Gli immigrati di seconda generazione francesca ferrante[1]

Transcript

Gli immigrati di seconda generazione francesca ferrante[1]
Gli immigrati di seconda generazione
Nel 1992 gli stranieri nati in Italia o giovani ricongiunti al
proprio nucleo familiare erano 6mila, nel 2005 il numero è
cresciuto, diventando 51mila, oggi si parla di
quattrocentomila presenze, numero destinato a crescita
costante. Secondo la Raccomandazione del Consiglio
d’Europa si considerano migranti della seconda generazione
figli di immigrati: a)nati nel Paese in cui sono emigrati i
genitori b)emigrati insieme ai genitori c)minori che hanno
raggiunto i genitori in seguito a ricongiungimento familiare o
comunque in un periodo successivo a quello di emigrazione
di uno o entrambi i genitori. Quindi la seconda generazione è
quella che vive la prima e fondamentale parte del processo di
crescita a cavallo tra due mondi diversi, quello della famiglia
e quello della società, con tutti i suoi valori, le sue norme e
tradizioni.
L’espressione “seconda generazione” emerge dalle ricerche
della “Scuola di Chicago”, in una certa misura
contraddittoria poiché questa espressione trova maggiore
chiarezza nel contesto di famiglia più che nel contesto di
individuo; la seconda generazione è riferita a un collettivo in
definitiva molto contraddittorio che oscilla tra realtà molto
diverse e assai conflittuali: quelle del migrante, in senso
stretto e quella del nativo, quella della cultura d’origine e
quella della cultura acquisita.
Il concetto di seconde generazioni di immigrati in Italia si è
affermato specialmente nel dibattito politico e giornalistico; lo
stesso ricorso a questa formula non è privo di disagio sociale
e di ambiguità, così vale certamente la pena osservarlo da
vicino e capire come questo fenomeno si sta evolvendo
esponenzialmente, come i cittadini italiani sono sempre più
catapultati in una cultura multietnica, multicentrica, globale
e cosmopolita, inoltre come le istituzioni e i governi, anche di
altre nazioni, riescono o non riescono a far fronte a tale
fenomeno.
Per i giovani di seconda generazione l’ostacolo più grande
consiste nell’integrazione all’interno della società ospitante
che passa attraverso varie forme come ad esempio
l’apprendimento di una nuova lingua, la socializzazione, il
successo scolastico o la capacità di progettare il proprio
futuro in Italia. Uno dei luoghi privilegiati dove le politiche
sociali ed educative possono creare un ambiente
interculturale per le seconde generazioni è la Scuola, poiché
le esperienze vissute all’interno di essa determinano la
formazione dell’individuo. Le istituzioni scolastiche e
politiche hanno l’obbligo di impegnarsi ad offrire garanzie che
riguardano il diritto all’istruzione, l’accesso ai servizi
scolastici e una corretta integrazione. Secondo il D.lgs. del
30/07/02 n.189 si specifica che: “ai minori stranieri si
applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto
all’istruzione, d’accesso ai servizi educativi e di
partecipazione alla vita della comunità scolastica”. Il
bambino o ragazzo dal punto di vista legislativo è
sicuramente tutelato, dal punto di vista psicologico e sociale,
naturaliter, si troverà ad affrontare un blocco identitario, che
si risolverà solo nel momento in cui gli spazi vitali e le
aggregazioni umane attorno a lui si articoleranno e
prenderanno forma. La condizione di sradicamento e
estraneità verso la società di accoglienza insieme a tutte
quelle difficoltà comunicativo – linguistiche sono
praticamente inevitabili, la maggior parte delle volte risolvibili
con l’aiuto stesso dell’istituzione scolastica.
La funzione fondamentale della scuola può risultare assai
ambivalente. Da un lato può rappresentare un trampolino di
lancio verso orizzonti occupazionali alti, dall’altro rischia di
confinare il giovane verso orizzonti occupazionali ai margini
della precarietà. Il rapporto Sistema educativo- Famiglia è
molto complesso e poco consolidato; ad esempio il livello di
istruzione dei genitori, nella maggior parte dei casi
rappresenta per gli stessi figli un preannuncio del successo
scolastico e dell’eventuale successo lavorativo, Tribalat ha
constatato una mobilità delle seconde generazioni anche se
non con risultati scolastici brillanti,ad esempio i figli e le
figlie di operai algerini e spagnoli sono riusciti a ottenere
posizioni maggiori di quelle dei loro padri, riuscendo ad
uscire dalla classe operaia, naturalmente contano molto le
componenti nazionali. In Francia figlie di immigrati spagnoli
raggiungono spesso risultati scolastici pari a quelli delle
studentesse francesi, al contrario studentesse di origine
algerina non ottengono risultati ottimi . Obbiettivo comune,
naturalmente, rimane la buona integrazione dei figli sia nel
sistema scolastico che in quello professionale. Altro cruccio è
il corretto funzionamento delle istituzioni scolastiche nei
confronti di giovani che abbiano un background linguistico e
culturale diametralmente opposto dalla cultura e dalla lingua
del Paese ospitante. Alcuni sistemi scolastici tendono ad
isolare e quindi discriminare il giovane, magari non
bilanciando il deficit linguistico con delle attività integrative
con altri studenti, ma piuttosto inserendo il giovane in
istituti o scuole “speciali” per ragazzi con difficoltà di
apprendimento. Questo processo sicuramente deviante per il
bambino comincia già dai primi anni di scuola, con la
gravissima conseguenza di abbandono prima della maturità
per circa 1/3 degli studenti stranieri. Questo è il caso del
sistema scolastico tedesco.
In sunto la scuola invece di incrementare il conflitto
identitario dovrebbe placarlo, o perlomeno cercare di
difendere la prima (quella d’origine) e riprodurre la seconda
(quella del Paese ospitante), oltre che la necessità di una
pedagogia di tipo assimilazionista e paritaria.
Punto interessante è come la politica abbia reagito e continui
ad agire nei confronti di questo fenomeno globale. Quindi se
la politica è “quell’attività umana che ha come oggetto il
governo della società, cioè il mantenimento, la costruzione e
lo sviluppo dello Stato” deve occuparsi dell’integrazione di
molteplici attività come sociali, economiche e culturali.
Purtroppo per quanto riguarda il fenomeno stesso
dell’immigrazione non è sempre stato così. Innanzitutto il
principale fenomeno che ha scatenato il processo migratorio
è rappresentato sicuramente dalla globalizzazione intesa nel
senso più stretto di crescita progressiva delle relazioni e di
scambi a livello mondiale in diversi ambiti. Questo fenomeno
comporta numerose conseguenze come una deprivazione
relativa e una socializzazione anticipata ai modelli di
comportamento e ai valori dei Paesi di approdo.
In Francia si assiste ad un “assimilazionismo etnocentrico”,
poiché questo Paese alla vigilia della rivoluzione del 1789
cominciò ad industrializzarsi e di conseguenza a richiedere
un’alta quantità di forza- lavoro; così lo Stato in cambio di
lavoro estendeva tutti i diritti di cittadinanza e di
naturalizzazione. Dalla situazione odierna emergono
numerose misure particolaristiche per venire incontro alle
esigenza degli immigrati: ad esempio tutti gli edifici pubblici,
pur mantenendo la loro neutralità religiosa e politica
rispettino le diverse sensibilità culturali e religiose
In Inghilterra assistiamo ad un retaggio coloniale e un
pluralismo ineguale, si accettano gli immigrati per quello che
sono ma con la convinzione che non possano mai diventare
veri “britannici”. Nel Regno Unito l’immigrazione proviene da
Paesi lontani, principalmente ex-colonie. Oggi le comunità
più consistenti sollecitano un cambiamento nella direzione
del multiculturalismo, e le seconde generazioni contestano
un sistema che, anche se pregno di concessioni e privilegi,
relega gli individui in una posizione di diversità. Tuttavia
l’Inghilterra guarda agli immigrati come ad una risorsa
irrinunciabile, alcuni provvedimenti come la facilitazione per
la cittadinanza (legale) lo testimoniano.
In Germania vive di precarietà istituzionalizzata e
integrazione difficile, poiché gli immigrati erano considerati
solo come lavoratori ospiti la cui permanenza era limitata nel
tempo, le naturalizzazioni erano 4 volte inferiori rispetto alla
Francia. Fino al 1993 l’acquisizione della cittadinanza era
complessa anche per i giovani nati in Germania da genitori
immigrati. Solo il 1° gennaio 2000 con la “legge sulla
cittadinanza” si cominciarono a riconoscere ai giovani di
“seconda generazione” nati in Germania da genitori immigrati
l’acquisizione della cittadinanza a tutti gli effetti, e inoltre si
riconosceva finalmente il carattere immigratorio del Paese.
In Italia, paradossalmente, venne varata la prima legge in
materia già nel 1986 (Craxi- De Michelis), che largamente
influenzò quelle future. Il paradosso sta nel fatto che questo
fenomeno è cominciato solo nel secondo periodo postbellico,
per poi consolidarsi nel terzo (periodo in cui si andavano
evolvendo globalizzazione e europeizzazione). Dal secondo
dopoguerra ad oggi si è parlato poco dell’idea di Nazione, lo
stesso aggettivo “nazionale” viene percepito come nostalgico,
ed è oggetto di diffidenza e di disprezzo. Quindi l’idea di
nazione resta relativamente aperta e per questo motivo
potrebbe costituire uno strumento di integrazione non
indifferente, un altro punto a favore potrebbe essere
costituito dallo stesso retaggio di civiltà, straordinario
miscuglio di culture e popoli diversi.
Rimane tuttavia la speranza che vengano attuate vedute di
largo respiro sia in Italia che in tutti gli altri Paesi, e che le
istituzioni politiche e quelle scolastiche possano provvedere
ad una corretta integrazione e ad una giusta costruzione
d’identità; ma, visto che ogni cosa parte dal basso ovvero
dalla base di questa piramide societaria, sta a noi superare
tutte quelle barriere xenofobe alimentate dalla paura di uno
stereotipo per raggiungere la visione reale del mondo odierno:
multiculturalità e interculturalità.
Francesca Ferrante