusione di valori socioculturali che non hanno nessuna competenza educativa anzi sono fortemente diseducative. Sono però ottimista rispetto al fatto che ce la possano fare. Io credo che alcune trovate per certi versi straordinarie come quella di immaginare che arriveranno in soccorso dei più piccoli, un gruppo di peer educator dello stesso gruppo etnico, sia una situazione interessante”.16 Il massimo sforzo debba essere fatto per favorire un processo di integrazione orizzontale, con i coetanei italiani che hanno la stessa età e che quindi condividono una parte di problemi che sono strutturalmente in comune. L’istituzione scuola è particolarmente adatta per favorire il processo di socializzazione e integrazione tra ragazzi poiché avviene già tra italiani che appartengono a ceti sociali, livelli culturali e tradizioni culturali familiari molto diversi tra di loro. Qualsiasi sforzo culturale professionale vada nella direzione di accudire alla nascita di una mente di gruppo tra ragazzi che appartengono a realtà culturali etniche, religioni ed economiche diverse è ovviamente straordinariamente pertinente se realizzato nella scuola. É all’interno di un dispositivo naturale che un soggetto antropologico nasce, si sviluppa, in questo caso il gruppo classe e le sue compagini. Il nostro obiettivo strategico sarebbe quello di rimuovere poi gli ostacoli culturali. Gli stimoli tra l'educazione e i modelli della famiglia e quelli degli altri adulti significativi (insegnanti, operatori, ecc.) sono spesso contradditori e la reazione del ragazzo, per sopravvivere, è spesso quella di negarne uno (generalmente quello di provenienza) alla ricerca di un’identità sicura. Questo meccanismo è però destinato quasi sempre al fallimento: avere come modello unico di integrazione l'assimilazione con il ragazzo italiano, con cui comunque non sarà mai paritario, sarà fonte prima di frustrazione e poi di rifiuto di integrazione sociale. Appare quindi strategico creare luoghi in cui i processi di integrazione si basino sulla valorizzazione delle diverse culture e non sulla negazione di alcune di queste. 16 Gustavo Pietropolli Charmet, intervento in Gli adolescenti stranieri: a casa e a scuola? Incontro promosso dall’associazione Il nostro Pianeta nel contesto del progetto Orientamento e successo formativo, 2009 21 La famiglia è generalmente impreparata ad accompagnare la crescita in Italia dei figli: l'adulto con l'immigrazione ha affrontato un processo di rottura del proprio equilibrio e di cambiamento profondo di cui spesso non è consapevole, ma che nel rapporto educativo con i figli emerge in maniera drammatica evidenziando l'incapacità di rielaborare la frattura tra norme e valori della propria cultura e norme e valori del paese di accoglienza. Il bagaglio di strumenti educativi che il genitore immigrato possiede non è più adeguato alla nostra società; la famiglia non riesce più a costruire il senso delle regole di comportamento, non ha più il contesto che la sostiene. Il mondo educativo locale non sempre riesce a porsi il problema di valorizzare le risorse del mondo migrante: gli operatori, gli educatori, gli animatori che lavorano con i giovani migranti nelle strutture dell'assistenza, nei centri di aggregazione, nelle scuole, sono italiani e non sono abituati a trattare con i problemi della seconda generazione migrante. Ciò non aiuta a creare riferimenti identitari forti e positivi: i riferimenti proposti sono solo italiani. 3.3 Cenni di educazione interculturale L’educazione interculturale è oggi sulla bocca di tutti i professori che operano all’interno delle nostre scuole, ma se chiediamo in che cosa consista realmente ci troviamo di fronte a visioni distinte e spesso diametralmente opposte tra di loro. La scuola italiana ha imboccato la via dell’interculturalità per l’integrazione degli alunni stranieri, tanto per citare i buoni propositi espresso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Nel mondo della scuola oggi esistono molteplici ed infiniti progetti, ma come si realizza la dimensione interculturale nella scuola? Assistiamo a pratiche più o meno valide di accoglienza, e corsi di recupero o per l’apprendimento della lingua italiana L2, si fanno attività di educazione interculturale, educazione alla pace ed alle relazioni interpersonali… Allo stesso tempo però l’educazione interculturale no può e non deve imitarsi ad interventi sporadici o affidati alla buona volontà del singolo docente o insegnante. Né si tratta di una disciplina specifica da relegare ad un’ora ad hoc. Occorre ripensare ai curriculum scolastici, al sistema scuola nel suo complesso facendo dell’approccio interculturale la base su cui costruire la nuova scuola del presente e del futuro. Interessante a questo proposito mi pare l’approccio di Demetrio, che, prendendo spunto da una definizione di approccio intercultuale di Legault afferma: “Per alcuni l’approccio interculturale è prima di tutto un processo d’aiuto che si fonda sul rispetto dell’altro, della 22 sua visione del mondo, del suo sistema di valori, tuttavia, non si incontrano delle culture, ma degli individui, delle persone che mettono in scena la loro cultura. L’approccio non si dedica comunque solo all’altro, ma riconosce sempre anche la soggettività di chi interviene G Legault 2000)”.17 Questo approccio delineato da Legault, pur non dimenticando che l’evento interculturale si fonda sull’interazione reciprocamente trasformatrice, si concentra sull’individuo in educazione e diventa un itinerario fertile a condizione che ciascuno si spogli, almeno un poco, dell’ossessione di appartenere in primo luogo all’una o al’altra cultura, etnia o tradizione religiosa. In quest’ottica occorre dunque in primo luogo essere coscienti della propria identità umana e della propria storia personale, che seppur nutrita di valori connessi con l’appartenenza all’una o all’altra cultura, tuttavia ci mostra umanamente nudi, gli uni dinanzi agli altri, sul piano delle parità individuali. Demetrio sostiene che in ambito scolastico ed educativo siamo di fronte ad una svolta, al bivio dell’educazione interculturale del prossimo futuro. In una scuola dei prossimi anni dall’assetto ancora incerto, in una società sempre più multietnica, nonostante ogni tentativo di fermare il flusso delle trasformazioni demografiche e l’aggravarsi della crisi economica ed ecologica planetaria, sarà sostiene Demetrio, fondamentale “salvaguardare tre concezioni irrinunciabili: 1) L’individuazione di alcuni principi universali senza concessioni eccessive ai relativismi delle culture; 2) La messa al centro dell’attenzione per l’individuo o meglio un approccio centrato sull’individuo; 3) La concezione plurale dell’identità personale nel suo costituirsi e ricostruirsi nel corso della vita e nell’assunzione di ruoli diversi in un passaggio dalla multiculturalità come contesto etnico, alla multiculturalità come risorsa individuale. Ne consegue che volendo volgere in versioni didattiche, in piani e programmi di lavoro quanto detto, è cruciale che le didattiche interculturali facciano una scelta di campo: soprattutto per quanto concerne i contenuti curriculari che più possono favorire gli obiettivi di un’educazione interculturale che non abbia più bisogno di continuare a definirsi e 17 DUCCIO DEMETRIO E GRAZIELLA FAVARO, Didattica interculturale, nuovi sguardi, competenze, percorsi, FrancoAngeli, Milano, 2002 23 ridefinirsi, ma di diventare consuetudine del lavoro didattico e non più attività eccezionale o atipica”.18. Demetrio prova a definire successivamente una sorta di manifesto dell’interculturalità, un’idea di progetto per tutti i bambini, ragazzi e giovani, autoctoni ed immigrati, volto a svilupparsi attraverso azioni e ad attenzioni molteplici cosi riassumibili. • Integrazione di chi viene da lontano, attraverso dispositivi e risorse in grado di sostenere un’accoglienza competente e di qualità e di garantire opportunità equivalenti a tutti gli alunni. • L’educazione linguistica in un contesto plurilingue, che richiede nuove consapevolezze didattiche, e la capacità di considerare il proprio codice, sia come oggetto che come veicolo di apprendimento e che richiede anche di considerare la situazione plurilingue come un arricchimento ed una chance per tutti, e non come un ostacolo all’apprendimento. • Strategie d’intervento contro pregiudizi e stereotipi, in grado di rintracciare e di comprendere le basi dei pregiudizi per poter agire su di esse sia sul piano cognitivo e delle informazioni sul mondo,sia sul pian dell’affettività e della relazione. • L’incontro, il confronto e lo scambio tra infanzie adolescenze e storie diverse, creando luoghi “buoni e meticci” di aggregazione nel tempo scolastico ed extrascolastico, nel quartiere e nelle città. Luoghi nei quali ciascun bambino e ragazzo possano stabilire relazioni, amicizie e legami sulla base del loro essere qui ed ora, dei loro bisogni, progetti, emozioni e non sulla base di appartenenze predefinite. • La conoscenza della propria ed altrui storia e cultura, intese in senso dinamico ed evolutivo frutto di intrecci e di scambi, conseguenza di spostamenti, migrazioni, viaggi e cambiamenti. • L’attenzione alla garanzia ed al rispetto dei diritti di ciascun individuo, uomo e donna, dovunque essi vivano e la consapevolezza del fatto che essi sono ancora lontani dall’essere rispettati ed attuati. A questo si accompagna il fatto che le tradizioni meritano di essere rispettate solo nella misura in cui esse sono rispettabili, perché rispettano i diritti fondamentali di ogni bambino. 18 DUCCIO DEMETRIO E GRAZIELLA FAVARO, Didattica interculturale, nuovi sguardi, competenze, percorsi, FrancoAngeli, Milano, 2002 24 Un manifesto dell’interculturalità dunque per usare le parole di Demetrio, criteri guida che dovrebbero orientarci nel pensare a nuove forme educative per la scuola. 5. 5. Conclusioni Al termine di questo percorso di avvicinamento al mondo delle seconde generazioni, passando dall’analisi ai racconti dei giovani, alle sfide e fatiche del mondo della scuola, vorrei evidenziare alcune criticità che ritengo da considerare all’ordine del giorno di un’agenda collettiva che voglia prendere in seria con ideazione la necessità di attivare percorsi seri di attenzione a queste tematiche all’interno del mondo della scuola e della società nel suo complesso. Le azioni su cui scommettere e a cui porre particolare attenzione, mi sembra che possano essere le seguenti. a) Operare una seria revisione dell’offerta formativa della scuola e dell’extra-scuola in chiave interculturale e necessità di vegliare perché la scuola insegni, formi, istruisca realmente! b) Accompagnare percorsi di cittadinanza per gli adulti ed i nuovi arrivati con attenzione alla loro cultura di origine. c) Attivare una particolare attenzione per le famiglie immigrate a sostegno del loro ruolo genitoriale avvalendosi di strumenti adeguati. d) Lavorare a più livelli per una corretta comunicazione di ciò che riguarda la migrazione e sforzarsi tutti per diffondere una cultura che consideri la migrazione come fenomeno strutturale e non passeggero del nostro Paese. e) Promuovere esperienze di costruzione della “sicurezza”, cioè di sperimentazioni reali sul territorio di luoghi e tempi ordinari di convivenza, di condivisione della partecipazione dei cittadini nativi e immigrati. La scuola e lo sport in questo senso possono dare un contributo importantissimo. f) Sostenere la partecipazione attiva dei nuovi cittadini alla vita delle città. g) Promuovere una cultura della replicabilità di buone prassi, della sussidiarietà pubblico-privato, del lavoro di rete tra le istituzioni e i soggetti del territorio. h) Promuovere la riflessione e la formazione continua e condivisa di operatori e di coloro che hanno potere decisionale all’interno dei differenti spazi pubblici. 25 Di fronte a queste sfide e sollecitazioni ognuno di noi deve fare la sua parte, in particolare noi insegnanti a scuola e nel contesto in cui ci muoviamo quotidianamente. Per concludere mi sembra bello e giusto un appello alla speranza utilizzando le parole di Randa Ghazy, parole che siano di auspicio e di sprone per un maggior impegno da parte di tutti noi! “Li vedo impegnati. Li vedo motivati, politicizzati, dinamici e pieni di voglia di fare. Queste le poche certezze che ho sulle seconde generazioni di domani e vi dirò anche perché. Qualche tempo fa a Roma si è svolto qualcosa di straordinario, e lo dico non solo perché io l’ho vissuto con una punta di quasi commozione, ma anche perché un prolungato e documentato interesse sul tema mi ha dato modo di osservare il fenomeno in tutte le sue declinazioni, e non c’è mai stata conferenza, incontro, ospitata in televisione che mi abbia colpito più di quello che è accaduto quel giorno. Si sono incontrate le seconde generazioni d’Italia. Appena entro noto un ragazzo alto e robusto, con dei lunghi capelli rasta, la pelle color ebano e un accento romanaccio da spaccarsi in due dalle risate: “Ao’ de qua ragà l’incontro è deggiù a destra”. Scendo e apro la porta di uno stanzone dove, e lo sentivo ancor prima di entrare, saranno stati rappresentati almeno una ventina di Paesi. E in che modo… Mr rasta romanaccio, intanto. Un ragazzo cinese con un cerchietto in testa e le all star ai piedi. Una ragazza etiope con jeans a zampa d’elefante. Un sudamericano vestito da b-boy con tanto di cappellino e jeans con cavallo a terra. Ragazze col velo, una felpa e i jeans, Un marocchino vestito in completo. Un arabo griffato dalla testa ai piedi. Erano tutti stranieri e italiani, insieme, in un modo cosi caotico, colorato, ma soprattutto armonioso, che non potevi fare altro che sederti e guardarli tutti, catturando delle istantanee nella tua mente e tentando di renderli indelebili… Com’è il loro futuro? E’ un futuro di aggregazione. Di coscienza di massa,di consapevolezza. Di determinazione. E non può che essere cosi, anche perché fa parte dell’indole umana, di un atavico bisogno di sentirsi parte di una categoria sociale che ti riconosce e ti dà dignità, i diritti che meriti. Quella dignità che ad esempio lo Stato italiano non riconosce ad uno dei tanti ragazzi li presenti, che si è alzato e ha raccontato di come , nonostante la lauree le se competenze, sia stato licenziato da una scuola dove insegnava francese quanto cittadino non italiano. Quella dignità che sempre lo Stato italiano non dà ad una ragazza che raccontò di come, nonostante la sua cittadinanza fosse italiana, per un vuoto di residenza, ovvero per un assurdo errore burocratico, no lo risultava più e stava per essere espulsa. Quella dignità che si prenderanno le seconde generazioni… Ci saranno matrimoni misti. Tanti. Gradualmente e con migliaia di difficoltà, ma ci saranno. Ci saranno terze generazioni che avranno molti 26 meno problemi ne rapporti con l’altro e con le istituzioni ma molte più questioni con se stessi e la con la propria identità. Ci saranno ancora persone riluttanti a riconoscere il loro valore la loro intrinseca complessità rispetto a chi li circonda, e che magari rinunceranno a esaltare la propria diversità, che accetteranno la massificazione, l’omologazione l’appiattimento generazionale a cui siamo tutti soggetti. E se questi saranno molti non lo so. Vedo un futuro in cui le istituzioni saranno costrette a fare i conti col fatto che stiamo prendendo coscienza di massa e che sappiamo, bene quale può essere il nostro ruolo sociale. Vedo un futuro in cui l’Europa intera sarà costretta a tirar fuori dal cilindro qualche nuovo magico modo di inventarsi nuove politiche di integrazione”.19 19 Randa Ghazy, in Communitas n° 29, novembre 2008, 162-164 27