Camminare nella Parola per discernere le parole

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Camminare nella Parola per discernere le parole
Camminare nella Parola
per discernere le parole
Sia invece il vostro parlare
“Sì, sì”; “No, no”;
il di più viene dal maligno
Matteo 5,37
Nota metodologica
Suggeriamo alcune attenzioni metodologiche per aiutare nell’utilizzo di questo
sussidio in vista di un discernimento associativo.
INIZIARE con un canto adatto, con il segno della croce e una invocazione allo Spirito Santo.
COMUNICARE ciò che dice la gente sulla parola presa in esame.
ASCOLTARE, LEGGERE E CONFRONTASI con i suggerimenti della parola di Dio, utilizzando
quanto proposto nel sussidio e, se del caso, ampliando il tema.
LEGGERE le riflessioni proposte per la nostra vita associativa e attualizzarle nel proprio contesto locale.
PRENDERE UNA O PIÙ DECISIONI che possono introdurre dei cambiamenti, anche piccoli, purché significativi, nella vita associativa e personale.
CONCLUDERE l’incontro con una preghiera di rendimento di grazie per quanto vissuto insieme e di sostegno agli impegni presi.
Hanno collaborato alla realizzazione del sussidio p. Elio Dalla Zuanna, incaricato nazionale CEI
per la vita cristiana nelle Acli; Marco Bonarini della Funzione Vita Cristiana; Andrea Olivero, Presidente nazionale Acli e responsabile Funzione Vita Cristiana; Michele Rizzi, vice Presidente vicario nazionale Acli e responsabile Dipartimento Istituzioni; Paola Vacchina, vice Presidente nazionale Acli e responsabile Funzione Formazione; Michele Consiglio, vice Presidente nazionale
Acli e responsabile Dipartimento rete mondiale Aclista; Fabrizio Benvignati, vice presidente delegato Patronato Acli; Maria Grazia Fasoli, responsabile Funzione Studi; Alfredo Cucciniello, responsabile Dipartimento Pace e stili di vita; Pier Paolo Napoletano, responsabile Funzione Sviluppo Associativo; Giuseppe Failla, segretario nazionale Giovani delle Acli; Soana Tortora, responsabile Area Legalità e Sviluppo Sostenibile.
Copertina: Ecce homo di Antonello da Messina
Presentazione
Care amiche e cari amici,
all’inizio di un nuovo anno di vita associativa, siamo a presentarvi il sussidio di animazione per la vita cristiana. Siamo pure giunti a metà del percorso
post-congressuale e ci pare importante poterlo continuare alla luce di quanto
emerso nella Conferenza organizzativa e programmatica della nostra Associazione.
Vogliamo farci aiutare da alcune parole chiavi, che ci furono indicate come
tracce per avanzare nel 21° secolo, parole che domandano pure la cura dei legami e delle relazioni. Ci pare che esse aiutino ad entrare in quell’orizzonte tematico che la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate è venuta a
delinearci; essa esprime la visione della chiesa rispetto ai cambiamenti sociali
avvenuti a partire dai tempi dell’enciclica di Paolo VI Populorum progressio.
Ora la nuova enciclica, arriva per stimolarci a pensare, a inquietarci in maniera salutare, e i giudizi sulla finanza speculativa sono severi.
Essa ci domanda una capacità critica che scaturisca dalla fede e ci spinge a
vigilare senza alcuna pretesa di infallibilità da parte nostra. È in questa prospettiva che il nostro sussidio vuole offrirsi, come un semplice strumento, per
assumere consapevolezza e migliorare la nostra “alfabetizzazione” in grado di
stimolare ragionamenti ed esperienze nuove nella nostra vita associativa.
Soprattutto vorremmo aiutarci nell’attivare e compiere un percorso di riflessione in tre passaggi. Il primo momento è di considerare ciascuna di queste
parole, per come si caratterizzano nel discorrere della gente dentro la vita di tutti i giorni. Da qui risalire e trovarne referenza nelle sante Scritture, da cui elaborare una proposta spendibile da offrire alla nostra vita associativa e di molti. In quest’ultimo passaggio ci è di aiuto quanto le singole funzioni del sistema
associativo stanno mettendo in essere.
Il sussidio vuole così essere uno strumento per le nostre realtà radicate nei
territori, un invito a cogliere le novità dentro i passaggi nodali della storia e a
pensare a quel poco o molto che sappiamo della Parola eterna e sempre nuova,
nello sforzo di non “conformarci” al pensiero del nostro tempo che tende a scolorare ogni cosa, convinti che l’automatismo del mercato ci esoneri dalla fatica
di pensare.
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CAMMINARE NELLA PAROLA
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Si tratta di fare un percorso per riscoprire la densità del Vangelo nella vita e,
in maniera corrispondente la nostra vita al Vangelo, così che le parole prese in
considerazione, diventino le piste di comunicazione e di riflessione personale,
come pure all’interno della vita associativa. Il sussidio vorrebbe attivare una sorta di circolazione e scambio, e non solo una ricerca culturale orientata più o meno in senso cristiano.
Potremo percorrere insieme un tratto di strada che aiuterà a riscoprire un
lessico che, animato dallo spirito, ci apre ad accogliere il seme del Vangelo in
grado di fecondare “queste parole” e farle diventare fondative per la propria
esperienza e progettualità aclista. Sono parole attorno a cui si costruisce il vivere civile odierno e domandano anche oggi un respiro universale ed ecumenico, invitando ad avviare una comunicazione abitata dalla spirito.
Mentre le Acli si sono impegnate nell’acquisire strumenti più efficaci con cui
costruire l’alfabeto sociale del 21° secolo, ci viene pure chiesto di immettervi un
frammento di quella speranza senza la quale nessuna strada è percorribile, perché certe posizioni e buone pratiche possano crescere e diventare forti.
Nella difficoltà dell’attuale crisi, non solo economica, il nostro compito di
cristiani, appartenenti ad una associazione cristianamente ispirata, sarà di annunciare anzitutto la speranza e la fiducia nel Signore, che non ci abbandona
mai. Il far rifiorire la speranza e il vivere nella fiducia è il primo compito che
spetta ad ogni cristiano e alla nostra chiesa.
È il servizio che l’associazione aclista può contribuire a mettere in moto, per
il bene del nostro paese, e di un’Europa accogliente e cristiana, inclusiva e non
esclusiva, capace di non avere paura e di non alzare nuovi muri di separazione.
Un paese in cui i cristiani non vivano per se stessi ma sappiano aprirsi coraggiosamente alle grandi sfide della globalizzazione.
Solo così ci pare di poter comprendere il significato di “abitare il presente”
e di stare con responsabilità dentro gli ambiti cruciali della vita sociale. Il secolo scorso ci lascia in consegna il compito di onorare e di riaffermare la responsabilità dei laici credenti impegnati nel sociale.
P. Elio Dalla Zuanna
Incaricato nazionale Cei
per la vita cristiana nelle Acli
Andrea Olivero
Presidente nazionale Acli
Responsabile funzione Vita cristiana
per discernere le parole
Inno allo Spirito Santo
Nel cuore del mondo
raccogliersi per la lode.
Nella notte
circondandosi di silenzio.
Essere nella città
sentinelle che aprono il Libro
per essere discepoli in agguato
di una parola, di un segno.
Seguire Cristo
e abitare tra gli uomini.
Tutto lasciare
per accogliere il povero.
Tenere la porta aperta
a colui che ti cerca.
Poter intendere tutti i peccati
e vivere da fratelli.
Nello straniero
sentire i tuoi passi
che si avvicinano.
Condividere il sapere e il pane.
Nella differenza
tendere la tua mano verso l’altro.
Insegnare ai bambini che in cielo
Dio solamente è il giudice.
Vivere senza paura
nella città tutta violenza.
Abitare una casa di pace.
Tradurre in pazienza
il desiderio del regno.
Così nella dolcezza
dello Spirito il tuo giorno si leva.
Fraternità Saint Paul
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1. Chiesa
La chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero (Atti 9,31)
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Nei discorsi della gente
La chiesa, comunità dei credenti in Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza degli uomini, spesso è ridotta alla sua dimensione gerarchica, al papa, ai
cardinali, ai vescovi, qualche teologo, raramente qualche laico, sicuramente negli uomini e nelle donne che vivono o hanno vissuto santamente, cioè mostrando un aspetto del Cristo vivente nella storia.
Essa viene presa in considerazione per le sue posizione morali nei campi della bioetica o dell’accoglienza degli stranieri, riguardo all’educazione dei giovani, con la fatica dovuta oggi ai casi di pedofilia che tanto hanno sconvolto le
opinioni pubbliche mondiali.
La chiesa oggi è sotto i riflettori dei mass-media, ma nella vita comune del
popolo ci sono differenti posizioni nei suoi riguardi. Molti considerano la chiesa un baluardo contro il lassismo dei costumi sociali, altri un freno verso la modernizzazione della civiltà e in particolare contro la scienza, molti le riconoscono la carità verso i poveri in cui sacerdoti e laici si distinguono per abnegazione e fedeltà.
CAMMINARE NELLA PAROLA
Possiamo dire, però, che pochi la conoscono veramente per quello che è - soprattutto nella sua vera missione: annunciare l’evangelo di Cristo - e per quello
che fa nel concreto quotidiano della vita: l’amore per i piccoli e i poveri.
Nella parola di Dio
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La comunità dei credenti in Cristo risorto è presentata negli scritti del Nuovo Testamento con caratteri che da una parte sottolineano la concordia, la carità fraterna, la fedeltà alla preghiera, la condivisione dei beni, come nei tre sommari degli Atti (2,52-47; 4,32-35; 5,12-16); dall’altra come una comunità che è
attraversata da differenze teologiche non banali (il concilio di Gerusalemme: At
15), da menzogne (At 5,1-11), da mancanza di carità fraterna (molte lettere di
Paolo). Nei confronti della società a volte è perseguitata, altre volte è accolta
con benevolenza.
Occorre notare tuttavia che il fondamento della vita comune è il riferimento all’amore di Cristo. Paolo, affrontando nelle lettere i vari problemi che le comunità gli presentano, rimanda sempre all’amore di Gesù per gli uomini e il suo
criterio principale è quello della carità fraterna (per esempio mangiare o meno
le carni offerte agli idoli, oppure se circoncidere i pagani o meno).
La duplice missione della chiesa è quella di rendere testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini che si è manifestato in pienezza nella vita di Gesù, mostrando nella concreta vita interna della comunità come la carità sia la norma
di vita dei cristiani, e intrattenendo dei rapporti di apertura e fiducia con chi
non è cristiano, per accompagnare l’umanità a riconoscere il regno di Dio che
avanza nella storia.
La prima lettera di Pietro sintetizza bene tutto questo dicendo: «E chi potrà
farvi del male, se sarete ferventi nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate
il Signore, Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1Pt 3,13-16)
per discernere le parole
Nella vita associativa
La chiesa per le Acli è innanzitutto madre, non in senso figurato e generico,
ma in senso proprio: è dall’iniziativa e nell’ambito della chiesa che le Acli sono
nate e qui hanno maturato consapevolezza della propria missione nella società
italiana, lungo più di sessant’anni di storia.
La chiesa per le Acli è poi casa, comunità di appartenenza: prima di essere
associazione di promozione sociale o sistema di servizi e imprese del terzo settore, le Acli sono infatti un movimento ecclesiale, un’associazione cristiana impegnata in ambito educativo e sociale.
Nell’appartenere alla comunità cristiana che vive ed opera in Italia, le Acli
sono chiamate a tenere desta la consapevolezza del loro specifico carisma e servizio. In questo senso è importante ricordare la vocazione ad operare per la formazione umana e cristiana dei lavoratori e dei cittadini, la capacità di facilitare
il dialogo e la convivenza tra persone e gruppi appartenenti a culture diverse, il
dono di saper operare in situazioni di confine, talvolta anche di rischio, in modo da contattare e coinvolgere anche persone che non avrebbero altrimenti occasione di sentirsi parte della comunità cristiana o di entrare comunque in contatto e collaborare con dei credenti.
Con la loro opera volta a rendere effettivi i diritti di cittadinanza e a far maturare consapevolezza dei doveri di solidarietà sociale, con la loro stessa forma
organizzativa democratica, le Acli sono tra i movimenti cristiani che maggiormente sostengono i percorsi di cittadinanza e i processi democratici nel nostro
Paese. Con i loro servizi in risposta ai bisogni delle persone e delle famiglie, con
le esperienze di cooperazione che travalicano anche i confini nazionali, le Acli
sono un volto solidale e generoso della loro Chiesa.
Le Acli, come ogni figlio, necessitano di alimento e di cura, e lo chiedono alla comunità cristiana: alle parrocchie e diocesi in cui operano, agli accompagnatori spirituali incaricati dai Vescovi, ai tanti compagni di strada (teologi, testimoni, responsabili di altre associazioni o movimenti…) con cui vivono in comunione e collaborazione. Come ogni figlio ormai grande, corresponsabile della casa comune, le Acli offrono il loro servizio e la loro specifica competenza alla chiesa: nei luoghi e nelle esperienze di lavoro, nei consigli pastorali parrocchiali, negli uffici diocesani di pastorale sociale e del lavoro, con la presenza dei
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circoli e dei servizi presso le parrocchie, con la partecipazione ai progetti e egli
eventi ecclesiali…, con una particolare attenzione all’impegno educativo per i
giovani e gli adulti.
L’impegno educativo
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In una Chiesa missionaria, posta dinanzi ad una emergenza educativa come
quella che si riscontra oggi in Italia, voi che la amate e la servite sappiate essere annunciatori instancabili ed educatori preparati e generosi; in una Chiesa chiamata a prove anche molto esigenti di fedeltà e tentata di adattamento, siate testimoni coraggiosi e profeti di radicalità evangelica; in una Chiesa che quotidianamente si confronta con la mentalità relativistica, edonistica e consumistica, sappiate allargare gli spazi della razionalità nel segno di una fede amica dell’intelligenza, sia nell’ambito di una cultura popolare e diffusa, sia in quello di
una ricerca più elaborata e riflessa; in una Chiesa che chiama all’eroismo della
santità, rispondete senza timore, sempre confidando nella misericordia di Dio.
(Benedetto XVI, discorso all’Azione Cattolica, 4 maggio 2008)
per discernere le parole
2. Cattolicesimo democratico
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge (Galati 5,22-23)
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Nei discorsi della gente
La democrazia comunemente viene intesa come supremazia del popolo. Ma
Non è una parola presente fra la gente, sembra più una parola per addetti ai lavori, per coloro che si occupano di dottrine politiche. Si può far risalire in Italia la sua prima espressione nell’opera dei congressi, che vide i cattolici impegnarsi sul piano sociale non potendo impegnarsi sul piano politico a causa della questione vaticana successiva all’unità d’Italia. Questa origine lascia un’impronta anche negli sviluppi successivi del Partito Popolare di don Sturzo e nella esperienza della Democrazia cristiana.
Il cattolicesimo democratico si caratterizza e viene riconosciuto per una particolare attenzione ai piccoli e ai poveri, alla valorizzazione dei corpi intermedi,
alla traduzione delle istanze sociali in decisioni politiche delle istituzioni.
Oggi il cattolicesimo democratico, più che essere individuato come corrente politica è un sentire diffuso che viene riconosciuto quando si realizza quella sintesi originale e innovativa tra impegno sociale e impegno politico. La gente sa riconoscere chi si impegna in questa direzione anche se non gli riconosce questo nome.
CAMMINARE NELLA PAROLA
È come se un valore di una parte del popolo si fosse diffuso in un valore di
tutti, compiendo così la propria funzione di sviluppo della cultura politica che
non può più tornare indietro, pena uno scadimento della qualità della politica.
Nella parola di Dio
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Chiaramente la parola di Dio non parla del cattolicesimo democratico in modo esplicito, ma ne parla nella sua dimensione fondativa, con quella che oggi
chiamiamo opzione preferenziale per i poveri.
La Bibbia sa bene che i poveri sono presenti nella vita sociale; la risposta che
dà a questa realtà è che i poveri vanno aiutati sempre a trovare almeno una vita dignitosa, non potendo lasciarli nell’indigenza e abbandonati a se stessi. Tutta la legislazione ebraica favorevole agli orfani, alle vedove a agli stranieri - simboli dei poveri dell’epoca - (Lev 25, Dt 24,10-22), come pure molte parabole e
detti di Gesù (Lc 16,19-31; Mt 20,1-15), nonché l’azione di Paolo (per esempio
la colletta per la chiesa madre di Gerusalemme in difficoltà) possono essere rilette con frutto per trovarvi quei criteri di discernimento che ancora sono oggi
sono validi per una azione sociale cristiana, che considera suo obiettivo lo sviluppo di tutta la persona e di ogni persona, nessuno escluso.
Le complessità della moderna società, in particolare i sistemi di protezione
sociale pubblici, non trovano riscontro nella vita sociale descritta dalla Bibbia,
ma i criteri di discernimento sono ben presenti e ancora oggi attuali. In particolare viene affermato che se uno non si prende cura del fratello in difficoltà,
attuando così la giustizia, sarà il Signore stesso che se ne prenderà cura perché
egli è un Dio pietoso (Es 22,26: «Altrimenti, quando griderà verso di me, io
l’ascolterò, perché io sono pietoso»).
È in questo mistero di pietà che si fa istanza e decisione politica, prima di
tutto di Dio e poi degli uomini di buona volontà che ascoltano la sua parola nella coscienza personale, che possiamo riconoscere l’origine etica del cattolicesimo democratico.
per discernere le parole
Nella vita associativa
Il cattolicesimo democratico, tra le sue varie connotazioni, pone un accento
forte sul concetto di comunità. Sulla possibilità delle persone di unirsi, di creare legami, formando così una rete, quasi sempre volontaria, che va a consolidare e rafforzare il tessuto sociale.
Questo slancio dato dal mettersi in rete, dal condividere bisogni ed obiettivi, supera una visione individualistica della società, per abbracciare invece
l’idea di una società che è innanzitutto “comunità”, creazione di legami forti
e duraturi.
Il pensiero cattolico democratico in questo senso è alla base della vita associativa perché crede nella forza positiva e propulsiva dei corpi intermedi, nei
quali si manifesta la capacità istituente del sociale e quell’idea di sussidiarietà
che riarticola il senso delle responsabilità e delle competenze politiche in un’ottica di prossimità e dunque di autentico servizio.
Crede nella bellezza e nell’utilità dell’associarsi: per risolvere problemi, per
compiere azioni di solidarietà ma anche di proposta politica. Crede nell’impegno e nella partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica attraverso tutte le forme possibili.
Riflettere sul cattolicesimo democratico può essere, in questo senso, un invito ad approfondire il nostro fare associativo; le motivazioni più profonde del
nostro aderire ad un’associazione. Può essere un’occasione per ripensare il nostro impegno sociale, riconducendolo alla necessità di costruire reti per rendere
più solida e creativa la nostra comunità.
L’impegno educativo
Illuminati e sorretti dall’azione dello Spirito Santo e costantemente radicati
nel cammino della Chiesa, siete provocati a ricercare con coraggio sintesi sempre nuove fra l’annuncio della salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo e la
promozione del bene integrale della persona e dell’intera famiglia umana.
(Benedetto XVI, discorso all’Azione Cattolica, 4 maggio 2008)
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CAMMINARE NELLA PAROLA
3. Vita
Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per
causa mia, la salverà (Luca 9,24)
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Nei discorsi della gente
La vita è tutto per l’uomo. Essa è al centro dei discorsi, tutti cercano il modo migliore per assicurarsi una buona vita, senza preoccupazioni materiali e con
buone relazioni affettive che aiutano negli impegni della vita: lavoro, famiglia,
partecipazione alla vita civile e politica.
L’antico detto: morte tua, vita mia, ancora oggi è un criterio per impostare
la propria vita, soprattutto quando le condizioni per una vita buona diventano
difficili: crisi economica, presenza degli immigrati, paura delle malattie, ecc.
Quando la vita è minacciata in una qualche dimensione significativa, subito
l’ansia di difendersi giustifica qualsiasi comportamento. L’avidità per accumulare beni diventa motivo sufficiente per qualsiasi azione.
La gente vorrebbe poter vivere una vita tranquilla, senza scossoni, facendo
anche del bene, raggiungendo qualche traguardo lavorativo, scientifico, artistico, politico. Tuttavia la gente, che sente di ricevere la vita come un dono e un mistero, parla poco della responsabilità dell’accoglienza e cura della vita. Sempre
meno si sente parlare della responsabilità dell’educazione dei giovani; del loro
per discernere le parole
prendersi le responsabilità della vita, dalle piccole cose della vita familiare a quelle sempre più impegnative man mano che crescono; dalla responsabilità per la vita sociale e politica che è sempre più delegata a quei pochi che se occupano a tempo pieno, a volte con scarsa considerazione della responsabilità pubblica che hanno nei confronti del popolo che li ha eletti; la scarsa coscienza degli operatori economici e finanziari per il bene comune e le conseguenze delle loro scelte.
Oggi molto si discute anche sull’origine della vita: il big-bang da cui è nato
l’universo; quando, come e perché l’uomo è diventato cosciente di sé, come generare la vita artificiale attraverso l’utilizzo del DNA. Le conquiste scientifiche
sembrano promettere molto per migliorare la vita complessiva dell’uomo, ma
anche loro necessitano di una responsabilità sempre maggiore e il criterio migliore sembra essere quello della precauzione, cioè di poter valutare con una sicurezza sufficiente le conseguenze delle scoperte scientifiche prima di farle uscire dai laboratori.
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Nella parola di Dio
La vita è creazione di Dio. I due racconti della creazione (Gen 1-2) ci parlano dell’abbondanza della vita che il Signore dispiega per far vivere l’uomo e
l’ambiente che gli è necessario per vivere. Ma la maggiore attenzione della Bibbia è per la responsabilità della relazione che si instaura con il proprio fratello.
Se la Genesi è un racconto che parla della divisione (Giacobbe ed Esaù; Giuseppe e i suoi fratelli), anche mortale (Gen 4: Caino e Abele), fra fratelli, essa
tuttavia illustra anche la possibilità di una riconciliazione (sempre Giacobbe ed
Esaù; Giuseppe e i suoi fratelli) che diventa esemplare per tutte le generazioni.
La parola dei profeti ha spesso per oggetto la mancanza di giustizia nella relazione tra persone e popoli, cui sovrintende il Signore che, soprattutto verso il
suo popolo, ma non esclusivamente, richiede un comportamento giusto (Is 5,17: «Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida degli oppressi»).
La riflessione sapienziale sulla vita ha due assi: il primo è quello della abbondanza dei beni come segno di benedizione da parte di Dio, se acquistati con
il lavoro e non con l’ingiustizia, che non può essere letto al contrario: se uno è
CAMMINARE NELLA PAROLA
nell’indigenza è perché ha compiuto il male e il Signore lo punisce per questo.
Il secondo asse è quello del criterio della sapienza: «Per acquistare una saggia
educazione, equità, giustizia e rettitudine […] il timore del Signore è il principio
della scienza» (Pro 1,3.7). Simbolo di questa sapienza è il giudizio di Salomone
che sa trovare un modo per riconoscere la vera madre del bambino conteso (1Re
3,16-28). Essere sapienti vuol dire sapersi prendere cura della vita propria e altrui contemporaneamente.
Gesù è il Signore della vita perché, da vero sapiente, ha salvato la vita di tutti salvando al contempo la sua, ricevendo la vita piena dal Padre e condividendola con tutti gli uomini.
Nella vita associativa
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La vita associativa nella sua quotidianità è un modo per dare significato alla vita tout-court.
Potremmo anzi dire con più immediatezza e puntualità: la vita associativa non
è altro dalla vita, non sta né di lato, né a fianco, né - tanto meno - al suo posto.
È molto importante comprendere fino in fondo questo legame profondo,
coessenziale e semplice (ma non semplicistico…) tra l’esperienza associativa e il
valore della vita. Dare valore all’orizzonte associativo e alle sue molteplici trame relazionali è un modo, certamente non l’unico, per affermare concretamente e sperimentare quotidianamente quel valore irrinunciabile che noi chiamiamo vita, in tutte le sue espressioni. La vita è fatta di tempo e l’associazione chiede tempo. Uno stesso tempo, per l’una e per l’altra, anche se spesso con ritmi
che non coincidono. L’intreccio tra la vita che ciascuno di noi vive e la vita che
l’associazione stessa vive attraverso le nostre vite è stretto, intimo e chiede che
una stessa consapevolezza della preziosità del vivere, di ciò che vive passi dall’uno all’altro di questi orizzonti. Ciò consente di vivere l’associazione nell’interezza di un impegno che abbraccia la persona nella sua integralità.
La vita associativa ci consente dunque di sperimentare e verificare, di discernere e di testimoniare quanto per noi vale la vita, come dono ricevuto e come dono da trasmettere, anche attraverso le relazioni, le azioni, gli obiettivi, i risultati,
i successi e (perché no?) le delusioni di cui è intessuto il nostro “fare le Acli.”
per discernere le parole
Non diversamente da tutto ciò che incontriamo nei nostri giorni, infatti, la
vita associativa è un’occasione per costruire significati, parziali e tuttavia decisivi, dare senso, cogliere opportunità, di fare bene e fare il bene. Sempre a partire dalla nostra personale responsabilità e sempre in relazione con gli altri. Ci
conferma così che la vita è un valore che si afferma o si nega dandolo, o negandolo, alle vite cioè ai volti incarnati e tangibili che nella prossimità - reale o
spirituale - ci si offrono. La vita associativa chiama la vita con i nomi che diamo a coloro che incontriamo, soprattutto i più deboli, i più fragili, i più bisognosi. È questo il nostro impegno e anche il motivo della nostra speranza di essere testimoni credibili del Signore della vita, nella nostra azione associata.
L’impegno educativo
Risvegliamo piuttosto nelle nostre comunità quella passione educativa, che
è una passione dell’”io” per il “tu”, per il “noi”, per Dio, e che non si risolve
in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi aridi. Educare è formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in
rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che,
mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e
il giudizio.
(Benedetto XVI, discorso all’Assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010)
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CAMMINARE NELLA PAROLA
4. Felicità
Ma Gesù disse: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano! (Luca 11,28)
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Nei discorsi della gente
La felicità è associata a una vita senza preoccupazioni, senza malattie, senza
conflitti e, in positivo, con la pienezza della vita in tutte le sue dimensioni. La gente ricerca la felicità, ma spesso senza trovarla, perché ripone la propria gioia in ciò
che non ha consistenza durevole. Tutti cercano una vita felice, ma la felicità, più
che un possesso di beni, è una condizione del cuore. Al centro di Roma c’è una signora africana che chiede soldi per strada, che canta i canti del suo paese e ha un
cartello con scritto ben in grande: sono povera, ma felice, fatemi la carità!
Felicità è soprattutto avere delle buone relazioni con tutti, essere voluti bene, essere rispettati nella propria dignità, non essere soggetto di ingiustizia da
parte di qualcuno: dal rispetto delle code ad essere riconosciuti nel proprio lavoro, fare un lavoro che ci piace e ci realizza, che ha un riconoscimento sociale
positivo, felicità è compiere una buona azione, prendersi cura di una persona,
sentirsi importanti per qualcuno.
I soldi non sono tutto (però se ci sono aiutano), ma l’importante è la salute:
questo proverbio indica un aspetto comune della felicità, che tuttavia non la mo-
per discernere le parole
stra ancora tutta. La gente riconosce i momenti di felicità e la vita felice di qualcuno, ma sono rari sia gli uni che gli altri.
Nella parola di Dio
Nella Bibbia la parola che viene usata per indicare la felicità è beatitudine.
Nel Salmo 1, l’uomo beato è indicato programmaticamente come colui che si
tiene lontano dai malvagi e compie la giustizia secondo la legge del Signore. La
beatitudine è segno del compiacimento di Dio nell’uomo che accoglie il Signore nella propria vita.
Le beatitudini evangeliche (Mt 5-7, Lc 6,20-38) non indicano persone con
un vita senza affanni, al contrario, tuttavia esse sono oggetto della benevolenza
del Signore che, proprio nella loro fatica di vivere, li accompagna e li sostiene
con i suoi doni di vita. Essi sono beati non perché stanno male e soffrono, ma
perché il Signore è con loro.
Giacomo, nella sua lettera, ci presenta l’uomo felice: «Chi invece fissa lo
sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come
un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà
la sua felicità nel praticarla» (1,25). La legge della libertà è il comandamento
dell’amore, che Gesù ci mostra nel suo duplice aspetto: «Il primo è: Ascolta
Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con
tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta
la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc
12,29-31).
Gesù è colui che ha vissuto in pienezza questo duplice comandamento, che
ha affidato agli uomini, fiduciosi che anche noi possiamo viverlo in qualche
modo significativo, trovando la sua stessa felicità nella comunione - che dà la
vita - con il Padre e i fratelli. Infatti Gesù può dire, alla donna che proclama
beata sua madre per aver generato un tale figlio: «Beati piuttosto coloro che
ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28), perché sa bene di cosa
sta parlando, vivendo egli stesso questa beatitudine, avendo fatto di essa la sua
ragione di vita.
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Nella vita associativa
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Il segreto della felicità è nella qualità delle relazioni.
Saremmo ingenui se volessimo costruire una ricetta preconfezionata che avesse l’ambizione di offrire le indicazioni per raggiungere la felicità.
L’ambizione di garantire la felicità ha nutrito le ideologie novecentesche, che
hanno portato ai totalitarismi comunisti e fascisti come al liberalismo senza freni.
Anche nelle società democratiche la felicità continua ad essere un desiderio. Ogni cittadino esercitando i propri diritti guadagna l’opportunità di scegliere la propria strada e con essa la possibilità di soddisfare le proprie aspirazioni. Così garantire a tutti l’equità diventa il punto di partenza. Proprio a
partire da ciò la nostra associazione si impegna perché vuole vedere realizzarsi
una cittadinanza compiuta attraverso il raggiungimento delle pari opportunità nei luoghi di lavoro ed il diritto a conciliare i tempi di vita, riconoscendo
i diritti agli immigrati nel nostro paese, iniziando a favorire una vera accoglienza alle seconde generazioni. Attraverso la promozione della famiglia,
l’eterna assente delle politiche sociali, investendo nei sistemi educativi e formativi che non sono un parcheggio di minorenni, ma il laboratorio del futuro del nostro Paese ed infine, attraverso, incentivi a tutto il sistema economico affinché vada nella direzione di un modello di sviluppo che non guardi esclusivamente al mero profitto, ma che punti alla sostenibilità ambientale, economica, sociale. Qualora tutto ciò fosse garantito saremmo, tuttavia, solo all’inizio del cammino verso la felicità. Sappiamo che il nostro impegno associativo non si esaurisce in questa dichiarazione di intenti per favorire una società più ospitale per ogni cittadino, perché il segreto della felicità è nella qualità delle nostre relazioni.
La nostra associazione, ogni suo dirigente, ogni singolo associato è chiamato a vivere quotidianamente relazioni significative che nutrono le nostre comunità. Ognuno di noi è chiamato a dare senso alla propria vita nell’incontro con
il prossimo. Siamo, allora, invitati a farci compagni di viaggio, per aiutarci vicendevolmente a rintracciare le occasioni giuste, perché la felicità non si potrà
mai garantire a nessuno, ma nasce dai sorrisi, dagli abbracci, dagli incontri, dalle parole e dagli eventi che ciascuno di noi può accogliere nella propria vita.
per discernere le parole
L’impegno educativo
Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere. Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia
il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. Ma proprio così non offriamo ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita.
(Benedetto XVI, discorso inaugurale del convegno della Diocesi di Roma,
11 giugno 2007)
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CAMMINARE NELLA PAROLA
5. Sobrietà
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi
saranno date in aggiunta (Matteo 6,33)
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Nei discorsi della gente
La scelta volontaria della sobrietà è attuata da un gruppo ristretto di persone che hanno compreso come questa scelta di vita possa essere una soluzione
per vari problemi della nostra società. Questa parola non è di molta attrattiva.
Essa indica una limitazione - di cui si fa fatica a comprendere lo scopo - nei consumi materiali, ma anche nell’utilizzo di beni strumentali come, per esempio, la
macchina, la televisione o il cellulare. Infatti il guadagno di una sobrietà di vita
non lo si vede quotidianamente, ma nel lungo periodo, liberando energie e tempo da impiegare in altro modo. Gli effetti immediati della sobrietà sono quasi
irrilevanti e nella società moderna, che corre e vuole tutto e subito, non potendo essere misurati, non vengono presi in considerazione.
Inoltre il verificare che se io sono sobrio, ma i miei vicini no, di fatto sembri
non cambiare nulla nella direzione complessiva della società, può portare alla
conclusione che è inutile la mia scelta di sobrietà.
Scegliere la sobrietà è una scelta di minoranza, ma soprattutto di minorità,
cioè di accettazione di essere da meno di coloro che mi stanno accanto. È stata
per discernere le parole
la scelta di san Francesco che ha voluto chiamare i suoi frati minori, così da renderli simili ai minori del suo tempo.
Anche oggi ci sono coloro che vivono la sobrietà non per scelta, ma per necessità, perché con lo stipendio arrivano a malapena a fine mese, e a volte i soldi finiscono anche prima, non solo per la crisi economica, ma anche perché il
lavoro è precario, mal retribuito, ecc.
La sobrietà è inoltre importante perché preserva risorse per le future generazioni. Anche qui la visibilità di questo guadagno è nel pensiero delle persone,
dunque di non immediato riscontro.
Nella parola di Dio
Nella Bibbia non si parla di sobrietà, ma di scelta per la povertà, ed è un concetto che si sviluppa soprattutto nel Nuovo Testamento. Infatti la povertà nell’Antico Testamento non era ricercata di per sé, né era considerata un segno positivo di ascesi. Il Signore era tuttavia vicino ai poveri, e i poveri, ma non solo,
vengono invitati a cercare l’umiltà: «Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà» (Sof 2,3).
Gesù si presenta come colui che sceglie la povertà («Il Figlio dell’uomo non
ha dove posare il capo», Lc 9,58) e l’umiltà («Prendete il mio giogo sopra di voi
e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita», Mt 11,29). A partire da Gesù e dal suo invito ad andare in missione
senza contare su particolari mezzi materiali, ma presentandosi come un povero
che annuncia la buona novella (cfr. Lc 9,1-4), la sobrietà/povertà è diventata una
libera scelta per i discepoli di Gesù, ma occorre sempre confrontare la sobrietà
con lo scopo del proprio agire: stare con i poveri per accogliere con loro la salvezza che viene dal Signore.
Paolo, che si faceva vanto di non dipendere da nessuno, ma di poter annunciare il vangelo con la libertà che gli derivava dal lavoro delle proprie mani,
quando invita i Corinti a partecipare con generosità alla colletta in favore della chiesa madre di Gerusalemme in difficoltà, li esorta presentando l’esempio di
Gesù: «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi
per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).
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CAMMINARE NELLA PAROLA
Nella vita associativa
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Sobrietà è, nella sua etimologia, il rifiuto di diventare ebbri, ubriachi.
Indica dunque una scelta, una responsabilità agíta attraverso il discernimento.
Non è scelta negativa, di rinuncia, ma positiva: tra l’alienazione e la mercificazione del sé, dei propri bisogni, dei propri desideri e il pauperismo estremo
possiamo scegliere la piena coscienza di sé, delle proprie azioni, il senso del limite, la sobrietà.
Il nostro è più che mai tempo di contraddizione: chi ha molto o troppo, e chi
ha troppo poco o nulla. I primi sono una minoranza sempre più ristretta e sempre più privilegiata, i secondi sono sempre di più e sempre più poveri. Ma sono
resi ancora più poveri dal desiderio di assomigliare a chi ha di più. La bramosia li rende ebbri, disponibili a barattare la propria vita per denaro, a diventare
schiavi, manovali di traffici illeciti e criminali, o “solo” a diventare furbi, a prendere scorciatoie per arrivare più in alto e più in fretta, non guardando niente e
nessuno se non il proprio interesse immediato.
Ecco allora che, anche nelle Acli, educare alla sobrietà è compito irrinunciabile. Sta nella natura stessa dell’essere associazione: superare l’individualismo e
unirsi per promuovere relazioni di giustizia, per prenderci in mano la vita delle
persone che abitano le nostre comunità, per leggere i loro bisogni e, insieme, trovare le strade per realizzare condizioni di vita migliori per tutti. Contribuire, certo, a che tutte le persone abbiano garantiti i beni necessari per vivere in modo
dignitoso, ma anche che tutte le persone ritrovino la gioia e la libertà di realizzare le proprie vite tornando ad essere, con le loro differenze e diversità, con le
loro relazioni, al centro dello sviluppo umano.
Educare alla sobrietà è dunque educare alla cittadinanza attiva, misurare i
diritti di tutti con i propri, promuovere partecipazione e crescita di comunità,
economia e collaborazione solidale. A partire dai luoghi che abitiamo, dai quartieri delle nostre città, dai nostri paesi, dai nostri circoli, dai gruppi di acquisto
solidali o dalle cooperative che contribuiremo a realizzare. Con lo sguardo ad
una globalizzazione nella quale non prevalgano le leggi rapaci della finanza, ma
quelle della solidarietà.
per discernere le parole
L’impegno educativo
Anche in Italia la presente stagione è marcata da un’incertezza sui valori, evidente nella fatica di tanti adulti a tener fede agli impegni assunti: ciò è indice di
una crisi culturale e spirituale, altrettanto seria di quella economica. Sarebbe illusorio - questo vorrei sottolinearlo - pensare di contrastare l’una, ignorando
l’altra. Per questa ragione, mentre rinnovo l’appello ai responsabili della cosa
pubblica e agli imprenditori a fare quanto è nelle loro possibilità per attutire gli
effetti della crisi occupazionale, esorto tutti a riflettere sui presupposti di una vita buona e significativa, che fondano quell’autorevolezza che sola educa e ritorna alle vere fonti dei valori. Alla Chiesa, infatti, sta a cuore il bene comune,
che ci impegna a condividere risorse economiche e intellettuali, morali e spirituali, imparando ad affrontare insieme, in un contesto di reciprocità, i problemi e le sfide del Paese.
(Benedetto XVI, discorso all’Assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010)
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CAMMINARE NELLA PAROLA
6. Ecologia
Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò
messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai
(Luca 13,8-9)
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Nei discorsi della gente
Oggi l’ecologia è al centro dei discorsi perché i cambiamenti climatici, provocati anche dall’uomo, e l’inquinamento che dipende solo dall’uomo, minacciano la vita sul pianeta. Molti si chiedono cosa fare per ridurre o eliminare questi rischi, senza dover rinunciare a un tenore di vita molto elevato per buona
parte dei cittadini dell’occidente e delle classi dirigenti dei paesi emergenti, che
vede tuttavia i poveri del mondo subire i maggiori danni a causa di siccità, inondazioni, mancanza d’acqua, deforestazione, desertificazione, ecc.
Tutti chiedono delle politiche globali, ma occorrono anche dei comportamenti individuali e nel frattempo i disastri ambientali aumentano. Le persone
si sentono impotenti perché i problemi sono globali, e tuttavia desiderano poter partecipare in qualche modo ad azioni che possano risolvere i problemi ecologici.
Ci sono poi problemi locali con implicazioni globali e problemi globali con
ricadute locali: le persone, tranne gli addetti ai lavori, in genere non distinguono queste diverse tipologie di problemi che richiedono politiche e inter-
per discernere le parole
venti di natura diversa e si crea così ancora più confusione e incertezza nelle
opinioni pubbliche.
Nella parola di Dio
La Bibbia presenta, nei racconti di creazione di Gen 1-2, una alleanza tra
l’uomo e la creazione. L’uomo vertice della creazione è chiamato dal Signore a
coltivare e custodire la terra (Gen 2,15: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse»). La terra è chiamata a dare i suoi frutti per il sostentamento dell’uomo, e l’uomo è chiamato
a coltivare e custodire la terra affinché questa possa dare i suoi frutti. È una reciproca alleanza che richiede da parte dell’uomo una sapienza di vita. Infatti
l’eccessivo sfruttamento delle risorse energetiche, delle materie prime e degli
alimenti, se può dare dei benefici nell’oggi, produce danni per il futuro. Qui si
richiede un discernimento che coinvolga non solo la generazione presente, ma
anche quelle future.
San Paolo ha una visione globale della natura, dell’uomo e del persistere del
peccato: «La creazione infatti è sottoposta alla caducità - non per sua volontà,
ma per volontà di colui che l’ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa
creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà
della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,20-21), ma anche della speranza che viene
da Dio che salva.
Dobbiamo sentirci parte, noi uomini e la natura (ognuno con la propria specificità), di una alleanza che ci vede reciprocamente impegnati per giungere all’accoglienza del regno di Dio, regno di giustizia e di pace. Gli uomini con la loro libertà e responsabilità sono chiamati a prendersi cura della natura, e la natura, per sua vocazione, è chiamata a produrre in abbondanza ciò che serve alla vita dell’uomo. Si giungerà così alla Gerusalemme che scende dal cielo in cui
non ci saranno più né lamento né affanno. Vi sarà anche «un fiume di acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dall’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guidare le nazioni» (Ap 22,1-2). Anche la salute del-
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CAMMINARE NELLA PAROLA
la natura dipende dalla salvezza che viene da Dio, in quanto è un dono per la
vita dell’uomo.
Nella vita associativa
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Siamo in ritardo. Non solo nel nostro mondo associativo, ma più in generale. Siamo “costretti” a mettere in atto, e con urgenza, comportamenti e azioni
di tipo riparativo, così come per altri fenomeni e problematiche di rilevanza sociale. Ci lasciamo “sorprendere” dagli stessi problemi che abbiamo generato con
anni di noncuranza. Ci è stata consegnata la terra come dono-da-abitare e, anziché custodirla l’abbiamo sottoposta ad ogni tipo di sfruttamento. Se definiamo la terra come un «organismo vivente ad alta complessità e umanamente denso», essa è un’opera d’arte, forse la più alta, la più corale che l’umanità abbia
mai espresso. Nasce dalla fecondazione della natura da parte della cultura, è il
prodotto di una relazione tra l’uomo e l’ambiente nel tempo lungo della storia.
Il nostro intervento è stato costantemente di protesi; la nostra civilizzazione tecnologica, nella corsa a costruire una seconda natura artificiale, si è progressivamente liberata del territorio, trattandolo come superficie insignificante da occupare, seppellendolo di oggetti, opere. Così la terra, come ambiente dell’uomo
che vi abita, appare moribonda. Risale agli anni ’50, con il processo di fordizzazione accelerata, l’inizio della nostra disattenzione ai luoghi e alla loro cura,
incidendo pesantemente sulla conformazione dell’ambiente e della comunità,
determinando così anche la qualità della vita delle persone, le relazioni tra donne e uomini chiamati invece a conservare il creato come bene “consegnato” e
da “consegnare” alle future generazioni.
Sembra indifferibile che le politiche sociali, ma anche le azioni e le iniziative
di associazioni come le Acli, si orientino, attraverso specifiche progettualità sociali e di comunità, verso nuove relazioni fertili fra insediamento urbano e ambiente, fra relazioni del quotidiano e vita delle persone, tra qualità della vita e
rispetto/custodia del creato, tra nuovi stili di vita nell’abitare e capacità educative delle nostre comunità.
È qui che le Acli hanno un grande, duplice compito: da una parte fare politica, cioè consegnare alla politica le domande e le questioni del vivere, del futu-
per discernere le parole
ro che lasciamo a tutti i figli della terra, e non pensando solo ai nostri piccoli
“ghetti” industrializzati; dall’altra il lavorio educativo che è proprio delle Acli
e cioè essere tessitori di relazioni giuste, «buoni compagni di viaggio», maestri
saggi e pazienti verso le nuove generazioni. Un lavoro di cura per le persone e
per la madre terra.
«Per chi oggi assume delle responsabilità, la domanda non è come me la cavo più o meno bene in questa vita, ma: quale sarà la vita per la generazione che
viene? Solo da questa domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni feconde» (Bonhoeffer, Resistenza e resa).
L’impegno educativo
Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e
spirituale. Infatti, quando sono finalizzate allo sviluppo integrale della persona
e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano
occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani. È pertanto necessario che, in questa
nostra epoca - in cui si avverte urgente l’esigenza di educare le nuove generazioni -, la Chiesa continui a sostenere lo sport per i giovani, valorizzando appieno anche l’attività agonistica nei suoi aspetti positivi, come, ad esempio, nella capacità di stimolare la competitività, il coraggio e la tenacia nel perseguire
gli obbiettivi, evitando, però, ogni tendenza che ne snaturi la natura stessa con
il ricorso a pratiche persino dannose per l’organismo, come avviene nel caso del
doping. In un’azione formativa coordinata, i dirigenti, i tecnici e gli operatori
cattolici devono considerarsi sperimentate guide per gli adolescenti, aiutandoli
a sviluppare le proprie potenzialità agonistiche senza trascurare quelle qualità
umane e quelle virtù cristiane che rendono la persona completamente matura.
(Benedetto XVI, messaggio per il seminario di studi “Sport, educazione, fede:
per una nuova stagione del movimento sportivo cattolico”, 3 novembre 2009)
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CAMMINARE NELLA PAROLA
7. Etica pubblica
Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno (Matteo 5,37)
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Nei discorsi della gente
In Italia, l’etica pubblica, è un tema particolarmente sentito. Da sempre in
Italia gli scandali degli amministratori pubblici hanno un tasso percentuale maggiore che negli altri paesi europei. È una caratteristica degli italiani che provoca indignazione in una parte sempre più consistente dei cittadini; una indifferenza, accompagnata dalla disillusione, in un’altra parte: «tanto sarà sempre così»; e in una terza parte una complicità di chi se ne approfitta per i propri affari privati o di criminalità organizzata.
Sembra una malattia tipica di noi italiani cui non riusciamo a trovare una
cura adeguata, che consiste nell’avere una maggiore consapevolezza del significato dello Stato e della sua funzione nei confronti dei cittadini.
Molti si attendono tutto dallo Stato e non fanno nulla di quello che è possibile per migliorare la situazione: continuano a chiedere e ottenere favori per il
lavoro, per gli appalti, per accedere a un servizio dovuto. Già Leon Battista Alberti affermava: «Da natura l’amore, la pietà a me fa più cara la famiglia che
cosa alcuna. E per reggere la famiglia si cerca la roba; e per conservare la fami-
per discernere le parole
glia e la roba si vogliono amici, co’ quali ti consigli, i quali t’aiutino a sostenere e fuggire avverse fortune; e per avere con gli amici frutto della roba, della famiglia e dell’amicizia, si convene attenere qualche onestanza e onorata autorità»
(Libri della famiglia, 1443).
Fin da allora la pubblica amministrazione era considerata, dalle classi dirigenti, al proprio servizio e non viceversa. Sembra che non sia cambiata di molto la cultura italiana e tuttavia c’è sempre stata una parte del popolo italiano
che vuole vivere un rapporto diverso con l’autorità pubblica.
Nella parola di Dio
Nell’Antico testamento sono molte le prese di posizione a riguardo di un’etica pubblica. Già il re è presentato non come uno che dominava sul popolo, come accadeva nei popoli vicini ad Israele, ma come un fratello che, con sobrietà
di mezzi e alleanze, avrebbe governato nella giustizia e per il bene del popolo.
Per fare questo avrebbe dovuto meditare ogni giorno la legge del Signore: «egli
la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore, suo Dio,
e a osservare tutte le parole di questa legge e di questi statuti, affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi, né a destra né a sinistra, e prolunghi così i giorni del suo regno, lui e i
suoi figli, in mezzo ad Israele» (Dt 17,19-20).
Allo stesso modo i giudici sono chiamati a non fare preferenze né per il ricco, cosa abbastanza ovvia, ma anche per il povero («Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia» Lev 19,15; cfr. Es
23,6; Dt 1,17).
Anche i profeti sono chiamati a una loro etica. Il profeta è colui che parla
per conto di Dio, pertanto se: «avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel
profeta dovrà morire» (Dt 18,20), perché dalla parola del profeta dipende la
conversione, la vita e la morte del popolo. Il profeta infatti quasi sempre è mandato dal Signore per annunciare al popolo di convertirsi dal suo peccato e ritrovare la via della giustizia, altre volte è mandato a consolare il popolo che at-
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CAMMINARE NELLA PAROLA
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traversa un periodo avverso, esortandolo a continuare ad avere fiducia nel Signore che verrà a salvarlo.
Nel Nuovo Testamento si richiede a tutti gli uomini, e dunque anche a quelli che hanno incarichi pubblici, di pronunciare una parola vera. Se è vero che
quasi nessun cristiano all’epoca del Nuovo Testamento aveva incarichi pubblici nell’impero di Roma, tuttavia già Paolo esortava i cristiani a non sottrarsi all’onere giusto di pagare le tasse (Rm 13,1-7) non per timore della punizione, ma
per ragione di coscienza.
Paolo esorta i Filippesi ad: «essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti
in mezzo a una generazione malvagia e perversa» (Fil 2,15). Inoltre si rivolge a
Timoteo, dopo aver descritto la generazione a lui attuale, e sembra una descrizione molto attuale, a rimanere saldo nelle Scritture (il nostro Antico Testamento) da lui conosciute fin da bambino: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile
per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo
di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3,1-17)
Pietro, nella sua prima lettera, esorta i cristiani «a rispondere a chiunque vi
domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1Pt 3,15-16). Anche questo è etica
pubblica.
Nella vita associativa
Incarichi associativi e lavoro, parentele ed eletti, interessi privati e bene comune, retribuzioni e continenza, rapporto tra volontariato e lavoro retribuito,
potere democratico e diritti della democrazia. Questi concetti possono sembrare slegati ed amorfi, in realtà sono alcuni dei concetti con i quali, sul versante
dell’etica pubblica, si confronta ogni giorno l’associazionismo.
La buona notizia: in Italia l’associazionismo è forte e radicato, si potrebbe
dire è una componente stabile e riconosciuta delle Comunità, è un valore positivo. La cattiva notizia: sotto la corteccia di una visione idilliaca,
l’associazionismo nasconde alcune tossine che non sono presenti nemmeno nel
mondo degli affari, molto spesso quindi è un mondo pervaso da forti ipocrisie.
Perché? Forse perché una visione idilliaca dell’associazionismo, il forte inve-
per discernere le parole
stimento etico che pervade chi partecipa, fa, dirige un’associazione sono sonniferi molto forti rispetto ad un insieme di virtù, principi e regole che invece
sembrano basilari quando ci si confronta, anche nell’associazionismo, con altri “valori”: il potere, il profitto, il denaro, ecc. Proprio per questo anche
l’associazionismo avrebbe bisogno di definire, recuperare, salvaguardare l’etica
pubblica, una sua etica pubblica. Un po’ perché l’associazionismo nel nostro
sistema sociale ha un valore “pre-politico” notevole, ed una volta che l’etica
pubblica “salta” in questo contesto di “base” è difficile poi richiederlo in contesti dove situazioni, dimensioni, oggetti espongono molto di più ad un’etica
individualista, un po’ perché l’associazionismo a sua volta è motore di una serie di attori sociali (imprese a vocazione sociale, servizi, cooperative, cooperazione) che possono comportare un risultato sociale solo se costruiscono le loro opere in un contesto di attenzione al bene comune più che al proprio tornaconto.
Ma come definire un’etica pubblica dell’associazionismo? Alcuni elementi
sono legati alle regole “dello stare insieme”: un’associazione è eticamente coerente, ad esempio, quando tende all’inclusione, non alla divisione. Un esercizio
della democrazia è differente da un esercizio di potere: la democrazia vive sulla
partecipazione, di tutti, non sulle maggioranze e minoranze (quello è un modo
per decidere). Spesso l’associazionismo alle volte se ne dimentica. Nell’associazionismo ci vuole poi coerenza tra i comportamenti degli associati e lo spirito,
i valori, il programma sociale. Non c’è nulla di eticamente sbagliato che si tengano alcuni comportamenti in un’associazione di imprenditori, forse gli stessi
non sono eticamente corretti in una associazione di lavoratori. Più si è “emblema” di un’associazione, più gli altri membri, la società dovrebbero poter osservare coerenza tra quanto si dice e quanto si fa…
Un secondo elemento fondamentale è non pensare che l’associazionismo non
abbia bisogno di regole, in quanto i suoi valori fondativi lo mettono al riparo
in re ipsa sia dai “cattivi maestri” sia, diciamolo, dai “mariuoli”. Né l’uno, né
l’altro: le regole servono a definire cosa eticamente è lecito e cosa no, questo vale per qualsiasi forma organizzata. Per fare questo gli strumenti non mancano:
codici etici, carte dei valori, sistemi di garanzia servono, e molto spesso sono
presenti da tempo, nel mondo degli affari. Allo stesso mondo servono, ma sono molto meno presenti, nel mondo dell’associazionismo.
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CAMMINARE NELLA PAROLA
Forse l’associazionismo ha bisogno, in relazione all’etica pubblica, in certo
senso, di passare molto più spesso dalle “parole” ai “fatti”. Un sfida che va
colta ancor di più oggi perché l’associazionismo, visti i vuoti dell’etica pubblica della politica e di molte istituzioni, in alcuni territori dovrebbe essere la “riserva” di capitale sociale per ricostruire l’una e l’altra con “mattoni” completamente diversi.
L’impegno educativo
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In una società globalizzata, l’educazione deve mirare all’unità della famiglia
umana e al suo sviluppo nel bene, al fine di favorire una cultura rispettosa delle persone e delle comunità e aperta alla trascendenza. Una simile educazione
può servire concretamente il processo d’integrazione planetaria. L’urgenza di
educare alla cittadinanza attiva e responsabile (cfr. Benedetto XVI, Caritas in
veritate, n. 42), si coniuga con lo sviluppo armonioso della personalità di ogni
uomo chiamato a vivere non solo con gli altri, ma anche per gli altri.
(Mons. Zani, sottosegretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica,
intervento alla 35° sessione della Conferenza generale dell’UNESCO,
9 novembre 2009)
per discernere le parole
8. Rete
Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma
vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto
conoscere a voi (Giovanni 15,15)
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Nei discorsi della gente
Le reti sfuggono allo sguardo delle persone, pur essendo presenti nella vita
moderna in maniera massiccia. In particolare le reti dei trasporti e quelle delle
comunicazioni sono vitali per la vita globale, e la gente si accorge della loro presenza quando non funzionano, per esempio per un’eruzione vulcanica. Esse assorbono molte energie per funzionare e danno lavoro a molta gente.
Ci sono poi le reti relazionali, che possono essere al servizio della vita, tramite la solidarietà organizzata o meno, oppure della morte, con le organizzazioni criminali e le loro svariate attività illecite, che vengono comunque utilizzate dalla
gente: prostituzione, droghe, riciclaggio di denaro, usura, ecc. Nelle reti di relazioni ha un posto importantissimo la famiglia e la rete amicale, che costituiscono
la rete naturale in cui vivere e in cui sentirsi accolti, promossi e riconosciuti.
Anche per le reti poco si parla delle responsabilità delle persone. Se per le
grandi reti ci sono responsabilità pubbliche per farle funzionare, per quelle relazionali ognuno è chiamato in prima persona a una responsabilità con il proprio comportamento giusto e misericordioso.
CAMMINARE NELLA PAROLA
Nella parola di Dio
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La Bibbia non parla di reti, ma di relazioni. Essa presenta l’uomo come un
essere che nasce da una duplice relazione: con Dio e con la propria famiglia, genitori e fratelli (se ci sono). Se la relazione viene prima della persona, la qualità
della relazione è affidata alla responsabilità di ognuno e nella Bibbia essa ha il
nome di giustizia, che è una virtù prima di tutto relazionale, non solo e non tanto distributiva di beni. È la vita del fratello che mi è necessaria per vivere. Caino, una volta ucciso Abele, si ritrova solo e fuggiasco sulla terra, timoroso di essere ucciso a sua volta (Gen 4).
Tutta la legislazione di Israele ha lo scopo di aiutare a costruire relazioni giuste con Dio e con i fratelli. Il decalogo, nelle sue tre parti, indica all’uomo la via
per una giusta relazione con Dio (prima parte: Es 20,1-7; Dt 5,6-11), nella vita
della famiglia (seconda parte: Es 20,8-12; Dt 5,12-16); nella vita sociale (terza
parte: Es 20,13-17; Dt 5,17-21). Ma la legge nasce dal Signore, che è colui che
si presenta come il salvatore dalla schiavitù d’Egitto. Dio è il primo che si mette in relazione con l’uomo come colui che gli dà la vita. E il Decalogo si conclude con l’invito ad educare il proprio desiderio di vita così che non sia a discapito di ciò che è necessario al fratello per una vita degna: «non desidererai
… alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
Anche il Nuovo Testamento si muove nella stessa linea, invitando i cristiani, ma con essi ogni uomo di buona volontà, a vivere relazioni giuste. Paolo afferma che «Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il tuo prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!» (Gal 5,14-15). E prosegue illustrando in sintesi le due logiche del mondo: «Del resto sono ben note
le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie,
inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi
le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore,
gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;
contro queste cose non c’è Legge» (Gal 5,19-23).
Le vere reti utili e necessarie sono quelle che aiutano a prendersi cura e a promuovere la vita del prossimo.
per discernere le parole
Nella vita associativa
Sono oltre 20 anni che nelle Acli c’è la consapevolezza di essere una “rete”
di relazioni, una rete associativa e territoriale. Prima ancora che si iniziasse a
parlare di “internet” - la rete per antonomasia - le Acli avevano l’auto-comprensione di essere una rete e, al contempo, un sistema complesso. Successivamente si è poi sviluppato un cammino di riflessione sulla “governance” di questo sistema plurale e reticolare, fatto di tante associazioni, servizi e imprese, con
una capillare diffusione territoriale.
Ora un sistema ricco e articolato deve essere governato con intelligenza, altrimenti perde la sua vitalità e corre il pericolo di diventare sterile e ingombrante.
Per ogni organismo che è organizzato secondo un modello a rete valgono sostanzialmente le stesse regole. Una soprattutto: la relazionalità della rete funziona soltanto se i collegamenti (link) sono sempre attivi; qualora un nodo o un
collegamento fosse interrotto, l’informazione (o il coordinamento) non passerebbe e la relazione sarebbe impossibile. Dal Vangelo a internet, passando per
le Acli, vale sempre la stessa legge: la reticolarità della vite, nei cui tralci scorre
la medesima linfa, non è distante - come si vede - né dall’immagine di internet,
né da una realtà associativa come quella aclista.
Le Acli stanno oggi lavorando per una più efficace governance di sistema come governance territoriale. Il centro gravitazionale verso cui devono convergere tutti gli sforzi e le iniziative del sistema è indubbiamente la mission unitaria
che abbiamo come Acli.
Non siamo certamente ancora riusciti nell’intento, ma importanti passi in tale direzione sono stati compiuti. Stiamo imparando a comprendere che gli elementi fondamentali della governance non sono solo il decentramento e la sussidarietà, ma anche il coordinamento e la co-progettazione. È in questo senso
che la democrazia associativa su cui le Acli hanno insistito negli ultimi anni deve ora essere completata con i criteri e le forme partecipative che sono propri
della democrazia deliberativa.
Pensiamo che le opere debbano essere il luogo e lo strumento per realizzare
questo ambizioso obiettivo di convergenza dinamica dove la governance di sistema si fa anche governance di territorio e non si esaurisce nei formalismi delle procedure burocratiche ma va al cuore dei problemi da affrontare con una lo-
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CAMMINARE NELLA PAROLA
gica di innovazione, sperimentazione e corresponsabilità, secondo quello che è
il metodo aclista di sviluppo associativo.
L’impegno educativo
38
In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche
della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo
contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella
vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare […] Quando in
una società e in una cultura segnate da un relativismo pervasivo e non di rado
aggressivo, sembrano venir meno le certezze basilari, i valori e le speranze che
danno un senso alla vita, si diffonde facilmente, tra i genitori come tra gli insegnanti, la tentazione di rinunciare al proprio compito, e ancor prima il rischio
di non comprendere più quale sia il proprio ruolo e la propria missione. Così i
fanciulli, gli adolescenti e i giovani, pur circondati da molte attenzioni e tenuti
forse eccessivamente al riparo dalle prove e dalle difficoltà della vita, si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente
dentro di loro, come davanti alle attese e alle sfide che sentono incombere sul
loro futuro.
(Benedetto XVI, discorso all’Assemblea generale della CEI, 28 maggio 2009)
per discernere le parole
9. Europa
Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma (Romani 1,14-15)
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Nei discorsi della gente
La costruzione dell’Unione Europea è stata una grande fortuna per l’Europa
uscita dilaniata da secoli di guerre per il predomino di una nazione sulle altre.
La pace che c’è stata in questi ultimi 65 anni ha permesso un grande sviluppo
economico di cui hanno beneficiato i paesi ricchi e quelli meno ricchi, in particolare l’Italia è entrata a far parte delle nazioni più sviluppate.
Gli italiani sono sempre stati per l’Europa, e hanno fatto sacrifici notevoli
per entrare nella moneta unica. Tuttavia nei confronti dell’Europa c’è un sentimento ambivalente. Essa è un’occasione per modernizzare l’Italia e soprattutto
la sua etica pubblica, per poter accedere alle risorse e a una rete di solidarietà,
che aiuta anche lo sviluppo delle nostre aziende e della nostra economia. D’altra
parte l’Europa è vista come un vincolo che non ci permette di continuare a vivere come sempre, in cui si esalta il nostro genio individuale al servizio del paese o dei propri interessi individuali.
Se l’euro è stato visto come un fattore di inflazione, è poco riconosciuto ad
esso un valore di stabilizzazione del valore dei prezzi, che ha costretto l’Italia a
CAMMINARE NELLA PAROLA
non dover svalutare la propria moneta per competere nel mondo globalizzato,
spingendola a una crescita della produttività per migliorare il rendimento dell’economia nazionale.
L’Europa avrebbe potuto essere un fattore importante per sconfiggere la criminalità organizzata del sud, ma questa ha invece saputo sfruttare anche i finanziamenti europei a proprio vantaggio.
L’opinione nei confronti dell’Europa varia a seconda dei territori: nord, centro e sud, ed è in relazione con i vantaggi e i vincoli che essa produce per ogni
territorio.
Nella parola di Dio
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Rispetto al mondo ebraico l’Europa era un territorio periferico. Solo con
l’affermarsi della cultura ellenistica e dell’impero romano gli Ebrei si sono confrontati con la cultura occidentale.
Nel suo terzo viaggio missionario Paolo ha una visione: «era un Macedone
che lo supplicava: Vieni in Macedonia ed aiutaci! Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse
chiamati ad annunciare loro il Vangelo» (At 16,9-10). Paolo si presenta come
un immigrato dall’oriente che arriva prima a Filippi e poi, scendendo a sud, ad
Atene e Corinto, per annunciare l’evangelo di Dio. Il suo impatto con i Greci
non è facile. Il discorso all’Areopago di Atene mostra la difficoltà dell’annuncio
della resurrezione per una mentalità razionale come quella dei filosofi greci. E
tuttavia Paolo non si scoraggia e continua il suo viaggio missionario.
È la prima inculturazione dell’evangelo, preceduta dallo sforzo dell’autore
del libro della Sapienza, scritto direttamente in greco per ebrei di cultura greca.
Paolo deve trovare i ponti di comunicazione con i suoi nuovi interlocutori che
non conoscono le Scritture, ma desiderano conoscere la salvezza che viene da
Dio. Il suo intento è quello di far vedere come Dio ama tutti gli uomini, anche
i gentili, elaborando una teologia dell’alleanza che vede gli ebrei e i gentili partecipare alle promesse di Dio (cfr. Rom 9-11) ognuno con la propria specificità
e storia. In Cristo gli uni e gli altri sono accolti per accedere alla vita nuova che
ha come regola l’amore per il fratello, sintesi di tutta la Legge e i Profeti.
per discernere le parole
In un certo senso Paolo è costretto, a contatto con l’Europa, ad accelerare
quel processo, già iniziato con l’apertura ai pagani da parte di Pietro (At 10), di
lasciare alcuni aspetti della sua tradizione religiosa, per accedere al nucleo essenziale per la salvezza di ogni uomo, ebreo o gentile: credere in Gesù Cristo,
morto e risorto per il perdono dei peccati di tutti gli uomini.
Noi italiani, eredi della cultura romana e di quella ellenistica, abbiamo accolto anche questa dimensione di fraternità e accoglienza universale che viene dal
cristianesimo, e ne abbiamo fatto un carattere della nostra cultura, solo ultimamente messo in discussione dalla presenza umile e preziosa degli immigrati.
Nella vita associativa
L’Europa pur tra mille contraddizioni va consolidandosi come “luogo” unico e unitario, non solo dal punto di vista degli scambi economici e della moneta, ma da quello sociale, culturale e politico.
La crisi ha evidenziato questo dato come una imprescindibile necessità, mentre i comportamenti, le abitudini e gli stili di vita dei giovani ce lo restituiscono
già come un dato di fatto.
Sono proprio le giovani generazioni, infatti - quelle del “dopo muro” di
Berlino, che non ricordano la vecchia lira ed hanno in tasca un passaporto
europeo - a rappresentare concretamente cosa voglia dire sentirsi “cittadini
europei”.
Sono soprattutto le terze e quarte generazioni - figlie e nipoti dell’emigrazione italiana, non più emigranti ma cittadini “pieni” del Paese in cui vivono a fornirci il quadro dei cambiamenti intercorsi, a confermarci che l’Europa è una
realtà e non più una speranza o un sogno. A ribadirlo, sono le domande e i bisogni di un numero sempre crescente di persone - giovani, donne, famiglie intere - che si muovono oggi in Europa: si stima in circa 15 milioni la “mobilità”
dei cittadini europei nell’area comunitaria, mentre sono 35 milioni i “migranti” che arrivano in Europa dai paesi extracomunitari.
Si pongono in questo quadro questioni che attengono alla costruzione di una
nuova “cittadinanza” europea soprattutto per ciò che riguarda l’eguaglianza dei
diritti in materia di lavoro e protezione sociale, sanitaria, assistenziale.
41
CAMMINARE NELLA PAROLA
A questo fondamentale e necessario compito, le Acli - che nei diversi paesi
europei hanno tutelato, rappresentato, promosso e valorizzato la nostra emigrazione - possono e vogliono oggi concorrere, proponendosi come un “soggetto sociale”, forte del proprio radicamento popolare e in grado di avviare percorsi nuovi, che promuovano insieme il valore sociale e politico della società civile e la creazione di una Europa dei popoli.
Le Acli - “sentinelle del territorio” perché in grado di leggere i bisogni e le
aspettative delle persone che incontrano, indipendentemente dalla loro nazionalità - fanno parte della storia e del futuro dell’Europa, continuando a seguirne le rotte di sviluppo, ieri verso nord oggi verso oriente. Le nuove presenze delle Acli nell’Est europeo e nei balcani con il Patronato e Ipsia rappresentano infatti un ulteriore impegno nella direzione di costruire un’Europa con eguali diritti, senza muri sociali e culturali, in grado di valorizzare i processi di partecipazione attiva e democratica.
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L’impegno educativo
Con l’opera educativa, la famiglia forma l’uomo alla pienezza della sua dignità secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella sociale. La famiglia, infatti, costituisce «una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico
adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società».
Esercitando la sua missione educativa, la famiglia contribuisce al bene comune
e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno. Le persone sono aiutate in famiglia a crescere nella libertà e nella responsabilità, premesse indispensabili per l’assunzione di qualsiasi compito nella società. Con l’educazione, inoltre, vengono comunicati, per essere assimilati e fatti propri da ciascuno, alcuni valori fondamentali, necessari per essere cittadini
liberi, onesti e responsabili.
(Compendio della dottrina sociale della chiesa, n. 238)
per discernere le parole
10. Futuro
Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti
i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni (Gioele 3,1)
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Nei discorsi della gente
Sembra che oggi sia più difficile di un tempo pensare al futuro. Le ideologie
avevano una prospettiva che guardava a tempi lontani per costruire una società
migliore di quella presente. Oggi l’ideologia dominante del mercato capitalista
non è interessata al tempo, ma all’accumulazione quotidiana del denaro e del
potere. Essa non si preoccupa di un futuro migliore, perché non è interessata alle persone nella loro globalità, ma solo al loro essere consumatori, che possono
essere sostituiti da altri consumatori senza problema alcuno. Così si sono indeboliti i legami sociali e ognuno cerca di sopravvivere pensando solo a sé e alla
propria famiglia.
Le persone però si preoccupano quotidianamente del loro futuro, sempre più
minacciato: il lavoro che manca o è dequalificato, la crisi economica, quella ecologica. Per i giovani poi il mettere su famiglia, trovare casa, emigrare per il lavoro.
La paura del presente restringe e limita le visioni del futuro e, con esse, anche la capacità di impegnarsi in un cammino di solidarietà con gli altri per costruire una società migliore.
CAMMINARE NELLA PAROLA
In un presente senza tempo, ridotto a istante da consumare, è necessario darsi degli obiettivi futuri da poter perseguire passo per passo, così da tornare a
coinvolgere le persone nella costruzione di una società migliore.
Nella parola di Dio
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Nella Bibbia la realizzazione del futuro è opera di Dio: le promesse ad Abramo di una discendenza numerosa e una terra; ad Israele della terra in cui vivere secondo giustizia e la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, del ritorno dall’esilio a Babilonia, di un cuore nuovo, del perdono dei peccati; a tutti gli uomini la vita eterna nella Gerusalemme che scende dal cielo (sono alcuni esempi
significativi). A questa iniziativa di Dio si rivolge il cuore dell’uomo per sperare che nel futuro si compiano le promesse di una vita buona e beata.
Tuttavia il Signore chiede all’uomo di partecipare alla realizzazione della promessa, non la compie all’insaputa o contro la volontà dell’uomo, ma lo coinvolge mandando degli uomini che possano accompagnare il popolo in questi
cammini di speranza.
Gesù è colui che realizza nel presente il futuro della vita eterna. Chi segue
Gesù risorto, fin da ora spera e sa che la promessa di vita del Signore si è realizzata definitivamente nella storia degli uomini, cambiandone il segno: il peccato e la morte non sono più le parole definitive nella storia del mondo.
Gli uomini di Dio sono fiduciosi nell’opera del Signore e si mettono con gioia
e speranza al servizio del regno di Dio, che è contemporaneamente comunione
con il Signore e i fratelli, da una parte, e progetto sociale di fraternità e giustizia, dall’altra. Nelle avversità della storia occorre mantenere salda la propria fiducia e speranza nell’agire salvifico del Signore creatore della vita, che è fedele
alla sua parola, manifestatasi definitivamente nella vita di Gesù.
Nella vita associativa
Per un movimento come i Giovani delle Acli parlare di futuro vuol dire parlare di una missione imprescindibile del proprio agire quotidiano. Il 23° Con-
per discernere le parole
gresso di Ga ha posto il tema del futuro alla base di tutte le riflessioni che stanno orientando le scelte e il cammino associativo di questi anni. Il contesto storico, sociale ed economico in cui viviamo, infatti, sta penalizzando le giovani generazioni costrette a rimanere ancorate esclusivamente alla dimensione dell’oggi in quanto scoraggiati a pensare quella del domani. I giovani restano bloccati
nella transizione allo stato adulto, incontrano rischi di povertà elevati se escono dalle famiglie di origine e rinviano la costituzione di una propria famiglia.
Fagocitati da un sistema precario non pensano più a comprare casa, a investire
o risparmiare per i figli che avranno, ma possono solo inseguire l’ultimo modello di cellulare, di i-phon, prolungando così la permanenza nella famiglia di
origine e la dipendenza dalle generazioni adulte. Non a caso il tema del rapporto
intergenerazionale mette a nudo in modo spietato la crisi, non solo di senso, che
attraversa la nostra società, in particolare la paralisi del pensiero sul futuro. In
un contesto mutato e mutevole bisogna trovare nuove chiavi di lettura del mondo, nuovi strumenti di comprensione e nuove figure culturali che possano essere riferimento nella trasformazione dal pensiero all’azione, dal poter essere al
saper essere. Il mandato delle giovani generazioni, in particolare, non può che
essere quello di cogliere tutte le opportunità che le trasformazioni in atto offrono generando fiducia e capacità di guardare lontano. È compito di ogni nuova
generazione, infatti, mantenere memoria del passato ed avviare processi di costruzione della storia. La capacità di gestire un mondo che cambia e i processi
stessi di cambiamento socio-economico possono derivare da un reale protagonismo di tutte le generazioni chiamate a fare scelte responsabili nella società. Per
questo motivo è necessario abbandonare l’ottica rivendicativa che fino ad oggi
ha animato le giovani generazioni per scegliere innanzi tutto la via della responsabilità personale e dell’auto-promozione, convinti, come siamo, che gli
spazi e i diritti non vanno solamente rivendicati, ma anche conquistati. Il ruolo
di un’associazione come i Giovani delle Acli, non può, però, limitarsi ad uno
sguardo circoscritto al proprio tempo. Crediamo che così facendo non risponderemmo al nostro ruolo di sentinelle in un mondo che cambia, a questo mandato consegnatoci da Giovanni Paolo II che abbiamo voluto assumere come impegno nel nostro 23° Congresso Nazionale. Siamo chiamati a volgere lo sguardo alle generazioni future e a tutte le fasi della vita dell’uomo, ad interessarci alla persona nella sua interezza a prescindere dalle differenze di genere e genera-
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CAMMINARE NELLA PAROLA
zionali. Anche se assumessimo un’ottica del tutto egoistica, limitata alla nostra
generazione, dovremmo comunque fare i conti con il fatto che essere giovani è
una sorta di “contratto a tempo determinato”, destinato, prima o poi, a finire.
Il nostro compito, allora, deve essere quello di pensare sin da ora ai giovani di
domani. Accettando le nuove sfide di un mondo ed una società cambiata, decidiamo di ri-partire decisi a cogliere quei segni di speranza e quel nuovo giorno
che vediamo all’orizzonte. Come sentinelle attente vogliamo essere pronti a coglierne l’avvento. Sentiamo forte l’urgenza della ri-partenza: è facile farsi cogliere dalle tenebre ed assopirsi perché stanchi o impauriti dalla notte; la nostra
mission associativa e la nostra fede ci spingono, però, a non attendere e ad intraprendere sin da subito e nel quotidiano un cammino carico, ancora una volta e ancora di più, di speranza e di futuro.
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L’impegno educativo
Non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo
quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per
annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza.
Torniamo, dunque, a proporre ai giovani la misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione: chiamati alla vita consacrata, al sacerdozio, al matrimonio, sappiano rispondere con generosità all’appello del Signore, perché solo così potranno cogliere ciò che è essenziale per ciascuno. La frontiera educativa costituisce il luogo per un’ampia convergenza di intenti: la formazione delle nuove generazioni non può, infatti, che stare a cuore a tutti gli uomini di buona volontà, interpellando la capacità della società intera di assicurare riferimenti
affidabili per lo sviluppo armonico delle persone.
(Benedetto XVI, discorso all’Assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010)
per discernere le parole
Indice
Presentazione
3
Inno allo Spirito Santo
5
11. Chiesa
7
12. Cattolicesimo democratico
11
13. Vita
14
14. Felicità
18
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15. Sobrietà
22
16. Ecologia
26
17. Etica pubblica
30
18. Rete
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19. Europa
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10. Futuro
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Progetto grafico e impaginazione:
Aesse Comunicazione - Roma
Stampa: Ugo Quintily S.p.A. - Roma